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Prefazione 1

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SALERNO


QUADERNI DEL DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELL’ANTICHITÀ

— 28 —
2 Prefazione
Prefazione 3

ANGELO MERIANI

SULLA MUSICA GRECA ANTICA


STUDI E RICERCHE

Prefazione di
LUIGI ENRICO ROSSI

Guida
4 Prefazione

Il volume è stato sottoposto all’esame preventivo della Commissione referen-


te del Dipartimento, costituita dai Professori Silvio Mario Medaglia, Luciano
Nicastri, Paola Volpe

© 2003 Alfredo Guida Editore


via Port’Alba 19, Napoli
www.guida.it
libri@guida.it

ISBN 88-7188-794-8
Prefazione 5

PREFAZIONE

Ogni nuovo ritrovamento di testimonianze sulla musica greca in


quanto fenomeno puramente musicale è da salutare sempre con gran-
de interesse, e in questi ultimi tempi il nostro pur esiguo patrimonio
si è notevolmente arricchito. Ma è bene non farsi illusioni, e questo
per più di una ragione. La prima di tutte è umilmente c r o n o l o g i c a :
una esposizione sufficientemente estesa della teoria musicale ci è nota
attraverso l’opera, in parte conservata, di Aristosseno di Taranto, che
è sì un nostalgico della musica di un tempo, ma dipende dalla realtà
della seconda metà del IV sec. a. C., quanto mai lontana da quell’età
di cui vorremmo sapere di più, e cioè dal periodo VII-V sec. a. C.,
fino agli inizi del IV. Poi c’è, per noi, la difficoltà del c o d i c e di quel
linguaggio musicale, che non tanto è solo parzialmente risostruibile,
ma piuttosto, anche se ricostruibile in toto, risulterebbe estraneo a un
orecchio moderno. Hermann Abert scrisse un secolo fa che la musica
greca doveva essere molto semplice, se confrontata con la moderna, e
io aggiungerei una considerazione che ha del paradosso, ed è proprio
per questo che mi pare opportuno esporla, allo scopo di rendere il più
chiaramente e ‘scandalosamente’ possibile quella che a me sembra la
realtà delle cose: è in fondo una fortuna che non siamo in grado di
ricostruire la musica di una composizione pindarica, perché ci sem-
brerebbe miserevolmente incomprensibile e sicuramente ‘brutta’ per
l’impermeabilità di orecchie moderne al suo codice. Nella musica con-
ta molto l’assuefazione, e lo sperimentiamo quando ascoltiamo rico-
struzioni della musica antica più o meno filologicamente fondate: l’im-
pressione che ne ricaviamo è quella di una irrilevanza che porta di
necessità alla noia, senza contare che si tratta di esperimenti basati su
una teoria tarda rispetto all’epoca che ci interessa, come abbiamo det-
to. D’altra parte non possiamo neanche sperare su ritrovamenti di
musica arcaica e classica, visto che a quei tempi non si sentiva alcun
bisogno di notazione musicale. E, in più, non saremo mai in grado di
dar voce autentica agli strumenti musicali, il cui peraltro flebile suo-
no difficilmente potrebbe oggi emergere nel frastuono musicale (e non
solo musicale) in cui siamo immersi. Ben diverso è il caso del ritrova-
6 Prefazione

mento di testi letterari: il codice linguistico, con avvicinamenti che sono


andati realizzandosi attraverso più di due millenni, ci è sempre più fa-
miliare e sappiamo anche valutarlo sempre meglio secondo il genere
letterario in cui il messaggio verbale si inquadrava e secondo i suoi
destinatari.
Dobbiamo allora rassegnarci, mettendo in pratica il catulliano et
quod vides perisse perditum ducas? Sì, dobbiamo farlo, ma con una sana
e dichiarata ars nesciendi hermanniana che sia consapevole di quanto
grande era l’importanza, e vorrei dire l’invadenza, della musica nella
Grecia arcaica e classica. La sua funzione psicologica era enormemen-
te più importante e pervasiva di quanto possa essere nel mondo moder-
no e contemporaneo, tanto che, com’è ben noto, la disciplina delle va-
rie manifestazioni musicali era compito delle autorità politiche della po-
lis. Del resto, alla nostra percezione storica (visto che, come si diceva,
di percezione musicale non si può parlare, e sarebbe anche sostanzial-
mente inutile) bastano le t e s t i m o n i a n z e l e t t e r a r i e che ci restitui-
scono una assiologia musicale legata alla sua funzione di propedeutica
civica delle masse, assiologia che tende a mutare con i cambiamenti stes-
si della musica, che – com’è noto da una anche superficiale informazio-
ne antropologica – è fra le arti la più mobile e mutevole.
Per concludere da quanto si è detto, nel campo della musica an-
tica assai più importante di nuovi ritrovamenti musicali è l’emergere
di nuove i n i z i a t i v e s t o r i c o - e s e g e t i c h e volte a chiarire la funzio-
ne di quell’entità così largamente ignota, e così pervasivamente impor-
tante, che era la musica: ed è questo che i tre studi di Angelo Meriani
qui riuniti offrono. Rileggere continuamente con nuova attenzione i
t e s t i l e t t e r a r i che parlano di musica, ed estrarne con sempre mag-
giore informazione e spirito critico approvazioni e rifiuti, nostalgie con-
servatrici del passato e più o meno necessitate accettazioni delle inno-
vazioni gradite al pubblico, è tutto quello che possiamo ricavare, ma
dal punto di vista storico è molto più di quanto ci potrebbe dare la
registrazione fedele dell’esecuzione di una di quelle musiche: per giu-
dicarla correttamente dovremmo essere affratellati da un codice musi-
cale comune, che tale non potrebbe essere e al quale, per quanto si è
detto, è corretto atteggiamento storico e antropologico il rinunciare.
Richiamo un saggio avvertimento dovuto ad Alphonse Dain, che di-
ceva che, non potendo noi ricostruire alcuni fenomeni, dobbiamo con-
tentarci di “riconoscere delle differenze là dove gli antichi ne sentiva-
no”. Questo vale per la metrica, che è solo quella che chiamerei la muta
partitura ritmica della parola poetica unita alla musica e che può darci
un’idea di quelle ‘differenze’. E vale per la danza, che ci è nota da
Prefazione 7

generiche descrizioni e da rappresentazioni figurative, soggette a ste-


reotipi che colgono per di più l’istante discreto di una realtà continua:
la realtà viva della tragica emméleia, del comico kòrdax, della satrire-
sca sìkinnis necessariamente ci sfuggono, ma chiara è, anche qui, la
‘differenza’, che si realizzava in una scala che dal composto andava
verso il più o meno scomposto.
I testi letterari qui trattati presentano un pregio che va segnalato
in anticipo: non avevano suscitato nella ricerca moderna l’interesse che
meritano. Il primo studio è sul fr. 124 Wehrli di Aristosseno, trasmes-
soci da Ateneo, quanto mai prezioso e mai letto con tanto acume fino
ad ora: viene tra l’altro messa in rilievo la sua natura di lacerto di opera
letterario-simposiale (i Symmikta sympotikà) e una lettura puntigliosa
del dettato ne illustra coerenza linguistica e voluti parallelismi che fanno
di Ateneo un anello fededegno della tradizione del testo. Poseidonia
(poi la romana Paestum), colonia greca del VII sec. a. C., nel contatto
(sempre difficile per le colonie greche) con la chora circostante si tro-
vava, nel IV sec., ad aver assorbito usi e costumi estranei alla sua cul-
tura greca originaria, e addirittura innovazioni nella lingua. Renden-
dosi conto delle trasformazioni subite, come affermavano i poseido-
niati la loro originaria identità greca? Con il celebrare una festa, mai
riconosciuta nella sua fisionomia e in questo studio ampiamente rico-
struita con strumenti storico-religiosi, che, sicuramente celebrata in
onore del fondatore sulla base di opportuni paralleli, presentava varie
componenti di rilievo rituale e quindi politico, come cerimoniale festi-
vo, musica, pianto rituale, il tutto con geloso rispetto dell’antica tradi-
zione. La ricca informazione storica e archeologica, rivisitata col pre-
testo della festa e della musica, fa di questo lavoro un punto di riferi-
mento obbligato per lo storico. Quello, poi, che rende il frammento
ancor più interessante è il confronto con la realtà contemporanea di
Taranto, colonia greca di ben maggiore importanza e potenza, che può
permettersi di accettare innovazioni, anche nella musica, senza timore
di inquinare la sua identità originaria. Meriani tiene conto, sì, del ben
noto conservatorismo di Aristosseno, il quale però, considerando la
realtà teatrale e musicale di una travolgente grande capitale come Ta-
ranto, si mostra ben più indulgente rispetto alle innovazioni musicali
(il nomos della fine del V sec. e del IV) in confronto con il passatismo
nostalgico del Platone di pochi decenni prima. L’accettazione della più
libera cultura musicale del nomos, avversata dall’aristocratico Platone
ma affermatasi nell’ambiente vivace di una grande città coloniale, non
poteva lasciare indifferente chi di quell’ambiente era parte viva e par-
tecipante. Per usare parole di Meriani, Aristosseno va visto come un
8 Prefazione

“conservatore moderato”, che rappresenta bene “l’evoluzione della


tradizione aristocratica nella critica alle innovazioni musicali”.
Il secondo studio è una lettura integrale a suo modo inedita del
De musica dello Pseudo-Plutarco, operina preziosa perché piena di in-
formazioni uniche, non plutarchea ma comunque composta nel II sec.
d. C. Meriani finalizza la sua lettura a quei non pochi tratti di teoria
aristossenica che non sono esplicitamente attribuiti ad Aristosseno e,
con accorte analisi, ne individua più d’uno che era sfuggito in passato.
Mostra così la ormai affermata diffusione della teoria del Tarentino,
alla quale tutti quelli che si occuparono di musica attinsero, epitomando
e variamente adattando. Non per nulla per gli antichi Aristosseno era
‘il musico’ per antonomasia. Sulle fonti dell’anonimo e sulla loro qua-
lità (accesso diretto o indiretto alle opere aristosseniche) Meriani con-
clude correttamente con un prudente non liquet.
Di interesse ancor maggiore è il terzo studio, che mostra la natu-
ra bifronte dell’atteggiamento di Platone nei confronti della musica.
Un passo fondamentale, e poco frequentato, del VII libro della Re-
pubblica viene letto con attenzione di nuovo puntigliosa, tipica di chi
non si rassegna a non capire e tale da rivelare quanto importanti siano
le (alle volte mascherate) variazioni di livello linguistico che rendono
quasi inesauribile all’esegeta il suo dettato (qui le mirabili metafore
ironiche sugli harmonikoì). Con competenza matematica e musicale
Meriani estrae dallo stile amabilmente dialogico di Platone, e quindi
alieno da pedantesca precisione, una serie di notizie su quello che era
il pitagorismo coevo e sulle teorie dei cosiddetti harmonikoì. Il tema
che viene trattato è di importanza capitale per il progetto politico di
Platone: si tratta della formazione dei filosofi dialettici, ai quali va af-
fidata la guida dello Stato. La loro educazione, a differenza di quella
prescritta per i phylakes, che dovevano avere dimestichezza con le
musiche realmente eseguite, prevedeva, tra l’altro, una esauriente com-
petenza in teoria musicale, che è oggettivamente legata al calcolo ma-
tematico (rapporto numerico di una nota rispetto a un’altra, a seconda
di lunghezza, qualità e tensione della corda). Si tratta di una disciplina
che al tempo del Socrate platonico doveva essere già ulteriormente
sviluppata dai suoi inizi pitagorici, ma sulla quale siamo pochissimo
informati. Se qui il Socrate platonico si mostra incline ai procedimenti
matematici dei pitagorici, è che ai massimi dirigenti dello stato vuole
che sia insegnata la musica come scienza. In tutta la comune letteratu-
ra moderna sulla musica antica Platone è in realtà etichettato come
‘damoniano’, e cioè cliente della dottrina empirica di Damone, così
come si dichiara nei libri III e IV sempre della Repubblica. In che cosa
Prefazione 9

consisteva questa dottrina empirica, comunemente chiamata dell’’ethos


musicale’? Nello stabilire l’influenza psicagogica di determinate musi-
che sulla base dell’esperienza vissuta dagli ascoltatori. La posizione di
Platone può sembrare contraddittoria: da una parte damoniano, e dun-
que empirico per quanto riguardava la formazione dei phylakes, che
dovevano vivere e controllare la realtà quotidiana di una città in cui
già da decenni si era affermato un ‘pericoloso’ cattivo gusto del pub-
blico e in cui quindi si erano moltiplicate le occasioni di sperimenta-
zione; pitagorico e quindi astratto, dall’altra, per quanto riguardava la
formazione rigorosamente scientifica dei filosofi dialettici. In realtà
contraddizione non c’è, visto che si tratta di due diverse competenze,
richieste a due diversi tipi di ufficiali della polis.
La griglia delle nostre conoscenze ha tante caselle ancora vuote,
anche nelle epoche e nelle realtà locali che crediamo di conoscere
meglio. Meriani ha una invidiabile familiarità con le fonti antiche e con
la letteratura moderna sugli argomenti trattati. C’è da sperare che, nel-
l’attuale invasione di tanta bibliografia inutile, questi suoi lavori emer-
gano e attirino l’attenzione di chi ha a cuore il vero progresso dei nostri
studi.

Luigi Enrico Rossi


10 Prefazione

NOTA

I tre capitoli di questo libro riprendono, opportunamente aggiornati e


corretti, ampliati, e in più parti totalmente riscritti, tre studi già apparsi in
varie sedi.
Il primo trae origine da alcune lezioni tenute, per invito del prof. Aure-
lio Pérez Jiménez, all’Universidad de Málaga nel settembre 1999, nell’ambito
del progetto Erasmus/Socrates; nel dicembre dello stesso anno il lavoro è stato
presentato all’Università di Roma “La Sapienza” in una seduta del seminario
di Letteratura greca del prof. Luigi Enrico Rossi, e poi pubblicato, col titolo
La festa greca dei Poseidoniati e la nuova musica (Aristox. fr. 124 Wehrli), in
«Seminari Romani di Cultura greca» 3, 2000, pp. 143-163.
Una versione sensibilmente più breve del secondo è stata presentata al
Convegno Plutarcheo su “La biblioteca di Plutarco” (Università di Pavia, 13-
15 giugno 2002), e sta ora per essere pubblicata, col titolo Aristosseno nel De
musica pseudoplutarcheo, nei relativi Atti (La biblioteca di Plutarco, a cura di
I. Gallo, Napoli 2004, pp. 349-377).
Il terzo nasce da uno spunto di ricerca suggeritomi dal prof. Mario
Vegetti; per invito della prof. Donatella Restani ne ho presentato una versio-
ne ridotta nel maggio 2002 al Seminario “Le musiche dei greci” (Università
di Bologna – sede di Ravenna); una differente stesura è poi apparsa, col titolo
Teoria musicale e antiempirismo, in Platone, La Repubblica, Traduzione e
commento a cura di Mario Vegetti, vol. V, Napoli 2003, pp. 565-602.
Ringrazio di cuore gli studiosi che, nelle diverse fasi di stesura, hanno
amichevolmente letto e discusso con me diverse parti del libro e non mi han-
no fatto mancare i loro suggerimenti: Andrew D. Barker, Claude Calame, Luca
Cerchiai, Italo Gallo, Emanuele Greco, Michele Napolitano, Roberto Nico-
lai, Riccardo Palmisciano, Angela Pontrandolfo, Eleonora Rocconi, Luigi Spi-
na, Clara Talamo, Mario Vegetti, Massimo Vetta, Amedeo Visconti. L’elenco
delle cose che, negli anni, ho ricevuto dalla rara generosità di Luigi Enrico
Rossi sarebbe qui troppo lungo: lo ringrazio perciò soltanto per aver voluto
dare prestigio a questo volume scrivendone la prefazione. Un ringraziamento
speciale va infine all’amica prof. Paola Volpe, senza il cui costante e premu-
roso incoraggiamento questo libro non avrebbe mai visto la luce.
Prefazione 11

SULLA MUSICA GRECA ANTICA


12 Prefazione
Prefazione 13

La musica è un silenzio interrotto


George Steiner
14 Prefazione
Festa, musica, identità culturale: il caso di Poseidonia 15

FESTA, MUSICA, IDENTITÀ CULTURALE:


IL CASO DI POSEIDONIA
(Aristox. fr. 124 Wehrli)

Tutti i rituali hanno la capacità di svolgersi adesso,


all’istante. Il tempo che vide l’evento commemorato
o ripetuto nel rituale è reso presente, “ri-presentato”,
potremmo dire, per quanto sia immaginato remoto nel
tempo.
Mircea Eliade, Trattato di storia delle religioni, 1949

1. Un frammento di letteratura simposiaca

La documentazione letteraria sulle feste greche di Poseidonia è


limitata al notissimo fr. 124 Wehrli, tratto dai Suvmmikta sumpotikav di
Aristosseno di Taranto, e citato – a quanto pare testualmente – da
Ateneo (XIV 632a):

’Aristovxenoς ejn toiς Summivktoiς sumpotikoi'ς: o{moion, fhsiv,


poiou' m en Poseidwniav t ai ς toi' ς ej n tw' / Turrhnikw' / kov l pw/ /
katoikou' s in. oi|ς sunev b h ta; me; n ej x aj r ch' ς { E llhsin ou\ s in
ejkbebarbarw'sqai Turrhnoi'ς h] ÔRwmaivoiς gegonovsi1, kai; thvn te
fwnh;n metabeblhkevnai tav te loipa; tw'n ejpithdeumavtwn, a[gein de;
mivan tina; aujtou;ς tw'n eJortw'n tw'n ÔEllhnikw'n e[ti kai; nu'n, ejn h|/
suniovnteς ajnamimnhvskontai tw'n ajrcaivwn ejkeivnwn ojnomavtwn
te kai; nomiv m wn, kai; aj p olofurav m enoi proŸ ς aj l lhv l ou ς kai;
ajpodakruvsanteς ajpevrcontai. ou{tw dh; ou\n, fhsiv, kai; hJmei'ς, ejpeidh;
kai; ta; qevatra ejkbebarbavrwtai kai; eijς megavlhn diafqora;n
proelhvluqen hJ pavndhmoς au{th mousikhv, kaq’ auJtou;ς genovmenoi
oj l iv g oi aj n amimnhskov m eqa oi{ a h\ n hJ mousikhv . tau' t a me; n oJ
’Aristovxenoς.

1
Sulla necessità di conservare qui il testo tràdito, senza alcuna delle espun-
zioni proposte in passato, e per la bibliografia sulla questione, rimando alle persua-
sive considerazioni di FRASCHETTI 1981, pp. 98-100, che mette in luce opportuna-
mente anche il fatto che Aristosseno considerasse barbari i Romani (fr. 17 Wehrli),
e che gli Etruschi fossero incontestabilmente considerati tali nell’antichità (p. 101):
su questo vd. anche DESIDERI 1998, in part. pp. 912-913; peraltro, sull’identità di
questi Turrhnoiv, CERCHIAI 1996, p. 73, avanza a ragione l’ipotesi che in essi sia
«forse preferibile riconoscere non gli Etruschi [...], ma i Sanniti ‘tirrenici’ insediati
16 Sulla musica greca antica

Aristosseno nei Symmikta sympotika dice2: «Noi facciamo come i Po-


seidoniati che abitano nel golfo Tirrenico, ai quali, da Greci che era-
no in origine, è capitato di imbarbarirsi, diventando Tirreni o Roma-
ni, e di cambiare la lingua e gli altri costumi. Essi però continuano
ancora oggi a celebrare un’unica festa greca, nella quale si riuniscono
e ricordano gli antichi nomi e le antiche usanze, si lamentano l’un
l’altro, versano lacrime, e vanno via. Così anche noi – dice ancora
Aristosseno –, dacché i teatri si sono imbarbariti, e questa musica po-
polare è giunta a uno stadio avanzato di degenerazione, siamo qui in
pochi a ricordare tra di noi quale era la musica di un tempo». Que-
sto dice Aristosseno.

Che si tratti di ipsissima verba sembra qui garantito dal fatto che
nel testo sono presenti ben tre «citation-marks» 3 : all’inizio
(’Aristovxenoς ejn toi'ς Summivktoiς sumpotikoi'ς [...] fhsiv), a metà ([...]
fhsiv [...]) e alla fine (tau'ta me;n oJ ’Aristovxenoς); e anche se è vero
che la maggioranza dei frammenti di Aristosseno tràditi da Ateneo non
ci consente di distinguere citazioni dirette da citazioni indirette, non
si può dimenticare che i Suvmmikta sumpotikav erano, per Ateneo, uno
dei più antichi esempi del genere letterario da lui stesso adottato4.
Il nostro frammento, infatti, non è una fonte storiografica in sen-
so stretto5, ma appartiene a quel genere simposiaco che «segna e attra-
versa la letteratura greca dal IV secolo a. C. all’era cristiana»6. Visto
che, in tal senso, la fonte è del tutto esplicita, l’uso della prima perso-
na plurale (poiou'men [...] hJmei'ς [...] ajnamimnhskovmeqa) e l’accenno al-
l’esiguità numerica (ojlivgoi) non possono non essere ulteriori confer-
me della cornice simposiale7. Caratteristica di questo tipo di letteratu-

nell’Agro Picentino e nella pianura retrostante» (fonti e bibliografia a p. 74); nella


medesima direzione, già PUGLIESE CARRATELLI 1988, p. 30 («Turrhnoiv sta per ‘Ita-
lici’, come in altri scrittori greci»), e ora ASHERI 1999, p. 365 («questi “Tirreni o
Romani” [...] non possono essere altri che i Campani “tirreno-romanizzati” del-
l’età di Aristosseno»); per il resto, seguo la lezione di WEHRLI 1967, p. 28.
2
Su quest’opera di Aristosseno, vd. WESTPHAL 1883-1893, I, pp. 471-506; II,
pp. CCVII-CCXL; WEHRLI 1967 assegna a essa i frr. 122-127; poiché il titolo è
testimoniato soltanto al dativo, si potrebbe anche ammettere una forma Suvmmiktoi
sumpotikoiv (scil. lovgoi vel diavlogoi): in tal senso, vd. VISCONTI 1999, p. 144.
3
Uso l’espressione di CECCARELLI 2000, pp. 281-282.
4
Così VILLARI 2000, pp. 447-448.
5
In tal senso, vd. da ultimo ASHERI 1999, p. 368.
6
SEGOLONI 1994, p. 174; su questa forma letteraria dopo il fondamentale Mar-
tin 1931 (su Aristosseno, pp. 170-171), vd. RELIHAN 1992; BOWIE 1993; VETTA 2000.
7
Sul numero originariamente piccolo, «intorno a dieci», dei partecipanti al
simposio, in uno «spazio chiuso ed autosufficiente», alla «ricerca di una totale
omogeneità dei componenti», vd., p. es., ROSSI 1983, pp. 43, 45, 49; e poi ROSSI
1997, pp. 765-767.
Festa, musica, identità culturale: il caso di Poseidonia 17

ra è la forma dialogica8: e potremo essere certi che il personaggio che


qui parla in prima persona, se non è lo stesso Aristosseno, sarà qual-
cuno che rispecchia fedelmente il suo conservatorismo in materia di
musica9.

2. Un’ipotesi sulla cronologia

Non sappiamo dove e quando l’autore colloca il simposio che fa


da cornice alla sua opera, ma potremo senz’altro pensare, orientativa-
mente, a Taranto e all’ambiente del pitagorismo architeo10. Ma poiché
sui fatti ai quali questo frammento allude il dibattito tra gli studiosi è
stato piuttosto vivace, sarebbe utile poter disporre di dati più certi e
più precisi sulla collocazione cronologica dei Suvmmikta sumpotikav.
Purtroppo, però, su questo fronte potremo soltanto tentare, per ora,
un’ipotesi sostanzialmente indiziaria.
Dovremo innanzi tutto tener presente che l’epoca di composi-
zione dell’opera è certamente posteriore a quella nella quale è am-
bientato il simposio che le fa da cornice, e nel quale l’autore imma-
gina che vengano affrontati, tra l’altro, anche gli argomenti poseido-
niati e musicali del nostro frammento. Questo dato in apparenza
banale non è stato finora debitamente considerato, per cui il livello

8
MARTIN 1931, p. 31; WEHRLI 1967, p. 84.
9
Per questo aspetto della riflessione musicale di Aristosseno vd. §§ 5 e 11.
10
A Taranto e alla «cultura delle diverse parrocchie pitagoriche» pensa anche
MUSTI 2000, p. 55, n. 29; Archita fu contemporaneo del padre di Aristosseno (vd.
VISCONTI 1999, p. 50), e visse all’incirca tra il 430 e il 360 a. C. (vd. WUILLEUMIER
1939, pp. 67-75; HUFFMAN 1996; RIEDWEG 1996); Aristosseno, autore, tra l’altro, di
una sua biografia (frr. 47-50 Wehrli), mantenne sempre col pitagorismo rapporti
strettissimi: vd. TIMPANARO CARDINI 1964, pp. 272-333; GIGANTE 1971a, pp. 74-75;
BURKERT 1972; MOMIGLIANO 1974, pp. 77-80; FRASCHETTI 1981, pp. 102-104; BARKER
1989b, che mette in evidenza i punti di contatto tra Aristosseno e Archita anche su
un piano più strettamente teorico-musicale (contra GIGANTE 1971a, p. 74); VISCON-
TI 1999, pp. 49-53; 62-63; sul pitagorismo a Taranto, vd. CENTRONE 1996, pp. 49-
52; GIGANTE 1971a, p. 75 si dice sicuro «che le parole di Aristosseno possano rife-
rirsi alla Taranto del primo quarto del III secolo» sulla base dell’«accenno alla sot-
tomissione romana di Posidonia che è del 273»: in realtà, anche se credo assai ve-
rosimile che questo simposio letterario sia ambientato a Taranto, non mi sembra
che qui Aristosseno intenda riferirsi a un evento storico preciso e definito (vd. qui
§§ 2, 6, 8 fin.). Un ritorno di Aristosseno a Taranto dopo la morte di Aristotele,
anche se è solo congetturabile, visto che le fonti non ne parlano esplicitamente,
appare senz’altro molto plausibile (WUILLEUMIER 1939, p. 589), anche in considera-
zione del fatto che nel fr. in esame si parla, in termini di “imbarbarimento”, di una
trasformazione dello spettacolo teatrale: un fenomeno osservabile e documentabile
proprio a Taranto anche per altra via (vd. qui § 5).
18 Sulla musica greca antica

cronologico dei fatti narrati è stato tacitamente equiparato a quello


della composizione dell’opera. Ecco perché, nei numerosi riferimenti
a questo frammento, storici e archeologi, particolarmente attenti alla
prima parte del testo, hanno per lo più posto il problema dell’incon-
gruenza dell’accenno all’“imbarbarimento” dei Poseidoniati, accom-
pagnato al cambiamento di lingua e costumi, con le altre fonti, materiali
e storiografiche11. Altri, poi, attratti dall’ultima parte, si sono limitati
a considerare il frammento tra le testimonianze relative all’evoluzio-
ne della musica greca tra V e IV sec. a. C. o all’atteggiamento no-
toriamente conservatore di Aristosseno in campo musicale12. D’al-
tronde, è evidente che qui il discorso del musicologo Aristosseno è
imperniato proprio attorno a una considerazione generale di carat-
tere storico-musicale, e proprio questa tematica era tra quelle prefe-
rite dalla letteratura simposiaca13. Il significativo riferimento alla
particolare situazione di Poseidonia non è dunque che un esempio
esplicativo scelto per similitudine, anche se, come vedremo, si tratta
di un esempio molto efficace14.
In sostanza, in questo testo possiamo riconoscere tre livelli cro-
nologici successivi: 1) quello dei fatti relativi all’“imbarbarimento” dei
Poseidoniati, narrati al passato (sunevbh) dal personaggio che parla in
prima persona (trasformazione in Tirreni o Romani; mutamento di
lingua e costumi); 2) quello della cornice simposiale nella quale la nar-
razione è inserita, e che comprende anche fatti a essa contemporanei
(e[ti kai; nu'n: celebrazione della festa dei Poseidoniati; “imbarbarimen-
to” e “degenerazione” dei teatri e della musica dell’ambiente in cui il
narratore vive); 3) quello della composizione dell’opera letteraria.
Gli elementi cronologici interni al testo non ci consentono di
andare oltre il sincronismo del livello 2). Per cercare di datare il livel-
lo 3) dobbiamo innanzi tutto tener conto che la nascita di Aristosseno
può farsi risalire, con un ragionevole grado di certezza, agli anni tra il

11
Su questo versante, la bibliografia è piuttosto consistente, e si ricava in gran
parte da FRASCHETTI 1981, che amplia di molto la prospettiva esegetica, prestando
attenzione soprattutto agli aspetti ‘ideologici’ del testo; in questo senso, mi pare
molto ben motivata la posizione di ASHERI 1999, p. 368, contrario alla visione di
«coloro che scorgono un’aperta contraddizione tra questa fonte letteraria e la do-
cumentazione archeologica»; più in generale, vd. ASHERI 1996.
12
Vd. WESTPHAL 1883-1893, I, p. 473; II, pp. CCXXVI-CCXXIX; ABERT 1899,
pp. 18-19; 35-37; BARKER 1984, p. 291; WEST 1992, p. 370; e, da ultimo, con ampio
commento, VISCONTI 1999, pp. 144-151, 159-162.
13
Vd. WEHRLI 1967, p. 84.
14
Così già FRASCHETTI 1981, p. 101, e ora VISCONTI 1999, p. 145: vd. anche,
qui, §§ 4, 5, 11.
Festa, musica, identità culturale: il caso di Poseidonia 19

370 e il 365 a. C.15: nulla si sa circa la data della sua morte, né sulla
durata della sua vita16. Ora, senza pretendere di voler trarre più di
qualche indizio da casi simili, vale forse la pena di ricordare qui i dati
relativi ad almeno due autorevoli precedenti letterari dei Suvmmikta
sumpotikav17. La composizione del Simposio di Platone risale, verosi-
milmente, agli anni tra il 384 e il 378 a. C., mentre gli eventi che fan-
no da cornice al dialogo si collocano nel 416 a. C.; il Simposio di Se-
nofonte, posteriore al 378 a. C., è ambientato nel 422 a. C. Dunque
Platone, che nasce intorno al 429, racconta, tra i 45 e i 51 anni di età,
fatti contemporanei alla sua adolescenza, anteriori di 32/38 anni; e
Senofonte, che nasce intorno al 430, racconta, a più di 52 anni di età,
fatti contemporanei alla sua infanzia, anteriori di almeno 44 anni.
A questo punto, se ammettiamo, del tutto ipoteticamente, s’in-
tende, che Aristosseno possa aver composto i Suvmmikta sumpotikav
tra i 45 e i 50 anni di età, e cioè attorno al 320 a. C., potremo riferire
l’imbarbarimento dei teatri e la degenerazione della musica di cui ci
parla in relazione all’ambiente del personaggio narrante (vd. § 5), alla
realtà del pieno IV secolo: in ogni caso prima del 273 a. C., data
della ufficiale deduzione della colonia latina di Paestum. Si tratta di
una conclusione, ripeto, per ora del tutto ipotetica, e perciò del tutto
indicativa, ma credo anche del tutto ragionevole: e spero che gli altri
dati che emergeranno da quanto dirò in seguito potranno ulterior-
mente confortarla (vd. soprattutto §§ 6 e 8).

3. Festa e simposio

Un generico accostamento tra la festa dei Poseidoniati e il


simposio dei probabilmente pitagorici e probabilmente tarantini ojlivgoi
del nostro frammento sembrerà certamente normale a chi consideri, in
generale, che il simposio «riproduce [...] l’insieme dei tratti distintivi

15
Accolgo le conclusioni di VISCONTI 1999, pp. 18-19, che confuta (p. 31, n.
66) le differenti ipotesi di PEARSON 1990, p. XXV (nascita al 379 a. C.) e di BÉLIS
1986, p. 17, n. 10 (nascita tra il 356 e il 352 a. C.); lo studioso italiano dà un’accu-
rata e attendibile ricostruzione della biografia del nostro autore alle pp. 11-99; vd.
anche BARKER 2000b; merita attenzione l’ipotesi di CORDIANO 2001, pp. 149-157,
che la frequentazione del Liceo da parte di Aristosseno, e il suo mancato accesso
allo scolarcato dopo la morte di Aristotele, potessero avere anche motivi politici
(crisi dei rapporti pitagorismo-Accademia e forte connotazione pitagorica di Ari-
stosseno anche dopo il discepolato aristotelico e la morte di Aristotele).
16
Per quanto ne sappia, l’unico a formulare l’ipotesi – a mio avviso non con-
vincente – di una vita lunga di Aristosseno è WUILLEUMIER 1939, p. 589.
17
Li ricavo da DOVER 1965, richiamato anche da BRANDWOOD 1990, pp. 14-15, 37.
20 Sulla musica greca antica

che [...] definiscono la festa»18. Ma nella descrizione di Aristosseno la


corrispondenza tra i due eventi festivi deve essere più profonda, perché
l’accostamento è più minuzioso, e investe sia il rituale e la connotazione
greca della festa dei Poseidoniati, sia il comportamento dei simposiasti
e, direi, gli argomenti storico-musicali affrontati nelle loro discussioni
(o{moion [...] poiou'men Poseidwniavtaiς [...] ajnamimnhvskontai [...] ou{tw
[...] kai; hJmei'ς [...] ajnamimnhskovmeqa). È sorprendente perciò il fatto
che non si sia tentato finora di fornire una qualche interpretazione
storico-religiosa della festa cittadina, così accuratamente descritta nella
parte centrale di questo testo.
È quello che ho tentato di fare qui (§§ 6-9; 11), perché penso che
per questa via si possa acquisire alla storia di Poseidonia qualche ele-
mento nuovo, e forse anche chiarire ulteriormente sia i fattori storico-
politici dell’“imbarbarimento” dei Poseidoniati, sia anche alcuni aspetti
del ben noto conservatorismo di Aristosseno in campo musicale, qui
espresso nelle forme di un simposio letterario.

