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Longanesi&C.

LA G I O I A
DE L L A M U S I C A

di LEONARD

BERNSTEIN

TR A DU ZIO NE DI
RAFFAELE MAMMALELLA

DICIOTTO FOTOGRAFIE

MILANO
P R O P R I E T À L E T T E R A R I A R I S E R V A T A
Longanesi & C., © 1982 - 20122 Milano, via Salvini, 3 LA GIOIA
DELLA MUSICA
Traduzione d all’originale americano
The Joy o f Music
di Raffaele Mammalella

Disegni e diagrammi di
Arthur Marokvia
Partiture di
M axwell Weaner

Copyright © 1954, 1955, 1956, 1957, 1958, 1959


by Leonard Bernstein
Published by acknowledgment with Simon & Schuster,
New York
Questo libro è affettuosamente dedicato INTRODUZIONE*
a Helen Coates,
con profonda gratitudine
per quindici anni di abnegazione

Un grato riconoscimento a Robert Sau-


dek e a Mary Ahern per Pinestimabile
aiuto critico datomi nella impostazione
degli Omnibus ; a Henry Simon, il pa­
drino di questo libro, e a Jack Gottlieb,
mio assistente, per l’eccellente collabo-
razione offertami nella preparazione di
questo volume. * Una versione abbreviata di questa Introduzione è apparsa su The Atlantic Monthly, nel
[L.B.] dicembre 1957, con il titolo Speaking of Music.
NEL GIUSTO MEZZO

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di aver sempre parlato di musica: con amici, colleghi, insegnanti,
R ic o r d o
studenti, individui qualsiasi, ma soltanto in questi ultimi pochi anni mi è
capitato di parlarne al pubblico. Vado così a ingrossare la schiera dei be­
ne intenzionati, ma votati all’insuccesso, che hanno tentato di spiegare
il singolarissimo fenomeno della reazione dell’uomo al linguaggio dei
suoni.
È come tentare di scoprire il motivo di una delle irregolarità della natura,
quale che essa sia. Alla fine, si deve semplicemente accettare il fatto, molto
confortante, che gli uomini provano piacere all’ascolto del linguaggio dei
suoni (di certi suoni scelti e organizzati); che questo loro piacere si mani­
festa nei modi più disparati: dall’eccitazione sensoriale all’esaltazione spi­
rituale; e che coloro che sono capaci di comporre successioni sonore su­
scitatrici delle esaltazioni più intense vengono comunemente chiamati geni.
Assiomi questi che è impossibile negare o spiegare. Tuttavia, nella nobile e
tradizionale aspirazione umana a penetrare le tenebre con la mente, e ur­
tando spesso con la testa contro le pareti dell’antro oscuro, si riesce alle
volte a scorgere un barlume di luce. Possiamo quindi avventurarci, nulla
ce lo vieta, nella ricerca di una spiegazione.
Sull’Eroica sono state scritte più parole delle note che la compongono,
e se si potesse mai farne il calcolo accurato, la sproporzione fra parole e note
sbalordirebbe. Eppure, è riuscito qualcuno a « spiegare » esaurientemente
l’Eroica? Chi potrebbe mai dare una spiegazione del miracolo di una nota
che segue un’altra nota o coincide con un’altra ancora, così da darci la cer­
tezza che quella relazione tra le due note non possa in alcun modo essere di­
versa?
Nessuno, ne sono certo. Per quanto razionali possiamo e vogliamo essere,
ci dobbiamo di colpo arrestare sul limite di questa area mistica. Non è esa­
gerato usare l’espressione « mistico » o perfino « magico »: a conti fatti, nes­
sun amante dell’arte può rimanere agnostico. Chi ama la musica è un cre­
dente, anche se con sforzi dialettici cerca disperatamente di sfuggire all’im­
passe; nell’affrontare il soggetto della musica, le menti più razionali della
storia hanno dovuto sempre cedere al misticismo e riconoscere la bellezza
e l’innegabile godimento che emanano da quella combinazione di matema­
tica e magia che è la musica.
Platone e Socrate ritenevano che lo studio della musica fosse una delle
discipline più alte cui sottoporre la mente dei giovani, considerandolo un
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sine qua non dell’educazione proprio perché unisce disposizioni scientifiche do che ci riesca, pur con l’ausilio della terminologia dichiaratamente insod­
e « spirituali ». Eppure, quando parla della musica, - nonostante il metodo disfacente della scienza psicologica, come spiega quel senso di grandiosità
scientifico impiegato in quasi tutti gli altri campi, —Platone si perde in va­ che proviamo in mezzo a una tempesta? E come analizza questa nostra
ghe generalizzazioni sull’armonia, sull’amore, sul ritmo e su quelle divinità sensazione di grandiosità nei vari elementi che la compongono? Tre parti di
che, secondo lui, erano portatrici di suoni melodiosi. Ben sapeva però, co­ stimoli elettrici, una parte di sollecitazioni auricolari e una di sollecitazioni
me tutti del resto, che niente più della musica dei fiati incitasse l’animo dei visive, quattro parti di identificazione con ciò che esiste oltre i nostri sensi
soldati alla battaglia. Sapeva quale scala o modo greco si addicesse alle cose e due parti di adorazione delle forze onnipotenti: un cocktail improponibile.
d’amore, quale dia guerra, quale alle libagioni conviviali e quale alla inco­ Tuttavia, non spesso e con risultato vario, alcuni sono riusciti a « spie­
ronazione di un atleta. Parimenti gli indù, con le loro scale, matematica- gare » il senso di grandiosità delle tempeste, e vengono chiamati poeti. La
mente molto complesse, i loro ritmi e i riga, hanno sempre saputo quale verità è che solo gli artisti offrono una spiegazione della magia e solo l’arte
musica era da destinarsi alle ore del mattino, quale si adattasse invece alle può sostituirsi alla natura. Per la stessa virtù, solo l’arte può sostituirsi alla
ore del tramonto o alle celebrazioni di Siva, die marce o alle giornate di arte. Ne consegue che l’unica vera maniera per riuscire a dire qualcosa sulla
vento. E non c’è calcolo matematico che potrà mai spiegare il perché di musica è quella di scrivere musica.
queste regole. E tuttavia ci ostiniamo nel nostro tentativo di fare un po’ di luce sul
Ai nostri giorni, ci troviamo ancora di fronte a questo monolite magico mistero. È l’esigenza dell’uomo a chiarire, razionalizzare, giustificare, ana­
e cerchiamo di attaccarlo con sistemi scientifici, nella maniera fallace che lizzare, limitare, descrivere. V’è anche una grande esigenza di « vendere »
ci è propria, impiegando princìpi di fisica, acustica, matematica e logica for- musica, esigenza questa nata negli ultimi duecento anni dalla trasformazione
mde. Usiamo anche artifici filosofici qudi l’empirismo e il metodo teleolo­ della musica in industria. Improvvisamente, nascono mercati di massa, una
gico. Ma quali risultati otteniamo? L’elemento « magico » dei nostri que­ sviluppatissima industria di musica registrata, i carrieristi di professione, la
siti rimane inaccessibile e senza spiegazione. concorrenza fra i centri musicali di varie città, le associazioni musicali. E da
Per esempio, possiamo tentare di spiegare perché il tema di un quartetto tutto questo è venuto fuori quel che viene chiamato « il piacere della musi­
di Beethoven assuma la sua determinata configurazione, con l’affermare die ca » e che una volta Virgil Thomson felicemente chiamò « il racket del pia­
esso segue il principio formale della sintesi: una breve esposizione (tesi) cere della musica ». Si tratta in sostanza di un racket, perché è in sostanza
seguita da una « risposta interrogante » (antitesi) a cui segue uno svi­ ingannevole e commerciale. Si usa ogni mezzo, ogni espediente per vendere
luppo che nasce dal conflitto dei due elementi precedenti (sintesi). Questo musica: la lusinga, la finta timidezza, l’adulazione, l’eccessiva semplificazio­
schema è chiamato dai tedeschi Stollen, altri lo chiamano sillogistico. Pa­ ne, il divertimento banale e bugie vere e proprie; tutto questo, perché gli
role, parole e soltanto parole. Perché il tema è bello? Questo è l’enigma. affari dell’industria musicale procedano il più profittevolmente possibile.
Fra centinaia di temi musicali uniformati a quello schema o alle sue va­ Con questi sistemi « il piacere della musica » diventa esso stesso un’indu­
rianti-, solo uno o due sono belli. stria, e la fase successiva potrà soltanto dar luogo a un altro sviluppo paras­
Quando ero a Harvard, il professor Birkhoff aveva appena pubblicato un sitario: il piacere del piacere della musica.
suo sistema di misure estetiche, proprio nel tentativo di sviluppare un si­ Secondo il pubblico a cui si rivolge, questo racket usa due metodi diversi.
stema matematico, per cui a ogni prodotto artistico veniva attribuito un Uno più insulso dell’altro. Il metodo A è tutto uccellini, ruscelletti e ronzio
punteggio di bellezza secondo una scala di valori estetici. Un nobile tenta­ di api, e si avvale di tutto ciò che esiste al mondo purché sia extramusica­
tivo senza dubbio ma, tutto sommato, applicata la regola, si giungeva a un le. Ogni nota, ogni frase musicale, ogni accordo, vengono trasformati in una
punto morto. Con i cinque sensi, e fino a un certo punto, l’uomo può « mi­ nuvola, una rupe o un cosacco. Racconta storielle sui grandi compositori,
surare » gli oggetti (l’occhio si accorge che X è due volte più lungo di Y, tutte false o irrilevanti; si prodiga in aneddoti, cita interpreti di gran fama,
l’orecchio percepisce che quel trombone sta suonando due volte più forte si compiace di riferire storielle di cattivo gusto, fa giochi di parole assurdi,
degli altri tromboni). Ma può mai misurarsi la reazione estetica propria dei infastidisce l’ascoltatore e non dice assolutamente nulla della musica. Con­
sensi? Quanto diverso è l’odore della carne di maiale da quello dei fagioli? fesso d’aver fatto anch’io ricorso a questi mezzi: chi parla di musica prima
E quali fagioli? E in che modo cucinati? Crudi? In quali condizioni di cli­ o poi non può farne a meno. Spero però di aver sempre riferito un aneddoto,
ma? Se l’Eroica merita 3,2 di punteggio, quanti punti daremo al Tristano? fatto un’analogia, usato una metafora quando era necessario per spiegare
O a una pagina di un preludio di Bach? la musica, per renderla più accessibile e non per divertire o — ciò che è
E procediamo così, a casaccio, imitando goffamente il metodo scientifico peggio —addirittura per allontanare dalla musica la mente dell’ascoltatore,
per spiegare fenomeni « magici » con fatti, forze, massa, energia. Ma resta come fa questo racket.
il fatto che non riusciamo a spiegarci la reazione dell’uomo di fronte a que­ Il metodo B si serve dell’analisi: un tentativo serio e degno di lode, ma
sti fenomeni. La scienza fornisce la « spiegazione » dei tuoni ma riesce for­ insulso quanto il metodo A è ingannevole. Per intenderci, è del tipo: « il
se a « spiegare » il timore col quale la gente reagisce ai tuoni? E ammetten- tema ora viene citato al rovescio dal secondo oboe ». Un soporifero garanti-
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to. Riesce soltanto a fornite una specie di mappa dei temi, un Baedeker a sperare che qualche sprazzo di luce penetri in quel terribile guazzabuglio
della geografia della composizione; e dunque neppure esso ci dice nulla della che è il significato della musica.
musica, della quale ci offre soltanto l’aspetto superficiale. Per secoli il « significato » della musica ha preoccupato esteti, musicisti
Ma per fortuna non tutto ciò che vien detto sulla musica è al livello « pia­ e filosofi. Esistono montagne di trattati che non fanno altro che aggiungere
cere della musica ». C’è chi scrive su giornali importanti dicendo cose serie, ancora altre parole su un soggetto già oscuro. Da tutto questo materiale
destinate però solo ad altri musicisti o a musicologi; ma il profano, il sem­ saltano fuori quattro tipi di significati musicali:
plice amante della musica, incontra notevoli difficoltà se cerca discorsi intel­ 1. significati narrativo-letterari (Till Eulenspiegel, L'apprendista stregone,
ligenti sull’argomento. Solo ogni tanto appare un non-musicista capace di ecc.);
guidare lo sguardo del profano in profondità, sia pure limitatamente a una 2. significati atmosferici-pittorici {La Mer, I quadri di una esposizione,
cadenza, una linea melodica, ima singola progressione armonica. È gente ra­ ecc.);
ra e preziosa. Platone ci riesce, a volte, e anche Shakespeare. Alcuni critici 3. significati affettivi ed emotivi, quali trionfo, dolore, meditazione, ram­
musicali sanno essere sensibili e al tempo stesso comprensibili al profano: marico, allegria, malinconia, apprensione: tipici del romanticismo otto­
uomini come Sullivan, Newman, Thomson. Alcuni romanzieri, come Mann centesco;
e Huxley, hanno scritto pagine indimenticabili, o perfino capitoli, sulla 4. significati puramente musicali.
musica. Ma la maggioranza dei romanzieri, gli scrittori in genere, appena si Vale la pena di analizzare musicalmente solo l’ultimo.
avventurano a parlare di musica dicono soltanto sciocchezze. E Je dicono I primi tre possono indurre ad associazioni che, se volute dal composi­
spesso. tore, è bene a volte identificare, altrimenti si prestano a spiegazioni arbi­
Inesplicabilmente, i letterati subiscono il fascino della terminologia musi­ trarie, o servono solo a caratterizzare gli scopi commerciali prima menzio­
cale, forse perché sono intimoriti dalla sua astrattezza. Nulla è più remoto nati. Se dobbiamo tentare una « spiegazione » della musica, dobbiamo ap­
dalla mentalità letteraria - con la sua tendenza alla rappresentazione, la sua punto spiegare la musica e non tutto l’arsenale di nozioni extramusicali
concettualità - della mentalità astratta del musicista che si concentra su sorte come funghi parassiti attorno alla musica.
modellazione, linee, intensità sonore. E questo affascina lo scrittore, suscita Ne consegue che l’analisi musicale diventa estremamente difficile per il
persino - ho scoperto - la sua invidia, tanto da aspirare a partecipare anche profano. È chiaro che non possiamo usare una terminologia esclusivamente
lui dell’arcano e sconosciuto mezzo di espressione. Risultato: quando è alla musicale che servirebbe soltanto a estraniarci il lettore musicalmente im­
ricerca del mot juste che gli sfugge, s’impadronisce di glissando o di cre­ preparato; dobbiamo invece, a intermittenza, fare riferimento a idee extra­
scendo per esprimere ciò che vuol dire (in genere a sproposito); e questo musicali, come la religione, i fattori sociali e gli impulsi storici che possono
proprio perché la terminologia musicale è sfuggente. In più, è piacevole\ aver influenzato la musica. Non vogliamo certo abbassare il nostro discorso
Quanta grazia ed eleganza in quelle parole italiane: scherzo, vivace, andan­ a un livello troppo elementare, ma quanto in alto possiamo portarlo, senza
tino, crescendo. In letteratura ci imbattiamo continuamente nella parola astrarci? V’è un giusto mezzo, e si trova fra le imposture del piacere della
crescendo; quasi sempre usata quale sinonimo di culmine, acme. « La musica e il distorso puramente tecnico. È difficile trovarlo, ma non im­
bufera raggiunse un grande crescendo. » « Nel baciarsi, i loro cuori raggiun­ possibile.
sero un crescendo di travolgente passione. » Sono assurdità. È ovvio che La certezza di trovarlo mi dà appunto il coraggio di parlare di musica
« crescendo » può indicare soltanto « il crescere », « l’aumentare »; nel ca­ alla televisione, in registrazioni radiofoniche e direttamente al pubblico; e
so specifico della musica indica l’intensificarsi progressivo della sonorità. È la mia impressione di averlo fatto con successo s’accompagna sempre a quel­
evidente, quindi, che un « crescendo » può soltanto essere inteso come il la di essere riuscito a trovare questo giusto mezzo. Trovarlo, d’altra parte,
progredire verso un apice (di una tempesta, di una passione, di quello che è impossibile, senza la convinzione che il pubblico non è un somaro, bensì
volete) ma non può certo indicare l’apice stesso. una massa intelligente che più spesso di quanto si creda anela a conoscere
Ho fatto questa digressione soltanto per sottolineare la rarità dei discorsi e discernere. E così, quando se ne presenta l’occasione, io non esito a par­
intelligenti sulla musica, anche tra i grandi scrittori. Gli Huxley, i Mann lare di musica, ma sempre prendendo il mio spunto dalle note. Qualora,
non sono numerosi e neppure vicini fra di loro. In Punto contro punto, la per ragioni di chiarezza, si renda necessario il riferimento a concetti extra­
descrizione di Huxley del Quartetto op. 132 di Beethoven è indimentica­ musicali, io mi sforzo di sceglierli fra quelli che abbiano rilevanza musicale:
bile, come del resto quel suo paragrafo sul Quintetto di Mozart in Passo di come le caratteristiche nazionali e gli orientamenti spirituali che possono
danza. Ne La montagna incantata e nel Doktor Faustus vi sono brani sulla aver informato il pensiero del compositore. Per esempio: nel parlare del
musica che sono addirittura entusiasmanti. Ed è per merito di costoro —ca­ jazz, mi son guardato bene dalle solite disquisizioni pseudostoriche (quelle
paci di evocare con parole il valore di un pezzo di musica, il significato es­ sul tema: Là sul fiume, da New Orleans), concentrando il mio discorso
senziale della sua forza — è per merito loro, dicevo, che noi musicisti ci sulle particolarità melodiche, armoniche e ritmiche che fanno del jazz una
sentiamo incoraggiati a perseverare nel tentativo di vederci un po’ chiaro. musica diversa da tutte le altre. A proposito di Bach, non ho'potuto evitare
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riferimenti alla sua indole religiosa e spirituale, ma sempre in maniera ine­
rente alla sua musica. Sul problema della scelta delle note che ogni com­
positore deve affrontare e risolvere nel momento della creazione, mi sono CONVERSAZIONI IMMAGINARIE
avvalso degli abbozzi beethoveniani, quelli scartati, per il primo movimento
della Quinta sinfonia. Per concludere: il piacere della musica può non es­
sere un’impostura. I riferimenti extramusicali riescono realmente utili, ma
solo se intesi a spiegare, a dare la ragione dei suoni. Anche le su accennate
mappe tematiche possono aiutarci purché servano una idea centrale, capace
di impegnare l’intelligenza di chi ascolta. È qui il giusto mezzo, e spero,
umilmente, di averlo raggiunto nelle pagine che seguono.
UNA CHIACCHIERATA
I TRA LE MONTAGNE ROCCIOSE

Scena prima. Perché proprio Beethoven?


( N e l N uovo Messico. Siamo in tre, in macchina, diretti a velocità folle verso
una località, ancora ignota, nelle Montagne della Follia; verso il Valico Pi­
casso o dove volete voi. f r a t e l l o m i n o r e è al volante e sorpassa siste­
maticamente tutte le auto che incontriamo sul cammino. Ha sedici anni, è
pilota patentato e un’autorità mondiale in fisica nucleare, p o e t a l i r i c o ,
irrigidito dal terrore, siede alla mia sinistra. Ho la sensazione che preghi
senza posa perché si giunga immediatamente in un posto qualsiasi. Vuol
continuare a vivere quel tanto che gli basta per finire il libro che ha in pre­
parazione. P.L. è un poeta per poeti. Inglese, è una di quelle persone in­
credibili che, perennemente alle prese con politica, amore, musica e attivi­
smo ideologico, si trovano poi interdette, nonostante il loro acclamato suc­
cesso, di fronte alla nota della lavanderia. Quando parla, p . l . è un oracolo.
Se sta zitto, riesce a esserlo ancora di più.)

p . l . (con inespressività glaciale): Ho il sospetto, caro f . m . che tu abbia


dimenticato che ieri il pneumatico scoppiò proprio per il modo di guidare
del quale ora ti rendi di nuovo colpevole.
f . m .: Non essere così petulante. (Ma la frase di p . l . ha un certo effetto:
f . m . riduce notevolmente la velocità, anche se poco alla volta, per non dare
l’impressione di aver ceduto. Pochi riescono a impressionare il coriaceo f .m .
ma nemmeno lui è immune agli oracoli. Segue il sollievo di alcuni minuti di
silenzio e, scomparsa la tensione, p . l . può ora tornare all’argomento classi­
co di ogni viaggio: il paesaggio.)
p . l .: Sono tutto un Beethoven queste colline. (Trascorrono cinque mi­
nuti in silenzio durante i quali p . l . pensa beato alla sua felice metafora.
f .m . freme per il limite di velocità impostogli. Io medito sulla mentalità
letteraria che è spesso irresistibilmente portata ad accomunare la musica alle
colline, al mare o alla nebbia dei pantani.)
p . l .: Sì, proprio tutto un Beethoven.
L.B. (interrompendo la sua meditazione): Avevo deciso di lasciar correre
la tua osservazione considerandola del tutto innocente; ma visto che insisti,
debbo farti una domanda spinosa. Con tante colline al mondo - se ne rime­
diano almeno un centinaio per ogni compositore - come mai a ogni altura
gli scrittori pensano sempre a Beethoven?
p . l .: Ma guarda un po’: e io che pensavo di farti un omaggio con la
mia metafora musicale. Fra l’altro, penso che sia proprio così: queste mon-
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tagne, con la loro maestà, la loro grandiosità rupestre, a me fanno pensare P .L .: Giustissimo. Vediamo: la melodia. La melodia! Dio mio, che me­
a Beethoven. lodia! L’Allegretto della Settima\ Un canto dal cuore...
L .B .: A quale sinfonia? L.B.: Da un cuore monotono, devi aggiungere. Il « motivo », lo ricorde­
p . l .: È proprio strano: vuoi dire che non scorgi nessuna affinità fra que­ rai, ha una figura musicale inesorabilmente vincolata alla nota mi.
sto paesaggio e la musica di Beethoven? P .L .: Certo, ma è intenzionale. Vuole appunto produrre una certa stati­
L.B .: Nessuna. E neppure con quella di Bach o di Stravinskij, di Sibelius, cità, una mestizia, una cadenza di marcia...
di Wagner o di un musicante qualsiasi. Perché proprio Beethoven? L .B .: Lo ammetto. Ma allora non è un motivo che si distingua per quali­
P .L .: Il bruco disse ad Alice: « Perché no? » tà melodica.
L.B.: Io parlo seriamente, P .L ., e tu no. Da che ho memoria, quello che P .L .: Dovevo aspettarmelo: ho fatto un esempio poco adatto. E il primo
viene in mente a tutti, quando si tratta di mùsica seria, è Beethoven. Se movimento?
debbo aprire una stagione di concerti, mi si chiede normalmente un pro­ L.B .: Prova a fischiettarlo.
gramma di tutte musiche di Beethoven. Se entri in una sala da concerti i
nomi dei grandi sono lì, tutti intorno sul fregio; ed eccoti giusto al centro, ( p .l . ci si prova coraggiosamente. Eoi si ferma. Pausa.)
più in vista degli altri, Beethoven. Scritto spesso a lettere d’oro. Quando si
prepara il programma di un festival di musica orchestrale, con nove pro­ L.B. (con arguzia): Possiamo passare all’armonia?
babilità su dieci ne vien fuori un festival di Beethoven. E qual è l’ultimo p . l .: No! Maledizione, voglio prima concludere questo discorso sulla me­
grido fra i giovani compositori di tendenza neoclassica? Il neo-Beethoven. lodia. II... il... Ho trovato! L’adagio del Quartetto in la minore* Quella
Qual è il piatto forte di un qualsiasi recital di pianoforte? Una sonata di santità, la gratitudine del convalescente, la purezza di quella successione di
Beethoven. O del programma di un quartetto d’archi? L’opera cento ecce­ note lentissima e incredibilmente sostenuta, la...
tera. Che cosa abbiamo eseguito per la commemorazione dei nostri caduti in L.B .: La melodia?
guerra? L’Eroica. E per commemorare la Vittoria? La Quinta. Che cosa si p . l .: E dàgli, la melodia, la melodia! Dopotutto, che cos’è la melodia?
suona a ogni concerto delle Nazioni Unite? La Nona. Qual è la domanda Deve essere per forza una canzone da osteria per meritare il suo nome?
canonica che vien fatta agli esami di diploma dei licei musicali? Suonate Una successione qualsiasi di note - f .m ., stai andando di nuovo come un
tutti i temi che ricordate delle nove sinfonie di Beethoven. Beethoven, un pazzo - è melodia. Non è così?
Ludwig van Beethoven dappertutto. L.B.: Tecnicamente è così. Ma noi stiamo cercando di stabilire il valore
P .L .: Cosa c’è, non ti piace? di una melodia rispetto a un’altra E nel caso di Beethoven...
L.B.: Non mi piace? Ne vado pazzo, sono un fissato ed è probabilmente p . l . (quasi con disperazione): E c ’è s e m p re q u e l m o tiv o s tu p e n d o n e l
la ragione per la quale ho reagito con tanta energia alla tua osservazione. Io fin a le d e lla Nona: ta a ta ta ...
adoro Beethoven, ma voglio capire perché tutti gli altri grandi vengono L.B .: Andiamo, anche tu devi riconoscere che proprio quello fa canzone
messi arbitrariamente in esilio. Non mi lamento, ma perché non Bach o da osteria par excellence.
Mozart o Mendelssohn o Schumann? p . l . (con un sospiro): Cedunt Helveţii. Passiamo all’armonia. Natural­

F .M .: Chi vuole una gomma da masticare? mente, devi tener presente che non sono un musicista. Quindi non tirarmi
P .L .: Oddio, immagino perché Beethoven... voglio dire deve essere una fuori troppi termini tecnici.
certa tradiz... Cioè, se si riflette bene, all’intera... l b .: Non ti preoccupare, Lirico mio. Basterà che mi riferisca a quei tre,
L.B.: Siamo lì, una risposta non c’è. quattro accordi più famosi della musica occidentale. Sono certo che ne hai
P .L .: Per Dio, amico, è perché è il più grande di tutti, ecco perché. Di­ dimestichezza.
chiariamolo una volta per tutte e senza reticenze: Beethoven è il più grande p . l .: Vuoi dire {canta):

compositore che sia mai esistito. Il giorno è finito, s’appressa la notte.


L.B. (che è d’accordo ma con una tradizione talmudica alle spalle): Dünkt L’ombre della seeera...
dir das?* E posso chiederti di provarmi punto per punto questa coraggio­ L.B.: Esatto. Ora mi sai trovare qualche cosa di Beethoven che sia, armo­
sa affermazione? nicamente, molto più audace di quello che hai cantato?
P .L .: Con molto piacere. Come? p . l .: Parla seriamente, l .b . Non è possibile che tu sia convinto di quello

L.B.: Prendiamo uno per uno gli elementi essenziali della musica: melo­ che dici. Proprio Beethoven, così radicale, arcirivoluzionario, con Napoleo­
dia, armonia, ritmo, contrappunto e orchestrazione, e vediamo come se la ne, tutta la...
cava il Nostro con ognuno di essi. Ti sembra giusto il sistema?
* p .l . si riferisce al famoso adagio (« Molto adagio» sulla partitura) in modo lidio del
* « La pensi così? » (N.d.T.) Quartetto op. 132. (N.d.T.)
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L.B .: Eppure le pagine della Quinta sinfonia si susseguono con i soliti creazioni miracolose, alla purezza delle sue rivelazioni, alle sue visioni di
tre accordi che giocano a rimpiattino fra loro, finché ci si comincia a chie­ gloria e fratellanza, e alla sua visione del divino. Il melodista mediocre, il
dere che cos’altro egli possa tirarne fuori: tonica, dominante, tonica, sotto- modesto armonista dai ritmi monotoni, l’orchestratore ordinario e il contrap­
dominante, dominante... puntista banale! E a sostenerlo è un musicista che sostiene di svelarci l’ana­
P .L .: Sì, ma che terremoto ti scatenano! tomia segreta di queste creazioni possenti, uno che dedica la propria vita
L .B .: Questo è un altro discorso. Noi stavamo valutando l’interesse ar­ ai misteri della musica! È assurdo, innegabilmente, totalmente assurdo!
monico, non è così?
P .L .: D’accordo, e non direi che Parmonia è uno dei punti forti di Bee­ (Segue una pausa. In parte è p . l . che assapora ciò che ha detto, in parte è
thoven. Ma non stavamo per arrivare al ritmo? Andiamo, non puoi ragio­ il silenzio che segue il culmine raggiunto da una perorazione così sentita.)
nevolmente negarne il vigore, l’intensità, la sua forza pulsante, il trasporto...
L.B.: Piano, sull’armonia ti arrendi con troppa facilità. Il Nostro sapeva L.B .: p . l . tu hai ragione. È assurdo. Ma solo con una analisi di questo
maneggiare gli accordi in modo a dir poco affascinante: quegli intervalli tipo passiamo arrivare alla verità. Vedi, io ero d’accordo con te fin dal
arcani, le modulazioni improvvise fino alla violenza, gli sviluppi armonici principiò, ma ho voluto dirti spontaneamente quel che pensavo. Non sono
inattesi, l ’audacia delle dissonanze... diverso da tutti quelli che adorano quel nome, quelle sonate, quei quartetti
P .L .: Ma si può sapere da che parte stai? Non sostenevi che la sua armo­ e quel busto dorato. Solo che, improvvisamente, mi sono reso conto della
nia è banale? cecità di questa adorazione quando ti ha inspirato il paragone con queste
L.B .: Banale mai, solo limitata, e perciò meno interessante dell’armonia montagne. Nel chiedertene conto, sfidavo contemporaneamente me stesso a
sviluppatasi nei periodi a lui posteriori. Per quel che riguarda il ritmo, ne produrre la prova conclusiva. E adesso che ti sei calmato, sono certo che
aveva senza dubbio il dono. Ma così anche Stravinski]', Bizet, Berlioz. Quin­ potrai dirmi quale altra componente abbiamo Omesso dalla nostra disamina.
di ripeto: perché proprio Beethoven? Perché i suoi ritmi suscitano più cu­ p . l . (acquietatosi, ma ancora un po’ infervorato): Melodia, arm... Ma
riosità di quelli degli altri? Ha forse introdotto ritmi nuovi? Non s’impun­ certo, la forma. Che stupido a fartela omettere dalla tua elencazione. La
ta invece come Schubert, pagina dopo pagina, su una figura ritmica martel­ forma, dunque: la vera e propria essenza beethoveniană. La vitalità di quei
landotela nel cervello? Insisto sulla mia domanda: perché mai il suo nome meravigliosi allegri iniziali, la perfezione degli scherzi, queU’intensificarsi...
prima di tutti gli altri? L .B .: Piano, ti stai riscaldando di nuovo. Comunque, non è questo che
P .L .: Dovresti chiederlo a te stesso. Nessuno dice che Beethoven sia il io intendo per forma. Mettiamola così: moltissimi compositori sono riusciti
primo di tutti per ritmo, o melodia, o armonia. È la combinazione... a scrivere motivi eccelsi e fughe degne di grandissimo rispetto. Alcuni sanno
L.B .: La combinazione di elementi in cui non si distingue? Questo non orchestrare magistralmente la scala di do maggiore e manipolare le note
giustificherebbe l’effigie dorata che ammiriamo nelle sale di Conservatorio. in modo da produrre vere e proprie innovazioni armoniche. Ma sono scioc­
Per quanto riguarda il contrappunto... chezze in confronto a quella componente magica che tutti cercano affannosa­
F.M.: Nessuno vuole una gomma da masticare? mente, e cioè Vinesplicabile abilità di intuire le note che devono seguire.
L.B .: ...è , generalmente, di livello scolastico. Tutta la sua vita si è affan­ Beethoven aveva questo dono in misura tale che tutti gli altri gli arrancano
nato per comporre una fuga che fosse veramente notevole. L’orchestrazione, dietro con la lingua fuori. Quando ci riesce in pieno - come nella Marcia
infine, a volte è decisamente deteriore; soprattutto nel suo ultimo periodo, Funebre dell’Eroica —crea qualche cosa che a me è sempre sembrata scritta
quando era diventato sordo. Parti per trombe, di poco rilievo, che balzano in cielo, da dove poi gli è stata dettata. E, si badi, non era poi una cosa fa­
fuori dall’insieme dell’orchestra in modo lacerante; corni che prendono a cile da mettere in pratica. Sappiamo quale tormento pagasse per ascoltare i
borbottare su note ripetute all’infinito, la sonorità dei legni che viene som­ suggerimenti divini. Ma la ricompensa fu grande. Nel cosmo, preordinata-
mersa e la voce umana crudelmente costretta a una notazione omicida. Che mente, c’è uno spazio nel quale quel movimento delYEroica s’inserisce per­
vuoi di più? fettamente.
p .L . (disperato): Vorrei non essere costretto a ricordarti in continuazione, p . l .: Ora sei tu a riscaldarti.
F.M., di guidare con raziocinio! L.B. (che sente ormai solo la propria voce)-. La forma è una parola vuota,
F.M.: Quando vuoi dire una cosa dilla in maniera più spicciola. (Intanto un semplice involucro senza questo dono della inevitabilità. È possibile, nel
diminuisce la velocità.) campo della forma sonata, comporre tutta una serie di allegri perfettamente
p .L . (quasi con furore: lirico, naturalmente): Insomma, io mi devo sfo­ costruiti, fedeli a tutte le regole, ma tuttavia manchevoli nella forma. Bee­
gare. Davanti ai miei occhi, il mio idolo è stato dissacrato da chi ha in thoven, invece, sconvolse ogni regola e compose brani di una perfezione da
mano gli arnesi del mestiere mentre io non ho che le sole parole. Parole! mozzare il fiato. Perfezione: ecco la parola. Quando senti che l’ultima nota
E così eccolo lì, il sifilitico, il sordo e vituperato dalle vane argomentazioni è quella giusta, l’unica possibile a quel punto e in quel contesto, stai sen­
di uno pseudocriticismo cieco davanti al suo genio indiscutibile, alle sue tendo Beethoven, ci puoi scommettere. Melodie, fughe, ritmi: lasciamoli ai
22 23
*
Cajkovskij, agli Hindemith, ai Ravel. È lui ad avere la vera ricchezza, l’oro p . l .: E va bene. Ma pensavo, speravo che fosse dimenticata e sepolta.
del cielo, il potere di farti dire: c’è qualcosa di giusto in questo mondo, Che altro trovi da dire su questa mia frase immortale?
qualcosa che ha senso, che obbedisce con coerenza a sue proprie leggi, L .B .: Solo questo: per un musicista è sempre molto strano che un lette­
una cosa nella quale possiamo avere fiducia e che non ci verrà mai meno. rato associ la musica con ogni tipo di fenomeni extramusicali: con colline,
p.L . (con calma)-. Ma questa è quasi una definizione di Dio. folletti e raperonzoli. Strano, ma non pensavo più a queste cose dai tempi
L.B.: Appunto. della scuola, quando durante le lezioni di estetica discutevamo della unicità
del mezzo d’espressione artistica. Le tue parole hanno dunque destato i
vecchi fantasmi.
p . l .: I fantasmi della rappresentazione, dell’astrazione e così via?
Scena seconda. Significato? E che significa? L .B .: Esatto. A Harvard avevo un compagno di stanza che era un gio­
vane di valore: si chiamava Eisner e si avviava a diventare un super-Heming­
(Lo stesso giorno, più tardi. La sera sta per scendere sui monti « beethove- way. Amava la musica in maniera incommensurabile, sviscerante, così
niani » attenuandone le asperità con morbidezze quasi chopiniane. I rosa e i come io\m avo le parole. Si stabilì dunque tra noi un rapporto molto co­
viola del tramonto ci infondono un certo torpore. Col ronzio del motore struttivo, come puoi indovinare, che ci fece capire molte mezze verità.
in sottofondo ci sembra di percepire il richiamo di una locanda cui fa eco Poco dopo la laurea, maledizione, morì di cancro.
quello del letto di un motel. 1 nostri sbadigli si fanno frequenti e si svi­ p . l .: Mi dispiace molto, ma non vedo l’attinenza con le colline.
luppa una triplice sonnolenza.) L.B .: Sii paziente. Eisner e io discutevamo quasi ogni sera. Tempestose
discussioni, che si protraevano fino all’alba, mi facevano mancare alle mie
p .L . (sbadigliando, canta): lezioni di contrappunto e, come tutte le discussioni, non giungevano a
Il giorno è finito, s’appressa la notte. nessuna conclusione. Ora, la tua osservazione mi ha fatto capire fino a che
L’ombre della seeera... punto io avevo assorbito...
F.M . (si asciuga una lacrima): Chi v u o le u n a g o m m a d a m a s tic a r e ? f . m . (di ritorno): Mamma mia!
L.B.: Grazie, sì. Questa volta l’accetto. La conversazione mi ha arrochito. p . l .: E a llo r a ?
p .L . ne vuoi una anche tu? f . m .: Terribilmente lugubre. (Mette in moto.) Avete ricominciato, voi
p .L .: No, grazie, non mastico gomme. Fra l’altro non ho avuto l’oppor­ due? (Sbanda. ) Capirete che non è molto facile vederci a quest’ora, (mette
tunità di arrochirmi. la seconda) entre chien et loup, come dicono al mio liceo. (Mette la terza.)
E le vostre chiacchiere non mi aiutano a concentrarmi. (Va a velocità folle.)
(L’effetto della frecciata viene attutito da un cartello, un « Alloggio » che,
triste e inospitale, compare nella luce del crepuscolo.) (Segue un silenzio esplosivo durante il quale par quasi di sentirlo il penti­
mento di f .m . La tensione aumenta poi cede.)
P .L .: Vogliamo andare a dare un’occhiata a questo albergo scintillante di
luci dove, intorno al tavolo, mentre l’idromele trabocca, ci riscaldiamo al f .m .(imbronciato): Comunque, di che cosa stavate discutendo?
fuoco dell’ospite geniale? p . l .: E chi lo sa! Il tuo caro fratello stava per toccare vette eccellenti e
L.B .: Devi essere proprio stanco, p . l . Ma forse hai ragione, f .m ., l’onore tuttavia indistinguibili. Stava dicendo che aveva assorbito qualcosa...
spetta a te. Smonta e va’ a vedere se non è troppo lugubre. L.B. (rituffandosi nella conversazione): Le discussioni all’università! E
f . m . (indispettito): Mi fa piacere che vi fidiate del mio giudizio. (Spegne grazie per avermi ridato il la. Naturalmente, Eisner e io discutevamo so­
il motore e va.) prattutto di sesso e di letteratura. Ma sempre, prima o poi, giungevamo al­
L.B. (stiracchiandosi): Mi sento come se avessi lavorato tutta la giornata. l’altare della musica, e la sua maniera di arrivarci mi affascinava. Per essere
p . l .: Hai faticato sì, e da prode. E hai avuto una bella faccia tosta. Un un musicista, e non ho mai pensato di essere altro, avevo le mie convin­
melodista mediocre! zioni, inconsapevolmente astratte, sulla musica, e rimanevo sbalordito nel
L.B .: Ammetto di non essere un buon dialettico. Inoltre, la forza delle constatare che esistevano anche altre convinzioni.
convinzioni spinge la mente sul sentiero dei ragionamenti poco abituali. f . m .: Tipico di una matricola.

Fra l’altro, il nostro discorso non è esaurito. La tua innocente osservazione L.B .: Tu aspetta a diventarlo. Fu Eisner a farmi capire quanto diversa,
era una lama a doppio taglio. estranea possa essere l’opinione di uno scrittore sulla musica. Vedi, a me
P .L .: Buon Dio, che cosa ho mai detto? non può succedere di pensare alle colline e a Beethoven contemporanea­
L.B. (ripete scandendo, crudelmente): « So-no tut-to un Bee-tho-ven que­ mente. Di tutte le arti, la musica rimane in una regione a parte, senz’altra
ste col-li-ne. » Ricordi? luce che quella della propria stella e affatto priva di significati.
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f .m .: Questo è un giudizio da matricola che persino io contesto. mere con parole il significato musicale di un preludio; ma sai che noia ne
P .L .: Bravo l’autista! Di tutte le idiozie... viene fuori? Se hai tempo e pazienza, ti servo: una frase si prolunga in le­
L.B.: ...senza significati, tranne il suo proprio, beninteso: un significato vare nel registro medio (la corda del la di un violoncello) e anela di salire
in termini musicali, non descrivibile a parole. Queste, infatti, appartengono all’ottava superiore; la sua intenzione viene improvvisamente rivelata dalla
a una regione della mente completamente diversa. entrata dell’accompagnamento, una serie insistente di ripetuti accordi di mi
P .L .: Ci stiamo per caso imbarcando nello studio del significato del si­ minore pulsanti sotto il sostenuto respiro cromatico della linea melodica
gnificato? (la quale oscilla tristemente fra il si e il do), mentre una yoce tenorile
F.M . : Spero proprio di no. nell’accompagnamento acuisce con sospensioni e appoggiature Ü senso gene­
P .L .: E invece sì. Vediamo: qual è il significato di un gruppo di parole? rale di languida sofferenza...*
Per esempio: « Piegò la testa da un lato e, arrendendosi, gli offrì le lab­ p .L .: Grazie, esclamano, è commovente!
bra... » Prendete, prendete questo scellino,
F .M .: Nobile frase. e fatela finita!
P .L .: Perfetta. Ma che significa? Indica un’azione, un’azione reale. E L.B.: Hai visto? Che ti dicevo? Una noia. E bada che forse dà solo
provoca una re-azione, anch’essa reale. Qualcosa nel nostro essere fisico una piccola parte del significato di non più di tre battute. È il punto al
risponde a questa dozzina di deliziose parole, ma in esso c’è anche un qual­ quale volevo arrivare: la musica, tutta sola, se ne sta in una regione a parte
cosa che risponde a una frase musicale. Prendiamo la frase, l’onda musicale, e oscura.
del JJehestod: bene, se ciò che risponde all’una, risponde anche all’altra, f . m .: Guardate: Il Piccolo Ostello!
allora i significati di entrambe - i significati a cui porta la percezione - sono
identici. Quod erat demonstrandum.
L.B.: Bravo, Vescovo Berkeley! Mi piace rivivere i vecchi tempi univer­ (La scena cambia. Sulla veranda prospiciente Vaccogliente camera ». 8. Fa
sitari, mi sembra di ritornar giovane. Però ho delle obiezioni da fare al tuo un certo freddo che ci ha colti di sorpresa. Come tre finti indiani, sediamo
sofisma scolastico. Prima di tutto, la tua logica fa acqua: confondi il signi­ avvolti in coperte fumando Vinterminabile ultima sigaretta. È la quarta, e la
ficato con la reazione fisica, il che porta a un falso sillogismo. discussione su cosa significa il significato imperversa.)
P .L .: Andiamo, su!
L.B .: No, è così. Se reagisco in modo uguale a due stimoli diversi, le P .L .: ...ma allora come mai tanti compositori danno titoli ai loro pezzi?
mie due reazioni sono uguali; il che non significa però che i due stimoli Se avessi ragione tu, sarebbe impossibile per un brano di musica avere un
avessero lo stesso significato. Se mi raffreddo perché piove o perché mi significato di natura extramusicale. In tal caso, dovremmo eliminare dalla
contagia il gatto, fra pioggia e gatti non vi sarà certamente alcuna simila­ storia della musica Berlioz, Strauss, Schönberg, Hindémith...
rità di significato Ti pare? L .B .: E Mahler, Copland, Monteverdi...
P .L .: No. Salvo la freddura che ci possiamo aspettare da f . m . sulla p .L . (trionfante): E Bernstein!
pioggia e sui gatti. Ma questa non è logica. Le emozioni non seguono regole L .B .: Ahimè! Dammi almeno il tempo di riesumare qualche idea appresa
matematiche. nei miei vecchi corsi di estetica.
L .B .: Mi dispiace, ma sei stato tu il primo a esclamare Q.E.D. p .L .: Ardo dalla curiosità, ma attendo pazientemente. Fuma una Chester­
P .L .: È vero, perdonami. Ma cerchiamo di semplificare il discorso. Am­ field.
metterai che c’è, senza dubbio, una relazione di significato fra un tramonto L.B. (che cerca di guadagnar tempo): Se ho ben capito, tu ti chiedi come
e un preludio di Chopin, fra la Monna Lisa e il Libro di Ruth, fra... posso sostenere una linea teorica così astratta e, ciononostante, scrivere
L.B.: Una relazione esiste nel senso critico globale. Ma ciò non vuol dire musiche con titoli e implicazioni filosofiche eccetera. È così?
che significhino la stessa cosa. p .L .: L’hai impostata bene, ma in maniera incompleta. La verità è che
P .L .: Ma come non significano la stessa cosa? Prendi ih tramonto e il tu non sei affatto folgorato dall’astrazione, come invece ti lusinghi d’essere.
preludio: possiamo scomporne il significato in termini astratti come calma, Il fatto che tu t’irrigidisca tanto sulla purezza teorica e che poi la getti alle
spazio, sostenuto, movimento leggero, colore, impercettibili cambiamenti ortiche quando ti metti a comporre musica, è perlomeno sospetto. Io questo
d i colore, e così via. Termini che possono riferirsi, tutti, ad ambedue. atteggiamento lo chiamerei snobismo intellettuale del tipo più deteriore.
L.B .: Ma il preludio non significa calma, colore e tutto il resto. Può f . m .: Olé!
suggerirli, ma il suo significato è puramente musicale.
P .L .: E questo che cosa significa?
L .B .: Tanto per cominciare, se è possibile descrivere con parole, perché * Quasi certamente l’Autore si riferisce al Preludio n. 4, in m i minore;-op. 28 di Chopin.
jmai credi che Chopin sia ricorso alle note? Posso tentare, è vero, di espri- (N.d.T.)
26 27
P .L .: Adesso ti darò io una « chiave di lettura » della musica. Può darsi gere un’ultima riflessione. La nostra divergenza è forse determinata dal
che io dica le stesse cose che tu avresti voluto dire, però in modo diverso, fatto che il musicista sente nella musica molto di più, e che gli è quindi
cioè con una prosa intelleggibile e senza accademismi. totalmente superfluo stabilire associazioni. Tu e io, nella nostra rispettiva
L .B .: Sissignore. veste artistica, proveniamo, come tu dici, dai lati opposti della strada, ma
P .L .: D’accordo. Tu vuoi convincerci che le note rimangono oscure, possiamo avvicinarci e incontrarci, per così dire, sulla strada stessa. Tuttavia,
mentre le parole sono trasparenti. Vero? In altri termini, sostieni che quan­ ci portiamo dietro il pesante retaggio delle nostre posizioni d’origine, e la
do leggi un giornale sei ignaro delle parole come mezzo di espressione arti­ strada rimane lì; fra noi due, e ci separa. Non potremo mai avere la stessa
stico; che il titolo « Un maniaco scanna sei pecore » trasmette un concetto concezione delle parole o della musica. Le distinzioni, comunque, si stanno
ma non ti colpisce per alcun altro valore particolare. Dico bene? facendo così sottili che tutto potrebbe diventare infinitamente più chiaro
L.B.: Benissimo. con un sol verso felice, o col lampo di un’intuizione incomunicabile, piut­
P .L .: Quando però quelle stesse parole vanno in mano a un artista, un tosto che con ore di discussione nell’aria fredda di questo deserto. Ti sarò
poeta, esse acquistano un valore proprio, che va oltre la immagine mentale sempre grato per la lezione.
che suscitano. Parole come « stella », « vorrei » e « immoto » usate da Keats P .L .: Sei diventato un ragazzo piuttosto mite, ben lontano dal critico
diventano memorabili per se stesse e per l’idea che rappresentano e nello animoso d’un paio di ore fa. Mi congratulo.
assumere questo doppio valore diventano meno trasparenti, più oscure, L.B. : E io mi congratulo con te. La tua disquisizione non fa una grinza,
avvicinandosi in tal modo alle note le quali vivono di vita propria, senza ma penso che se non fosse stata fatta con tanto garbo e se io non sentissi
che esista una idea rappresentativa al di là di esse. Sei d’accordo? tanto freddo...
L.B.: D’accordissimo. F.M . (svegliandosi arrabbiato)'. A letto, a dormire. La testa mi martella.
P .L .: Con questo ragionamento portato agli estremi, parole in tal modo P .L .: Io rimango fuori ancora un po’, con queste stelle meravigliose.
impiegate possono diventare quasi completamente astratte, come in Ger­ Guardatele, non sono tutto un Buxtehude?
trude Stein. Se poi, giunte a quest’estremo, conservino un valore lettera­
rio oppure no è questione che esula dal nostro argomento. Importante ri­
mane il fatto che le parole hanno la funzione originaria di rappresentare (Estate del 1948)
qualcosa, e pertanto sono trasparenti; mentre invece la funzione originaria
delle note rimane nell’astratto, e pertanto esse sono oscure. E inoltre:
se le parole, allontanandosi dalla loro originaria funzione, possono raggiun­
gere una semiastrazione, come per esempio in Joyce, così le note, dal loro
habitat nativo, possono avvicinarsi alla zona intermedia del significato
concettuale, come nella musica a programma, nel dramma musicale, nella
musica di ambiente e così via. Mi segui?
L.B.: Ti se g u o , m a ...
P .L .: Fammi portare a compimento questa mia sortita. Finalmente si
identifica un punto d’incontro tra musicista e scrittore, e nessuno dei due
ha più il diritto di irrigidirsi fanaticamente sulle sue posizioni assolutiste.
Se poi a questo aggiungiamo le facoltà associative che Dio ha dato agli
uomini, vien meno ogni ragione di cavillare di fronte al fatto, allo spetta­
colo di un povero e semplice Poeta Lirico che indulge, un po’ sentimen­
talmente, in una metafora sulle colline e Beethoven. Ti concedo che la
perorazione della Quinta sinfonia di Sibelius, in senso strettamente scien­
tifico, non è che una particolare successione di accordi, strumentati secondo
determinate sonorità che producono l’effetto... Sì, una perorazione. Ma
10 ho tutto il diritto, nell’ascoltare quelle trombe che sembrano illuminare
11 cielo col fluire della loro sonorità dorata, di immaginare una meravi­
gliosa aurora. E tu faresti altrettanto se, rilassandoti un poco, dimenti­
cassi le tue nozioni libresche. Dixi.
L.B .: Accetto umilmente tutto quello che dici, e sarei lieto di chiudere
la serata, una fredda serata per giunta, a questo punto. Ma voglio aggiun-
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CHE NE È DELLA GRANDE scrivendo una nuova sinfonia; il che, senza dubbio, è impresa assai com­
SINFONIA AMERICANA? mendevole. Ma vorrei, col suo permesso, approfittare di pochi minuti del
suo tempo per segnalarle alcuni dati di fatto dei quali lei, nel prendere la
sua decisione, non deve aver tenuto conto.
Comincio con una domanda: perché? Perché continuare a scrivere sin­
fonie in America dove il pubblico, comunque, non dimostra alcun inte­
resse? Può lei, con tutta sincerità, farmi il nome di due o tre persone
in America alle quali veramente possa stare a cuore se lei, o qualcun altro,
componga o meno un’altra sinfonia? La prego di non affrettarsi nel ri­
spondere e di non mettersi tròppo sulla difensiva. Quanto più a lungo con­
sidererà la mia domanda, con tanta maggior chiarezza le riuscirà di rispon­
Q u a n tosegue non è una vera e propria conversazione ma uno scambio di dermi. La risposta è che nessuno, a eccezione di altri compositori o dei
messaggi fra l . b . e un impresario di Broadway che da ora in poi chiame­ critici che vivono per stroncare o innalzare alle stelle le nuove composizioni,
remo B.p. Un uomo, stranamente, con interessi in campi artistici estranei si rattristerà se lei o i suoi colleghi compositori cessassero definitivamente
alla sua professione. Un vero gentiluomo; impresario di medio calibro. Il di scriverne. Nei tempi in cui viviamo mi sembra che non ci sia alcuna
suo mento afonda in un lussuoso collo di astrakan che adorna un cappotto necessità storica di sinfonie. Sarà perché la nostra epoca non ravvisa nella
da sera al cinquanta per cento di cashmere. Ha una spilla da cravatta con forma sinfonica il suo vero mezzo di espressione; non sarò certamente io
smeraldo e uno sguardo saggio nei suoi occhi liquidi. In breve: un uomo ad affermarlo con sicurezza. Sono un uomo qualunque e tutto ciò che so,
che porta il suo metro e cinquantacinque con decoro e decisione. lo so per istinto. Ma ho in mano il polso del pubblico e, mi creda l . b ., non
mi sembra proprio di sentirne la pulsazione sinfonica.
I. Telegramma E così, lei se ne sta a scrivere una musica della quale, probabilmente, non
v’è necessità storica; della quale, certamente, non v’è alcuna richiesta da
B.P.
parte del pubblico e dalla quale, la prego di perdonarmi, non si ricava
Hotel Gorbeduc - New York alcun vantaggio economico. A questo punto lei potrà capire meglio perché
le ho chiesto: perché? E mi consenta ora di chiederle: perché no? Perché
DOLENTISSIMO IM PO SSIBILITÀ ACCETTARE GENTILE OFFERTA COLLABO­
non dedicare, invece, il suo talento a quel settore artistico americano che
RAZIONE MUSICAL BASATO SU ANATOMIA MALINCONIA DI BURTON CHE EST
ha calore, vita, sangue giovane: il teatro? Scoprirebbe che il pubblico
MAGNIFICA IDEA AUGURANDOVI OGNI SUCCESSO RAMMARICOMI MA PRE­
l’attende a braccia aperte, e lei soddisferebbe una esigenza attuale, storica.
Qualsiasi forma d’arte, ritengo, ha sempre avuto la funzione di soddi­
STISSIM O COMPOSIZIONE NUOVA SINFONIA
L.B.
sfare una richiesta pubblica o privata: la costruzione delle cattedrali goti­
che, il ritratto di un ricco committente, un lavoro teatrale per il pubblico
elisabettiano, la composizione di una messa oppure, e la prego di nuovo
IL Lettera di perdonarmi, di una sinfonia. Haydn, Mozart, Brahms, non scrissero le
loro sinfonie senza esserne sollecitati: erano richieste. Diciamo la verità:
L.B. oggi nessuno richiede una sinfonia a nessuno. I compositori americani
Steinway Hall - New York hanno un dovere verso il teatro che è vivo e ha bisogno di loro. Non sa­
rebbe disposto a riconsiderare seriamente la questione?
Caro l . b ., Distinti saluti
ai miei colleghi e a me è molto dispiaciuto ricevere, col telegramma di B.P.
ieri, il suo rifiuto alla nostra offerta di collaborare con noi, e con tanti altri
artisti eminenti per merito e importanza, al nostro nuovo progetto per P .S .: con questa nuova sinfonia, come ha pensato di alloggiare, vestire e
questa stagione. Ho sempre avuto la convinzione (ora corroborata da quella nutrire la sua graziosa signora e il bambino? Vivissimi saluti ad ambedue.
dei miei colleghi) che l’Anatomia della Malinconia di Burton sarebbe,
prima o poi, servita a mettere su un grande spettacolo del teatro musicale.
Pensiamo che lei sia l’uomo ideale per scriverne la musica, dando così lu­
stro alla nostra ribalta, che questa stagione sente particolarmente viva la
mancanza di un lavoro di tal genere. Lei, invece, ci comunica che sta
30 31
Come le è noto, io amo lavorare per il teatro. L’ho già fatto e spero di
III. Lettera averne spesso l’occasione per il futuro. In questo momento altre cose han­
B.P.
no la priorità. Rinnovo i miei ringraziamenti per l’offerta fattami e per
Hotel Gorbeduc - New York avermi voluto scrivere.
Cordialmente
Caro b .P. L.B.
ho letto e riletto la sua lettera di ieri che ho trovato interessantissima
e ne sono colpito. Dico colpito e non convinto perché, onestamente, non IV. Lettera
posso comunicarle di aver cambiato avviso. Ma ho raramente incontrato
un impresario di Broadway che abbia mai riflettuto con tanta sincerità L.B.
e passione su circostanze che, in realtà, non hanno attinenza con l’attività Yaddo - Saratoga Springs, New York
che gli procura il suo pane quotidiano. Sono rimasto anche colpito dal
suo stile avvocatesco; è persuasivo al punto che, se non fossi (come è na­ Caro L.B.,
turale) più addentro di lei nei fatti considerati, avrei ceduto alle sue argo­ mi perdoni se torno a disturbare la sua quiete privata. Dopo aver rice­
mentazioni. Ma i fatti sono quelli che sono e sento il dovere di portarli vuto la sua lettera, per un’intera settimana ho riflettuto molto su quello
a Sua conoscenza. che si è detto. Ho anche letto un po’ per corroborare le mie idee. Fra
Mai nella storia, è statisticamente documentato, si è riscontrato un così l’altro: la sua lettera è di un tono così solenne e, se non fosse per la sua
grande interesse nella sinfonia e nella musica sinfonica come quello che si palese sincerità, anche così noiosa, mi scusi, che ne sono rimasto incuriosito.
manifesta, proprio ai giorni nostri, negli Stati Uniti. Vi sono orchestre Non posso credere che un uomo giovane come lei, cresciuto in America e
dappertutto, anche in piccole cittadine, in Università e Scuole Superiori con il senso del divertimento che si manifesta in alcuni suoi lavori, sia a
anche delle nostre province più remote. Come può lei asserire che non c’è tal punto un pedante. Scrivo pertanto questa lettera in parte per capirci
« richiesta del pubblico » mentre le ultime cifre fornite dalla Lega delle di più e in parte per metterla al corrente delle mie ultime idee sul genere
Orchestre Sinfoniche indicano X orchestre di grandi dimensioni che suo­ sinfonico. Abbandono ogni tentativo di persuaderla a collaborare al nostro
nano attualmente negli Stati Uniti, contro X orchestre della stessa mole spettacolo; stiamo infatti già trattando con un altro compositore. Ma il suo
che suonavano nel 19..? La Lega riporta altresì che X orchestre di minori rifiuto e le ragioni che lei adduce hanno suscitato in me vivo interesse per
proporzioni sono adesso professionalmente in attività. Ovunque sono stati l’argomento. Sono ora riuscito a formulare quel che può quasi chiamarsi
organizzati Festival ai quali il pubblico accorre in quantità mai prima re­ una teoria. L’ho esposta ieri a p ., il nostro amico comune che si trovava
gistrata. E vi sono Festival ove la musica contemporanea trova quasi tanto in città per un sol giorno, e l’ha trovata sciocca. Ma che ci si può aspettare
rilievo quanto ne vien dato a quella di repertorio abituale. I concerti estivi da un poeta? Come lei sa, è anche lui a Yaddo per un mese; sta lavorando
sono in voga quanto lo era, una volta, lo sport della canoa; con i loro al suo ultimo libro Steli d’ottone: È da lui che ho saputo dove potevo
programmi invernali, poi, le nostre orchestre determinano un vivacissimo scriverle. Quando lo incontrerà, la prego, eviti di discutere con lui della
incremento di pubblico e di interesse. Le organizzazioni musicali per le mia teoria. Il suo senso della necessità storica, a giudicare dai due poemi
comunità spediscono in gran numero artisti da una parte all’altra del paese, di Steli d’ottone che mi ha fatto leggere, è pessimo.
ove vengono ascoltati da gente che solo dieci anni fa non sognava neppure Ed ecco la mia teoria: storicamente parlando, l’origine di ogni musica
di andare a un concerto. la si rinviene nel teatro. La trova un’affermazione strabiliante? Ci pensi un
Mi duole doverla tediare con statistiche, ma sono tutti fatti documen­ po’ su. La musica, prevalentemente, ha la sua culla nel folclore: canti e
tati. Pensi anche a tutta la musica che viene commissionata da enti quali danze liturgici e celebrativi, canti e danze di lavoro e d’amore. Il che si­
l’Orchestra di Louisville: X nuove composizioni solo quest’anno. Tenga gnifica che la musica, prima di tutto, nasce vincolata a parole e idee. Che
presente tutti i premi, i concorsi, le associazioni che contribuiscono a io sappia, una musica folcloristica astratta non esiste. È musica che serve
incoraggiare la composizione di nuova musica da concerto. Consideri l’e­ ad accompagnare il lavoro, o a ballare o a cantare delle parole. È quindi
norme aumento nella vendita di dischi; e badi che con queste arriviamo sempre in relazione a qualche cosa. In seguito, sviluppandosi, diventa più
a cifre da capogiro. No, lei non può affermare che il pubblico sia indiffe­ sofisticata e complessa, ma continua ad aderire a concetti. Come nel teatro.
rente alla musica sinfonica. Non è forse vero che la musica si è sviluppata soprattutto in chiesa? Il
Per quel che riguarda il suo riferimento a una necessità storica, non rie­ massimo dei teatri! (La vera e propria musica da teatro, ammesso che ne
sco a comprenderla. Quando invece tocca l’argomento del vantaggio eco­ esista una, si riduceva a una semplice cantilena.) Poi si comincia con pic­
nomico, ha ragione; ma esso esula dal nostro campo. Si è artisti perché cole opere: in Italia, in Germania e Austria. Queste piccole opere (spetta­
non se ne può fare a meno. Vi sono altre maniere per far quattrini. coli di maschere, recite con canto eccetera) diventano, in seguito, opere
32 33
importanti. Mozart, per intenderci. Nel frattempo, in chiesa, dai mottetti che rimane tedesca perché quella della tradizione sinfonica è un’unica linea
si passa alle messe da requiem di vaste proporzioni e a cantate. Questo, retta che va da Mozart a Mahler.
non prima, è il momento del gran salto. Il linguaggio musicale è ormai Noi, lo tenga presente, sialmo un paese nuovo di trinca; un neonato, re­
inteso e compreso da tutti; fra le tecniche musicali dell’Occidente v’è lativamente, di appena 175 anni: pochissimi se si pensa ai vecchi imperi
sufficiente analogia per poter operare a questo punto la separazione della ove quella linea retta cui accennavo si è formata. In realtà, in questo
musica da parole e concetti, vale a dire dallo spettacolo. E la musica vien paese si scrive musica da soli 50 anni e per la metà di questo tempo la
fatta vivere, presso il pubblico, di vita propria. Si è arrivati all’opera di nostra musica è stata presa in prestito direttamente da Brahms & Co.
Mozart, e ora si può anche avere la sinfonia di Mozart (senza tuttavia di­ Soffriamo altresì lo svantaggio di essere nati già grandi; non ci è dato
menticare, è scritto nei miei libri, che la sinfonia nasce dall’introduzione neanche di cominciare con balli rituali e preghiere propiziatici di pioggia.
orchestrale dell’opera). E come esistono le passioni di Bach, possono ora Cominciamo con gli avanzi della evoluzione europea passatici su piatti da
anche darsi i preludi e le fughe di Bach (ma ricordiamoci che preludi e cucina. Eppure un vantaggio lo abbiamo: il jazz. L’inizio di un’altra linea
fughe nascono dalle improvvisazioni sull’organo durante la liturgia). In retta che si svilupperà qui da noi, questa volta, così come la linea della
breve, il pubblico assuefatto alla musica del teatro è ora arrivato al punto tradizione sinfonica si sviluppò, indiscutibilmente, in Germania durante un
da poter gustare la musica senza il teatro. L’orecchio, per così dire, è di­ periodo di circa cento anni. E anche quella era di lignaggio folcloristico.
ventato maturo per il suono astratto. Il fa diesis, il mi bemolle, suscitano Sia quel che sia, il jazz è la nostra musica popolare: ingenua e sofisticata
interesse, commuovono per se stessi; per giustificarli non si fa più ricorso al­ al tempo stesso e piena di vitalità. E dal jazz è nata quella che chiamiamo
le parole. C’è voluto molto tempo perché il pubblico giungesse a tanto. commedia musicale: musical. Ebbene, 175 anni non sono un periòdo di
Le sembrano tutte sciocchezze? Spero di no: faccio affidamento su quel­ gestazione eccessivo (in realtà, ha impiegato soltanto gli ultimi 50 anni a
la serietà di carattere che le è propria. E veniamo al nocciolo, alla sostanza venire alla luce) in confronto ai secoli che ci vollero per la nascita del sing­
della mia teoria. spiel. Ed eccoci qua pronti a fare assurgere il nostro singspiel a un livello
Ciò che voglio sostenere con la massima fermezza è che l’America, ai operistico vero e proprio; a far sì, per capirci meglio, che Pal Joey si svi­
giorni nostri, si trova, musicalmente, nella stessa condizione della Ger­ luppi in musica americana, quale che sia. Siamo pronti e attendiamo che
mania intorno al ’600, cioè in pieno singspiel. (Tralasciamo ogni conside­ questo Mozart giunga tra noi e compia il miracolo. È per questo che faccio
razione sulla musica contemporanea da chiesa: è puramente tradizionale l’impresario; perché se rimango in vita voglio essere presente all’avveni­
e tutta ereditata.) Ma la nostra musica secolare è qual era in Germania mento. Faccio già le mie offerte in giro per questo nuovo Mozart. C’è
cinquant’anni prima di Mozart; con la sola differenza che i nostri singspiel nessuno in vista?
si chiamano Oklahoma! e Can-Can. È il periodo che dovremo superare Questo è tutto. Piuttosto rozzamente formulato, ma a me riesce chia­
prima di poter giungere a una forma musicale americana o, comunque, rissimo. E ciò che desidero soprattutto è che sia altrettanto chiara a lei
a uno stile nostro di musica da concerto. Potrà non trattarsi di sinfonie la differenza che deriva da tutta questa situazione; dico fra Europa e Ame­
così come le conosciamo oggi: produrremo forse qualcosa di completamen­ rica per quanto riguarda la musica da concerto. Una nuova sinfonia di
te diverso, ma il suo linguaggio musicale sarà quello forgiatosi prima nei Brahms era, per un viennese dell’epoca, un avvenimento di interesse strug­
nostri teatri; e solo un domani potrà disgiungersi dal « significato » per gente; non facevano altro che chiedersi come sarebbe stata, quanto e come
restarsene avulso, astratto. Capisce quello che intendo dire? Con tutta la diversa dalla precedente e così via. Proprio come capita oggi a noi, che ci
nostra bravura e raffinatezza tecniche, non siamo ancora maturi per pro­ chiediamo che cosa ci riserva il prossimo spettacolo di Rodgers-Hammer-
durre la nostra musica da concerto. Ne consegue che in America tutto ciò stein. La nuova sinfonia di Brahms era oggetto di conversazione a tavola il
che viene ogni giorno prodotto in grande abbondanza e poi eseguito giorno dopo; era un avvenimento che riguardava tutti, entrava a far parte
nelle sale da concerto è in realtà di marca europea, e anche vecchia per della vita quotidiana, era l’aria che respiravano, il loro cibo. E il viennese
giunta. o il tedesco di oggi ha ereditato parte di quello spirito di possesso nei
A volte la si insaporisce qua e là con un pizzico di motivi cowboy, con riguardi della musica di Brahms: è quasi come se l’avesse scritta lui stesso.
qualche particolare armonico di blues o con qualche ritmo jazz, ma questa Succede lo stesso con gli italiani e l’opera italiana. In America, invece,
musica rimane europea nell’essenza perché la stessa nozione della forma l’ascoltatore, anche se ama pazzamente la musica di Brahms o di Verdi,
sinfonica è tedesca; e questo nessuno lo può negare. Le sinfonie dei com­ non potrà mai nutrire gli stessi sentimenti, nonostante l’idea che ha della
positori russi sono in sostanza tedesche, anche se imbevute di vodka musica come linguaggio universale. Quella musica per lui avrà sempre un
invece che di birra. Franck, a parte qualche cornetta che riesce appena a certo sapore di museo, di un classico che deve essere oggetto di venerazione
differenziarlo, è tedesco; i Liszt sono tedeschi in tutto e per tutto, nessuna ma che rimane sempre un po’ remoto, distante; non riuscirà mai a essere
reale diversità li distingue, come Elgar, Grieg, Dvorak. Il tocco nazionale sua proprietà, privata, per così dire. E poiché non gli importa proprio
che può esservi stato aggiunto non intacca l’intima sostanza della musica, niente se qualcuno scrive o no nuove sinfonie, la nostra musica da con-
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certo è per lui priva di vitalità, salvo quella vitalità che può animare la sicologia. Per esempio: lei tralascia di fare la più ovvia considerazione:
visita a un museo. Quod erat demonstrandum. se è vero che l’America si trova, ai giorni nostri, nella stessa situazione
È veramente lunga questa lettera e la prego di scusarmi se sono stato della Germania del singspiel, è anche vero che ha il vantaggio di poter co­
così prolisso. Ma le idee che mi sono venute mi hanno provocato una noscere in anticipo lo sviluppo avutosi nei 250 anni che seguirono. C’è
certa eccitazione nonché l’impazienza di comunicargliele senza esitare men­ una bella differenza, dopotutto! Non s’accorge che il grande sviluppo mu­
tre lei si affatica, nel suo rifugio, a scrivere quel lungo e inutile pezzo di sicale in Germania è dipeso proprio dalla naturalezza, dalla spontaneità
musica. I miei migliori auguri a p ., e per nessuna ragione si faccia convin­ dei suoi inizi? I compositori americani di oggi non potranno mai avere la
cere a mettere in musica i suoi Steli d’ottone. Ricordi, lei si è votato all’a­ stessa naturalezza, la stessa innocenza perché compongono dopo che al
strazione, s’è impegnato. mondo sono venuti Mozart, Strauss, Debussy, Schönberg. Essi sono, pro­
Distinti saluti babilmente, condannati a essere epigoni e a seguire nella direzione loro
B .P . indicata dalla ultrasviluppata Europa. Non è forse più tanto stimolante
comporre musica oggi quanto poteva esserlo nel 1850. È una constatazione
triste ma è vero. Comunque, che cosa vuole che facciano tutti i compositori
V. Lettera americani? Debbono trasferirsi in massa nell’industria delle calzature? Se
scrivono musica è per una loro necessità interiore, e questo significa che la
B.P. loro produzione non può mancare di una certa validità sostanziale; si possa
Hotel Gorbeduc - New York essa spiegare o no con la sua teoria.
Oggi ho una matinée; debbo perciò finire e correre a teatro. Come pro­
Caro B .P ., gredisce il suo musical? Ha già trovato il suo compositore? Le auguro for­
ho ricevuto la sua ultima e sorprendente lettera un mese fa e le chiedo tuna e spero che chiunque ne scriverà la musica si riveli essere il suo Mozart,
scusa per il ritardo col quale rispondo. Da Yaddo sono tornato a New York e con i fiocchi.
e poi son venuto qui a Milano; tutto è successo piuttosto in fretta. Ho Cordialmente
dovuto sospendere, temporaneamente, di lavorare alla mia sinfonia per po­ L.B.
ter assolvere il mio impegno di dirigere alla Scala. Le prove sono ora fi­
nite, la prima rappresentazione ha già avuto luogo e mi è concesso final­
mente di poterle scrivere. VL Telegramma
Ammetto di condividere in gran parte quello che lei dice a proposito
del senso di possesso nei riguardi della musica. Qui a Milano, durante pranzi L.B.
e ricevimenti, si passa ancora il tempo, si consumano energie discutendo a Teatro alla Scala - Milano
gran voce se il Rigoletto è più grande del Trovatore. Proprio come se fos­
sero stati composti ieri e fossero freschi di stampa. Quella musica appartiene
INDUSTRIA CALZATURE OTTIMA IDEA SEGUE LETTERA SALUTI
nel vero senso della parola a questi italiani (per lo meno a questi mila­ B.P.
nesi); e, come dice lei, sembra che pensino di averla scritta loro, e ha ragio­
ne di affermare che anche i più fanatici amanti di musica degli Stati Uniti
non potranno mai sentirsi a tal punto legati e in familiarità con quella mu­
sica. Mi viene in mente che a New York, a pranzi e ricevimenti simili, di­ VII. Lettera
scutiamo per ore sui meriti rispettivi di due musical di successo e ci accalo­
riamo, ci alteriamo nel difenderli o nel criticarli. Tutto ciò che lei dice in L.B.
quella parte della sua lettera è verissimo. Teatro alla Scala - Milano, Italy
Devo però muovere le mie obiezioni alla sua rassegna storica. Nella sua
esposizione tutto appare assai semplice e liscio, e io l’ammiro enormemente Caro L.B.,
per la cura che si dà di andare a leggere nei libri per ricavarne tutti quei evviva! Lei è un uomo morto! La mia teoria, evidentemente, l’ha con­
dati a sostegno delle sue idee. La sua idea principale ha forse qualche fon­ vinto; del che sono felicissimo. La sua lettera dimostra chiaramente che
damento, ma il ragionamento fa acqua in più punti. Che ne è dei ricercari le è impossibile formulare una ragionevole confutazione. È naturale che i
di Frescobaldi e di tutta la scuola organistica del ’600? E Froberger e Pachel­ miei ragionamenti ,facciano acqua in più punti. Che cosa s’aspetta da un
bel che precedettero Bach? Lei dirà che faccio di nuovo il solenne e il musicologo novellino? Che ne so io di Pachelbel, di Frescobaldi e di quel-
pedante, e mi asterrò, quindi, dal tirar fuori molti noiosi argomenti di mu- l’altro? Ma quello che so lo so in piena regola e ora mi sento più sicuro
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die mai di aver ragione. Si figuri: l’altra sera sono andato al concerto della sicale americana, e voglio essere testimone del suo inserirsi nella storia
Filarmonica proprio perché volevo farmi un’idea di quel che succede nel musicale del mondo.
suo mondo elettrizzante dei concerti. Posti vuoti dappertutto; gente che Distinti saluti
dormiva da tutte le parti, alcuni rumorosamente e non escludo un paio di B.P.
critid.
Tutto era immerso nella noia generale e gli educati applausi davano
l’impressione di servire a rianimare la circolazione sanguigna dopo il piso­ V ili. Telegramma
lino della gente piuttosto che a significare gradimento della musica. Noia,
noia universale! Il pubblico, dopo il concerto, se ne usciva in uno stato di B.P.
sopore, senza parlare né della musica né di altro. Io me la filai da Sardi Hotel Gorbeduc - New York
per prendere un doppio qualcosa che mi rimettesse su. Ed -era il teatro, il
teatro l’argomento di tutti: chi discuteva animatamente, chi ricordava una CAMBIATO PROGRAMMA ACCETTO COLLABORARE VOSTRO MUSICAL STOP
particolare scena, chi commentava con una barzelletta e risate, risate scro­ PER SIST E MIO PROFONDO DISACCORDO SUA TEORIA STOP RITORNO SETTI­
scianti. Altri ancora ricantavano un motivo a sostegno della propria tesi e MANA PROSSIMA CORDIALISSIMI SALUTI
tutti erano vivi, vivi, glielo assicuro. L.B.
Lo so, vi sono compositori americani che dovranno continuare a scrivere
sinfonie, e queste saranno poi ascoltate un paio di volte con indifferenza;
potranno forse anche essere dei geni e auguro loro tutta la fortuna di que­ (Novembre 1954)
sto mondo sperando che la spuntino, ma ho la vaga sensazione che conti­
nueranno a scrivere sinfonie perché sono incapaci di scrivere musica per
il teatro. Non creda che sia una cosa facile comporre per il teatro! In
un certo senso, è più difficile: occorre obbedire alla disciplina del palcosce­
nico e non si è padroni di se stessi, perché è il risultato complessivo quello
che conta. Il compositore di musica sinfonica ha tutte le note dell’arcobaleno
a sua disposizione e ne sceglie a suo piacimento. Non così il compositore
di musica per il teatro. Questo deve lavorare sul serio. Un grande compo­
sitore di musica per teatro è raro: deve avere il tempismo di ima Duse,
deve sapere quando alleggerire e quando invece calcare la mano, deve
saper prevedere le reazioni del pubblico a ogni istante dello spettacolo.
Deve avere il dono della leggerezza e della gravità, arguzia, sentimento,
pathos, e deve saper essere brillante. Deve conoscere il suo mestiere e
quello degli altri. Insomma, non è persona da sottovalutare. Giorni fa ho
sentito la Tosca. Che sussulto ne ho avuto! Quell’uomo se ne intendeva
veramente di teatro. E non mi sembra che giaccia in disonore.
Ripeto: quello che è giovane, vivo e vibrante di contemporaneità in
America è il teatro musicale. E le dico un’altra cosa, che lei sa meglio di
me! Nel fondo del cuore lei riconosce che i pezzi veramente importanti
oggi in America non sono la 14“ sinfonia di X o il soliloquio per flauto di Y,
ma Finian’s Rainbow e Carousel, forse Wonderful Town (ma ne dubito)
e South Pacific. Tutte le lunghe liste di cadaverici dati statistici e tutti i Pa­
chelbel messi assieme non riescono a convincermi del contrario.
Desidero ringraziarla per avermi dato lo spunto di approfondire tutte
queste cose. Non sono mai stato più felice e più fiero di essere un impre­
sario di Broadway. Procederemo a tutta forza col nostro musical appena
troveremo il compositore che faccia al caso nostro. Non vedo l’ora di poter
cominciare a lavorare. Voglio dare il mio contributo alla formazione di
quésta nuova tradizione che si sta formando sulla destra della storia mu-
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PERCHÉ NON SCRIVI UNA BELLA CANZONE buoni affari, no? La cosa essenziale è di avere la musica, averne i diritti...
p .m . : Certo, ma avere i diritti di una musica non ne garantisce la ven­
ALLA GERSHWIN? dita. Prendi per esempio la musica del tuo ultimo musical. (Ecco la ragione
dell’invito a colazione. Ma io faccio lo gnorri.)
L .B .: Il mio musical?
p .m . (premuroso): Come sta andando?
L.B. (come se fosse un altro argomento)-. Bene, ci sono stato due sere
fa e sembra ancora fresco.
p .m . (con cautela): Ê strano, molto strano quel die succede col tuo
musical. È un grande successo, piace al pubblico, tiene il cartello da cinque
mesi e non c’è una sola canzone che sia diventata popolare. Come lo spie­
('A t t r a v e r s o le vetrate dell’English Grill di Radio City si vedono i patti­ ghi? (La bomba è scoppiata, il polso si accelera.)
natori che girano sulla pista di ghiaccio evitando, miracolosamente, di L.B.: E debbo essere io a spiegarlo? Non è piuttosto il tuo mestiere?
scontrarsi fra loro. Impossibile seguirli per più di qualche secondo mentre Sei tu che vendi canzoni al pubblico. La popolarità di una canzone di­
piroettano e poi si dissolvono nella luce accecante del sole invernale. Le pende dal modo in cui vien messa in vendita. Non domandare a me; io
uova in camicia sono già scomparse dai nostri piatti e la seconda tazza di sono solo il vecchio compositore.
café ci consente, provvisoriamente, di sfuggire all’inevitabile conversazione. p . m .: Non riscaldarti. Se fossi stato in questo mestiere a lungo quanto
La colazione con p . m . è unp di quegli avvenimenti accidiosi che vengono me, sapresti che ogni cosa presenta due aspetti. Non c’è costrutto a dare la
imposti dall’obbligo sociale newyorchese di far colazione « una volta alme­ colpa a questo o a quello. Il successo di una canzone popolare è dato da
no », e a qualsiasi costo, con qualcuno del mondo dei propri affari. Come una combinazione di fattori: la sua bontà, il lancio da parte di un buon
se mangiare assieme per novanta minuti servisse a cementare qualsiasi cantante, il momento giusto e l’aggressività dei sistemi di vendita. Ora,
relazione, ogni relazione, per tenue che sia. non è sempre possibile averli tutti insieme questi fattori. Nel caso tuo,
p . m . è quel che nell’ambiente viene chiamato un manager di professio­ abbiamo fatto il nostro massimo sforzo. Non ricordo esattamente quando...
ne: lo sciagurato deve far sì che la musica pubblicata dalla sua ditta venga L .B .: Va bene, ho capito. Vuoi dire che il materiale consegnatovi non
effettivamente eseguita. Questo esige che egli debba conoscere, più o meno era di buona qualità. Non pretendo giustificazioni. Io non scrivo canzoni
intimamente, un esercito di esecutori e almeno qualche compositore. Ai suoi commerciali, questo è tutto. Perché non lacerate il mio contratto?
tempi doveva essere stato un uomo ben piantato, forte, pieno di energia e p . m .: Andiamo L.B. , oggi sei d ’umor nero. Non ti ho invitato a colazione
di ideali, di idee giovani e circonfuso di gloria per gli stretti legami che per farti arrabbiare. Tutti vogliamo fare del nostro meglio per la tua mu­
lo univano ai giganti dell’età dell’oro delle canzoni di grande successo. Ma sica, è vantaggio reciproco. Ho pensato che avremmo potuto parlarne un
i molti anni trascorsi l’avevano esaurito riducendo le sue idee a formule; po’ con calma, costruttivamente e, chissà, venirne fuori con qualcosa che
gli ideali erano sepolti nel passato e la sua forza di persuasione s’era molto potrebbe...
affievolita. Eppure conosce, è affezionato a due generazioni di musica L.B .: Mi dispiace, ma sono piuttosto sensibile su questo argomento.
popolare americana; il che gli conferisce un certo calore, un certo zelo e Certo sarebbe piacevole sentire una volta tanto qualcuno fischiettare per
una funzione nella vita. Tutto sommato a me il tipo piace. caso qualcosa di mio, una sola volta almeno.
Ma perché mi ha invitato a colazione? Abbiamo già passato in rassegna p . m . : Ti capisco.
tutti gli argomenti disponibili e ho il sentore che voglia parlarmi di qual­ L.B .: Io m’illudevo che nella partitura ci fossero almeno tre canzoni
cosa in particolare, ma non sa da dove cominciare. Nel Grill tutti conver­ destinate all’immediato successo popolare. E non si sentono mai, né alla
sano, alcuni animatamente, altri celiando. Il nostro interesse, invece, sem­ radio, né alla t v . Qualche registrazione dimenticata, una con la Muzak,
bra fissato a un pendolo che oscilla fra due punti: i pattinatori sulla pista mi sembra, e questo è tutto. Devi ammettere che è un po’ deprimente.
da un lato, la tazza di caffè dall’altro. Non potendone più, rompo il si­ p .m .: Via, su. Pensa a quei compositori che non hanno mai scritto can­
lenzio.) zoni di grande successo e nemmeno la musica per un musical di grande
L .B .: Come vanno gli affari? (È una domanda nata morta ma p . m . ne è successo. Tu sei fortunato, lo sai? E non dovresti lamentarti. Non tutti
grato lo stesso-, è servita a qualcosa.) possono scrivere Booby Hatch e vendere un milione di dischi in un mese.
p . m .: Gli affari? Be’, sai, la musica stampata non si vende più come ai Pensa un po’, ricordo, che George diceva sempre...
bei tempi. Oggi ci sono i dischi. L’editore non è più un editore ma un L .B .: George chi?
agente. Stampare è l’ultima cosa. p . m .: Gershwin, naturalmente. Quale altro George esiste?
L.B. (incalzando, con eccessiva impazienza): Ma questo dovrebbe produrre L.B .: Grazie. Ora, mi parli di un uomo che aveva il tocco magico. Non
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so come facesse ad avere tutti quei successi. C’è gente che ci riesce sempre, L.B. (segretamente lusingato): Questo era soltanto nella testa del critico,
per loro è come respirare. Non riesco a capire. ma non trova nessuna corrispondenza nella realtà dei fatti. In effetti, Gersh­
p .M . (afondando nell*argomento): Be’, visto che l’hai toccato tu stesso win e io provenivamo da punti opposti, e se capita che c’incontriamo è
questo tasto, non sarebbe una cattiva idea da parte tua pensarci un po’ su puramente per l’amore che nutro per la sua musica. Tutto qui. Gershwin era
qualche volta. Cerca di imparare da George. Le tue canzoni sono troppo un compositore di canzoni che diventò un compositore di musica seria. Io,
artificiose, questo è tutto. Un piccolo effetto dissonante nell’accompagna­ invece, sono un compositore di musica seria che cerca di comporre can­
mento fa felice te e i tuoi amici intellettuali, ma pregiudica il grande suc­ zoni. Lui seguì ima strada che di gran lunga è la piò giusta: iniziò dalle
cesso. Sei troppo imbrigliato in accordi insoliti, strani passaggi della linea forme musicali minori e di lì si sviluppò. La mia traiettoria è confusa: io ho
melodica e forme eccentriche. Sono soltanto un gioco col quale ti diverti. composto una sinfonia prima di scrivere una sola canzone di successo.
George non ci pensava affatto: scriveva motivi, dozzine di motivi, semplici Come puoi pretendere che io abbia il suo tocco di semplicità?
motivi che la gente poteva cantare e ricordare per cantarli di nuovo. Scri­ p.M . {paternamente): Ma George... A proposito, l’hai conosciuto?
veva per la gente, non per i critici. Tu devi imparare a essere semplice, ra­ L .B .: Mi sarebbe piaciuto, ma morì quando io ero ancora un ragazzo, a
gazzo mio. Boston.
L .B .: E tu credi che sia semplice essere semplice? Per niente. Mi ci sono p .M . {con sguardo illuminato): Se l’avessi conosciuto avresti capito che
provato con accanimento per anni. Dopotutto, non è la prima volta che mi George era in tutto e per tutto un compositore di musica seria. Pensa alla
sorbisco questa lezione. Qualche settimana fa un compositore serio, mio Rapsodia in Blue, all’Americano a...
amico, e io parlavamo proprio di questo, e non riuscivamo a persuadercene. L.B. : Un momento p .m . Sai meglio di me die la Rapsodia non è una
Perché non dovremmo, anche noi, essere capaci di scrivere una canzone di composizione. È una successione di episodi diversi messi assieme con una
grande successo, ci chiedevamo, visto che il livello medio è così basso? colla leggera di acqua e farina. Comporre, dopotutto, è cosa assai diversa
Ne concludemmo che l’unico mezzo era quello di metterci nello stato dallo scrivere motivi di canzoni. Trovo che i temi, o i motivi, chiamali come
mentale di un idiota e scrivere una canzone ridicola qualsiasi. Ci mettem­ vuoi, della Rapsodia sono splendidi, pieni d’ispirazione, doni di Dio veri e
mo al lavoro decisi, impegnandoci a scriverne migliaia, senz’altro fare che propri; almeno quattro di essi, e non è dir poco per un pezzo che dura
i semplici di mente. Lavorammo per un’ora poi dovemmo interrompere, dodici minuti. Sono perfettamente armonizzati, di proporzioni impeccabili,
in preda a disperazione isterica. Era impossibile. Dovemmo constatare che orecchiabili, limpidi e pieni d’intenso sentimento, e i ritmi sono sempre
continuavamo a « esprimere noi stessi », nonostante tutti gli sforzi possibili giusti. Sono tutti di « qualità », come i suoi migliori motivi di musical. Ma
per inventare una musica semplice, di quel basso livello mentale sul quale non basta mettere insieme quattro motivi, anche se di divina ispirazione, e
cercavamo di porci. Ricordo che a un certo punto cominciammo a fare co­ chiamare il pezzo una composizione. È vero che comporre significa mettere
me i bambini, cercando di trovare un motivo una nota per volta, un motivo insieme; ma messi insieme, i vari elementi debbono formare un tutto
che non avesse nemmeno bisogno di armonia. Arrivammo a tale degradazio­ che si integra organicamente. Compono, componere...
ne. Niente. Fu un esperimento rivelatore, lo ammetto, anche se ci lasciò con p .m . : Risparmiaci il tuo latino. Vuoi dire che la Rapsodia in Blue non è
la vaga sensazione di essere condannati all’insuccesso. Come dicevo prima, un lavoro organicamente concepito? Non è possibile! Ma se in ogni battuta
perché non annullate il mio contratto? circola la stessa linfa, dal principio alla fine, attraverso tutti i cambiamenti
p.M . {con il tono di un allenatore di pallacanestro): Macché insuccesso. di umore e di tempo. Vi si respira l’aria dell’America: la gente, la società
Scommetto un mese di stipendio che se veramente ti ci metti puoi scrivere cittadina che George conosceva così bene, il ritmo della sua vita, la nostal­
un motivo semplice; ma da solo, non insieme con un altro compositore. gia, il nervosismo, la maestosità e...
Dopotutto, George era come te, un intellettuale, con un piede nella Car­ L.B .: ...gli sviluppi alla Cajkovskij, le tortuosità debussiane, i fuochi di
negie Hall e l’altro nel Varietà.* Scrisse anche musica da concerto, e questa artificio pianistico alla Liszt. È americana quanto vuoi, se consideri i temi
era tutta imbastita di armonie capricciose, di contrappunto e orchestrazione. a sé stanti, ma appena scatta quel piccolo congegno che si chiama sviluppo,
Ma sapeva quando doveva essere semplice e quando no. ecco che l’America vola via dalla finestra e Cajkovskij entra dalla porta
L.B .: Credo che ti sbagli. Gershwin era un uomo del tutto diverso. Non con tutti i suoi seguaci. Il guaio è che la vita di una composizione dipende
c’è nessuna relazione fra lui e me. dal suo sviluppo.
p .M .: Tu sei modesto, o vuoi fare il modesto. Dopo l’ultimo tuo musi­ p . m .: Vorrei un’altra tazza di caffè. Cameriere!
cal, quel critico non dichiarò che forse eri il secondo Gershwin, un nascente L .B .: Anch’io. Non era mia intenzione mettermi a parlare di tutte queste
Gershwin o qualcosa del genere? cose, e non voglio certo calpestare i piedi d’argilla del tuo idolo. È anche il
mio idolo, ricordalo. Credo che non d sia stato un melodista con un’ispi­
* N el testo « Tin Pan A lley»: quartiere di città statunitense, in particolare N ew York, razione come la sua dal tempo di (Cajkovskij, se vuoi sapere come la penso.
dove erano generalmente concentrati gli editori di musica leggera. (N.d.T.) Lo considero al livello di uno Schubert e degli altri grandi. Ma se tu vuoi
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parlarne come di un compositore, questa è un’altra faccenda. La « tua » credo che Un americano a Parigi mi piaccia soprattutto per la sua sincerità:
Rapsodia in Blue non è una composizione nel senso che ciò che vi accade c’è uno sforzo tremendo per riuscire a essere una buona composizione. È
sia inevitabile, o quasi. Tu puoi toglierne una parte senza danneggiare lo pieno di buone intenzioni.
insieme, l’abbrevi soltanto. Prova a togliere una qualsiasi delle parti che la p .M .: Insomma, ti piace per i suoi difetti.
compongono e il pezzo procede lo stesso, benissimo. Puoi anche cambiare L.B .: No. Ma ciò che ha di buono è tanto buono da risultare irresistibile.
la posizione delle parti senza arrecar danno all’insieme. Puoi perfino tagliare Se per aver grano devi mietere anche la gramigna, vale la pena mieterla.
una delle parti, aggiungere nuove cadenze o suonarla con una combinazione Io Pamo perché ci indica quello che Gershwin avrebbe fatto se fosse vis­
qualsiasi di strumenti, anche solo col pianoforte; può diventare un pezzo di suto. Guarda il progresso dalla Rapsodia al Concerto in fa per pianoforte,
cinque, sei o dodici minuti. Ed è proprio quello che fanno ogni giorno. E e dal Concerto a...
rimane sempre la Rapsodia in Blue. p .M . (raggiante): Ah, il Concerto in fa è un capolavoro!
p.M . : Bada che quello che dici potrebbe essere un grosso elogio. Se un L.B .: Lo credi tu. Il Concerto è il lavoro di un giovane di genio che fa
pezzo è così solido, compatto, da sopportare qualsiasi intervento senza rapidamente progressi. Ma solo con Porgy and Bess la vocazione di Gersh­
perdere valore intrinseco, deve avere una salute di ferro. Ci deve essere qual­ win comincia a delinearsi con chiarezza.
cosa che resiste a ogni attacco, una autenticità, una vitalità, non ti pare? p .M .: Veramente non riesco a seguirti. Non vi si ritrovano gli stessi
L .B .: Certamente: sono quei motivi bellissimi, che però messi insieme difetti? Mi è stato sempre detto che, nonostante le splendide melodie, è
non riescono a formare una composizione. forse la sua composizione più debole. Pensava di fare un melodramma
p .M .: Magari hai ragione sulla Rapsodia: è un lavoro giovanilè, dopo­ e, tutto sommato, come tale è un fallimento. Ogni volta che vien messa in
tutto, il suo primo tentativo di comporre musica in una forma più estesa; scena e riscuote un vero successo t ’accorgi che è stata presentata come una
aveva soltanto 26 anni o giù di lì, non dimenticarlo; quando la scrisse, specie di operetta. Tolgono tutte le parti cantate di « raccordo » che ven­
non era nemmeno in grado di orchestrarla. Ma che ne dici dei suoi lavori gono invecé parlate; vi lasciano solo i pezzi principali. E questo a me pare
successivi? Dell’Americano a Parigi. Non c’è dubbio che sia ben tessuto, abbastanza indicativo.
organicamente... L.B. : No, è indicativo soltanto per gli impresari. Strano: quando ascolto
L .B .: Hai ragione. A poco a poco i suoi lavori miglioravano perché era Porgy nella versione ridotta finisco sempre col non accorgermi delle parti
intelligente, era uno studioso serio e lavorava con impegno. Ma anche di raccordo. Forse riesce meglio così; presso il pubblico ha certamente
l’Americano a Parigi è uno studio su motivi: motivi belli che rimangono più successo. Sarà perché tanta parte di quel recitativo sembra estraneo al
separati e disgiunti. Nel frattempo però aveva scoperto alcuni trucchi com­ carattere del canto e ricorda invece Tosca e Pelléas. Ma si corre il rischio
positivi: il modo di legare i temi fra loro, di combinarli insieme svilup­ di gettar via l’acqua del bagno insieme col bambino, perché in alcuni pun­
pandoli e di ottenere una struttura orchestrale. Ma questi sono trucchi presi ti quel recitativo è senz’altro in carattere con il canto e s’inserisce perfetta­
in prestito da Strauss, Ravel e chi sa da chi altro. Tutto considerato, rimane mente nell’opera. Ricordi la scena di Bess con Crown sull’isola? Bess dice
un pezzo debole, perché nessuno di questi trucchi era farina del suo sacco. (cantando):
Non sono dettati dalla natura stessa della musica, ma son presi in prestito È così, Crown,
e applicati a essa: come appliques su un vestito. All’ascolto, il primo tema 10 sono l’unica donna che Porgy abbia mai avuto...
è un godimento; poi, durante il periodo di connessione, cioè durante « la p.M . (con rapimento, cantando anche lui):
imbottitura », rimani in attesa del secondo. E questo succede per due terzi E sto pensando che succederà
della composizione. L’altro terzo è bellissimo, perché formato dai temi questa sera
stessi. Ma dov’è la composizione? quando tutti gli altri negri
P .M . (con astuzia)'. Ma tu la dirigi sempre, no? ritornano a Catfish Row
L .B .: Certo.
L.B. e p .M. (insieme in un crescendo di entusiasmo):
p.M . : E l’hai perfino incisa.
Rimarrà seduto a guardare
L .B .: Certo.
11 gran cancello d’uscita
p .M. : Ma allora ti deve piacere.
e le conterà una per una
L.B. : L’adoro. Ah, ecco il caffè.
aspettando Bess.
p .M . (con un sospiro): Non ti capisco. Come puoi adorare qualcosa che E quando l’ultima donna...
critichi per ogni verso? Come puoi amare ima cattiva composizione? (Nel ristorante stanno tutti a guardare e a sentire.)
L .B .: Ciascuno è portato a distruggere ciò che ama. Certo, penso che si p.M . (sussurra, ma in maniera udibile): Stiamo dando spettacolo.
possa amare una cattiva composizione per ragioni non compositive, per ra­ L.B. (sussurra, ma con trasporto): È quello che volevo dire io! È entu­
gioni di sentimento, di associazioni evocate, per lo spirito che l’anima. Ma siasmante, non ti pare? Non ti sembra che sia un tipo di musica con la
44
quale Gershwin avrebbe raggiunto la perfezione? Per questo non mi ras­
segno al fatto atroce della sua morte. Improvvisamente, con Porgy t’accorgi
INTERLUDIO
che Gershwin era un grande, ma proprio un grande compositore di teatro.
Lo era sempre stato. Ed è forse per questo che la sua musica da concerto
è poco convincente: si trattava in effetti di musica per teatro portata in
sala da concerto. Immagina cosa avrebbe prodotto per il teatro entro una
altra decina o ventina d’anni. E sarebbe stato ancora giovane! Che perdi­
ta! Chissà se l’America si accorgerà mai della perdita sofferta?
p.M . (commosso): Non hai neppure toccato il caffè.
L.B. (esauritosi di colpo): S’è fatto freddo. In ogni modo devo andare a
casa e mettermi a comporre. Grazie per la colazione, p .m .
p .M .: Grazie a te per essere venuto. Ne sono assai contento. Facciamo
ancora altre colazioni, d’accordo? Abbiamo tante cose di cui parlare.
L.B. (dando uno sguardo alla pista con i pattinatori): Per esempio?
p . m .: Tanto per dirne una: il tuo musical. È molto strano. È un grande
successo, piace al pubblico, tiene cartello da cinque mesi e non c’è una
sola canzone di successo. Come te lo spieghi?