4. Il contesto della citazione

Prima di procedere, però, è opportuno ricordare il contesto nel


quale Ateneo inserisce la sua citazione aristossenica. Si tratta di un’am-
pia sezione del XIV libro (616e-639a) nella quale Masurio, il più dot-
to e autorevole tra gli esperti di musica che partecipano al convito dei
Deipnosophistai19, offre un vasto campionario di citazioni e testimo-
nianze di argomento etnomusicologico e socio-paideutico, di matrice
in massima parte peripatetica20. In particolare, uno dei temi affrontati
è la polemica contro quel complesso di innovazioni introdotte nella

18
PELLIZER 1983, p. 31; per le interpretazioni e le tipologie della festa vd. VA-
LERI 1979; CALAME 1992 e 1996; GIANOTTI 1996; sul simposio in generale, ROSSI
1983; MURRAY 1990; SLATER 1991; SCHMITT PANTEL 1992.
19
Ecco come Ateneo lo presenta (XIV 623e): oJ pavnta a[ristoς kai; sofo;ς
(novmwn ejxhghth;ς oujdeno;ς deuvteroς kai; peri; mousikh;n ejndiatrivbwn aijeiv: a{ptetai
ga;r kai; tw'n ojrgavnwn); vd. anche Athen. I 1c; Masurio, che sa contemperare con
equilibrio erudizione e riflessione critica, risponde certamente al modello del
‘convitato ideale’, secondo la felice formulazione di LUKINOVICH 1990, p. 266.
20
Uno sguardo d’insieme al molto materiale musicale presente in Ateneo è
offerto da RESTANI 1988 (vd., in particolare, pp. 27-28) e da BARKER 2000a; vd. an-
che BARKER 1984, pp. 258-259 e MUSTI 2000, pp. 17-18; per le fonti musicologiche
di Ateneo bisogna ancora partire dal lavoro di BAPP 1885; utili indicazioni in tal
senso, con particolare riferimento, ovviamente, al nostro frammento, in VISCONTI
1999, pp. 145-151.
Festa, musica, identità culturale: il caso di Poseidonia 21

prassi musicale greca tra V e IV secolo a. C. che va sotto il nome di


“nuova musica”21. Come è stato recentemente messo in luce, ci si può
rendere conto che lungo tutto lo svolgimento della trattazione Aristos-
seno viene più volte citato testualmente, e la parte più strettamente
storico-musicale dipende certamente anch’essa da Aristosseno22.
Particolarmente significativo in tal senso è il brano che in Ateneo
immediatamente precede il testo del nostro frammento (XIV 631e-f), e
dal quale si evince che già nel V sec. a. C.23 le innovazioni nella tecni-
ca dell’aujlovς avevano incominciato a intrecciarsi con quelle della prassi
teatrale, che andava sempre più alla ricerca del favore del pubblico (vd.
§ 5). Naturalmente, entrambe le innovazioni vengono presentate sotto
una luce fortemente negativa. Una valutazione fortemente negativa della
musica nuova emerge anche da un passo successivo (XIV 633b-c), in cui
questa è vividamente contrapposta a quella antica.

5. Aristosseno e la musica teatrale

Non c’è dubbio allora che l’intento di Ateneo nel citare il testo
di Aristosseno sia quello di fornire una testimonianza efficace sulla
decadenza della musica, e in particolare di quella che si eseguiva nei
teatri. Interpreto in questo senso l’espressione hJ pavndhmoς au{th
mousikhv: in questo contesto, nel quale si parla di “imbarbarimento”
del teatro, una musica “molto diffusa”, “popolare”, non può essere che
la musica destinata appunto al vasto pubblico del teatro.

21
La letteratura su questo argomento è piuttosto cospicua, e non è questa la
sede per un’analisi tecnica anche solo sommaria: rimando perciò a VISCONTI 1999,
pp. 100-128, con ampia bibliografia precedente; vd. anche WEST 1992, pp. 356-372;
ZIMMERMANN 1993; PATTERSON 1993; GENTILI 1995, pp. 34-41; ROSSI 1995, pp. 388-
391; ROSSI 1997, pp. 753-757; IMPERIO 1998, pp. 47; 75-96; PRETAGOSTINI 1998; i
recenti contributi di MUSTI 2000 e MOSCONI 2000 aprono nuove e stimolanti pro-
spettive di studio; di particolare interesse il percorso disegnato da BARKER 2002;
vorrei solo ricordare che il complesso delle innovazioni musicali di autori come
Melanippide, Cinesia, Filosseno, Frinide, Timoteo dovette sembrare un vero e pro-
prio sconvolgimento dei canoni culturali tradizionali, viste le violente reazioni da
esse suscitate nei diversi ambiti della teoria musicale (Aristosseno), della commedia
(Aristofane, Ferecrate), della filosofia (Damone, Platone).
22
VISCONTI 1999, pp. 146-151, 160, n. 90; VILLARI 2000.
23
Un importante indizio cronologico è dato dalla menzione dell’auleta Pro-
nomo di Tebe, nato verso il 475, che fu maestro di aulòs di Alcibiade, come ap-
prendiamo da Duride (FgrHist 76 F 29, ap. Athen. IV 184d): cf. COMOTTI 1991b,
pp. 32, 72; WEST 1992, pp. 87, 366-367; su tutto il passo, vd. VISCONTI 1999, pp.
146-151, 160-163, che ne rileva anche le importanti implicazioni politiche; il testo
è riportato e discusso qui al cap. II § 4.
22 Sulla musica greca antica

Del resto Aristosseno, autore tra l’altro di diversi trattati su


argomenti simili24, torna più volte su questo tipo di musica, e, come
qui, il suo giudizio non è mai positivo. In una chria tramandata da
Temistio (XXXIII 1, 364B-C) prescrive infatti a un suo discepolo di
tralasciare il più possibile di far musica in teatro e di non darsi cura
del giudizio del pubblico, «perché non si può piacere alla folla (plh'qoς)
e, allo stesso tempo, rimanere fedele al gusto antico nell’arte musi-
cale»; e in un altro frammento, tramandato dal De musica pseudo-
plutarcheo (31, 1142B), considera la musica dei teatri una manifesta-
zione di diastrofhv, ricorda con disprezzo le innovazioni di Filosse-
no e Timoteo, mentre, tra gli esempi di kallivsth mousikhv, cita Pindaro
e Pratina25. In un’altra pagina del De musica pseudoplutarcheo (27,
1140D-E), di sicura ascendenza aristossenica26, c’è un’antitesi tra l’antica
funzione religiosa e paideutica della musica, e la diafqorav del pre-
sente, per cui tutti i musicisti si dedicano alla deprecabile qeatrikh;
mou'sa. A giudicare poi dal contenuto e dal lessico, rientra perfetta-
mente nell’ottica aristossenica anche un altro passo della medesima
opera (15, 1136B), dove si dice che i contemporanei, in contrasto con
la pratica musicale degli antichi, introducono nei teatri una musica
effeminata e seducente27.
È evidente la corrispondenza contestuale e lessicale col fr. 124,
nel quale ta; qev a tra ej k bebarbav r wtai e la musica eij ς megav l hn
diafqora;n proelhvluqen. Ed è chiaro anche che in tutti questi testi
Aristosseno non si riferisce alle “licenze” musicali del teatro attico del
V sec. a. C.28, ma al periodo successivo, nel quale quelle stesse innova-

24
I titoli sono: peri; corw'n; peri; tragikh'ς ojrchvsewς; peri; tragw/dopoiw'n:
frr. 103-116 Wehrli (=17 F 1-14 Bagordo): vd. BAGORDO 1998, pp. 28-29; WEHRLI
1967, p. 83, ipotizza anche l’esistenza, tra le opere di Aristosseno, di un peri;
diqurambopoiw'n, contenente la vita di Teleste di Selinunte (fr. 117 Wehrli); gli
interessi di Aristosseno per il teatro dovettero essere un portato della sua
permanenza alla scuola di Aristotele: sappiamo che affrontò, in materia, problemi
di esegesi (fr. 113 Wehrli), di pseudepigrafia (frr. 45; 114 Wehrli), di biografia (fr.
115 Wehrli); due papiri (361-362 Pack2=83-84 Austin) testimoniano anche interessi
per Epicarmo, per cui vd. CASSIO 1985.
25
Si tratta dei frr. 70 e 76 Wehrli, citati per esteso qui al cap. II, rispettiva-
mente ai §§ 7 e 4; li prende debitamente in esame anche VISCONTI 1999, pp. 130-
144, il quale, con ottimi argomenti, propone di assegnare al primo dei due (fr. 70)
una porzione di testo più ampia di quella che si legge in WEHRLI 1967, p. 29.
26
Come riconosciuto a partire da ABERT 1899, p. 36: vd. poi BARKER 1984, p.
233; WEST 1992, p. 370; VISCONTI 1999, p. 152.
27
Vd. WEIL-REINACH 1900, pp. 58-59; anche nel fr. 70 Wehrli si parla di mu-
sica effeminata (qhlunomevnh); i due testi pseudoplutarchei sono riportati e discussi
qui al cap. II § 7.
28
Vd. invece il fr. 79 Wehrli, su Sofocle, che mescolò l’armonia frigia allo
stile ditirambico.
Festa, musica, identità culturale: il caso di Poseidonia 23

zioni, già a suo tempo introdotte da musicisti come Melanippide (480-


414), Cinesia (450-390), Filosseno (435-380/79), Frinide (475-?), Timo-
teo (450-360), si erano ormai consolidate nella prassi perché, evidente-
mente, avevano incontrato i gusti del pubblico.
Significativa, in proposito, va considerata la testimonianza del
peripatetico Fania di Ereso (floruit 320 a. C.), che nella sua opera in
più libri Contro i sofisti, parlando dei successi di alcuni mocqhrw'n
aj/smavtwn poihtaiv suoi contemporanei, da lui evidentemente disprez-
zati, precisa che questi non riuscirono neppure a sfiorare i novmoi di
Terpandro e Frinide29. Fainia si riferisce, verso la fine del IV sec. a. C.,
a un altrimenti sconosciuto Telenico di Bisanzio e al citarodo e poeta
Argas, vissuto, a quanto pare, nella prima metà del secolo30. Ma è in-
teressante notare che, in contrapposizione con la deprecabile ma pur
sempre acclamata attività di costoro, e come esempio positivo di stile
non ancora degenerato, vengano citati, accanto ai novmoi di Terpandro,
attivo nel VII sec. a. C., proprio quelli di Frinide di Mitilene, attivo
alla metà del V: le sue innovazioni, che tanto scalpore avevano susci-
tato a suo tempo31, dopo più di una generazione, evidentemente, non
solo non facevano più alcuna difficoltà, ma anzi si erano definitiva-
mente imposte, addirittura fino a essere considerate esemplari. Sempre
nella seconda metà del IV sec. il comico Amfide dice che le innova-
zioni musicali sono essenziali per la tribù che voglia riportare la vitto-
ria nell’agone ditirambico: segno che sono molto gradite al pubblico;
e Antifane elogia Filosseno, contrapponendolo a oiJ nu'n, dei quali cri-
tica le complicate arditezze melodiche32. L’anonimo autore del De vic-
tus ratione, un trattato composto intorno alla fine del V sec. a. C. e
confluito nel Corpus Hippocraticum, parla del piacere che la nuova mu-
sica dà a chi la ascolta33: segno del successo che essa riscuoteva già
all’epoca presso il pubblico. Una serie di testimonianze ci informa poi
della fama postuma raggiunta da uno dei più “sovversivi” rappresen-

29
Phan. fr. 10 Wehrli (ap. Athen. XIV 638b) = Terp. test. 29 Gostoli (vd.
GOSTOLI 1990, pp. 93-94).
30
Vd. CRUSIUS 1895.
31
Vd. Aristoph. nub. 971; Pherecr. fr. 155, 14-18 K.-A.
32
Amph. fr. 14 K.-A.; Antiph. fr. 207 K.-A.; vd. CONTI BIZZARRO 1993-1994.
33
Ps. Hp. De victu I 18, 1; il passo è opportunamente richiamato anche da
VISCONTI 1999, p. 117; per la datazione, vd. JOLY 1967, pp. XIV-XVI: WEST 1992,
pp. 371-372, data invece il trattato alla metà del IV sec. a. C.; a favore della data-
zione tradizionale si è di recente pronunciato però anche il prof. Andrew Barker,
che ha dedicato al passo un commento ampio e circostanziato nel corso del suo
ciclo di lezioni su Psicomusicologia nella Grecia antica (Università di Salerno, Di-
partimento di Scienze dell’Antichità, febbraio 2002: le lezioni di Barker, a cura di
chi scrive, sono in corso di stampa).
24 Sulla musica greca antica

tanti della “nuova musica”, a suo tempo oggetto degli attacchi impie-
tosi dei conservatori, Timoteo di Mileto: Aristotele parla di lui in ter-
mini assolutamente lusinghieri associandolo al suo maestro Frinide, e
sappiamo che sue composizioni vengono frequentemente rieseguite in
occasioni ufficiali fino all’inoltrato IV sec. a. C.34; Polibio attesta che,
nella seconda metà del III sec. a. C., lo studio e l’esecuzione dei novmoi
di Timoteo fa parte integrante del curriculum educativo dei giovani
Arcadi, e per altra via sappiamo che la sua opera continua a essere co-
nosciuta e apprezzata ancora nel II sec. d. C.35
In realtà, almeno fino a tutto il V secolo, possiamo supporre che
le rappresentazioni teatrali non avessero conosciuto una vera e pro-
pria “eversione” dei canoni musicali tradizionali: «sappiamo bene»
infatti «che le giurie dei concorsi non consentivano vere libertà in
questo senso. Le licenze di un Euripide erano molto più miti, nella
scala di valori dell’ethos musicale, di quanto ce le presenti Aristofane
nella sua parodia comica. L’ufficialità della sede, severamente control-
lata dalla pólis, non era propizia a vere trasgressioni»36. D’altra parte
sappiamo anche che, in Atene, per la produzione e la fruizione della
musica che in ambienti aristocratici veniva bollata come volgare e de-
generata, soprattutto quella del cosiddetto “nuovo ditirambo”, Pericle
fece costruire un edificio monumentale apposito, l’Odeion37. Ai tempi
di Aristosseno invece – circa un secolo dopo – forme di spettacolo
nuove dovevano aver cominciato a invadere proprio i teatri, mutando
profondamente i modi della fruizione e della produzione della musica,
oltre che, naturalmente, le forme della comunicazione spettacolare38.
In questa direzione, sarà utile ricordare ancora una volta che, nel
frammento di Aristosseno, l’accenno alla degenerazione e all’imbarbari-
mento della musica e dei teatri non si riferisce a Poseidonia, ma all’am-
biente del personaggio che parla in prima persona39. E se, come ho ipo-
34
Vd. Aristot. Met. 993b15: eij me;n ga;r Timovqeoς mh; ejgevneto, pollh;n a]n
melopoiivan oujk ei[comen: eij de; mh; Fru'niς, Timovqeoς oujk a]n ejgevneto; Timoth.,
frr. 777; 778; 779; 787; 788; 792; 801 Page: vd. VISCONTI 1999, pp. 117-118; 126, n.
149; HORDERN 2002, pp. 9-17; 73-79.
35
Polyb. IV 20-21 (per la cronologia, vd. qui § 11, con nota 115); BRONEER
1953, pp. 192-193; LATTE 1954 e 1955; in generale, vd. MATHIESEN 1999, pp. 58-71;
HORDERN 2002, pp. 1-17.
36
Così ROSSI 1988c, p. 241.
37
Vd. l’ottimo quadro d’insieme offerto da MOSCONI 2000.
38
Su questi problemi, vd. GENTILI 1977 e 1995, pp. 234-236; ROSSI 1997; CA-
TONI 1997.
39
Lo fa notare opportunamente anche ASHERI 1999, p. 364; nella medesima
direzione, MUSTI 2000, p. 55, n. 29; inspiegabilmente, TODISCO 2002, p. 158, parla
invece ancora di «“imbarbarimento” del teatro poseidoniate» (corsivo mio: nei me-
desimi termini, pp. 17-18, e così già TODISCO 1990, p. 151), considerando, tra l’al-
Festa, musica, identità culturale: il caso di Poseidonia 25

tizzato (§ 2), si tratta della Taranto del pieno IV sec. a. C., vale la pena
richiamare qui, nel suo contesto, un testo tratto dalle Leggi di Platone
(II 659b-c), che ci dà un’immagine dettagliata di quanto accadeva negli
ambienti teatrali dei Greci d’Occidente precisamente all’epoca in cui si
può immaginare ambientato il simposio raccontato da Aristosseno40.
La musica – dice l’Ateniese nel dialogo platonico – va giudicata sì
in base al piacere (hJdonhv), ma – precisa – non si tratta del piacere del
primo che capita: la musica più bella è invece «quella che dà diletto ai
migliori e a quelli che hanno ricevuto un’educazione adeguata, ma
soprattutto a quell’unica persona che si distingua per virtù e cultura
(h{tiς tou;ς beltivstouς kai; iJkanw'ς pepaideumevnouς tevrpei, mavlista de;
h{tiς e{na to;n ajreth/' te kai; paideiva/ diafevronta: 658e-659a)». Si tratta
ovviamente del giudice ideale della musica, che, scelto accuratamente
per pronunciare giudizi attendibili, deve possedere ajrethv, frovnhsiς
e ajndreiva. La sua istruzione – prosegue ancora l’Ateniese – non
deve avvenire in teatro, dove il fracasso della folla esercita su di lui
un turbamento pari a quello della sua stessa incompetenza (ou[te
ga;r para; qeavtrou dei' tovn ge ajlhqh' krith;n krivnein manqavnonta,
kai; ejkplhttovmenon uJpo; qoruvbou tw'n pollw'n kai; th'ς auJtou'
ajpaideusivaς); né, una volta formato, il giudice deve pronunciare
verdetti viziati dalla sua stessa debolezza o viltà (ou[t’ au\ gignwvskonta
di’ ajnandrivan kai; deilivan [...] krivnein): il vero giudice deve invece
arrivare a occupare il suo posto in teatro non come discepolo, ma
piuttosto come maestro degli spettatori, per opporsi a quanti
procurano loro un piacere sconveniente o ingiusto (ouj ga;r maqhth;ς
ajlla; didavskaloς, w{ς ge to; divkaion, qeatw'n ma'llon oJ krith;ς kaqivzei,
kai; ejnantiwsovmenoς toi'ς th;n hJdonh;n mh; proshkovntwς mhde; ojrqw'ς
ajpodidou'si qeatai'ς: 659a-b). E invece (659b-c):

oJ Sikelikovς te kai; ’Italiko;ς novmoς nu'n, tw'/ plhvqei tw'n qeatw'n


ejpitrevpwn kai; to;n nikw'nta diakrivnwn ceirotonivaiς, dievfqarke me;n
tou;ς poihta;ς aujtouvς – pro;ς ga;r th;n tw'n kritw'n hJdonh;n poiou'sin
ou\ s an fauv l hn, w{ s te auj t oi; auj t ou;ς oiJ qeatai; paideuv o usin –
dievfqarken d’ aujtou' tou' qeavtrou ta;ς hJdonavς: devon ga;r aujtou;ς
ajei; beltivw tw'n auJtw'n hjqw'n ajkouvontaς beltivw th;n hJdonh;n i[scein,
nu'n aujtoi'ς drw'sin pa'n toujnantivon sumbaivnei.

tro, il frammento di Aristosseno come «il riscontro letterario di un’attività teatrale


certa a Poseidonia»: il che, evidentemente, non è.
40
La composizione delle Leggi viene generalmente fissata attorno al 350 a.
C.; il passo non era stato quasi mai messo in relazione con il frammento di Ari-
stosseno, ma vedo ora con piacere che i due testi sono accostati da TODISCO 2002,
pp. 17-18; sul passo di Platone, vd., dopo ENGLAND 1921, pp. 291-293, GREEN 1994,
p. 67 e CSAPO-SLATER 1995, pp. 158, 162.
26 Sulla musica greca antica

in Sicilia e in Italia meridionale, la legge che, per stabilire il vincitore


di una competizione teatrale, consente di affidarsi al giudizio della
massa degli spettatori, espresso per alzata di mano, ha condotto alla
corruzione gli stessi poeti, che compongono per soddisfare il piacere
di basso livello di questi giudici, sicché loro maestri sono proprio gli
spettatori; ma ha corrotto anche i piaceri degli spettatori: chi assiste
a vicende che presentano comportamenti più nobili dei propri, do-
vrebbe trarre un piacere più nobile, mentre ora avviene che, per col-
pa loro, facciano tutto il contrario.

La consonanza non soltanto lessicale con l’ideologia e con l’am-


bientazione del fr. 124 di Aristosseno è impressionante. In entrambi i
testi si parla, in riferimento a un medesimo contesto cronologico, geo-
grafico e culturale, di “degenerazione” dell’arte e della sua fruizione. I
due autori osservano in realtà due aspetti complementari di un mede-
simo processo evolutivo della produzione teatrale, percepito e giudi-
cato da entrambi in termini degenerativi, e perciò fortemente negativi.
Platone è attento in primo luogo al rapporto tra giudici e pubbli-
co, ed è nell’evoluzione – e per lui alterazione – di questo rapporto che
individua le cause della degenerazione della stessa drammaturgia con-
temporanea (dievϕϑarke me;n tou;ς poihta;ς aujtouvς). Un punto centrale
della sua requisitoria è la condanna dell’edonismo e degli esiti che la
degenerazione dell’arte produce sul comportamento sociale. Sarà il
caso di tener presente che la medesima situazione – in riferimento però
ad ambiente ateniese – è riecheggiata anche alla fine del III libro delle
Leggi (700a-701d), quando Platone, dopo aver deplorato la mescolanza
dei diversi generi poetici, un tempo ben distinti e separati, condanna la
prassi teatrale contemporanea, definita polemicamente qeatrokrativa
tiς ponhrav41. Del resto, già nel Gorgia (501e-502c) si parla in termini
inequivocabilmente negativi della musica e della poesia che hanno di
mira esclusivamente il piacere del pubblico42. L’occhio di Aristosseno è
fisso invece sul rapporto tra produzione e fruizione della musica tea-
trale, e nella sua interpretazione, a completare l’idea di degenerazione,
si aggiunge la nozione di “imbarbarimento”.
Ma è importante notare come l’elemento centrale comune ai due
autori sia la condanna dell’accresciuta importanza di un pubblico i cui

41
Discussione e bibliografia essenziale in FANTUZZI 1993, pp. 36-37; vd. an-
che IMPERIO 1998, p. 93.
42
Non è forse un caso che il passo citato contenga un riferimento al ditiram-
bografo Cinesia; in un altro passo delle Leggi (VII 817b-c) Platone fa dire all’Atenie-
se parole che sembrano alludere anch’esse a pratiche teatrali in vigore fuori di Ate-
ne, e probabilmente, secondo TAPLIN 1999, p. 38, in Magna Grecia.
Festa, musica, identità culturale: il caso di Poseidonia 27

gusti sono ormai in grado di condizionare fortemente tanto i giudici


quanto gli autori: «lo spettacolo, specie attraverso la musica, aveva
preso una piega demagogica»43. Del resto, lo stesso Aristotele, che
pure ebbe nei confronti della nuova musica un atteggiamento aperto e
sostanzialmente positivo44, in un celebre passo della Politica (VIII
1342a) nota che, tra i destinatari della qeatrikh; mousikhv, in anni non
lontani da quelli ai quali si riferiscono Platone e Aristosseno, accanto
agli spettatori «liberi ed educati» ci sono ormai «bavnausoi, teti e altra
gente consimile».
In un’ottica conservatrice, la collocazione della musica degene-
rata nei teatri rappresentava insomma l’ultimo atto del suo processo
di decadenza. E se la sperimentazione musicale era avvenuta, fino a
tutta l’età classica, nell’ambiente aristocraticamente protetto del sim-
posio45, nel pieno IV secolo la musica “nuova”, nelle forme di un pro-
fessionismo e di una spettacolarizzazione che conosce ormai una se-
parazione rigida tra l’esecutore specialista e lo spettatore fruitore pas-
sivo46, entra prepotentemente nei teatri perché non viene più sentita
come musica sperimentale, essendosi ormai imposta al gusto del
pubblico, il cui giudizio è divenuto un fattore fortemente condizio-
nante e direi determinante.
Da Aristosseno stesso si ricavano ancora altre preziose informa-
zioni sullo spettacolo a lui contemporaneo. Si tratta di quattro fram-
menti, tutti tramandati da Ateneo. Nel primo parla dell’ iJlarw/diva e
della magw/diva, adattamenti e trasformazioni, rispettivamente, della tra-
gedia e della commedia47. Il secondo è prezioso per la tipologia e la
terminologia degli attori: dice che il magw/dovς è in grado di impersonare
ruoli maschili e femminili, mentre il lusiw/dovς può impersonare ruoli
femminili in abiti maschili; null’altro li differenzia, visto che entrambi
sono in grado di cantare i medesimi canti (ta; aujta; de; mevlh a[/dousin)48.
Negli altri due parla del successo di pubblico raggiunto ai suoi tempi

43
Così, efficacemente, ROSSI 1995, p. 391; vd. anche ROSSI 1997, pp. 756-757;
WALLACE 1995, pp. 26-27; CATONI 1997, p. 1027, n. 43; MOSCONI 2000, in part. pp.
301-305.
44
Vd. Arist. Pol. VIII 1337b 24-1342b 34; ANDERSON 1966, pp. 111-146; 260-274;
BÉLIS 1987, pp. 54-85 (cap. II: Aristote et la musique); VISCONTI 1999, pp. 116, 128.
45
Su questo, vd. ROSSI 1988c e 2000, p. 62, con n. 14.
46
Questi fenomeni sono posti in chiara evidenza da MUSTI 2000, che indaga
anche sulla con certo casuale collocazione delle innovazioni musicali “degenerate”
in ambiente democratico; su questo è anche importante MOSCONI 2000.
47
Fr. 110 Wehrli (Athen. XIV 621c).
48
Fr. 111 Wehrli (Athen. XIV 620e).
28 Sulla musica greca antica

da nuove forme di spettacolo, intese essenzialmente a suscitare il riso,


e basate sull’imitazione, ma anche sulla deformazione parodica e sulla
detorsio in comicum di forme artistiche tradizionali (epica, citarodia,
ditirambo) e di personaggi eroici (Polifemo, Odìsseo); in alcuni casi, lo
spettacolo giunge a imitare addirittura la lotta e il pugilato49. In questi
testi, brevi ma interessantissimi, si fanno anche i nomi di gelwtopoioiv
e altri uomini di spettacolo per noi altrimenti del tutto sconosciuti:
Eudico, Stratone di Taranto, Enòpa con la sua compagnia di giro ejx
’Italivaς, Polideucto di Acaia e Diocle di Cineta. E forse proprio la
qualificazione di gelwtopoioiv data ad alcuni di loro potrebbe far pen-
sare anche a forme spettacolari di intrattenimento concepite per essere
rappresentate all’interno del simposio50. Quel che conta, però, è che si
tratta appunto di alterazioni, che ad Aristosseno dovevano certamente
apparire come degenerative, di forme originariamente serie. Un dato
che mi è sembrato molto significativo è poi la provenienza di alcuni di
questi istrioni dall’Italia meridionale (’Italiva), come Enòpa, e in par-
ticolare da Taranto, come Stratone.
Dalla tradizione storiografica sappiamo infatti quanta e quale im-
portanza avesse, nella vita culturale di una grande capitale come Ta-
ranto, lo spettacolo teatrale e musicale. Molte fonti letterarie ne par-
lano esplicitamente51, e ce ne rende ragione anche il numero notevole
di raffigurazioni vascolari prodotte in loco e riferibili alle rappresen-
tazioni che dovevano aver luogo nella città. Dai recenti studi sull’af-
fascinante rete di relazioni rintracciabili tra rappresentazioni e raffi-
gurazioni52, possiamo ricavare che doveva essere all’ordine del gior-
no la ripresentazione, più o meno adattata al contesto ambientale, di
drammi (specialmente commedie) già a suo tempo rappresentati per
la prima volta in Grecia, in particolare in Atene. Non possiamo in-

49
Si tratta dei frr. 135 e 136 Wehrli (rispettivamente, Athen. I 19f; XIV 638b),
che per tanti motivi vanno considerati insieme: li ricorda opportunamente anche
GIGANTE 1971a, p. 76; Athen. XIV 620b-c trasmette la notizia che Demetrio Fale-
reo fu il primo a introdurre nei teatri gli oJmhristaiv, che si esibivano in rappresen-
tazioni drammatiche di brani omerici (Dem. Phal. fr. 33 Wehrli), e che secondo Ca-
meleonte furono messi in musica Omero, Esiodo, Archiloco, Mimnermo, Focilide
(Chamel. fr. 28 Wehrli); vd. DELCROIX-GIANNATTASIO ANDRIA 1997.
50
Vd. MILANEZI 2000.
51
Raccolta di fonti nel classico WUILLEUMIER 1939, pp. 611-632; vd. anche
TAPLIN 1993, pp. 12-17, la scheda di MITENS 1988, p. 148, e ora lo status quaestio-
nis, con bibliografia aggiornata, di TODISCO 2002, pp. 163-166; 220.
52
Penso naturalmente a TAPLIN 1993 (con bibliografia precedente), alla luce
del cui lavoro va fortemente ridimensionata la vecchia ma persistente idea che le
raffigurazioni vascolari magnogreche con scene teatrali vadano riferite quasi del tutto
a rappresentazioni fliaciche.
Festa, musica, identità culturale: il caso di Poseidonia 29

dividuare con precisione l’ampiezza dei margini di adattamento e di


revisione dei drammi prescelti, ma, specialmente per la ripresa delle
commedie antiche, ricchissime di rimandi all’attualità politica atenie-
se degli anni precedenti, una certa libertà, e una certa dose di inno-
vazioni dobbiamo immaginarle53. Né dobbiamo dimenticare che pro-
prio a Taranto, tra IV e III sec. a. C. si forma il raffinatissimo Rin-
tone54, le cui innovazioni nella prassi teatrale, stando alle fonti, anda-
vano proprio nella direzione di una contaminazione di generi spetta-
colari seri e comici55. In sostanza, nuove forme di teatro di puro
intrattenimento si sviluppano a Taranto nel pieno IV sec. a. C.56,
molto probabilmente sotto gli occhi rivolti al passato di un testimo-
ne molto autorevole57.
Sarà utile tener presenti queste osservazioni nel riesaminare for-
ma e contenuto del nostro frammento.

6. Forma, contenuto, altri dati cronologici

L’impianto retorico del brano si basa su una doppia similitudine,


elaborata e piuttosto minuziosa (vd. § 3). Il personaggio che parla in
prima persona istituisce un primo accostamento, evidenziato dall’uso
del medesimo verbo (ejkbarbarovw), tra la situazione dei Poseidoniati
e quella della musica58: come, a un certo punto della loro storia, i
Poseidoniati, greci in origine, si erano imbarbariti, così si era

53
Vd. TAPLIN 1993, pp. 89-99.
54
Eccezion fatta per Noss. 10, 2 G.-P. (A. P. VII 414, 2) che lo dice siracusano,
la totalità delle fonti lo considera tarantino; l’unico dato cronologico esplicito in
nostro possesso è Sud. r 171 Adler (test. 1 K.-A.): gev g onen ej p i; tou' prwv t ou
Ptolemaivou; ora, sappiamo che Tolemeo I regnò tra il 323 e il 283 a. C., ma in questo
contesto gevgonen significa probabilmente «fu attivo», piuttosto che «nacque»: vd.
TAPLIN 1993, p. 49, n. 2; fonti, bibliografia e frammenti in PCG I (2001), pp. 260-
270; il più recente studio d’insieme resta GIGANTE 1971b; vd. anche, più sinteticamente,
TAPLIN 1993, pp. 48-54.
55
Significative, in tal senso, la testimonianza di Sud. r 171 Adler (test. 1 K.-
A.: ÔRivnqwn [...] kwmikovς, ajrchgo;ς th'ς kaloumevnhς iJlarotragw/divaς o{ ejsti
fluakografiva) e quella di Steph. Byz. 603, 1 Meineke (test. 2 K.-A.: ÔRivnqwn
Taranti'noς, fluvax, ta; tragika; metarruqmivzwn ejς to; geloi'on ktl.).
56
Su questa fase di sviluppo del teatro ellenistico, vd., in generale, GENTILI
1977.
57
Sulla probabile presenza di Aristosseno a Taranto dopo la morte di Aristo-
tele, vd. qui nota 10.
58
L’accostamento non stupirà il lettore di Plat. resp. IV 424c; leg. III 699e-
701c, con ROSSI 2000, pp. 61-62; più in generale, per musica e politica in Platone,
vd. ora PAGLIARA 2000.
30 Sulla musica greca antica

imbarbarita anche, a un certo punto della sua storia, la musica dei teatri.
In questo senso, mi pare significativa la disposizione simmetrica dei
due incisi Turrhnoi'ς h] ÔRwmaivoiς gegonovsi e eijς megavlhn diafqora;n
proelhv l uqen , ad esplicitare gli esiti di entrambi i processi di
imbarbarimento 59 . Un secondo, più elaborato accostamento è
sottolineato con maggiore rilievo non soltanto dall’uso del medesimo
verbo (ajnamimnhvskomai), ma anche dallo schema omologico o{moion
poiou'men [...] ou{tw kai; hJmei'ς: come i Poseidoniati celebravano in una
sola (mivan) festa la commemorazione rituale delle proprie origini greche,
così anche i pochi (ojlivgoi) membri del simposio che fa da cornice al
frammento ricordano la musica del passato.
Per quanto riguarda la festa dei Poseidoniati, il testo ci informa che
essa prevedeva il ricordo di «antichi ojnovmata e novmima»: un particolare
disposto in perfetta simmetria rispetto a thvn te fwnhvn [...] tav te loipa;
tw' n ej p ithdeumav t wn . Le due coppie di termini fwnhv - oj n ov m ata e
ejpithdeuvmata - novmima non sembrano perfettamente sinonimiche: al
generico fwnhv (“lingua”) risponde il più specifico ojnovmata (“parole”,
“nomi”), come a ejpithdeuvmata risponde novmima. La parte verbale del
rito (ojnovmata) e quella cerimoniale (novmima) rappresentano insomma,
rispetto al processo di imbarbarimento descrito da Aristosseno, una
sorta di contraltare, che si inquadra in una riproposizione rituale
dell’antica identità culturale. I Poseidoniati, che si sarebbero imbarbariti,
si comportano ritualmente come se non lo fossero: richiamano infatti
alla memoria (ajnamimnhvskontai), nelle loro configurazioni origina-
rie (ajrcaivwn ejkeivnwn), manifestazioni concrete (ojnomavtwn e nomivmwn)
dei fattori culturali – lingua e costumi – il cui mutamento (meta -
beblhkev n ai ), a un conservatore come Aristosseno, rivela il loro
imbarbarimento. In sostanza si può dire che i Poseidoniati, nel corso
della loro festa greca, adoperano gli antichi ojnovmata e adottano gli
antichi novmima, ossia parlano l’antica lingua e si comportano secondo gli
antichi costumi. Si tratta insomma di una ripetizione rituale, che rende
presente – e perciò, direi, rifonda – ciò che commemora. Tornerò più
avanti (§ 9) su questo particolare, quando forse potrà ricevere più luce
dall’esame degli altri (§§ 7-8).
Quanto all’“imbarbarimento” dei Poseidoniati, si osserva che esso
implica qui un mutamento di identità etnico-culturale (ejx ajrch'ς {El-

59
In questo senso già MAZZARINO 1966, p. 98, che considera l’intero inciso
Turrhnoi' ς h] ÔRwmaiv o i ς gegonov s i come «necessario pendant» rispetto a ej x
ajrch'ς {Ellhsin ou\sin; nella medesima direzione, FRASCHETTI 1981, p. 99, che parla
opportunamente di «coerenza interna del testo».
Festa, musica, identità culturale: il caso di Poseidonia 31

lhsin ou\ s in [...] Turrhnoi' ς h] ÔRwmaiv o i ς gegonov s i ), al quale si


accompagna il mutamento di lingua e costumi (kai; thvn te fwnh;n
metabeblhkevnai tav te loipa; tw'n ejpithdeumavtwn)60; l’intero processo
storico, con le sue manifestazioni etniche e culturali, è presentato come
un fatto ormai compiuto: tutto il contesto è arcaicizzante, ma anche
l’uso sistematico di perfetto (ejkbebarbarw'sqai [...] gegonovsi [...]
metabeblhkevnai [...] ejkbebarbavrwtai [...] proelhvluqen) in opposizione
ad aoristo (sunevbh [...] ajpolofuravmenoi [...] ajpodakruvsanteς [...]
genovmenoi) e presente (poiou'men [...] katoikou'sin [...] a[gein [...]
suniovnteς ajnamimnhvskontai [...] ajpevrcontai [...] ajnamimnhskovmeqa)
mi sembra un indizio decisivo in tal senso.
Si tratta di considerazioni che non contemplano eventi politico-
militari, quanto piuttosto fattori storico-culturali61, per cui non mi
sembra affatto scontato, come invece si è creduto e si crede, che la
menzione dei Romani sia da intendere come una testimonianza posi-
tiva dell’avvenuta ufficiale deduzione della colonia latina nel 273 a. C.,
e dunque non credo possibile, per questa via, fissare un sicuro termi-
nus post per la datazione del frammento62. Bisognerà anzi pensare che
nel 273 a. C. Aristosseno, se ancora in vita, avrà avuto un’età compre-
sa tra i 92 e i 97 anni, presumibilmente troppo avanzata per poterne

60
Il nesso tra perdita dell’identità linguistica greca e imbarbarimento si coglie
anche in un famoso passo di Platone (epist. VIII 353e), opportunamente richiamato
da vari studiosi: FRASCHETTI 1981, p. 101; CRISTOFANI 1996, p. 201; BOWERSOCK 1992,
p. 250; ASHERI 1999, p. 369; «quel binomio, lingua e costumi, è in certo modo ti-
pico della storiografia greca» (MAZZARINO 1966, p. 98); vd. TSOPANAKIS 1984.
61
In questo senso, già LALOY 1904, p. 14: «Il s’agit d’une dénationalisation
progressive, et non d’une conquête»; in proposito, vd. FRASCHETTI 1981, pp. 100-
101, e ora ASHERI 1999, p. 365.
62
Per TORELLI 1988, p. 96, invece, l’inciso Turrhnoi'ς h] ÔRwmaivoiς gegonovsi
«può interpretarsi solo come descrizione delle conseguenze culturali della fondazione
della colonia»; ma, in conseguenza di questa interpretazione, che, come egli stesso
ammette, urta con la cronologia di Aristosseno, «la cui data di morte generalmente
accettata precede senz’altro quella della colonizzazione latina di Paestum», lo
studioso giunge, sic et simpliciter, a negare la paternità aristossenica dei Suvmmikta
sumpotikav, considerandoli un «prodotto apocrifo di orientamento neopitagorico
[...], nato all’interno di ambienti colti dei Greci di Poseidonia-Paestum dopo l’arrivo
dei coloni o forse meglio della stessa Taranto, all’indomani della conquista romana
del 272 a. C., evento virtualmente contemporaneo alla deduzione di Paestum, datata
all’anno prima» (pp. 97-98, corsivi miei): per quel che so, questo è l’unico tentativo
di revocare in dubbio l’autenticità del nostro testo, che a me sembra invece garantita
dalla stessa configurazione della citazione di Ateneo, con i suoi tre «citation-marks»
(vd. §1); quanto alla menzione dei Turrhnoiv , considerata generalmente un
anacronismo da chi li identifica con gli Etruschi, rimando chi non voglia accogliere
le persuasive ipotesi di CERCHIAI 1996, PUGLIESE CARRATELLI 1988, ASHERI 1999 (vd.
qui nota 1), alle considerazioni di FRASCHETTI 1981 (pp. 98, 100; 104-115).
32 Sulla musica greca antica

scrivere, e che una certa distanza temporale dai fatti narrati andrà co-
munque computata, in considerazione del genere letterario simposiaco
(§§ 1-2). Sarà allora la data del frammento, necessariamente anteriore
al 273, a costituire un sicuro terminus ante per la datazione dei fatti in
esso narrati, sicché possiamo essere certi di dover leggere qui un rife-
rimento a un’epoca alquanto precedente al 27363. D’altra parte, contat-
ti interculturali a Poseidonia sono ampiamente documentati dalle te-
stimonianze archeologiche: la presenza di “comunità miste” sembra es-
sere una caratteristica peculiare della città fin dalla sua fondazione64.
Quello che è importante notare è che, agli occhi del conservatore
Aristosseno, già questi soli contatti apparivano come i segni che un
vero e proprio imbarbarimento si era ormai pienamente compiuto65.
A questo proposito, dopo aver ricordato che a Poseidonia l’uso
del greco, con persistenze di dialetto dorico (genit. femm. in <aς, ac-
cusat. femm. in <an, genit. masch. in <w), è attestato almeno fino agli
inizi del III secolo a. C.66, sarà anche il caso di considerare brevemen-
te due reperti archeologici di una certa importanza per i problemi ine-
renti agli usi linguistici dei Poseidoniati. Entrambi sono attualmente
conservati nel Museo Archeologico Nazionale di Paestum. Su una
pàtera a vernice nera dell’ultimo trentennio del IV secolo, proveniente
dalla tomba a camera n° 11 scoperta in località Andriuolo il 4.9.1971
(inv. 24813), si legge l’iscrizione in greco: ªojºyofovroς Dionusivw67. Sulla
stele databile a ca. il 300 a. C., rinvenuta nell’area dell’ekklesiasterion
nel corso della campagna di scavo del settembre 1977 (inv. 13740), è
dipinta in rosso una dedica, in alfabeto greco ma in lingua osca, a Ioufhi
(Giove)68: doveva essere la base di una statua, appunto, di Giove; molto
diffuso in ambiente osco è anche il prenome del dedicatore, Stavtiς,
che si riesce a restituire con sicurezza, ed è notevole appunto il fatto

63
In questo senso già l’ipotesi di MAZZARINO 1966, p. 98, opportunamente
richiamata da FRASCHETTI 1981, pp. 99-100, e quella di GHINATTI 1974, pp. 539-
540: vd. anche CATALANO 1979, pp. 121-122, che parla di una «penetrazione roma-
na già in atto, al momento della deduzione della colonia» (p. 122); contra GIGANTE
1971a, pp. 75-76 e, appunto, TORELLI 1988, p. 96.
64
Vd. almeno CIPRIANI 1996; PONTRANDOLFO 1996a, che evidenzia fenomeni
di vera e propria integrazione etnica e politica (pp. 38-39); PONTRANDOLFO-ROUVE-
RET 1996: un quadro sintetico in ASHERI 1999, pp. 366-368 (tutti con bibliografia).
65
Questo aspetto è svilupato da ASHERI 1999.
66
Vd. PONTRANDOLFO-ROUVERET 1992, p. 458; CRISTOFANI 1996; SACCO 1996;
PROSDOCIMI 1989.
67
GRECO 1980; vd. SACCO 1996, p. 207, n° 110, dove però il dato cronologico
relativo allo scavo va corretto: si legga 1971 in luogo di 1969.
68
È appunto questa la forma osco-campana del teonimo; per il testo completo
dell’iscrizione, vd. GRECO 1981, poi confluito in GRECO-THEODORESCU 1983, pp.
Festa, musica, identità culturale: il caso di Poseidonia 33

che il testo dell’epigrafe sia redatto in lettere greche adoperando però


la lingua delle popolazioni di origine lucana che al momento domina-
vano politicamente la città69.
È stata opportunamente sottolineata l’«opposizione» tra i due
documenti, l’uno «privato come il vaso di uso domestico», la cui de-
stinazione all’ambiente del banchetto è sicura70, l’altro un «documento
ufficiale, [...] una stele sistemata in un edificio pubblico»71. Se dunque
la stele dall’ekklesiasterion sembrerebbe confermare che, al principio
del III sec. a. C., il processo di mutamento linguistico è realmente
compiuto per quanto riguarda la vita pubblica, la pàtera di Andriuolo
documenta che il greco si usava ancora, sicuramente soltanto qualche
decennio prima, ma presumibilmente anche qualche anno dopo, e co-
munque in piena epoca lucana, nell’ambito privato. Ma su quest’ulti-
mo particolare, che non poteva essere sconosciuto a un esperto di
pratiche simposiali, Aristosseno, significativamente, tace.

7. Festa, cerimoniale, ideologia

A questo punto, vorrei ribadire che la non congruità apparente


del nostro testo con la realtà storica è certamente dovuta a una scelta
di prospettiva ideologica: ad Aristosseno interessa dipingere, della re-
altà politica e culturale di Poseidonia, un quadro a tinte forti, che ri-
sulta perciò decisamente anacronistico, e nel quale, evidentemente, non
c’è posto per considerare, per esempio, la pur episodica persistenza del
greco, almeno in certi ambienti privati e cultuali. È stato infatti op-
portunamente notato che nella sua visione fortemente ‘ideologizzata’
e arcaizzante della realtà storica, egli «non allude a fattori di reale

137-138 (con fig. 72, p. 203); DEL TUTTO PALMA 1990, pp. 52-56; vd. pure MARINET-
TI-PROSDOCIMI 1988, p. 44; CRISTOFANI 1996, p. 203 con bibliografia; sul versante
dell’onomastica, si potrebbe forse considerare anche la tomba a camera n° 1 in lo-
calità Gaudo, databile al secondo venticinquennio del IV sec. a. C. (Paestum, Museo
Archeologico Nazionale, inv. 26601), con la didascalia PlasÉoς, un antroponimo
osco (Plasis) scritto in greco: vd. DEL TUTTO PALMA 1990, pp. 56-57; BELLELLI 1995.
69
In assenza di fonti scritte esplicite sull’argomento, è possibile datare la
conquista lucana di Poseidonia alla fine del V sec. a. C. sulla base della documen-
tazione numismatica e archeologica, e in particolare dei mutamenti dell’ideologia e
dei rituali funerari: vd. GRECO 1979; 1988; PONTRANDOLFO 1979; 1988; 1996b; PON-
TRANDOLFO-ROUVERET 1992, p. 10; MELE 1996a; 1996b (con bibliografia); CIPRIANI
1996; vd. anche ASHERI 1996, p. 91.
70
CASSIO 1982.
71
GRECO 1980, pp. 64-65.
34 Sulla musica greca antica

occupazione, ma [...] si riferisce [...] ad un processo di dominanza e di


integrazione culturale»72.
Detto questo, mi sembra di poter affermare che anche la presen-
tazione dell’«unica festa greca» che i Poseidoniati continuano a cele-
brare ancora ai tempi del loro reale o presunto imbarbarimento si in-
serisce coerentemente in una tale visione: è del tutto comprensibile che
al conservatore Aristosseno, che ha appena registrato nel mutamento
di lingua e di costumi i sintomi ‘negativi’ della perdita dell’identità
greca, l’unica festa greca sopravvissuta al naufragio dell’“imbarbari-
mento” possa apparire come un importante elemento di continuità col
passato, una sorta di antidoto al decadimento del presente, una soprav-
vivenza dell’antica e perduta identità etnica e culturale. Ecco perché, a
ben guardare, la descrive nei particolari: si articola nei tre momenti
canonici della riunione (suniovnteς), dello svolgimento vero e proprio,
che prevede una commemorazione (ajnamimnhvskontai tw'n ajrcaivwn
ejkeivnwn ojnomavtwn te kai; nomivmwn) e una forma di lamento rituale
(ajpolofuravmenoi pro;ς ajllhvlouς kai; ajpodakruvsanteς), e del con-
gedo (ajpevrcontai).
Potrà sembrare una banalità osservare che il lamento festivo dei
Poseidoniati va considerato come un fattore simbolico fortemente con-
notativo del rituale. Esso non andrà dunque assolutamente sottovalu-
tato: vedremo, anzi (§ 8), come questo particolare, adeguatamente con-
testualizzato, ci aiuterà nell’interpretazione complessiva della festa.
Eppure, in passato, questo lamento è stato messo in stretta relazione
con la triste situazione politica di Poseidonia, che i suoi abitanti com-
piangerebbero, in una sorta di rituale clandestino, ricordando l’antico
splendore della città73. Una prospettiva certamente riduttiva, tanto più

72
FRASCHETTI 1981, p. 111, vd. pure p. 100 e LALOY 1904, p. 14, citato qui a
nota 61.
73
MAGALDI 1948, p. 90, accosta il pianto dei Poseidoniati «sulla propria sor-
te» al «rito degli Ebrei di Gerusalemme, che si riuniscono il venerdì presso il muro
superstite dell’antico tempio di Salomone, conosciuto universalmente come il “Muro
del pianto”, per piangere e lamentare la loro miserabile sorte»; per GHINATTI 1975,
pp. 165-166, che interpreta la festa come «evasione dalla realtà del momento attua-
ta attraverso il rituale» e come «riscatto di un passato rivissuto nell’intimità del-
l’esperienza religiosa», il pianto dei Poseidoniati sarebbe da riferire alla «triste con-
dizione in cui si trovavano»; altrove, Ghinatti si era mostrato propenso a immagi-
nare «un fatto di folklore legato a qualche festa del luogo, probabilmente connessa
al culto dei morti o a culti ctonii», senza escludere la possibilità di connessioni con
rituali eroici, o di tipo agrario, legati al ciclo della vegetazione (GHINATTI 1974, p.
542); TORELLI 1988, p. 52, parla di una «triste cerimonia commemorativa», che a
suo dire avrebbe potuto svolgersi presso il santuario di Hera Argiva, circa 9 Km a
Festa, musica, identità culturale: il caso di Poseidonia 35

in un testo all’apparenza così disperatamente avaro, per noi, di indica-


zioni esplicite.
Aristosseno non dice infatti di che tipo di festa si trattasse, né
in onore di chi si celebrasse. Ma se, come è del tutto evidente, essa
non ha i caratteri delle celebrazioni occasionali (nascite, matrimoni,
funerali, vittorie militari, catastrofi etc.), e, nell’ottica di Aristosseno,
ha tutto il peso ideologico a cui si è appena fatto cenno, va inserita
nella tipologia delle feste cultuali a ricorrenza variabile, poste a fon-
damento del calendario (onoranze a divinità del pantheon, agli eroi
della città; cicli delle stagioni; celebrazione delle istituzioni civiche
etc.)74. Si tratta insomma, come erano tutte le feste greche del mede-
simo tipo, di un evento pubblico, di forte rilievo politico e di grande
richiamo popolare75.

8. Pianto rituale e culto del fondatore

Nel contesto rituale di una festa siffatta, la commemorazione


dell’identità greca, perduta o forse soltanto minacciata, non richiede
alcuna altra spiegazione. Resta da dire del pianto rituale, un particola-
re in apparenza alquanto enigmatico, e perciò dagli studiosi spesso
sottaciuto, quando non evidentemente banalizzato76, ma che in questo
contesto – come ho appena detto – doveva anch’esso avere una rile-
vante carica simbolica.
Non è il caso di passare in rassegna qui i contesti festivi nei quali
sono attestate in Grecia pratiche di pianto rituale77: si tratta comunque
di un elemento di indubbia connotazione funebre, come forse potrà
essere confermato da un altro dettaglio della descrizione aristossenica,
anch’esso finora del tutto trascurato. Aristosseno fa dire al suo perso-
naggio che i Poseidoniati si lamentavano pro;ς ajllhvlouς. La reciprocità
dell’azione fa venire in mente le numerose scene di lamentazione fune-
bre documentate nella letteratura greca, ampiamente discusse da Erne-

Nord della cinta muraria; per PUGLIESE CARRATELLI 1988, p. 30, si tratta qui della
«tristezza dei Posidoniati caduti in soggezione dei Lucani»; da altro punto di vista,
VISCONTI 1999, p. 145 parla comunque di «nostalgia per la grecità perduta».
74
Mi servo dei parametri di VALERI 1979, pp. 91-96.
75
CALAME 1992, pp. 32-35; non penserei qui a una riunione limitata a quei
gruppi ormai isolati di cittadini, «che guidavano la città negli anni dell’indipenden-
za» (così GHINATTI 1975, p. 542), anche se ciò potrebbe essere suggerito dall’ac-
costamento con gli ojlivgoi: ma in questo caso l’esiguità numerica dei partecipanti
al simposio è legata appunto all’evento che viene descritto.
76
Vd. qui, nota 73.
77
Il lavoro di riferimento è ALEXIOU 2002.
36 Sulla musica greca antica

sto de Martino78, e dalle quali emerge che la strutturazione fissa del


lamento funebre è responsoriale: il parente più prossimo del morto si
fa guida del pianto, e a lui risponde la lamentazione collettiva dei pre-
senti. D’altra parte, è notevole che nella descrizione del lamento ritua-
le siano qui impiegati due verbi che non sono perfettamente sinonimi:
ajpolofuvromai e ajpodakruvw. Si può pensare che si alluda a momenti
distinti e complementari dell’articolazione del rito, che riproducono
probabilmente quello che doveva essere stato, in origine, un rito fune-
bre reale: a una forma di lamento responsoriale più o meno codificato
o quanto meno disciplinato (ajpolofuravmenoi pro;ς ajllhvlouς), fa se-
guito il planctus spontaneo dei presenti (ajpodakruvsanteς). È questo un
modulo costante del rituale funerario, che contribuisce alla nascita di un
modulo letterario, ben presente nella letteratura trenodica, e rappresen-
ta, per così dire, la fase preletteraria del qrh'noς letterario79.
Non sappiamo se in occasione della festa dei Poseidoniati venisse
eseguito, secondo le antiche tradizioni (gli ajrcai'a novmima), un vero e
proprio qrh'noς preletterario, il cui testo venisse ancora tramandato
oralmente (gli ajrcai'a ojnovmata), ma questa mi sembrerebbe un’ipote-
si assai suggestiva, soprattutto in considerazione dell’uso rituale del-
l’antica lingua (§ 6). Sappiamo invece con sicurezza che il lamento fu-
nebre fa parte del rituale di numerosi culti eroici: che anzi esso costi-
tuisce la «forma caratteristica del culto eroico»; un altro tratto dell’evi-
dente connotazione funebre del culto eroico è «la sua frequente loca-
lizzazione presso una tomba», visto che «uno dei tratti salienti della
mitologia eroica è che gli eroi muoiono»80.
A questo punto, nulla vieta di pensare che il pianto rituale dei
Poseidoniati sia qui l’elemento che configura la loro festa greca come
un culto eroico81. Ci si potrà domandare in onore di chi, visto che anche
su questo Aristosseno tace. Ora, da un cospicuo numero di testimo-
nianze82 sappiamo dell’importanza politica che i culti eroici avevano
in Grecia; anzi, è noto che «i primi casi sicuri dell’eroizzazione di
personaggi umani (morti) riguardano prevalentemente gli oikistai, i capi

78
DE MARTINO 1975, pp. 132-135, 196-197.
79
Ho fatto mie le parole di PALMISCIANO 1996, pp. 30 e 44, al quale rimando
per fonti e bibliografia.
80
BRELICH 1958, rispettivamente, pp. 82 e 87.
81
Per la verità, un possibile collegamento di questo pianto rituale con culti
eroici aveva già cautamente e molto fugacemente affacciato, tra altre ipotesi, GHI-
NATTI 1974, p. 542, n. 60 (vd., qui nota 73).
82
Raccolte e discusse da BRELICH 1958, pp. 80-87; cf. pure p. 8; vd. poi il
fondamentale lavoro di MALKIN 1987 (in part., pp. 189-266).
Festa, musica, identità culturale: il caso di Poseidonia 37

guerrieri e i vincitori di agoni»83. E si può essere certi che anche del


culto in onore dell’ecista – un culto eroico a tutti gli effetti – facesse
parte il pianto rituale, anche se, in questo caso, le testimonianze espli-
cite non sono moltissime: particolarmente significativo mi sembra il
caso dei re spartani, venerati dai loro concittadini oujc wJς ajnqrwvpouς,
ajll’ wJς h{rwaς84: e della forma di questa venerazione faceva parte il
lamento rituale85; a Corinto, per onorare i re Bacchiadi, veniva obbli-
gata al lamento rituale anche una delegazione di Megaresi86; il lamento
rituale è attestato anche nel culto reso a Cizico, primo re dell’omoni-
ma città, ucciso giovane per errore dagli Argonauti87.
D’altra parte, la relativa penuria di testimonianze esplicite in tal
senso si può spiegare con l’assoluta ovvietà della deduzione: se è vero
che l’ecista è un eroe, il culto in suo onore è un culto eroico, che come
tale prevede il pianto rituale. E c’è inoltre da notare che, in genere, le
fonti sull’argomento tendono a riferire, alternativamente, l’una o l’al-
tra delle peculiarità del culto eroico rispetto al culto divino: a) quanto
al rito, il pianto, che ricorda la morte dell’eroe; b) quanto all’ecista,
l’atto sacrificale (ejnagismovς) in suo onore, che ricorda che il destina-
tario di esso è comunque un uomo88. Ora, come è stato mostrato da
più parti89, la stessa localizzazione nell’agorà della tomba dell’eroe, nei
cui pressi appunto si celebra il culto, stabilisce un potente nesso ideo-
logico tra la polis e l’attività fondatrice dell’oikistes90. E ciò, come è
ormai noto, vale tanto più nel caso di una colonia91.

83
BRELICH 1958, p. 315; Hdt. 6, 38 (Milziade il Vecchio); Pind. Pyth. 5, 93
(Batto di Cirene); Diod. 11, 66, 4 (Ierone di Siracusa); Thuc. 5, 11, 1; Paus. 3, 14,
1 (Agnone e Brasida); Hdt. 1, 168 (Timesia di Abdera); Plut. Tim. 39, 5; Diod. 16,
80, 1 (Timoleonte); SGDI 5215 (Antifemo di Gela); Paus. 3, 1, 8 (Theras Spartano,
colonizzatore dell’isola omonima)
84
Xen. Lac. 15, 9.
85
Hdt. 6, 58.
86
Schol. Pind. Nem. 7, 155b.
87
Apoll. Rh. I 1075 s.
88
Quanto alle testimonianze sui dettagli rituali del culto eroico (ejnagismovς
vs. qusiva, etc.), già BRELICH 1958, pp. 9-11, ne sottolinea il carattere ‘antiquario’,
e la tendenza a semplificare una realtà che deve essere stata meno schematica di
quanto si creda (così anche KEARNS 1989, pp. 2-4); vd. ora ANTONACCIO 1995, HÄGG
1999, EKROTH 2002.
89
A partire da PFISTER 1910-1912, pp. 445 ss., da integrare con MARTIN 1951,
p. 194-201 (raccolta di testimonianze, rispettivamente, alle pp. 279, 447-448, 195,
n. 2 e 200, n. 5); un quadro sintetico, con ulteriore bibliografia è in MALKIN 1987,
pp. 200-203.
90
Si ricordi Schol. Pind. Ol. 1, 149b: oiJ ga;r oijkistai; ejn mevsaiς tai'ς povlesin
ejqavptonto ejx e[qouς, con BRELICH 1958, pp. 130-141, in part. 131-132.
91
Vd. BRELICH 1958, pp. 8, 132, e l’ampia trattazione di MALKIN 1987, pp.
189-240.
38 Sulla musica greca antica

Sembrerebbe dunque lecito pensare che la festa greca dei Posei-


doniati così accuratamente descritta da Aristosseno fosse il culto eroi-
co che essi rendevano al loro fondatore: un culto che, in tempi di “im-
barbarimento”, ben si prestava alla celebrazione dell’originaria identi-
tà greca del corpo civico – e, si direbbe, alla sua enfatizzazione da parte
di un conservatore come Aristosseno. Questa interpretazione, in ef-
fetti, non è contraddetta da alcun dato in nostro possesso, e credo
invece che spieghi perché Aristosseno, tra i tanti altri elementi che
avrebbe potuto rivelarci, sceglie proprio la connotazione greca della
festa e la descrizione del suo rituale: due dettagli che sommati insieme
non avrebbero potuto dare adito a equivoci.
Per di più, a Poseidonia un culto eroico localizzato nell’agorà è
documentato, a partire almeno dalla fine del VI sec. a. C.92, dal cosid-
detto “sacello ipogeico” rinvenuto nel luglio del 1954 da Pellegrino
Claudio Sestieri, che ne diede prontamente notizia e lo interpretò come
sede di un culto catactonio in onore di una divinità femminile93. A
favore dell’interpretazione dell’edificio come heroon depongono inve-
ce, contestualizzati con i più recenti dati di scavo94, diversi particolari
del materiale di corredo rinvenuto al suo interno. Innanzi tutto, il miele
contenuto nelle sei hydriai e nelle due anfore di bronzo ritrovate lun-
go le pareti è un elemento che rimanda a contesti funerari eroici, come
documenta la tradizione omerica: nell’Iliade, durante i funerali di Pa-
troclo, Achille depone olio e miele sul rogo sul quale sta bruciando il
cadavere dell’amico (Il. 23, 170); nell’Odissea, ai funerali di Achille, la
salma viene cosparsa di miele e unguenti prima di essere deposta sul
rogo (Od. 24, 63-84). In questo senso andrebbe anche interpretata la
raffigurazione del trionfo di Eracle, l’eroe greco per eccellenza, su un
lato di un’anfora attica a figure nere databile al 510 a. C.95 Dello stes-

92
Vd. infra, con nota 95.
93
Vd. SESTIERI 1955, con accurata descrizione dei particolari dello scavo e degli
oggetti di corredo, e SESTIERI 1956; in origine, il sacello non doveva trovarsi al bor-
do di una strada, come invece si presenta oggi: è risultato infatti che la strada che
costeggia a ovest l’area dell’edificio fu tracciata in età imperiale (vd. E. GRECO, in
GRECO-THEODORESCU 1983, pp. 27-28 e D. THEODORESCU, in GRECO-THEODORESCU
1983, p. 64).
94
Eccellentemente esposti e commentati da Emanuele Greco e Dinu Theodo-
rescu dopo le loro campagne del 1977 e del 1980 (GRECO-THEODORESCU 1983, pp.
25-33, 74-79, 139-145): del loro lavoro sono ampiamente debitore per quanto dirò
qui; efficaci le sintesi di JANNELLI 1996 e di ROCCO 2000 (entrambe con bibliografia
precedente).
95
È appunto la datazione di quest’anfora a rendere possibile la fissazione di
un terminus post per la costruzione dell’edificio.
Festa, musica, identità culturale: il caso di Poseidonia 39

so segno sembra anche il gruppo di cinque spiedi di ferro avvolti in


un tessuto e sistemati al centro su una base in pietra, con evidente si-
gnificato di offerta sacrificale96. Significativa è poi anche la presenza di
un altare adiacente al lato est dell’edificio. Infine, l’alto tumulo a pian-
ta circolare che, come è stato possibile ricostruire sulla base di dati
acheologici97, conferiva al sito il suo carattere monumentale, è elemen-
to comune a diversi culti eroici98. A questo punto, è assai ragionevole
supporre la destinazione al culto dell’ecista di un heroon ubicato nel
mezzo dell’agorà di una città coloniale greca99.
Dalla ricerca archeologica sappiamo inoltre che in età successiva
alla deduzione della colonia latina il sito venne radicalmente risiste-
mato, anche se la sua sacralità fu in qualche modo preservata median-
te la costruzione di una recinzione muraria rettangolare ad hoc: il tu-
mulo venne infatti demolito, e il sacello completamente ricoperto e
nascosto alla vista100. È il segno evidente che i Romani, pur rispettan-
do il luogo, non poterono più consentire che vi si celebrasse il culto
politico più importante della città che avevano conquistato e che era
ormai in loro pieno potere: un culto che riproponeva e rifondava an-
nualmente proprio le origini greche di quella città. Se Aristosseno, come
pare ormai evidente, parla di questo culto, certamente non può riferir-
si all’età romana.