(Aprile 1955)
SALA MISSAGGIO, CALIFORNIA

In California, c’è una località che non è segnata sulle carte, ed è conosciuta
col nome di Sala Missaggio. Non è sede di contea, è solo una grande
stanza al terzo piano dell’edificio « Sezione Sonoro » degli studi della Co­
lumbia. È un luogo dove suono e immagine s’incontrano, si contemperano
e vengono amalgamati. Più precisamente: è in questa stanza che le varie
colonne sonore che formeranno ciò che poi milioni di persone udranno
al cinema, vengono modificate e unificate. È qui che la colonna del dialogo,
quella della musica e quella degli altri effetti sonori subiscono appunto il
missaggio. Tre signori, tranquilli, competentissimi, seggono dignitosamente
ciascuno davanti al proprio settore di un grande congegno dall’aspetto di un
tavolo (fa pensare a un tribunale) e manipolano un tale schieramento di
interruttori, cursori e pulsanti, da ridicolizzare le apparecchiature scientifi­
che in un film comico. Il capo di questi tre stregoni è Dick Olson, un genio
nel vero senso della parola, che merita alte lodi per la straordinaria impassi­
bilità che conserva in circostanze oltraggiosamente avverse e per l’alta
qualità del suo lavoro. Lui e i suoi aiutanti hanno di fronte un enorme
schermo che copre tutta la parete di fondo, dietro al quale sono piazzati
grandi amplificatori stereofonici, monofonici, bifonici e di tanti altri tipi.
Per Dick Olson e le sue pratiche magiche io nutro un’ammirazione e un
timore reverenziale simile a quello che i letterati provano osservando un
compositore mentre lavora. « Come fai a sapere quali punti e linee devi
mettere sui pentagrammi? Come puoi prevedere il suono che producono;
quale gruppetto di note mi farà trasalire e quale invece mi indurrà a se­
rena beatitudine? » Gli Olson di questo mondo praticano una magia nera;
per me, almeno, operano in modo perfino più misterioso, obbedendo a
esigenze ben precise e contrastanti. Per esempio, si dice a Olson che lo
spettatore deve inconsciamente percepire i rumori del traffico di una grande
città, ma nello stesso tempo deve udire i muggiti del vento e del mare
che entrano in una chiesa semideserta. Contemporaneamente, il pedalare
della bicicletta di un bambino che gira nella chiesa deve auditivamente
articolare, quasi puntualizzandolo, il dialogo di due vagabondi entrati lì
per caso. Inutile dire che non una sola parola del dialogo deve andare
perduta, nonostante le voci debbano avere quella risonanza sorda data dalla
cavernosità dell’ambiente. E a questo punto, si badi, nessuno (tranne il
compositore) ha ancora cominciato a pensare çome adattarvi l’accompagna­
mento musicale.
48 49
Le istruzioni per tutti gli effetti sonori sopra accennati, istruzioni che perché poi potrebbe non sentirla mai più.) Una volta ammesso nella Sala
sembrano eliminarsi reciprocamente, provengono da una fila di poltrone si­ Missaggio, mi fu impossibile non opporre una certa resistenza anche se
tuate alle spalle di Olson e occupate dal produttore, dal regista, dal com­ soltanto apparente. M’ero a tal punto compenetrato di tutti i dettagli della
positore della musica del film, dal direttore del montaggio e dal montatore mia partitura che quasi credevo fosse l’elemento più importante del film.
della musica- Tutti pretendono di sapere tutto sulla sincronizzazione del Dovevo invece continuamente ripetermi che in effetti ne è l’elemento meno
film, ciascuno ha opinioni contrastanti sul come ottenere il risultato mi­ importante, che ogni battuta di dialogo sopraffatta dalla musica è una
gliore e ognuno vuole assicurarsi che la propria opinione sia ben chiara agli battuta perduta e quindi una menomazione dell’intero film; di contro,
altri. Sarebbe normale se Dick Olson venisse ricoverato d’urgenza nel che una battuta di musica coperta dal dialogo è soltanto una battuta di
manicomio più vicino. E invece no, sta a sentire, placido, e con la massima musica che va perduta, ma che questo non costituisce necessariamente una
calma si china verso quella selva aberrante di interruttori, cursori e pul­ menomazione del film. Mi ripetevo continuamente queste piccole massime
santi, ne preme circa due dozzine e in non più di tre minuti ecco che come un allievo di Coué mentre mi capitava di difendere un sol bemolle
tutti i contrastanti elementi sonori si odono amalgamati in una magica pozio­ cui tenevo particolarmente. A volte si decideva all’unanimità di soppri­
ne die risponde esattamente a tutte le esigenze espresse dalle varie poltrone! mere un intero passaggio musicale perché « generalizzava » la forza emo­
Il film cui alludevo è Fronte del porto, un film di Elia Kazan, pro­ tiva di una scena, mentre il regista, invece, voleva « particolareggiarla ».
dotto da S.P. Eagle e realizzato dalla Columbia Pictures. (La fac­ Altre volte, per dare assoluto risalto a una battuta del dialogo, la musica
cenda è troppo complicata e mi limito a citare i titoli. Io sono sol­ veniva di colpo interrotta e poi riattaccata. In altre circostanze, la musica
tanto il compositore dell’accompagnamento musicale.) Quando vidi la (che era stata composta con un inizio, una parte centrale e una finale)
copia di lavorazione del film, lo trovai un capolavoro di regia e la recita­ veniva spezzata sette battute prima della fine. Per il compositore tutto
zione di Marion Brando mi parve la sua migliore in assoluto, che è quanto questo è, inutile dirlo, deludente e terribilmente sconcertante. Ma può
dire. Trascinato dal mio entusiasmo, accettai di comporre l’accompagna­ succedere di peggio. Per esempio in Fronte del porto c’è una scena d’amore
mento musicale. Precedentemente avevo sempre opposto resistenza a of­ su un tetto, tenera e tutta esitazioni, fra l’impacciato eroe e la protagonista
ferte del genere perché ritenevo fosse un’esperienza musicale insoddisfa­ inibita, con i piccioni che tubano loro attorno. Il dialogo della scena è
cente comporre musica il cui merito principale sia quello dello scarso deliberatamente scarno e fra le battute vi sono lunghe pause alla Kazan:
rilievo. È opinione abbastanza comune che il miglior commento musicale un momento ideale, sembrerebbe, per l’intervento del compositore di musi­
di un film è quello che non si sente, ossia quello che lo spettatore sente senza ca. Dissi che avrei potuto scrivere una musica d’amore con un timido
accorgersene. Se invece lo sente davvero, vuol dire che qualcosa non va: inizio che poi, con una crescente, tristanesca intensità, avrebbe raggiunto
è un intralcio, cessa di essere un sottofondo musicale di accompagnamento. un culmine e investito scena e schermo coprendo le ultime, prosaiche pa­
Si deve ammettere che tutto questo è poco stimolante per un compositore. role del dialogo, che erano più o meno queste: « Vuoi bere una birra con
E tuttavia queste considerazioni furono sopraffatte dall’entusiasmo che me? » (una pausa molto lunga). « Uhuu! » La musica, a questo punto, avreb­
provai la prima volta che vidi il film. Mentre guardavo, mi pareva di sen­ be dovuto dire il resto; Kazan e gli altri assentirono entusiasticamente.
tirne già la musica, e questo bastò a farmi decidere. L’alta qualità, poi, lo Si adottò questa soluzione prima che avessi scritto una sola nota. E così
stile di questo film creano proprio le condizioni ideali che mi inducono scrissi la musica, l’orchestrai e la registrai.
a lavorare e a cóllaborare. Da allora, ho visto il film almeno cinquanta Ma poi, in Sala Missaggio, Kazan decise che gli era impossibile rinun­
volte integralmente o a stralci, e non ho cambiato il mio giudizio. Giorno ciare a quella specie di sacro grugnito che Brando emette alla fine: sosteneva
dopo giorno sedevo alla moviola facendo scorrere la pellicola avanti e in­ fossero le due sillabe più eloquenti che l’attore pronunciava in tutta la sce­
dietro, misurando la lunghezza delle sequenze che avevo scelto per il mio neggiatura. E che cosa successe? Appena la musica cominciò ad assurgere
commento musicale; convertivo poi, con ufta formula matematica, la lun­ con massima sonorità verso il suo culmine, mentre il tema ascendeva e gli
ghezza in secondi e gettavo giù appunti in un brogliaccio. Nel far questo mi ottoni e gli strumenti a percussione si univano agli archi e ai legni, gli onni­
commuovevo sempre agli stessi punti del dialogo, e gli stessi momenti della potenti interruttori per il controllo della sonorità vennero manovrati e il
recitazione mi mandavano in visibilio. E questo mi capitò anche durante suono si affievolì lentamente con un diminuendo. Musicalmente è ridicolo.
la composizione, l’orchestrazione e la registrazione della mia musica. Ma E per amore di quel grugnito la tensione sullo schermo venne diminuita
nella Sala Missaggio rimasi impassibile: niente commozioni; niente smanie esattamente nella stessa proporzione con la quale aumentava nella mia bi­
perché al missaggio l’affare è serio. strattata sensibilità. Uhuu!
Fui fortunato a essere ammesso a queste sedute di missaggio; mi si dice Ecco ciò che avviene in Sala Missaggio, in California. È in realtà impos­
che normalmente il lavoro del compositore cessa con la fase di registrazione. sibile prevedere il risultato finale quando per la prima volta musica, dia­
(Circola anche una barzelletta a Hollywood: si consiglia al compositore logo (grugniti compresi), effetti sonori e immagini si scontrano fragorosa­
di ascoltare la sua musica con la massima attenzione dopo la registrazione, mente in Sala Missaggio.
50
E così il compositore se ne sta seduto, protestando come meglio gli
riesce, ma infine accettando con il cuore gonfio la perdita inevitabile di SEZIONE FOTOGRAFICA
buona parte della sua partitura. Tutti cercano di confortarlo: « Di questa
musica puoi sempre farne una suite ». È una misera consolazione. Mortifica­
to, non gli rimane che ripetersi: è per la riuscita del film, per la riuscita
del film.
Quando tutto è stato detto e tutto è stato fatto, sono sempre gli altri
ad aver ragione. Quello che conta è il film nel suo insieme. Il compositore
non deve considerarlo da compositore ma piuttosto da uomo di teatro.
Le soddisfazioni che gliene derivano in seguito sono molte: s’accorge che
la sua partitura ha contribuito a creare un’atmosfera, a stabilire una con­
tinuità, ad aggiungere una dimensione, raccontando una vicenda interiore
che non si articola manifestamente nell’azione e nel dialogo. Una musica
che accompagni giudiziosamente un film conferisce a esso un afflato di ca­
lore, mentre una sola battuta di troppo può danneggiarlo notevolmente.
Ma che pena per il compositore la perdita di quella battuta, e che lotta è
pronto a sostenere per salvarla!
Durante tutte queste vicissitudini Dick Olson e i suoi assistenti siedono
tranquilli davanti alla loro foresta di manopole e attendono pazientemente
che i generali sulle loro poltrone prendano la loro decisione. Una volta si
era giunti, con particolare ostinazione, a un punto morto. Trovammo una
palla di gomma e per calmarci ce la passammo per circa un quarto d’ora,
facendo sempre attenzione a non colpire lo schermo da 5000 dollari di
Harry Cohn. Poco dopo, la decisione fu presa.

(Maggio 1954)
LA QUINTA SINFONIA DI BEETHOVEN

LEONARD BERNSTEIN:

O g g i vi presentiamo un esperimento singolare, e difficile: prendiamo il


primo movimento della Quinta sinfonia di Beethoven e lo ricomponiamo.
Ma non spaventatevi: useremo solo le note scritte da Beethoven stesso,
utilizzando alcuni abbozzi che egli scrisse per questa sinfonia e poi scartò.
Cercheremo di capire perché questi pezzi furono scartati e, reintroducendoli
nella partitura, sentiremo che effetto fa la sinfonia con queste sostituzioni;
proveremo a spiegarci allora la ragione per la quale questi abbozzi furono
abbandonati e, ciò che è più importante, potremo forse anche intravedere
il modo di procedere del compositore al lavoro, durante il misterioso pro­
cesso creativo che chiamiamo composizione musicale.

( l .b . dà uno sguardo alla partitura.)

Qui, riprodotta sul pavimento, abbiamo la prima pagina della partitura


della Quinta sinfonia, quella destinata al direttore d’orchestra. Ogni volta
che guardo queste parti d’orchestra provo nuova meraviglia per la loro
semplicità, forza e precisione. E con quale economia di mezzi questa musica
è composta!
Figuratevi: quasi ogni battuta del primo movimento è uno sviluppo
diretto delle quattro note d’apertura.

-0 -r» — * -----------------
Æ k K l. Z
li

JBT

Ma che note sono queste per essere così intense e pregne di significato da
dar vita a un intero movimento sinfonico? Tre sol e un mi bemolle, questo
è tutto.
Chiunque avrebbe potuto pensarci. Eppure...
Per anni ci si è chiesto che cosa investe questa figura musicale di tanta
potenza, e sono state avanzate le più varie e fantasiose interpretazioni: che
şi basi sul canto di un uccello udito da Beethoven in un bosco di Vienna;
66 67
oppure che sia il destino che bussa alla porta; che siano le trombe che an­ Ed eccone un’altra:
nunciano il Giorno del Giudizio Universale e così via..
Ma nessuna di queste interpretazioni ci illumina. La verità è che il si­
gnificato di queste quattro note può solo ricercarsi nelle note che seguono,
in tutte quelle che succedono nelle cinquecento battute di questo primo mo­
vimento. p dolce
Beethoven, ritengo, più di ogni altro compositore prima e dopo di
lui, aveva il dono di saper trovare le note precise che debbono seguire a
quelle dei suoi temi. Eppure anche lui, nonostante la sua straordinaria abi­ Dopo otto anni di sforzi, con queste due e altre dodici versioni, gli riuscì
lità, doveva affrontare e vincere una lotta titanica prima di giungere a di fondere, finalmente, gli elementi più eleganti, più leggiadri di tutte le
tanta perfezione. Non si tratta soltanto di trovare le note giuste ma anche quattordici varianti nella melodia che ci è oggi familiare.
i ritmi giusti, le armonie giuste, la giusta strumentazione e il momento Ma forgiato il tema, ecco che la sua lotta comincia. Ora inizia la fatica
giusto per innalzarsi ai punti culminanti. Ed è proprio su questo suo trava­ per dare al suo tema una statura sinfonica. Statura che si manifesta in tutta
glio che vogliamo ora indagare. la sua pienezza solo quando giungiamo all’ultima nota dell’intero movi­
Ogni compositore deve affrontare due battaglie: una, quella di saper mento. E quindi, ritornando al primo movimento, le famose quattro note
trovare le note giuste dei temi; l’altra, trovare le note giuste che debbono
seguire l’esposizione dei temi e che debbono altresì fare assurgere questi
stessi temi a valore sinfonico. Conosciamo bene come si svolge la prima
di queste battaglie avendo avuto tutti la possibilità di seguire uno Schumann, r
un Brahms e qualche altro grande del firmamento musicale nello sforzo
per trovare il motivo giusto sul pianoforte. Tutti abbiamo visto Jimmy Ca­
gney nella parte di George M. Cohan quando, drammaticamente, solo non sono portatrici di un valore musicale a sé stante, ma sono soltanto
sul palcoscenico e al lume di un’unica lampadina, metteva assieme, una il nucleo da cui nasce tutto lo sviluppo sinfonico che segue. Questa è la
per una, le note immortali di Over there. vera funzione di ciò che viene chiamato forma. Questa, infatti, non è una
Fittizio o no, questo travaglio è una realtà, e fu anche di Beethoven nel forma per budino: ci si versano dentro note, e produce automaticamente
senso più reale della parola. I suoi quaderni di appunti ci rivelano che un rondò, un minuetto o una sonata. La vera funzione della forma è quella
scrisse almeno quattordici versioni della melodia con la quale si apre il di farci seguire per mezz’ora il variato e complesso itinerario di una evo­
secondo movimento di questa sinfonia. La versione definitiva che conoscia­ luzione sinfonica continua. Per ottenere questo risultato il compositore
mo noi è questa: deve possedere un suo piano interiore, deve avere la capacità di conoscere
la tappa successiva: in altri termini, deve conoscere quale deve essere la
L.B. SUONA AL PIANOFORTE:
nota seguente per darci un senso di perfezione, la certezza che qualsiasi
nota segua, l’ultima è l’unica nota possibile in quel preciso istante. Come
abbiamo già detto, Beethoven aveva questo dono più di ogni altro, ma
A ndante con m oto
doveva ugualmente lottare con tutte le sue forze durante il processo crea­
tivo.
Avventuriamoci a osservare questo travaglio.
Tanto per cominciare, Beethoven decise di avvalersi per il suo primo
P dolce movimento di dodici parti strumentali diverse.

(I corrispondenti dodici strumentisti raggiungono i punti indicati della


Ma in otto anni si ebbero ben quattordici versioni diverse! partitura riprodotta sul pavimento.)
Eccone una, molto differente dalla definitiva:
Naturalmente, l’intera orchestra si compone di questi dodici strumenti
moltiplicati, ciascuno di essi, da due a otto volte.

(Lentamente, gli strumentisti attraversano la pagina della partitura.)


68

FLAUTI

OBOI

CLARINETTI
IN SI b

FAGOTTI

CORNI IN MI b

TIMPANI
IN DO-SOL

A llegro con brio J* 108


'f i ,u a— r m f-TN
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p

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'4
delle battute iniziali. Beethoven voleva che le note iniziali della sua sin­
fonia irrompessero con forza maschia, e pertanto basò la sua orchestrazione
su strumenti che di norma suonano nel registro maschile della voce.
I t i t - r a p *
CONTRABBASSI (
(Vorchestra esegue le battute iniziali dapprima con il flauto, poi senza
flauto.)

Il flauto, che è l’equivalente strumentale della voce di soprano, sarebbe


NelPosservare la partitura, il direttore d’orchestra deve seguire con gli qui un intruso, una signora delicata in un club di fumatori, e perciò fu e-
occhi, sulla pagina, simultaneamente tutti gli strumenti. liminato.
Comunque, per le battute iniziali, Beethoven non sentì il bisogno di Vedete, oggi nell’ascoltare questa sinfonia, molti di noi possono pen­
avvalersi di tutta l’orchestra. Eliminò cinque strumenti: l’oboe, il fagotto, sare che sia stata creata da Beethoven di un sol getto, uniforme e limpido
il corno, la tromba e il timpano. fin dal principio. Niente affatto. Beethoven ci ha lasciato, di suo pugno,
Questo, a lato, è il manoscritto originale dove figurano le rimanenti pagine e pagine di materiale in seguito scartato, come questa: tante da
sette parti strumentali. poterne mettere assieme un grosso volume. Eliminò, riscrisse, cancellò,
Notate però che nella stesura definitiva appare un’ulteriore elimina­ strappò, modificando lo stesso passaggio, in alcuni casi, fino a venti volte.
zione: la parte del flauto. Sappiamo quindi che Beethoven agli inizi stava Un esempio di queste modifiche lo possiamo osservare nel facsimile del
per includere questo legno. Perché lo eliminò? Semplicemente perché il manoscritto originale della partitura, a pagina seguente.
timbro e le note acute del flauto non si addicono al carattere rude e brusco
70 71
Per contrasto, guardate ora questa partitura di Stravinskij: chiara, se­
rena, bella quasi come il suono che se ne ricava.*

/r io ft y A

L.B. guarda Voriginale della partitura.


\

Guardate queste modifiche angosciose, questi scarabocchi quasi febbrici­


tanti. Eccovi un passaggio travagliato.

Vi sono tante correzioni che a Beethoven non rimase spazio per la


versione finale. Fu costretto a scriverla in calce, come una annotazione a
piè di pagina, e lasciò ai suoi copisti il compito di decifrare che cosa avesse
voluto scrivere.
Ammiro, e compiango anche, quei copisti. * Copyright 1946 della Associated Music Publishers, Inc. Riproduzione consentita.
72 73
Il manoscritto beethoveniano, invece, è il campo sanguinoso di una Ma esiste un abbozzo scartato, anch’esso uno sviluppo immediato e di­
terribile battaglia interiore. E prima di mettersi a scrivere questa partitura retto delle stesse quattro note iniziali.
dall’aspetto così tormentato, aveva, badate, già da tre anni riempito di
abbozzi i suoi quaderni di appunti. Alcuni di questi abbozzi li abbiamo
qui: proprio quelli che furono scartati. Ho sempre cercato di capire come
sarebbe stato questo primo movimento se qualcuno di questi passaggi vi
fosse rimasto. Ho fatto parecchi esperimenti per scoprire a qual punto
della partitura ciascuno degli abbozzi si riferisse; poi li ho inseriti per sen­
tire che effetto fanno. Il risultato è strano e interessante. Proviamo.
Conosciamo fin troppo bene le battute iniziali di questa sinfonia.

Ma che cosa succede dopo questa asserzione iniziale? Quale ne è lo svi­


luppo? Eccolo.
Considerato isolatamente, non è né bello né brutto, ma è uno sviluppo
logico e soddisfacente della frase iniziale. Che effetto farebbe se Beethoven
l’avesse adottato quale seguito del suo tema? Lo scopriamo se inseriamo
l’abbozzo nella sinfonia. Eseguiamo, e il risultato è questo.
74 75
Una differenza c’è, non .vi pare? E non solo perché suona errato alle ORCHESTRA:
nostre orecchie, che sono abituate a sentire la versione che tutti cono­
sciamo, ma anche per il valore stesso della musica. C’è tale simmetria da
sembrare statico. C’è troppa uniformità fra la parte della mano sinistra e
quella della mano destra, che sembrano scimmiottarsi fra di loro. Il che
è fatale a un inizio, specie all’inizio di un viaggio sinfonico. Non c’è quel
senso di mistero della versione finale, né quella promessa sussurrata di cose
a venire. Stagna, ripete se stesso e sembra non essere «costruttivo». E
Beethoven era prima di tutto e soprattutto un costruttore.
Prendiamo in esame un altro abbozzo scartato. Ecco, questo (sempre ba­
sato, come tutti gli altri, sulla frase d’apertura).

PIANOFORTE:

Credo di indovinare che fosse destinato a questo passaggio.

ORCHESTRA:

fÉ üp P P ■ii \n it nmiij n Terribile, non vi pare? Sarebbe proprio un intruso nel vivo fluire della
musica. Se ne sta lì, arenato, ripetitivo, e sembra aspettare che qualcosa
lo sollevi e lo riporti sulle ali della musica. Nessuna meraviglia che Bee­
thoven lo abbia scartato. Lui più d’ogni altro sentiva l’urgenza del moto
nella sua musica. Ma questo abbozzo non ce la fa. Come il primo, è statico.
Un piombo.
Questo invece è tutt’altra cosa. È stimolante e « costruttivo ».

p ia n o f o r t e :
È
più f jor

Sentiamo il passaggio includendovi l’abbozzo scartato.


ORCHESTRA: 77

Sospetto che fosse destinato a un passaggio che viene dopo.


Q uesto.

O R C H E ST R A *.

L 4- w m n w- ■-

jtr

Proprio niente da dire. Ha la sua logica ed è « costruttivo ». Ma la ver­


sione che Beethoven infine adottò era ancor più logica e s’impone con mag­
gior efficacia, con più impeto; non c’è confronto.

r.r m
con 8va bassa

Q uesto è certamente uno dei culmini a cui giunge il movimento, uno dei
m om enti più emozionanti. È il principio della coda, l’ultimo grande balzo
prima della conclusione. Vediamo che cosa ci è dato ascoltare, usando l’ab­
bozzo che vi ho appena eseguito.
78

L’altro, a paragone, sembra senza forza.


E ora, eccovi un abbozzo che mi piace in modo particolare perché ha
tutte le caratteristiche beethoveniane essenziali. Mi ricorda un po’ la
Patetica.

PIANOFORTE:

Ora mettiamoci l’abbozzo scartato.

ORCHESTRA:

1 I1 1 __
1 ___ ______ ____L__
TTO T ìf li . L 1- « « di « t i « « ^
tT ^_A b* 9f—r p
I"#'TT*^ i i J 3 f 3 J f
f cresc.
, ^ J ----------%--------
J
A-------------------- A---------------------- L
- e -------------------- *-

C’è in esso una sofferenza, un mistero, il presagio di un’eruzione immi­


nente. Si sarebbe adattato benissimo alla coda: armonicamente, ritmica-
mente e da qualsiasi altro punto di vista tranne quello emotivo. Questo il
punto della coda a cui si riferisce.

ORCHESTRA:

S S n M i p ]
jtr
81
Perché lo eliminò? È molto espressivo. E invece deve aver pensato
che fosse troppo subitaneo e così ne scrisse un secondo, più esteso, più nel
carattere di finale, romantico e maestoso. Eccolo.

ORCHESTRA:

Sentite la differenza? Cos’è successo? Dall’alto siamo scesi in basso per


poi risalire ancora più in alto. È un buon procedimento di strutturazione
drammatica. È frequente nei lavori teatrali, nei romanzi e nella musica. Ma
non era il momento adatto. Beethoven ha già raggiunto l’altezza massima,
è all’ultimo livello e vuol continuare irresistibilmente ad andare avanti
sino alla fine, mantenendosi alla stessa altezza. E ci riesce con bravura sor­
prendente. È proprio questo suo avanzare geniale, questo voler andare
avanti continuamente a guidarlo nella sua lotta con la materia.‘Figuratevi
che scrisse tre versioni diverse perfino delle battute finali di questa parti­
tura. Questo è il primo finale che scrisse: un finale improvviso, tipicamente
beethoveniano.

ORCHESTRA:

1 1 L U IP P N èé PI m T '

--- Er-U--*-- ---- S • +-- ----- J

wA rf tBg=f=gg= *
2 '3 * a~'i
■4i'~ *i'~g l- ■
il 1' r r r r p m p 4 m

ma 'J 1 mm P U

Ma, come si può vedere sul manoscritto, anche questo finale fu sepolto
p p p ^ P Ü S i sotto le cancellature. Deve aver pensato che si prolungasse troppo e che
fosse troppo maestoso e pretenzioso. Deve essergli sembrato inadatto al
i carattere dell’intero movimento, la cui qualità preminente è una nuda,
S A. J i intrinseca, essenziale, univoca e diretta asserzione della massima forza. E
così tentò con un terzo finale e questo andò bene. Ma riuscì ancora più
improvviso del primo. Come potete capire, dovette lottare e penare prima
82
di accorgersi di una cosa semplicissima: il difetto del primo finale non IL MONDO DEL JAZZ
consisteva nell’essere troppo brusco, bensì nel non esserlo a sufficienza.
Giunge quindi al terzo finale, che è perfetto. Ascoltiamone la versione
definitiva.

ORCHESTRA:

COMPLESSO JAZZ:

E così Beethoven giunse al termine del suo viaggio sinfonico, quello


almeno del primo movimento. Immaginate un’intera vita dedicata a que­
sta lotta: movimento dopo movimento, sinfonia dopo sinfonia, sonata dopo
quartetto e dopo concerto. Sempre alla ricerca, sempre a selezionare per
amore della perfezione e del principio dell*inevitabilità. In un certo qual
modo, è questo principio a svelare il segreto del grande artista: per mo­
tivi ignoti a tutti e a lui stesso, il grande artista è pronto a sacrificare tutte
le sue energie e la sua vita per raggiungere la certezza della inevitabilità
della nota che deve seguire. Può sembrare un modo strambo di trascorrere
la propria vita, ma non lo è più se consideriamo che in tal modo egli può
lasciarci con la sensazione che c’è qualcosa di giusto in questo mondo, LEONARD BERNSTEIN:
qualcosa che ha senso, che obbedisce con coerenza alle sue proprie leggi,
una cosa nella quale possiamo aver fiducia e che non ci verrà mai meno.* Chiunque, da un polo all’altro del mondo civile, nell’udire questa musica
direbbe immediatamente: è jazz. Vogliamo ora esaminare da vicino il jazz,
(La trasmissione televisiva si concluse con Vesecuzione del primo movimen­ ma attraverso un’ottica non storica, divenuta fin troppo comune, bensì
to della Quinta sinfonia di Beethoven.) proprio musicale. Studieremo le « interiora » del jazz, per scoprire una
volta per tutte che cosa lo distingue da tutta l’altra musica.
La parola jazz ha un significato molto esteso che comprende tanti tipi
(Trasmissione televisiva del 14 novembre 1954) diversi di musica: dai primi blues al dixieland, al charleston, allo swing,
al boogie-woogie, al bop caldo e freddo, al mambo eccetera.* È sempre
* A chi volesse ascoltare esempi di questi tipi di jazz, raccomandiamo le seguenti registra­
zioni:
Leadbelly, Good Morning Blues, in Take This Hammer, vol. 1, Folkways FA2004. King
Oliver, Jelly-Roll Morton e altri, Back o’ Town, Riverside 12-130. Red Nichols, Dorsey
Le ultime righe sono una citazione da « Perché proprio Beethoven? » a pag. 18-19. Bros., Charleston, in Jazz of the Roaring Twenties, Riverside 12-801.
84
jazz, tuttavia, e io lo amo perché è una forma originale di espressione emo­
tiva: mai completamente triste e mai completamente allegra. Persino il blues
ha una sua robustezza e una sua certa qualità callosa che gli impedisce, per
lamentose che siano le parole, di diventare sdolcinatamente sentimentale.

CANTANTE DI BLUES:

« Empty Bed Blues » di J.C. Johnson*

Lentamente

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I woke up this mor - nin’ with an aw - - ful a - chin’
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t v -------m--------- m— m------- m---------- p p p m
~r------- ■ ---------■ — m------- m---------- E
p
r - : r r— f — - - — F — F— p -

Benny Goodman, 1938 Carnegie Hall Jazz Concert, 2, CBS 66202. Meade Lux Lewis,
Albert Ammons e altri, Giants of Boogie-Woogie, Riverside 12-106. Charlie Parker, The
Immortal Charlie Barker, Savoy 12001. Lee Konitz, Lee Konitz with Warne Marsch,
Atlantic 1217. Perez Prado, Mambo Mania, Victor LFM-1075.
D’altro canto, anche nel jazz più vivace e brioso è sempre presente una
* Copyright © 1928, 1947, by J.C. Johnson. Tutti i diritti riservati. Riproduzione per vena di malinconia. Ascoltate per esempio questa tromba.
speciale concessione.
86 87
TROMBA: non essere arte. Secondo me, invece, lo è, e anche molto particolare. Ma
prima di discutere se sia o no arte, occorre sapere che cosa sia in realtà il
« Ole Miss » di W.C. Handy* jazz. Mi propongo quindi di farvi partecipi di quello che so sul jazz e del
mio amore per esso.
Prendiamo quel blues che abbiamo udito poco fa e vediamo quali sono le
sue componenti.

COMPLESSO JAZZ:

Ciò che più mi attira nel jazz è il fatto che sia unico, che sia una forma
di espressione musicale tutta particolare.
Mi piace inoltre il suo humour. Esso gioca effettivamente con le note.
In inglese per dire « suonare » adoperiamo un verbo, to play, che significa
anche « giocare ». Giochiamo Brahms e giochiamo Bach: un modo di espri­
merci che, in verità, dovremmo riservare al massimo al tennis. E tuttavia il Ebbene, di quali elementi si compone questo pezzo?
jazz è un vero e proprio gioco. « Scherza », per cosi dire, con le note, ci si Vi troviamo, primo fra tutti, un elemento melodico. In genere, melodi­
diverte; quindi è divertimento nel senso più vero della parola. camente, la musica occidentale si basa su scale musicali come quelle di
Devo tuttavia difenderlo da coloro che sostengono che sia un genere di modo maggiore con la quale tutti vi siete esercitati da bambini.
musica da classe inferiore. È un fatto che ogni musica è di bassa origine,
visto che nasce dal folclore, che per definizione è popolare. Dopotutto, i L.B. ESEGUE AL PIANOFORTE:
minuetti di Haydn altro non sono che la forma raffinata di una semplice
danza campestre tedesca: altrettanto gli scherzi di Beethoven. Una romanza
di un’opera di Verdi la si può spesso far risalire a un umilissimo pescatore
napoletano. Su tutta la musica, e in particolare sugli esecutori, ha sempre
gravato una certa ombra di disprezzo.
$ TJ---»

Credo che essa sia dovuta al fatto che, storicamente, gli esecutori, i
suonatori, sono sempre stati privi della dignità dei compositori. E questo Il jazz tuttavia ne usa una particolare che è una variante di quella re­
è particolarmente vero nel jazz che, basato com’è sulPimprovvisazione piut­ golare. Quest’ultima, infatti, subisce una modifica in tre punti. La terza
tosto che sulla composizione, è dunque un’espressione dell’arte dell’esecu­ nota viene abbassata dal mi
tore. Questo però significa che il jazzista è anche un compositore, ha cioè
una funzione creativa che gli conferisce maggiore dignità. al mi bemolle:
Non manca poi chi sostiene che il jazz sia rumoroso. Lo sono anche le
marce di John Philip Sousa,** eppure nessuno si lamenta. Tra l’altro, il
$ e i
jazz non sempre è rumoroso, anzi spesso raggiunge un’estrema delicatezza.
L’accusa nasce forse dal fatto, del resto irrimediabile, che in fondo viene La quinta nota, sol:
suonato in ambienti ristretti. Ma questo non è certo colpa del jazz di per sé.
In ogni caso, l’accusa principale contro il jazz è sempre stata quella di
viene modificata in questo sol bemolle:

* Copyright © 1916, rinnovato nel 1944, by W.C. Handy and Robbins Music Corporation,
New York. N.Y. Riprodotto per speciale concessione.
** J. Ph. Sousa (1854-1932). Direttore di banda e compositore di numerose marce popolari.
(N.d.R.) e la settima nota, si:
89
Sono proprie queste dissonanze a creare il vero sound del jazz. Per esem­
diventa si bemolle: pio, i pianisti jazz usano sempre, contemporaneamente, queste due note dis­
sonanti:

Le tre note che hanno subito il mutamento vengono chiamate « note


blue ».
Ecco la scala, di do con note blue.* e c’è una ragione: in realtà essi cercano un suono che non si trovi lì, bensì
(scala maggiore con note blue)*
a metà strada fra le due note. Tra questa nota:

■ O -i*> ^ Fg " — - -P ft Ho' — e quest’altra:


t>3 t>5 \>7
blue blue blue

Pertanto, una frase che normalmente suonerebbe più o meno così: vi è un altro suono intermedio chiamato quarto di tono.

Il quarto di tono trae origine direttamente dall’Africa, dove il jazz è


nato e dove il quarto di tono è di uso comune. Lo si può produrre con uno
(Q d ) I J) strumento a fiato o ad arco o con la voce, ma con il piano se ne può ottenere
solo un’approssimazione suonando insieme le due note che gli sono a lato:
- che non è jazz - impiegando le note blue si, sol e mi bemolle diventa:

La nota desiderata è lì in mezzo tra le due note.


Vediamo ora se riesco a cantarvi — e chiedo scusa per la mia orribile
che comincia a manifestare una certa qualità jazzistica. voce - un canto swahili che sentii una volta. Le due ultime note sono pro­
La cosiddetta « scala jazz », però, è usata solo nella melodia. Nelle sotto­ prio un quarto di tono:
stanti armonie si continuano a usare le solite note non abbassate, il che
L.B. c a n t a :
produce dissonanze tra la melodia e gli accordi.

L.B. ESEGUE AL PIANOFORTE: Voce

L l- J T I . 1 ti
W
T r
dies. disa. r diss.

f f i = =
1 j . w

Sarò sembrato terribilmente stonato, ma non è così: ho emesso una nota


* In effetti, queste note blue vengono usate pet lo più in senso discendente. Petciò la scala ben precisa di un linguaggio musicale diverso. Nel jazz questa nota è di casa.
di do si presenta così:
L .B. ESEGUE AL PIANOFORTE:
90

Ora, per dimostrarvi quanto importanti siano nel jazz le cosiddette « note
blue », ascoltiamo quello stesso blues suonato senza di esse, usando cioè
le note della scala inalterata.

c l a r in e t t o :

4 ^-= 4 =.i r- f ji M -i .

z$.—Z..4-ZZ..-I—i --------- ----------- 1,


, t. .------
.J’i J> 'j ^ J _____s-e-___
o persino quando il pianista schiaccia il pedale.
t ", , -,-------■,--- p--------- :
#=C—P— — — ^ ' ^ J ‘ J. ^

C’è qualcosa che non va, vero? Si sente che non è più jazz.

Ma, nel jazz, ancora più importante della melodia è l’elemento ritmico.
Dopotutto, la prima cosa che si associa alla parola jazz è proprio il ritmo. Vi
sono due aspetti ritmici nel jazz. Uno è il battere, quello che sentiamo
quando il piede del batterista percuote la grancassa:

Tutto questo è elementare. Il battere continua, senza cambiare velocità


o metro, dal principio alla fine di un pezzo, formando gruppi da due a
quattro battiti per ogni misura (detta anche battuta). È, diciamo, la pulsa­
zione del cuore del jazz.
Più complesso e più interessante è invece quel ritmo che si sovrappone
al pulsare uniforme dei battiti della misura, cioè quelle figurazioni ritmi­
che prodotte da ciò che si chiama « sincope » una parola che avrete certa­
mente udito, ma il cui significato vi è forse rimasto oscuro. Un buon siste­
ma per capire che cosa significhi la parola sincope è pensare al battito del
cuore, al suo ritmo costante che a un bel momento, per difetto di una
emozione improvvisa, perde un colpo. Questa, la reazione fisica.
o quando il contrabbassista pizzica il suo strumento: Tecnicamente, la sincope si ottiene con. l’eliminazione di un accento là
dove è previsto, oppure con l’aggiunta di un accento là dove non è previ-
93
Come vedete, ne vien fuori un autentico ritmo di rumba.
sto. In ambedue i casi si produce un’impressione di sorpresa e di shock. Naturalmente, l’effetto sincopato più incisivo lo si ottiene effettuando
Il fìsico risponde a questo shock o compensando per 1 accento omesso o ambedue le operazioni nella stessa misura: mettendo cioè un accento su un
reagendo all’accento inatteso. elemento debole e togliendolo da uno forte. Eseguiamo dunque questa dop­
Ma dove dobbiamo aspettarceli questi accenti ritmici? Sempre sul primo
pia operazione: mettiamo un accento sul 4 debole e togliamo compieta-
battito di ogni misura. Se in una misura vi sono due elementi ritmici, il
primo sarà forte e il secondo sarà debole, esattamente come nella marcia. mente l’accentuazione dal 5 forte. Otteniamo:
Per esempio: destro, sinistro, destro, sinistro. Anche se la misura è divisa
in quattro parti ritmiche. Le gambe sono sempre due, ma il sergente con­ 1 2 3 4! - 6 7 8
tinua a contare in quattro: un, 2, 3, 4* un, 2, 3, 4. L’accento cade in maniera
naturale sempre su uno. Toglietelo e si avrà una sincope:
(Riprendono questo ritmo vari strumenti a percussione.)
TRATTENENDO IL FIATO, L.B. SALTA IL PRIMO ELEMENTO RITMICO DELLA
M ISURA: Sembra di essere nel Congo, vero?

(/) 2, 3, 4 (/) 2, 3, 4 eccetera LA TROMBA ESEGUE UN MOTIVO CON QUESTO RITMO:

Come vedete, omettendo l’accentuazione sul primo elemento si provoca


una reazione fisica.
L’altro modo per ottenere una sincope è esattamente l’opposto: si pone
l’accento sull’elemento debole, il secondo o il quarto, dove per naturale
tendenza non cade. Così:
Ora che avete avuto un’idea del sincopato, vediamo che effetto fa senza
Uno, DUE, tre, QUATTRO il sincopato il blues ascoltato prima. Credo che sentirete la mancanza di
questo elemento essenziale della vita stessa del jazz:
Uno, DUE, tre, QUATTRO
IL SASSOFONO SUONA IN STILE TRADIZIONALE E SENZA VIBRATO:
È quel che succede nel jazz, ciò che ci fa battere le mani o schioccare le dita
all’accento mancato.
Queste sono le caratteristiche basilari del sincopato, di cui ora possiamo
capire gli aspetti piu delicati. In una misura tra un elemento ritmico e uno
successivo ne esistono di più brevi e più deboli, e quando l’accentuazione
cade su questi lo shock che ne riceviamo è corrispondentemente maggiore,
poiché quanto più debole è l’elemento ritmico accentato da noi, tanto
più forte è l’effetto di sorpresa che ne otteniamo. Prendiamo una misura
di otto battiti veloci: 1 2 3 4 5 6 7 8. Di regola, gli accenti dovrebbero
cadere su 1 e 5: 1! 2 3 4 5/ 6 7 8. Facciamolo invece cadere su un ele­
mento veramente debole, il 4:

12 3 4/ 5 6 7 8 È proprio square (tradizionale), non trovate?


Bene, abbiamo esaminato due elementi molto importanti: la melodia e il
(La batteria attacca col ritmo accentuato come sopra, seguito dalle clave, ritmo. Ma il jazz non sarebbe jazz senza il suo speciale colore tonale, i va­
lori sonori veri e propri che udite, quelle particolari sonorità. Questi timbri
sono molti, ma nascono quasi tutti dalla speciale qualità di voce dei negri.
Per esempio, quando Louis Armstrong suona la tromba non fa altro che
darci un’altra versione della propria voce. Ascoltate un disco di Armstrong
come I Can’t Give You Anything but Love e paragonate l’assolo vocale con
quello della tromba: dovrete necessariamente concludere che appartengono
94 95
alla stessa persona.* La voce dei negri ha ispirato altre imitazioni strumen­ Inoltre, ci sono ancora altri colori tonali che hanno origini afrocubane: i
tali: il sassofono, per esempio, ansimante, un po’ roco, pieno di tremolo e bongo:
di vibrato.

(A questo punto un sassofono esegue un passaggio prima con vibrato poi


senza.)

Poi ci sono tutti gli effetti particolari, lo stridio, il ringhio, il singulto, che
si ottengono applicando vari tipi di sordine al padiglione dello strumento.
Ecco, per esempio, una tromba con sordina a tazzina:

le maracas:

e con wow-wow:

i campanacci cubani:

Un trombone con sordina dritta:

* Louis Armstrong, I Can’t G ive You Anything but Love, in Armstrong Favorites, Co­
lumbia. Esistono poi colori tonali orientaleggianti, come il vibrafono:
- -•

96 97
triste, che abbia a che vedere col fallimento di un amore, che sia piena di
malinconia, come per esempio Stormy Weather. E invece Stormy Weather
non è un blues, né lo è Moanin’ Low o The Man I Love e neppure The
Birth of the Blues. Questi sono solo motivi popolari.
In realtà, il blues è una rigorosa forma poetica combinata con la musica.
Si basa su due versi a rima baciata, con il primo ripetuto due volte. Un
blues di Billie Holiday, per esempio, dice:

My man don’t love me, treats me awful mean;


Oh, he’s the lowest man I ’ve ever seen.
(Il mio uomo non m’ama e mi tratta da cane.
È l’uomo peggiore che abbia mai incontrato)

Quando lo canta, però, Billie Holiday ripete il primo verso. Così:

My man don’t love me, treats me awful mean;


i vari piatti: I said, my man don’t love me, treats me awful mean;
Oh, he’s the lowest man I ’ve ever seen.
(Il mio uomo non m’ama e mi tratta da cane.
Dico, il mio uomo non m’ama e mi tratta da cane.
È l’uomo peggiore che abbia mai incontrato)

Questa è la strofa di un blues. Un blues completo non è altro che una


successione di strofe che si susseguono finché il cantante ne ha voglia.
Avete notato che la coppia di versi di questo blues è, nientemeno, un.
pentametro giambico?

My manf don’t love Ime, treatsIme aw/ful mean

Più classico di così si muore. Potete prendere una coppia qualsiasi di


pentametri giambici a rima baciata - da Shakespeare, per esempio —e farne,
mettiamo,'un perfetto Macbeth Blues:

I will not be afraid of death and bane


Till Birnam forest come to Dunsinane.
(Non avrò paura di morte e sventura
finché la foresta di Birnam non viene a Dunsinane.)
e così via. Se ne ricava un blues bellissimo:
Questi timbri particolari contribuiscono alla singolarità del jazz. Avrete
certamente sentito motivi jazz suonati straight (liscio) da complessi non­ L.B. c a n t a :
jazz, e vi sarete chiesti che cosa mancasse. E qualcosa mancava, infatti: il
colore del jazz.
Esiste poi ancora un altro elemento jazzistico che sorprenderà quelli tra Vivace
voi che non considerano il jazz un’arte. Mi riferisco alla forma. Sapevate,
per esempio, che i blues hanno una struttura formale classica? In genere, i ü p p p
f
si usa la parola blues per indicare qualunque canzone che sia blue, cioè I w ill not be a - fraid of death or b an e__ I said I
99
(Il complesso jazz esegue un arrangiamento blues del King Porter Stomp.
Lo stile è Dixieland.)
w ill not be a - fraid of death or b an e___ T ill
A questo punto sarò certamente riuscito a crearvi la convinzione che il
jazz non sia altro che blues. Ebbene, non è così. Per analizzare gli elementi
del jazz sono ricorso al blues unicamente perché in esso questi vi appaiono
chiari e allo stato più puro. Ma in tutto l’altro jazz non si fa altro che
applicare questi elementi alla canzone, alla cosiddetta popular song. Anche
questa ha una sua propria forma e segue schemi rigorosi. Questa forma si
divide in due o tre parti, ma quasi sempre è tripartita. Quest’ultima la co­
Avrete notato che a ciascuno dei tre versi corrispondono quattro misure; noscete benissimo, perché la sentite molto spesso. È semplicissima, chiunque
tutta la strofa ha quindi dodici misure. Ma il canto occupa soltanto la me­ potrebbe scriverne una.
tà circa delle quattro misure che corrispondono a ciascun verso; il resto Si prenda Sweet Sue, per esempio. Bastano, in sostanza, le prime otto
è destinato alPaccompagnamento di uno o più strumenti. L’entrata dello battute, cioè quelle che in gergo si chiamano refrain o ritornello.
strumento viene chiamata break. E dal break ha origine l’imitazione della
voce da parte dello strumento, la vera forza dinamica del jazz. Forse, il jazz L.B. ESEGUE AL PIANOFORTE:
allo stato suo più puro lo si incontra nei break improvvisati da Armstrong
in un blues cantato da Bessie Smith. Da questo tipo di imitazione della
-A -:-------------------
voce umana trae il suo sviluppo ogni altra improvvisazione strumentale.* -J 1 — n rr.
__1
Avete fatto caso allo strumento che ha accompagnato i nostri cantanti? Æ._______ U Cd U ZÀ
È un armonium, quel sostituto ansimante dell’organo che siamo abituati
ad associare agli inni religiosi; eppure è uno strumento tutt’altro che fuori
posto nel blues, anzi è adattissimo, perché in un blues gli accordi devono A questo punto, praticamente la canzone è già scritta, perché l’intero
essere sempre gli stessi tre di qualunque inno religioso. pezzo consisterà di sólo trentadue battute, cioè quattro gruppi di otto bat­
tute ciascuno. Il secondo gruppo è una ripetizione del primo:
L.B. ESEGUE ALL’ARMONIUM:

ARMONIUM ■ fa b , 11

P i r ' y * * J. J 1 ^ J- J L. _ y '— e t 7?— J


ti -8 - -8 - ¥
è TT TT

Sedici battute e siamo già alla metà. Le otto battute del terzo gruppo for­
mano quello che viene chiamato il « pónte » o <<parte mediana »; qui il
— —
motivo deve cambiare, ma non ha importanza che sia o no bello perché po­
i IV V chi vi badano e nessuno lo ricorda:

Questi accordi devono seguire sempre uno schema rigorosamente classi­


co. Se lo variate, dovete dire addio al carattere del blues.
Dunque, non manca niente: melodia, ritmo, colore del suono, forma e
armonia. Ciascuno di questi fattori possiede qualità speciali, per cui si ha
jazz e non musica qualunque. Mettiamoli tutti insieme e ascoltiamo per in­ Poi riappare il solito ritornello, che viene ripetuto da capo:
tero un blues, un bel blùes allegro. Sapevate che il blues può essere anche
allegro? State a sentire.
* Bessie Smith e Louis Armstrong, Reckless Blues, in The Bessie Smith Story, vol. 1, Co­
lumbia LP ML 4807.
fr--'

100 101
ed è fatto. Trentadue battute e abbiamo un classico della canzone. Facile,
no?
Ma Sweet Sue non è ancora jazz. Una canzone non diventa jazz finché
non ci s’improvvisa sopra. L’anima del jazz, infatti, è l’improvvisazione.
Ricorderete che vi ho già detto che il jazz non lo fa il compositore ma
l’esecutore. È qui la chiave del problema: è l’esecutore che, improvvisando,
crea il jazz. Egli usa infatti il motivo della canzone come un manichino sul
quale appunta le sue note e, abbigliandolo nella forma che vuole lui, crea
una musica nuova, del tutto originale. Nel suo nuovo abbigliamento, il mo­
tivo popolare cambia di conseguenza personalità, come tanti che in jeans
si comportano in un modo e in abito da sera in un altro. Qualcuno può
avere da obiettare a questo travestimento, può dire: « Fatemi sentire la Allegro > >
melodia originale, non tutti questi ricami ». Ma chi non accetta questo p ____________ p __
principio dell’improvvisazione non accetterà né capirà mai il jazz. i f r , fţ 1
7 —
Cosa vuol dire improvvisazione? Vuol dire che si sceglie un motivo, lo si
tiene a mente con la sua armonizzazione e tutto il resto, poi, come dicono, /
« ci si sbriga », cioè ci s’inventa sopra man mano che si va avanti.' Si pro­
cede con abbellimenti e modulazioni oppure con vere e proprie variazioni f f *7 1 : ^ . Ì ..... , f f 1
all’antica, cioè come facevano Mozart e Beethoven. Voglio darvi un’idea di
quel che faceva Mozart, in modo da farvi capire come fa Errol Garner.
Mozart prese un famoso motivo per bambini a lui noto come Ah, vous
dirai-je, Maman e che noi in America conosciamo invece come Twinkle, ^ 1 7 -, É = F ----- v — jI ------ V « ff------E---- f -----
Twinkle Little Star e usiamo anche per imparare l’alfabeto. b 7 ... E ........: -7 " r P

L.B. SUONA IL PIANOFORTE E CANTA:

Moderato
fri ft -r |T .= = [ G ^ q U -1

Un’altra:

Ora Mozart crea una serie di variazioni. Una di queste comincia:


102 103
E un’altra ancora: li unisce è l’armonia cioè la successione di accordi propria del tema, del mo­
tivo Sweet Sue nel nostro caso. Sulla base degli stessi elementi armonici, suo­
nano contemporaneamente due frasi melodiche diverse dando luogo, per
Allegro ---- .---- - ■»pi dirla in termini musicali, a un contrappunto accidentale. È il germe di quel­
1* p i la che viene chiamata jam session. Sentiamo la tromba accompagnare il
d=m=mzì=à=-À: r j j g 'ţ y i
clarinetto in una doppia improvvisazione di Sweet Sue. Cercate di distin­
guere le due linee melodiche.
_m--------- (•
[r ... r _____ TROMBA E CLARINETTO:
'" U i r

i l b i, ţ . I» ţj - ^
h T ì , r h 1 > = .
■.— » ------ :----------
T ro m b a ^ ^ ^ r *

' CLARINETTO
H LÌ .u ' " -
-------" I l i
L - a -p
= — - JaJJ

> >
Sono tutti pezzi diversi, eppure in un certo qual modo si tratta sempre - - = h é-*—*------ h ~
£ L _ zx — -Ş- f - —p p r p —
dello stesso motivo originario.
Il jazzista fa esattamente la stessa cosa. Di Sweet Sue si possono dare >
infinite variazioni. Il clarinetto, per esempio, può improvvisare sul refrain p 1
nel modo seguente: llt> ri m =
^ — J * ---- wf-----
c l a r in e t t o :

Sentite com’è eccitante? Questo improvvisare insieme diede luogo al co­


siddetto stile Dixieland, che è sempre di moda. Uno dei più esaltanti sound
di tutta la musica è quello di un complesso Dixieland che attacca il refrain
finale: prima si ha una pausa, poi tutti gli strumenti cominciano a improv­
visare insieme.*
Ma il jazz non è tutto e sempre improvvisazione. Anzi, molto jazz viene
regolarmente composto e scritto, dando luogo a quel che viene chiamato un
arrangiamento. L’epoca d’oro degli arrangiamenti furono gli anni ’30, quan­
do i grandi complessi sfoggiavano la propria bravura con straordinari arran­
Ma avrebbe potuto improvvisare in tanti altri modi, e se domani gli giamenti swing: Casa Lorna, Benny Goodman, Artie Shaw, i fratelli Dorsey
chiedessi di ripetere questa improvvisazione ne verrebbe fuori qualcosa di e tanti altri. Ora, il jazz non è facile da scriversi. Non c’è modo di indicare
completamente diverso. Pur sempre continuando a restare Sweet Sue, e, so­ sui pentagrammi quei quarti di tono di cui abbiamo parlato prima, quella
prattutto, jazz. opacità di timbro, quel ringhio dei fiati e tutte quelle altre sottigliezze d’in­
E ora veniamo all’aspetto più eccitante del jazz, almeno dal mio punto tonazione. Persino i ritmi è possibile annotarli solo in modo approssima­
di vista: l’improvvisazione simultanea. Questa si ha quando due o più ese­ tivo, cosicché gran parte di quella qualità che è propria del jazz viene la­
cutori improvvisano insieme sullo stesso motivo. Nessuno di essi sa quello sciata all’istinto dell’esecutore che legge la musica. E tuttavia il sistema
che farà l’altro, ma sente quello che l’altro ha suonato e riprende la frase
lasciata dall’altro dando così luogo a un dialogo tra gli strumenti. Ciò che * Bix Beiderbecke, Sweet Sue, in The Bix Beiderbecke Story, voi. 3, CBS 62375.
106
tati in corno. Ha studiato musica al Conservatorio o all’Università e così L'ARTE DI DIRIGERE
via. Tutte cose impensabili ai vecchi tempi. Oggi, il jazzista suona con più
calma e si concentra maggiormente sui valori musicali, sulla qualità d’into­
nazione e sulla tecnica. Conosce Bartók e Stravinskij, e questo lo si sente
nella sua musica, evita i grandi finali a effetto e chiude un pezzo là dove deve
finire.
Ma non è diventato cool lui soltanto: anche i suoi ascoltatori. Non bal­
lano più, infatti: ascoltano religiosamente, come si ascolta la musica da
camera, e alla fine applaudono educatamente. Nei night club di tutto il
mondo in cui si suona jazz, il pubblico non se ne sta necessariamente con un
bicchiere in mano a battere il tempo e a scatenarsi come si faceva quando
io ero ragazzo. Considerato che il jazz è pur sempre un’esperienza emotiva, ( L.B. comincia a dirigere il primo movimento della Prima sinfonia di Brahms.
oggi tutto sembra essere abbastanza cool e straordinariamente controllato. Dopo poche battute s'interrompe, scende dal podio e s'allontana dall'orche­
A cosa ci conduce questa nostra indagine? A conclusioni alquanto sor­ stra, che continua a suonare.)
prendenti. Non manca infatti chi sostiene che nel nuovo jazz debba scor­ Un poco sostenuto
gersi il vero inizio della musica seria americana, che finalmente il composito­
re americano abbia trovato la sua propria espressione. Naturalmente, dire 2 FLAUTI

questo equivale a dire che finora tutte le opere sinfoniche americane non so­
no state altro che imitazioni più o meno personali della tradizione sinfonica 2 OBOI

europea da Mozart a Mahler. Devo dire che a volte mi convinco che sia pro­
prio così. In ogni caso, un fatto è certo: la linea che separa la musica cosid­ 2 CLARINETTI
IN SI b
detta seria dal jazz va assottigliandosi sempre di più. Esistono compositori
« seri » che usano il linguaggio del jazz e jazzisti che fanno musica seria. 2 FAGOTTI

Ed ecco che forse siamo inciampati in una teoria.


CONTROFAGOTTO
Ma teoria o no, il jazz trova strade sempre nuove, a volte esumando
vecchi stili - è vero - ma comunque sempre alla ricerca della freschezza. In
ogni forma d’arte veramente vitale e rigorosa è inevitabile che si produ­ CORNI I, H IN DO

cano scissioni, sorgano controversie e si formino fazioni. Come nella pit­


tura i non-oggettivisti sono ai ferri corti con i figurativi e nella poesia gli CORNI m , IV IN MI b
immaginisti si scagliano contro i surrealisti, così nel jazz assistiamo a una
grossa battaglia fra i tradizionalisti e i progressisti. 2 TROMBE IN DO
Questi ultimi sono quelli che dimostrano maggiore tenacia nel proposito
TIMPANI IN DO-SOL
di allontanarsi da schemi che risalgono a mezzo secolo fa, nella sperimenta­
zione di nuove sonorità, nell’uso di relazioni tonali ignote al vecchio jazz e,
in generale, nel desiderio di rendere il jazz sempre più vivo e interessante
VIOLINI I
con l’allargamento dei suoi orizzonti. Il jazz è un arte viva e fresca nel
presente storico, ha un passato di tradizioni solidissime e un futuro pieno di VIOLINI n
promesse e sorprese.
VIOLE

(Trasmissione televisiva del 16 ottobre 1955) VIOLONCELLI

CONTRABBASSI
fpnsan*-
LEONARD BERNSTEIN:

Vedete? Non hanno bisogno di me. Se la cavano benissimo da soli.


108 109
l ’o r c h e s t r a p a s t i c c i a e s ’i n t e r r o m p e ; coesione tra gli orchestrali. Pertanto, la direzione dell’orchestra, così come
la concepiamo noi, data da meno di centocinquanta anni.
Il primo vero direttore nel senso moderno della parola fu Mendelssohn,
il quale fondò una tradizione del dirigere basata sul concetto di precisióne,
che trova il suo simbolo nel bastoncino di legno, la bacchetta. Mendelssohn
mirava a una precisa e accurata esecuzione della partitura che dirigeva ma­
neggiando in un certo modo la bacchetta. Ma ecco arrivare il grande oppo­
sitore, Richard Wagner, il quale dichiara che Mendelssohn sbagliava tutto
e che un direttore degno di questo nome deve dare il suo apporto personale
alla partitura infondendo nella musica le proprie emozioni e il proprio im­
pulso creativo.
Dallo scontro di queste due teorie nasce la storia della direzione d’or­
chestra e cominciano a emergere tutti quei grandi nomi di direttori e tutte
le accese divergenze tra loro che continuano ancora oggi. Si può dire che
Mendelssohn sia stato il fondatore della scuola «'elegante », mentre Wagner
il fautore della direzione « appassionata ». Naturalmente entrambe le ten­
denze sono necessàrie, l’apollinea e la dionisiaca, e nessuna delle due è del
tutto soddisfacente se non è temperata dall’altra. Entrambe possono dar
luogo ad abusi, come ben sappiamo, per aver sentito esecuzioni chiare e
precise e tuttavia aride come il deserto, e altre invece in cui la passione era
causa di distorsioni.
L’ideale del moderno direttore d’orchestra è una sintesi delle due scuole,
sintesi purtroppo raramente raggiunta. In realtà, è addirittura impossibile.
Quasi ogni musicista è in grado di dirigere, ma solo pochi diventano grandi
direttori. E questo non solo perché è diffìcile raggiungere la combinazione
Mendelssohn-Wagner, ma anche per la vastità del compito che il direttore
ha davanti a sé. Egli infatti, diversamente dallo strumentista e dal cantante,
deve saper suonare un’intera orchestra. Il suo strumento è formato da cento
esseri umani, ognuno dei quali è un musicista compiuto dotato di propria
volontà, e lui deve far sì che tutti gli esecutori suonino come un unico stru­
mento e abbiano un’unica volontà. Per affrontare un così vasto compito, il
direttore dev’essere dunque dotato di grande autorità e, a dire il meno, di
intuito psicologico. E non siamo che alle premesse. Egli dev’essere inoltre
Be’, non proprio benissimo. La gente non fa che chiedermi: perché oc­ padrone della meccanica del dirigere e possedere una cultura d’una vastità
corre un direttore? A cosa serve? Perché si dà tanto da fare? In fondo, difficile da concepire. Per riuscire a cogliere i significati più intimi della mu­
l’orchestra non è un insieme di professionisti esperti e del tutto preparati? sica deve unire a una sensibilità profonda un potere quasi soprannaturale
Non sanno contare? Non sanno leggere le note? Perché hanno bisogno di di comunicatività. Se possiede tutte queste qualità è il direttore ideale.
uno che batte il tempo per loro? É, in caso affermativo, cosa c’è di tanto Oggi, pertanto, cercheremo di scoprire una volta per tutte quali siano
eccezionale nel battere il tempo? Non può farlo chiunque? Il capo orche­ veramente le sue funzioni.
stra, per esempio, il primo violino? Non può dare lui l’andamento con il Cominciamo dalla meccanica, rimandando a dopo gli aspetti più sofisticati
suo archetto? della direzione. Il primo elemento che un direttore deve saper governare
In effetti un tempo si faceva così. C’è stata l’epoca del cosiddetto violi­ meccanicamente è il tempo. Battere il tempo è relativamente facile. Chiun­
nista-direttore, il cui compito era quello di indicare all’orchestra l’inizio e que può farlo, anche voi. Vi mostro in che modo.
la fine del pezzo e di seguirne sommariamente l’esecuzione. Tutto andò be­ Dovete sapere innanzitutto che la musica si svolge nel tempo, e che il
ne finché le orchestre si mantennero di piccole proporzioni, ma ecco che, tempo musicale si divide in battute (o misure), ciascuna delle quali si può
già ai tempi di Beethoven, esse cominciarono a ingrandirsi, e presto si av­ suddividere a sua volta in frazioni ritmiche uguali, che si susseguono a una
vertì la necessità di mettere sul podio qualcuno che assicurasse una certa certa velocità. Se queste frazioni ritmiche si trovassero in grande numero
110 111
(anche superiore a quattro nella stessa misura), noi batteremmo il tempo Questo è il primo assioma del dirigere. Se dunque in una battuta c’è
ugualmente in uno, due, tre o quattro movimenti al massimo (e non di più), solo un elemento ritmico, questo rappresenterà il primo e l’ultimo tempo
poiché si potrà sempre ridurre l’insieme di queste frazioni a combinazioni della misura e al .gesto in giù dovrà immediatamente seguire quello in su
di uno, due, tre o quattro elementi soltanto. (in modo da essere pronti a scendere di nuovo alla battuta successiva), così:
Ora, la prima frazione ritmica di una battuta è sempre indicata con un
gesto in giù:

L .B. PRENDE LA BACCHETTA:

Vedete com’è facile?


Ora dirigerò un brano con battute di un tempo solo, per esempio: II
valzer dei pattinatori di Waldteufel. Lo conoscete tutti.

L.B. CANTA E INSIEM E BATTE IL TEMPO:

Allegro
GIÙ - SU GIÙ - SU GIÙ - SU GIÙ - SU GIÙ - SU GIÙ - SU GIÙ - SU GIÙ - SU

(D (D (D (D (D (D <D (D

$ r ir T
Siamo così pronti a dirigere un’intera orchestra sinfonica nel Valzer dei
pattinatori. Via.

( l .b . b a t t e q u a t t r o m i s u r e a v u o t o p o i , f u r t i v a m e n t e , f a s e g n o
a l l ’o r c h e s t r a d i a t t a c c a r e , v e n g o n o e s e g u i t e trentadue bat­
tute.)

Non era difficile, vero? Vi sorprende che un valzer possa essere eseguite»
in uno? Generalmente si ritiene che il valzer sia in tre: un-due-tre, un-düe-
tre.
112 113
L.B. c a n t a i l Valzer dei pattinatori contando in t r e : prima sarà un gesto in giù e la terza in su. Quella di mezzo, la seconda, va
indicata con un gesto di lato a destra. Così:
1 - 2 3 1-2-3 1-2-3 1-2-3 1-2-3 1-2-3 1-2-3 1-2*3

■S-
3 i etc.

È vero, è in tre. Ma la velocità è tale che, se il direttore dovesse batterle


tutt’e tre, batterebbe un gran numero di brevissime frazioni ritmiche inu­
tilmente. Inoltre, è faticoso e poco chiaro per l’orchestra. Combiniamo
allora ogni gruppo di tre frazioni ritmiche in una e battiamo solo la prima
delle tre.
E ora che sappiamo battere il tempo in uno, tentiamo con quello in due.
Ricordate quanto ho già detto: la prima frazione di ogni misura dev’essere
indicata con un gesto in giù e l’ultima con uno in su. È logico^ quindi che
dovendo contare in due il primo gesto sarà in giù e il secondo in su, così:

2 1

La battuta di tutt’e tre risulterà dunque così:

A questo punto, siamo pronti per dirigere la Nona di Beethoven. Voglia­


mo provare?

ORCHESTRA:

GIÙ SU GIÙ SU GIÙ SU GIÙ SU

Facciamo progressi. Possiamo dunque passare alla battuta in tre. Di


questa, ciò che non conosciamo è la seconda frazione. Ma sappiamo che la Vogliamo passare aìVIncompiuta di Schubert?
114 115
ORCHESTRA: e tutta la battuta comporterà i seguenti gesti: *
A llegro m oderato 4

PP
Ora non ci rimane che imparare a battere il tempo in quattro. Come già
sapete, il primo comporta un gesto in giù e il quarto in su. Il numero due,
in questo caso, sarà un gesto in dentro, verso la persona del direttore:

Dirigiamo ora un brano in quattro tempi: il tema principale di Pierino


e il lupo di Prokofiev.
il tre un gesto laterale d’allontanamento:
ORCHESTRA:

®
®

0
0
® ® ®
Allegro moderato • • ^ „___
p _^ y~ p ---- ----- :---- -—
^■4— + p r= r-F -f - r r
V * p ------ -A !■ H

(D ® ® ® (D ® ® ®

Dopo aver diretto la Nona di Beethoven, Ylncompiuta di Schubert e


Pierino e il lupo di Prokofiev, siamo praticamente in grado di dirigere tutto.
Se, per esempio, ci ritroviamo davanti un brano in cinque tempi, non fac­
ciamo altro che suddividerlo in una combinazione di due più tre oppure tre
* In pratica, un direttore d’orchestra raramente dà il tempo con movimenti così squa­
drati. I suoi gesti in realtà possono descrivere delle curve continue.
116 117
più due. E così avremo 1-2 e 1-2-3, oppure 1-2-3 e 1-2.* Se mai vi capi­ 2 !
tasse —non si sa mai - di dover dirigere il secondo movimento della Pate­
tica di Cajkovskij, che è in cinque quarti, basta che battiate il tempo alter­
nativamente in due e in tre e avrete battuto in cinque.

oppure un tempo binario pieno di calore e cantabile detto « legato »:

due
Ora, dopo aver diretto tutta questa bella musica, possiamo dire con tutta
sicurezza che, dopotutto, non abbiamo diretto un bel nulla. Abbiamo sol­
tanto battuto il tempo, e c’è una differenza enorme fra il dirigere e il battere
il tempo.
Vediamo dunque in che cosa consiste questa differenza.
D ’accordo, il direttore sa battere il tempo; ma come e dove può eserci­
tarsi?
Il violinista col suo violino si esercita a casa sua, e così pure il suo­
natore di ottavino o quello di tuba. Un direttore, invece, ha bisogno di uno
strumento terribilmente costoso, troppo grande per essere tenuto in casa e
troppo impegnato per essere sempre a disposizione. Per un direttore giovane
è un grosso problema. Spesso infatti è costretto a esercitarsi da solo, magari
davanti a uno specchio, ascoltando un disco. Di rado ha un’orchestra a di­
sposizione. o ancora lo stesso tempo, ma con ampiezza, « sostenuto »:
Facciamo comunque l’ipotesi che egli sappia già battere il tempo perfet­
tamente; gli resta ancora molta strada da fare per diventare direttore. La
verità è che con la bacchetta non si deve battere soltanto il tempo, ma anche
comunicare agli orchestrali il carattere della musica. È una vecchia storia du-u-e
quella per la quale con la mano destra si batte il tempo e con la sinistra
si esprimerebbero le emozioni. Sciocchezze. Nessun direttore può dividersi
in due, quello che batte solo il tempo e quello che interpreta la musica.
L’interpretazione dev’essere tutt’uno con il battere del tempo. Esistono,
per esempio, infiniti modi di battere in due, e ognuno di essi esprime qual­
cosa di diverso. Un direttore dovrebbe saper comunicare ogni sfumatura
con la mano sinistra legata dietro la schiena.
Deve saper battere un tempo binario rapido e incisivo che è chiamato
« staccato »:

u-n-no
* Vedi pag. 112 per la battuta in due tempi a pag. 113 per la battuta in tre.
118 119
oppure leggero, giocoso; capire quanto diversa possa essere la concezione del tempo in musica vi
farò ascoltare la registrazione delle prime battute del Secondo concerto
due brandeburghese di Bach diretto prima da Fritz Reiner: *
— A
Moderato

fi r f i JJJ. 1* m J Tt~p"*L0- J J J
■ 1 J -P 1
o drammatico, tempestoso:
ecc.

due! »!•
—r—R--- rW--- ---------w----m
■ M 1 1 (■ M W C______
E______m_____ ifr - .W
J-C._m
r L a i- r j L— 1 E -J1- 'U J L -J L -^ - -

poi da Karl Haas: **

L ento e misurato

— ^ — 1 M ------------P ----------------p — ---------------- ■ 1 M -------------p ----------------p — i


r ù 1 1 g I J -i m 1 -J m m » \ i ---------- m ---------- 1- i m m m
.ir -» f j ■ a
fM ? IT ■ W •m m m m ® m ■ -m H I m m w u r ■
■vp r a * 9 w w » p r ■ ■a I w * ■ T a r
T - T U r i j U u I s l j U u

uno!
- I* 1 f i 9 P P 9 C " ™ 1 1 1 ™ 1 1 I 1 ™

o innumerevoli altre sottili sfumature. H - ì b i a e r a a - L r d

Comunque il direttore non può battere il tempo senza decidere a quale


velocità, cioè senza aver scelto, appunto, il tempo, l’andatura della musica.

ï
Ni
Deve aver dunque il dono di saper trovare il tempo giusto. Secondo Wagner
Ab Iff

ri
§—PTÜ LJi -E— *—P—= = = _ = - L _ ^ ------

1
questo è il primo requisito di un direttore d ’orchestra. Ma qual è il tempo
giusto, il vero tempo di una musica? Non si trovano due direttori che siano
d’accordo su questo, e se sentite lo stesso pezzo diretto da sei direttori di­ ecc.
versi sentirete che ognuno dirige a un tempo diverso. Eppure ciascuno è
convinto che il proprio tempo sia quello giusto.
È stata avanzata ip o tesi che il metabolismo di un individuo sia un fat­
tore determinante, poiché dalla frequenza del respiro e del polso deriverebbe U u U J Li
il senso del tempo. Ma di questo non si è ancora unanimemente certi. Co­
sicché siamo ancora al punto in cui il tempo di un brano musicale può far * Gruppo da Camera Reiner, Concerto brandeburghese n. 2, Harmony 7062.
nascere inimicizie mortali fra direttori d’orchestra, mentre i musicofili si ** London Baroque Ensemble (direttore Haas), Concerto brandeburghese n. 2, 6 West
accapigliano caldeggiando ciascuno il proprio direttore preferito. Per farvi XWN-18365.
120 121
e infinesotto la direzione di Pablo Casals: * si può accorciare una frazione della battuta allungando le altre:
M olto veloce

* 3

2 < -
V
1

La questione, dunque, è molto controversa. Ma il punto è che, a qualsiasi Ecco, per esempio, un frammento di Chopin senza rubato, cioè eseguito
tempo si decida di dirigere, è essenziale che l’andatura presa sia mantenuta con tempo macchinalmente preciso:
invariata per tutto il pezzo. E la cosa non è poi tanto facile. La maggioranza
di coloro che studiano direzione d’orchestra trovano difficoltà a evitare
rallentamenti e accelerazioni.
Naturalmente, molto spesso il direttore non desidera mantenere invaria­
to il tempo, ma ottenere invece un fluire della musica più libero è non
meccanico. In gergo questo tempo si chiama, con parola italiana, « rubato ».
Letteralmente, si ruba a Pietro per dare a Paolo. In altri termini, si ruba i
un po’ di tempo accelerando una frazione della battuta e se ne allunga una etc.
altra frazione. In tal modo si crea una certa libertà di gioco entro la bat­ r i fa
tuta, libertà che svincola da un tempo macchinalmente immutato. Così, in­
vece di battere uno-due-tre-quattro, come un orologio:
tu tu m zu

x
X
X lo stesso brano eseguito esagerando il rubato:
X

* Orchestra del Festival di Prades (dir. P. Casals), Concerto brandeburghese ». 2, 3


Col. 3M L 4345.
122 123
« Concerto per violino e orchestra, op. 77 » di J. Brahms (II movimento)

Come vedete, il rubato può dar luogo a molti abusi. Infatti, se non è
usato con discrezione, in misura giustificata dallo stile e dal senso della
musica, può degenerare nel più vieto sentimentalismo. Adoperato con gu­
sto, invece, diventa un mezzo indispensabile d’espressione.
Tuttavia, dopo aver appreso a battere il tempo, a comunicare fi carattere Un pianista, invece, deve imparare molte note contemporaneamente:
della musica di ciascuna battuta, a trovare il tempo giusto e a mantenerlo
e infine a usare il rubato con discrezione, dopo tutto questo, il direttore di
orchestra è soltanto agli inizi della sua impresa. Lo attende ancora un uni­ « Sonata per pianoforte, op. 5 » di J. Brahms (I movimento)
verso di cose da apprendere in maniera così profonda che la relativa espe­
rienza deve diventare in lui una qualità automatica. Questa conoscenza
comincia con l’imparare a leggere la partitura.
Una partitura orchestrale è cosa assai complessa. Un cantante deve im­
parare soltanto un rigo di musica, una nota per volta:

« Requiem tedesco » di J. Brahms (III)- Baritono solo

Andante moderato
“n i --------------- r ------------------------- f ■■=
_J-----------------------
r - 9 -------------------------
:* r J=-
& HERR, LEH - RE DOCH ϻ4ICH, DASS EIN EN-

Lr p— *■ ? - — T71----------------- m ------
ecc.

h ----------------------------------------
DE MIT MIR HA-
- r 1r -
BEN M U SS,
1

ed eventualmente - ma molto eventualmente —avere una certa conoscenza


dell’accompagnamento. Lo stesso vale per un violinista:
Ma fi direttore d’orchestra deve conoscere da cima a fondo simultaneamente
un numero sbalorditivo di note, voci e parti:
Un poco sostenuto 125
2 FLAUTI

fileggio
2 FLAUTI 2 OBOI

2 CLARINETTI
2 OBOI
IN SI b
fiUgglo
2 CLARINETTI 2 FAGOTTI
IN SI b
CONTROFAGOTTO
2 FAGOTTI

CORNI I , H IN DO
CONTROFAGOTTO

C O R N I I , n IN DO CORNI m , IV IN MI b

2 TROMBE IN DO

2 0 R N I m , IV IN MI b
TIMPANI IN DO-SOL

2 TROMBE IN DO

VIOLINI I
TIM PA N I IN DO-SOL

VIOLINI n

VIOLINI I
VIOLE

VIOLINI n VIOLONCELLI

CONTRABBASSI
VIOLE
f pesantr

I
VIOLONCELLI

CONTRABBASSI Contiene cinquantacinque note suonate da cento strumenti. Il direttore


deve conoscerle tutte, altrimenti non ha nessun diritto di salire sul podio.
E questa è solo una delle 1260 battute di questa sinfonia.
Cosa fa dunque un direttore d’orchestra quando per la prima volta si
trova di fronte una partitura come questa? Di solito comincia a leggerla più
o meno superficialmente, a volte con la fretta, con la quale si legge un ro­
manzo giallo. V ’incontra una certa suspense ed è preso dal desiderio di ve­
dere come va a £inire. Mentre legge, però, sente anche. La gente si meravi­
glia quando scopre che, leggendo una partitura, un direttore sente la musica,
eppure è così. In un certo senso, il suo talento è commisurato alle note
126 127
scritte che riesce a sentire. In questa sua prima lettura deve saper inqua­ Ma non ha ancora scoperto la melodia, l’anima della composizione. È questa
drare culturalmente e stilisticamente il lavoro; nel caso particolare della l’altra funzione, quella che Wagner definiva requisito essenziale del
Prima sinfonia di Brahms, per esempio, entrano in gioco una somma di direttore: l’abilità di scoprire la linea melodica principale in una massa di
considerazioni basate sulla conoscenza delPepoca del compositore, della sua note. Ebbene, nel nostro caso essa è affidata ai primi violini, ai secondi che
vita e dell’atmosfera culturale in cui visse, delle sue aspirazioni e dell’in­ suonano un’ottava sotto e ai violoncelli a un’ottava ancora più bassa.
fluenza su di lui esercitata da altri compositori e artisti. In altre parole, un
direttore non deve essere solo un musicista ma anche uno studioso di storia
della musica.
Esaminata la partitura, rapidamente ma dalla prima all’ultima nota, ecco V IO L IN I I

che ha inizio il vero lavoro. Essa va innanzi tutto smontata e studiata in


ogni suo aspetto. Nel caso della Prima sinfonia di Brahms, il direttore co­
mincia col notare che in essa suona tutta l’orchestra tranne tre tromboni, f espress. e legato
che entrano soltanto nell’ultimo movimento, per il gran finale. Quindi os­ v io lin i n
serva che i legni - due fllauti, due oboi, due clarinetti e due fagotti —suo­
nano tutti le stesse note, una frase discendente, creando l’effetto di un coro. :r # m

* espress. e legato

Vi sono dunque due elementi musicali concomitanti, uno ascendente,


l’altro discendente:

A questo punto, il direttore va a controllare le altre sezioni (gli ottoni e


gli archi) per vedere se suonano le stesse note, ovvero « doppiano », come
si dice in gergo. Scopre così che due corni doppiano almeno parte della
frase:

C O R N I IN M I b ------- -------- - : ’ ' — ■


-------------■— ,

A — f " - r * -------- n-w H B


1 \

JSLÜ -------------------- ----------------— 1---------------------- ------------------- -----------------


n W “ r “
J b ---------------

È dal contrasto tra queste due linee melodiche in moto contrario che nasce
la tensione, il conflitto che caratterizza l’intero movimento.
e che le viole la doppiano interamente: Ma non è tutto; gli altri due corni mantengono una nota lunga che ri­
suona cupa nel basso:
128 129
A sua volta, questa nota tenuta dai corni viene rinforzata dai contrabbassi
(e dai controfagotti) che la ripetono per sei battute:

CONTRABBASSI

S ecc.