96
E. GRECO, in GRECO-THEODORESCU 1983, p. 78 (con bibliografia).
97
D. THEODORESCU, in GRECO-THEODORESCU 1983, pp. 31-33, in particolare
p. 33; il complesso monumentale doveva eccedere i limiti rappresentati dal peribo-
lo attualmente visibile, realizzato in epoca posteriore alla deduzione della colonia
latina: vd. E. GRECO, in GRECO THEODORESCU 1983, p. 26.
98
Emblematico è il caso della tomba di Batto a Cirene, per cui vd. STUCCHI
1965, pp. 61-65, 111-112, 115, 139-140; STUCCHI 1967, pp. 47-48.
99
In tal senso E. GRECO in GRECO-THEODORESCU 1983, pp. 77-79; sul nome
dell’ecista di Poseidonia, rimando a GRECO 1988, in particolare, pp. 485-486; sul
culto in suo onore, vd. ARDOVINO 1986, pp. 23-32, 133-143; l’interpretazione del
sito come sede di un culto catactonio in onore dei Tritopavtoreς, gli spiriti degli
antenati dell’intera comunità, di recente affacciata da RAUSCH 2000, che integra i
dati di scavo già noti con nuova documentazione epigrafica, non farebbe che
confermare la funzione fortemente politica dell’edificio: il culto eroico, che a me
pare comunque testimoniato con evidenza dall’analisi del frammento di Aristosseno
(peraltro non considerato da Rausch), rimarrebbe senza una probabile, ancorché
ipotetica localizzazione; ma in effetti, anche se, a quanto pare, il culto in onore dei
Tritopavtoreς prevedeva tra l’altro anche una celebrazione rituale di tipo eroico
(vd. RAUSCH 2000, p. 111), l’interpretazione del sito e quella del frammento, che a
me paiono strettamente complementari, possono essere tenute distinte.
100
E. GRECO, in GRECO-THEODORESCU 1983, p. 76.
40 Sulla musica greca antica

9. Un altro particolare del rito: l’invocazione del fondatore

Ma a questo punto vale la pena di tornare sul termine ojnovmata,


a proposito del quale ho parlato di uso rituale dell’antica lingua (§ 6).
Di che cosa si tratta, in realtà? A questo proposito, mi pare utile
richiamare qui un celebre frammento degli Aitia di Callimaco101, fonte
preziosa per lo studio dei rituali eroici in onore degli oikistai, e dal
quale apprendiamo che normalmente, nel corso della celebrazione, il
fondatore veniva invocato per nome (ajnavklhsiς)102. Il frammento è
dedicato alle città siciliane, e affronta il caso di Zancle, dove invece i
nomi dei due fondatori non venivano ricordati, e si recitava invece una
formula diversa. L’ai[tion fornito da Callimaco parla del litigio tra i
due fondatori, per cui Apollo avrebbe comandato di rivolgersi a loro
con la formula rituale che appunto si legge ai vv. 81-83 del frammen-
to. Particolarmente significativa, nel testo di Callimaco, è l’espressione
‘tecnica’ ojnomasti; kalei'n usata a proposito dell’invocazione (v. 79)103.
Da questo accostamento mi sembra di poter concludere che forse
anche in Aristosseno il termine ojnovmata può intendersi riferito ap-
punto ai nomi di culto, e se la mia interpretazione coglie nel segno, è
possibile recuperare da questo testo all’apparenza così reticente un ul-
teriore particolare del rito poseidoniate, la ajnavklhsiς dell’oikistes.

10. Un particolare del simposio: musica antica e musica nuova a con-


fronto

Ho parlato della ripresentazione rituale dell’antica lingua (§ 6),


probabilmente anche per mezzo dell’invocazione dell’ecista (§ 9), e degli
antichi costumi. Il verbo adoperato da Aristosseno per questa azione
celebrativa è ajnamimnhvskomai. E dato che, come si è visto (§§ 3 e 6),
l’accostamento tra la festa cittadina dei Poseidoniati e la riunione simpo-
siale degli ojlivgoi è così minuzioso che in entrambi i casi viene adoperato
il medesimo verbo, è chiaro che anche per gli ojlivgoi il ricordo della mu-
sica antica doveva avere il medesimo significato rituale che per i Posei-
doniati aveva il memoriale dell’antica lingua e degli antichi costumi. Ma
se nella festa cittadina il richiamo alla memoria assume i connotati prag-

101
Call. fr. 43, 1-83 Pfeiffer (=50, 1-83 Massimilla), con il commento di MAS-
SIMILLA 1996, pp. 320-353.
102
Vd. in particolare i vv. 54-55 e 78-83, con MALKIN 1987, pp. 197-200.
103
Vd. MASSIMILLA 1996, p. 351.
Festa, musica, identità culturale: il caso di Poseidonia 41

matico-celebrativi dell’esecuzione e della rappresentazione, ci si può do-


mandare come concretamente avvenisse, nel simposio degli ojlivgoi, il
ricordo della musica antica.
Anche questo non possiamo saperlo con certezza, perché il fram-
mento non ci informa esplicitamente sull’argomento, ma, proprio sulla
base dell’evidente minuziosità dell’accostamento tra le due situazioni
festive, credo di poter supporre che, in questo simposio letterario,
riflessioni e commenti sulla musica potessero prendere spunto da vere
e proprie esecuzioni musicali, magari proprio ad opera degli stessi
simposiasti: un teorico della musica come Aristosseno non avrà avuto
certo difficoltà a riferirne, e magari anche in modo tecnicamente
dettagliato.
Che nel simposio anche gli aspetti tecnici della musica non fosse-
ro tralasciati lo apprendiamo, tra l’altro, dal frammento 127 dello stes-
so Aristosseno, ascritto anch’esso da Wehrli ai Suvmmikta sumpotikav104,
e dal quale emerge con chiarezza che argomenti di discussione erano
anche le sumfwnivai (consonanze) e le metabolaiv (modulazioni). Del
resto, la presenza della musica nel simposio (anche letterario) è un fatto
troppo noto perché debba fornire qui documentazione in proposito:
sappiamo anzi che proprio il simposio, a differenza del teatro e delle
feste, fu certamente l’unico luogo dell’autentica sperimentazione di
ogni tipo di musica105. Ed è probabile, perciò, che nell’espressione
hJ pavndhmoς au{th mousikhv il dimostrativo possa intendersi riferito ap-
punto a un brano di musica nuova che era stato appena eseguito: e se
questo è vero, si dovrà pensare che in questo simposio avvenissero dei
confronti tra la musica antica e quella nuova. Sappiamo d’altronde che,
nell’opera in più libri intitolata Sugkrivseiς (scil. ojrchvsewn), Aristos-
seno mise a confronto, tra l’altro, danze spoudai'ai e danze fau'lai106.
E d’altra parte, nel dibattito culturale che si svolse circa un secolo prima
tra sostenitori della musica antica e sostenitori della musica nuova,
questa stessa modalità del confronto tra i diversi stili era già praticata
e diffusa. Lo testimonia in maniera eloquente un frammento di Eupo-
li107, nel quale, alla domanda se preferisca ascoltare th;n nu'n diavqesin
w/jdh'ς oppure to;n ajrcai'on trovpon, un personaggio risponde di voler
ascoltare entrambi i tipi di musica, per poter scegliere a ragion veduta.
Ora, mi pare del tutto naturale che Aristosseno, dando voce al
proprio conservatorismo in materia di musica, parlasse di “imbarbari-
104
Vd. WEHRLI 1967, pp. 40; 84-85.
105
ROSSI 1988c; ROSSI 2000, p. 62 e nota 14.
106
Fr. 109 Wehrli; su Aristosseno e la danza, vd. RISPOLI 2000.
107
Fr. 326 K.-A.
42 Sulla musica greca antica

mento” e “degenerazione” anche riferendosi alla prassi musicale con-


temporanea, nella quale però, come abbiamo visto (§ 5), le innovazio-
ni introdotte da musicisti della generazione precedente si erano ormai
consolidate, imponendosi ai gusti del pubblico.

11. Festa, simposio, musica, vita politica

È ora del tutto evidente che nel nostro testo il ricordo della musica
antica perpetuato dai simposiasti ha il medesimo significato rifondati-
vo del lamento festivo dei Poseidoniati: nella scala di valori di Ari-
stosseno, insomma, si tratta di atti celebrativi che rivestono entrambi
una funzione profondamente positiva. Ora bisognerà aggiungere che,
come in ogni festa greca, e come in ogni simposio, la musica era cer-
tamente presente anche nella festa greca dei Poseidoniati108. Ed è op-
portuno notare che, se per i personaggi del simposio descritto da
Aristosseno l’esecuzione di musica tradizionale era certamente il frut-
to di una libera scelta del gruppo, nel caso dei Poseidoniati essa era
richiesta dalla pubblicità e, certamente, dall’ufficialità dell’evento festi-
vo109. Da una festa così importante dovevano senz’altro essere escluse
tutte le arditezze della “nuova” musica, che ad Aristosseno saranno
certamente apparse come manifestazioni “degenerative” di un vero e
proprio “imbarbarimento”. Anzi, l’accostamento tra la commemora-
zione simposiale degli ojlivgoi e quella festiva dei Poseidoniati suggeri-
sce implicitamente che, assieme agli altri elementi della festa, anche il
tipo di musica che vi veniva eseguita dovesse essere un fattore essen-
ziale per la «ripresentazione» rituale delle antiche tradizioni e dell’iden-
tità culturale greca della città. Come i Poseidoniati commemoravano
ritualmente le proprie origini etniche e culturali accompagnando con
musica tradizionale il loro lamento festivo in onore del fondatore del-
la loro città, così anche questi ojlivgoi ricordavano la musica del tempo
passato rieseguendola e commentandola nel loro simposio.
Nell’epoca nella quale questa riunione è presumibilmente imma-
ginata (pieno IV sec. a. C.: § 2), il processo di trasformazione del sim-
posio da «luogo politico» a «spazio più genericamente civile» si è or-
mai già irreversibilmente avviato verso una «borghesizzazione»110, che

108
CALAME 1992, pp. 38-42 e CALAME 1996, pp. 472-476.
109
Come a ROSSI 1988c, p. 241, anche a me «riesce difficile pensare [...] che
nelle feste il codice musicale ufficialmente riconosciuto venisse violato».
110
Faccio mie le espressioni di ROSSI 1983, p. 50; sulla trasformazione del
simposio, ricco materiale in MURRAY 1990 e SLATER 1991.
Festa, musica, identità culturale: il caso di Poseidonia 43

porterà con sé, se non una perdita brusca, almeno un consistente e


progressivo ridimensionamento della forte connotazione politica che
esso aveva in età arcaica e tardo arcaica. Anche da questo punto di
vista, questo testo di Aristosseno è prezioso, perché descrive un sim-
posio connotato con evidenti tratti di antichità, come il numero esi-
guo dei partecipanti e la loro concezione politica della musica. E così,
mentre a Poseidonia un culto pubblico in onore dell’ecista, con la sua
musica tradizionale, tiene in vita le tradizioni greche di una città or-
mai multietnica, in un luogo, probabilmente Taranto (§ 2), dove ormai
in pubblico, nei teatri, si esegue soltanto musica nuova, degenerata e
barbarizzata, uno sparuto gruppo di laudatores temporis acti fa me-
moria della musica antica eseguendola durante un simposio che forse
non esiste solo nella finzione letteraria. Nell’accostamento delle due
situazioni è evidente il contrasto tra l’implicito tutti del corpo civico
poseidoniate, globalmente coinvolto nel rito (§ 7), e l’esplicito pochi
della riunione dei Tarantini. Un contrasto che rientra anch’esso nella
logica di un conservatore, che fa parlare uno dei suoi simposiasti più
o meno in questi termini: «Pensate, amici, c’è una città intera, ormai
del tutto imbarbarita, che pure continua a celebrare una festa in onore
del proprio fondatore per celebrare le proprie origini greche, mentre
noi, che ascoltiamo in teatro ormai solo musica degenerata, siamo ri-
masti in pochi a ricordare quella antica».
È evidente allora che per Aristosseno il caso di Poseidonia do-
veva essere un bell’esempio di quella integrazione organica tra mu-
sica e vita politica che era comune in Grecia fino a tutto il V e alla
prima metà del IV sec. a. C. Ma Aristosseno, che assiste ormai im-
potente al cambiamento della funzione politica della musica, nella sua
giovinezza aveva potuto registrare almeno un altro caso simile a quello
dei Poseidoniati. Sappiamo infatti che, verosimilmente intorno al 350
a. C., soggiornò a Mantinea in Arcadia111: e anche se le fonti non ci
dicono molto di più112, possiamo essere certi che la ragione principale
di questo soggiorno fu lo studio e l’approfondimento degli aspetti
etici e sociopolitici delle pratiche musicali e orchestiche di quella città
e di quella regione113.

111
Sud. a 3927 = Aristox. fr. 1 Wehrli; per la cronologia, accolgo l’ipotesi
ben argomentata di VISCONTI 1999, pp. 64-65.
112
Nel fr. 112 Wehrli, Aristosseno mostra apprezzamento per le danze di
Mantinea (vd. VISCONTI 1999, pp. 73-76), e alle istituzioni politiche di quella città
dedica due opere, Mantinevwn e[qh e Mantinevwn ejgkwvmion (fr. 45, I Wehrli).
113
Così VISCONTI 1999, p. 87 (vd. le pp. 64-99).
44 Sulla musica greca antica

Su di esse ci informa in dettaglio Polibio (IV 20-21)114. In Ar-


cadia, ancora nella seconda metà del III sec. a. C. ma verosimilmente
anche in epoca successiva115, si riconosce alla musica il suo formida-
bile potere psicagogico, e per questo essa viene posta al centro del
sistema educativo ed è presente in numerose pratiche comunitarie
(feste, agoni, simposi). I giovani Arcadi, fin dalla fanciullezza, parte-
cipano alle celebrazioni in onore degli eroi e degli dèi della propria
città (tou;ς ejpicwrivouς h{rwaς kai; qeouvς). La musica è dunque orga-
nicamente inserita nella vita politica, e anzi ne segna, per così dire,
i momenti fondativi. In un passo del De musica pseudoplutarcheo
(32, 1142E), che può senz’altro essere ricondotto alla dottrina ari-
stossenica116, si parla della drastica selezione, operata da Lacedemoni,
Mantineesi e Pelleni, delle musiche ritenute adatte alla formazione
morale dei giovani (e{na gavr tina trovpon h] pantelw'ς ojlivgouς ejk-
lexavmenoi, ou}ς w[/onto pro;ς th;n tw'n hjqw'n ejpanovrqwsin aJrmovttein,
tauvth/ th'/ mousikh'/ ejcrw'nto): un’impostazione evidentemente dirigi-
stica e conservatrice, che dovette incontrare i favori di Aristosseno117.
Ma mi pare notevole che i giovani di Mantinea studiassero an-
che la musica nuova, i novmoi di Filosseno e Timoteo (Polyb. IV 20,
9). Ora, come abbiamo visto (§ 5), il giudizio di Aristosseno su
questo tipo di musica era negativo, ma, evidentemente, ciò non impedì
che le innovazioni si imponessero fino a superare l’esame rigida-
mente selettivo delle musiche da proporre all’apprendimento dei
giovani, e a diventare dei modelli ‘da manuale’118, perfino in una
regione come l’Arcadia, che mostra un «alto livello di conservazione
delle tradizioni»119. Quello che però rimaneva intatto e vitale del-
l’antica tradizione musicale arcadica, e che dovette impressionare
profondamente Aristosseno, era lo stretto legame tra prassi musica-
le, educazione e vita politica. In questo, la posizione certamente
conservatrice di Aristosseno, se pure appare più aperta alle novità,

114
La lunga digressione polibiana è analizzata da VISCONTI 1999, pp. 68-73,
vd. anche, qui, cap. II § 4, nota 66.
115
L’excursus sugli usi musicali vigenti in Arcadia è inserito in una sezione
relativa ad avvenimenti del III sec. a. C.: ma, visto che si tratta appunto di un excur-
sus, e che Polibio parla al presente, si può certamente pensare che gli usi musicali
degli Arcadi non fossero ancora mutati fino almeno al suo tempo (II sec. a.C.).
116
Vd. qui cap. II § 7.
117
Analogamente, Platone (leg. II 656d-657b) parla con ammirazione del di-
rigismo vigente in Egitto in materia di mousikhv: vd. CATONI 1997.
118
Efficacemente, HIGGINS-WINNIGTON-INGRAM 1965, p. 68, n. 49, parlano di
«normal process by which the revolutionaries of one generation become the clas-
sics of another»; vd. anche WEST 1992, pp. 371-372; 381-382.
119
BURELLI BERGESE 1995, p. 31.
Festa, musica, identità culturale: il caso di Poseidonia 45

rimane saldamente legata al tradizionale dirigismo di marca platoni-


ca: ciò che conta è che il contesto politico di riferimento possa garantire
il controllo sociale della prassi e della fruizione della musica. Anche
in questo Aristosseno è dunque prezioso, perché, da conservatore
moderato quale è, rappresenta l’evoluzione della tradizione aristo-
cratica nella critica alle innovazioni musicali: una critica che, in una
fase successiva a quella di Platone e Aristofane, dovette avere ber-
sagli almeno in parte diversi120.
Se tutto ciò è vero, a Mantinea come a Poseidonia non si trattava
soltanto del tipo di musica, antica o nuova, da eseguire, ma anche – e
forse soprattutto – dei luoghi, dei contesti e delle funzioni della musi-
ca. La musica teatrale di cui si parla nel nostro frammento – e che,
con grande probabilità si eseguiva a Taranto – è “imbarbarita” e “de-
generata” non soltanto perché è “nuova”, ma anche – e forse soprat-
tutto – perché non è più legata, come invece lo era a Poseidonia, alla
vita politica e alla memoria storica: e agli ojlivgoi non resta che ricor-
darne i fasti in una riunione conviviale privata.

12. Conclusioni
Le considerazioni fin qui svolte non sono senza conseguenze, a me
sembra, sul piano storico più generale. Nel periodo al quale il frammen-
to si riferisce, Poseidonia è ormai da più di una generazione in mano
lucana121. E, come è stato giustamente evidenziato, il fatto che proprio i
Lucani non vi siano citati esplicitamente come “barbarizzatori” rispon-
de anch’essso a una prospettiva ideologica122: il pitagorico Aristosseno
non poteva non tener conto dei profondi legami dei Lucani – e dei Lu-
cani di Poseidonia – col pitagorismo pre- e post-architeo123.
D’altra parte, se è vero che la conquista lucana di Poseidonia
produsse mutamenti sociali e culturali notevoli, evidenziati soprattut-
to dal fenomeno delle tombe dipinte124 e dalla nuova configurazione

120
Si ricordi che dal fr. 82 si evince con chiarezza che il suo scopo è comun-
que sempre quello di realizzare una costituzione conservatrice: vd. qui, cap. II § 6.
121
La conquista lucana di Poseidonia si data alla fine del V sec. a. C.: vd. qui
nota 69.
122
Così FRASCHETTI 1981, pp. 98-99, 100, 102, 107, 111; Asheri 1999, p. 30,
respinge, con buoni argomenti, l’ipotesi che con Turrhnoiv Aristosseno intendesse
riferirsi appunto ai Lucani.
123
Vd. MELE 1981, pp. 64 ss.; 1996a, p. 18 (fonti e bibliografia a p. 20, n. 27);
1996b, pp. 67-68; sul pitagorismo di Aristosseno, vd. qui nota 10.
124
Fondamentale, su questo aspetto, la sistemazione diacronica dei materiali,
l’analisi e l’interpretazione complessiva di PONTRANDOLFO-ROUVERET 1992 (con
ampia bibliografia precedente); vd. poi PONTRANDOLFO-ROUVERET 1996.
46 Sulla musica greca antica

del «paesaggio agrario»125, è vero anche che segni di continuità delle


tradizioni greche non mancano, e sono anzi evidentissimi: penso so-
prattutto alla vitalità dei luoghi e delle immagini di culto e degli spazi
pubblici, così come ci è documentata dall’indagine archeologica126.
In questo quadro si inserisce perfettamente, a mio avviso, la fe-
sta in onore dell’ecista descritta nel nostro frammento e mantenuta
in vita – evidentemente – da quegli stessi Lucani che Aristosseno de-
liberatamente non annovera tra i barbarizzatori della città. Per lui,
anzi, i Lucani rappresentano il corpo civico di Poseidonia, e non solo
non hanno obliterato le tradizioni culturali e religiose della povliς
greca, ma, continuando a celebrare la sua festa più greca, di quelle
tradizioni si sono fatti i più premurosi custodi. Li chiama perciò,
semplicemente, Poseidoniati, non senza ricordare che i Poseidoniati,
ejx ajrch'ς, erano Greci.
Nell’ottica di Aristosseno, che privilegia dunque i fattori di con-
tinuità con le tradizioni greche, i fattori di discontinuità sono rap-
presentati invece da Tirreni e Romani, e ho già detto che per un con-
servatore come lui già i soli contatti interculturali che la comunità
poseidoniate dovette intrattenere con altre comunità dovevano assu-
mere i tratti di un vero e proprio “imbarbarimento” (§ 6). E ancora
una volta è il caso di ribadire che nel pianto dei Poseidoniati non va
letto il rimpianto di Aristosseno per la loro grecità perduta127: il loro
lamento festivo è appunto un atto di continuità, quasi di annuale ri-
fondazione – anche attraverso la musica tradizionale – dell’identità
culturale e politica della città. Aristosseno lo guarda con favore, e anzi
cerca di riprodurne la funzione ripresentativa, e dunque rifondativa,
all’interno del simposio che fa da cornice alla sua opera, per mante-
nere la continuità con la musica antica, o soltanto per celebrarne i
valori, ormai tramontati e lontani dai gusti del grande pubblico.
Si direbbe che nella diacronia “lunga” di Poseidonia (povliς greca
– occupazione lucana) Aristosseno non scorga particolari cesure, fino
a chiamare tout court Poseidoniati gli abitanti lucani di una città ori-
ginariamente greca. Il vero discrimine lo scorge invece, per così dire,
nella diacronia “breve”: i Lucani ellenizzati di Poseidonia, pur ben

125
Vd. GRECO 1979 e 1988, ora richiamato da ASHERI 1999, p. 366.
126
Non è questa la sede per una disamina dei materiali: mi limito a rinviare ai
lavori di GRECO-THEODORESCU 1983, pp. 79-83; GRECO 1995; MELE 1996a, in part.
p. 18, 1996b; TOCCO SCIARELLI 1996; GRECO-DE LA GENIÈRE 1996; PONTRANDOLFO
1998; GRECO-THEODORESCU 1996, tutti con bibliografia.
127
Cito qui per tutti MAZZARINO 1966, p. 98, per il quale «l’idea della barba-
rizzazione di Posidonia nella lingua e negli istituti suscita la tristezza di Aristoxe-
no» (corsivo mio).
Festa, musica, identità culturale: il caso di Poseidonia 47

consapevoli dell’originaria identità culturale della loro città, si sono


“imbarbariti” a contatto con i Tirreni e i Romani.
Ma anche in questo caso la documentazione archeologica forni-
sce ulteriori elementi, preziosi per comprendere a pieno il senso e la
portata di questa affermazione. L’analisi dell’ideologia funeraria, così
come emerge dalle pitture tombali lucane del secondo e del terzo ven-
ticinquennio del IV sec. a. C., evidenzia a Poseidonia la comparsa e il
progressivo affermarsi di gruppi oligarchici all’interno di una comuni-
tà che evolve verso modelli di convivenza romani e campani128. In
particolare, nel repertorio di motivi iconografici, un posto di straordi-
naria importanza è occupato dalla figura della donna. Si veda, per esem-
pio, il programma figurativo della tomba 47A di Andriuolo, «che sem-
bra il corrispettivo del costume di dedicare l’elogio funebre anche alle
donne. Del tutto inconsueto in ambito greco, tale costume è proprio
al mondo romano, e [...] sembra concretizzare in immagine il ruolo
fondamentale riservato alla donna nel mondo italico-tirrenico»129. L’im-
magine della società che emerge da queste pitture evidenzia «una netta
evoluzione in senso politico-statale [...] e una valorizzazione del ruolo
del magistrato e dell’anziano»130. Così linguaggio e valori che possia-
mo definire ‘italici’ si trovano, sempre ad Andrinolo, nella tomba 61A,
il cui programma figurativo tende a esaltare la genealogia familiare e a
sottolineare la specificità e la complementarità di ruoli che competono
alle diverse classi di età: «e immediato si pone il parallelo con quanto
le fonti letterarie tramandano sulla Roma del IV sec. a. C., dove ai se-
niores, detentori del consilium tocca l’attività politica mentre agli iu-
niores spettano le attività militari»131. Questi valori troveranno poi più
compiuta esaltazione nelle tombe di Spinazzo, quando, sul finire del
secolo, si affermeranno all’interno del corpo civico nuove élites aristo-
cratiche, per tanti aspetti già romanizzate132.
A questo punto, ci si può rendere conto che la tanto enfatizzata
incongruenza del nostro testo con la realtà storica non appare se non
un errore di prospettiva dei moderni: Aristosseno parla in realtà di un
processo storico che riguarda i Lucani ellenizzati di Poseidonia, i qua-

128
Vd. MELE 1996a, p. 18; 1996b, p. 70.
129
Vd. PONTRANDOLFO-ROUVERET 1992, p. 460 (corsivi miei); rimando comun-
que, per un’analisi complessiva, a tutto il cap. V (pp. 449-469).
130
MELE 1996b, p. 70; vd. anche PONTRANDOLFO-ROUVERET 1982 e 1992, pp.
464 ss. e PONTRANDOLFO 1996b, p. 290.
131
PONTRANDOLFO-ROUVERET 1992, p. 462.
132
Vd. PONTRANDOLFO-ROUVERET 1992, p. 467 e poi, più analiticamente, PON-
TRANDOLFO 1996b.
48 Sulla musica greca antica

li, pur continuando a mantenere in vita la festa in onore dell’ecista della


città greca della quale si sono impossessati – un fatto la cui portata è
da lui forse “ideologicamente” esagerata –, una volta entrati in contat-
to con altre comunità tirreniche e romane, non potevano non assor-
birne, progressivamente, valori e modelli di convivenza. Questo pro-
cesso è da lui interpretato facendo ricorso alla categoria del “barba-
ro”, un elemento ideologico tipicamente greco, una sorta di filtro pro-
spettico di cui l’esegeta delle fonti scritte non può non tener conto133,
ma che, a ben guardare, non nasconde né modifica la realtà storica.

133
Su questo aspetto in generale mi limito a citare i lavori recenti di NIPPEL
1996 (in part. pp. 165-183) e di ASHERI 1996 e 1997; con particolare riferimento al
caso di Poseidonia, vd. ASHERI 1999.
Tracce aristosseniche nel De musica pseudoplutarcheo 49

II

TRACCE ARISTOSSENICHE
NEL DE MUSICA PSEUDOPLUTARCHEO

1. Un’opera pseudepigrafa molto preziosa

Che il De musica non sia di Plutarco è convinzione oggi presso-


ché unanime degli studiosi, e penso che non sia il caso di fare qui lo
status quaestionis relativo alla sua autenticità1. Per quanto dirò nelle
pagine che seguono importa invece tener conto che la sua composi-
zione, assegnabile a un periodo fra l’inizio e la seconda metà del II
sec. d. C.2, non sarebbe cronologicamente lontana dall’attività cultura-
le di Plutarco, che visse all’incirca tra il 50 e il 120 d. C.3
L’opera è ricchissima di notizie su diversi aspetti della musica greca
e su tutto l’arco evolutivo della sua storia fino al IV sec. a. C., e in
particolare sulle sue fasi più antiche, il che ce la rende ancora più in-
teressante. Ma, come è stato da più parti riconosciuto, il suo inestima-
bile valore culturale non risiede tanto nella sua qualità letteraria o
nell’originalità dell’eleborazione dei contenuti4, quanto piuttosto nella
pluralità e nell’autorevolezza delle sue fonti.

1
Rimando per questo a WEISSENBERGER 1994 (1895), pp. 120-124; WEIL-
REINACH 1900, pp. XX-XXVII; ZIEGLER 1965, pp. 215-217; HARMON 2000; noto
soltanto che l’opuscolo, di cui manca ogni traccia nel cosiddetto Catalogo di
Lampria, è presente soltanto nei codici planudei di Plutarco, il che indusse
Wilamowitz a ipotizzare che l’attribuzione a Plutarco del De musica risalisse
appunto a Massimo Planude (XIII sec.): vd. WILAMOWITZ-MOELLENDORFF 1921, pp.
76-77; per la tradizione manoscritta, vd. LASSERRE 1954, pp. 105-109; ZIEGLER 1960,
pp. 1107-1112; ZIEGLER 1966, pp. V-XI; EINARSON-DE LACY 1967, pp. 349-350; ho
tenuto presenti le edizioni di WEIL-REINACH 1900; LASSERRE 1954; ZIEGLER 1966;
EINARSON-DE LACY 1967; utilissima la traduzione inglese con note di BARKER 1984,
pp. 205-257; mi servo qui, liberamente, di quella italiana di PISANI-CITELLI 1990;
pressoché inutilizzabili i lavori di GAMBERINI 1979 e di BALLERIO 2000, sui quali si
vedano le pesantissime riserve, rispettivamente, di COMOTTI 1989 e di GOSTOLI 2001;
tranne diversa indicazione, riproduco sempre il testo di ZIEGLER 1966.
2
Così BARKER 1984, p. 205 e PISANI-CITELLI 1990, p. 303; LASSERRE 1954, p.
104 ipotizza, in verità, una data non anteriore al 170 e non posteriore al 300 d. C.
3
Vd. ZIEGLER 1965, pp. 11-27.
4
In questo senso, per esempio, BARKER 1984, p. 205: «The importance of the
treatise lies in its lack of originality».
50 Sulla musica greca antica

L’esordio del discorso di Lisia, uno dei tre dotti personaggi del
dialogo5, esemplifica bene queste caratteristiche. Accogliendo l’invito
dell’ospite Onesicrate a ricordare ai compagni «chi fu il primo a dedi-
carsi alla musica [...], quali innovazioni abbia apportato il tempo al suo
sviluppo e chi più si sia messo in luce tra quanti coltivarono la scienza
musicale; e infine in che misura e a che scopo sia utile praticarla», Li-
sia prende la parola dicendo: «Il tema da te proposto, caro Onesicrate,
è già stato oggetto dell’indagine di molti. La maggior parte dei filosofi
di scuola platonica e i più illustri esponenti di quella peripatetica han-
no dedicato i loro sforzi alla composizione di trattati sulla musica delle
origini e sulla degenerazione avvenuta ai loro tempi»6.
In realtà, oltre a Platone e Aristotele stessi, e a Eraclide Pontico
e Aristosseno, ai quali va fatta comunque risalire la gran parte del
materiale utilizzato7, vengono citati, come fonti di informazioni stori-
co-musicali, anche altri autori: Glauco di Reggio (inizi del IV sec. a.
C.)8, Anticlìde di Atene (fine IV/inizi III sec. a. C.)9, Dionisio Iambo
(III sec. a. C.)10, Istro di Cirene (III sec. a. C.)11, Alessandro Poliistore
(I sec. a. C.)12. A queste autorevoli fonti antiche si aggiungono le non
meno preziose notizie di dichiarata provenienza epigrafica13. Infine, tra

5
Si tratta di un dialogo che si immagina svolto nel corso di un simposio: vd.
qui, § 3.
6
Ps. Plut. De mus. 2, 1131E-3, 1131F (p. 2, 16-27 Ziegler).
7
Tutti i riferimenti in ZIEGLER 1966, p. 38; sulla presenza delle teorie metri-
che di Eraclide Pontico nel De musica, vd. GOSTOLI 1991
8
Ps. Plut. De mus. 4, 1132E, pp. 4, 26-5, 2 Ziegler; 7, 1133E-F, p. 7, 10-18
Ziegler; 10, 1134E-F, p. 9, 4-16 Ziegler (=FHG II 23 frr. 2-4); vd. HUXLEY 1968;
FORNARO 1998.
9
Ps. Plut. De mus. 14, 1136A, p. 12, 13-15 Ziegler (=FGrHist 334 F 52); vd.
MEISTER 1996.
10
Ps. Plut. De mus. 15, 1136C, p. 13, 9-13 Ziegler; Dionisio Iambo è anno-
verato tra i maestri di Aristofane di Bisanzio: vd. MONTANARI 1997a.
11
Ps. Plut. De mus. 14, 1136A, p. 12, 13-15 Ziegler (=FGrHist 140 F 14); vd.
MEISTER 1998.
12
Ps. Plut. De mus. 4, 1132E-F, p. 5, 3-8 Ziegler (=FGrHist 273 F 77); vd.
MONTANARI 1996.
13
Nel testo vengono ricordate, come fonte di informazione, due epigrafi, che
però non è facile identificare con sicurezza: vd., rispettivamente, Ps. Plut. De mus. 3,
1132F, p. 3, 5-7 Ziegler; 8, 1134B, p. 8, 6-8 Ziegler (=FGrHist 550 F 1; F 2: menzione
di una ajnagraϕhv di Sicione, che JACOBY 1955, pp. 476-477 interpreta come una cro-
naca delle feste pitiche di Sicione databile a non prima del IV sec. a. C.), e Ps. Plut.
De mus. 8, 1134A, p. 7, 21-23 Ziegler (menzione di un’epigrafe panatenaica, da rife-
rire probabilmente alla riforma degli agoni musicali attuata da Pericle attorno al 443
a.C.: vd. Plut. Per. 13, 11; Paus. 10, 7, 4-5); non sappiamo se l’ajnagevgraptai di 4,
1132E, p. 4, 24 Ziegler si riferisca alla medesima iscrizione di Sicione, come inclina a
credere Jacoby, ibid., o possa alludere a un’iscrizione delfica, come propone LASSER-
RE 1954, p. 155: per altre ipotesi, vd. GOSTOLI 1990, pp. 99-100.
Tracce aristosseniche nel De musica pseudoplutarcheo 51

altre numerose citazioni poetiche14, ci viene tramandato un lungo fram-


mento del poeta comico Ferecrate (V sec. a. C.)15: testo fondamentale
per comprendere quanto vivo e sentito fosse il dibattito culturale con-
temporaneo alle innovazioni introdotte nella prassi musicale dai diti-
rambografi tra V e IV sec. a. C.
Ma spesso, oltre ai casi in cui l’autore dichiara esplicitamente i
suoi debiti, appare ora più ora meno evidente la sua dipendenza da
fonti non dichiarate, sicché l’opera va letta in filigrana, tenendo in
debito conto questa sua caratteristica essenzialmente compilativa, di
volta in volta cercando, se possibile, di rintracciare e identificare l’ori-
gine di affermazioni e notizie: anche se, purtroppo, non possiamo es-
sere sempre certi dell’autenticità del materiale citato, né che le citazio-
ni siano sempre di prima mano.

2. Aristosseno fonte del De musica

Fin dalle indagini di Rudolf Westphal è noto che, tra le auctori-


tates dell’anonimo autore, Aristosseno è una delle più importanti, e
che in molti casi, anche quando il suo nome non è citato esplicitamen-
te, la presenza della sua dottrina musicologica, se non è certa, è alme-
no altamente probabile16. Ovviamente, questi casi non compaiono nel-
l’edizione dei frammenti curata da Fritz Wehrli, nella quale sono pre-
sentati soltanto quei testi che la tradizione, citando il nome di Ari-
stosseno e talora il titolo e/o il luogo della sua opera, sembra registra-
re i suoi ipsissima verba17. Cinquant’anni fa, il fondamentale lavoro di
François Lasserre ha contribuito a riconoscere ancora altro materiale

14
Per i riferimenti completi, vd. ancora ZIEGLER 1966, p. 38.
15
Pherecr. fr. 155 K.-A., citato testualmente a 30, 1141E-1142A, pp. 25, 9-26,
16 Ziegler; la bibliografia su questo testo è ricca di contributi: mi limito a citare
soltanto Restani 1983, che resta fondamentale, e il più recente, ampio commento di
CONTI BIZZARRO 1999, pp. 130-171 (con bibliografia precedente).
16
Il lavoro di Westphal, pur basato sulla sua edizione del De musica (WE-
STPHAL 1866), nella quale il testo tràdito era stato sottoposto a numerose e notevoli
trasposizioni, che rispondono a criteri per noi quasi sempre abbastanza discutibili,
rappresenta tuttavia ancor oggi un utile punto di partenza: vd. WESTPHAL 1883, pp.
469-483; 1893, pp. 96-107; lo studioso, che cerca di difendere l’autenticità del De
musica, esprime chiaramente la sua convinzione che in esso fosse confluito moltis-
simo materiale dei Suvmmikta sumpotikav di Aristosseno, ponendo tra l’altro in evi-
denza che l’ambientazione simposiale è comune alle due opere (WESTPHAL 1893,
pp. CCVII-CCXL: Zur Kritik der Aristoxenischen Tischgespräche); vd. pure ABERT
1899, p. 18, nota 10v; sull’opera simposiaca di Aristosseno vd. qui, cap. I § 1; sul
carattere convenzionale dell’ambientazione simposiale del De musica, vd. § 3.
17
Vd. WEHRLI 1967; nel De musica Aristosseno è esplicitamente citato soltanto
sei volte: sono i frr. 76 (31, 1142B, pp. 26, 19-27, 15 Ziegler), 80 (15, 1136C, p. 13, 5-
52 Sulla musica greca antica

aristossenico all’interno del De musica18, e l’origine aristossenica di


altre tre sue pericopi veniva cautamente ipotizzata qualche anno dopo
da William C. Helmbold e Edward N. O’Neil19. In sostanza, consi-
derando i passi riconosciuti come aristossenici da questi e da altri
autori20, risulta che la presenza di Aristosseno in quest’opuscolo oscilla
tra il 45,49% e il 49,64%21.
Della straordinaria mole della produzione di Aristosseno22, la
tradizione diretta ci ha restituito, più o meno integra, solo un’opera,
gli Elementa harmonica23, e un ampio frammento di un’altra, gli
Elementa rhythmica24. Sono trattati di carattere eminentemente tecnico,
e anzi gli Elementa harmonica, oltre ad aver esercitato un influsso

7 Ziegler), 81 (16, 1136D, p. 13, 14-20 Ziegler), 82 (17, 1136E, p. 14, 5-23 Ziegler), 83
(11, 1134F, pp. 9, 17-10, 20 Ziegler), 122 (43, 1146E-F, pp. 36, 24-37, 12 Ziegler); nel
commento, WEHRLI 1967, p. 73, si dichiara propenso ad assegnare ad Aristosseno an-
che il corrotto 1136D (ma non posso affrontare qui la questione); sui problemi rela-
tivi all’individuazione, alla delimitazione del testo e all’ecdotica dei frammenti filo-
sofici rimando a BURKERT-GEMELLI MARCIANO-MATELLI-ORELLI 1998.
18
Vd. LASSERRE 1954.
19
HELMBOLD-O’NEIL 1959, p. 12: “It is also possible that 1137A-1138C;
1140B-D; 1142B-1146B derive from Aristoxenus”: in particolare, l’ultimo passo è
una acquisizione aristossenica nuova e poco argomentata.
20
Ho consultato anche ABERT 1899; PRIVITERA 1965; BARKER 1984; GOSTOLI
1990; GOSTOLI 1991; WEST 1992; WALLACE 1995; VISCONTI 1999; VISCONTI 2000; PA-
GLIARA 2000; BRUSSICH 2000, i quali tutti, più o meno tacitamente, accolgono le in-
dicazioni dei lavori di WESTPHAL 1883-1893, LASSERRE 1954 e HELMBOLD-O’NEIL
1959 da me considerati.
21
Per il mio conteggio ho utilizzato come unità di misura dei dati ricavati da
WESTPHAL 1883-1893, LASSERRE 1954, HELMBOLD-O’NEIL 1959, la riga di testo del-
l’edizione teubneriana di ZIEGLER 1966, che ne contiene in tutto 1011; i frammenti
contenuti in WEHRLI 1967 che, come ho detto, raccoglie soltanto i testi esplicitamen-
te ascritti ad Aristosseno dalle fonti, assommano complessivamente a 101 righe-Zie-
gler, pari al 10,08% del totale; le righe-Ziegler da assegnare ad Aristosseno assom-
merebbero, secondo WESTPHAL 1883-1893 a 358, pari al 35,41% del totale; secondo
LASSERRE 1954 a 363, pari al 35,90%; secondo HELMBOLD-O’NEIL 1959 a 400, pari
al 39,56%; aggiungendo a queste percentuali quella del 10,08%, relativa alle righe-
Ziegler di WEHRLI 1967, si ottengono, rispettivamente: 45,49%, 45,98% e 49,64%.
22
Per la Suda, le opere di Aristosseno assommano a un totale di 453 libri:
Sud. a 134 Adler (=Aristox. fr. 1 Wehrli).
23
L’edizione corrente (con traduzione italiana e note) è quella di DA RIOS
1954; utilissima la traduzione inglese con note di BARKER 1989a, pp. 119-184; im-
portante lo studio di BRANCACCI 1984; la monografia di riferimento è quella di
BÉLIS 1986; si veda poi BARKER 1991a; MATHIESEN 1999, pp. 294-344; su Aristosse-
no in generale si veda ora VISCONTI 1999.
24
Si tratta del cosiddetto Fragmentum Morellianum: su di esso e su tutto il
materiale superstite pertinente agli Elementa rhythmica, vd. PEARSON 1990. Alla tra-
dizione degli «Aristoxenica di scuola» (così ROSSI 1988a) appartengono inoltre due
frammenti papiracei (POxy 9+2687 e POxy 667), sui quali vd., rispettivamente, ROSSI
1988b e GENTILI-LOMIENTO 1995; MERIANI 1988.
Tracce aristosseniche nel De musica pseudoplutarcheo 53

determinante su tutta la manualistica musicale successiva, costituiscono


per noi un vero prototipo, essendo la più antica opera del genere a
essersi conservata. Sappiamo invece che Aristosseno aveva affrontato,
in una ricca collezione di monografie, gli argomenti musicali più diversi:
dalla teoria musicale25 all’organologia e agli esecutori26, alle funzioni
della musica e della danza nell’educazione e nel teatro27, agli influssi
della musica sull’anima28. A questa fitta serie di opere si affiancano le
osservazioni di carattere musicale presenti nei Suvmmikta sumpotikav29,
negli ÔUpomnhv m ata e in altre opere non meglio identificate30. È
presumibile poi che osservazioni di carattere musicale fossero contenute
anche nel Peri; tragw/dopoiw'n, ma la tradizione non ce ne ha restituito
testimonianza31. Infine, tracce della dottrina musicale sua e della sua
scuola sono disseminate nelle opere di numerosi autori greci e latini32.
Come era arrivato ai tempi di Plutarco – e dell’anonimo compi-
latore del De musica – tutto questo materiale, e in quali forme se ne
poteva disporre? Il problema è certamente di quelli che non si risol-
vono in poche battute. Per di più, nelle opere plutarchee sicuramente
autentiche, la presenza di Aristosseno sembrerebbe molto meno per-
vasiva di quanto non appaia nel De musica: e direi anzi contenuta, ed
essenzialmente limitata alle sue opere di carattere biografico e storico-
filosofico, piuttosto che a quelle musicologiche33. Plutarco mostra in
genere una competenza musicale notevole34, e sarebbe attraente imma-

25
I titoli tramandati sono: Peri; mousikh'ς, Mousikh; ajkrovasiς, Praxida-
mavnteia, Peri; melopoii?vaς: frr. 69-93 Wehrli.
26
Vd. § 5, nota 82.
27
Questa la ripartizione dei titoli tramandati proposta da Wehrli: Paideu-
tikoi; novmoi, Politikoi; novmoi, Mantinevwn e[qh, Mantinevwn ejgkwvmion (frr. 42-46);
Peri; corw'n, Peri; tragikh'ς ojrchvsewς, Sugkrivseiς (frr. 103-112); sulla danza in
Aristosseno, vd. RISPOLI 2000; sul dirigismo aristossenico in campo musicale e sui
rapporti di Aristosseno con Mantinea, vd. VISCONTI 2000, e qui cap. I § 11 e infra,
§ 4.
28
Frr. 118-121 Wehrli.
29
Frr. 122-127 Wehrli: vd. qui, cap. I.
30
Frr. 128-139 Wehrli.
31
Frr. 113-116 Wehrli.
32
In attesa di una nuova edizione commentata di testimonianze e frammenti,
annunciata da Elisabetta Villari (vd. VILLARI 2000, p. 445), quella di Fritz Wehrli
(WEHRLI 1967) può utilmente essere integrata con i Testimonia raccolti da Rosetta
Da Rios (DA RIOS 1954, pp. 93-136) e con la corposa scheda elaborata da Eleonora
Rocconi (ROCCONI 2002).
33
Dei 14 passi aristossenici elencati nella lista di HELMBOLD-O’NEIL 1959, p.
12 (oltre ai sei tratti dal nostro De musica: vd. n. 17) soltanto due (Quaest. conv.
VII 704E; Non posse suav. 1095E) hanno a che vedere con la musica.
34
Poiché non mi pare questa la sede per un’esemplificazione dettagliata, mi
accontento di ricordare le ampie sezioni del De animae procreatione in Timaeo nelle
54 Sulla musica greca antica

ginare che potesse disporre di un’ampia porzione degli scritti musicali


del più autorevole musicologo dell’antichità35: ad Aristosseno gli anti-
chi attribuivano infatti concordemente l’appellativo oJ mousikovς, come
a dire “il musico per eccellenza”. Eppure, stando almeno alle nostre
conoscenze attuali, non sembra questo il campo nel quale Plutarco si
serve della sua indiscussa autorevolezza. Ma, in realtà, l’effettiva por-
tata dell’influsso aristossenico su Plutarco andrebbe forse misurata sulla
base di una nuova indagine, auspicabilmente non limitata alla pura e
semplice individuazione dei riferimenti citazionali.
In questo capitolo mi limito però a presentare soltanto alcuni ri-
sultati di una mia rilettura del De musica, seguendo soltanto alcune
delle tracce di vario tipo e consistenza lasciatevi, appunto, da Aristos-
seno. Mi sono chiesto se, in che misura e in che forma l’anonimo au-
tore potesse conoscere la sua dottrina musicologica ed eventualmente
anche i suoi scritti. Ripropormi questo ormai antico problema non mi
è parso privo di interesse, perché credo che per questa via sia possibi-
le gettare qualche luce su una fase molto delicata della storia del testo
e della dottrina musicologica di Aristosseno: e il De musica, conside-
rata la quantità del materiale aristossenico che, come cercherò di con-
fermare, vi è contenuto, costituisce sicuramente un osservatorio privi-
legiato per un’indagine di questo tipo.
Certo, una lettura integrale e continua del De musica non riesce
a eliminare l’impressione che gran parte del materiale aristossenico
utilizzato dal suo anonimo autore, come anche molto materiale di al-
tra pertinenza e provenienza, sia stato in qualche maniera rimaneggia-
to, da lui stesso o da una fonte intermedia, alla quale, forse più pedis-
sequamente, attingeva. A questo proposito, François Lasserre ha il
merito di aver formulato l’ipotesi, che personalmente sarei assai incli-

quali sono affrontati argomenti specificamente musicali (capp. 12-33, 1017E-1030C:


vd. FERRARI-BALDI 2002, pp. 162-211; 334-378), e altri due passi, nei quali Plutarco
usa con proprietà la terminologia tecnica anche in contesti differenti: in De virt.
mor. 6, 444E-445A si parla della mesovthς etica con efficace – perché tecnicamente
corretta – metafora musicale; in Quaest. conv. III 9, 657B-C i tecnicismi musicali
servono a meglio esemplificare il discorso relativo ai diversi modi di miscelare il
vino; una lista più completa, anche se non esauriente, di loci Plutarchi de musica è
in WEIL-REINACH 1900, pp. LIII-LXIX; non ho potuto vedere SMITS 1970; da un’in-
dagine condotta su tutto il corpus Plutarcheum, Luc van der Stockt ha ipotizzato
l’utilizzazione da parte di Plutarco di un corpusculum tematico di testi sulla musica,
da lui stesso allestito (vd. L. VAN DER STOCKT, A Plutarchan hypomnema on music,
in corso di stampa); per la terminologia musicale in Plutarco, vd. GARCÍA LÓPEZ
2000 e GARCÍA LÓPEZ 2003.
35
Un’indagine simile, condotta su Ateneo, è svolta da VILLARI 2000.
Tracce aristosseniche nel De musica pseudoplutarcheo 55

ne a ritenere fondata, che l’autore del De musica non leggesse il suo


Aristosseno direttamente, ma per la mediazione delle opere del suo
pressoché contemporaneo Dionigi di Alicarnasso il giovane, detto il
Musico36: il che ci permetterebbe di concludere che molto materiale
aristossenico era fatto oggetto di attenzione e di rielaborazione in età
adrianea (76-138 d. C.)37.
Peraltro, appunto in considerazione della molteplicità delle fonti
e del grado probabilmente alto della loro rielaborazione, non posso
nascondere la difficoltà di ascrivere con sicurezza alla penna di Ari-
stosseno anche quelle parti che contengono l’esplicita menzione del suo
nome. Meno difficile sarà invece, in questo percorso, risalire, attraver-
so un’analisi lessicale e contenutistica, ai capisaldi della sua dottrina,
anche quando il suo nome non viene esplicitamente citato: e visto che,
come dicevo (§ 1), l’epoca di composizione del De musica non è lon-
tana da quella di Plutarco, l’indagine potrà forse fornire qualche utile
dato anche in vista di un inquadramento degli orizzonti culturali che,
in materia di musica, si erano andati definendo in quel periodo o ap-
pena dopo.

3. Contenuti e struttura letteraria del De musica


Per chiarezza, ho disposto per temi alcuni dei passi che mi sono
parsi particolarmente significativi (§§ 4-7). Ma prima di affrontarne
l’analisi, non credo inutile uno sguardo sintetico alla struttura del-
l’operetta.
Un “io” narrante riferisce che il suo maestro Onesicrate, il se-
condo giorno dei Krovnia di un anno imprecisato, ha invitato a cena,
per l’occasione, due esperti di musica, Soterico di Alessandria e Li-
sia38, «uno di quelli che ricevevano da lui un sussidio per gli studi»

36
LASSERRE 1954, pp. 102-104.
37
Sappiamo che a quell’epoca risale la composizione dell’opera maggiore di
Dionigi il Musico, intitolata Mousikh; iJstoriva, in 36 libri, poi riassunta in 5 libri
da un certo Rufo forse un secolo più tardi, e confluita nelle ’Eklogaiv di Sopatro
(V sec. d. C.), a loro volta riassunte nel Codice 161 di Fozio (ca. 810-ca. 893 d.C.);
stando alla Suda (d 1171 Adler), Dionigi fu anche autore di un Tivna mousikw'ς
ei[rhtai ejn th/' Plavtwnoς Politeiva/ in 5 libri, di ÔRuqmika; uJpomnhvmata in 23 libri
e di una Mousikh; paideiva h] Diatribaiv in 22 libri: vd. N. COHN 1903; MONTANA-
RI 1997b.
38
Che Onesicrate sia il didavskaloς del narratore, lo si deduce da 1, 1131B
(p. 1, 1-5 Ziegler) e 43, 1146D (p. 36, 15 Ziegler); in Plut. Quaest. conv. V 5, 678C
è menzionato un medico e amico di Plutarco di nome Onesicrate, ma è improba-
bile che si tratti del medesimo personaggio che compare qui; anche Lisia e Soterico
sono altrimenti sconosciuti.
56 Sulla musica greca antica

(cap. 2). Non sappiamo dove di preciso l’incontro sia ambientato, ma


apprendiamo che, come desidera il facoltoso padrone di casa, si parle-
rà di musica: i due invitati prendono la parola sull’argomento una volta
ciascuno, e il racconto non fa che riportare, fin nei dettagli, i loro dotti
discorsi. Al termine del discorso di Soterico, il narratore ci ripresenta
Onesicrate, che, dopo aver detto brevemente dell’importanza della
musica nei simposi e nell’universo, intona il peana, offre le libagioni a
Crono, a tutti gli dèi suoi figli e alle Muse, e congeda i convitati.
Il carattere convenzionale dell’ambientazione simposiale e della
forma dialogica è del tutto evidente, sicché Burkard Weissenberger ha
perfettamente ragione quando afferma che «invece di un dialogo mo-
vimentato abbiamo due prolisse conferenze [...], declamazioni ampia-
mente imbellettate, parafrasi scialbe e sviluppate con grande erudizio-
ne»39. Procedendo nella lettura, non si può fare a meno di notare poi
che, nel corso degli interventi dei diversi convitati, ma senza immedia-
ti riferimenti alla situazione della cornice narrativa, ricorrono con fre-
quenza determinazioni temporali di contemporaneità: si tratta quasi
sempre di avverbi, come nu'n o thvmeron, ma si trovano anche espres-
sioni come oJ/oiJ/ta; nu'n, oiJ kaq’ hJma'ς, kata; tauvthn th;n hJlikivan, oiJ
kaϑ’hJma'ς crovnoi. A ben vedere, la contemporaneità è sempre riferita
alle forme e ai contesti esecutivi della musica tra la fine del V e il IV
sec. a. C., le cui caratteristiche vengono costantemente stigmatizzate
come sintomi di una deprecabile “degenerazione”40. L’evidente anacro-
nismo rispetto alla cornice narrativa si spiega soltanto supponendo, da
parte dell’autore del De musica, l’utilizzazione, diretta o mediata, di
fonti contemporanee alle realtà culturali descritte: in un caso è esplici-
tamente citato Aristosseno, ma è possibile risalire alla sua dottrina anche
in numerosi altri casi41.
Dal punto di vista formale, oltre alla cornice narrativa, articolata
in prologo (capp. 1-2 in.), conclusione (cap. 44 fine), e brevi interventi
narrativi di raccordo tra un discorso e l’altro, possiamo riconoscere

39
WEISSENBERGER 1994 (1895), pp. 122-123.
40
Su questo aspetto, vd. § 7 e qui, cap. I, in particolare §§ 5 e 11.
41
Ho contato 13 casi di indizi temporali “anacronistici”, e li elenco qui per
comodità del lettore (l’edizione di riferimento è sempre quella di Ziegler): 6, 1133B,
p. 6, 1; 7, 1133E, p. 7, 2; 11, 1135B, p. 10, 11; 12, 1135D, p. 11, 8; 15, 1136B, p. 12,
27; 20, 1137F, p. 16, 25; 20, 1137E, p. 16, 12; 21, 1138A, p. 17, 7; 21, 1138B, p. 17,
14; 21, 1138B, p. 17, 19; 26, 1140D, p. 22, 21; 29, 1141B, p. 24, 6; 38, 1145A, p. 33,
6; a 26, 1140C, p. 22, 16-17 l’espressione oiJ kaq’ hJma'ς potrebbe essere invece ri-
ferita anche alla realtà contemporanea alla cornice narrativa; probabilmente LAS-
SERRE 1954, pp. 103-104, esagera nel ritenere tutti gli anacronismi di questo tipo
come altrettante spie di derivazione aristossenica.
Tracce aristosseniche nel De musica pseudoplutarcheo 57

quattro parti di ampiezza estremamente disuguale, scandite dagli in-


terventi dei singoli personaggi: 1. Discorso di Onesicrate, che intro-
duce il tema e invita gli ospiti a prendere la parola (cap. 2); 2. Discor-
so di Lisia (capp. 3-13); 3. Discorso di Soterico (capp. 14-42); 4. Nuo-
vo discorso conclusivo di Onesicrate (capp. 43-44).
Considerando invece il contenuto, e lasciando da parte i primi
due capitoli, che introducono la cornice narrativa, se si segue il piano
tematico delineato da Onesicrate alla fine del cap. 2, dovrebbe essere
possibile rintracciare una differente quadripartizione, scandita stavolta
dagli argomenti affrontati: 1. inventori/innovatoriv; 2. invenzioni/
innovazioni; 3. scienza musiale; 4. educazione musicale. Onesicrate
aveva chiesto infatti ai suoi ospiti di occuparsi, nell’ordine, di: 1. tivς
prw'toς ejcrhvsato mousikh/'; 2. tiv eu|re pro;ς au[xhsin tauvthς oJ crovnoς;
3. tiv n e ς gegov n asin euj d ov k imoi tw' n th; n mousikh; n ej p isthv m hn
metaceirisamevnwn; 4. eijς povsa kai; eijς tivna crhvsimon to; ejpithvdeuma42.
In realtà, però, questa suddivisione «correspond plus au plan et à l’ordre
des sources utilisées par le Ps. Plutarque qu’à celui du dialogue, où
les matières sont inégalement réparties»43. E difatti, dopo un primo
blocco testuale tematicamente omogeneo, nel corso del quale Lisia e
Soterico si diffondono sui prw'toi euJrhtaiv – affiancando ai mitici
inventori della musica come Anfione e Olimpo i primi innovatori
di epoca storica, come per esempio Terpandro e Polimnesto, Taleta
e Sacada, Alcmane e Stesicoro (capp. 3-14) –, il tema delle
prosexeurhvseiς, le innovazioni, viene sviluppato da Soterico a due
riprese, alquanto distanziate fra loro (capp. 15-16; 28-30). Tra l’una e
l’altra, Soterico inserisce una lunga riflessione sulla mousikh; ejpisthvmh
(capp. 17-27), dedicando ampio spazio alle conoscenze musicali di
Platone e Aristotele (capp. 22-25). Infine, il tema della mousikh; paideiva
è affidato alla parte finale del discorso di Soterico e a quello conclusivo
di Onesicrate (capp. 31-44).
È notevole come Soterico abbia ampia voce in capitolo su tutti e
quattro gli argomenti affrontati: per esplicita ammissione di Lisia,
l’amico è esperto non solo peri; mousikhvn, ma anche peri; th;n a[llhn
ejgkuvklion paideivan, e questa sua competenza ad ampio raggio gli viene

42
Vd. Ps. Plut. De mus. 2, 1131E, p. 2, 16-20 Ziegler.
43
Così LASSERRE 1954, p. 153, nota 5, la cui analisi ho accolto qui (vd. anche
la sua p. 100): la mia sola modifica riguarda il cap. 31, che Lasserre inserisce nella
parte relativa alle innovazioni, e io considero invece come un’introduzione al tema
dell’educazione musicale (vd. § 4); con trascurabili differenze nella scansione, un
esame del contenuto sostanzialmente analogo a quello proposto qui è offerto da
PISANI-CITELLI 1990, pp. 301-302.
58 Sulla musica greca antica

riconosciuta apertamente anche da Onesicrate44. Il suo discorso risulta


dunque il più vario e articolato, e a tratti perfino irto di tecnicismi.

4. Educazione, teoria e pratica musicale

Nell’ultima parte del suo lungo intervento, dopo aver affrontato


per la seconda volta le innovazioni introdotte nella prassi musicale fin
dall’antichità, Soterico si sofferma diffusamente sull’educazione musi-
cale. Comincia con un esempio istruttivo, citando esplicitamente Ari-
stosseno (31, 1142B, pp. 26, 19-27, 15 Ziegler=Aristox. fr. 76 Wehr-
li)45. È un brano ricco di stimoli46, che introduce efficacemente il nuo-
vo tema e fa quasi da raccordo con la sezione precedente, chiusa dalla
citazione del celebre frammento di Ferecrate47:

o{ti de; para; ta;ς ajgwga;ς kai; ta;ς maqhvseiς diovrqwsiς h] diastrofh;
givnetai, dh'lon ’Aristovxenoς ejpoivhse. tw'n ga;r kata; th;n auJtou'
hJlikivan fhsi; Telesiva/ tw'/ Qhbaivw/ sumbh'nai nevw/ me;n o[nti trafh'nai
ejn th'/ kallivsth/ mousikh'/ kai; maqei'n a[lla te tw'n eujdokimouvntwn
kai; dh; kai; ta; Pindavrou, tav te Dionusivou tou' Qhbaivou kai; ta;
Lavmprou kai; ta; Prativnou kai; tw'n loipw'n, o{soi tw'n lurikw'n
a[ndreς ejgevnonto poihtai; kroumavtwn ajgaqoiv. kai; aujlh'sai de;
kalw'ς kai; peri; ta; loipa; mevrh th'ς sumpavshς paideivaς iJkanw'ς
diaponhqh'nai. parallavxanta de; th;n th'ς ajkmh'ς hJlikivan ou{tw
sfov d ra ej x apathqh' n ai uJ p o; th' ς skhnikh' ς te kai; poikiv l h ς
mousikh'ς, wJς katafronh'sai tw'n kalw'n ejkeivnwn, ejn oi|ς ajnetravfh,
ta; Filoxevnou de; kai; Timoqevou ejkmanqavnein, kai; touvtwn aujtw'n
ta; poikilwvtata kai; pleivsthn ejn auJtoi'ς e[conta kainotomivan.
oJrmhvsantav t’ ejpi; to; poiei'n mevlh kai; diapeirwvmenon ajmfotevrwn

44
Vd. Ps. Plut. De mus. 43, 1146D-1147A, pp. 36, 13-37, 12 Ziegler.
45
In WEHRLI 1967 il frammento è inserito tra le Musiktheoretische Schriften,
gli scritti di teoria musicale.
46
Qui, ovviamente, ne raccoglierò solo qualcuno: per un commento dettaglia-
to vd. VISCONTI 1999, pp. 140-144, 156-159; per il riferimento alla musica dei teatri
vd. § 7 e qui, cap. I § 5; non si può dire quanto attendibile sia la rappresentazione
aristossenica di Pindaro come custode della tradizione musicale antica e sana: dubbi
in proposito sono espressi da PRIVITERA 1977, p. 33, soprattutto in considerazione
dei pur pochi frammenti superstiti di produzione ditirambica (70a-86a Maehler:
in tutto, circa 50 versi leggibili), nei quali il poeta rivendica con orgoglio la supe-
riorità della propria poesia su quella precedente; su Pratina, e sul suo famosissimo
frammento PMG 708 = TrGF I 4 F 3, vd. CIPOLLA 1999 e NAPOLITANO 2000; gli altri
personaggi citati da Aristosseno sono, oltre al suo altrimenti sconosciuto contem-
poraneo Telesia di Tebe, due musicisti più celebri della generazione precedente: l’au-
leta Dionisio di Tebe, maestro di musica di Epaminonda e, probabilmente, padre del
più famoso Antigenida, e Lampro, contemporaneo di Damone: le testimonianze su
di loro sono attentamente esaminate da VISCONTI 1999, pp. 142-143.
47
Vd. § 1, nota 15.
Tracce aristosseniche nel De musica pseudoplutarcheo 59

tw'n trovpwn, tou' te Pindareivou kai; Filoxeneivou, mh; duvnasqai


katorqou'n ejn tw'/ Filoxeneivw/ gevnei. gegenh'sqai d’ aijtivan th;n ejk
paido;ς kallivsthn ajgwghvn.

Che la corretta conservazione o la degenerazione (scil. della musica)


dipendano dall’educazione e dall’istruzione lo ha chiarito Aristosse-
no. Dice infatti che uno dei suoi contemporanei, Telesia di Tebe, era
stato educato da giovane nella musica più nobile e aveva imparato le
composizioni di celebri maestri, tra cui Pindaro, Dionisio di Tebe,
Lampro, Pratina e tutti gli altri, quanti, fra i poeti lirici, furono va-
lenti autori di accompagnamenti strumentali alla melodia48; era pure
un esperto auleta e aveva degnamente coltivato anche tutte le altre
branche della cultura. Quando però ebbe passato il fiore dell’età, si
lasciò sedurre dalle modulazioni della musica teatrale al punto che
prese a disprezzare le nobili melodie in cui era stato educato e studiò
a fondo quelle di Filosseno e di Timoteo, e in particolare le più ela-
borate e innovative. Quando cominciò a dedicarsi alla composizione,
sperimentò entrambi gli stili, quello di Pindaro e quello di Filosseno,
ma in quest’ultimo la riuscita fu infelice, proprio per la nobilissima
educazione ricevuta fin da ragazzo.

L’importanza, in questo campo, di un’impostazione organica e


non casuale del curriculum studiorum si impone in tutta la sua evidenza
grazie all’esplicito nesso di causa ed effetto tra ajgwghv e mavqhsiς da un
lato e diovrqwsiς e diastofhv dall’altro, ed è bene tener presente questo
tratto connotativo dell’impostazione teorico-musicale di Aristosseno.
Vale anzi la pena di sottolineare il valore pregnante che diovrqwsiς e
diastofhv acquisiscono qui, in coppia antitetica, secondo l’analogo uso
che si riscontra nel lessico dell’etica per ojrqou'n e diastrevfein49: «l’uso
di questi due termini da parte di Aristosseno è testimonianza del suo
approccio al fatto musicale da un punto di vista non puramente tecnico,
bensì attento anche alle sue implicazioni etiche»50.
All’inizio del capitolo successivo (32, 1142C-D, p. 27, 16-25 Zieg-
ler), Soterico continua infatti prescrivendo che la pratica musicale non
48
Nella traduzione della frase o{soi tw'n lurikw'n a[ndreς ejgevnonto poihtai;
kroumavtwn ajgaqoiv ho accolto l’interpretazione del termine krou'ma proposta da
ROCCONI 2003, pp. 38-39 (con fonti e bibliografia); in realtà, interpretazioni più
generiche, come per esempio «poeti lirici che si distinsero in campo musicale» (PI-
SANI-CITELLI 1990, p. 349), «valenti autori di pezzi strumentali» (VISCONTI 1999, p.
140), «composers who produced good instrumental pieces» (BARKER 1984, p. 238),
non si possono forse escludere del tutto; EINARSON-DE LACY 1967, p. 425 («com-
posers for the cithara») e LASSERRE 1954, p. 145 («ceux qui pour leurs airs de lyre
se classent parmi les bons poètes») considerano il termine come strettamente affe-
rente alla sfera degli strumenti a corda.
49
Su questo vd. GRILLI 1963.
50
Così VISCONTI 1999, p. 141.
60 Sulla musica greca antica

venga fatta consistere soltanto nell’imitazione dello stile antico, ma si


avvalga anche dello studio delle altre discipline, tra le quali il ruolo di
guida spetta alla filosofia:

Eij ou\n tiς bouvletai mousikh'/ kalw'ς kai; kekrimevnwς crh'sqai, to;n
ajrcai'on ajpomimeivsqw trovpon, ajlla; mh;n kai; toi'ς a[lloiς aujth;n
maqhv m asin aj n aplhrouv t w, kai; filosofiv a n ej p isthsav t w
paidagwgovn: au{th ga;r iJkanh; kri'nai to; mousikh'/ prevpon mevtron
kai; to; crhvsimon. triw'n ga;r o[ntwn merw'n eijς a} dihv/rhtai th;n
kaqov l ou diaiv r esin hJ pa' s a mousikhv , diatov n ou, crwv m ato ς ,
aJrmonivaς, ejpisthvmona crh; ei\nai th'ς touvtoiς crwmevnhς poihvsewς
to;n mousikh'/ prosiovnta kai; th'ς eJrmhneivaς th'ς ta; pepoihmevna
paradidouvshς ejphvbolon.