Dopodiché il direttore osserva che i timpani sostengono i contrabbassi (e i


controfagotti) con la loro risonante percussione:

TIMPANI IN D O , SOL

m - m ii.
due linee melodiche sovrastanti, la cui tensione vien generata proprio dal
loro opposto avanzare; se dovessero indugiare a un tempo eccessivamente
lento, la tensione verrebbe meno e andrebbe in gran parte perduto il loro
Infine, le trombe doppiano le note dei bassi contribuendo allo smagliante contrasto.
inizio di questo primo movimento: Fatte tutte queste considerazioni, spetta al direttore trovare il tempo
giusto dell’esecuzione. Quel susseguirsi delle percussioni dei timpani po­
trebbe suggerirgli di sottolineare la solennità, il senso di fatalità di questo
TROMBE IN DO
inizio. In tal caso, dovrà decidere di dirigere a un tempo più moderato.
Potrebbe invece dar maggior risalto al movimento delle due linee melodi­
che, e allora il suo tempo dovrà essere alquanto più mosso. Tutt’e due que­
ste versioni soddisfano Tunica idea chiaramente espressa da Brahms al ri­
guardo: un poco sostenuto. La differenza fra le due è data dalla diversa
Il direttore si trova dunque di fronte a tre elementi principali che agi­ interpretazione di quelle tre parole che ha informato la scelta del direttore.
scono contemporaneamente: le due frasi melodiche che si sviluppano in con­ Bene, ora forse il nostro direttore può accingersi a dirigere la pagina ini­
trasto fra loro e i bassi che marcano una minacciosa serie di pesanti colpi. ziale della Prima sinfonia di Brahms. No, un momento. Non ha ancora con­
Su quasi tutte le note, inoltre, osserva quelle linee curve: esse indicano siderato quella « f » che compare all’inizio della parte di ciascuno strumento.
che tutte queste note devono essere eseguite « legate ». Tutto questo gli « F » sta per « forte », e anche in questo caso il direttore si trova di fronte
svela, l’intimo significato musicale di quella ridda di punti neri e linee: a una scelta: quanto forte? Se Brahms avesse avuto in mente un « molto
dramma, tensione, sofferenza, fatalità. forte », di « f » ne avrebbe messe due o tre. Una sola, invece, indica sem­
Gli rimane da decidere il tempo con cui eseguire questa musica. L’indi­ plicemente « forte ». In questo fatto deve forse ravvisarsi il senso della
cazione fornita da Brahms, « Un poco sostenuto », praticamente non gli misura, proprio del classicismo brahmsiano. Forte, ma non troppo forte,
dice niente. È impossibile, con queste tre parole, determinare la velocità non esagerate il volume del suono: è questo che vuol dirci Brahms; proprio
dell’esecuzione. Esiste il metronomo, un meccanismo regolabile che batte come quell’ « un poco sostenuto », che vuol dire « lento ma non eccessiva­
il tempo alla velocità voluta con un numero fisso di oscillazioni a ogni mente ». Poi vi sono altre indicazioni: legato, espressivo, pesante, questa
minuto primo. ultima riferita alle note nei bassi.
Per esempio: sessanta oscillazioni al minuto danno un tempo piuttosto E allora? Si è adesso pronti all’esecuzione di questa prima pagina? Temo
lento. A 152 oscillazioni si ha un tempo velocissimo. di no. Si considerino, per esempio, le note dei corni in mi bemolle e la loro
melodia discendente. Questa nasce nel registro alto, brillante, del corno; le
Ma Brahms, come molti altri compositori, preferisce ignorare il metro­
note squillano come le campane di una chiesa, eppure non devono sopraf­
nomo e non ci dà alcuna indicazione al riguardo; ci ritroviamo quindi solo
fare il suono degli altri strumenti. Ed ecco il problema dell’equilibrio sono­
con quelle tre parole: « Un poco sostenuto ». Bene, almeno sappiamo
ro in un’orchestra sinfonica. Nel caso specifico, il direttore deve tener conto
che dev’essere sostenuto e, quindi, non veloce. Ma allora perché non dire: che per ottenere questo equilibrio i corni dovranno suonare un tantino
lento? In realtà, ciò a cui Brahms aspira è un incedere sicuro, solenne e meno forte di quanto quella « f » consente. Questi corni, per essere più pre-
minaccioso, ma tuttavia non tanto lento da trattenere il fluire di quelle
130 131
cisi, non devono produrre un clangore che infrangerebbe il legato della li­ pronto a dirigere l’inizio della Prima sinfonia di Brahms. Facciamo tuttavia
nea melodica su accennata. In seguito, col discendere delle note della loro Tipotesi che lo sia. Dopo la prima pagina gliene rimangono altre 165, e
melodia, i corni giungono in una zona del registro nella quale il loro suono sono pagine ancor più complesse, che esigono scelte e decisioni sempre più
è meno proclamatolo e possono pertanto aumentare il volume sonoro ade­ ardue. Una volta superate tutte le difficoltà rappresentate dall’equilibrio
guandosi al resto dell’orchestra. E questa è una sola delle tante sottigliezze strumentale, dalla dinamica, dal tempo, dall’espressione, dallo stile, dalla
a cui deve badare un direttore d’orchestra. Brahms infatti non fornisce al­ concezione e dal clima culturale in cui è nata l’opera eseguita, non farà altro
cuna indicazione su questa variazione del volume sonoro dei corni. che dirigere un’« accurata » esecuzione della Prima sinfonia di Brahms,
È inutile dire che l’abilità di ottenere un equilibrio orchestrale soddisfa­ come se ne sentono tante. Eseguirà la sinfonia così come Brahms l’ha scritta,
cente dipende anche dalla conoscenza dei vari strumenti: la loro tecnica, la con i tempi giusti, con le linee melodiche che non vengono sopraffatte dall’
ampiezza del loro registro, ! loro limiti e il colore che è proprio di ciascuno accompagnamento, e con un’orchestra che (se ha buon orecchio) suonerà le
di essi. Il direttore deve conoscere con esattezza tutte le sfumature di suono, note giuste: ne risulterà un’esecuzione fedele, ma poco entusiasmante.
e come esigerle dai suonatori. Per esempio, le trombe appartengono a una Le qualità che distinguono i grandi direttori d’orchestra si trovano mol­
famiglia degli ottoni il cui suono è stridente e penetrante. Ma nel finale to al di sopra di tutto ciò che abbiamo detto finora. Entrano cioè in gioco
dell’ultimo movimento della Prima sinfonia di Brahms, dove proprio gli qualità indefinibili, l’alta magia del dirigere, la relazione misteriosa che si
ottoni cantano il grande tema corale, il loro suono non dovrà essere né stri­ stabilisce fra il direttore e gli orchestrali uniti insieme in un attimo fugacis­
dente né penetrante, anche se molto forte: devono cantare un corale, come simo ma pieno di conseguenze. Come spiegarvi la magia del momento in cui
se fossero un grande organo, e spetta al direttore far sì che cantino. Pari- un’esecuzione ha inizio? Il momento giusto per l’inizio dura solo una fra­
menti, egli deve saper ottenere dai violini un suono percussivo, contrario zione di secondo. C’è una stasi, un’attesa, durante la-quale l’orchestra si pre­
cioè alla loro natura. Altre sottigliezze: al suono, al canto dei violini, si para ad attaccare, il direttore si concentra con tutta la volontà e forza pri­
possono dare diverse sfumature. Una la si ottiene col vibrato veloce, una ma di accingersi al lavoro che l’aspetta, il pubblico tace, l’ultimo colpo di
altra con un vibrato lento, trascinato, un’altra ancora usando l’archetto con tosse s’è spento. Non s’ode nemmeno un fruscio; l’orchestra è pronta e...
molta leggerezza e una quarta premendo l’archetto sulle corde. È compito via! Attacca! Ancora un attimo e sarebbe stato troppo tardi, tutta la magia
del direttore d’orchestra far sì che i violini suonino nell’una o nell’altra sarebbe svanita.
maniera: deve decidere se il pizzicato degli archi vada eseguito mediante Questa tempestività psicologica è necessaria durante tutto il tempo della
l’uso della parte dura della punta delle dita (che produrrà un dato colore esecuzione; essa comporta da parte di un grande direttore un senso vivissi­
di suono o se invece si debba usare la parte più soffice del polpa­ mo del fluire del tempo, perché a ogni nota deve farne seguire un’altra nella
strello. che produrrà tutt’altro colore. Egli deve saper esigere suoni « più maniera giusta e nell’istante preciso. La musica, come abbiamo già detto,
intensi » o « più tenui » dagli oboi e dai clarinetti, e ottenere varie sfuma­ esiste nel tempo, ed è il tempo che va tagliato, modellato e rimodellato
ture di suono dagli strumenti a percussione. L’elenco di ciò che deve sce­ fino a che, come una statua, diventi una forma vivente. È il compito più
gliere e ottenere è interminabile. difficile, perché una sinfonia non è una statua che può essere ammirata
In così vasta preparazione deve includere anche la capacità di prevedere nel suo insieme e poi, a piacere, nei suoi particolari in momenti diversi. La
gli errori abituali di un’orchestra, e ciò può farlo se conosce le cattive abi­ musica ci imprigiona neLtempo. Appena risuona, ogni nota già non esiste
tudini di cui sono di solito vittime gli orchestrali. Questi, per esempio, più e non potrà mai più essere ricontemplata o riudita in quel particolare
producono inconsciamente un crescendo, aumentano cioè il volume della e preciso istante. È sempre troppo tardi per ammirarla una seconda volta.
sonorità di una frase musicale ascendente, e fanno pure l’opposto, vale a Il direttore d’orchestra è dunque uno scultore la cui materia è il tempo
dire producono un diminuendo, quando la frase è discendente. Cosa succede fluente invece del marmo fermo, e nello scolpire deve possedere in modo
se fan questo anche con Brahms? Ricordate il moto contrario di quelle due superlativo il senso della proporzione e dell’equilibrio. Deve saper giudi­
melodie dell’inizio della Prima sinfonia? Se la melodia discendente si affie­ care la massima ampiezza dei ritmi e l’intera fraseologia musicale coinvolta.
volisse, tutta la tensione, il conflitto tra le due frasi musicali verrebbe Deve impadronirsi della forma di una composizione non solo nel senso di
meno. stampo ma nel suo significato più profondo: deve cioè sapere quando il di­
Questi sono soltanto alcuni dei mille minuti dettagli a cui deve badare un scorso musicale si fa più disteso, quando invece s’intensifica, quando la
direttore d’orchestra. In realtà, lo studio di una partitura non finisce mai; tensione raggiunge il massimo, quando deve quietarsi per radunare le forze
un direttore è un eterno studente. A ottanta anni, prima di dirigere 1’ necessarie allo slancio successivo, nel quale quelle forze devono scatenarsi.
Eroica per la cinquecentesima volta, Toscanini ne studiava ancora la parti­ Queste sono le qualità indefinibili e misteriose del dirigere che nessun
tura come quando era agli inizi della sua carriera. E prima di salire sul po­ direttore potrà mai imparare o acquisire. Se ha il dono naturale di una pro­
dio era ancora nervoso come le prime volte. fonda sensibilità, questa aumenterà e s’approfondirà col progredire della sua
Quindi, in un certo senso il nostro direttore non sarà mai completamente carriera verso la maturità. Se invece non possiede questo dono, sarà e resterà
132 133
un direttore di buon livello; ma anche per raggiungere quel livello, la sua tenza, a ogni minima pulsazione, allora si determina un’identità umana di
personalità deve avere un altro attributo, senza il quale tutta la sua tecnica, sentire che non trova riscontro altrove. È la cosa più simile all’amore che
la sua conoscenza e la sua sensibilità saranno vane: la capacità di comunicare io conosca. E in questa corrente d’amore il direttore riesce a comunicare
all’orchestra il suo modo di pensare e sentire la musica con tutti i mezzi con gli orchestrali, e infine col pubblico, ai livelli più profondi. Alle prove
di cui dispone, braccia, volto, occhi, dita e con qualsiasi vibrazione dell’in­ egli può urlare, imprecare, insultare e maledire gli orchestrali - come hanno
tera persona. Se usa la bacchetta, questa dev’essere una cosa viva, carica fama di fare alcuni grandi direttori —ma se quest’amore nasce, direttore e
di magnetismo e di significato in ogni suo minimo movimento. Se non usa orchestra rimarrano uniti insieme a formare un solo organismo.
la bacchetta, le sue mani devono ottenere gli stessi risultati con altrettanta Questo è il direttore ideale. E il principale dei suoi requisiti è, forse, la
chiarezza. Comunque, con o senza bacchetta, i suoi gesti devono sempre sa­ umiltà verso il compositore, la capacità di non frapporsi tra musica e pub­
per comunicare, in anticipo sul suono, il preciso significato di quella data blico, di far sì che tutti i propri sforzi, per strenui e geniali che siano, sod­
musica. disfino unicamente le intenzioni del compositore e servano unicamente la
Ci accorgiamo quindi che comunicare con l’orchestra richiede una tecnica musica, che, in definitiva, è l’unica ragion d’essere del direttore d’orchestra.
fisica. Come sapete, certe emozioni provocano riflessi nel nostro fisico. La
contentezza ci fa muovere involontariamente alcuni muscoli facciali e sor­ (La trasmissione si conclude con una prova breve e non preparata del quarto
ridiamo. Lo stesso succede quando si dirige un’orchestra. Le emozioni movimento della Prima sinfonia di Brahms.)
suscitate dalla musica provocano reazioni muscolari nel direttore, e queste,
a loro volta, suscitano le stesse emozioni negli orchestrali.
(Naturalmente, durante le prove occorre fare anche uso della parola; ci (Trasmissione televisiva del 4 dicembre 1955)
son cose che non possono essere spiegate solo a gesti. Ma un discorso pro­
lisso e romantico sulla bellezza della composizione, con digressioni meta­
foriche sulle foreste e il mormorio dei ruscelli, di solito non serve a niente.)
L’elemento principale della tecnica della comunicazione è la preparazione.
Tutto dev’essere spiegato all’orchestra prima, perché appena una nota viene
suonata è troppo tardi. Il direttore dev’essere dunque sempre in anticipo
di almeno una frazione di battuta sull’orchestra. Deve quindi poter udire
contemporaneamente le note che vengono suonate in quel momento e quel­
le che saranno suonate immediatamente dopo. Basta, per questo, che il
direttore si avvalga del cenno, del gesto preparatorio. Se gli sta di nuovo
di fronte la pagina iniziale della Prima sinfonia di Brahms, il suo gesto pre­
paratorio deve significare all’orchestra il carattere della musica che sta per
essere eseguita. Ghe lo consideri fremente o agitato, pensoso o pieno di
presagi, il suo gesto deve essere comunicato agli orchestrali perché vi si
adeguino. È come il respiro: il gesto preparatorio equivale all’inspirare, la
musica che ne segue all’espirare. Dobbiamo tutti inspirare prima di parlare,
per esempio, e parlando espiriamo. Così è con la musica: inspiriamo al ge­
sto preparatorio ed enunciamo una frase musicale, poi inspiriamo di nuo­
vo ed espiriamo la frase successiva. Un direttore che respira con la musica
ha già acquisito una tecnica molto avanzata.
Un direttore, però, non solo fa suonare gli orchestrali, ma gli infonde
anche il desiderio di suonare. Lusingando, esigendo, sfuriando, deve entu­
siasmarli, farli esaltare, provocare in loro scariche di adrenalina. In un mo­
do o nell’altro, deve ottenere che amino la musica quanto l’ama lui stesso.
Non si tratta di imporre la sua volontà come un dittatore, quanto piuttosto
di proiettare il proprio sentimento tutt’intorno a sé, fino all’ultimo dei se­
condi violini. Quando ciò accade, quando cento orchestrali provano i suoi
stessi sentimenti nel medesimo istante e obbediscono simultaneamente a
ogni sorgere e abbassarsi dell’onda musicale, a ogni punto d’arrivo e par-
/ 135
LA COMMEDIA MUSICALE AMERICANA e così via. Tutti si situano fra i due poli del varietà da una parte e dell’o­
pera in musica dall’altra e, in misura diversa, si avvicinano chi all’uno chi
all’altro estremo.
Ma che cosa separa a tanta distanza questi due estremi? Vi sono due
differenze basilari. Prima, naturalmente, è la diversità di intenzioni. Uno
spettacolo di varietà vuol divertire e niente più. L’opera, invece, ha una
intenzione artistica, quella di arricchire e nobilitare lo spirito degli spetta­
tori suscitando in essi emozioni elevate. Poi l’altra differenza: lo spettacolo
di varietà consiste in un insieme di canzoni, balli, scenette, acrobazie, nu­
meri eseguiti con cani ammaestrati e altro, che si susseguono senza un filo
conduttore; l’opera invece racconta una storia, ha un intreccio e ambisce
LEONARD BERNSTEIN: a dar maggior vita a quest’intreccio attraverso la musica.
Tutte le altre forme che abbiamo menzionato oscillano fra il varietà e
Lo scintillante mondo del teatro musicale copre un campo vastissimo che l’opera. Quanto più uno spettacolo si allontana dal puro divertimento,
va dal carosello musicale (presentato al liceo di vostro nipote) al Crepuscolo quanto più cerca di impegnare l’interesse e le emozioni del pubblico tanto
degli Dei. E nella grande massa di canti, balli e recite, ci si imbatte in ciò più si avvicina all’opera. E quanto più la musica viene impiegata per dar
che viene chiamata la commedia musicale americana, cioè il musical: un’e­ maggior vita alla vicenda, tanto più lo spettacolo si avvicina al polo della
spressione che ha del magico. Noi americani, ne abbiamo preso il vizio: opera.
paghiamo somme enormi per assistervi, ne discutiamo a colazione e ai cock­ Ora, in che modo l’uso della musica riesce a vitalizzare una vicenda tea­
tail con la stessa passione che riserviamo alle elezioni e alla squadra dei trale? In più modi: con il balletto, con musica di accompagnamento al
Dodgers. Attendiamo un nuovo musical di Rodgers e Hammerstein o di dialogo, con l’intervento di cori, eccetera. Però la tecnica più comune per
Frank Loesser con la stessa eccitazione, la stessa faziosità con le quali a raccontare musicalmente una vicenda consiste nell’uso del recitativo, una
Milano si attendeva la nuova opera di Puccini o a Vienna l’ultima sinfonia parola che certamente conoscete e associate all’opera, ma il cui significato'
di Brahms. Sentiamo dire dappertutto che l’America ha dato al mondo una preciso vi risulta forse ancora un po’ nebuloso. In che cosa consiste il reci­
nuova forma d’arte: unica nel suo genere, viva e inimitabile. Eppure nes­ tativo? Supponiamo io faccia parte di una vicenda nello svolgimento della
suno è in grado di spiegarci in che cosa consista questo fenomeno. Perché quale, a un certo punto, debbo informare mia moglie che il prezzo del
Guys and Dolls è unico? In che cosa consiste l’originalità di South Pacific? pollo è salito di tre lire il grammo. In un musical io le direi semplice-
Perché in Europa non sanno produrre qualcosa come Pajama Game? E My mente « il pollo è salito di tre lire il grammo » al che mia moglie can­
Fair Lady è veramente una pietra miliare verso una nuova forma d’arte? terebbe un lamento sul carovita. Ma in un’opera, la notizia a mia moglie
Cercheremo di rispondere a questi quesiti e di capire come i duemila la devo fare facendo uso del recitativo. Mi ci provo, in stile mozartiano:
musical, o giù di lì, che sono apparsi sui palcoscenici di Broadway nell’ul­
timo secolo, abbiano dato vita a questo speciale, eccitante spettacolo che L.B. CANTA:
oggi conosciamo col. nome di commedia musicale americana, o musical.
Prima di tutto, limitiamo l’area della nostra ricerca. Nella vastità del
campo teatrale ravvisiamo una continuità nella quale possiamo tuttavia di­
scernere fra un tipo di spettacolo e l’altro. Consideriamo questa continuità Leggero e rapido
come esistente fra due poli estremi: in uno lo spettacolo di varietà, nell’al­ A *
tro l’opera. Fra questi due tipi sono annoverabili tutti gli altri.
' - P - t e « » = T * * J ~ p E -g P J
Spettacolo di varietà (Music-hall, vaudeville, ecc.) Su - san - na, u - na co - sa ter - ri - bil ti
Rivista
Operetta
{Zigfield Follies)
{Naughty Manetta)
It e t ,j-=
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Opera comica (H.M.S. Pinafore)
Opera buffa {Il barbiere di Siviglia) P
Opéra Comique {Carmen)
Melodramma
Dramma musicale wagneriano
{Pagliacci)
{La Walkiria)
ir ------- 1 1» .
Questo recitativo non ha nessun valore musicale e, a parte quegli accordi o alla Wagner:
intermittenti al pianoforte, è assai vicino al parlato vero e proprio. Non
è nemmeno molto indicativo di quello che è il mio sentimento per il pollo.
Naturalmente, posso renderlo più drammatico, alla Verdi:
139
Con m oto Ma per quanto espressivo io riesca a essere, canterò sempre qualcosa musi­
calmente meno importante del canto di mia moglie che segue alla terribile
notizia. È il canto, il numero che sarà applaudito, non certo il mio recita­
tivo sul prezzo del pollo. La funzione del mio recitativo è soltanto quella
di creare le premesse per il canto.
A questo punto, vi starete certamente dicendo: che cosa ha a che ve­
dere tutto questo con la commedia musicale? Dopotutto, questi recitativi
dei quali sto parlando sembrano tutti così artefatti e hanno un sapore ope­
ristico che è proprio l’opposto dello spirito di Broadway. E invece c’è una
stretta relazione, perché il musical appartiene a quel territorio situato fra lo
spettacolo di varietà e l’opéra di cui abbiamo parlato. Nel corso degli ulti­
mi cento anni si è avuta in America una tendenza, continua anche se piut­
tosto lenta, da un polo verso l’altro; dal semplice divertimento, verso una
forma artistica che ha fatto uso, con uno stile che ci è proprio, di recitativo,
balletto, accompagnamento musicale eccetera. Seguiamone lo sviluppo.
Tutto cominciò nel 1866, novant’anni fa, con uno spettacolo molto stra­
vagante chiamato The Black Crook: un successo strepitoso che conteneva,
fra l’altro, un numero che non aveva nessun legame con l’intreccio della
commedia ma che serviva a distrarre gli spettatori mentre venivano cam­
biate le scene: una canzone dal titolo You Naughty, Naughty Men.

« You Naughty, Naughty Men »


musica di G. Bicknell, parole di T. Kennick
M oderato
f^îirv'(

140 141
York tenne cartello per un anno e mezzo senza interruzione e continuò a
girare il paese per venticinque anni.
talk of love and sigh - ing, say for us you’re near- ly dy - ing, All the
Che cosa era successo? Prima di tutto valeva bene il prezzo del biglietto:
dramma, canto, ballo, spettacolo e gambe (suscitarono scandalo, e chiun­
que era veramente qualcuno doveva dire di aver visto quello spettacolo de­
pravato). Che cosa possiamo ora dire del Black Crook? Ben poco. La sua
partitura è un miscuglio di canzoni mediocri, come quella che avete sentito,
e di musica per balletto dello stesso livello; come questa, intitolata March
of the Amaxons.

L.B. SUONA AL PIANO:


« March of the Amazons »
Trascrizione di Emil Stiyler
col permesso di David Costa, maitre de danse

while you know you’re try - ing to de - ceive, you naught - y men

-*—
sr=-- - n etc.

i - fe ... * 4..« etc.

L—f.
Niente di straordinario, non vi pare? Ma è importante perché The Black
Crook è considerato, storicamente, la prima commedia musicale americana.
In realtà, era una commedia musicale per puro caso e non ha niente a
che vedere con quello che ora noi intendiamo per musical, ma fu il primo
spettacolo di varietà ad avere un intreccio, un soggetto. Quando dico « per
puro caso » intendo dirlo alla lettera. Fu un avvenimento eccezionale. Un
certo Barras aveva scritto un dramma di tinte teutoniche che intitolò The
Black Crook. Musica non ce n’era. Era il suo primo lavoro e, fortunata­
mente, fu l’ultimo. Un impresario chiamato Wheatley, un pazzo, ne comprò
i diritti per farlo rappresentare al Niblo’s Garden di New York. Nel frat­
tempo, una compagnia francese di balletto era arrivata da questa parte dello
Atlantico per scoprire che il teatro nel quale avrebbe dovuto esibirsi era
bruciato da cima a fondo. Nacque così la grande idea: per dare un teatro al­
la povera compagnia di balletto, si pensò di fondere i due spettacoli aggiun­
gendo le meraviglie della musica e del ballo a quel drammone. Il Niblo’s
Garden diventò un music-hall in piena regola, e musica, canzoni e ballo
furono adattati alla buona al Black Crook. Lo spettacolo era pronto.
Durò cinque ore e mezzo e nessuno lasciò la sala. Entusiasmò. C’erano il
dramma gotico, le ballerine in calzamaglia, le canzoni da commedia, i lunghi
discorsi da parte di Stalacta, la Regina del Reame d’Oro. C’erano gnomi e
demoni, e Zamiel, l’arcimalvagio insieme a forosette svizzere, tutti in un
unico pasticcio. Riuscì uno dei più grandi successi d’ogni tempo; a New
142 143
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Oppure quest’altro numero, piuttosto insipido, chiamato The Black Crook che rende il motivo ancora più meschino. C’erano anche, di accompagna­
mento all’azione, i tremoli al pianoforte, che ricordano l’epoca del cinema
Waltz:
muto:

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v i ^ Ê Ê Ê È PPP Ij i l J T
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Tutti questi numeri venivano eseguiti l’uno dopo l’altro ed'erano cuciti
insieme alla meglio: la vicenda tedesca, il balletto francese e le canzoni da
commedia americana.
In altre parole, con o senza intreccio, era uno spettacolo di varietà
più sofisticato e caro.
Naturalmente molti nel 1866 credettero di assistere a una manifesta­
zione d'arte.
Dopotutto il balletto è arte, e arte possono essere, a volte, anche gli
spettacoli di fantasia. Ma lo si considerava tale soprattutto perché ve­
niva da fuori.
A quei tempi ogni cosa valida dal punto di vista artistico doveva es­
cresc. etc. sere straniera. Dell’arte, nel senso di una forma creativa nata da genuine
tradizioni locali, non se ne parlava proprio.
»fc i i » -H » f f - J f 1 ß 1 p m Il .primo passo, la prima volta che ci si avvicinò alle tradizioni locali fu
=£=it=^=Ë = r 1T T ţ - J 1 \= i J 1 1-^ verso il 1890, quando apparve uno spettacolo chiamato A trip to Chinatown;
un altro strepitoso successo dell’800. Fu questo spettacolo a convincere la
gente che un musical poteva, dopotutto, basarsi su una vicenda americana
annunciato da una grande introduzione: durante la quale si potevano cantare canzoni americane. Come questa, che
son certo riconoscerete anche se ha circa 73 anni:
144 145
QUARTETTO MASCHILE: luppo stesso della nostra commedia musicale segue lo sviluppo del principio
« The Bowery » d’integrazione. I progressi fatti sono sorprendenti, ma sappiamo bene che
Musica di Percy Grant, parole di Chas. H. Hoyt ancor oggi esistono musical nei quali le canzoni sono ficcate nella sceneg­
giatura col calzascarpe. È il caso del ragazzo che incontra la ragazza e non
le dice altro che « Piacere di conoscerla, mi chiamo Sam ».^ V à <* i ”
Ti a - mo!

E questa sarebbe integrazione. Ma A Trip to Chinatown non arriva


nemmeno a questo. Le canzoni venivano cantate a casaccio senza alcun
riguardo per il carattere del personaggio e la situazione. Uno esclama:
« Canta quel quartetto che mi piace tanto », e così si canta il quartetto. Op­
pure, in una scena di ristorante, qualcuno dice: « Il motivo che sta suo­
nando l’orchestra lo conosco », e si mette a cantarlo mentre l’orchestra
suona. Per fortuna alcune di queste canzoni erano proprio buone, come
The Bowery e un’altra, che si ricorda, e che piace tuttora:

L.B. canta:
« Reuben e Cynthia »
Arrangiamento di Percy Grant, parole di Chas. H. Hoyt
$ p
things and they do strange things on the Bow - ’ry! The

m P J, -JPf f JM-Jk=J)
Reu - ben, Reu - ben, I v e a no - tion If the men were
Cyn - thia, Cyn - thia, I’ve been thin - king If the men should

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È una bella canzone, ma ha il difetto di essere appiccicata alla vicenda arbi­


trariamente, senza minimamente considerare il principio che vien definito
d ’integrazione.
L’integrazione è molto importante: richiede che una canzone nasca dalla
situazione, s’adatti al carattere del personaggio. In un certo senso, lo svi-
146 147
rette hanno un sapore esotico. Naughty Marietta è immersa in ambiente
creolo con elementi accessori italiani; Eileen è l’Irlanda pura e semplice e
The Red Mill è olandese. E questo non è un caso. Uno dei requisiti dell’o­
peretta, infatti, è che sia basata su un soggetto di fantasia che si svolge in
un ambiente remoto al pubblico. I personaggi debbono essere tipi insoliti
e poco plausibili, che usano un linguaggio artificioso e affettato e non par­
lano dialetto, anche se queste operette furono scritte in America per gli
americani. Questo vale per tutte le operette che seguirono: The Desert
Song, The Firefly, New Moon. L’elenco è molto lungo.
Oggi ci sembrano goffe e sorpassate, ma ebbero una funzione molto im­
portante al principio di questo secolo. Abituarono il pubblico alle belle
canzoni, con versi di un certo gusto, a soggetti interessanti e originali e, so­
All’epoca in cui fu usato in A Trip to Chinatown era considerato un motivo prattutto, l’abituarono a un genere musicale nuovo e di più alto livello. La
di folclore americano; ma questo non toglie nulla al fatto che si trattava in operetta non era una semplice raccolta di canzoni o romanze; musicalmente
effetti di una canzone americana usata in un soggetto americano. E non solo era elaborata, vicina all’opera vera e propria, conteneva perfino finali ove
il soggetto era americano, vi veniva anche usata la parlata americana. In ciascun personaggio, insieme con tutti gli altri, cantava un motivo che lo
altre parole, i personaggi parlavano come parlava la gente comune, cioè in caratterizzava ed esprimeva un sentimento diverso da quello degli altri.
dialetto. Insomma, un vero contrappunto. In tal modo l’operetta contribuì allo svi­
C’eravamo accorti che uno spettacolo musicale poteva avere un soggetto, luppo del gusto del pubblico che arrivò a capire e ad apprezzare certe com­
o libretto, e avevamo scoperto l’America. Le cose cominciarono a muoversi. plessità musicali. Il pubblico di Broadway, dunque, non abituato a gustare
D’ora in poi, il libretto sarebbe stato qualcosa di meglio di A Trip to Chi­ la grande opera, con l’operetta veniva preparato alle più alte ambizioni dei
natown e, ciò che più importa, i versi, le parole cantate, erano destinate musical di oggi.
a migliorare. Da anni ormai gli americani s’erano familiarizzati con le opere Nel frattempo, dall’altro lato della strada, per così dire, lo slang stava
comiche di due grandi geni, Gilbert e Sullivan, con la diretta conseguenza già fiorendo per conto suo negli spettacoli musicali senza soggetto. Erano
che parole e musica erano accettabili solo se di alta qualità. La loro influen­ i tempi d’oro del varietà, della farsa di Weber e Fields. I nomi famosi era­
za raffinò il nostro gusto al punto che lavori come A Trip to Chinatown non no Lillian Russell, Anna Held, Marie Dressier e le celeberrime Zigfield Girls.
furono più possibili. Una nuova idea aveva avuto un successo strepitoso: la rivista. In sostanza,
Gilbert e Sullivan insieme con altri due grandi geni, Johann Strauss e la rivista è uno spettacolo di varietà perché consiste in una successione di
Offenbach, avevano spinto il pubblico americano tra le braccia dell’operetta. canzoni e azioni sceniche senza un soggetto. Ma ha sempre un filo condut­
Ognuno di essi rappresentava la versione nazionale dello stesso genere tea­ tore, seppure tenue, che basta a saldare insieme i vari numeri. Un filo con­
trale: Gilbert e Sullivan l’opera comica inglese; Offenbach Vopera bouffe duttore che può essere Parigi, o Zanzibar o il Greenwich Village.
francese; Strauss l’operetta viennese. Tutti e tre potevano vantare soggetti Inoltre, introdusse la satira nello spettacolo, prendendo in giro il gran
interessanti, musica raffinata e parole letteralmente accettabili. E così, sul mondo della città. Nulla veniva risparmiato: debutti di nuovi lavori teatrali
finir del secolo s’iniziò da noi un grande periodo operettistico che fiorì fino e di nuove opere, gli scandali e le voghe del momento, le storielle locali.
alla prima guerra mondiale e continua fino ai nostri giorni. Tutto questo forma ancor oggi la parte più sostanziosa delle nostre riviste.
Operette come La vedova allegra di Lehar mandarono in delirio il pub­ Allora si prendeva in giro il Faust di Gounod e Sarah Bernhardt, oggi pren­
blico di Broadway e possono considerarsi capostipiti di una lunga serie di diamo in giro le opere di Menotti e Marion Brando. Ma il contributo più
operette di compositori mitteleuropei come Rudolph Friml, Sigmund Rom­ importante della rivista fu l’ingresso nello spettacolo, nel teatro, dello slang
berg, Emmerich Kalman e altri. Ma il grande compositore americano di ope­ musicale: vale a dire, il jazz. Il primo grande contributo in questo senso fu
rette fu Victor Herbert: dato da una rivista indimenticabile che si chiamava Watch your step presen­
tata al New Amsterdam Theater nel 1914. L’eroe di questa rivoluzione fu
(A questo punto un soprano e il coro cantano The Italian- Street Song dalla Irving Berlin, che compose dei ragtime così deliziosi da legare per sempre
operetta Naughty Marietta di Herbert.) il destino del teatro musicale americano al jazz.

Chiunque s’accorge che questa è operetta e non musical. Naughty Manet­ (Cantanti e orchestra eseguono tre numeri-. Simple melody. The syncopated
ta è inconfondibilmente operetta, e così Eileen, The Red Mill e tante altre. walk e Show us how to do the fox-trot dalla rivista Watch your step di
Come distinguiamo un’operetta da un musical? Dal fatto che tutte le ope- Berlin.)
148
Ma che cosa ha a che fare tutto questo con il musical? Dopotutto la ri­ 149
vista non ha un soggetto e non ha un libretto dove invece il libretto è la successo? Ma il commento dei folli e spensierati anni ’20 era: che importa?
base essenziale del musical. Eppure esiste una stretta connessione. Il mu­ I versi sono così carini, così originali, e la musica è irresistibile.
sical ha imparato moltissimo dalla rivista. Ha imparato a trattare il libretto
alla maniera della rivista, cioè incorporandovi il varietà e unificandolo. Que­ (Cantante e orchestra eseguono Someone to Watch Over Me.)
sto è uno dei segreti della nostra formula magica: offrire al pubblico un
soggetto convincente con una continuità d’azione e, nello stesso tempo, far­ Il teatro musicale americano stava senza dubbio assumendo un carattere
gli lasciare il teatro con la sensazione di aver trascorso una bella e diver­ suo proprio. Una canzone come questa sarebbe stata inconcepibile in una
tente serata: commedia, canzoni briose e sentimentali, ballo e belle ragazze, operetta, è troppo disinvolta, troppo semplice e alla mano per un’operetta.
il tutto intelligentemente combinato in un buon soggetto. Varietà nell’uni­ È una grande canzone popolare americana certamente, ma non ha una pre­
tà: questa fu la grande lezione che il musical imparò dalla rivista, e fu un cisa attinenza col soggetto di Oh, Kay!
grande passo avanti. Il mio esempio preferito di non-integrazione in Oh, Kay! è una meravi­
E così si concluse l’infanzia del teatro musicale americano e, pieni di gliosa canzoncina intitolata Clap Y o’ Hands ficcata nella partitura con
fiducia e risorse, affrontammo l’adolescenza. Questa, tipicamente, fu un po’ un espediente sottile quanto quelli usati in A Trip to Chinatown. Ma in que­
goffa, troppo scatenata e un tantino selvaggia, ma nell’insieme non eccessi­ sto caso c’è un trucco: gli autori sanno benissimo che la canzone è ficcata
vamente penosa, soprattutto grazie alla grande ricchezza di talenti che sta­ a viva forza nel soggetto e che non ha altra funzione che quella di piacere;
vano spuntando. Irving Berlin era già un classico, gli seguirono ora Jerome allora decidono, spiritosamente, di prendere in giro se stessi.
Si tratta di questo: il personaggio comico principale, un certo Potter
Kern, un melodista non comune, Vincent Youmans, Cole Porter, Richard
sta cercando di creare un po’ di allegria in una situazione piuttosto triste.
Rodgers e George Gershwin; tutti sorti negli anni ’20. Con una tale schie­
Si rivolge alle ragazze del corpo di ballo e dice: « Ci vuole la filosofia del
ra di compositori di prim’ordine al suo servizio, il musical crebbe come
raggio di sole, ragazze mie. Io l’ho imparata sulle ginocchia di mia madre.
cresce un ragazzo pieno di salute, sulla solidità delle basi che era riuscito Volete sentire la canzoncina di mia madre? » Ed ecco il trucco: « No! »
a darsi: l’adozione della trama nel divertimento musicale, l’adozione di temi rispondono le ragazze in coro. « Bene », dice Potter, « e allora ve la canto
americani e dello slang parlato e musicale, l’alto livello raggiunto dalla mu­ lo stesso ».
sica e dai versi e il senso di varietà nell’unità.
Era dunque giunto il momento per il musical di cominciare a prestare la ( L.B. canta alcune battute di Clap Yo’ Hands.)
dovuta attenzione all’integrazione del canto nel soggetto. I tempi del Black
Crook erano ormai lontani. Prendiamo un grandissimo successo degli anni È stupenda, una tipica invenzione di Gershwin, e non ha niente a che
’20 come Oh, Kay!, per esempio. Fu il primo lavoro importante di George vedere col soggetto, assolutamente niente. Ma il fatto che lo scherzo riguar­
Gershwin e di suo fratello Ira; il libretto era di due veri scrittori, P. G. di proprio questo suo non aver niente a che vedere col soggetto rivela il
Wodehouse e Guy Bolton, e vi appariva nientemeno che Gertrude Lawrence. nuovo livello di sofisticazione raggiunto negli anni ’20. Sapevano di usare
Oh, Kay!, che parla dei contrabbandieri di liquori di Long Island, è consi­ un procedimento da rivista eppure ci ridevano sopra sul fatto come su se
derato un musical tipico degli anni ’20, di livello molto sofisticato. Eppure, stessi. Era un passo avanti.
quando consideriamo come siano in esso integrate le canzoni, o per meglio Poi sopraggiunse la crisi del 1929 e la Depressione. Vi furono meno pro­
dire come noti vi siano integrate, ci dà l’impressione di peccare di ingenuità. duzioni e meno spettatori. Apparvero anche i primi film sonori e la gente,
Per esempio, Gershwin aveva scritto una bellissima canzone chiamata invece che al teatro corse al cinema, dove ci si poteva distrarre a buon mer­
Someone to Watch Over Me. Sono certo che tutti la conoscete. Ma ho il cato. Il pubblico di massa s’era ridotto; il che costrinse il teatro a elevare
vago sospetto che la canzone sia stata scritta prima del libretto invece di es­ la qualità delle sue produzioni per poter incontrare il gusto di un pubblico
serne una conseguente derivazione, e questo perché non si adatta perfetta­ ristretto ma più esigente.
mente alla situazione scenica in cui viene cantata. Questa situazione è la Se gli anni ’20 possono ritenersi l’adolescenza del nostro musical, gli an­
seguente: la ragazza ha incontrato il ragazzo e se ne è innamorata. Ma egli ni ’30 certamente rappresentano la sua prima, sobria maturità. Il tenore di
quegli anni era un personaggio serio. Improvvisamente l’America era diven­
deve sposare un’altra. La ragazza siede su un divano e dice: « Oh, ma io son
tata adulta, tutta compresa da questioni di governo e dai problemi sociali.
certa che un giorno 1’incontrerò un’altra volta ». Poi continua sui versi che
Con questo non si vuol dire che i nostri musical cessassero d’essere uno
servono da introduzione alla canzone e canta di « un certo ragazzo che ave­
spettacolo divertente, ma solo che si orientarono più decisamente verso la
vo per la testa ». « Avevo per la testa »! Ha appena finito di recitare tre satira sociale. Infatti, la satira sociale più seria di quel periodo fu il brio­
scene con lui! E continua: « L’ho cercato dappertutto e ancora non l’ho sissimo e divertentissimo O f Thee I Sing. La comparsa, nel 1931, di que­
trovato »*« Ancora non Vho trovato »! E in tutto il primo atto che cosa è sto grande spettacolo di Gershwin dette il tono a tutti gli anni ’30. Aveva
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un libretto ben fatto e spiritosissimo di George Kaufman e Morry Ryskind; un soggetto tale da non risultare esotico al pubblico newyorchese. Show
il primo libretto di musical che vinse il premio Pulitzer. Pensate, il premio Boat è quindi un’operetta perché è basato sugli aspetti caratteristici della
Pulitzer assegnato al libretto di un musical! Un avvenimento, prima di Of vita sul vecchio Mississippi. Inoltre, adopera un linguaggio strettamente
Thee I Sing, assolutamente inimmaginabile. Stavamo diventando adulti. regionale; non quello che noi definiamo « dialetto ». Ma non fraintendetemi:
Tutti gli elementi che contribuirono alla lunga maturazione del musical con la parola dialetto non alludo soltanto al vernacolo di Broadway, ma
danno i loro frutti in 0 / Thee I Sing. Un soggetto splendido, serio e diver­ al semplice linguaggio americano corrente; in ogni caso non alludo a uno
tente nello stesso tempo, come non si era mai visto prima in uno spettacolo stretto dialetto meridionale. Anche da questo punto di vista, Show Boat è
del genere; canzoni stupende e perfettamente integrate nel soggetto; una vi­ quindi sostanzialmente un’operetta. Lo stesso deve dirsi di The King and I,
cenda tipicamente americana con un linguaggio americano e naturalissimo; die pure è comunemente considerato un musical, di Fanny e di Carousel:
versi intelligenti e pieni di fantasia. Insomma una assoluta unità di stile tutte operette. È vero che sono scritte secondo gli ultimi dettami della
caratterizzava una ricca varietà di elementi. Questo musical rappresenta un moda e della tecnica teatrale di Broadway, ma rimangono pur sempre ope­
punto culminante nella storia del nostro teatro musicale. rette. Anche da un punto di vista strettamente musicale sono operette, per­
Ciò che mi affascina in Of Thee I Sing è l’abilità con la quale viene uti­ ché non vi viene usato lo slang musicale di Broadway, cioè il jazz, il jazz
lizzata la tecnica dell’operetta, pur riuscendo a produrre uno spettacolo ori­ cittadino, che forma l’essenza della musica popolare americana. Le canzoni
ginale e così tipicamente americano. Come abbiamo accennato, l’operetta in questi spettacoli sono più vicine alla canzone che potremmo definire di
non richiede semplicemente un compositore di canzoni, ma un musicista nel arte che a Tin Pan Alley.*
senso pieno della parola. Gershwin fu più che all’altezza del compito. C’è D’altra parte, uno spettacolo come quello di Cole Porter DuBarry Was a
un finale di primo atto degno della grande tradizione di Gilbert e Sullivan, Lady, con un soggetto in cui c’entrano Luigi xv, Madame Du Barry e la
e inoltre così elaborato da potersi paragonare, battuta per battuta, al finale corte di Versailles —tutto un capriccio e niente affatto americano —non è
del primo atto del Mikado, uno dei migliori di tutta la produzione di Gil­ un’operetta, perché è pieno di jazz, ed Ethel Merman insieme con Bert Lahr
bert. vi parlano il più rigoroso slang. È la Francia del Settecento nella 44ma stra­
Le situazioni nei due lavori sono quasi parallele: il ragazzo ha incontrato da, e tutto il divertimento nasce dal fatto che la parte di Luigi xv è affi­
la ragazza ed è riuscito a farla innamorare; l’azione è imperniata sulla inter­ data a Bert Lahr. Fra l’altro, uno spettacolo con la Merman non può essere
ruzione dei festeggiamenti da parte dell’altra donna: in un caso la brutta un’operetta. Ethel Merman è la personificazione di Broadway anche se por­
Katisha, nell’altro la bella Diana Devereaux. ta una parrucca incipriata o sta sotto una tenda di pellirossa.