Se dunque si vuol coltivare la musica tendendo alla bellezza e al


buon gusto, bisogna imitare lo stile antico, ma la musica va anche
completata con lo studio delle altre discipline culturali, collocando la
filosofia nel ruolo di guida: essa sola, infatti, sa valutare la misura
che si addice alla musica e apprezzarne l’utilità. E visto che sono tre
le parti nelle quali la musica, considerata nel suo insieme, si divide,
seguendo un criterio di carattere generale – ossia il diatonico, il cro-
matico e l’enarmonico51 –, ne consegue che chi si accosta alla musica
deve conoscere le forme di composizione nelle quali ciascuno di essi
viene impiegato, e avere familiarità con l’interpretazione dei pezzi
così composti.

Secondo Lasserre, questo passaggio sarebbe un’interferenza nel


piano concettuale appena delineato alla fine del capitolo precedente.
La subordinazione della musica alla filosofia sarebbe infatti motivo
peculiare di un modulo incipitario ricorrente nella trattatistica musi-
cale, così come in quella retorica, giacché lo si ritrova nel De musica
di Aristide Quintiliano e nel Commentario di Porfirio agli Harmonica
di Claudio Tolemeo così come nel De oratore di Cicerone e nell’Insti-
tutio oratoria di Quintiliano52. La sua collocazione in questo punto
rivelerebbe, da parte dell’anonimo compilatore, un cambiamento di
fonte tanto maldestro quanto interessante per lo studioso, perché por-
terebbe a identificarne, appunto, il probabile incipit. In questo caso,
l’opera utilizzata sarebbe la Mousikh; paideiva di Dionigi di Alicarnasso
il Musico53.

51
L’accezione qui richiesta dei termini crw'ma e aJrmoniva è, rispettivamente,
“genere cromatico” e “genere enarmonico”: il che, come si avrà modo di notare,
richiama evidentemente Aristosseno: vd. nota 63.
52
Aristid. Quint. De mus. p. 1 Winnington-Ingram; Porph. in Harm. p. 4
Düring; Cic. De orat. 1, 9; Quint. Inst. or. I pr. 10.
53
Sintetizzo così il ragionamento di LASSERRE 1954, pp. 174-175.
Tracce aristosseniche nel De musica pseudoplutarcheo 61

In realtà, dopo l’esempio di Telesia di Tebe, il tono si fa eviden-


temente prescrittivo-espositivo, ma il flusso dei pensieri appare del
tutto omogeneo e coerente54. E in verità, bisogna valutare che, nel
brano pseudoplutarcheo, il motivo della filosofiva paidagwgovς è ac-
costato al richiamo esplicito ad Aristosseno: sicché, più che i paralleli
esterni rievocati da Lasserre – e suggeriti peraltro da uno soltanto dei
due fattori contestualmente presenti –, a me sembra più pertinente
considerare come a connotarsi in senso squisitamente filosofico sia
proprio, nel suo complesso, l’intera speculazione musicologica di Ari-
stosseno e della sua scuola55. La cosa, peraltro, è puntualmente evi-
denziata anche dagli antichi: Cicerone parlava infatti dello stesso Ari-
stosseno come musicus idemque philosophus56, e, stando a Porfirio, gli
allievi di Aristosseno provarono l’importanza della filosofia nello stu-
dio della musica57.
E difatti – sottolinea qui l’anonimo autore del De musica – è
la filosofia che mette in grado di discernere il prevpon mevtron e il
crhvsimon della musica. Nella formulazione del primo fattore è stata
notata la presenza di due concetti senz’altro ascrivibili agli ambienti
della formazione filosofica di Aristosseno: il mevtron, che va ricon-
dotto al pitagorismo, e il prevpon, che in ultima analisi andrà fatto
risalire al Peripato58. Il secondo potrebbe ricondurre alla dottrina
dell’h\qoς musicale, di derivazione damoniana, ma presente anche in
ambito pitagorico, e ampiamente sviluppata da Platone e Aristotele59.
In questo contesto, l’importanza della filosofia traspare anche dalla
connessione stessa dei pensieri: l’ideale studioso di musica qui deli-
neato, anche per poter distinguere sul piano strettamente tecnico del
suo specifico disciplinare, deve disporre di uno strumentario teorico

54
Per VISCONTI 1999, p. 78, l’«assoluta continuità» fra i due brani è indice
che entrambi dipendono da Aristosseno.
55
Vd. per questo BÉLIS 1986.
56
Cic. Tusc. 1, 4= fr. 120a Wehrli.
57
Porph. in Harm. p. 4, 18-21 Düring.
58
L’osservazione è di VISCONTI 1999, p. 79, che, per quanto attiene al mevtron,
cita Aristox. fr. 35 Wehrli, e per il prevpon si richiama a Heracl. Pont. fr. 162 Wehr-
li, che, nell’applicare il concetto alla musica, deve aver importato nel Peripato un
motivo frequente già in Platone e, ancor prima, in Damone: vd. per questo GOTT-
SCHALK 1980, pp. 138-139; sulla formazione filosofica di Aristosseno, vd. VISCONTI
1999, pp. 11-63, e le indicazioni bibliografiche fornite qui, cap. I § 2, nota 10.
59
Sull’argomento, vd. le indicazioni date qui, cap. III § 6; la teoria dovette
essere sviluppata anche in ambito aristossenico: vd. Aristox. frr. 118-121 WEHRLI;
ABERT 1899, pp. 17-20; Cleonid. Harm. 13, p. 206, 3-18 Jan (si tratta di un com-
pendio di teoria musicale aristossenica certamente posteriore al I sec. a. C.): vd.
SOLOMON 1980 e SOLOMON 1981.
62 Sulla musica greca antica

che proviene interamente dai domìni della filosofia. Data infatti, in


musica, la possibilità di scegliere, di volta in volta, fra diverse pos-
sibilità compositive, la capacità di discernimento e di valutazione etico-
estetica resta comunque appannaggio di chi abbia conoscenza appro-
fondita della poivhsiς e familiarità con l’eJrmhneiva.
A questo punto, l’esemplificazione proposta insiste sull’idea
centrale della “divisione” (diaivrhsiς) della mousikhv in tre “parti”
(mevrh): a ciascuna di esse corrisponde uno di quelli che, nella teoria
musicale greca, furono considerati i tre gevnh secondo i quali ven-
nero classificate tutte le differenti possibili melodie60. Semplificando
al massimo, si tratta di tre differenti tipi di configurazione dei
tetracordi, strutture musicali formate da quattro suoni che comin-
ciarono ad acquisire centralità nella speculazione teorico-musicale
proprio a partire da Aristosseno. E fu proprio Aristosseno a intro-
durre, per designare appunto ciascuna di quelle configurazioni, il
termine stesso gevnoς, mutuandolo certamente dall’ambito teoretico
del Peripato61. In particolare, il suono più acuto e quello più grave
di un tetracordo formano sempre una consonanza di quarta, e la
loro intonazione rimane costante, indipendentemente dal gevnoς con-
siderato: le differenze tra i diversi gevnh riguardano invece l’into-
nazione dei due suoni intermedi, e dunque la successione degli
intervalli all’interno del tetracordo; sicché nel gevnoς diatonico avre-
mo, procedendo dal grave all’acuto, la successione semitono-tono-
tono; nel cromatico la successione semitono-semitono-tono e mez-
zo; nell’enarmonico la successione quarto di tono-quarto di tono-
due toni. Ma in realtà, nel brano che abbiamo sott’occhio, il termine
adoperato è mevroς, e non si può negare che, intendendolo nel senso
di “ambito disciplinare”, qualche incongruenza col seguito del testo,
peraltro unanimemente tramandato dai manoscritti, può certamente
sorgere. Ecco il motivo della drastica espunzione di diatovnou,
crwvmatoς, aJrmonivaς proposta da Rudolf Westphal, e dell’altrettan-
to drastico emendamento in aJrmonikh'ς rJuqmikh'ς metrikh'ς avan-
zato da Henry Weil e Théodore Reinach; anche l’emendamento di
merw'n in genw'n, certo più discretamente suggerito da Richard
Volkmann, sembra comunque dettato dall’intento di ristabilire co-

60
Una traccia di questa tripartizione la si ritrova anche nel PHibeh I 13,
manufatto del 275 ca. a. C., il cui testo è databile tra la fine del V e i primi decenni
del IV secolo a. C.: su questa testimonianza assai dibattuta vd. qui, cap. III § 6, fin.
(nota 39).
61
La questione è esaminata nel dettaglio da ROCCONI 1998, della quale accol-
go le conclusioni: vd. anche BÉLIS 1986, pp. 180-183.
Tracce aristosseniche nel De musica pseudoplutarcheo 63

erenza interna a un testo ritenuto guasto62. In realtà, l’incongruenza


è solo apparente, e gli interventi risultano perciò eccessivamente
“normalizzatori”: il linguaggio tecnicamente correttissimo di tutto
il contesto conferisce specificità tecnica anche al generico mevroς, che
viene dunque a indicare qui qualcosa di più del semplice risultato
della “divisione”, e qualcosa di diverso dal troppo specifico “ambito
disciplinare”.
Sempre sul piano terminologico, mi sembra utile notare che
aJrmoniva è qui adoperato nel senso, abituale in Aristosseno, di gevnoς
ejnarmovnion63. Ma forse, più che la terminologia, conta considerare la
piena operatività del criterio stesso di tripartizione in riferimento ai
diversi tipi di configurazione intervallare dei tetracordi: un criterio che
appare in perfetta coerenza con l’orizzonte teorico aristossenico, nel
quale si iscrivono a pieno titolo anche altri elementi della pagina che
abbiamo davanti. L’argomento, squisitamente tecnico, è un punto
cruciale della teoria musicale aristossenica, per cui viene affrontato
dettagliatamente in ampie sezioni degli Elementa harmonica64. Qui mi
pare utile richiamare l’inizio del fr. 83 Wehrli, citato anch’esso dal
nostro De musica (11, 1134F, p. 9, 17-20 Ziegler):

“Olumpoς dev, wJς ’Aristovxenovς fhsin uJpolambavnetai uJpo; tw'n


mousikw'n tou' ejnarmonivou gevnouς euJreth;ς gegenh'sqai: ta; ga;r pro;
ejkeivnou pavnta diavtona kai; crwmatika; h\n ktl.

Olimpo, stando ad Aristosseno, è ritenuto dai musicisti l’inventore


del genere enarmonico: prima di lui, infatti, esisteva solo musica dia-
tonica e cromatica.

Anche qui il seguito del frammento ha carattere squisitamente


storico-tecnico, e la sua provenienza da un’opera aristossenica di
carattere teorico, è molto probabile65. Per di più, procedendo nella
lettura del nostro De musica (32, 1142E, pp. 27, 25-28, 7 Ziegler), si
trovano, a breve distanza, due richiami lessicali all’inizio del fr. 76
Wehrli di Aristosseno qui citato in apertura di paragrafo: il medesimo

62
Gli interventi risalgono, naturalmente, a VOLKMANN 1856, WESTPHAL 1866,
WEIL-REINACH 1900: per chiarezza, riproduco qui l’apparato di ZIEGLER 1966, p.
27: «merw'] genw'n Volkm. || diatovnou - aJrmonivaς del. Westph. et W.-R., qui interpo-
lant aJrmonikh'ς rJuqmikh'ς metrikh'ς».
63
Vd., per esempio, Aristox. El. harm. II 44, 21 (p. 55, 8-9 Da Rios): triva
gevnh tw'n melw/doumevnwn ejstivn: diavtonon, crw'ma, aJrmoniva.
64
Per il reperimento dei passi è sufficiente il rimando alla voce gevnoς dell’In-
dex verborum in DA RIOS 1954, pp. 145-147.
65
In questo senso, è condivisibile la scelta di WEHRLI 1967, che inserisce il
frammento tra le Musiktheoretische Schriften.
64 Sulla musica greca antica

nesso tra ajgwghv e mavqhsiς, e il termine ejpanovrqwsiς, che richiama


diov r qwsi ς. Il brano è immediatamente successivo a quello sulla
filosofiva paidagwgovς: e il testo non muta il suo carattere eviden-
temente prescrittivo, ma il contenuto della prescrizione riguarda
l’osservazione e l’analisi (katanohtevon [...] ejnqumhtevon), in chiave
sottilmente polemica, della didattica musicale contemporanea:
prw'ton me;n ou\n katanohtevon o{ti pa'sa mavqhsiς tw'n peri; th;n
mousikh;n ejqismovς ejstin oujdevpw proseilhfw;ς to; tivnoς e{neka tw'n
didaskomevnwn e{kaston tw'/ manqavnonti maqhtevon ejstiv. meta; de;
tou't’ ejnqumhtevon o{ti pro;ς th;n toiauvthn ajgwghvn te kai; mavqhsin
oujdevpw prosavgetai trovpwn ejxarivqmhsiς: ajll’ oiJ me;n polloi; eijkh'/
manqavnousin o} a]n tw'/ didavskonti h] tw'/ manqavnonti ajrevsh/, oiJ de;
sunetoi; to; eij k h' / aj p odokimav z ousin, w{ s per Lakedaimov n ioi to;
palaio;n kai; Mantinei'ς kai; Pellhnei'ς: e{na gavr tina trovpon h]
pantelw'ς ojlivgouς ejklexavmenoi, ou}ς w[/onto pro;ς th;n tw'n hjqw'n
ejpanovrqwsin aJrmovttein, tauvth/ th'/ mousikh'/ ejcrw'nto.

In primo luogo si deve osservare che, in campo musicale, ogni ap-


prendimento consiste in un’abitudine, alla quale ancora non si accom-
pagna la considerazione attenta dei motivi per i quali lo studente deve
imparare ogni singolo argomento che gli viene insegnato. In seguito
bisogna considerare che, per acquisire tale educazione e istruzione,
non viene ancora stabilito con precisione il numero degli stili, men-
tre, al contrario, i più seguono nell’apprendere un ordine casuale,
legato ai gusti del maestro o dell’allievo. Chi ragiona bene rifiuta, in-
vece, ogni casualità, come fecero anticamente i cittadini di Sparta, di
Mantinea e di Pellene, che adottarono un solo stile o tutt’al più po-
chi, che ritenevano adatti a una giusta formazione morale, e questa
era l’unica musica da loro coltivata.

In sostanza, a un insegnamento musicale improntato a una pro-


grammazione soggettiva, estemporanea ed edonistica, se ne contrap-
pone un altro, basato su un’attenta selezione di stili e su un’appro-
priata valutazione filosofica dei percorsi e degli obiettivi formativi. Nel-
l’esplicito apprezzamento di Lacedemoni, Mantineesi e Pelleni, che
evidentemente hanno della musica un concetto sano e positivo, e l’han-
no inserita in un preciso progetto pedagogico, globale e coerente, non
mi pare casuale il riferimento agli abitanti di Mantinea: sappiamo che
il giovane Aristosseno vi soggiornò, certamente attratto dagli aspetti
etici e sociopolitici delle pratiche musicali e orchestiche di quella città
e di quella regione66.

66
Dei suoi studi sull’argomento è rimasta solo qualche traccia: vd. qui, cap.
I § 11, nota 112; VISCONTI 1999, p. 87, ma, più in generale, su Aristosseno e Man-
tinea, pp. 64-99 e VISCONTI 2000; la menzione, nell’ordine, di Mantineesi, Lacede-
Tracce aristosseniche nel De musica pseudoplutarcheo 65

Ma c’è un altro elemento, che fa avvicinare questo testo del De


musica alla dottrina di Aristosseno. Si tratta di un indizio di carattere
lessicale: lo si può individuare leggendo un passo di Ateneo (XIV 631e-
f), dove pure ricorrono temi e lessico che avremo modo di esaminare
più avanti (§ 7): le innovazioni nella musica si intrecciano qui con quelle
della prassi teatrale, sempre più alla ricerca del favore del pubblico, in
direzione di una totale spettacolarizzazione. Molti, fin dal secolo XIX,
ne hanno riconosciuto l’ascendenza aristossenica67:

to; de; palaio;n ejthrei'to peri; th;n mousikh;n to; kalo;n kai; pavnt’ ei\ce
kata; th;n tevcnhn to;n oijkei'on auJtoi'ς kovsmon. diovper h\san i[dioi
kaq’ eJkavsthn aJrmonivan aujloi; kai; eJkavstoiς aujlhtw'n uJph'rcon
aujloi; eJkavsth/ aJrmoniva/ provsforoi ejn toi'ς ajgw'si. Provnomoς d’ oJ
Qhbai'oς prw'toς hu[lhsen ajpo; tw'n aujtw'n aujlw'n ãpavsaςà ta;ς
aJrmonivaς: nu'n de; eijkh'/ kai; ajlovgwς a{ptontai th'ς mousikh'ς. kai;
pav l ai me; n to; para; toi' ς o[ c loi ς euj d okimei' n shmei' o n h\ n
kakotecnivaς: o{qen kai; ’Aswpovdwroς oJ Fliavsioς krotalizomevnou
potev tinoς tw'n aujlhtw'n diatrivbwn aujto;ς e[ti ejn tw'/ uJposkhnivw/ tiv
tou't’… ei\pen, dh'lon o{ti mevga kako;n gevgonen, wJς oujk a]n a[llwς ejn
toi'ς polloi'ς eujdokimhvsantoς. oi\da dev tinaς tou'q’ iJstorhvsantaς
wJς ’Antigeneivdou eijpovntoς. kaivtoi oiJ kaq’ hJma'ς ge tevloς poiou'ntai
th'ς tevcnhς th;n para; toi'ς qeavtroiς eujhmerivan. diovper ’Aristovxenoς
ejn toi'ς Summivktoiς Sumpotikoi'ς (sequitur fr. 124 Wehrli) ktl.

In antico, leggiamo in Ateneo, la musica veniva praticata


preservandone il kalovn, e ogni elemento manteneva l’ordine che gli
era proprio secondo i principi della tevcnh. Non era possibile, per
esempio, eseguire su un unico aujlovς tutte le harmoniai, ma per
ciascuna di esse esisteva un apposito aujlovς, e nelle competizioni ogni
auleta disponeva di tanti strumenti quante erano le harmoniai da
eseguire. In altri termini, non erano possibili, all’interno di una
composizione, le metabolaiv, modulazioni, passaggi, da una harmonia
a un’altra, così in voga nella musica nuova. A questo punto, la
menzione del grande auleta Pronomo di Tebe, che ha il sapore di una
nostra nota a pié di pagina, ci consente di datare un cambiamento

moni e Pelleni si trova in Philod. De mus. fr. 24, 2-4, p. 141 Rispoli: per l’ipotesi
che lo stoico Diogene di Babilonia (II sec. a. C.), che a sua volta utilizzava ampia-
mente scritti peripatetici, sia la fonte comune di Filodemo, dello Ps. Plutarco e del
dettagliato excursus sulle pratiche musicali arcadi di Polibio (IV 20-21), rimando a
RISPOLI 1969, pp. 141-142: per ABERT 1899, pp. 35-36 la concordanza tra parti del-
l’opera di Filodemo e parti di matrice aristossenica del De musica pseudoplutar-
cheo proverebbe la dipendenza anche di Filodemo dalle opere di Aristosseno.
67
«Si noti come il contesto sia aristossenico»: PAGLIARA 2000, p. 183, nota 59;
analiticamente, VISCONTI 1999, pp. 147-151, che cita anche la bibliografia preceden-
te, tra cui BAPP 1885.
66 Sulla musica greca antica

tecnico decisivo. Pronomo nacque intorno al 475 a.C. e fu maestro di


aujlovς di Alcibiade, come ci informa per altra via Duride68: fu lui a
escogitare strumenti sui quali fosse possibile eseguire tutte le harmoniai,
e che rendessero possibili le modulazioni. Ecco allora che «al giorno
d’oggi (oiJ kaq’ hJma'ς)» ci si avvicina alla musica «a casaccio (eijkh'/ kai;
ajlovgwς)». L’espressione e pressocché identica a quella che ricorre nel
brano pseudoplutarcheo appena letto; senza parlare, naturalmente, della
stretta somiglianza anche contenutistica: la pratica musicale non viene
più disciplinata da precise disposizioni (anche legislative): non esiste
più, per così dire, un curriculum studiorum ufficialmente – e direi
dirigisticamente – elaborato, e organicamente perseguito, come a Sparta,
come a Mantinea, come a Pellene69.
Ma ormai è cambiato anche l’atteggiamento dei musicisti nei
confronti del pubblico e del suo giudizio: in antico l’applauso era se-
gno di kakotecnivaς: Asopodoro, udendo l’applauso tributato a un
auleta, sostiene che la sua esecuzione non è stata altro che un mevga
kakovn. Una diversa tradizione assegna l’aneddoto ad Antigenida, e la
cosa ci consente di fare un’altra piccola notazione cronologica. Anti-
genida, tebano come Pronomo, fu l’auleta più famoso di quella cele-
bre scuola qualche generazione dopo di lui, se, come sappiamo, fu
auleta accompagnatore di Filosseno, noto esponente del “nuovo” diti-
rambo70. Se è presentato qui come portatore dei valori del buon tem-
po antico, vuol dire che la realtà alla quale si fa riferimento è alquanto
successiva alla prima ondata riformatrice della musica nuova.
Nel capitolo successivo del De musica (33, 1142E-1143D, pp.
28, 8-30, 8 Ziegler) anche il discorso di Soterico si fa eminentemente
tecnico, ed è proprio su questo terreno che il rapporto del nostro
testo con la teoria musicale di Aristosseno si mostra più stretto e più
evidente. Si parla qui della partizione, questa volta proprio in ambiti
disciplinari, di quella che, con termini squisitamente aristossenici, viene
definita prima aJrmonikh; ejpisthvmh e poi aJrmonikh; pragmateiva71. Essa

68
Vd. FGrHist 76 F 29; da altra fonte siamo informati che Alcibiade fu piutto-
sto restio all’apprendimento della tecnica di questo strumento: vd. Plut. Alc. 2, 5-7.
69
In termini analoghi Platone (leg. II 656d-657b) parla con ammirazione del
dirigismo vigente in Egitto in materia di mousikhv: vd. CATONI 1997, p. 1023: «La
conclusione sarà [...] che non debba essere lasciata libertà al poeta [...] di “insegna-
re ciò che vuole” ma che il contenuto (e la forma) dei suoi insegnamenti debba
essere sottoposto al vaglio di chi conosce il bene, cioè del filosofo».
70
Sud. a 2657Adler; vd. DINSE 1856; JAN 1894; WEST 1992, p. 367.
71
Vd. Ps. Plut. De mus. 33, 1142E-F, p. 28, 9-10 (aJrmonikh; ejpisthvmh); 18
(aJrmonikh; pragmateiva) Ziegler; per il termine in Aristosseno, vd., per es. Aristox.
El. harm. I 1, 15 (p. 5, 7 Da Rios): per gli altri riferimenti, sia nel nostro De mu-
Tracce aristosseniche nel De musica pseudoplutarcheo 67

si occupa, nell’ordine, di: 1. gevnh tou' hJrmosmevnou, 2. diasthvmata,


3. susthvmata, 4. fqovggoi, 5. tovnoi, 6. metabolai; susthmatikaiv72.
Ora, come era facile prevedere, i passi degli Elementa harmonica
che accennano alle parti della disciplina, sono più d’uno73, e mostrano
tutti palesi somiglianze con il passo del nostro De musica. Ma da quello
per così dire programmatico74, nel quale gli ambiti di ogni singola parte
vengono precisamente delimitati, l’elenco che emerge, tranne due
modifiche praticamente irrilevanti75, è sostanzialmente identico a quello
appena citato: 1. gevnh, 2. diasthvmata, 3. fqovggoi e dunavmeiς, 4.
susthvmata, 5. tovnoi, 6. metabolhv, 7. melopoii?a. Il fatto appare ancora
più significativo, se si considera che Aristosseno, in apertura del suo
trattato, aveva precisato i limiti dell’ aJrmonikh; pragmateiva76. Essa è la
prima e fondamentale parte della più complessiva e articolata peri;
mevlouς ejpisthvmh, si occupa di susthvmata e di tovnoi, e perciò stesso
(I 2, 1-7, p. 6, 1-5 Da Rios):

ta; d’ ajnwvteron o{sa qewrei'tai crwmevnhς h[dh th'ς poihtikh'ς toi'ς


te susthvmasi kai; toi'ς tovnoiς oujkevti tauvthς ejstivn, ajlla; th'ς
tauvthn te kai; ta;ς a[llaς periecouvshς ejpisthvmhς, di’ w|n pavnta
qewrei'tai ta; kata; mousikhvn. au{th d’ ejsti;n hJ tou' mousikou' e{xiς.

Tutti i problemi di un grado più elevato, che si presentano quando


l’arte adopera già le scale e i toni, non appartengono più all’armoni-
ca, ma alla scienza (più generale) che comprende l’armonica e le altre
scienze (particolari) concernenti la completa conoscenza della musi-
ca. Ed è il possesso di quest’ultima scienza che fa il musico (trad. Da
Rios).

Al principio del II libro, poche pagine prima della definizione


particolareggiata delle sue sette parti, il concetto riappare, più ampia-
mente sviluppato77:

sica, sia negli Elementa harmonica, rimando agli Indices verborum delle rispettive
edizioni (ZIEGLER 1966, pp. 39-48; DA RIOS 1954, pp. 139-186); come è ben noto,
il termine pragmateiva era già in Aristotele.
72
Ps. Plut. De mus. 33, 1142E-F, p. 28, 10-12 Ziegler.
73
Provo a elencarli: Aristox. El. harm. I 1, 23-2, 7 (pp. 5, 10-6, 5 Da Rios);
II 31, 17-32, 9 (pp. 40, 12-41, 12 Da Rios); II 35, 1-38, 27 (pp. 44, 10-48, 10 Da
Rios).
74
Aristox. El. harm. II 35, 1-38, 27 (pp. 44, 10-48, 10 Da Rios).
75
Si tratta dello scambio di posto di susthvmata e fqovggoi e dell’aggiunta,
nella lista di Aristosseno, della melopoii?a, come summa dei domìni coperti dalle
altre sottodiscipline, ma un accenno alla melopoii?a si legge poco più avanti anche
nel De musica, 33, 1143A, p. 28, 22 Ziegler: to; tou' pepoihmevnou mevloς h\qoς.
76
Aristox. El. harm. I 1, 11-2, 7 (pp. 5, 4-6, 5 Da Rios).
77
Aristox. El. harm. II 31, 17-32, 9 (pp. 40, 13-41, 12 Da Rios).
68 Sulla musica greca antica

oiJ me;n ga;r mevga ti uJpolambavnousin ei\nai to; mavqhma kai; e[sesqai
e[nioi de; ouj movnon mousikoi; ajkouvsanteς ta; aJrmonikav, ajlla; kai;
beltivouς to; h\qoς ª...º oiJ de; pavlin wJς oujde;n, ajlla; mikrovn ti ª...º.
oujdevteron de; touvtwn ajlhqevς ejstin, ou[te ga;r eujkatafrovnhtovn ejstiv
tini o}ς nou'n e[cei to; mavqhma ª...º, ou[te thlikou'ton w{st’ au[tarkeς
ei\nai pro;ς pavnta, kaqavper oi[ontaiv tineς. polla; ga;r dh; kai; e{tera
uJpavrcei ªh[º, kaqavper ajei; levgetai, tw'/ mousikw'/: mevroς gavr ejstin hJ
aJrmonikh; pragmateiva th'ς tou' mousikou' e{xewς, kaqavper h{ te
rJuqmikh; kai; hJ metrikh; kai; hJ ojrganikhv. lektevon ou\n peri; aujth'ς
te kai; tw'n merw'n.

Gli uni ritengono che l’armonica sia qualcosa di grande, alcuni, perfi-
no, che lo studio di essa non solo li renda musicisti, ma migliori il loro
carattere [...]; gli altri poi ritengono che l’armonica non abbia nessuna
importanza, ma che sia qualcosa di insignificante [...]. Nessuno di que-
sti due modi di vedere è nel vero: l’armonica né merita il disprezzo di
un uomo intelligente [...], né ha importanza così grande da bastare a
tutto, come pretendono alcuni, perché, come si è sempre insistito, per
essere musicista occorre acquistare molte altre conoscenze, oltre quel-
la dell’armonica, che è, come la ritmica, la metrica, l’organica, solo una
parte della scienza che costituisce il musico (trad. Da Rios).

A questo punto, tornando al De musica pseudoplutarcheo, si


consideri che Soterico, alla fine dell’elenco delle parti dell’aJrmonikh;
pragmateiva, esclude che essa possa occuparsi di altro: non le si può
richiedere di stabilire (33, 1142F-1143A, p. 28, 14-26 Ziegler)78

povteron oijkeivwς ei[lhfen oJ poihthvς, o{moion eijpei'n, ejn Musoi'ς to;n


ÔUpodwvrion tovnon ejpi; th;n ajrch;n h] to;n Mixoluvdiovn te kai; Dwvrion
ejpi; th;n e[kbasin h] to;n ÔUpofruvgiovn te kai; Fruvgion ejpi; to; mevson.
ouj ga; r diateiv n ei hJ aJ r monikh; pragmateiv a pro; ς ta; toiau' t a,
prosdei'tai de; pollw'n eJtevrwn: th;n ga;r th'ς oijkeiovthtoς duvnamin
ajgnoei'. ª...º fanero;n dh; o{ti eJtevra tou' susthvmatoς hJ fwnh; th'ς ejn
tw'/ susthvmati kataskeuasqeivshς melopoii?aς, peri; h|ς oujk e[sti
qewrh'sai th'ς aJrmonikh'ς pragmateivaς.

se il compositore abbia rispettato le regole scegliendo, per esempio,


nei Misii la tonalità ipodorica per l’inizio o quella missolidia e dorica
per il finale o quella ipofrigia e frigia per la parte centrale: la scienza
armonica, in effetti, non si occupa di tali questioni, ma necessita di
molte altre conoscenze, dato che ignora l’essenza della proprietà sti-
listica. [...] È evidente che il suono di una scala è diverso da quello di
una melodia composta in quella scala, e che non spetta alla scienza
armonica esprimere valutazioni su quest’ultima.

78
Riproduco qui il testo di EINARSON-DE LACY 1967, con l’emendamento di
Bergk (non quello di WEIL-REINACH 1900: vd. apparato di ZIEGLER 1966, p. 28), da
considerare sicuro, pace LASSERRE 1954, pp. 127, 146.
Tracce aristosseniche nel De musica pseudoplutarcheo 69

Il programma culturale di Aristosseno, come si vede, è anche


qui pienamente recepito. Si può perciò verosimilmente ipotizzare che
tutto il brano pseudoplutarcheo risalga in ultima analisi a dottrina
musicale aristossenica, sicché sarebbe possibile ampliare la pertinen-
za dell’esplicito riferimento ad Aristosseno anche oltre i confini
assegnati a esso da Wehrli. Pur tenendo in debito conto le costanti
lessicali, forse non si tratterà di ipsissima verba, ma se l’anonimo
autore del De musica ha usato, in quest’ambito di indagine, una fonte
diversa da Aristosseno – e probabilmente, secondo Lasserre, si sarà
servito dell’opera di Dionigi il Musico – questa fonte a sua volta si
serviva della dottrina di Aristosseno, se non addirittura del suo testo,
senza citarne il nome, ma senza riuscire a obliterarne del tutto la
presenza. Non si può certo dire se l’assenza del nome di Aristosseno
sia dovuta a scelta deliberata della fonte intermedia o al fatto che
l’autore del De musica ne ha utilizzato un passo che non lo conte-
neva; d’altra parte, non è affatto sicuro che, anche nei passi in cui
il nome di Aristosseno compare, l’anonimo abbia avuto conoscenza
diretta della sua opera79.