(I due finali del primo atto di Of Thee I Sing e del Mikado vengono tra­ (Ooh-La-La da Du Barry Was a Lady e Thine alone da Eileen di Herbert
smessi parallelamente, alternando cioè un brano dell’uno con un brano del­ vengono eseguite per metterne in evidenza la diversità.)
l’altro, per metterne in evidenza la similarità di situazioni, di tecnica teatra­
le e l’equivalenza del loro valore artistico.) Con la fusione delle due tecniche della rivista e dell’operetta era succes­
so qualcosa di nuovo: la musica s’era posta su un piano più serio. Finché
Perché dunque 0 / Thee I Sing è un musical e non un’operetta? Ne ha nel musical c’erano soltanto canzoni, bastava appunto un compositore di
tutta l’elaborazione musicale: c’è contrappunto, vi sono brani puramente canzoni. Ora invece gli si chiedeva un maggior impegno, doveva essere in
grado di scrivere brani musicali estesi, con contrappunto e orchestrazione;
strumentali per l’accompagnamento dell’azione scenica e molte pagine di
doveva, insomma, comporre molto più di un motivo di trentadue battute.
recitativo. È un musical anche perché vi si trovano tutte le caratteristiche Musica leggera e musica seria si avvicinavano.
dello sviluppo della commedia musicale: un soggetto di carattere tipica­ Un compositore di una certa levatura, Marc Blitzstein, era riuscito per­
mente americano, personaggi non esotici né lontani dalla realtà, per quanto fino a invadere Broadway con una sua Opera strana e originale, The Cradle
romanzesca possa essere la vicenda, e verbalmente e musicalmente in slang. Will Rock. Poi Kurt Weill aveva portato a Broadway tutta l’esperienza e la
La sua tecnica, è vero, è presa in prestito dall’operetta, ma ha l’anima del tradizione tedesca con opere quali Lady in the Dark. E George Gershwin,
musical. dopo aver diligentemente studiato contrappunto e fuga, aveva fatto il suo
Identificare la diversità fra l’operetta e il musical è comunque più com­ ingresso nel teatro dell’opera con Forgy and Bess (un melodramma scritto
plicato di quanto ci si immagini. Esempio: Show Boat è un’operetta. Si per essere cantato da cima a fondo) diventando, in tal modo, un composito­
tratta di un popolarissimo spettacolo di Kern e Hammerstein con un sog­ re di musica seria.
getto che è quanto di più americano esista, ma riguarda un’America remota La maggioranza dei nostri compositori, tuttavia, era costituita da scrittori
alle folle di Broadway alle quali lo spettacolo era destinato. Ricordatevi
che New York è la culla del musical e il luogo ove crebbe e si sviluppò. * Vedi nota a pag. 40 nel capitolo « Perché non scrivi una bella canzone alla Gershwin? »
Pertanto, per soggetto tipicamente americano dobbiamo anche intendere
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di canzonette da trentadue battute. Attualmene, la situazione non è molto nostro alto grado di prosperità; altri sostengono che sia frutto della inge­
diversa. Non era comunque colpa loro se il musical aveva avuto uno svi­ gnosità americana, del nostro famoso know-how.
luppo così rapido. E allora, costretti a riconoscere di non farcela da soli, Non propendo per nessuna di queste due teorie perché esse non tengono
cominciarono ad avvalersi di quel piccolo esercito di aiutanti che sono oggi •conto della radice dalla quale tutti questi fiori sono spuntati: lo spirito
il marchio di fabbrica della produzione di un musical: gli orchestratori e gli creativo. La ragione prima del successo dei nostri musical è la loro strava­
arrangiatori, sui quali incombe il compito di scrivere tutta la musica fra un gante creatività. Ognuno di essi offre una sorpresa, e nessuno è in grado di
numero e l’altro, cioè il tessuto musicale connettivo dello spettacolo, la mu­ dire quale ne sarà lo stile, quale la prossima trovata. Sembra che non vi sia­
sica dei balletti, quella eseguita fra una scena e l’altra, le introduzioni e gli no limiti alla nostra energia inventiva, alla nostra riserva di creatori. Ger­
interludi. Tutto insomma, tranne i motivi delle canzoni. shwin, Hart, Kern e Youmans sono morti, ma sono stati sostituiti. Rodgers
Inutile dire che, in definitiva, sono i motivi delle canzoni che determi­ ha trovato un grande partner in Hammerstein, e Ira Gershwin nel dotatis­
nano il successo o l’insuccesso della partitura; eppure ritengo che a quel simo Harold Arien.
piccolo esercito venga riconosciuto troppo poco merito, specialmente a quei Poi è venuto fuori un altro grande: Frank Loesser, che ebbe come se­
compositori secondari, o subcompositori, che trasformano una serie di can­ guaci immediati due giovani, Ross e Adler. Un grandissimo show intitolato
zoni in una partitura unitaria e conferiscono al lavoro la sua compiutezza. Finian’s Rainbow ci fece conoscere Burton Lane, un nuovo e notevolissimo
Per molto tempo i loro nomi venivano stampati sui programmi a caratteri compositore. Arthur Schwartz, Harold Rome e Jule Styne hanno contribuito
minuti, fra quello della ditta che aveva fornito le parrucche degli attori e la con creazioni piacevolissime. Lerner e Loewe, che già ci dettero Brigadoon,
pubblicità di un sapone. Oggi hanno più risalto, ma il pubblico continua a ottennero il massimo successo con My Fair Lady. E Berlin, Porter e Rodgers
ignorare l’importanza del lavoro da loro svolto. sono ancora con noi; abbondiamo di talenti di prim’ordine.
Con questo piccolo esercito a disposizione, nel nostro spettacolo musi­ La genialità ha operato cambiamenti prodigiosi. Per esempio, ha permes­
cale diventava possibile ogni tipo di innovazione ed elaborazione, soprattut­ so a Rodgers e Hammerstein di avvalersi dei migliori elementi presenti nel­
to per quel che riguardava il balletto. Fin dal 1936, quando Rodgers e Hart l’opera, nell’operetta, nella rivista, nel vaudeville eccetera, fondendoli in
crearono On Your Toes, il ballo ha assunto un ruolo autonomo quale ele­ uno spettacolo completamente originale. Il migliore esempio del genere è
mento vivificante del soggetto. In quel lavoro, Rodgers e Hart inclusero un South Pacific, che è da molti ritenuto la vetta più alta nel campo del musi­
balletto intitolato Slaughter on Tenth Avenue che ha un soggetto suo pro­ cal. È come se una nuova razza sia sorta dall’incrocio con la tradizione.
prio ma che partecipa tuttavia al clima dell’intero spettacolo. Nella sce­ Quando le Seabees cantano There is Nothing Like a Dame, quando Nel­
neggiatura del balletto abbiamo Ray Bolger che per salvare la pelle deve lie canta Vm Gonna Wash That Man Right Out of My Hair, allora il mu­
continuare a ballare anche dopo la fine del balletto vero e proprio perché, sical raggiunge il suo livello più alto. E quando Bloody Mary canta Bali Ha’i
seduti in un palco, vi sono due gangster pronti a farlo fuori appena si ferma. siamo nella migliore tradizione della nostra operetta. Tutto, per incanto va
liscio e in maniera altamente professionale. Non più incertezze stilistiche,
( Viene ballato un passaggio di Slaughter on Tenth Avenue J non più numeri slegati fra loro, non più canzoni prefabbricate e aggiunte
a viva forza, adatte o no all’azione.
Questo balletto, con la coreografia di George Balanchine, aprì la strada a Paragonate l’integrazione delle canzoni come l’abbiamo vista realizzata
tutti i tipi di balletti a soggetto che oggi, dopo spettacoli quali Oklahoma!, in Oh, Kay! con il modo con cui Some Enchanted Evening è introdotta in
On the Town e Guys and Dolls, quasi pretendiamo in un musical: il bal­ South Pacific* Questa canzone viene cantata durante la prima scena, quan­
letto d’azione, quello d’amore, quello dei momenti di decisione e quello do Nellie ed Emile stanno per innamorarsi ma hanno delle esitazioni. Men­
inteso a suggerire il trascorrere del tempo nella vicenda. In altre parole, tre cercano di conoscersi meglio, lei gli canta una canzone rivelatrice del
coreografi quali Agnes De Mille, Jerome Robbins e Michael Kidd hanno proprio carattere, A Cockeyed Optimist, poi, quando ha finito di cantare,
acquistato nei nostri musical quasi la stessa importanza degli autori del li­ parla:
bretto, del compositore e del regista dello spettacolo. Ne è risutato un cam­
biamento radicale del musical sia per quanto riguarda la parte visiva sia per CANTANTI-ATTORI :
la parte auditiva. Nellie: Vuoi sapere altro su di me?
E con questo arriviamo proprio ai nostri giorni. Emile: Sì, tu dici di essere una fuggiasca: quando ti arruolasti in Marina,
Negli ultimi quindici anni siamo stati testimoni del periodo più glorioso da che cosa fuggivi?
del nostro teatro musicale. Finita la giovinezza siamo entrati nel periodo
del massimo vigore. Alcuni musical di questo periodo sono già dei classici:
Pal Joey, Annie Get Your Gun, Oklahoma!, South Pacific, Guys and Dolls, * Richard Rodgers and Oscar Hammerstein, South Pacific, copyright © 1949 by Richard
Kiss Me Kate. C’è chi ritiene che questa fioritura rigogliosa sia dovuta al Rodgers e Oscar Hammerstein 2nd Williamson Music, Inc., publisher. Riproduzione consentita.
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L .B .: (Emile canta Some Enchanted Evening.,)
A questo punto l’orchestra s’intromette per descriverci i sentimenti di lei.
Vedete come tutto è sottilmente intessuto? Appena qualche parola di
CANTANTI-ATTORI: introduzione e siamo alla canzone. Ma c’è stata, prima, tutta una elaborata
Nellie: Oddio, non lo so. Era piuttosto come se io corressi verso qualco­ preparazione musicale: canto, solo d’orchestra e accompagnamento musicale
sa. Volevo sapere come era fatto il mondo. Fuori da Little Rock, voglio del dialogo. Quando finalmente arriva la canzone non si ha l’abituale so­
dire. E volevo conoscere gente diversa per vedere se mi piaceva. Adesso lo prassalto causato dal passaggio brusco dal parlato al canto. Questo è stato
sto vedendo. ottenuto, è vero, con l’uso del nostro vecchio amico, il recitativo, ma è un
Emile: Vuoi un sorso di cognac? nuovo tipo di recitativo basato semplicemente su un modo di cantare tipico
Nellie: Con molto piacere. americano e ne vien fuori quel bellissimo doppio soliloquio.
Il linguaggio americano corrente non si piega alla recitazione: è troppo
L.B.: ritmato e accentuato per adattarvisi. Usando questo nuovo tipo di recitativo
Ê in questo momento di transizione, mentre si versa il cognac, che si cantato, Rodgers e Hammerstein riescono a infondere nell’azione scenica
compie il miracolo. Rodgers e Hammerstein approfittano del breve mo­ una carica emotiva senza scadere nella ridicolaggine operistica. Di nuovo,
mento in cui i due innamorati si allontanano l’uno dall’altro per creare un il musical si è avvicinato all’opera, ma alla maniera americana.
doppio soliloquio nel quale ciascuno dei due canta i propri pensieri. Eppu­ Qual è la conclusione? Che il teatro musicale americano, nella sua lunga
re non si tratta né di una canzone vera e propria, né di un recitativo, e fase di sviluppo, prendendo a prestito elementi dall’opera, dalla rivista,
tuttavia raggiungono lo scopo dell’una e dell’altro. dall’operetta e dal vaudeville, è riuscito a fonderli tutti in un genere nuovo,
originale, pur avvicinandosi risolutamente all’opera.
NELLIE ED EMILE CANTANO IL DOPPIO SOLILOQUIO: Tuttavia, in ogni lavoro uno di questi elementi prevale sugli altri. Per
Nellie: Mi domando che proverei a vivere su una collina in vista dello esempio: Oklahoma! è un western con un marcato sapore d’operetţa, men­
oceano, hello e immobile. tre Annie Get Your Gun è un western che è un musical puro. E ritorniamo
Emile: È di questo che ho bisogno, è questo che ho sognato: che qual­ alla questione del dialetto come elemento differenziatore. In Oklahoma! si
cuno giovane e sorridente salisse qui su. usa un realistico linguaggio western, mentre in Annie Get Your Gun si par­
Nellie: Non siamo fatti l’uno per l’altra; forse lo annoio. Lui è un fran­ la slang newyorchese. Inoltre, nel primo la musica è basata su motivi cow­
cese colto e io una sempliciotta. boy, nel secondo l’espressione musicale è affidata al jazz. Gli indiani al ro­
Emile: Uomini più giovani di me, uficiali, dottori le stanno certamente vescio! Similmente, il grande successo di Frank Loesser, The Most Happy
dietro : non ha che da scegliere. Fella, denota forti tendenze operistiche; Guys and Dolls che è dello stesso
Nellie: Mi sento nervosa e irritabile come una ragazzina in attesa di es­ autore, è invece un musical puro. My Fair Lady, per esigenze intrinseche
sere invitata a ballare. del soggetto, è necessariamente più vicino all’operetta; Damn Yankees, per
Emile: Glielo chiedo ora? Mi sento un ragazzino. Che risponderà? Ho le stesse ragioni di soggetto, ne è lontano.
qualche probabilità? Eppure, nonostante ogni differenza fra loro, tutti possono ritenersi ap­
partenenti al genere « musical ». Un unico, supremo fattore li unisce e sono
L .B . MENTRE L’ORCHESTRA CONTINUA: tutti una forma d’arte che ha radici americane, nasce dal nostro linguaggio,
Ora ci troviamo solidamente in campo operistico. È il canto che dina­ dal nostro ritmo di vita, dai nostri atteggiamenti morali, dalla nostra ma­
mizza l’azione scenica, vivificandola molto più del semplice dialogo. E ora niera di esistere. Da tutto questo è nata una nuova forma d’arte. C’è chi
che cosa succede? Gli innamorati sono in piedi, l’uno di fronte all’altra col afferma che anticipa un nuovo tipo di opera, chi invece insiste che non sarà
bicchiere di cognac in mano, lottando con i propri sentimenti. A dircelo mai un’opera perché non è arte, essendo intesa esclusivamente come forma
non è né il dialogo né il canto ma, con tanta maggiore eloquenza, la sola di divertimento leggero. La mia concezione liberale mi consente di capire
orchestra. ambedue questi punti di vista. Vedremo sempre lo schieramento di splendi­
de fanciulle e avremo sempre un comico di grido e tutto quel chiasso nella
(L ’orchestra suona fino a giungere al punto culminante del pezzo.) orchestra.
Ma non è tutto: c’è altro da considerare. Oggi in America siamo in una
L.B. MENTRE L’ORCHESTRA COMINCIA A SUONARE MENO FORTE: situazione simile a quella della Germania col suo teatro musicale popolare
Ci si prepara così alla « grande canzone ». Poche battute, mentre l’orche­ prima di Mozart. Nel 1750 la grande attrazione era il Singspiel; era YAnnie
stra continua a suonare, conducono direttamente all’attesa Some Enchanted Get Your Gun di quei tempi per intenderci, con primo comico e tutto il
Evening. testo. Ma questa forma popolare di spettacolo fece un balzo in avanti per
156
merito del genio di Mozart. Tutto sommato, il Flauto magico è un Singspiel INTRODUZIONE ALLA MUSICA MODERNA
ma è di Mozart.*
Noi oggi ci troviamo esattamente nella stessa situazione, e anche noi ab­
biamo bisogno di un Mozart. Naturalmente, se e quando verrà non avremo
nulla di simile al Flauto magico ; avremo invece una nuova forma che, pro­
babilmente, non potremo nemmeno chiamare « opera »; ma troveremo una
parola ancor più eccitante per un avvenimento tanto emozionante. Si po­
trebbe verificare da un momento all’altro. Sembra quasi che sia venuto il
nostro momento, dunque, che si sia prodotta l’esigenza storica che proprio
in questi giorni ci sta dando tutta questa ricchezza di talento creativo.
LEONARD BERNSTEIN:
(La trasmissione si conclude con la esecuzione di Another Opening, Ano­
ther Shown da Kiss Me, Kate J
È un tranquillo pomeriggio di una domenica di gennaio e ci accingiamo
ad ascoltare della bella musica. Questo suggerisce immediatamente un’at­
( Trasmissione televisiva del 7 ottobre 1956) mosfera particolare: luci basse, la poltrona preferita, un bicchiere di birra,
una sigaretta e le pantofole soffici e calde. In breve: un’atmosfera di di­
stensione. Ed ecco la musica:

ORCHESTRA, SELVAGGIAMENTE:

* Considerare la similarità di idee espresse in « Che ne è della grande sinfonia americana? »


a pagina 28.
158
Restate fermi e non scappatevene gridando: « Questa musica moderna è
una pazzìa! » Non vi aggredirà; si tratta soltanto di musica e, in questo
caso, di una musica deliziosa a proposito di un piccolo usignolo. Le chant
du rossignol, di Stravinskij non fu scritto per scioccare, per irritare i buoni
borghesi o per far volar pugni. Fu composto, invece, per affascinare, per
divertire e per riuscire piacevole e commovente.
Ma esiste una musica moderna cosiddetta d’avanguardia che mira a pro­
durre uno shock nell’ascoltatore e cerca di essere originale per amore della
originalità. Alcuni compositori, per esempio, scrivono per quel che vien
chiamato « pianoforte preparato ». S’imbottisce l’interno del pianoforte con
ogni tipo di aggeggi, compresi noci e chiavistelli, per ottenere un timbro
alterato. L’interno del pianoforte offrirà, più o meno, questo spettacolo:

moderna? Scopriamolo. Può darsi che quando vi sarete resi conto di che
cosa in particolare voi odiate, la odierete di meno o, tuttalpiù la odierete più
intelligentemente. Può anche darsi che finirà col piacervi o che continuerete
a odiarla lo stesso, come prima. Ne avreste tutto il diritto.
Rimane il fatto che a molta gente la musica moderna non piace. Dicono:
« No, non sopporto tutta quella rumorosa cacofonia. Direte che ho gusti
sorpassati, ma odio le dissonanze e questa musica è così dissonante e non ha
melodia. È un segno dei tempi, dell’era delle macchine, della nostra nevrosi,
del ritmo folle della vita cittadina, della gioventù selvaggia, della crimina­
lità ». E cose simili.
Ma ciò che in realtà ci si chiede è: « Che ne è della bellezza? Dove è an­
Altri, mediante procedimento elettronico, registrano su nastro musica ar­ data a finire quella bellezza che associamo ai nomi di Mozart e di Cajkov-
tificiale.* skij? » Se ne son forse dimenticati i compositori moderni? Uno qualunque
C’è poi un altro tipo di composizione chiamata « musica aleatoria », che di essi vi risponderebbevche la sua meta artistica è esattamente la stessa di
può esser composta con un’orchestra di radio,** per esempio (vedi fi­ quella di Mozart e di Cajkovskij: scrivere bella musica. E la musica che
gura nella pagina a fianco). scrive è, in effetti, un’estensione naturale di tutta la musica che è stata scrit­
ta prima. Fanno eccezione, è ovvio, le sinfonie per orchestre di radio. A loro
Paragonato a questi selvaggi avamposti di musica sperimentale, quel bre­ volta, i grandi compositori del passato, considerati come rivoluzionari ai
ve passaggio dal Canto dell’usignuolo di Stravinskij sembra mansueto e più loro tempi, non facevano che sviluppare la tradizione musicale che avevano
somigliante... be’, alla musica. Eppure è anch’esso musica moderna. ereditato.
Che cosa la rende moderna? Perché molti di voi odiano ciò che la rende Ma un cambiamento sostanziale è avvenuto; un cambiamento che spie­
ga quella domanda: « Che ne è della bellezza? » Questo cambiamento ri­
guarda la tonalità e per comprenderne la portata dobbiamo prima capire che
* La musica elettronica è prodotta mediante il montaggio diretto su nastro di suoni otte­ cosa significa tonalità.
nuti per mezzo di un generatore elettronico di frequenza. I suoi elementi sono suoni puri La tonalità non è nient’altro che la qualità della musica per cui un parti­
(cioè suoni senza colore perché privi di armonici) definiti dalla frequenza, dall’ampiezza e dalla
durata. Può far rizzare i capelli. colare suono viene assunto come principale e vien chiamato « tonica », men­
** Un esempio: Paesaggi immaginari per dodici radio di John Cage, composta per fre­ tre tutti gli altri suoni dipendono da esso.
quenze e volumi di radio che danno suoni casuali. Anche questa fa rizzare i capelli, risulta Se riuscite a immaginare il diamante del baseball con la tonica nella casa
aggressiva e delirante a seconda della stazione radio che trasmette e dalle altre undici tra­
smissioni contemporanee. In ogni caso sarà sempre « moderna ». base, capite subito quello che voglio dire:
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Tonica Tonica

jH fri J lj, T t u J J IJ‘ JuU'i j U


Perché? Ha forse qualcuno, di proprio arbitrio, stabilito queste regole
sulla tonica e tutto il resto? No. Esse sono dettate da una legge fisica fon­
damentale per la quale quando una nota, una qualsiasi, do poniamo, viene
suonata:

L.B. SUONA IL PIANOFORTE:

noi non udiamo soltanto quella nota. Questo do è accompagnato da molte


altre note di varia altezza chiamate suoni armonici e che noi udiamo con­
temporaneamente alla nota base do.
Le tre basi sono note differenti ma collegate alla tonica della casa base. Vi sorprende? Eppure è vero. Questo vuol dire che ogni volta che udite
Si può correre intorno alle tre basi in ordine successivo oppure, a capriccio, quel do basso, lo sappiate o no, udite anche una lunga serie di suoni armo­
passare dalla prima alla terza e da questa alla seconda poi dalla seconda alla nici. Il primo suono armonico del do basso è un altro do:
prima, ma si dovrà sempre, alla fine, ritornare alla casa base, la tonica in
musica. 1 ° ARMONICO
Per esempio, prendiamo il do come tonica: __________I
L.B. SUONA IL PIANOFORTE:

il secondo, un sol una quinta più in alto del secondo do:

2° ARMONICO

da esso possono dipendere queste altre tre note (le tre basi):

in n m Poi, alla distanza di una quarta superiore, un altro do:

3° ARMONICO
poi ritorniamo di nuovo alla tonica:

1 I J I -un
Quindi a una terza alta, un mi:
In America partiamo dalla tonica, facciamo una escursione su varie altre
note, e poi ritorniamo alla tonica.
162 163
4° ARMONICO Ma nel cantare o nell’udire quell’unica nota, automaticamente, udiva i
suoni armonici che essa conteneva, e il suo udito, nel farsi più sensibile (ci
saranno voluti millenni!) cominciò a percepire anche questi suoni armonici
e poi iniziò a cantarli. Tentò le prime modulazioni. Possiamo quindi imma­
ginare che nella stessa preghiera per la pioggia, invece di essere usata una
sola nota, dopo aver captato il primo suono armonico di quel do, ne furono
e così si continua a salire. I suoni armonici, progressivamente, si avvicinano usate due:
sempre di più fra loro finché l’orecchio umano è incapace di distinguerli e
giungono a una tale altezza che non li si percepiscono più.

f to o ■b-Q-fro-^ ecc- $ 3 U- i
OH DI - O,
J J:
PIOG - GIÀ DÀ!

E appena avvertì il secondo suono armonico cominciò a usare anche quello:


Divertiamoci un poco e tentiamo questo semplice esperimento .sul piano­
forte per vedere se riusciamo a udire isolatamente un suono armonico. Ab­
bassate il tasto del do nel registro medio con la massima leggerezza, senza
produrne il suono e mantenetelo abbassato; poi premete con forza il tasto J i a ...L°
del do all’ottava bassa rialzando immediatamente il dito. Appena avrete ri­ O, PIOG - GIÀ DÀ!

sollevato il dito dal do basso udrete il suono del do dell’ottava superiore.


Sembra magia perché in realtà non avete « suonato » il do dell’ottava supe­
riore bensì quello basso. Che cosa avete fatto in realtà? Avete liberato dal­ e poi s’accorse del terzo e lo cantò:
lo smorzatore la corda del do alto dandogli pertanto la possibilità di vibrare
in simpatia quale primo suono armonico del do basso. Lo stesso esperimen­
to può essere fatto con tutti i suoni armonici di quel do basso.
L’importanza di questo esperimento è enorme. Porta alla conclusione che J- ^ J '•>
qualsiasi nota venga suonata, il suono che se ne produce conterrà anche O, PIOG - GIÀ DÀ!
tutti i propri suoni armonici. Ne consegue che quanto più bassa è la nota
suonata, maggiore sarà il numero di suoni armonici che vibreranno simul­
taneamente. È la ragione fisica per la quale le note basse hanno un suono Il linguaggio musicale aveva in tal modo acquisito il ricchissimo vocabo­
più ricco delle note alte: contengono infatti più suoni armonici percepibili lario formato da tre note differenti componenti la comune triade armonica
dall’orecchio umano. o accordo perfetto:
Immaginate ora l’uomo primitivo alla sua prima esperienza musicale.
L.B. s u o n a :
Quasi certamente doveva trattarsi di una cantilena basata su una sola nota.
Qualcosa come questo:

L.B. CANTA:

f
- O, PIOG - GIÀ* DÀ!
l’a b c della nostra cultura musicale. Non abbiamo ancora toccato tutte e
quattro le basi del diamante di baseball, ma possiamo almeno formare un
* In effetti, questo suono armonico è un tantino più basso del si bemolle di un nostro triangolo:
ianoforte accordato secondo il sistema temperato: e precisamente fra il la e il si bemolle.
Eo stesso accade per altri suoni della serie. Per spiegarvene la ragione ci vorrebbe un capitolo
speciale dedicato esclusivamente al sistema della scala ben temperata.
164 165
Proseguendo nella serie dei suoni armonici otteniamo complessivamente
cinque note differenti:

Da questi primi cinque suoni armonici diversi nacque una scala primitiva
costituita da cinque note che tecnicamente è chiamata scala pentafonica:

con la tonica nella casa base e le due altre note della triade nelle due basi.
Da questa triade sono nate molte delle melodie fra le più note, come il ce­
lebre valzer Sul bel Danubio blu, per esempio:

L.B. SUONA IL PIANOFORTE: Questo gruppo di cinque note forma la base di quasi tutta la musica folclo­
ristica del mondo. Le .cinque note nere del pianoforte corrispondono, nel
sistema ben temperato, a questa scala pentafonica:
Tonica
__

ecc.

o uno squillo di tromba militare qualsiasi: Infatti, si possono suonare motivi folclorici di quasi ogni origine etnica
usando soltanto i tasti neri; per esempio, un motivo cinese:
TROMBA:

Tonica L.B. SUONA IL PIANOFORTE:

Allegro
=■*.!> g ^ — ----- r
—M-- U! 1 L
V,-- f, _ 1 m...w
--- w— r= E— - 1 -
w ■ ■ W W 1 w
? If LLfe u U 1 1 a —---- J ------J ------ ------------------

o il tema iniziale ăe\VEroica:

TROMBA: o scozzese:

Tonica

Moderato
.......................... Hi
In tutti questi casi potete accorgervi che una nota, e solo quella, è la nota
principale: la tonica.
166 167
o degli indiani d’America:

Pesante
p 1»

i r i t t i
------ J ------

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1/ S : - a a -h a 3 . 3 . z i z ' j . zi .5 . .3 . J-

o quello che preferite. In altre parole non abbiamo più un diamante di ba­
seball ma un pentagono con una casa base e quattro basi.

armonia. Per cui, se considerate la musica degli ultimi trecento anni che ha
tutte le dodici note a disposizione:

capirete che fra tutti i dodici suoni deve esserci un centro tonale, una casa
base, un punto di riferimento o di sòsta, un punto al quale far ritorno an­
che se avete corso freneticamente da una all’altra delle altre undici basi.*
Con tutti e dodici i diversi suoni a disposizione - la cui successione per
gradi, sia detto per inciso, viene chiamata scala cromatica - la musica tentò
combinazioni sempre più libere e audaci, introducendo continuamente nuo­
ve armonie e sorprendenti modulazioni.
La parola modulazione vi potrà sembrare un termine troppo tecnico ma
è invece facile capirne il significato. Modulare significa passare da una tona­
Col progredire della civiltà si aggiunsero altri suoni armonici. Nella gran­
lità all’altra. Esempio: comincio a suonare The Star-Spangled banner nella
de fioritura culturale della Grecia, per esempio, furono usate scale che con­
tonalità di do:
tenevano non cinque ma sette note. Il nostro diamante è così diventato un
ettagono con la casa base e sei basi. (Vedi prima figura a fianco.)
Perché vi sto dicendo tutte queste cose? Pensavate che si sarebbe parlato
di musica moderna e invece ci stiamo occupando delle scale musicali della
* N e è un esempio il primo tema della Prima sinfonia di Sostakovic.
Grecia antica.
Allegro non troppo Tonica
Ma nella mia apparente digressione si cela un metodo. Voglio farvi capire
che il linguaggio musicale dell’Occidente è nato come sistema tonale. In ■PiJ «>Jbi
Tonica
questo sistema c’è sempre una nota fondamentale, un centro tonico al quale t.
tutte le altre note sono collegate; e questo vale sia per la melodia sia per la 4 ** J » U' T k r a s a
168 169
L.B. SUONA IL PIANOFORTE: Su questo fatto si basano tutte le fasi di sviluppo della musica. I composi­
tori cominciarono a trovare noioso obbedire, nello stesso pezzo, a una sola
tonalità, e iniziarono, naturalmente, ad avventurarsi con irrequietezza sem­
pre crescente da una tonalità all’altra. Ben presto la ricchezza e la varietà di
combinazioni che offriva la musica diventarono un’ossessione. E ogni volta
che un grande compositore spingeva più lontano queste avventure tonali,
gli arbitri del mondo musicale elevavano, confusi e indispettiti, i loro ululati.
Alla Quinta di Beethoven i critici urlarono: « È contraria a tutte le leggi
armoniche! »:

p ia n o f o r t e :

di colpo passo alla tonalità di la bemolle:


Allegro
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pp

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r
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W W f f ' T ___

e poi ritorno a quella di do :


« Le sue dissonanze spaccano i timpani degli orecchi meno sensibili », ag­
giunsero. E di una mazurka di Chopin:
-m----- - 1— n 1
B l J* Ul. f f f l 1 1 H •
A
-J - I
*J ~ 1 1 ^

r J É » H '" ■ » • 'E w r ” T"


ty rr r ------------- w — ...

ed eccoci di nuovo nella casa base. Ho effettuato modulazioni in tonalità


diverse da quella iniziale di do, e poi vi sono ritornato. Perché? Per variare.
170 171
J La melodia di quella mazurka di Chopin udita un momento fa è bella,
nessuno oserebbe negarlo. Ma che dobbiamo dire della famosa melodia nella
Settima sinfonia di Beethoven?

Lento

*Sfò. * <£tó. * P

dissero che « le sue dissonanze straziano le orecchie ». La Seconda sinfonia È forse una bella melodia? Si basa quasi esclusivamente su di una sola nota!
di Brahms si meritò questo commento: « Eppure sembra che Brahms sia Eppure tutto il mondo la ritiene bella! Non è proprio così: la melodia,
capace di mettere un po’ di melodia nelle sue composizioni; solo un poco come tale, non è una bella melodia. Tuttavia fa parte di una grande verità:
qua e là, tanto per cambiare ». di un concetto artistico pieno di significato:

p ia n o f o r t e : ORCHESTRA:

Allegro non troppo


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etc.
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Dunque, ciò che la gente ritiene sia una bella melodia, in realtà non è una
« Un po’ di melodia », capite! Proprio quello che sentiamo gridare oggi a melodia, ma un motivo, e questo è tutt’altra cosa. Questo motivo di Offen­
proposito della musica contemporanea: non c’è melodia, è così dissonante. bach, per esempio, è stupendo:
È venuto il momento di spiegarci, di dire che cosa vogliamo intendere
con queste parole.

1
L.B. SUONA IL PIAN<
Cominciamo con la melodia. Prima di tutto: che cosa è? Una melodia
Grazioso

(t
è una successione di note diverse organizzate in modo da produrre un effet­

1
to significativo che rimane impresso nella nostra mente. Ma il significato, 1JrL'fi « 1
1 IJ . 19 Æ --------------
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in musica, è un valore sfuggente quanto mai. Tutto quello che possiamo af­ «T K w-- V 1 | m

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fermare è che una serie significativa di note è quella che, per una ragione
o per un’altra, ci commuove e sembra essere artisticamente valida. E allora, P

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y J VJ. "1À

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se Keats aveva ragione nel dire che « La verità è bellezza » e viceversa, r - ■
I»«
............. m _______
1 1nP —
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qualsiasi melodia che ci colpisce per la sua verità artistica deve essere bella. U L s—
T r 1
172

e che dolce sollievo ne segue quando viene risolta:


ma, per quanto riguarda la bellezza, non vi sognereste mai di considerarlo
allo stesso livello di quello di Beethoven, quantunque sia un motivo molto
più affascinante di quello della Settima, che insiste sempre sulla stessa nota.
La melodia è dunque un concetto molto relativo e quando dite che un pez­
zo di musica moderna non vi piace perché non ha melodia, siate cauti. È
(p H *
probabile che voi intendiate dire qualcosa di completamente diverso.
E che cos’è la dissonanza? Una parola che è sempre oggetto di vilipendio
e che viene usata a casaccio, come « melodia », per indicare qualcosa di
musicalmente sgradevole. E invece proprio la musica che vi piace di più
non potrebbe esistere senza la dissonanza. La dissonanza è uno degli ele­ Ora potete capire che anche la dissonanza è relativa e che la sua evolu­
menti fondamentali dell’espressione musicale, perché una nota dissonante zione, insieme con quella della modulazione e dell’armonia, ha conferito
(una nota cioè che non fa parte armonicamente di un accordo) sarà per alla musica un potere espressivo sempre più nuovo e sempre crescente.
questa stessa ragione la nota più espressiva dell’insieme musicale, e proprio
Quando Wagner compose Tristano e Isotta questo potere espressivo
perché non vi appartiene, perché è un suono estraneo. della musica giunse ad altezze mai prima raggiunte. Già nelle primissime
v Per esempio, prendiamo la famosa melodia da Romeo e Giulietta di
battute del Tristano Wagner aveva composto una musica così dissonante,
Cajkovskij : così espressiva, così cromatica, così vagante nelle sue modulazioni da una
tonalità all’altra che il povero ascoltatore era già quasi giunto al limite estre­
mo della sua capacità di individuazione tonale. Era completamente disorien­
tato e non riusciva più a trovare la casa base, la tonica. In quale situazione
percettiva ci troviamo? Siamo sospesi ip una regione di estrema raffinatezza
e vaghiamo in un’atmosfera di desiderio inappagato. Sentite questa melo­
dia: anela verso l’alto:
comincia con una forte dissonanza:
L.B. SUONA IL PIANOFORTE:
ORCHESTRA:

Andante Lento

raggiunge una tensione fortissima:


174 175
Un’altra pausa, un’attesa; ritorna l’anelito, sempre più in alto:

r P — i ------------ q =----- 1 — -------- -----


Vjp l 1 li 1 1J
tJ Ir 1 r

che si risolve:

P ritorna il desiderio:

É
mm
ma si risolve in un accordo anch’esso carico di tensione armonica. Una pausa.
L’anelito della melodia ritorna, un tono più alto:

che torna a smarrirsi in un successivo accordo sospeso:

e di nuovo la trafitta di desidèrio:

Dove siamo? Vaghiamo in un mare di tonalità indefinita.


Vedete? Ognuno dei dodici suoni ha ora acquistato valore autonomo,
un altro accordo armonicamente teso: quasi equivalente. I dodici suoni vivono in democratica anarchia. Non più
in una società organizzata, governata da una tonica, come era sempre stato
con Bach, Beethoven e Brahms. L’eredità che Wagner lasciava al mondo
era il caos.
Che cosa avreste fatto nei panni di un povero compositore, sperduto nel
mondo musicale post-wagneriano? Vi sareste trovati con le spalle al muro
perché v’era rimasto ben poco da scrivere. Il procedimento tonale era diven­
tato talmente libero da non consentire altre libertà. Nulla poteva più sor­
prendere dopo l’avvento di Tristano e Isotta.
176 177
Le reazioni a questo terribile e meraviglioso avvenimento musicale furo­ QUARTETTO D ’ARCHI:
no molte. E sono queste reazioni, per il meglio o per il peggio, che costitui­
scono ciò che noi oggi conosciamo come musica moderna.
La crisi che ne risultò dette luogo al grande scisma, lo scisma che fino ai
nostri giorni tiene il mondo della musica diviso in due parti nella disputa
sulla tonalità: ha ancora, la tonalità, una sua ragion d’essere? Tutti i com­
positori del ventesimo secolo pertanto, appartengono all’uno o all’altro
campo: da una parte gli atonalisti che ritengono la tonalità morta e sepol­
ta; gli altri, che si-dibattono per conservarla a ogni costo.
Diamo prima uno sguardo allo strano ed esoterico mondo dell’atonalità.
Tutto cominciò intorno al 1910 con un genio chiamato Arnold Schönberg.
Il suo punto di partenza fu la tradizione lasciata da Wagner, con radici più
che salde nel Tristano; e la sua prima composizione a godere notorietà fu
un sestetto per archi intitolato Verklärte Nacht (Notte trasfigurata), nel
quale Schönberg riesce a essere più wagneriano di Wagner stesso. Mentre Converrete che questo non poteva che essere la tappa successiva a Verklärte
ascoltate questa musica piena di wagneriano dolore e di desiderio fremente, Nacht. In sostanza i due pezzi si assomigliano molto, ma il primo è tonale
cercate di distinguere la tonalità tesa, wagnerianamente, agli estremi. e il secondo atonale; son fatti della stessa stoffa, con gli stessi sussulti tor­
mentosi, la stessa isterica tensione. Tutto questo, psicologicamente, era un
SESTETTO d ’a r c h i : parallelo alla Vienna dei tempi di Schönberg: la fabbrica dell’inconscio del­
la Mitteleuropa che produsse Freud, la pittura espressionistica e la poesia
dell’incubo.
E da questo mondo di incubo, nel 1912, nacque lo spettrale ciclo di liri­
che, il Pierrot lunaire di Schönberg. È una musica che non manca mai di
colpirmi e commuovermi pur lasciandomi sempre, nello stesso tempo, un
certo malessere. Verso la metà della composizione si prova un gran deside­
rio di correre ad aprire la finestra per respirare aria pura a pieni polmoni.
Ma è proprio questa la ragione del suo successo. Eccovi una delle liriche,
accompagnata solo dal flauto. Il cantante non canta nel senso abituale della
parola, indulge piuttosto in una specie di declamato detto Sprechstimme: un
misto di canto, di parlato e di lamento. Questa lirica s’intitola, appropriata-
mente, « La luna malata »: *

voce e fl a u t o :

f i jJ - ^ l rj-n---------- —
$ = * = * = = ■ - J. -J -+ Ï

Bello, ma Schönberg si trovava in un vicolo cieco. Aveva forzato la tona­


lità fino a tali limiti tormentosi da non poter andare oltre senza frantumarla.
E la frantumò, infatti, distruggendola completamente. Nacque così la mu­
sica atonale: una musica composta senza alcun orientamento tonale, senza
$ f
Du näch - tig to -
*
des-kranker M o n d ___
una casa base, senza relazioni gerarchiche fra le note; semplicemente musica
dei dodici suoni. Eccovi un esempio dal Quartetto per archi, op. 30, n. 3,
II movimento: * Luna, notturna e mortalmente malata / Lì, sull’oscuro cuscino del cielo / il tuo sguardo
enorme / e febbricitante.
179
La serie viene quindi usata, invece di una scala, come base per una compo­
sizione. Ma bisogna sapere come maneggiare la serie contrappuntisticamente,
per moto retto, per moto contrario, in senso retrogrado, eccetera. Può riu­
scire molto complesso. E non c’è nemmeno una casa base, una tonica dove
rifugiarsi.
Prima domanda: questo genere di musica, nel negare ogni tonalità,
nega anche una legge fondamentale di natura?
Seconda domanda: arriva l’orecchio umano a captare tutto questo?
Terza domanda: se lo capta, riesce mai questa musica a parlare al cuore?
Molti ritengono che spettò al grande discepolo di Schönberg, Alban Berg,
il compito di adottare il sistema dei dodici suoni umanizzandolo in opere
nobili come il suo Concerto per violino, la sua grande opera, Wozzeck, e la
Suite lirica per quartetto d’archi. Ascoltate questo brano così pieno di pas­
sione dal terzo movimento della Suite lirica. Noterete gli strappi, quei sus­
sulti che sono il marchio di fabbrica della musica atonale:

QUARTETTO D ’ARCHI;

Trio estatico

Questo è il tipo di musica della libera atonalità. Ma Schönberg, uomo di


tradizione culturale tedesca, non poteva accontentarsi di un procedimento
così privo di ogni regola. Un tedesco ha bisogno di un sistema. E Schönberg
sostituì il vecchio e abbandonato sistema tonale con un nuovo sistema per
la composizione di musica atonale. Questo sistema è conosciuto come il si­
stema dei dodici suoni o dodecafonico; vi dà la garanzia assoluta di scrivere
musica atonale senza correre alcun rischio che ci si intrufoli alcunché rasso­
migliante anche lontanamente a una tonalità. Essenzialmente è semplice. Si
prendono le dodici note della scala cromatica:

e, a piacere, si distribuiscono in un ordine qualsiasi. Viene in tal modo


formata quella successione di dodici suoni che prende il nome di serie dode­
cafonica. L’effetto sonoro che se ne produce può essere, ad esempio, questo:

L.B. SUONA IL PIANOFORTE:


180 181
E poi quel momento meraviglioso nell’ultimo tempo, dove si ode una cita­ Per salvare la tonalità, si cercò d’impostarla secondo nuove prospettive, e
zione diretta, letterale, dal Tristano e Isotta: Debussy vi riuscì usando i mezzi espressivi dell’impressionismo francese.
Come vedete, il centro musicale del mondo si spostava a Parigi, lontano
QUARTETTO D’ARCHI: da Wagner e da tutto il pletorico romanticismo tedesco che egli rappresen­
tava. E a Parigi s’era venuto formando un gruppo di artisti attorno alla figu­
Largo desolato ( J ) == 92 ) ra di pioniere di Erik Satie che opponeva a ogni forma di wagnerismo il
accel. rifiuto della « grandezza ». Satie si mise allora a comporre brevi composi­
----------------- J > y i zioni rigorosamente semplici: motivi di lineare sobrietà con un accompa­
gnamento ridotto al minimo; come questa Gymnopédie (n. 3 ) tuttora ese­
guita e molto apprezzata:

L.B. SUONA IL PIANOFORTE:

Come dovevano risultare fresche queste note nel 1888 di fronte alla pe­
Si tratta, occorre appena dirlo, di un omaggio intenzionale a Wagner, ma santezza tedesca. Era la formula di Erik Satie per salvare la tonalità e alla
ci svela anche la sorgente di tutto il grande fiume musicale della atonalità. fine del secolo egli esercitò una grande influenza su Debussy, Ravel, Milhaud
Nel frattempo, i musicisti tonali non si erano arresi. Debussy, nono­ e gli altri grandi compositori francesi che impararono alla sua scuola questa
stante gli sforzi ambigui da lui compiuti per indebolirne il principio (scale nuova semplicità e oggettività di linguaggio musicale.
di toni interi, spostamenti arbitrari del centro tonale, eccetera), finì col sal­ L’oggettività: questa la nuova parola d’ordine. Purificare l’aria, dare alla
vare pù che distruggere la tonalità. I suoi esperimenti nell’atonalismo, im­ musica nuova vitalità, spogliandola dal lirismo romantico e rendendola più
portanti e destinati a esercitare notevole influenza, ebbero l’effetto di creare sobria e meno... wagneriana. Servì anche a introdurvi il sense of humour,
nuove premesse per la sopravvivenza piuttosto che per l’abbondono definiti­ un elemento da molto tempo trascurato. Era naturale che la reazione al ro­
vo della tonalità^ Debussy pertanto si colloca al centro delle due tendenze, manticismo tedesco dovesse accompagnarsi alla satira, alla presa in giro.
e la sua musica ha già il suo posto sicuro nella storia; non è più l’audace Sorse così una scuola di musica « scherzosa » dove le stonature erano una
avventura di una volta. Per esempio, per un orecchio moderno medio che caratteristica, come quella Polka del primo §ostakovic (dal balletto L’età
cosa c’è di più accettabile del Prélude à Vaprès-midi d'un faune? dell’oro) che contiene note volutamente sbagliate e altre sorprese divertenti:
flauto: ORCHESTRA:
Allegretto (xilofono)
Molto moderato .9 ______

\-JlÈÌ j L lZIW MJ u J l J jf r j «-a


«3 1-----JL. - ' __ ’—-------------------------------------- —'
& dolce ed espressivo
ecc.
182 183
Forse un atteggiamento più serio di questo neo-oggettivismo lo si trova
nella scarnificazione della struttura musicale i cui primi esempi datano, ap­
punto, da quell’epoca. Si sentiva il bisogno di respirare aria fresca, di purifi­
care le sonorità, di liberarsi vda tutte le pomposità del vecchio muffito ro­
manticismo. Sentite questo Sostakovic, molto più tardo, della Quinta sin­
fonia'.

ORCHESTRA:

Largo ( «h = 112 ) (archi)


il 1: f - ^ = .... = fkT E= — -------------------

J —
Un ritorno a Bach, sì, ma con quanta differenza! Ed è proprio in questa
p ~ C j r' ; - = * LE ^ f — 1 differenza che si colloca la musica tonale moderna. La diversità si manifesta
in tutte le maniere impiegate per conservare la vecchia tonalità pur dandole
un suono nuovo, fresco e, mi si scusi l’espressione, moderno.
E quali sono questi accorgimenti? Prima di tutti, un ritorno integrale ai
valori musicali di base come le vecchie scale per mantenersi lontani dallo
incubo dei dodici suoni. Dimentichiamo la scala cromatica, si disse, e vedia­
ecc.
F i mo se c’è ancora qualche possibilità di vita nella vecchia scala diatonica di
sette note. Nacquero così opere come Appalachian Spring di Copland che
è diatonica come una canzoncina per bambini:

ORCHESTRA:
La semplicità, la chiarezza, l’humour asciutto, la snellezza di struttura
dettate dallo spirito di oggettività condussero, naturalmente, a un movi­
Presto (leoni e archi )
mento chiamato neoclassicismo. Per ispirazione ci si rifaceva a Bach, Haydn,
Mozart, a un’epoca e a una musica non ancora inquinate dal romanticismo.
La chiamata alle armi del neoclassicismo la fece Stravinski) nel 1923 a Parigi
col suo Ottetto per strumenti a fiato, apparentemente innocuo, chiaro, pre­
ciso, asciutto, tutto Bach:

orchestra:

Presto
184
Alcuni compositori andarono anche oltre rifacendosi perfino alle scale
degli antichi greci. S L è giunti al punto di riadottare la scala p en tafon ica
dei primitivi (ricordate quei cinque tasti neri?).

......frj».. km=z
—L----?T]J—ir
ft H ^

Eccovi nuovamente la tonalità, fresca, giovane, espressione di nuova bel­


Questa rivalutazione delle vecchie scale s ’accom pagnava, naturalm ente, a un lezza.
rinnovato interesse per la melodia, un interesse che era quasi scom parso n el­ Ma forse il modo migliore per ringiovanire il tonalismo è un uso più
la foresta postwagneriana. Una sinfonia m oderna, com e la T erza d i R o y libero della dissonanza, la nostra vecchia conoscenza. Immaginate, per
Harris può in tal modo iniziare con una m elodia d ’intensità e purezza esp res­
esempio, due melodie procedenti simultaneamente in contrappunto. Per
siva da vecchio canto gregoriano. M a sono proprio queste sue qualità arcai­
che a darle un’aura di modernità, così contrastante con le vecch ie, sovracca­ forza, in determinati punti si avranno urti dissonanti fra una nota e Paîtra.
riche sonorità wagneriane. Posso, per darvi un’idea, suonarvi con una mano A m e r i c a e con l ’altra
T h e S tar-S pan gled B an n er. Inevitabilmente si avranno questi scontri fra i
ORCHESTRA:
suoni; per esempio qui:

L.B. SUONA IL PIANOFORTE:


Con moto (archi bassi)
Urto! Urto!
•R » ■ Ar-
zT. w 'wm~~z... —1—r-T
H— — — ----- ----
» ” ^ t" J I*
m— pm ------ —r—- «cz
- - (9---- ^ — —— ■— mr~ America
■1
/
i i z i f f r ţ
pp
Star Sjbangled Banner ecc.

r r ‘»r
Naturalmente, non tutte le m elodie scritte oggi sono così austere. P ren d ete,
a esempio, quella bella melodia del m ovim ento lento della Q u in ta sinfonia Per evitare gli urti, ed essere convenzionali, occorre manipolare opportuna­
di Prokofiev che si può dire abbia quasi sapore neorom antico. E tu ttavia mente uno dei due motivi; e allora:
esprime sufficientemente quello spirito di oggettività che n e fa una tipica
melodia del ventesimo secolo:
America (m odificata)
ORCHESTRA:
» FT" F
Star Sj tngled Banner
1/2.

Ma se si vuol essere moderni basta lasciare le cose come stanno, con tutti gli
urti dissonanti che si producono.
Questo procedimento è, così come l’ho esposto, è appena il caso di dirlo.
186 187
ridicolmente semplificato. In realtà, il contrappunto dissonante moderno Con piena forza 7 I
richiede tanta abilità tecnica e sensibilità selettiva quanta ne richiedeva il
vecchio contrappunto « consonante ». L’unica differenza è che le dissonan­
ze consentono molta maggior libertà perché le vecchie regole della prepara­
zione e della risoluzione delle note dissonanti non hanno più ragion d’esse­
re. Diventano pertanto possibili strane sonorità, come quella all’inizio del
Concerto per archi e ottoni di Hindemith. Gli ottoni eseguono una melodia
perfettamente normale:

o t t o n i:

Veloce (o t t o n i)

F IH^ i 1
e anche gli archi suonano una serie di frasi piuttosto normali:

ARCHI:

ARCHI
m.

Sentite? È musica moderna.


Questi urti dissonanti possono produrre effetti molto interessanti. Per
esempio, quelli ottenuti con la bitonalità. Questa, l’avrete indovinato, indi­
ca l’uso simultaneo di due tonalità. Se suono il motivo del valzer Sul bel
Danubio blu in una tonalità:

. ecc.
g = ü = ~ jJ r . 1 ■

eseguendo l’accompagnamento in un’altra tonalità:


? r

Ciascuna delle due sezioni strumentali, separatamente considerata, non pre­ d ■■-i bJ - J-
senta anomalie. Ma, suonate insieme, invece:

ORCHESTRA:
vi avrò dato un esempio semplice di tecnica bitonale:
188 189

E fr- 1 1'I 1 ^ - -ftf


E che diremo del ritmo? I compositori moderni hanno trovato che que­
sto era il terreno meno esplorato e meno sfruttato dai musicisti del passato.
La tradizione musicale tedesca aveva elaborato ben poco sui ritmi: sempre
etc.
squadrati, simmetrici e regolari:
J L j A è ti, —
ORCHESTRA:
g = :

E avete così un altro esempio di musica moderna.


La bitonalità è sempre stata la tecnica preferita da Stravinskij. Molta
della musica di Petruska trae il suo mordente e la sua freschezza da questo
semplice metodo. Ricordate quei sorprendenti squilli di trombe nel finale?
La loro efficacia deriva dall’uso della tecnica bitonale. Una tromba suona
nella tonalità di do maggiore:

TROMBA i:

Un Haydn moderno, con la massima facilità, darebbe a questa musica un


ritmo asimmetrico e irregolare; qualcosa del genere:

L.B. SUONA IL PIANOFORTE:

l’altra in quella di fa diesis maggiore:

t r o m b a il :

. . d
così assieme producono un suono che è inconfondibilmente Petruska.
7 J*7
9]

11

L
TROMBA I e i l :

^ £ ---- *
oppure diversi altri tipi di distorsione ritmica.
m— ^ ^ 1^ 1 1 ..
Vi sono innumerevoli nuove maniere di impiegare il ritmo: ritmo sinco­
pato, cambiamento di misure, spostamento degli accenti, ritmi incrociati e
J flf ----- s -------- 1 ---------- 5 --------- 1 tanti altri. L’esempio più celebre è dato certamente da La sagra della prima­
vera di Stravinskij dove una volta per sempre il ritmo viene liberato da ogni

1o f f l p r t j r i*F¥r-rrfr r r r
convenzionale restrizione. Sentite che effetto barbarico produce lo sposta­
mento dell’accentuazione ritmica:
190 191
ORCHESTRA: Insieme le due mani creano un incrocio di suoni molto gradevole:
a _________________ .
Vivace__________________________ "I I > I 1

’iriririr riti

/
- rP :~ .z O 11 ■

ecc.

—r —M-------■*-
W F . 1 T r fT# - I.
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ì j i i i i»ìi l I> f t> ■bi-i-f^E \ r b' k l J T— : -----J J
I------ l1------ I---- J
I 1-------- — — 1------- J---- 1--- - J — 11— J —i—

4 4
J 1 i l 1 1 1
--------------1 I 1 " " Il semplice principio della sovrapposizione dei ritmi viene sviluppato dai
compositori moderni, fino a fargli raggiungere una complessità che spaven­
> ta. Ascoltate questo brano da El Salón Mexico di Copland nel quale si sen­
tono tutte le anomalie ritmiche presentate in forma di semplice folclore
messicano.
: >• V•>■ V•>-
4 4 4

Gran parte di questo nuovo interesse per il ritmo trova la sua origine nel
fascino esercitato dal jazz sui compositori del nostro secolo. Il jazz non
solo ha arricchito la musica di nuovi ritmi, ha altresì insegnato ai composi­
tori l’uso del ritmo incrociato ovverossia dei ritmi sovrapposti.* Permettete­
mi di ofïrirvene un esempio molto semplice. Son certo che tutti ricordate
un vecchio motivo di Gershwin chiamato Fidgety Feet dove la mano sini­
stra suona il basso in abituali battute a 4/4:

L.B. SUONA IL PIANOFORTE:

mentre con la mano destra il motivo si sviluppa in battute a 3/4!

* Cioè più di un modulo metrico per volta.


Vedete che musica eccitante se ne produce?
192 193
Una buona parte d’interesse ci viene fornita dalla costante ricerca del Adagio ( J= c a .8 6 )
compositore nei riguardi di nuovi colori sonori, nuovi strumenti e nuove
stimolanti combinazioni strumentali.
Egli tenta sempre di produrre nuove sonorità, caratteristiche del nostro
secolo, e queste le ottiene principalmente allontanandosi da quelle di
un’orchestra sinfonica convenzionale, del tipo monumentale tramandatoci
dalla tradizione tedesca.
Milhaud escogitò sonorità di un fascino irresistibile per il suo balletto
La creazione del mondo: sembra che suoni un complesso Dixieland di
hippies.

ORCHESTRA:

Asciutto e nervoso

Potrei citarvene ancora delle dozzine.


Vedete dunque come con timbri inusuali, sonorità fuori del comune, nuo­
ve dissonanze e armonie, il tutto improntato a una concezione oggettivistica
della musica, i grandi compositori moderni riescano a usare ancora le stesse
vecchie note, sempre usate, ottenendo una rimarchevole freschezza di lin­
guaggio.
E io credo che sia questo quello a cui si allude quando si afferma
che quel compositore « ha qualche cosa da dire ». Se ha qualche cosa da dire
è molto probabile che non debba far ricorso alla dodecafonia schönber-
ghiana per dimostrare originalità. Forse nel vecchio corpo della tonalità c’è
ancora vita.
L’ultimo accordo della Sinfonia di Salmi di Stravinskij è la vecchia triade
Un sound davvero nuovo. di tonica di do maggiore. Però Stravinskij gli dà questa struttura e questa
E sentiamo anche questi suoni notturni e spettrali che sorgono dalla orchestrazione:
Musica per archi, percussioni e celesta di Bartók:
ORCHESTRA:
ORCHESTRA:
194 195
OB. T j Ë î l ARPA sospettiate. Le innovazioni di James Joyce possono rinvenirsi perfino nei
E f r - - \
. I l j - P I A N 0*4------------ romanzetti tascabili che comprate dal giornalaio. Quando guardate la pub­
blicità di una gomma da masticare nell’autobus, senza saperlo, state ammi­
«P OBOE
TROMBA
rando una versione di Mondrian o di Miro. Un lavoro alla televisione può
CORNO INGLESE avere un commento musicale con musica di Bartók. E se andate al cinema
----------------- é T R O M B r r n
è assai probabile che la musica che sentite sia musica moderna. Quanti di
( TM P. ^ PIANOFORTE voi si sono accorti che in un film piuttosto recente, La tela del ragno, men­
VIOLONCELLI
tre appariva la meravigliosa Lauren Bacall, la musica di accompagnamento
era apertamente atonale;* circa un’ora di musica atonale?
Dal film con la Bacali alla sala da concerto, dalla pubblicità della gomma
da masticare al Museo d’Arte Moderna, dal romanzetto tascabile a Ulisse
CONTRABBASSI CONTROFAGOTTO c’è solo un passo.
Siate contenti dell’arte moderna: la musica di oggi è la vostra musica.

(Trasmissione televisiva del 13 gennaio 1937)


In che consiste Poriginalità, la novità di questo impasto strumentale?
Per cominciare, Stravinskij elimina la quinta della triade, il sol; poi fa ese­
guire il suono base do a tutti gli strumenti, mentre gli oboi e i flauti
suonano anche il mi. La scarna essenzialità di questa disposizione strumen­ REGISTRAZIONI DI MUSICHE DEL XX SECOLO
tale crea un effetto assai suggestivo, perché consente ai suoni armonici di
risuonare liberamente al posto dei suoni reali (cioè quelli eseguiti), i quali CHE SI RACCOMANDANO
avrebbero ispessito la sonorità dell’accordo dandone, inoltre, una versione (in ordine di apparizione nel testo)
romantica. Perfino quel mi acuto sembra risuonare più come un suono ar­
1. Stravinskij: Le Rossignol, completo (Il canto dell’usignuolo) solisti e coro, Orchestra della
monico che come un suono reale. È come se l’accordo fosse composto da Radiodiffusion Française (Cluytens), Angel D-35204 o T-35204.
una serie di soli do che lasciano ai propri suoni armonici naturali il compito 2. Schönberg: Verklärte Nacht, op. 4 (N otte trasfigurata), Philadelphia Orchestra (Ormandy),
di colmare le distanze che li separano. La sonorità di questo accordo è pura, Col. 3ML4316.
rarefatta, serena ed esaltata allo stesso tempo. È forse l’accordo orchestrale 3. Schönberg: Quartetti nn. 1-4 (completi), Quartetto Juillard, CBS 79304.
più puro che sia mai stato udito. Siamo arrivati dove volevamo: il genio 4. Schönberg: Pierrot lunaire, Stiedry-Wagner (Schönberg), CBS 61442.
dà nuova vita al materiale musicale di base. 5. Berg: Suite lirica, Quartetto Juillard, Col. ML2148.
Abbiamo così dato uno sguardo panoramico al mondo musicale moderno 6. Debussy: Prélude à l’après-midi d ’un faune, Philadelphia Orchestra (Ormandy),
diviso in due campi, il tonale e l’atonale con Stravinskij e Schönberg al co­ RCA 26.41317 AW.
mando. Ma negli ultimi anni ci siamo dovuti anche accorgere di un sor­ 7. Satie: Gymnopêdie n. 3, Masselos (pianoforte), MGM E-3154.
prendente ravvicinamento fra le due parti. Stravinskij, seguito da altri com­ 8. Sostakovic: Suite dal balletto L ’età dell’oro, National Symphony Orchestra (Mitchell),
positori tonali, ha dimostrato un profondo interesse nella tecnica dodeca­ V
anche Sinfonia n. 1, West. XWN-18293.
fonica e ce lo conferma la sua musica più recente. Viceversa, molti compo­ 9. Sostakovk!: Sinfonia n. 5, op. 47, New York Philarmonic (Mitropoulos), Col. ML-4739.
sitori atonali tendono ad avvicinarsi al tonalismo. In tutti e due i casi l’im­ 10. Stravinskij: O ttetto per strumenti a fiato, N.W. German Radio Orchestra (Stravinskij),
pegno del musicista, le sue aspirazioni mirano allo stesso risultato: la crea­ Col. 5ML4964.
zione di nuova bellezza. Questa sintesi sembra indicare la direzione della 11. Copland: Appalachian Spring, Philadelphia Orchestra (Ormandy), Col. ML-5157.
futura musica moderna verso un nuovo genere di bellezza. 12. Harris: Terza sinfonia, Boston Symphony Orchestra (Koussevitskij), Viet. LVT-1016.
Ma pensate al miracolo al quale assistiamo ai nostri giorni, nella sesta 13. Prokofiev: Quinta sinfonia, op. 100, Philadelphia Orchestra (Ormandy), Col. ML-5260.
decade del ventesimo secolo, di tanta bellezza nella nostra musica. Questo 14. Hindemith: Concerto per archi e ottoni, op. 50, Philadelphia Orchestra (Ormandy),
deve suscitare la nostra meraviglia, e non la mancanza di un Beethoven Col. ML-4816.
o di uno Chopin. Che ce ne faremmo se li avessimo? Essi ci hanno già dato
le loro opere meravigliose, spetta ora ai nostri contemporanei darci le loro.
Non vi preoccupate se vi riesce difficile assorbire e accettare la nuova mu­
sica. Senza accorgervene, di arte nuova ne assorbite molto di più di quanto Musica di Leonard Rosenman.
196
15. Stravinski): Petruika, Orchestra del Conservatorio di Parigi (Monteux), Decea 642237
AH. LA MUSICA DI JOHANN SEBASTIAN BACH
16. Stravinskij: La sagra della primavera, New York Philarmonic (Bernstein), HCBS 77245.
17. Copland: El Salòn México, Columbia Symphony Orchestra (Bernstein), Col. CL-920.
18. Milhaud: La creazione del mondo, Columbia Symphony Orchestra (Bemstein), v. n. 17.
19. Bartók: Musica per archi, percussione e celesta, Philarmonia Orchestra (von Karajan),
Col. 3M M 456.
20. Stravinskij: Sinfonia di Salmi, London Philarmonic Choir and Orchestra (Ansermet),
Lond. LL-889.

CORO E ORCHESTRA:

Adagio

LEONARD BERNSTEIN:

BACH!
Una sillaba smisurata: fa tremare i compositori, riduce gli esecutori in gi­
nocchio, beatifica gli amanti della sua musica e, apparentemente, fa venire
la barba a tutti gli altri. Come mai? Come può annoiare una musica così
vibrante, così piena di emozioni? Ma è vero: molti di voi trovano Bach
noioso. È inutile che lo neghiate, non v’è ragione di vergognarsene; la noia
nasce dal fatto che non è facile conoscere la sua musica, e per amarla biso­
gna conoscerla e il guaio è che non avete molte occasioni per conoscerla;
non si sente molto Bach in giro. Per sentirlo, dovreste frequentare assidua­
mente determinate chiese o andare a concerti molto specializzati.
Quanti di voi hanno avuto l’esperienza della forza di un corale di Bach?
Quanti di voi conoscono la potenza e la maestà della sua musica per
organo?
Chi di voi ha provato il fascino delicato della sua musica per flauto, il ca­
lore delle sue melodie?
Quante volte avete con lui partecipato alla gioiosa celebrazione di Dio,
come nel Magnificat?

coro:

Dal Magnificat (n. 7, fine: « Fedt potentiam »).


199
198 Ricordo anche che il movimento lento del Concerto italiano m i com m o­
veva profondamente con quella sua lunga e m esta m elodia a ll’italiana:

p ia n o f o r t e :

Ma - gni • fi - cat Ma - gni - fi - cat

... J>A =JU L |

etc.

■il ^ ^ Ma perché questi pezzi mi toccavano in profondo m entre il resto di Bach


gni - fi cat
-
' T " ................... mi era indifferente? Per la loro immediatezza. Mi riuscivano istantanea-
mente comprensibili come espressioni di gioia, mestizia, potenza, m en tre
Che slancio, quanta vitalità! E probabilmente non l’avete mai sentito. la gran parte delle composizioni di Bach mi sembrava una sequenza in ter­
Il problema è che se anche l’avete sentita, è una musica che non si arriva minabile di semicrome che marciavano come un treno in corsa (com e nella
a capire con facilità. Fuga in la minore)-.
Capire Bach non vuol dire sapere che morì a Lipsia nel 1750, che ebbe
due mogli e ventuno figli. Significa apprezzare la sua musica, ed è questa PIANOFORTE:
l’ardua impresa di stasera. Una volta capito Bach abbastanza per amarlo,
finirete con l’amarlo più di ogni altro compositore. Posso dirvelo perché
sono passato attraverso la stessa esperienza.
Per me Bach significava ben poco fino a 17 anni, quando cominciai a
studiarne la Passione secondo san Matteo. Prima, Bach per me voleva dire
una musica piuttosto monotona che sentivo ai concerti e alla radio, più
qualche pezzo per pianoforte che mi veniva dato per esercizio. Naturalmen­
te, facevo già allora alcune eccezioni. La fantasia cromatica mi piaceva
enormemente per le sue qualità d’improvvisazione e il suo impeto virtuo­ non riuscivo a discernervi alcuna emozione; mi sem brava tra tta rsi p iù di
sistico: moto che di commozione.
Ricordo che cercavo, per renderla più eccitante, di suonarla a m odo m io,
con distorsioni ritmiche che, ritenevo, le davano più calore:
L.B. AL PIANOFORTE:
PIANO FO RTE:

« n jtfp ru jM

o cercavo di farne un turbine di virtuosismo e di leggerezza:


oppure un’eruzione di dinamismo:

Prendiamo il Secondo concerto per pianoforte di Rachmaninov. Il primo


tema è aggressivo e pieno di agitazione:

C on passione

Tutti questi artifici, inutile dirlo, erano aberrazioni perché servivano solo
a mascherare ciò che io ritenevo fosse una povertà di fondo. Ben presto
dovetti accorgermi che vi sono grandi bellezze nascoste in questa musica;
il fatto è che non sono così immediate da capire come ci attenderemmo,
perché rimangono sotto la superficie; sono bellezze profonde e le emozioni
che suscitano durano molto a lungo.
Ma perché la musica di Bach è meno immediatamente comprensibile di
quella di Brahms, poniamo, o di Cajkovskij? Innanzitutto perché la sua
musica non è chiaramente drammatica. Siamo stati a tal punto guastati dal­
la musica scritta dopo Bach, essenzialmente drammatica, che ci aspettiamo
che il dramma in un modo o nell’altro faccia la sua comparsa; se viene a
mancare, ne restiamo delusi e ci annoiamo.
Precisiamo che cosa rende drammatica la musica. È il contrasto come
principio di composizione, il principio di dualità: due temi, due idee o emo­
zioni contrastanti nello stesso movimento di una composizone.
Il principio dualistico fiorì nella musica da Bach in poi. Lo si rinviene in
quasi tutte le sinfonie di Beethoven; neli’Eroica per esempio. Il primo è un
tema maschio:

L.B. SUONA IL PIANOFORTE:

il secondo fem m inile :


202 203
A rafforzare il contrasto vi sono, inoltre, le diverse tonalità: il primo La prima trincea l’abbiamo già superata: la tecnica dell’argomento e della
tema di Rachmaninov è in do minore, il secondo in mi bemolle maggiore. assenza di contrasto drammatico. La seconda è quel terribile spauracchio:
Il contrasto genera dramma: nero e bianco, buono e cattivo, giorno e il contrappunto.
notte, dolore e gioia. Bach rappresenta Pultimo baluardo contro il concetto Perché tutti si spaventano a questa parola? Quando viene pronunciata
dualistico. Ciascun movimento si basa sempre su una sola idea. Bach aderi­ e, peggio ancora, nella sua forma aggettivale di « contrappuntistico » la gen­
va a una concezione più antica per cui si dà una cosa sola alla volta: dolore te dà segni di arrendersi; dice: « Basta con questa storia del contrappunto,
o gioia, giorno o notte; una concezione valida tanto quanto l’altra. Ma ci tanto non la capisco. Fammi sentire una bella e semplice melodia ». Ma
siamo assuefatti al dualismo, e per gustare Bach dobbiamo pertanto saperci non c’è ragione di aver paura. Il contrappunto è melodia, che si accompa­
orientare e imparare ad attenderci una musica basata sempre su un solo gna a un’altra melodia o ad altre melodie e tutte procedono simultaneamen­
sentimento alla volta. Esposto il tema, l’avvenimento principale ha già avuto te in un unico discorso melodico.
luogo; ciò che segue nel movimento è una continua elaborazione, una reite­ Ricorderete che in un altro programma dei miei « Omnibus »* vi suonai
razione e discussione di quell’avvenimento iniziale; come l’architettura di un The Star-Spangled banner con la mano sinistra mentre con la destra suo­
ponte che si sviluppa inevitabilmente dall’arco iniziale. navo America producendo scontri dissonanti fra le note. Da questo nasce
Ascoltate le prime battute del Quinto concerto brandeburghese e capi­ l’arte raffinata del contrappunto, l’arte le cui regole consentono di combina­
rete quello che voglio dire: re due o più melodie insieme. Come avete visto, cambiando un paio di
note in una delle due melodie, esse risultarono perfettamente in accordo,
ORCHESTRA DA CAMERA: senza urti dissonanti anche se il motivo di America ne venne fuori legger­
mente alterato. Era un buon esempio di contrappunto.
Comunque, perché si usa il contrappunto? Perché questa complicazione?
Teoricamente, la combinazione contrappuntistica di due melodie risulta con
un suono di raddoppiato interesse. Per la stessa ragione, sei melodie com­
binate insieme dovrebbero produrre un suono sei volte più interessante;
ma è sei volte più difficile da comporre e, lo ammetto, sei volte più difficile
da capire all’ascolto.
Ripeto, noi siamo stati guastati, viziati da tutta la musica che, preva­
lentemente, ci è dato di ascoltare. Una musica dove l’armonia prevale sul
contrappunto. In altre parole noi siamo abituati a sentire una melodia e
gli accordi che l’accompagnano nel basso, sorreggendola come pilastri: me­
lodia e armonia, motivo e accompagnamento. Eccone un esempio nella
Sinfonia in re minore di C. Franck (II movimento):

ORCHESTRA:

Questo è l’arco, il resto del ponte segue logicamente e inevitabilmente.


E continua sempre così, percorrendo quelle lunghe e meravigliose linee
Allegretto
melodiche. Ma se vi attendete un cambiamento di umore, un rallentare im­
provviso che sfoci in lirismo sentimentale - se vi attendete un contrasto, in ----- iJ H"j— ii j ..j t j
altre parole - vi sbagliate. Contrasto ce n’è, ma limitato al forte e al piano, a
cambiamenti di tonalità e di strumenti; il contrasto drammatico dei temi
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manca del tutto. P car tabile
È una musica basata su un’unica catena di temi che vengono modulati, hJ 77" !A J-1I I 1M j M j 4— M i il
' fr fr ^ J. 1--------— * J - - J -- à-----
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sviluppati e sfruttati nei loro dettagli più minuti. È la tecnica dell’argomen­
to, quella di scegliere un soggetto e discuterlo in profondità; può sembrare
i -J-
piuttosto intellettualistico, e io ritengo che, infatti, lo sia. Ma chi ha mai
sostenuto che la musica per essere bella debba essere facile? Riconosciamo­
ne la complessità, rimbocchiamoci le maniche, prendiamo fiato e accingia­
moci a incontrare Bach sul suo stesso terreno. Vedi: « Introduzione alla musica moderna », pag. 157.
204 205
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Ecco il concetto di musica che noi abbiamo perché negli ultimi duecento
anni la musica si è sviluppata in questa direzione.
Prima, la gente ascoltava la musica in modo diverso: l’orecchio era as­
suefatto a udire linee melodiche, suonate simultaneamente, piuttosto che ac­
cordi.
Sembra strano, ma era il modo musicale naturale di una volta. Il
contrappunto ha infatti preceduto l’armonia, che è un fenomeno relativa­
mente recente.
In realtà, tutta la musica primitiva, come la musica orientale di oggi, Qui si hanno quattro linee melodiche simultaneamente. Ma c’è un altro
è lineare; anche la struttura, il tessuto del jazz è eminentemente lineare. aspetto da considerare. Se a un momento qualsiasi noi arrestassimo la mu­
È questa la ragione per cui i jazzisti idolatrano Bach. Per essi è il sica:
modello supremo della linea melodica ininterrotta nel suo fluire; e si spiega,
perché Bach e i jazzisti concepiscono la musica nella stessa maniera lineare,
vale a dire orizzontalmente.
La melodia esprime una concezione orizzontale della musica, il suo fluire
ife-FT~
lineare nel tempo, come per esempio nel Contrapunctus II
fuga:
Arte della rn
L.B. AL PIANOFORTE:
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J- jjr-
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e così anche il contrappunto che consiste in un insieme di melodie diverse
che fluiscono orizzontalmente, come in questa fuga di Bach: H—^— —*=
QUARTETTO d ’ARCHI:

Che cosa avremmo? Quattro note differenti suonate contemporaneamente,


cioè un accordo, un gruppo verticale di suoni. La sonorità verticale è armo­
nia:

L.B. a l p i a n o f o r t e :
206 207
qualcuna delle sue composizioni; vediamo come si risolve il cruciverba.
Prendiamo la sua musica più semplice, il corale, l’inno luterano, e vi tro­
viamo una melodia semplice, limitata e tanto facile da poter essere ricordata
da tutta la congregazione dei fedeli che la debbono poi cantare in chiesa con
l’accompagnamento di accordi. Bach ha armonizzato centinaia di questi cora­
li per tutte le parti vocali: soprani, contralti, tenori e bassi; come quello
appena ascoltato. Di solito, in ogni congregazione, erano disponibili i quat­
tro tipi di voci e il corale veniva allora cantato in chiesa in tutte le sue
parti. In caso contrario i fedeli avrebbero cantato soltanto la parte del
gli accordi, i pilastri che sostengono la melodia; come in questo corale di
soprano.
Bach Ach, wie nichtig! Ach, wie flüchtig!
Le melodie, i motivi erano per lo più conosciuti da tutti, perché si tratta­
va, prevalentemente, di motivi popolari. La chiesa luterana favoriva una
coro:
musica che potesse essere cantata dagli stessi fedeli, differenziandosi in tal
modo dalla liturgia cattolica dove il canto era affidato al clero officiante e al
coro. La chiesa protestante accoglieva quindi melodie di ogni tipo e da
-m— za r — ■ tutte le fonti: canti d’amore, marce, ballate più o meno profane e canti che
J
Ach,
«
ime nidi -
,
tig Ach, wie fliich - i
arrivavano in Germania dall’Italia e dalla Francia. Tutti venivano subito
ir\ I ecc. assimilati e trasformati in inni.
PILASTRI u ff £ Per esempio, prendete uno dei più popolari motivi di corale O Lamm
n. -- W fim ' w~ w r HP
•Jp__tr i. ______
" .... !______________
tr r 11_______ 11____ ________
i r______ _______ Gottes unschuldig (O Agnello immacolato):

L.B. CANTA:

Questa è musica verticale, eppure contiene elementi orizzontali. La me­


lodia dei soprani, naturalmente, è orizzontale. Ma ognuna delle altre tre
parti che l’accompagnano - contralti, tenori e bassi - canta la sua melodia
O LAMM GOT TES UN - SCHUL - DIG AM STAMM DES KREU ZES GE SCHLACH TET
lineare. Notate la linea orizzontale cantata dai bassi:

b a s s i:
Non somiglia stranamente a Twinkle, Twinkle, Little Star?

I »r r ir r r ir r J J IJ J.ï
Twin - kle, twin - kle lit - tie star H ow I won - der what you are

Ciò che vorrei incominciaste a capire è che armonia e contrappunto sono


interdipendenti, e che elementi dell’una sono attivi nell’altro. Mi è stato det­ Per la verità, questo era un motivo popolare dell’epoca, conosciuto col ti­
ti che questo è un punto troppo sottile per essere afferrato dai non-musicisti; tolo francese di Ah, vous dirai-je, maman.
ma io non sono d’accordo. È, inoltre, un punto importantissimo perché dà
la chiave dello stile bachiano. Bach fonde il verticale e l’orizzontale nella coro d i f a n c iu l l i:
musica in modo così meraviglioso che è impossibile dire di una sua opera
« questo è solo contrappunto » o « è solo armonia ». Bach architetta un
tipo sublime di sistema di parole incrociate in cui le note delle « orizzonta­
li » e quelle delle « verticali » sono interdipendenti e tutte sono perfetta­
mente al proprio posto.
Tentiamo ora di esaminare quanto conosciamo della tecnica bachiana in
208 209
Il motivo dèi corale è diferente, ma ne ha la stessa struttura:

CORO DI FANCIULLI:

O LAMM GOT - TES UN- SCHUL - DIG Ci accorgiamo allora che ognuna delle voci ha il suo proprio significato
orizzontale, è melodicamente bella. È questa la ragione per la quale le quat­
Bach prendeva un motivo come questo e lo faceva cantare dal soprano tro voci assieme producono una musica così profondamente ricca e affasci­
aggiungendovi un’armonia a tre parti e ciascuna di queste parti era una me­ nante malgrado la sua grande semplicità.
lodia ricca di significato e di bellezza. Ecco l’aspetto orizzontale di questa Con tutta la sua ricchezza, Bach sviluppò il corale in qualcosa di ancor
musica verticale. Se ascoltate il corale, armonizzato da Bach, capirete quello più ricco chiamato preludio-corale. Il preludio-corale è una composizione
che voglio dire: piuttosto breve a struttura continua ma nella quale, in certi punti, appaiono
frasi melodiche di un corale. È come un fiume che scorre tranquillo nel
coro:
corso del quale sorgono delle isole. Il fiume è il discorso musicale princi­
pale, le isole le frasi del corale separate l’una dall’altra. Ed ecco che inter­
viene il contrappunto che riesce a convogliare in un corso unico le acque
del fiume e la terra delle isole. Un esempio lo traiamo dal motivo del corale
Gesù, gioia d’ogni uman desio :

CORO:

Avrete sentito il motivo cantato nel registro acuto dai soprani. Ma nei regi­
stri sottostanti che succedeva? I contralti cantavano questo:

c o n t r a l t i: dom love. most bright

Con questo Bach compone un preludio-corale per organo. Il motivo del co­
rale non appare subito. Prima il fiume cominciala scorrere tranquillo: una
linea melodica completamente diversa dal motivo del corale con la quale ha,
tuttavia, una certa vaga relazione:
i tenori quest’altra frase melodica:
organo:

t e n o r i:

_____________ A

O LAMM ____ GOT - TES U N - ____ SCHUL - DIG

e i bassi quest’altra:

b a s s i:
210 211
Poi ci si avvicina alla prima isola, la prima frase del corale e il fiume con­ del corale. Ma il contrappunto nasce daH’armonia, l’armonia dettata dal
tinua pacificamente a scorrere: motivo del corale stesso. Troviamo quindi di nuovo armonia e contrappunto
intrecciati inestricabilmente.
. Isola Da questo, Bach portò il contrappunto a forme più complesse, nella re­
gione nobile delle fughe e dei canoni. Sapete che cosa è un canone: due
rif rir-r linee melodiche che procedono imitandosi, proprio come in Fra Martino
campanaro, che abbiamo cantato da bambini. Nel canone, come in questa
Fiume canzoncina, è sempre una sola voce a cominciare. Io comincio con «Fra
Martino campanaro... » e voi entrate cantando la stessa cosa mentre
*n r* k 11 m J j Q i ■ 1m ' ■ m m m • m io continuo con « Dormi tu, dormi tu... » Così comincia un canone.
•Jn"H é * f p r ”P" r I* ■p r p Ma quando Bach compone un canone, per quanto complesso sia il con­
trappunto che se ne sviluppa, la struttura armonica si mantiene sempre per­
,
“~ r d ir m. —
j ^j )............
À 4- JfL fettamente salda. Questa invenzione a due voci, per esempio, comincia in
maniera canonica: la mano destra suona una frase di due battute, poi la
.......... 1
---- r - t y -------- r-4- V
~ ........... J __ :___s __ e ____
sinistra ne suona l’imitazione precisa:

L.B. SUONA IL PIANOFORTE:


Ed ecco che la seconda isola ci viene incontro mentre il fiume continua a
scorrere lungo le sue sponde:

Isola
/ f t # ------
I »n '1' “ -p 'W P w 1 1m
'J 1 *■ r \— H 1

Fiume
« A TI 1 . ................. m m —
y J m -p ţ i . r 1 j 1 1— f - j —J - ■— ■! J — L « lz 1:
■ÿ - u j j —fa- i - * ~

. i À 4r . - J -
___ _h.e______ ■ —. —
r'w
T1
r1 .. ___ "p
" t ........ _J____________
' ~ fLI______
1 ______ 1 ^ —

1 ' - 1---------- ----------------f — ' 1

ifo f j .z= f= = \
$ — ± — ■■ - - ~ Come per incanto, Bach sceglie tutte le note che non solo si combinano
contrappuntisticamente alla perfezione, ma che producono anche l’effetto di
armonia, pur nella mancanza assoluta di accordi. Queste due semplici linee
««
- y ■T* —■-J
n - im—- m+ m--mm" ^ melodiche riescono infatti a darci l’impressione della massima completezza
y j - - 3 - -] armonica. Con non più di due note per volta Bach ci offre un’armonia di
sonorità limpidissima, sicché l’ascoltatore non si smarrisce mai fra le due
etc. distinte linee melodiche, poiché ha un punto di riferimento nell’implicita
»1
•k B - 1 - ------ ” " ■ ' armonia che unifica tutto.
_ _ ________ L__________
L ----- «>- — .......... - . 1 - .....- j ------- ■ Dal canone si passa, naturalmente, alla forma più elaborata di contrap­
punto: la fuga, che per opera di Bach diventa una forma di tale potenza
espressiva, mai più uguagliata da altri compositori. L’analisi strutturale della
Il contrappunto di Bach è squisito; così limpido, così consono al significato fuga prenderebbe un’intera trasmissione se non proprio un corso di Conser-
212 213
vatorio. Ma per amare Bach non occorre essere un esperto nell’arte della
fuga. Ci basti sapere che la fuga nasce dal canone e che procede con vari
episodi, variazioni, sviluppi, diventando una nuova forma musicale, com­
plessa e piena di interesse.
Ma anche nel labirinto contrappuntistico Bach riesce a fondere il con­
trappunto con l’armonia, e non si è mai costretti a dover seguire quattro
melodie diverse contemporaneamente come se si avesse a che fare con quat­
tro conversazioni telefoniche nello stesso momento. L’armonia unisce le va­
rie voci e le fa confluire in una unica entità musicale.
Cominciamo così a farci un’idea di che cosa è Bach. Il corale, il preludio-
corale, il canone e la fuga compongono il quadrangolo del mondo musicale
bachiano. Forti dunque della nostra conoscenza, della abilità che abbiamo
acquisito di ascoltare orizzontalmente e verticalmente a un tempo, siamo
pronti per capire e apprezzare qualsiasi opera di Bach. Ed esaminiamo per­
tanto il coro iniziale della ¥ assione secondo san Matteo, l’opera eccelsa che Questa introduzione orchestrale ci immerge subito nella sofferenza e nel
fece nascere in me la passione per Bach. Pur nella sua complessità, non c’è dolore, preparandoci all’entrata del coro che canta il profondo cordoglio del
nulla in esso che ora non riusciamo a capire. È semplicemente un preludio­ fedele al momento della crocifissione. Tutto questo è ottenuto mediante
corale, un fiume con le sue isole, non dissimile da quello che abbiamo sen­ imitazioni tematiche e canoni. I bassi cantano « Kommt, ihr Töchter, helft
tito poco fa. L’unica differenza è che questo preludio-corale è cantato, e il mir Klagen » (Fate coro al mio lamento) e a essi rispondono i tenori a una
suo fiume sonoro non scorre tranquillo ma tumultuosamente. quinta superiore:

ORCHESTRA: coro m a s c h il e :

Andante

TÖCH- TE R , H ELFT MIR KLA - G EN, KOMMT, ---------------- IHR

Nel frattempo il coro femminile canta un controcanone:


215
214
CORO FEM M IN ILE:

Ai cori si aggiunge il palpitante accompagnamento dell’orchestra e la gran­


diosità d’insieme che ne risulta è incomparabile.

ORCHESTRA E CORO:

s. Improvvisamente il coro si sdoppia in due masse corali procedenti ad


antifona: una esclama « Sehet » (Viene); « Wen? » (Chi?) chiede la secon­
K O M M T,—--------------------- IHR TÖCH -TER, HELFT MIR KLA da. Al che la prima risponde Den Bräugtigan. Seht ihn — Wie? —Als wie
ein Lamm » (Lo sposo, o ciel, dolce - Sì! - Come un agnel). E su questo
ansimare di domande e risposte sorge il coro di fanciulli « O Lamm Gottes
unschuldig » (O Agnello immacolato) che sulle pene terrene fa librare, lim­
I
pidissima, la verità della redenzione.
I

I
CORO DI FANCIULLI:

GEN, KOMMT, IHR


KOMMT, IH R TÖCH- TE R , H ELFT M IR KLA - -

La perfezione e la bellezza della stesura contrappuntistica mozzano il fia­


to: in tutta la musica non esiste nulla di simile.
216 217
CORI: Per esempio, nella Passione secondo san Matteo i fatti della Passione
vengono narrati dal tenore con un recitativo della massima sobrietà, accom­
pagnato soltanto dal clavicembalo, dal violoncello e dal contrabbasso. Ma
quando si leva la voce di Gesù, anche nei suoi recitativi, entrano gli archi
che circondano le sue parole di accordi luminosi paragonabili ad aureole.
Eccovi un esempio di questo recitativo che descrive la scena dell’Ultima
Cena, quando Gesù dice ai discepoli che uno di essi lo tradirà; sentitele
queste aureole sonore:

evangelista :

A ii

Chi ha detto che in Bach non c’è dramma? Con questo coro, ben prima
che il narratore abbia cominciato a raccontarci la storia, il dramma ci appa­
re con la stessa forza dell’inizio di una tragedia greca. Per Bach non esiste
pietà più profonda, né terrore o esaltazione più grande di quella che suscita
la semplice storia del Cristo e del miracolo del Suo amore per l’uomo. È nel
dramma della Cristianità che il genio di Bach brucia col suo fuoco più vivo.
218 219
Segue uno dei momenti più drammatici di tutta l’opera. I discepoli si
accalcano l’uno sull’altro, chiedendo ciascuno, pieno d’ansia e timore:
« Herr, bin ich’s, bin ich’s? » (Che? son io, Signor?) A questo punto il con­
trappunto raggiunge un effetto talmente drammatico che la scena sembra
sia recitata. Un altro esempio di Bach, il non drammatico, che si rivela più
drammatico di tutti:

coro:

Questo breve coro è molto interessante anche sotto un altro aspetto, col­
laterale. Le parole « Herr, bin ich’s, bin ich’s » sono ripetute esattamente
undici volte; una volta per ciascun discepolo tranne Giuda che, naturalmen­
te, tace. Qui non si tratta soltanto di una trovata drammatica. Ci si rivela
la ossessione che Bach aveva per i numeri intesi come simboli. Nonostante
la sua provinciale, luterana semplicità, Bach era un mistico, e un aspetto del
suo misticismo è l’interesse di lui per la numerologia. Era affascinato dalla
pratica talmudica di sostituire numeri a lettere per giungere a significati
mistici.
Per esempio, posto che A equivale a 1, B a 2 eccetera, le lettere del nome
Bach formano il numero 14 che per lui era un numero mistico. Infatti: 1 è
il numero più sacro di tutti e 4 rappresenta i 4 vangeli. E se si sottrae 1 da
4 si ha 3, la Trinità; la somma di 1 e 4 dà 5, i cinque libri di Mosè. I fattori
di 14 sono 2 e 7, due numeri mistici dell’antichità. Cosa ancora più prodi­
giosa: il suo nome e cognome completi, Johann Sebastian Bach, nel vecchio
alfabeto tedesco, danno il numero 41 che è l’esatto inverso di 14, cioè
B-A-C-H. Per una mentalità contrappuntistica come la sua, questo aveva
del miracoloso. L’ultima sua composizione prima di morire (il preludio-co­
rale Vor deinen Thron tret’ ich allhier) inizia con una frase di 14 note e
tutta la melodia ne contiene 41.
Questa vena di ingenuo misticismo la si scorge in tutta la Passione sotto
forma di descrittivismo musicale. Bach non concepiva le note soltanto come
suoni, ma come germi creativi veri e propri. Se, nell’usarne, riusciva a dise­
gnare la croce, o a delineare il gesto della mano di Cristo, o a suggerire il
volo delle anime verso il cielo, ne era felice. Consideriamo questo recitativo
che viene in un momento successivo della Passione:
220 221
s o l is t a : SOLISTA E CLAVICEMBALO:

Vivace

Avete avuto la sensazione della lenta ascesa al Monte degli Olivi?


E questa lirica immagine dell’Ascensione viene ottenuta da Bach con una
CLAVICEMBALO E CANTANTE SOLISTA: semplice scala:

Moderato
ACCOMPAGNAMENTO e v a n g e l is t a : É
» p p p m
W ILL
P
WANN ICH A-BER AUF - ERSTE-HE, ICH VOR EUCH HINGE

GIN-GEN SIE H IN -A U S AN DEN OLBERG.

(L’Ascensione)
E non è tutto. Sentite, in seguito, che commozione musicale Bach sa espri­
mete alle parole « und die Schafe der Herde werden sich zerstreuen » (e di­
sperse saranno le sue pecore tutte):
222 223
c o r i:

Ma alla morte di Cristo, lo stesso corale s’ode in una versione molto di­
versa. Le parole qui sono: « Wenn ich einmal soll scheiden, so scheide nicht
Che differenza fra questa scala, con le aureolate note degli archi e quella, von mir! » (Se un dì dovrò sparire, deh, non m’abbandonar!). L’armonia
scarna, che descriveva l’ascesa al Monte degli Olivi! diventa tormentata, cromatica, convulsa per la sofferenza, e oscurata dalla
Ora possiamo capire ciò che il grande Albert Schweitzer chiamava tone- presenza della morte:
speech (il suono-parola) di Bach alludendo alla fusione mistica fra parole
e note che crea un nuovo linguaggio. È in questo linguaggio che Bach scrive
il suo dramma; impiegandolo non solo nelle parti narrative del recitativo,
c o r i:
bensì in tutta la Vassione.
C’è un corale che si ripete non meno di cinque volte durante la Passione,
una melodia dolcissima: Lentamente

p ia n o f o r t e :

A f
------------ 1---- :— ----------------
"0 ------------- n ------ H — n
g? m‘ J - * ■ * J — -M — 1M— ----- ~ I ------- B

hm
^ — =P=F:- ' r ffr-f l *r= T * 1 '
Ogni volta che appare, questo corale viene presentato in maniera sempre
nuova: con parole diverse, in diversa tonalità e con una diversa armonizza­ r\
zione. Con queste differenze di tone-speech, Bach riesce a comunicare una
varietà sorprendente di significati.
1 i=j= F*= ^=à 1 1
Alla sua prima comparsa, le parole del corale sono: « Erkenne mich, r T •*r t r -r
mein Hüter, Mein Hirte, nimm mich ani » (Mia guida, mio pastore, deh, m ir ! her fü r ! WENN MIR------ AM AL - LER - BANG - STEN WIRD
prendimi con te!) e si riferiscono alle pecore del gregge prima menzionate.
L’armonizzazione è pertanto semplicissima, pastorale. Senza alcun ornamen­
to o elaborazione contrappuntistica, le voci interne si muovono su una sem­
plice scala:
U r' t f J

â
224 225
1 ^ 1 ■ j J ^ j r --------
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= F = = = = = ¥ 3 = - £ § - 4 - -------------- 1--------------- h - ,
Quale mirabile armonizzazione per la parola « debole »! Ci si sarebbe aspet­
tati una normale risoluzione armonica:
L r t ş '
w
V i/
UM DAS HER ‘ ZE SEIN , SO REISS MICH AUS DEN

----------------------------H f l f l - 4 - --------f ------- i - f - f --------


iwJ __ hJ____J ___J J - ,,J i ‘y H_____ ___________C ___r ' ** r ______ r ______- _______ ■

I P s f-f Èÿ ^ DAS FLEISCH IST SCHVVACH.

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- J --------- --------- bJ---------------------
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J Itfi 1
11
Bach invece sottolinea il significato della parola con un accordo non risolto,
indeciso:

È uno dei momenti più imponenti di tutta la musica. Ma ogni momento


della Passione è imponente. È il risultato magico che Bach ottiene mediante
la straordinaria fusione tra parole e musica. DAS FLEISC H IS T SCHW ACH.
Per esempio, nella scena del Getsemani, quando Gesù trova i discepoli
addormentati dice: « Könnet ihr denn nicht eine Stunde mit mir wachen? - . ê t =
Wachet und betet, dass ihr nicht in Anfechtung fallet » (Non potreste un’ora
con me dunque vegliare? Lesti, pregate per fuggir la tentazione) e continua:

SO LISTA E ARCHI;

Non avete sentito la « debolezza » nell’armonia?