5. Organologia

La competenza e l’autorevolezza di Aristosseno dovettero essere


notevolissime anche sul fronte dell’organologia: non è difficile creder-
lo anche sulla base delle poche testimonianze in proposito. La sua
conoscenza profonda dei particolari costruttivi e della tecnica esecuti-
va dell’ aujlovς traspare da una pagina degli Elementa harmonica, nella
quale sono poste in chiara evidenza le difficoltà, per l’esecutore, di
ottenere un’intonazione corretta, e gli espedienti, non sempre efficaci,
per raggiungerla80. Sappiamo poi che ad Aristosseno risale la prima
classificazione sistematica a noi nota degli strumenti musicali del mondo
occidentale81, e dai numerosi titoli delle opere organologiche, delle quali
la tradizione non ci ha conservato che pochi frammenti, possiamo es-

79
Su questo problema, vd. LASSERRE 1954, pp. 102-105.
80
Vd. Aristox. El. harm. II 41, 25-43, 15, pp. 52, 4-54, 4 Da Rios: a rettifica
dell’inspiegabile affermazione di SCHLESINGER 1939, p. 61 («It is evident that Aristo-
xenus has no practical acquaintance either with the structure or with the technique
of the Aulos»), vd. le acute osservazioni di BÉLIS 1986, pp. 98-99; 105.
81
È probabile che in questo campo Aristosseno abbia sviluppato spunti già
presenti nell’ambito del Peripato: si veda, in tal senso, la menzione, in Ps. Arist.
De audibil. 804a, degli aujloi; tevleioi, spia evidente dell’esistenza di una sia pur
embrionale classificazione: vd. BÉLIS 1986, pp. 60-64.
70 Sulla musica greca antica

sere certi che esse trattavano anche problemi tecnici di costruzione82.


Più specificamente, il Peri; aujlw'n trhvsewς, in più libri, doveva affron-
tare il delicato problema della foratura degli aujloiv, che a partire dalla
metà del V sec. a. C. avevano cominciato a diventare strumenti note-
volmente complessi anche dal punto di vista costruttivo: dalla quanti-
tà, dalla larghezza e dalla dislocazione dei fori sulle canne dipendeva-
no le possibilità esecutive dello strumento. Naturalmente, per scrivere
un trattato sull’argomento non bastava essere un esperto di acustica
musicale, come pure Aristosseno certamente era: bisognava conoscere
i materiali adoperati per la costruzione degli strumenti, aver condotto
esperimenti continui sui manufatti, aver raggiunto una concreta cono-
scenza degli aspetti pratici dell’esecuzione e delle esigenze della musi-
ca contemporanea83. Tutto ciò, ovviamente, si accordava alla perfezio-
ne con la predilezione di Aristosseno per gli aspetti pratici della mu-
sica (è noto che, anche nell’analisi dei problemi teorici, privilegiava
l’ai[sqhsiς rispetto alla diavnoia).
Ora, nel nostro De musica, Soterico, all’interno della sezione ri-
guardante la mousikh; ejpisthvmh, fa il seguente accenno (21, 1138A, p.
17, 2-5 Ziegler):
Thlefavnhς oJ Megariko;ς ou{twς ejpolevmhse tai'ς suvrigxin, w{ste tou;ς
aujlopoiou;ς oujd’ ejpiqei'nai pwvpot’ ei[asen ejpi; tou;ς aujlouvς, ajlla;
kai; tou' Puqikou' ajgw'noς mavlista dia; tou't’ ajpevsth.

Telefane di Megara dichiarò guerra all’introduzione di un nuovo foro


nell’aulo, al punto che non permise mai ai fabbricanti di auli di ag-
giungerlo ai suoi strumenti, e fu soprattutto per questo che dovette
rinunciare ai giochi Pitici.

Questo Telefane, attivo nel IV sec. a. C., è ricordato da Demo-


stene nel discorso Contro Midia (XXI 17): da auleta ditirambico, ave-

82
I frammenti più strettamente organologici e quelli relativi agli esecutori sono
raggruppati da Wehrli sotto un’unica rubrica, che comprende: Peri; ojrgavnwn, Peri;
aujlw'n, Peri; aujlhtw'n, Peri; aujlw'n trhvsewς (sono i frr. 94-102 Wehrli): si veda
la discussione di WEHRLI 1967, pp. 78-80; nonostante la preferenza accordata da
Aristosseno agli strumenti a corda e a quelli a percussione (fr. 95 Wehrli), non sia-
mo informati di monografie a essi specificamente dedicati (ovviamente se ne dove-
va trattare nell’opera generale Peri; ojrgavnwn, a meno che il titolo non fosse Peri;
aujlw'n kai; ojrgavnwn, come lascerebbe intendere la testimonianza di Aristarco ap.
Athen. XIV 634d-e = fr. 100 Wehrli); anzi, la tradizione ci ha conservato i titoli e
i resti di ben tre opere dedicate al mondo degli strumenti a fiato, e in particolare
all’auletica; sulla classificazione aristossenica degli strumenti musicali, vd. ora DI
GIGLIO 2000, pp. 62-63; 69-73; 99-103 (lavoro però non sempre impeccabile).
83
Su questo è fondamentale NAJOCK 1996.
Tracce aristosseniche nel De musica pseudoplutarcheo 71

va mostrato competenza e abilità anche nel preparare e dirigere i cin-


quanta esecutori del coro. È chiaro che qui il termine suvrigx non può
alludere al cosiddetto “flauto di Pan”: il testo che abbiamo di fronte
non avrebbe senso. Si tratta invece di un foro, che veniva praticato
sull’aujlovς, probabilmente in prossimità dell’imboccatura, fuori dun-
que dalla portata delle dita dello strumentista, che poteva agire su di
esso, aprendolo o chiuendolo mediante un otturatore governato da un
meccanismo di leve: qualcosa di molto simile a quello che negli stru-
menti moderni prende il nome di chiave. Stando alle fonti, quando il
foro veniva aperto, abbassando la chiave, l’intonazione delle canne ve-
niva innalzata a un livello più acuto; quando il foro veniva chiuso,
l’intonazione dello strumento ritornava normale. Sulla natura del di-
spositivo l’ipotesi più probabile è che esso corrispondesse a ciò che
negli odierni strumenti a fiato prende il nome di “portavoce”: un pic-
colo foro vicino all’imboccatura che, quando è aperto, rinforza le fre-
quenze vibratorie più alte, consentendo una più facile emissione dei
suoni acuti84.
A quanto sappiamo, Aristosseno è l’unico autore dell’antichità
ad esibire una così nutrita serie di scritti organologici dedicati al
mondo dell’auletica, sicché avrebbe potuto trattare di questi argo-
menti sia nel Peri; aujlw'n, sia nel Peri; aujlhtw'n, sia, e forse più
probabilmente, nel Peri; aujlw'n trhvsewς. Del resto anche negli Ele-
menta harmonica troviamo un accenno a questo particolare costrut-
tivo dello strumento85.

6. Aristosseno contro Platone

Oltre che come teorico della musica, Aristosseno ci è noto per la


sua cospicua attività di biografo86. La sua produzione, in questo setto-
re, si segnala per la sua evidente faziosità. Nella Vita di Pitagora non
nasconde infatti la sua simpatia per il leggendario fondatore della dot-
trina nella quale si era svolta tutta la sua prima formazione filosofica
e musicale; e così anche nella Vita di Archita dà voce alla sua incondi-

84
Vd. Ps.-Arist. De audibil. 804a; Plut. Non posse suav. vivi sec. Epic. 1096b;
per i particolari costruttivi dell’aujlovς e per il significato di suvrigx, vd. HOWARD
1893; BARKER 1984, p. 226, nota 137; WEST 1992, pp. 81-109 (ma specialmente 101-
103); LANDELS 1999, pp. 24-46; BARKER 2002, passim, ma soprattutto, per suvrigx, pp.
67-70.
85
Vd. Aristox. El. harm. I 20, 32-21, 6, pp. 26, 8-27, 4 Da Rios.
86
Vd. Plut. Non posse suav. 10, 1093B (fr. 10a Wehrli); Suet. fr. 1 Reiffer-
scheid (fr. 10b Wehrli).
72 Sulla musica greca antica

zionata ammirazione per il suo illustre conterraneo. D’altra parte, la


sua verve polemicamente ostile nei confronti delle figure di Socrate e
Platone emerge con evidenza dai frammenti delle Vite a essi dedica-
te87. Stando a Diogene Laerzio, avrebbe addirittura asserito che quasi
tutta la Repubblica di Platone non sarebbe altro che una sorta di pla-
gio delle Antilogie di Protagora88. Nella pagina iniziale del II libro degli
Elementa harmonica, a proposito della necessità e dell’opportunità di
definire preliminarmente e con precisione gli oggetti della trattazione,
racconta di come lo stesso Aristotele, testimone a suo tempo della peri;
ta\gaqou' ajkrovasiς di Platone, riscontrò che la maggior parte dei suoi
condiscepoli, non avvertiti per tempo che l’oggetto della lezione pre-
vedeva anche discussioni di aritmetica, geometria e astronomia, dovet-
tero rimanere delusi, sicché si distraevano o addirittura disprezzavano
gli argomenti trattati. Ecco perché, invece, Aristotele, dava un’esposi-
zione preliminare del contenuto e del metodo della sua trattazione. Il
messaggio, ammantato di sottile ironia, è chiaro: non bisogna fare come
Platone89.
Un altro frammento di polemica antiplatonica, questa volta ex-
trabiografica, ci è restituito dal nostro De musica (17, 1136E-F, p. 14,
5-23 Ziegler = Aristox. fr. 82 Wehrli). Qui il pensiero di Aristosseno è
citato ancora da Soterico, questa volta in dissenso. Il passo è inserito
in una lunga disamina dei modi musicali in uso presso gli antichi:

Touvtwn dh; tw'n aJrmoniw'n th'ς me;n qrhnw/dikh'ς tinoς ou[shς, th'ς d’
ej k lelumev n h ς , eij k ov t wς oJ Plav t wn paraithsav m eno ς auj t a; ς th; n
Dwristi; wJς polemikoi'ς ajndravsi kai; swvfrosin aJrmovzousan ei{leto,
ouj ma; Di’ ajgnohvsaς, wJς ’Aristovxenovς fhsin ejn tw'/ deutevrw/ tw'n
Mousikw'n, o{ti kai; ejn ejkeivnaiς ti crhvsimon h\n pro;ς politeivan
fulakikhvn: pavnu ga;r prosevsce th'/ mousikh'/ ejpisthvmh/ Plavtwn,
ajkousth;ς genovmenoς Dravkontoς tou' ’Aqhnaivou kai; Megivllou tou'
’Akragantivnou. ajll’ ejpeiv, wJς proeivpomen, polu; to; semnovn ejstin
ejn th'/ Dwristiv, tauvthn proutivmhsen: oujk hjgnovei d’ o{ti polla; Dwvria
Parqev n eia ªa[ l laº ’ Alkma' n i kai; Pindav r w/ kai; Simwniv d h/ kai;
Bakculivdh/ pepoivhtai, ajlla; mh;n kai; o{ti prosovdia kai; paia'neς,
kai; mevntoi o{ti kai; tragikoi; oi\ktoiv pote ejpi; tou' Dwrivou trovpou

87
Vd., rispettivamente, frr. 11-41 Wehrli (Pitagora); 47-50 Wehrli (Archita);
51-60 Wehrli (Socrate); 61-68 Wehrli (Platone): commento in WEHRLI 1967, pp. 49-
62; 64-68; su Aristosseno biografo, vd. MOMIGLIANO 1974, pp. 77- 82; CAMASSA 1994,
p. 315; VISCONTI 1999, pp. 50-53.
88
Fr. 67 Wehrli ap. Diog. Laert. III 37.
89
Vd. Aristox. El. harm. II 30-31, pp. 39, 4-40, 11 Da Rios: vd. BÉLIS 1986,
pp. 98-100, che però non manca di indicare anche punti di contatto tra Aristosseno
e Platone sul piano strettamente musicale, e pp. 239-254.
Tracce aristosseniche nel De musica pseudoplutarcheo 73

ejmelw/dhvqhsan kaiv tina ejrwtikav. ejxhvrkei d’ aujtw'/ ta; eijς to;n “Arh
kai; ’Aqhna'n kai; ta; spondei'a: ejpirrw'sai ga;r tau'ta iJkana; ajndro;ς
swvfronoς yuchvn: kai; peri; tou' Ludivou d’ oujk hjgnovei kai; peri; th'ς
’Iavdoς: hjpivstato ga;r o{ti hJ tragw/diva tauvth/ th'/ melopoi?a
v / kevcrhtai.

Queste due harmoniai (scil. la lidia ejpaneimevnh e la missolidia) ave-


vano l’una carattere lamentoso, l’altra snervato, e fu per questo che
Platone le rigettò entrambe90, preferendo giustamente quella dorica
come adatta ai guerrieri e ai saggi e non – per Zeus! – perché igno-
rasse, come sostiene Aristosseno nel secondo libro del trattato Sulla
musica, che anche le prime due contenevano elementi per una costi-
tuzione conservatrice. Platone, che era stato allievo di Draconte di
Atene e Megillo di Agrigento, ebbe infatti notevole competenza nel
campo della scienza musicale, e la sua predilezione per l’harmonia
dorica derivò dal fatto che in essa, come abbiamo già detto, c’è una
grande nobiltà; non ignorava che nell’harmonia dorica erano stati
composti molti parteni, tra gli altri da Alcmane, Pindaro, Simonide e
Bacchilide, e così pure prosodi e peani, e sapeva bene che talvolta
anche lamentazioni tragiche e canti erotici erano stati modulati in
harmonia dorica, ma gli bastavano i nomoi di Ares e di Atena e gli
spondei, che riteneva in grado di fortificare l’anima di un saggio.
Come pure non era all’oscuro né dell’harmonia lidia né di quella
ionica, perché sapeva che la tragedia le aveva impiegate nelle parti
cantate.

Dal testo dell’anonimo autore del De musica ricaviamo innanzi


tutto, sia pur indirettamente, una prima importante informazione sul
conservatorismo moderato di Aristosseno in campo musicale: una
posizione di convinta difesa delle tradizioni, ma nel contempo di aper-
tura alle novità che si potessero adattare a una concezione comunque
dirigistica della produzione, dell’educazione e della fruizione musica-
le91. In particolare, il nesso che per Aristosseno lega la musica alla vita
politica emerge con chiarezza dall’affermazione che anche i modi mis-
solidio e lidio contengono elementi utili a una politeiva fulakikhv.
Ma è altrettanto evidente che qui l’intento principale dell’autore
del De musica è quello di difendere a spada tratta Platone, mostrando
infondata l’accusa di ignoranza rivoltagli da Aristosseno, e fornendo
invece elementi preziosi sulla sua grande competenza in campo musi-
cale. Non si comprende allora la ragione per la quale Fritz Wehrli stam-
pa tutto il testo del cap. 17 del De musica come frammento di Aristos-

90
L’autore si riferisce, evidentemente, a Plat. resp. III 399a ss., pagina sulla
quale rimando senz’altro a PAGLIARA 2000 e a TARTAGLINI 2001.
91
Su questo aspetto della sua speculazione teorica, vd. qui, cap. I §§ 5 e 11,
e, qui di seguito, § 7.
74 Sulla musica greca antica

seno, includendovi anche le notizie sulla formazione musicale di Pla-


tone e sui motivi delle sue propensioni estetiche, che sarebbero in palese
contraddizione con l’assunto antiplatonico di Aristosseno92; per di più,
il motivo della difesa di Platone dalla sua pretesa ignoranza in materia
musicale ritorna più avanti nel testo, questa volta senza la menzione
di Aristosseno93.
Ora, data la ben nota adesione di Plutarco alla filosofia platonica,
sembra del tutto naturale, per un autore che volesse passare per “plu-
tarcheo”, inserire nel suo testo una difesa di Platone. Certo, sulla base
di questi dati, non si può escludere del tutto che il passo appena letto
sia frutto della personale elaborazione dell’autore del De musica sulla
base della lettura diretta dei Mousikav di Aristosseno, anche se sembra
più probabile che egli si sia servito di una fonte intermedia, magari già
elaborata in senso antiaristossenico94.

7. Polemiche sulla nuova musica

Autentico Leitmotiv del De musica, introdotto fin dall’inizio da


Lisia e poi affrontato a più riprese anche da Soterico lungo tutto l’opu-
scolo, è la storia della musica greca, dalle sue origini mitiche, attraver-
so l’età arcaica e classica, fino alle “degenerazioni” intervenute a par-
tire dal tardo V sec. a. C.95: nei discorsi dei dotti convitati, ampio spa-
zio è dedicato alle innovazioni che ne segnano e scandiscono tutto l’ar-
co evolutivo, e investono i diversi aspetti della composizione ritmica e
melodica, dell’esecuzione e della fruizione musicale. Molte sono le

92
Vd. WEHRLI 1967, pp. 31 e 74; sul problema delle competenze musicali di
Platone, vd. PAGLIARA 2000, in part. pp. 203-206 (con bibliografia).
93
Ps. Plut. De mus. 22, 1138C-1139B, pp. 18, 1-19, 18 Ziegler: Dedeigmevnou
d’ o{ti oJ Plavtwn ou[t’ ajgnoiva/ ou[t’ ajpeiriva/ ta; a[lla parh/thvsato, ajll’ wJς ouj
prevponta ãth'/Ã toiauvth/ politeiva/, deivxomen eJxh'ς o{ti e[mpeiroς aJrmonivaς h\n ktl.:
del resto – dice altrove l’anonimo – non fu certo per ignoranza che anche gli antichi
adottarono poche aJrmoniai, limitando la quantità delle corde; la loro fu anzi una
scelta deliberata: oiJ palaioi; de; pavnteς, oujk ajpeivrwς e[conteς pasw'n tw'n aJrmoniw'n,
ejnivaiς ejcrhvsanto. ouj ga;r hJ a[gnoia th'ς toiauvthς stenocwrivaς kai; ojligocordivaς
aujtoi'ς aijtiva gegevnhtai, oujde; di’ a[gnoian oiJ peri; “Olumpon kai; Tevrpandron
kai; oiJ ajkolouqhvsanteς th'/ touvtwn proairevsei periei'lon th;n polucordivan te
kai; poikilivan (18, 1137A, p. 14, 24-29 Ziegler).
94
In questo senso, LASSERRE 1954, pp. 104; 164-165, che non esita a indicare
la fonte diretta di questo passo del De musica nel Tivna mousikw'ς ei[rhtai ejn th/'
Plavtwnoς Politeiva/ di Dionigi il Musico.
95
Ps. Plut. De mus. 3, 1131E-F, p. 2, 23-27 Ziegler: tw'n te ga;r Platwnikw'n
oiJ plei'stoi kai; tw'n ajpo; tou' Peripavtou filosovfwn oiJ a[ristoi periv te th'ς
ajrcaivaς mousikh'ς suntavxai ejspouvdasan kai; peri; th'ς aujth'/ gegenhmevnh ς
parafqora'ς.
Tracce aristosseniche nel De musica pseudoplutarcheo 75

osservazioni di carattere tecnico che devo omettere qui, né posso de-


scrivere in dettaglio tutte le modificazioni socio-culturali alle quali l’af-
fermarsi di questa nuova moda musicale si accompagnò96. Il fenomeno
condusse in sostanza a un profondo cambiamento dei modi di produ-
zione e dei contesti di fruizione della musica. Persino la grande edili-
zia pubblica risentì del mutato clima culturale: ricordo la storia esem-
plare dell’Odeion, fortemente voluto e realizzato da Pericle in Atene
per dare uno spazio coperto adeguato alle esecuzioni della nuova
musica pensata ormai per il grande pubblico97.
Su questo fronte, come abbiamo visto98, Aristosseno – che vive e
si forma, a distanza di più di una generazione dall’epoca di attività dei
“nuovi” musicisti, in un’area fortemente impregnata di tradizioni pita-
goriche – occupa una posizione che, rispetto a quella piuttosto estre-
mistica del Platone della Repubblica, pur rispecchiando fedelmente
un’impostazione sanamente dirigistica e conservatrice, risulta, per così
dire, temperata dal buon senso dell’approccio aristotelico, e certamente
più aperta alle novità introdotte nella prassi musicale dai musicisti del-
la metà del V e dei principi del IV secolo a. C.99 Ora, come ho detto100,
nel nostro opuscolo è particolarmente significativa la presenza di un
cospicuo numero di riferimenti alla «musica dei nostri tempi» e alla
«musica dei teatri»: si tratta sempre, come è stato da più parti mostra-
to, di allusioni, contenute evidentemente nella fonte, alla realtà musica-
le del IV secolo a. C.
L’argomento, come ho accennato (§ 3), viene affrontato sia dal
punto di vista dei prw'toi euJrhtaiv (capp. 3-14, discorsi di Lisia e So-
terico), sia da quello delle innovazioni introdotte, le prosexeurhvseiς
(capp. 15-16 e 28-30, discorso di Soterico). Alla base di tutto, però,
sta la convinzione, espressa da entrambi i convitati, che tra le innova-
zioni vadano distinte quelle accettabili, perché introdotte nel rispetto
del buon gusto e dei valori tradizionali di semplicità e di solennità, da
quelle che accettabili non sono, perché, appunto, violano quei para-

96
Rimando perciò a WEST 1992, pp. 356-372, e ai saggi contenuti in CAS-
SIO-M USTI-ROSSI 2000; l’argomento è toccato anche qui, cap. I §§ 4 e 5.
97
Vd. MUSTI 2000; MOSCONI 2000.
98
Vd. qui, cap. I §§ 5 e 11.
99
La nascita di Aristosseno può farsi risalire agli anni tra il 370 e il 365 a.
C.: vd. qui cap. I § 2, note 15 e 16; per il sul suo pitagorismo, vd. la bibliografia
indicata qui, cap. I § 2, nota 10; indicazioni sui caratteri del suo atteggiamento
notoriamente conservatore in campo musicale sono date qui, cap. I § 5; per la
posizione di Aristotele nei confronti della musica, vd. qui, cap. I § 5, nota 44.
100
Vd. quanto argomentato nel § 3 (con nota 41) a proposito degli indizi
temporali “anacronistici”.
76 Sulla musica greca antica

metri di valutazione etica ed estetica. È una contrapposizione netta,


che si impone sempre per precisione di dettato e di riferimenti crono-
logici. I toni usati per esempio da Lisia a proposito delle innovazioni
di Terpandro, di Polimnesto, di Taleta e di Sacada, di Alcmane e di
Stesicoro, sono inequivocabilmente positivi (12, 1135C, pp. 10, 21-11,
5 Ziegler = Terp. test. 35 Gostoli):

“Esti dev tiς kai; peri; tw'n rJuqmw'n lovgoς: gevnh gavr tina kai; ei[dh
rJ u qmw' n prosexeurev q h, aj l la; mh; n kai; melopoi? w ' n te kai;
rJuqmopoi?w'n. protevra me;n ga;r hJ Terpavndrou kainotomiva kalovn
tina trovpon eijς th;n mousikh;n eijshvgage: Poluvmnhstoς de; meta; to;n
Terpavndreion trovpon kainw'/ ejcrhvsato, kai; aujto;ς mevntoi ejcovmenoς
tou' kalou' tuvpou, wJsauvtwς de; kai; Qalhvtaς kai; Sakavdaς: kai; ga;r
ou|toi katav ge ta;ς rJuqmopoiivaς kainoiv, oujk ejkbaivnonteς mevnãtoiÃ
tou' kalou' tuvpou. e[sti de; ãkaivà tiς ’Alkmanikh; kainotomiva kai;
Sthsicovreioς, kai; au|tai oujk ajfestw'sai tou' kalou'.

Anche sui ritmi c’è qualcosa da dire, perché nel tempo si ebbero suc-
cessive invenzioni di generi e forme ritmiche, contestuali al rinnova-
mento della composizione melodica e ritmica. L’innovazione di Ter-
pandro fu la prima a introdurre nella musica uno stile nobile; a sua
volta Polimnesto, dopo quello di Terpandro, creò un nuovo stile, re-
stando comunque legato a una forma nobile. Lo stesso fecero anche
Taleta e Sacada: anch’essi furono degli innovatori nelle composizioni
ritmiche, senza allontanarsi però da una forma nobile. Pure Alcmane
e Stesicoro apportarono innovazioni, e anche queste non si discosta-
rono dallo stile nobile.

Immediatamente dopo, Lisia parla in questi termini, invece, delle


innovazioni, tra gli altri, di Cresso, Timoteo e Filosseno (12, 1135D,
p. 11, 5-10 Ziegler):

Krevxoς de; kai; Timovqeoς kai; Filovxenoς kai; oiJ kata; tauvthn th;n
hJlikivan gegonovteς poihtai; fortikwvteroi kai; filovkainoi gegovnasi,
to; filavnqrwpon kai; qematiko;n nu'n ojnomazovmenon diwvxanteς: th;n
ga; r oj l igocordiv a n te kai; th; n aJ p lov t hta kai; semnov t hta th' ς
mousikh'ς pantelw'ς ajrcai>kh;n ei\nai sumbevbhken

Cresso, Timoteo, Filosseno e i compositori di questo tempo furono


invece davvero volgari per la loro smania di novità, tesi com’erano
alla ricerca di quello che ora viene definito stile popolare e ad effet-
to: l’impiego di poche corde, la semplicità e la dignità erano, in effet-
ti, caratteri peculiari della musica antica.

La distinzione è chiaramente delineata in termini oppositivi,


sicché eviterò di soffermarmi sui particolari lessicali che la configu-
Tracce aristosseniche nel De musica pseudoplutarcheo 77

rano, come pure non discuterò altri esempi101. Mi sembra invece im-
portante ricordare che, qui come altrove, ci si riferisce a un contesto
culturale che si colloca cronologicamente tra la fine del V e la prima
metà del IV sec. a. C.: ed è possibile dimostrare che, con grandis-
sima probabilità, le informazioni su questo argomento provengono
da Aristosseno. Mi propongo di farlo attraverso la lettura di qual-
che altro brano.
Quello della contrapposizione della musica “degenerata” rispet-
to ai fasti della musica del passato è un tema caro ad Aristosseno:
lo ritroviamo, intrecciato con quello del favore del pubblico, che i
nuovi musicisti cercavano di ottenere nei teatri, nel fr. 70 Wehrli,
tramandato da Temistio (Or. XXXIII 1, 364B-C)102:

’Aristovxenoς oJ mousiko;ς qhlunomevnhn h[dh th;n mousikh;n ejpeira'to


ajnarrwnnuvnai, aujtovς te ajgapw'n ta; ajndrikwvtera tw'n kroumavtwn
kai; tou;ς maqhta;ς ejpikeleuvwn tou' malqakou' ajfemevnouς filergei'n
to; ajrrenwpo;n ejn toi'ς mevlesin. ejpeidh; ou\n tiς h[reto aujto;n tw'n
sunhvqwn: tiv d’ a[n moi gevnoito plevon uJperidovnti me;n th'ς nevaς kai;
ejpiterpou'ς ajoidh'ς, th;n de; palaia;n diaponhvsanti… a[/sh/, fhsiv,
spaniwvteron ejn toi'ς qeavtroiς, wJς oujc oi|ovn te o]n plhvqei te a{ma
ajresto;n ei\nai kai; ajrcai'on th;n ejpisthvmhn. ’Aristovxenoς me;n ou\n,
kai; tau'ta ejpithvdeusin metiw;n dhmotikhvn, par’ oujde;n ejpoiei'to
dhvmou kai; o[clou uJperoyivan, kai; eij mh; uJpavrcoi a{ma toi'ς te novmoiς
th'ς tevcnhς ejmmevnein kai; toi'ς polloi'ς a[/dein kecarismevna, th;n
tevcnhn ei{leto ajnti; th'ς filanqrwpivaς.

Aristosseno il musico cercava di rinvigorire la musica ormai effemi-


nata prediligendo egli stesso gli accompagnamenti strumentali dal
carattere più spiccatamente maschile103, ed esortando i suoi discepo-
li a evitare, nelle loro composizioni, lo stile sdolcinato e a ricercare
assiduamente quello virile. Quando dunque uno dei suoi allievi gli
chiese: “Che vantaggio me ne viene a disprezzare il modo di canta-
re moderno e dilettevole per dedicare le mie fatiche allo stile anti-
co?”, Aristosseno rispose: “Nei teatri canterai assai di rado, perché
non è possibile nello stesso tempo essere graditi alle folle e rimane-

101
Provo soltanto a elencarne qualcuno: Ps. Plut. De mus. 4, 1132D-E, p. 4,
18-22 Ziegler; 6, 1133B, pp. 5, 26-6, 3 Ziegler; 15, 1136B, pp. 12, 26-13, 1 Ziegler;
28, 1140E-1141B, pp. 23,7-24, 5 Ziegler; 29, 1141B-C, p. 24, 6-19 Ziegler; 30, 1141C-
1142A, pp. 24, 20-26, 18 Ziegler; su Cresso, vd. nota 109.
102
Il testo qui presentato è più ampio di quello offerto da Wehrli, con l’omis-
sione del brano da ’Aristovxenoς me;n ou\n ad ajnti; th'ς filanqrwpivaς, che pure
viene assegnato ad Aristosseno dalla fonte: il contesto della citazione e il testo di
Aristosseno sono attentamente analizzati da VISCONTI 1999, pp. 131-139; sull’argo-
mento, vd. qui, cap. I § 5.
103
Sul valore, qui, di krou'ma, vd. § 4, nota 48, e ROCCONI 2003, pp. 38-39.
78 Sulla musica greca antica

re fedeli al gusto antico nell’arte musicale”. Aristosseno dunque, anche


se praticava un’attività popolare, pure non si preoccupava affatto del
disprezzo della gente, e, se non gli era possibile restare fedele alle
leggi dell’arte e contemporaneamente eseguire canti graditi ai più,
preferì sempre l’arte piuttosto che soddisfare il gusto del pubblico
(traduzione, lievemente modificata, di Visconti 1999, pp. 131-132).

Come nel fr. 124 Wehrli, già studiato nel capitolo precedente,
anche qui il teatro è, per così dire, il luogo di perdizione della musica,
quello nel quale la ricerca del favore del pubblico è divenuta incon-
ciliabile con la fedeltà alle antiche leggi dell’arte. Aristosseno pre-
senta come ormai compiuto il processo di trasformazione della musica,
dicendo che essa era «ormai effeminata» (qhlunomevnh h[dh). Allo
stesso modo, anche nel fr. 124 tutto il processo storico, con le sue
manifestazioni etniche e culturali, è presentato come un fatto ormai
compiuto104. Nel già citato fr. 76 Wehrli il tema si intreccia con quello
dell’educazione105, ed è il caso di ribadire che ad accomunare questi
tre testi è la collocazione della musica nuova nei teatri106: un feno-
meno che andrà collocato nel pieno IV secolo, come si diceva.
Ora, uno stretto legame tra il fr. 70 Wehrli e il capitolo 12 del
nostro De musica, dal quale sono tratti i due passi appena letti del
disorso di Lisia, era stato già notato da Weil e Reinach, che insiste-
vano tra l’altro sulla parentela lessicale fra i due brani, rappresentata
dai termini filavnqrwpon e filanqrwpiva107. In realtà, come ha ben
argomentato Amedeo Visconti108, è possibile risalire all’ascendenza
aristossenica del capitolo 12 anche per un’altra strada.
Va notato innanzi tutto che la medesima distinzione oppositiva
tra innovazioni accettabili e non accettabili è metodicamente ripropo-
sta, anche con significativi richiami lessicali, nei capitoli 28-30, e ad
apparentare le due pericopi è anche la menzione, in entrambe, di
Cresso109, sicché è molto probabile che entrambe dipendano da una
medesima fonte. A far pensare ad Aristosseno è il riferimento, con-
tenuto nel cap. 29, a Olimpo (29, 1141B, p. 24, 9-11 Ziegler):

104
Vd. qui, cap. I § 6.
105
Vd. § 4.
106
In questo senso, vd. già WEHRLI 1967, p. 69.
107
Vd. WEIL-REINACH 1900, p. 53.
108
Vd. VISCONTI 1999, pp. 135-139, del quale sono ampiamente debitore per
quanto dirò qui.
109
Musicista a noi noto soltanto grazie al De musica pseudoplutarcheo e a
Philod. De mus. IV 5, pp. 49-50 Neubecker.
Tracce aristosseniche nel De musica pseudoplutarcheo 79

to;n “Olumpon ejkei'non, w|/ dh; th;n ajrch;n th'ς ÔEllhnikh'ς te kai;
nomikh'ς mouvshς ajpodidovasi, tov te th'ς aJrmonivaς gevnoς ejxeurei'n
fasi.

L’ascendenza aristossenica della tradizione qui recepita (fasi), è


rivelata innanzi tutto dal fatto che Olimpo è presentato come inven-
tore del genere enarmonico anche all’inizio capitolo 11, dove la deri-
vazione aristossenica è dichiarata esplicitamente (11, 1134F, p. 9, 17-
20 Ziegler = Aristox. fr. 83 Wehrli)110:

“Olumpoς dev, wJς ’Aristovxenovς fhsin, uJpolambavnetai uJpo; tw'n


mousikw'n tou' ejnarmonivou gevnouς euJreth;ς gegenh'sqai: ta; ga;r pro;
ejkeivnou pavnta diavtona kai; crwmatika; h\n ktl.