La sua abilità di suggerire con la musica il significato delle parole rag­
giunge l’apice al momento del tradimento, quando Giuda bacia il Maestro.
Quel bacio, la sua falsa dolcezza, ci vien fatto quasi di scorgere da una frase
esageratamente romanticizzata:
226 227
evangelista : giuda :

p * n w
i
UND ALS-BALD TRAT ER ZU JE SUM, UND SPRACH: GE-
evangelista :

::'w=''$ = $ -fi-------- r ---- ---------------------4 = ] — J--------


.....- 1 V "r— "
GRÜSSET S E l’ST DU, RABBI ! ö UND K Ü S -S E - TE I H N .___

J
" , tT T^
- - - - - - - * iè=

....
k —

Poi, al canto dei solisti « Sie führen ihn, er ist gebunden » (Condotto ei
Quando Gesù viene catturato si ha uno dei grandi momenti dell’opera, vien a’ suoi tormenti) si odono nell’orchestra pesanti passi cadenzati, come
un duetto fra soprano e contralto con accompagnamento del coro sulle pa­ un procedere inesorabile:
role « So ist mein Jesus nun gefangen » (Così prigione è il mio Signore).
Qui npn si ha soltanto la descrizione musicale delle parole, ma la descri­ DUETTO E ORCHESTRA:
zione di tutta una scena, è un affresco su grande scala. Ci ricorda, di nuovo,
i grandi cori della tragedia greca. I due cantanti solisti sono i due corifei
e mentre il loro doppio lamento si leva, il coro dei discepoli irrompe con
l’urlo « Lasst ihn! haltet! bindet nicht! » (Lascia! Basta! per pietà!):

DUETTO E CORI:

Moderato
^ SOPRANO solista: ^___ .— -----------------------------
^ ^
À y f- P fi 1
1
J ì J . fi -■j.J >»-
1
J àJ + —:
T —' * 1- P 1- * ■ P =— ft" r == r
SO IST MEIN JE - SUS NUN G E- FAN — - -

CONTRALTO SOLISTA:
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• ... -- - . ■ ■■ - —
----------- ■ (m zâ------- a::,,-g--, J t -______ J iz
- ........ — «r— L— ?— * ^
so 1ST MEIN Il coro quindi scoppia, tremendo, invocando tuoni e fulmini e l’annienta­
mento degli assassini. Dopo aver ascoltato questa fuga corale non potrete
dire mai più che il contrappunto è noioso. Questo è dramma che raggiunge
l’incandescenza:
228 229
e v a n g e l is t a :
DOPPIO c o r o :

CORO I

coro n

oppure gli ultimi istanti struggenti sulla croce:

SOLISTI:

Dramma allo stato puro, a livello altissimo, bachiano. E questo livello è


mantenuto, con coerenza incredibile, durante tutta la Passione: per esem­ Adagio
pio, nel momento in cui Ponzio Pilato offre alla folla la scelta fra Cristo e
Barabba:

spra ch : LA-MA, LA-MA A - SAB- THA-Nl!


s o l is t i E coro:

PRATO :

WELCHEN WOLLTIHR UNTER DIE- SEN ZWEIEN, DEN


230 231
Questa è la sola volta che le parole di Cristo non siano aureolate dagli c o r i:
archi. Un’intuizione geniale perché al momento della morte Cristo diventa
mortale. Segue il passaggio più drammatico di tutti: Andante sostenuto
c o ri I e n:

s o l is t i e o rch estra:

Veloce e agitato

1—... ! HT3
p ü if r p L t cj*hr
- NIE - D E R --------------------------- UND RU ---- F E N ------- D IR ------

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CORO I coro n

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IM GRA - BE ZU: RU - HE SANF- TE , SANF - TE

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CORI I E D

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r
RU ------ HE SANF - TE, SANF - TE r u h ’!

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Si giunge così al coro finale: l’addio al Cristo nel sepolcro. È una grande,
esaltata, ninna nanna: r m m M A ?
é
232
Oh, se fosse possibile guidarvi attraverso tutte le meraviglie di questa CHE COSA FA GRANDE L'OPERA
grande opera! Sono infinite, nessuno può conoscerle tutte, nemmeno con
una vita intera di studio. E tenete conto che questa è solo una delle opere
della vastissima produzione bachiana, un solo volume fra tutti questi:

( L.B. indica l’edizione completa delle opere di Bach, oltre quaranta grossi
volumi.)

canti, danze, suites, partite, sonate, toccate, preludi, fughe, cantate, oratori;
messe, passioni, fantasie, concerti, corali, variazioni, mottetti, passacaglie:
la creazione di cinquantanni di lavoro ininterrotto.
Qual è la forza che unifica tutte queste pagine, che le fa inconfondibil­ (Leonard Bernstein sul palcoscenico vuoto)
mente il lavoro di un solo uomo? Lo spirito religioso. Per Bach tutta la
musica era espressione religiosa. Comporla era un atto di fede; eseguirla un S ia m o nella sala vuota di un teatro d’opera, precisamente in quella del
atto di adorazione. Ogni nota era dedicata a Dio e a nient’altro. Questo grande Metropolitan di New York. È completamente vuota, spoglia di tutto
vale per tutta la sua musica, anche quella profana. I sei Concerti brande­ il suo abituale splendore, della sua opulenza. Non vi sono spettatori in abito
burghesi per orchestra erano, tecnicamente, dedicati al Margravib di Bran- da sera, niente pellicce, niente gioielli, niente loggionisti che gridano:
deburgo, ma le note cantano la lode del Signore, non del Margravio. Ogni « Brava, divina! » Sul palcoscenico non vi sono templi egizi, plaza de toros
suite per violoncello, ogni sonata per violino, ogni preludio, ogni fuga o castelli di Spagna. Vi è solo qualche cantante e l’orchestra del Met.
del Clavicembalo ben temperato è una lode di Dio. In questo pomeriggio domenicale trasformeremo questo teatro in un la­
Questa la struttura portante dell’opera di Bach: la fede. Come avrebbe boratorio e punteremo i microscopi sull’opera - sul melodramma - cercan­
potuto altrimenti produrre tutta questa musica splendida che gli veniva do di individuare che cosa le dia grandezza.
ordinata, rispettando le date che gli venivano imposte e svolgere, contem­ Grandezza? Una parola strana per l’opera. Che vuol dire? Per molta
poraneamente, tante attività? Suonava l’organo, dirigeva il coro, insegnava gente, in verità, significa proprio e soltanto quello splendore, quell’opulen­
a scuola a un esercito di bambini, presenziava a riunioni e teneva gli occhi za, le pellicce, i gioielli. Significa una attività di alto bordo, riservata alle
aperti nel caso gli si fosse offerto un lavoro meglio retribuito. Bach, dopo­ classi agiate, dispendiosa, remota, diffìcile e frivola, intelligibile solo ai mu­
tutto, era un uomo, non un dio; ma era un uomo di Dio, e la religiosità sicisti e amata solo da qualche scalmanato. In ogni caso, un’attività solo
informa tutta la sua musica dal principio alla fine. per pochi. Come è sbagliato tutto questo!
In realtà, l’opera è, invece, per i più; come è sempre stata. È la prima
e più popolare delle forme d’arte. In Italia, culla dell’opera, la stessa gente
(Trasmissione televisiva del 31 marzo 1957) che va a sentire Aida va anche alle partite di calcio. In tutta l’Europa, anda­
re all’opera vuol dire semplicemente andare a teatro. L’opera è ‘teatro; è
una forma perfino più popolare di teatro perché emozionalmente più diret­
ta. Non c’è modo di dar forza alla semplice asserzione « ti amo » se non
quello di far avanzare un tenore fino alla ribalta e fargli urlare:

JL.B. AVANZA FINO ALLA RIBALTA E CANTA:

Io t ’a - mo!

È di una semplicità lineare. Le emozioni umane più elementari vengono


isolate e magnificate ben oltre la loro dimensione naturale, in modo da non
234 235
sfuggire a nessuno. Ogni emozione vi viene incontro ingigantita, chiara, a passaggi di serena liricità:
diretta, senza dispersioni. Un esempio? Prendiamo la più elementare e u-
mana delle emozioni: l’amore.
Lento Moderato TRKtano^ ^ —-----------------------------------------
(A questo punto viene eseguito il duetto d’amore del secondo atto del Tri­ *P w
»l>tAU 4-
> j!— r : ___
z: : _______— — --------------- ------- — 1i— ---------”-1 ■
stano e Isotta di Wagner.) tw 'y - - 11 " " T ----- “ ----------------- ------- 1
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O sink* her - nit? - d'er,
Bisogna riconoscere che non è possibile essere più appassionati di così
senza infrangere i limiti della decenza. Dove, in tutto il teatro, si può tro­ t\ 1 . 8 S S S ■p—1
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vare l’amore a uno stato più puro e presentato così amplificato? Nessuno ha [iTm
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-Q-J— — - hu J -----4 - “ I r l — — k ■■■■■■■ —^ F*t -------- -ffc:i------1-
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mai eguagliato la grandiosità con la quäle Wagner enuncia la veemenza * r --------- --R ' S 3 g g - * 1 ir~ ^ 3 ^ 3 -
3
della passione amorosa: una scena d’amore che dura quasi due terzi dell’in­
tero secondo atto. La sua grandezza - è il più grande di tutti i duetti d’a­ |' h r n ri 1 ' k mn m * S 'i 1 8 h . — -1I
1m¥• »T9 h 9 mh*l “ i"^ 1T+ f ^ i
more —non è data certamente solo dalla sua ampiezza, ma soprattutto dalla 1 / w*i-v -«__ 5 __n ___ u __ n ^ ! 1..... r--n -
potente forza espressiva, dal suo intimo significato e dalla sua varietà.
Questa musica va dal mormorio intimissimo:

L.B. SUONA IL PIANOFORTE E CANTA:

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v a _?__ l ____ 1_____ 11 _____________
Con moto «----------------------- '
Nacht der Lie - 1?e
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a momenti di domande frenetiche:

Molto vivace
ISOTTA: TRISTANO: ISOTTA.*

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237

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poi a quello in cui le parole dei due amanti, nell’impazienza delirante della
passione, si accavallano l’una sull’altra:
%
%
Molto vivo
t

ecc.

finché la musica ascende a un’altezza vertiginosa: la passione non ha più


^limiti. È un passaggio incredibile.
238 239
CARM EN:

Che ricchezza traboccante di sentimenti!


Una delle cause principali del grande potere di immediatezza dell’opera
sta nel canto. Può sembrare una constatazione puerile, ma in realtà acqui­
sta grande significato quando si pensa che fra tutti gli strumenti di quella
vasta ed eterogenea collezione chiamata orchestra, non c’è n’è uno che possa
lontanamente competere con la sublime espressività della voce umana. Essa
è il più grande strumento che esista. Quando la forza del dramma, la narra­
zione di un avvenimento o l’emozione che questo suscita vengono affidate
alla voce, singola o a molte voci insieme, non c’è nulla in tutto il teatro che
ne eguagli l’immediatezza d’impatto espressivo.
Consideriamo la gelosia e come viene liricamente espressa nell’ultimo atto
della Carmen\

SOPRANO E TENORE ACCOMPAGNATI AL PIANOFORTE:

Agitato

Questa sì che è gelosia. Eccovi invece la speranza nel trio finale del Faust
di Gounod:
240 241
SOPRANO, TENORE E BASSO ACCOMPAGNATI AL PIANOFORTE*. sein dei

m a r g h e r it a :

hit les cteux

v*t r.i t j etc.

Oppure l’opposto della speranza, la disperazione, nel capolavoro di Mu-


sorgskij, il Boris Godunov.

BASSO ACCOMPAGNATO AL PIANOFORTE:

Lento

M
242
?

Sentite ora la Salome di Strauss che canta l’esaltazione del male dopo
aver baciato la testa decapitata di Giovanni Battista; il senso di peccato
che ne emana ci fa rabbrividire:

SOPRANO ACCOMPAGNATO AL PIANOFORTE:

Largamente
SALOME :

É
Ich ha - be dei - nen Mund
J2.*

r A f T - r - r ^
> > > >

Notate che tutte queste emozioni elementari non ci vengono semplice-


mente presentate, ma ci vengono scagliate contro. La musica ha un potere
tutto suo, particolare; non passa, per raggiungere direttamente il nostro
cuore, attraverso il processo selettivo del nostro cervello. Non ha bisogno
di essere vagliata come le parole di un dramma o di una commedia teatrale.
Un fa diesis non richiede considerazione alcuna, colpisce dritto il bersaglio.
244 245
Pensate a re Lear in un’opera: infurierebbe con una profonda voce di basso BARITONO E ORCHESTRA:
come nessun re Lear potrebbe mai riuscire a infuriare nella tragedia di Sha­
kespeare, toccando freneticamente un sol bemolle alto mentre il coro ulu­
la dietro le quinte e una novantina di orchestrali lo sostengono. Natural­
mente, nel teatro di prosa, ove non si odono che parole, si possono ottenere
maggiori sfumature e, a volte, si raggiunge una maggiore profondità. Si ha
più possibilità di giocare col significato delle parole, di esaminare e riesa­
minare, di ragionare e giustificare. Come fa Jago n ă Y Otello. In Shakespea­
re, Jago è un personaggio più sottile, più ambiguo di quello dell’opera.
Il personaggio di Shakespeare non è un malvagio in senso assoluto anche
se indulge nella malvagità. È certamente il « cattivo » della vicenda, ma
le sue ragioni trovano una certa spiegazione che egli stesso enuncia nei
soliloqui. Questo, per esempio:

UN ATTORE RECITA IL SOLILOQUIO DI JAGO:

... Che Cassio la ami, lo credo bene. Che ella ami lui, è probabile. Il Moft), per quanto
io non possa sopportarlo, è di natura fedele, amorosa e nobile; e oso credere che si dimostrerà,
per Desdemona, un marito perfetto. E, poi, anche io la amo, e non solo per piacere ma anche
per vendetta, poiché sospetto che il Moro libidinoso si sia insinuato nel mio letto. E questo
pensiero mi rode dentro come un veleno [...].

L.B.:
Potete immaginare tutte queste parole messe in musica? È inconcepibile.
C’è troppo ragionamento, troppa ambiguità, richiedono troppo cerebrali­
smo per essere capite. In un libretto d’opera non c’è tempo per tutto que­
sto. Nell’opera la musica espande il testo, emozionalmente, a tal punto da
relegare le parole a un valore, a una funzione rudimentale. I personaggi sa­
ranno pertanto delineati in maniera essenziale, senza complicazioni, in modo
da consentire la loro immediata identificazione. Debbono corrispondere a
emozioni primarie. In altre parole, Jago nell’opera deve essere buono o
cattivo, senza sfumature. Da questo Otello ( l . b . mostra il volume della tra­
gedia di Shakespeare ) a questo esile libretto ( l . b . mostra il libretto delV
Otello). Ne emerge uno Jago assai diverso, che si adatta perfettamente alle
esigenze operistiche di Verdi. Questo Jago è un malvagio tradizionale, in
tutto e per tutto. Non vi sono dubbi, non ha scuse né motivi complessi per
essere quello che è. È il male, ne è perfettamente cosciente e ce lo fa sapere
senz’altri ambagi. « Credo », egli dice, « credo in un Dio crudei che m’ha
creato simile a sé... Credo che l’uomo sia malvagio e che io son solo un
uomo. Credo che dopo tutta la sua follia l’uomo muoia e che dopo la morte
non vi sia che il nulla. Il cielo è una fandonia! »

Abbiamo finora dato uno sguardo a qualche brano d’opera di vàrio gene­
re, e abbiamo sempre dovuto constatare che l’opera è grande, più grande
del teatro di sole parole, più grande della realtà; e questa sua maggior di­
mensione le vien data dalla musica e dal canto.
Come la musica pervenga a questo risultato ce lo rivelerà l’esame che fa-
246 247
remo dell’intero terzo atto della Bohème di Puccini; un atto breve, deli­ Fra di essi c’è Musetta che canta un frammento del famoso valzer col quale
zioso. l ’abbiamo conosciuta nel secondo atto:
La scena è a Parigi, nel 1830. Si vede una taverna presso una delle bar­
riere daziarie che esistevano ai margini della città. È un grigio mattino d’in­
verno; non è ancora l’alba, nevica e fa assai freddo. Ce lo dice subito la mu­
sica di Puccini: una serie di quinte discendenti, fredde e tristi.

L.B. SUONA AL PIANOFORTE LE PRIME BATTUTE MENTRE CONTINUA A PAR­


LARE:

Andantino mosso
Tutto questo serve a darci l’atmosfera dell’intero atto. E con quanta mae­
stria Puccini vi riesce!

(A questo punto l’inizio del terzo atto viene eseguito con l’orchestra e il
coro.)

Abbiamo quindi visto come l’azione drammatica venga dalla musica am­
plificata fino a dimensione operistica; nel caso ora esaminato il paesaggio
stesso acquista nuovo valore tramite la musica. Ma, come vi ho detto al
Vi sono svariate maniere per rappresentare la neve sul palcoscenico: una principio, siamo oggi in un laboratorio e ci è pertanto consentito fare espe­
pioggia di fiocchi di sapone cade in una luce livida mentre la gente gira im­ rimenti. Vi darò due versioni della stessa scena. Prima, assisterete alla sce­
bacuccata fino alle orecchie battendosi le braccia sul torace per mantenersi na recitata da attori « normali », seguendo fedelmente il libretto; poi, per
calda. Ma niente di tutto questo può seppure lontanamente eguagliare l’ef­ capire di che cosa veramente si tratta, la sentirete cantata. Ma, attenzione:
fetto di quelle quinte fredde e desolate che Puccini fa scendere proprio ricordatevi che cosa v’ho detto a proposito dei libretti d’opera. Non sono
come la neve. Nel frattempo, si odono voci di operai che chiamano le guar­ lavori teatrali, ma semplici strutture poetiche.
die daziarie perché aprano la porta consentendo il loro ingresso in città. Nel nostro soggetto vi sono quattro personaggi, tutti bohémien del Quar­
DaU’interno della taverna ci arrivano invece i canti e lo schiamazzo di bevi­ tiere Latino: Mimi, una ricamatrice di delicata costituzione; Rodolfo, un
tori che si attardano fino alle ore piccole. poeta morto di fame, che è da poco diventato il suo amante; il miglior
amico di Rodolfo, Marcello, pittore; e infine Musetta, una ragazza piutto­
PIANOFORTE: sto piccante che vive con lui. Questi tipi da Greenwich Village li abbiamo
lasciati, nel secondo atto, pieni di allegria e filanti il perfetto amore nel­
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l’atmosfera festosa della vigilia di Natale. Ma nel frattempo è successo
1 * r - 1 h * -— Ï --ti— qualcosa, qualcosa che non va, e a dircelo è Mimi.
PP attori ( r e c i t a n d o ):

È mimì {al Sergente)


Sa dirmi, scusi, qual è l ’osteria...
{non ricordando il nome)
dove un pittor lavora?
s e r g e n t e {indicando il Cabaret)
Eccola.
MIMI
Grazie
{Esce una fantesca dal Cabaret; Mimì le si avvicina.)
O buona donna, mi fate il favore
di cercarmi il pittore

i
Marcello? Ho da parlargli. Ho tanta fretta.
Ditegli, piano, che Mimì lo aspetta.
{La fantesca rientra nel Cabaret.)
249
sergente (ad uno che passa) L .B .:
Ehi, quel panier!
d o g a n i e r e (dopo aver visitato il paniere)
Non è certo un soggetto da fare andare in visibilio. Due innamorati che
Vuoto! litigano, questo è tutto. Lui l’ha lasciata perché è geloso, e lei non sa che
SERGENTE cosa fare. Immagino che v’interessi ben poco. Ma assistiamo ora alla stessa
Passi!
(Dalla barriera entra altra gente, e chi da una parte, chi scena con la musica di Puccini: vedrete che v’interesserà enormemente.
dall’altra tu tti si allontanano. Le campane dell’ospizio
Maria Teresa suonano mattutino. È giorno fatto, giorno (La stessa scena viene eseguita dai cantanti e dall orchestra.)
d'inverno, triste e caliginoso. Dal Cabaret escono alcune
coppie che rincasano.)
M a r c e l l o (Esce dal Cabaret e con sorpresa vede Mimi.) L .B .:
Mimi?! Non trovate che la vicenda ora v’interessa? Certamente; e perché? Per
M IM Ì
Son io. Speravo di trovarvi qui. l’intervento di una musica splendida. Ma c’è di più: non si tratta soltanto
M ARCELLO di musica bellissima. Questa, infatti, viene impiegata da un mago del teatro
È ver. Siam qui da un mese che con essa riesce a presentarci, magnificandoli, i personaggi. Mimì, per
di quell’oste alle spese.
Musetta insegna il canto ai passeggeri; esempio. Fin dalle prime note che canta nel rivolgersi alle guardie daziarie,
io pingo quei guerrieri la musica ci fa capire che il suo stato di salute è grave. Notate che io non
sulla facciata. mi riferisco alle sue parole: queste son ben poca cosa: « Sa dirmi, scusi,
(Mimi tossisce.)
È freddo. Entrate. qual è... » eccetera. Ma le note ci dicono molto di più:
M IM Ì
C’è L .B . c a n t a :
Rodolfo?
M ARCELLO
Sì. Andante I------- 3
M IM Ì

M a rc e llo (
Non posso entrar.
sorpreso) T L i ' "ii r
Ji-Jl-Ji
Perché? MIMI . Sa d ir - m i qual è Vo - ste - ri - a
m im ì ( Scoppia in pianto)
O buon Marcello, aiuto!
M ARCELLO
Cos’è avvenuto?
M IM Ì do- ve un p it- to r la - vo - ra
Rodolfo m’ama. Rodolfo m’ama
mi fugge e si strugge per gelosia.
Un passo, un detto,
un vezzo, un fior lo mettono in sospetto...
Avete sentito quelle pause fra le note, il suo penoso ansimare fra una pa­
Onde corrucci ed ire. rola e l’altra? E avrete senza dubbio anche notato che l’intera frase musi­
Taior la notte fingo di dormire cale è composta di note in discesa che suggeriscono chiaramente il suo stato
e in me lo sento fiso
spiarmi i sogni in viso.
di debolezza fisica.
Mi grida ad ogni istante: Poi, nel rivolgersi alla fantesca fa uno sforzo e le note risalgono un poco:
Non fai per me, prenditi un altro amante.
Ahimè! In lui parla il rovello;
lo so, ma che rispondergli, Marcello? L .B . c a n t a :
M ARCELLO
Quando s’è come voi non si vive in compagnia.
Son lieve a Musetta ed ella è lieve M im i :
a me, perché ci amiamo in allegria...
Canti e risa, ecco il fior
d’invariabile amor!
M IM Ì
D ite bene. Lasciarci conviene.
Aiutateci voi; noi s’è provato
più volte, ma invano.
Fate voi per il meglio.
M A RCELLO
Sta ben! Ora lo sveglio.
250
per ricadere un’altra volta: le forze le vengono meno. Che descrizione musi­ ATTORI ( r e c i t a n d o ):
cale perfetta! Il senso della debolezza fisica di Mimi è vieppiù accentuato
da quelle note che scendono di un semitono alla volta, l’intervallo più breve, (Esce dal Cabaret ed accorre verso Marcello.)
Ro d o l f o
Marcello. Finalmente!
sì che par quasi di udire un unico, lungo sospiro. Qui niun ci sente.
Io voglio separarmi da Mimi.
MARCELLO
Sei volubil cosi?
RODOLFO
Già un’altra volta credetti morto il mio cor,
ma di quegli occhi azzurri allo splendor
esso è risorto.
Ora il tedio l’assale.
MARCELLO
E gli vuoi rinnovare il funerale?
(Mimi non potendo udire le parole, colto il momento
L’orchestra intanto accompagna con una serie, anch’essa discendente, di opportuno, inosservata, riesce a ripararsi dietro a un pla­
accordi di nona molto struggenti. tano, presso al quale parlano i due amici.)
RODOLFO

L.B. s u o n a : Per sempre!


MARCELLO
Cambia metro.
Dei pazzi è l’amor tetro
che lacrime distilla.
Se non ride e sfavilla
l ’amore è fiacco e roco.
Tu sei geloso.
RODOLFO
Un poco.
MARCELLO
Collerico, lunatico, imbevuto
di pregiudizi, noioso, cocciuto!
m i m i (fra sé)

Vi accorgete come tutte queste minuzie, messe assieme, riescano a pro­ (Or lo fa incollerir! Me poveretta! )
Ro d o l f o (con amarezza ironica)
iettare un’immagine di Mimi che è puramente e indiscutibilmente musica­ Mimi è una civetta
le? E non si tratta, badate, di una melodia, ma soltanto di un recitativo: che frascheggia con tutti. Un moscardino
quel modo di cantare, cioè, che per sua sfortuna suggerisce assenza d’inte­ di Viscontino
le fa l ’occhio di triglia.
resse melodico. Ma nel melodramma tutto deve essere cantato, dal princi­ Ella sgonnella e scopre la caviglia
pio alla fine e il recitativo pertanto, in un modo o nell’altro, ci deve essere. con un far promettente e lusinghier.
Un’opera non può comporsi soltanto di arie e romanze che esprimano stati MARCELLO
Lo devo dir? Non mi sembri sincer.
d’animo. Ne risulterebbe una staticità completa. Quindi, per narrare la vi­
RODOLFO
cenda, l’intervento del recitativo, del terribile recitativo, è indispensabile.* Ebbene no, non lo son. Invan nascondo,
Sono i momenti in un’opera che vi annoiano, vi danno fastidio perché sem­ la mia vera tortura.
Amo Mimi sovra ogni cosa al mondo,
bra che tutti sappiano quello che si dice tranne voi e vi sentite a disagio. io l ’amo, ma ho paura, ma ho paura!
Zavorra. Ma quando il recitativo è usato da Puccini con la funzione di de­ Mimi è tanto malata!
scrivere il personaggio e investendolo di tanto valore drammatico-musicale, Ogni dì più declina.
La povera piccina
allora non è mai tedioso; ha la sua particolare bellezza. è condannata!
E proseguiamo con la sola recitazione. Marcello ha promesso che parlerà M a r c e l l o (sorpreso)
a Rodolfo e fa allontanare Mimi per evitare una scenata fra i due. Ma que­ Mimi?
m i m ì (fra sè)
sta si nasconde dietro un albero e ode la conversazione fra gli amici. Che vuol dire?
RODOLFO
Una terribil tosse
l ’esil petto le scuote
* Per esempi di recitativo, confrontare il capitolo « La commedia musicale americana », e già le smunte gote
pagina 134. di sangue ha rosse...
252 253
MARCELLO
Povera Mimi!
{Vorrebbe allontanare Rodolfo.)
m i m i (piangendo)
Ahimè, morire!
RODOLFO
La mia stanza è una tana
squallida...
il fuoco ho spento.
V ’entra e l’aggira il vento
di tramontana.
Essa canta e sorride
e il rimorso m’assale.
Me, cagion del fatale
mal che l’uccide!
MARCELLO
Che far dunque?.
M iM Ì (angosciata)
Ahimè! È finita
Sembra una marcia, quasi una danza, piena di esuberanza giovanile e per­
Adesso sappiamo tutto: Mimi è fatalmente ammalata e Rodolfo l’ha la­ fino di sarcasmo. Gli amici si parlano come due vecchi compagni di scuola.
sciata per il suo bene. La situazione è piuttosto commovente ma è poca cosa Ma è proprio questo a generare la forza drammatica, perché Rodolfo na­
a paragone di quello che il nostro mago riesce a farne. Sentite come, con la sconde i suoi veri sentimenti, e quando si lascia andare, l’effetto del contra­
sua musica, le fa raggiungere un livello di grandezza emotiva, di vera tra­ sto conferisce raddoppiata drammaticità a tutto ciò che segue. Per esempio,
gedia. il momento in cui lui mente sulle ragioni per le quali ha abbandonato Mimi
e dice: « Mimi è una civetta che frascheggia con tutti » cantando così:
(La stessa scena è eseguita dai cantanti e dall’orchestra.)

L.B.:
Come vedete, Puccini ha amplificato, nel vero senso della parola, i senti­
menti dei personaggi. Il segreto della forza emotiva di questa scena sta in un
colpo da maestro tipicamente pucciniano. La musica della prima parte della
conversazione è volutamente superficiale, poco impegnata. Rodolfo canta
con vigore molto giovanile, come se non fosse particolarmente toccato dalla
situazione.

L .B. GANTA:
254 255
Un momento dopo Marcello mette in dubbio la sua sincerità e Rodolfo L.B. IMPROVVISA:
confessa la verità cantando lo stesso motivo con il cambiamento di una sola
nota, la seconda, che è portata al la superiore.

Ma se ne guarda bene. Su quelle parole Rodolfo canta un motivo meravi­


glioso: non solo racconta che Mimi è malata, ma esprime anche tutta la sua
disperazione.

L.B. SUONA E CANTA:

Quanto sentimento in quella sola nota di differenza! C’è tutto il dolore


della verità che egli non riesce più a trattenere. E quei versi « una terribil
tosse l’esil petto le scuote »: sono un affermazione d’una aridità quasi clini­
ca, anche se in italiano hanno un suono poetico. Puccini l’avrebbe potuta
musicare con semplicità altrettanto clinica:
256 257

m m RODOLFO: M i - mi
g
di ser - ra è fio -
g
re
I— 3 — I I— 3 — 1 <— 3 — \ I— 3

I 1*L r
PP

Così si fa l’opera. lo sconforto impotente di Marcello:


Ora passiamo a considerare un’altra funzione della musica' nell’opera,
un’altra amplificazione della realtà: il, canto simultaneo da parte di più I-----------e ------------- » 1------- 3 -------- 1 1------ 3 —— 1
personaggi. È una delle grandi attrattive dell’opera: pensate al quartetto del T J - ţ y V ■ ÿ = T = * = *a -< r - r 7 ^ j» i j>
Rigoletto, al sestetto della Lucia, al trio del Cavaliere della rosa. E perché
questi sono sempre i momenti salienti in un’opera? Perché comunicano una
- b .h ^ - -
Ma r c ell o :
--------
Oh qual pie- tà
P ■ ■■■
|_ a ---------- m i m * m *

Po - ve - ret - ta!
t-

emozione che nessun’altra forma d’arte riesce a comunicare: la possibilità 1— 3 — 1 r -3 -, r~ 3 ~i 1— 3 —1 r S —\ ,— 3 — 1


di sentire contemporaneamente l’espressione di emozioni diverse. Nel tea­
k g tE iM » d ----------------- * • b 1
tro di prosa questo è impossibile. Per essere comprese, più persone non pos­ e ! 1
f t * * r ' 1 - ■ - j p ■I
sono parlare contemporaneamente: ne risulterebbe una confusione. Come
in questo momento della Bohème. r **
~ i J k r - r i v ]
L - :

ATTORI PARLANDO CONTEMPORANEAMENTE: ü -iH


RODOLFO MARCELLO M IM I
Mimi di serra è fiore. Oh, qual pietà! Ahimè! È finita
Povertà l’ha sfiorita; Poveretta! O mia vita! È finita
per richiamarla in vita Povera Mimi! Ahimè, morir!
non basta amore! e, soprattutto, l’angoscia di Mimi:

L .B.:
Un pasticcio. La musica però fa miracoli perché le note son fatte per risuo­
nare insieme, al contrario delle parole. E così questo piccolo trio diventa un
momento di struggente bellezza, non più un pasticcio. La musica ha am­
plificato la realtà nella ricchezza del lirismo nel quale cogliamo in sostanza
tre emozioni contemporaneamente:
La disperazione di Rodolfo:
• ;

259

insieme tessono una trama di emozioni che, a sua volta, fa provare una
emozione diversa:

IL TRIO VIENE CANTATO:

Capite che voglio dire con « una trama di emozioni »? Qualcosa che solo
l’opera può darci.
E continuiamo con la nostra storia.
attori ( r e c i t a n d o ):

(M imi tossisce, tradendo la sua presenza)


{ vedendola e accorrendo a lei)
Ro d o l f o
Che? Mimi! Tu qui?
M’hai sentito?
MARCELLO
Ella dunque ascoltava?
RODOLFO
Facile alla paura
per nulla io m’arrovello.
Vien là nel tepori
(Vuol farla entrare nel Cabaret.)
M IM Ì
No, quel tanfo mi soffoca!
RODOLFO
Ah, Mimi!
(Stringe amorosamente Mimi fra le sue braccia e Vacca-
rezza.) (Dal Cabaret si ode ridere sfacciatamente Mu­
setta.)
MARCELLO
È Musetta
che ride.
(Corre alla finestra del Cabaret.)
Con chi ride? Ah, la civetta!
Imparerai.
(Entra impetuosamente nel Cabaret.)
260 261
L.B.:
Succede ben poco. Ma osservate come la musica riesca ad amplificare la
azione usando, in questo caso, un altro procedimento. Ciascuno dei piccoli
avvenimenti viene messo a fuoco e prende vita per il modo con cui la mu­
sica ripete temi che già conosciamo dagli atti precedenti. Per esempio, nel
confortare Mimi e cercando di dare poca importanza a quello che ha detto,
Rodolfo canta riecheggiando la melodia dell’aria di Mimi nel primo atto:

L.B. SUONA IL PIANOFORTE:

La tecnica del cosiddetto leitmotiv raggiunge il vertice sommo con Wa­


gner e il suo livello più basso negli accompagnamenti musicali dei film di
Hollywood. Ma quando è ben usato, opera meraviglie; proprio come in
questa scena.

(La scena precedentemente recitata ora viene cantata.)

L .B .:

E quando Mimi dichiara di non poter sopportare la pesante atmosfera Ora esamineremo come la musica riesca a espandere l’azione drammatica
dentro l’osteria, usa il tema della sua malattia: fisicamente, nel tempo. È quel che intendo dire quando affermo che l’opera
ha un tempo suo proprio, la sua propria quarta dimensione. Paragoniamo
il tempo richiesto dalla stessa scena; prima recitata, poi cantata.

ATTORI (RECITANDO):

fP con agitazione
SH F m im i ( svincolandosi da Rodolfo)
Addio.
be-' "e R o d o l f o ( sorpreso )
Che! Vai?

g ü i f
m i m i ( affettuosam ente )
D ’onde lieta uscì
al tuo grido d’amore,
torna sola Mimi
al solitario nido.
Si ode Musetta che ride: e l’orchestra suona il suo tema: Ritorna un’altra volta
a intesser finti fior.
Addio, senza rancor.
— Ascolta, ascolta.
Le poche robe aduna che lasciai
sparse. Nel mio cassetto
262 263
stan chiusi quel cerchietto M I M Ì E RODOLFO
d’or e il libro di preghiere. Soli d’inverno è cosa da morire!
Involgi tutto quanto in un grembiale Soli! Mentre a primavera
e manderò il portiere... c’è compagno il sol!
— Bada, sotto il guanciale (nel Cabaret fracasso di piatti e bicchieri rotti)
c’è la cuffietta rosa. M a r c e l l o {di dentro)
Se... vuoi... serbarla a ricordo d’amor!... Che facevi, che dicevi
Addio, senza rancor. presso al fuoco a quel signore?
m u s e t t a (di dentro)
Che vuoi dir?
L.B. :
(Esce correndo.)
Ci sono voluti esattamente 36 secondi. Emozionalmente dovrebbe durare M IM Ì
molto di più, tanta è l’importanza che quel momento ha per ambedue. Re­ Niuno è solo l’april.
M arcello (fermandosi sulla porta del Cabaret, rivolto a
citata, la scena sembra aver scarsa rilevanza: « Addio, senza rancor » ed è Musetta)
tutto. Ma sotto queste parole, apparentemente trascurabili, scorre un fiume Al mio venire
di sentimenti. Puccini a questo punto ferma il tempo e Mimi canta un’aria. hai mutato colore.
m u s e t t a (con attitudine di provocazione)
Le parole sono identiche, non ce n’è una di più, ma vengono pronunciate Quel signore mi diceva:
in una nuova dimensione e un cerchietto e una cuffietta rosa acquistano Ama il ballo, signorina?
improvvisamente nuovo e grande significato: è la rinuncia di Mimi a un
grande amore, alla sua vita stessa. {Insieme)
RODOLFO MARCELLO
(Mimi canta V« Addio ».) Si parla coi gigli e le rose. Vana, frivola, civetta!
M U SET TA
Arrossendo rispondeva:
Dura 210 secondi e sono stati secondi d’oro: il tempo s’è arrestato; non Ballerei sera e mattina.
c’erano né minuti né secondi; siamo rimasti sospesi in un momento d’in­ MARCELLO
Quel discorso asconde mire disoneste.
tensa emozione, e il fatto che esso sia durato 210 secondi non ha alcuna M U SET TA
M IM Ì
importanza: per noi è stato un momento e un’eternità allo stesso tempo. Esce dai nidi un cinguettio gentile... Voglio piena libertà!
Ci rimane il finale dell’atto: il bellissimo duetto fra i due innamorati, M arcello (quasi avventandosi contro Musetta)
Io t’acconcio per le feste
seguito dal meraviglioso quartetto delle due coppie: una che litiga come se ti colgo a incivettire!
cani e gatti, l’altra perduta nell’estasi della riconciliazione. M I M Ì E RODOLFO
M U SET TA

Al fiorir di primavera Ché mi gridi? Ché mi canti?


c’è compagno il sol! AU’altar non siamo uniti.
attori ( r e c i t a n d o ): MARCELLO
Chiacchieran le fontane
la brezza della sera. Bada, sotto il mio cappello
non ci stan certi ornamenti...
RODOLFO M U SET TA
Dunque è proprio finita? Io detesto quegli amanti
Te ne vai, te ne vai, la mia piccina?! che la fanno da mariti...
Addio, sogni d’amor!... MARCELLO
MIMÌ Io non faccio da zimbello
Addio, dolce svegliare alla mattina! ai novizi intraprendenti.
RODOLFO Balsami stende sulle doglie umane. M U SET TA
Addio, sognante vita... Fo all’amor con chi mi piace!
MARCELLO
mimì (sorridendo)
Vana, frivola, civetta!
Addio, rabbuffi e gelosie! M U SET TA
RODOLFO Non ti garba? Ebbene, pace,
...che un tuo sorriso acqueta! ma Musetta se né va.
M IM Ì MARCELLO
Addio, sospetti!... Ve n’andate? Vi ringrazio:
MARCELLO
(ironico)
Baci... or son ricco divenuto. Vi saluto.
M U SET TA
M IM Ì Vuoi che aspettiam
la primavera ancor? Musetta se ne va.
Pungenti amarezze! (ironica)
RODOLFO sì, se ne va! Vi saluto.
Ch’io da vero poeta Signor: addio!
rimavo con carezze! vi dico con piacer.
264
m im ì (avviandosi con Rodolfo) MARCELLO
Sempre tua per la vita... Son servo e me ne vo! INDICE
RODOLFO m u setta {S’allontana correndo furibonda,
Ci lasceremo... a un tratto si sofferma e gli grida-. )
M IM Ì Pittore da bottega!
Ci lasceremo alla stagion dei fior...
M a r c e l l o (dal mezzo della scena, gridando : )
RODOLFO
Vipera!
...alla stagion dei fior...
m u setta
M IM Ì
Vorrei che eterno Rospo!
durasse il verno! (Esce)
m i m ì e R o d o l f o (dall’interno, MARCELLO
cdlontanandosi) Strega!
Ci lascerem alla stagion dei fior! (Entra nel Cabaret.)

L.B.:
La vicenda è piuttosto povera. Gli innamorati hanno deciso di non sepa­
rarsi prima della primavera. Proprio niente di eccezionale. Ma la musica di
Puccini la trasforma in uno dei momenti più commoventi di tutta la storia
del teatro. Udrete come siano in essa impiegati tutti i mezzi espressivi di
cui vi ho già parlato: la musica che amplifica il significato delle parole,
delle situazioni, delPatmosfera, dei paesaggi e delle emozioni. Il tempo
stesso viene esteso. Viene usato il leitmotiv e, naturalmente, si ha il canto
simultaneo di più personaggi. In aggiunta a tutto questo udrete anche la
drammaticità creata dal contrasto dei due duetti contrapposti: uno lirico
ed espansivo, l’altro agitato, tutto ripicchi. Questo è veramente il supremo
godimento che offre l’opera: poter provare negli stessi istanti l’emozione
di stati d’animo e passioni contrastanti, di avvenimenti diversi. Ma solo
gli dèi erano capaci di provare più di un sentimento alla volta. Durante
questi brevi momenti siamo dunque saliti al loro livello.
Oggi abbiamo avuto il modo di osservare l’innocenza dell’opera, il can­
dore, direi quasi, col quale cristallizza e amplifica le emozioni. Abbiamo
visto come semplici parole di una vicenda drammatica raggiungano con la
musica altezze e profondità insospettate. Questo il significato di quel
« grande » che usiamo per il melodramma.
Ma la musica va ancora più lontano: può privare le parole di ogni rile­
vanza. È il culmine a cui giunge l’opera: la musica ha un tale potere di co­
municazione che la conoscenza anche sommaria dell’azione drammatica
ci basta, non occorre altro per il nostro godimento. Quando la musica ope­
ristica è grande crea un mondo a parte, tutto suo, nel quale, tempo e spa­
zio vengono alterati; gli stessi valori drammatici vengono trascesi e rag­
giungono livelli superiori. La misura quindi della sua grandezza è propor­
zionale al potere col quale ci attrae sul suo pianeta lasciandocene respirare
l’aria arcana. Con le opere più alte - Don Giovanni, Tristano, Otello, Il Ca­
valiere della rosa, Wozzeck —ci troviamo senz’altro in questo mondo nuovo.
E quando ritorniamo, il nostro spirito è più ricco, più nobile.

(Vesecuzione della scena finale del Tristano e Isotta conclude la trasmis­


sione.)

(Trasmissione televisiva del 23 marzo 1958)


INTRODUZIONE 7
NEL GIUSTO MEZZO 9

1. CONVERSAZIONI IMMAGINARIE 15
UNA CHIACCHIERATA TRA LE MONTAGNE ROCCIOSE 17
Scena prima. Perché proprio Beethoven? 17
Scena seconda. Significato? E che significa? 22
CHE NE È DELLA GRANDE SINFONIA AMERICANA? 28
I. Telegramma 28
IL Lettera 28
III. Lettera 30
IV. Lettera 31
V. Lettera 34
VI. Telegramma 35
VII. Lettera 35
V ili. Telegramma 37
PERCHÉ NON SCRIVI UNA BELLA CANZONE ALLA GERSHWIN? 38

INTERLUDIO 45
SALA MISSAGGIO, CALIFORNIA 47

SEZIONE FOTOGRAFICA 51

SETTE OMNIBUS, SCRITTI TELEVISIVI 63


LA QUINTA SINFONIA DI BEETHOVEN 65
IL MONDO DEL JAZZ 83
L ’ARTE DI DIRIGERE 1Ö7
LA COMMEDIA M USICALE AMERICANA 134
in tr o d u z io n e a l l a m u s ic a m o d e r n a 157
l a M USICA DI JOHANN SEBASTIAN BACH 197
CHE COSA FA GRANDE L’OPERA 233
E s u b e r a n t e e r a f f in a t o , L e o n a r d B e r n s t e i n , c o m p o s i t o r e , d i r e t ­
t o r e d ’o r c h e s t r a e p i a n i s t a n o t o in t u t t o il m o n d o , è a n c h e l’a u ­
t o r e d i q u e s t o c l a s s i c o lib r o , c h e n e l s u o g e n e r e h a o t t e n u t o in
A m e r ic a u n s u c c e s s o s e n z a p r e c e d e n t i : b e n 1 7 0 .0 0 0 c o p i e v e n ­
d u t e in p o c o t e m p o .
La gioia della musica c o s t i t u i s c e u n a v e r a e p r o p r i a a v v e n t u r a
n e l m o n d o d e lla c o n o s c e n z a m u s ic a le , d e lla c o m p r e n s io n e - p o ­
t r e m m o d i r e - d e l l a « a f f i l i a z i o n e » . I t e m i p r i n c i p a l i r ig u a r d a n o :

• il p r o c e s s o c r e a t i v o c h e h a c o n d o t t o a l l a Quinta Sinfonia di
B e eth o v en
• il r a p p o r t o d e l j a z z c o n l e a l t r e f o r m e m u s i c a l i
• l ’a r t e d i d i r i g e r e l’o r c h e s t r a
• il m e l o d r a m m a
• la c o m m e d i a m u s i c a l e a m e r ic a n a
• la m u s ic a d i J o h a n n S e b a s t i a n B a c h
• l ’i n t r o d u z i o n e a l l a m u s i c a c o n t e m p o r a n e a

C o m p l e t a m e n t e c o r r e d a t o d i e s e m p i m u s i c a l i e i ll u s t r a t o d a u n
p i c c o l o r e p e r t o r i o f o t o g r a f i c o , il lib r o s i r a c c o m a n d a a c h i u n q u e
a m i l a m u s i c a s e n z a lim iti d i m o d i e d i t e m p i , m a a n c h e a c h i
v o g l ia a c c o s t a r s i a e s s a p e r la p r im a v o lt a : B e r n s t e in lo c o n d u r r à
p e r m a n o , s e n z a p e d a n te r ia e s e n z a fa n a tism i, s e n z a p r e s u n ­
z io n e e s e n z a in te lle ttu a lis m i, a c o n o s c e r l a , a d a p p r e z z a r la , a
n o n s t a c c a r s e n e p iù .

Leonard Bernstein, n a t o a L a w r e n c e ( M a s s a c h u s e t t s ) n e l 1 9 1 8 ,
c o m p o s i t o r e , d i r e t t o r e d ’o r c h e s t r a e p i a n i s t a , è s t a t o d i r e t t o r e
s t a b il e d e lla F ila r m o n ic a d i N e w Y o r k d a l 1 9 5 8 a l 1 9 6 8 . H a d ir e tto
o p e r e a l M e tr o p o lita n , a lla S c a l a (p r im o a m e r ic a n o a p p a r s o n e l
n o s t r o m a s s i m o t e a t r o ) e a l l ’O p e r a d i S t a t o d i V i e n n a . F ig u r a
p o p o l a r i s s i m a d i i n t e r p r e t e e d i a n i m a t o r e , h a s c r i t t o u n ’o p e r a ,
c o m m e d i e m u s i c a l i ( f r a c u i West Side Story), b a l l e t t i , s i n f o n i e ,
m o l t a m u s i c a d i s c e n a e p e r film (tr a c u i q u e l l a p e r Fronte del
porto).

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