Ma nel capitolo 29 si dice anche che a Olimpo veniva accreditato,


oltre che l’invenzione del novmoς, l’inizio stesso della musica in Grecia: un
particolare che sembra quasi perfettamente sovrapponibile a quello rife-
rito alla fine del capitolo 11 (1135C, p. 10, 19-20 Ziegler), dove Olimpo
viene detto ajrchgo;ς [...] th'ς ÔEllhnikh'ς kai; kalh'ς mousikh'ς.
A questo punto, è possibile affermare che, molto verosimilmente,
entrambi i brani dipendano da Aristosseno.
Ora, tornando alle innovazioni dichiarate inaccettabili, credo che
possano essere riferiti alla medesima realtà culturale, e certamente alla
dottrina di Aristosseno, anche due altri passi del De musica, nei quali
la consonanza non solo concettuale, ma anche lessicale con quelli letti
finora ed esplicitamente ascritti dalle fonti ad Aristosseno appare estre-
mamente significativa. A proposito della prassi musicale degli antichi,
ancora una volta contrapposta a quella dei moderni, Soterico dà una
celebre spiegazione paretimologica dei termini qevatron e qewrei'n (27,
1140D-E, pp. 22, 27-23, 7 Ziegler)111:

’Epi; mevntoi tw'n e[ti ajrcaiotevrwn oujd’ eijdevnai fasi; tou;ς ”Ellhnaς
th;n qeatrikh;n mou'san, o{lhn d’ aujtoi'ς th;n ejpisthvmhn provς te qew'n
timh;n kai; th;n tw'n nevwn paivdeusin paralambavnesqai, mhde; to;
paravpan h[dh qeavtrou para; toi'ς ajndravsin ejkeivnoiς kateskeua<
smevnou, ajll’ e[ti th'ς mousikh'ς ejn toi'ς iJeroi'ς ajnastrefomevnhς,
ejn oi|ς timhvn te tou' qeivou dia; tauvthς ejpoiou'nto kai; tw'n ajgaqw'n
ajndrw'n ejpaivnouς: eijko;ς d’ ei\nai o{ti to; qevatron u{steron kai; to;
qewrei'n polu; provteron ajpo; tou' qeou' th;n proshgorivan e[laben.

110
Anche la terminologia impiegata per designare il genere enarmonico (to;
th'ς aJrmonivaς gevnoς), del quale Olimpo sarebbe appunto l’inventore, rientra nel
lessico aristossenico: vd. § 4, nota 63.
111
La medesima paretimologia in Diog. Babyl. SVF III fr. 64.
80 Sulla musica greca antica

ejpi; mevntoi tw'n kaq’ hJma'ς crovnwn tosou'ton ejpidevdwke to; th'ς
diafqora'ς ei\doς, w{ste tou' me;n paideutikou' trovpou mhdemivan
mneivan mhd’ ajntivlhyin ei\nai, pavntaς de; tou;ς mousikh'ς aJptomev<
nouς pro;ς th;n qeatrikh;n proskecwrhkevnai mou'san.

In epoca più remota, a quanto si dice, i Greci non conoscevano nem-


meno la musica per teatro, ma tutta la loro scienza era rivolta al cul-
to degli Dei e all’educazione dei giovani. A quei tempi non esisteva-
no teatri: la musica risuonava ancora nei templi e serviva per rendere
omaggio agli Dei e tessere elogi degli uomini di valore. Questa rico-
struzione è logica, perché i termini theatron, che nacque successiva-
mente, e quello ancora piu antico di theorein derivarono entrambi da
theòs. Ai nostri tempi, invece, lo stile musicale è degenerato a tal punto
che non resta nemmeno il ricordo o l’idea della funzione educatrice
della musica, e tutti quelli che vi si dedicano si sono ormai volti a
comporre per il teatro.

Qualche pagina prima, Soterico aveva proposto una contrapposi-


zione molto simile (15, 1136B, pp. 12, 26-13, 1 Ziegler), con un riferi-
mento ai teatri che ricorda da vicino i toni con i quali, nel fr. 124
Wehrli, Aristosseno parla dell’imbarbarimento a cui è giunta la depre-
cabile musica che vi si esegue112:
’Ecrhvsanto d’ aujth'/ (scil. mousikh'/) oiJ palaioi; kata; th;n ajxivan,
w{sper kai; toi'ς a[lloiς ejpithdeuvmasi pa'sin: oiJ de; nu'n ta; semna;
aujth'ς paraithsavmenoi, ajnti; th'ς ajndrwvdouς ejkeivnhς kai; qespesivaς
kai; qeoi'ς fivlhς kateagui'an kai; kwtivlhn eijς ta; qevatra eijsavgousi.

Gli antichi praticarono la musica rispettandone la dignità, come fece-


ro anche in tutti gli altri campi: i nostri contemporanei, invece, hanno
rigettato i suoi aspetti nobili e al posto di quella musica virile, ispirata
e cara agli Dei, ne introducono nei teatri una effeminata e seducente.

Comune dunque ai due testi è la collocazione della musica ‘nuo-


va’ nei teatri. Nel primo viene messo in luce come i suoi caratteri
degenerativi concorrano ormai alla configurazione di un vero e pro-
prio ‘stile’ (to; th'ς diaϕϑora'ς edoς): e in questo caso mi pare eviden-
te il parallelo con i frammenti 76 e 124 Wehrli. Nel secondo ritorna il
motivo della contrapposizione maschile/femminile, già incontrato nel
frammento 70 Wehrli.

112
Il passo è considerato aristossenico da WEIL-REINACH 1900, pp. 58-59;
un’eco del fr. 124 Wehrli vi legge anche PAGLIARA 2000, p. 172, nota 39.
Tracce aristosseniche nel De musica pseudoplutarcheo 81

8. Osservazioni conclusive

Attraverso questo percorso tematico, seguendo soprattutto indi-


cazioni lessicali, tecnico-musicali e contenutistiche, mi pare di aver
confermato che nel De musica pseudoplutarcheo è confluito moltissi-
mo materiale aristossenico. Le vie attraverso le quali questo materiale
è giunto nella biblioteca di un anonimo autore del II sec. d. C. mostra-
no come l’autorevolissima dottrina musicale di Aristosseno, più o meno
rielaborata e adattata, fosse già ampiamente presente, a partire al più
tardi dall’età adrianea, in opere storico-musicali e musicologiche di ca-
rattere compilativo: buona parte di quanto possiamo riconoscere come
aristossenico nel De musica deve risalire infatti a opere di questo tipo.
Resta invece difficile stabilire quanta parte del materiale che il nostro
anonimo autore presenta come ipsissima verba risalga a una conoscen-
za diretta delle opere di Aristosseno. Ma credo che, allo stato attuale
della nostra documentazione, questo sia destinato a rimanere un pro-
blema aperto.
82 Sulla musica greca antica
Teoria musicale e antiempirismo nella Repubblica di Platone 83

III

TEORIA MUSICALE E ANTIEMPIRISMO


NELLA REPUBBLICA DI PLATONE
(Plat. resp. VII 530b-531d)*

1. Scienze sorelle: un motivo pitagorico

Le discipline (maqhvmata, ejpisth'mai) comprese nel curriculum


intellettuale dei filosofi dialettici destinati al governo dello Stato sono,
nell’ordine, aritmetica, geometria piana e stereometria, astronomia,
teoria musicale (VII 522c-531c)1. Si tratta di un percorso formativo «più
lungo (makrotevra perivodoς: VI 504b)» rispetto a quello delineato nei
libri II-IV per i fuvlakeς e per gli a[rconteς: mira infatti a formare,
attraverso l’apprendimento di «conoscenze teoriche più elevate e
fondative»2, un’élite filosofica con funzioni politiche superiori3. Secondo
la nota formulazione metaforica di Socrate (VII 531d), tutte queste
discipline costituiscono, nel loro insieme, il prooivmion allo studio della
dialettica, che è il vero e proprio novmoς che si deve imparare a eseguire4.
Socrate chiama «sorelle (ajdelfaiv)» le ultime due, in quanto entrambe
hanno a che fare col moto (forav): l’una con la sua forma visibile, l’altra
con quella udibile, ossia propriamente musicale (ejnarmovnioς), forma
che viene qualificata come «corrispondente (ajntivstrofoς)» alla prima

* Il testo platonico oggetto di questo capitolo, secondo l’edizione oxoniense


di Burnet (Platonis Opera recognivit brevique adnotatione critica iustruxit I. Bur-
net, IV, OXONII 1902) e accompagnato dalla traduzione, lievemente modificata, di
VEGETTI 2003a, pp. 127-129, è qui riprodotto in appendice (pp. 116-119).
1
Per lo studio della matematica nel suo complesso, e dei suoi rapporti orga-
nici con l’astronomia e la teoria musicale all’interno della speculazione platonica,
l’ampio volume di FOWLER 1999 è un riferimento imprescindibile (in particolare, al
curriculum disciplinare delineato nel VII libro della Repubblica, è dedicato il cap.
4, pp. 103-151); un’efficacissima e stimolante sintesi dei problemi è offerta da CAT-
TANEI 2003; su astronomia e armonica nella Repubblica, vd. FRANCO REPELLINI 2003.
2
Così VEGETTI 2003b, p. 19.
3
Sullo «scandaloso paradosso» del “governo dei filosofi”, vd. VEGETTI 2000b.
4
Ovviamente, la metafora si fonda sul valore musicale del termine novmoς: vd.
STELLA 1998; l’importanza dello studio della dialettica, in vista della formazione di
filosofi destinati al governo dello Stato, rappresenta il nucleo concettuale attorno al
quale sono imperniati i libri VI e VII della Repubblica: per quest’argomento vd.
VEGETTI 2003b e VEGETTI 2003c; utili spunti in DI BENEDETTO 1985, pp. 5-34.
84 Sulla musica greca antica

(530d). In un passo precedente (VI 511b) Glaucone accenna alla


geometria e alle «arti sorelle (tevcnai ajdelfaiv)»5. Più avanti, Socrate
porrà in netta evidenza che la comprensione del nesso di comunanza
(koinwniva) e affinità (suggevneia) tra le scienze passate in rassegna
rappresenta il culmine dello studio metodico di esse (VII 531c-d).
Non è forse un caso che il motivo ricorra in un frammento del
pitagorico Archita (430-360 ca. a. C.)6, nel quale sono elencate, in se-
quenza, astronomia, geometria, aritmetica e teoria musicale, definite
appunto maqhvmata ajdelfeav7. L’impostazione della materia musicale
data qui da Socrate è infatti di ascendenza dichiaratamente pitagorica,
ed è questo l’unico luogo della Repubblica nel quale i Pitagorici ven-
gono esplicitamente citati come gruppo di studiosi con una visione
unitaria di un problema – si direbbe come “scuola” –, a testimonianza
del fatto che Socrate tiene in grande considerazione le loro idee in
materia8. Più specificamente, sappiamo che la pratica dei Pitagorici di
esprimere gli intervalli musicali come rapporti tra numeri, e le loro
analisi delle strutture basilari della melodia (ossia quelle che, con ter-
minologia moderna, si chiamerebbero “scale”) come complessi di quei
rapporti, sono accettate da Platone, che le adotta, su base aprioristico-
deduttiva, nel Timeo (35b-36c)9.

5
Musica e astronomia sono accostate anche in Plat. Crat. 405d; sul loro rap-
porto di parentela, vd. anche Ptol. Harm. III 3, p. 94, 9-20 Düring.
6
Per la cronologia, vd. per es. HUFFMAN 1996; CIANCAGLINI 1998, p. 213; bi-
bliografia aggiornata in RIEDWEG 1996.
7
Archyt. 47 B 1 D.-K.: il frammento solleva in realtà una serie di problemi
testuali ed esegetici sui quali non è qui il caso di soffermarsi; dopo i dubbi avanzati
da BURKERT 1972, p. 379, n. 46, la sua autenticità sembra ormai assodata: vd. BOWEN
1982; HUFFMAN 1985; CASSIO 1988; vd. pure TIMPANARO CARDINI 1962, pp. 358-
369, la sintesi di BARKER 1989a, pp. 39-42, e l’analisi complessiva di CIANCAGLINI
1998 (sul passo platonico in esame qui, vd. pp. 242-243).
8
Vd. Plat. resp. VII 530d-e; Pitagora in persona viene invece richiamato più
avanti (resp. X 600b), con riferimento, più che ai contenuti del suo insegnamento,
al suo ‘stile di vita’: la questione della natura dell’associazione pitagorica è affron-
tata da CENTRONE 1996, pp. 67-83 (in part., per ciò che qui ci interessa più da vi-
cino, pp. 68-70).
9
So bene che la terminologia da me usata in questo capitolo solo per como-
dità espositiva potrebbe sembrare impropria: poiché infatti i Pitagorici non conce-
pivano i suoni come immaginariamente collocati nello spazio (vd. § 7), a stretto
rigore le loro teorie non potrebbero essere illustrate adoperando termini come “in-
tervallo” o “scala”, che presuppongono appunto una concezione “spaziale”; in
questo senso si mossero invece gli aJrmonikoiv (per i quali vd. §§ 6 e 8), seguiti in
questo da Aristosseno, e una concezione simile si è in fondo imposta anche nella
teoria musicale moderna, nella quale si parla correntemente, per esempio, del-
l’“altezza” come di una caratteristica del suono: ecco perché la terminologia “spa-
ziale” risulta a noi certamente più familiare; per tutta la questione, vd. ROCCONI
1999 e ROCCONI 2003.
Teoria musicale e antiempirismo nella Repubblica di Platone 85

2. Una nuova impostazione

Ma qui l’istanza fondamentale, espressa per bocca di Socrate, è


quella di una profonda riforma dello statuto epistemologico della teo-
ria musicale in senso ulteriormente antiempiristico10. A differenza del-
la mousikhv (comprendente wj/dhv e mevloς) prevista nel curriculum edu-
cativo dei fuvlakeς, la disciplina riservata alla formazione intellettuale
dei filosofi dialettici dovrà essere infatti del tutto svincolata non sol-
tanto dalla concreta pratica musicale e dai tecnicismi dell’approccio
teorico dei Pitagorici, ma addirittura dagli stessi suoni come sono ef-
fettivamente percepiti. Da VII 522a-b si ricava infatti che la parte del-
la mousikhv relativa all’wj/dhv e al mevloς (ossia quella più strettamente
‘musicale’ nel senso moderno del termine), destinata ai fuvlakeς se-
condo le modalità riferite in III 398c-399e, non andrà inserita nel si-
stema di discipline che precedono immediatamente la dialettica11; così
anche l’astronomia dovrà fare a meno dell’osservazione dei fenomeni
celesti (VII 530b-c).
Teoria musicale e astronomia dovranno dunque avviarsi a diven-
tare totalmente deduttive, affrancandosi del tutto dal dato fenomeni-
co, al quale erano tradizionalmente – e, si direbbe, istituzionalmente –
- legate. Non bisogna infatti assolutamente trascurare qui il fatto che
in musica un totale svincolamento dai dati sensibili sarebbe di fatto
impossibile. Sono importanti, al riguardo, le osservazioni citate da Por-
firio, e risalenti alla Puqagorikh; th'ς mousikh'ς stoiceivwsiς di Tole-
maide di Cirene (forse I sec. d. C.), nelle quali si sottolinea come il
ricorso al dato fenomenico e alle consonanze effettivamente percepite
sia un passaggio irrinunciabile anche per i teorici che danno più im-
portanza agli aspetti razionali della teoria musicale12. Va poi conside-
rata tutta la parte centrale della Sectio Canonis pseudoeuclidea, con il
suo costante riferimento alla concreta percezione di consonanze e dis-
sonanze anche nei sofisticati calcoli numerico-musicali di matrice pi-
tagorica13.

10
Vd. VEGETTI 1999, pp. 86-88, e già RIVAUD 1929; in generale, sulla musica
in Platone, vd. MOUTSOPOULOS 1959, e i recenti YARTZ 2000 e WERSINGER 2001 (con
bibliografia).
11
Sulla funzione della mousikhv nel curriculum educativo dei ϕuvlakeς vd.
GASTALDI 1998, in part. pp. 374-388 e soprattutto PAGLIARA 2000 (con ampia bi-
bliografia) e TARTAGLINI 2001.
12
Porph. in Harm. p. 25, 9-14 Düring: su Tolemaide, interessante e trascura-
ta figura di studiosa di teoria musicale, vd. ROCCONI 2003.
13
Ps. Eucl. Sect. can. pp. 150, 1-162, 3 Barbera (= pp. 158, 8-160, 12 Jan),
proposizioni 10-12: per le varie problematiche connesse con questo testo (attribu-
86 Sulla musica greca antica

Eppure, l’impostazione antiempiristica del sistema di discipline


riservate ai filosofi dialettici sembra tendere ad annullare le differenze
metodologiche ed epistemologiche tra le prime tre (aritmetica, geome-
tria piana, stereometria), puramente deduttive, e le ultime due (astro-
nomia, teoria musicale), per le quali l’osservazione dei dati fenomenici
è invece fondamentale14. È stato opportunamente notato che questo per-
corso conduce Platone «a esiti iperbolici, che sembrano consistere nel
negare ai saperi matematici la legittimità di qualsiasi ricorso a proce-
dure costruttive e all’esperienza osservativa, prospettando dunque una
geometria senza operazioni dimostrative, un’astronomia “cieca” e una
teoria musicale “sorda”»15. In questo senso, per Socrate, l’impostazio-
ne data dai Pitagorici alla teoria musicale, pur essendo già da tempo
basata su principi numerico-matematici, e avendo raggiunto un note-
vole livello di astrazione, è evidentemente criticabile, perché non suf-
ficientemente svincolata dal dato sensibile16: nella visione di Socrate, la
riformulazione antiempiristica dei problemi astronomici e musicali è
fortemente connessa infatti con l’esigenza che essi siano utili alla ri-
cerca del Bene, cui si perviene appunto attraverso la dialettica (532a-b;
534e-535a). Socrate affronta l’argomento a più riprese, con la ferma
determinazione di rimanere fedele alla propria impostazione finalisti-
ca, in un compito della massima importanza17. L’unico scopo al quale
i Pitagorici si limitano è rappresentato invece dalla misurazione di suoni
e consonanze concretamente percepibili dall’udito, e la loro fatica, come
quella degli astronomi, non produce risultati (ta;ς [...] ajkouomevnaς [...]
sumfwnivaς kai; fqovggouς ajllhvloiς ajnametrou'nteς ajnhvnuta, w{sper
ajstronovmoi, ponou'sin: 531a).
zione, datazione, contenuti etc.), rimando a BARKER 1981a; BARKER 1989a, pp. 190-
208 (traduzione inglese con introduzione e note), e all’ampia introduzione di BAR-
BERA 1991, pp. 1-108; una traduzione italiana è in ZANONCELLI 1990, pp. 31-70; l’ul-
timo studio complessivo (che dà anche, in appendice, il testo del trattato con tra-
duzione tedesca annotata) è BUSCH 1998.
14
Lo fa notare MUELLER 1980, p. 103, argomentando che Platone assimila
l’astronomia alla geometria-stereometria, e la teoria musicale all’aritmetica; vd.
ROBINS 1995.
15
Così VEGETTI 2003a, p. 29.
16
Sulla teoria acustico-musicale dei Pitagorici, dopo i classici FRANK 1923,
pp. 150-218 (con utili osservazioni sulla pagina che stiamo esaminando), e VAN DER
WAERDEN 1943, sono importanti CROCKER 1963-1964 e, soprattutto, CIANCAGLINI
1991 (con ampia bibliografia precedente) e ora HAGEL 2001; le fonti più importanti
sono raccolte, tradotte e commentate da BARKER 1989a, pp. 28-45; vd. pure IZZO
1987; COMOTTI 1991a (non ho potuto vedere MCCLAIN 1978).
17
Vd. 530b-c: crhvsimon [...] ejx ajcrhvstou 531c: Crhvsimon [...] pro;ς th;n
tou' kalou' te kai; ajgaqou' zhvthsin, a[llwς de; [...] a[crhston 530c: hJmei'ς de; para;
pavnta tau'ta fulavxomen to; hJmevteron [...] Mhv pot j aujtw'n ti ajtele;ς ejpiceirw'sin
hJmi'n manqavnein ou}ς qrevyomen, kai; oujk ejxh'kon ejkei'se ajeiv, oi| pavnta dei' ajfhvkein
Teoria musicale e antiempirismo nella Repubblica di Platone 87

3. Rifiuto dell’empirismo: l’intervento di Glaucone e la precisazione di


Socrate

A questo punto (531a-b) Glaucone riferisce le pratiche che, in


materia, vengono adottate da quanti vanno alla ricerca dell’intervallo
minimo percepibile, che possa valere come unità di misura per ogni
altro intervallo (smikrovtaton [...] diavsthma w|/ metrhtevon : 531a).
All’interno del gruppo si fronteggiano i sostenitori di due tesi, entrambe
criticabili per il loro empirismo estremo (ajmfovteroi w\ta tou' nou'
prosthsavmenoi: 531a). Si tratta, nel complesso, di esponenti di un
orientamento teorico distinto dai Pitagorici: lo si comprende con tutta
evidenza dalla successiva precisazione di Socrate (531b), il quale, dopo
aver aggiunto ulteriori particolari sui metodi di indagine adottati da
questo secondo gruppo di teorici, ribadisce chiaramente che non
intende riferirsi a loro, ma proprio a «quelli che ora dicevamo di voler
interrogare circa l’armonia»18, ossia, appunto, ai Pitagorici, nei confronti
dei quali viene esplicitato un altro motivo di critica: essi, come gli
astronomi, cercano «i numeri che sono nelle consonanze percepite
dall’udito, ma non giungono a porsi il problema di scoprire quali
numeri siano consonanti, quali no, e nei due casi per quale ragione
(tou;ς ga;r ejn tauvtaiς tai'ς sumfwnivaiς tai'ς ajkouomevnaiς ajriqmou;ς
zhtou' s in, aj l l j ouj k eij ς problhv m ata aj n iv a sin, ej p iskopei' n tiv n eς
suvmfwnoi ajriqmoi; kai; tivneς ou[, kai; dia; tiv eJkavteroi: 531c)»19.
Il medesimo termine provblhma era stato adoperato poco prima
(530b) a proposito del metodo di lavoro da Socrate auspicato per gli

530c: pollaplavsion [...] to; e[rgon (Glaucone sull’impostazione proposta da Socrate


per i problemi astronomici); 530e: polu; to; e[ r gon (Socrate sulla necessità di
affrontare anche la teoria musicale all’interno del curriculum dei filosofi dialettici);
531c: daimovnion [...] pra'gma (Glaucone sulla proposta di Socrate di impostare la
teoria musicale su base esclusivamente matematica).
18
Vd. 531b: kai; ou[ fhmi touvtouς levgein, ajll’ ejkeivnouς: sull’uso dei prono-
mi dimostrativi in tutto questo passo, e sulle sue conseguenze sul piano esegetico,
vd. le osservazioni di BARBERA 1981.
19
La distinzione tra la scienza musicale dei Pitagorici e quella degli altri te-
orici evocati qui da Glaucone è accostabile a quella evidenziata da Arist. APo. 79a,
tra la teoria musicale matematica (aJrmonikh; h{ te maqhmatikhv) e quella basata sul-
l’udito (hJ kata; th;n ajkohvn) e i termini del problema (sensismo-empirismo vs. ra-
zionalismo) sono gli stessi posti poi da Aristox. El. harm. II 32, 19-30 (pp. 41, 17-
42, 7 Da Rios): vd. BÉLIS 1986, pp. 53-85 (in particolare, pp. 72-74); su più com-
plesse distinzioni tra le diverse scuole di teoria musicale si baseranno le classifica-
zioni di Tolemaide di Cirene (vd. nota 12) e di Didimo, grammatico e musico,
autore, nell’età di Nerone, di uno scritto Peri; th'ς diafora'ς tw'n jAristoxeneivwn
te kai; Puqagoreivwn (vd. L. COHN 1903), entrambe citate da Porph. in Harm. p.
22, 22 ss. Düring.
88 Sulla musica greca antica

astronomi, ma da loro, evidentemente, non perseguito: un metodo che


doveva in ogni modo prescindere dal dato sensibile (530b-c). La teo-
ria musicale, in virtù delle sue finalità di preparazione alla dialettica,
dovrà dunque affrancarsi dallo studio dei suoni come essi si offrono
alla percezione uditiva, per sollevarsi a considerare i problemi connes-
si con l’indagine dei suvmfwnoi ajriqmoiv20.

4. Una metafora audace: suvmfwnoi ajriqmoiv

Anche su quest’espressione metaforica potrà gettare luce la pa-


gina precedente (529c-d), nella quale si dice che gli astri visibili sono
bellissimi ornamenti del cielo, ma sono di gran lunga inferiori a
quelli veri, «nei quali la velocità e la lentezza reali si muovono in
relazione reciproca e muovono gli oggetti che racchiudono in sé
secondo il vero (ajlhqinovς) numero e tutte le vere figure; ciò si può
cogliere (lhptav) con la ragione (lovgoς) e il pensiero (diavnoia), non
con la vista (529c-d)».
Dal confronto si può ricavare che come il vero numero governa
il vero movimento dei veri astri, così i numeri suvmfwnoi governano i
rapporti fra i veri suoni, quelli che, seguendo la medesima similitudine
con i veri astri, si possono cogliere con il lovgoς e con la diavnoia, non
con l’udito. In prima approssimazione, dunque, considerata la simme-
tria concettuale tra i due passi, si potrà dire che l’aggettivo suvmfwnoς,
pur generalmente applicato a sostantivi appartenenti alla sfera seman-
tica del suono, corrisponde qui nel significato ad ajlhqinovς, che ricor-
re, sempre riferito al numero, a 529d.
Ma in questo contesto viene resa evidente la duplice esigenza di
«sollevarsi ai problemi», e di far uscire la materia musicale dalla dimen-
sione empirico-descrittiva: l’istanza fondamentale sottesa alla suggesti-
va metafora platonica è che il concetto di consonanza transiti dalla sfera
dei suoni e delle percezioni, alla quale è legato per definizione, a quella
dei numeri, che di quei suoni sono la più compiuta rappresentazione da
un punto di vista metafisico. A detta di Socrate, i Pitagorici dei suoi
tempi non cercavano ancora questi numeri suvmfwnoi, fermandosi al-
l’analisi e alla misurazione acustico-numerica dei fenomeni sensibili e
ignorando la possibilità di costruire modelli matematici deduttivi, sulla
base dei quali fosse possibile esplorare il mondo dei “veri” suoni21.

20
Sull’esegesi del passo, vd. BARKER 1978a.
21
In questo senso, sulle analogie tra astronomia e teoria musicale, rinvio alle
penetranti analisi di MOURELATOS 1980, e, di nuovo, a MUELLER 1980.
Teoria musicale e antiempirismo nella Repubblica di Platone 89

5. Un fraintendimento?

I commentatori presentano in genere l’intervento di Glaucone


come un semplice fraintendimento del discorso di Socrate sui Pita-
gorici22. Fraintendimento che ci offre la preziosa occasione di ag-
giungere una testimonianza autorevole su un orientamento teorico-
musicale dai contorni poco chiaramente delineati. Fraintendimento
del quale si potrebbe anche tentare di rintracciare il motivo nell’at-
tenzione riservata da Socrate alla misurazione di suoni e consonanze,
così come veniva praticata dai Pitagorici: la misurazione degli inter-
valli musicali – pur se su basi ben differenti, come mostrerò meglio
in seguito – è infatti anche lo scopo dei teorici evocati da Glaucone.
Eppure, al momento della scelta delle harmoniai da inserire, in
una prospettiva di pratica musicale, nel programma educativo dei
fuvlakeς, la competenza di Glaucone in materia era stata invocata dal-
lo stesso Socrate che, nel chiedergli consiglio, lo aveva definito mousi-
kovς (III 398e)23. È allora il caso di chiedersi se il fraintendimento di
un allievo mousikovς, tanto esperto da essere chiamato dal maestro a
giudicare su una materia tanto importante, non possa svolgere, nella
complessa economia concettuale del dialogo, una funzione più pro-
fonda.
Sarà opportuno richiamare qui un passo del Fedro (268d-e), nel
quale Socrate riferisce di un mousikovς che, a un tale che pretende di
essere aJ r monikov ς solo perché è in grado di produrre su uno
strumento a corda il suono più acuto e quello più grave, ricorda che
le sue abilità non implicano affatto che egli sia padrone della teoria
musicale, perché esse sono sì necessarie, ma solo preliminari alla
conoscenza della materia. Analogamente, non è medico chi – grazie
alle sue letture o alle sue casuali esperienze – è in grado di som-
ministrare farmaci per produrre determinati effetti nelle persone,
senza conoscere a chi e quando sia opportuno somministrare quei
farmaci; e non è tragediografo chi sa comporre discorsi lunghissimi
su argomenti futili e brevissimi su argomenti importanti, o
commoventi o ancora spaventevoli e minacciosi. Le competenze di
costoro sono soltanto preliminari al pieno possesso della loro
arte, e in entrambi i casi il giudizio sulle loro reali conoscenze
viene pronunziato da autorità riconosciute nel rispettivo settore:

22
Vd., per tutti, ADAM 1963, pp. 133-134 (ad Plat. resp. VII 531a3; 531b8).
23
Per un profilo di Glaucone e del suo ruolo dialogico vd. VEGETTI 1998b.
90 Sulla musica greca antica

Erissimaco e Acumeno per la medicina, Sofocle ed Euripide per la


poesia tragica24. Nel caso che ci interessa, è chiara la distinzione tra
l’aJrmonikovς e il mousikovς: è il secondo a poter giudicare auto-
revolmente sulle competenze tecniche raggiunte dal primo, che si
colloca comunque a uno status inferiore. È insomma il mousikovς a
detenere il possesso completo dell’arte musicale, mentre il suo
interlocutore non possiede neppure le conoscenze necessarie per
essere compiutamente aJrmonikovς25.
Anche nel passo che ci sta davanti gli argomenti del discorso sem-
brano strettamente inerenti alla specifica competenza del mousikovς:
Glaucone si esprime infatti sulle pratiche di alcuni teorici che limita-
no la loro attività alla semplice individuazione delle minime differen-
ze di altezza tra i suoni di uno strumento a corda. Alla luce di que-
sta chiara analogia tematica, si potrà affermare che l’intervento di
Glaucone, che appare un “fraintendimento” perché non collima per-
fettamente con l’orizzonte pitagorico delimitato dal suo maestro, ha
la precisa funzione, all’interno dell’economia del dialogo, di fornire a
Socrate l’occasione di ampliare la portata della sua critica antiempiri-
stica, estendendola – relativamente alla materia che sta affrontando –
a tutti gli orientamenti presenti nel panorama teorico-musicale del suo
tempo26: maestro e allievo sono qui portatori della medesima istanza
culturale. L’accostamento stesso tra astronomia e teoria musicale, che
era stato già proposto in ambito pitagorico, viene qui rifondato sulla
base della critica dell’impostazione conferita a entrambe proprio dal
pitagorismo; ma anche la vivida digressione sull’ultraempirismo dei
teorici evocati da Glaucone, che pure evidenzia le differenze tra i due
approcci, si muove evidentemente nella medesima direzione27: il ri-
fiuto platonico dell’empirismo in teoria musicale non avrebbe potuto
essere più netto.

24
Plat. Phaedr. 268a-269a.
25
Vd. MOUTSOPOULOS 1959, pp. 46-66; non posso nascondere d’altra parte
che in Plat. Phileb. 17c-e e Charm. 170b-c sembrerebbe non esserci differenza so-
stanziale tra lo statuto dell’aJrmonikhv e quello della mousikhv: evidentemente ai tempi
di Platone, e presumibilmente fino ad Aristosseno, una rigida distinzione tra diffe-
renti sfere disciplinari in campo musicale non doveva essere stata ancora delineata;
ma è chiaro che per Platone un buon intenditore di musica deve assolutamente pos-
sedere conoscenze tecniche molto approfondite: in questo senso, vd. Plat. Charm.
170e-171c e soprattutto leg. II 670a-671a.
26
Sull’assenza di cenni a Damone, vd. § 6.
27
In questo senso, vd. l’accenno di BARKER 1978a, p. 340.
Teoria musicale e antiempirismo nella Repubblica di Platone 91

6. Temi e orientamenti di teoria musicale

La pagina che ci sta davanti è una preziosa testimonianza su un


periodo dell’elaborazione del pensiero musicale greco che precede
quella che è per noi la prima sistemazione teorica della materia opera-
ta da Aristosseno di Taranto28. La documentazione è piuttosto fram-
mentaria, e le opinioni degli studiosi non sono concordi29, ma, in buo-
na sostanza, il quadro della situazione – qui necessariamente schema-
tico – mostra, intorno alla fine del V sec. a. C., i contorni abbastanza
chiaramente delineati di due aree di ricerca in ambito musicale, alle
quali corrispondono distinti orientamenti teorici: da un lato la mate-
matica applicata al suono, generalmente associata dalle fonti con l’atti-
vità dei Pitagorici, che avevano avviato le loro ricerche in materia già
a partire dal VI sec. a. C.; dall’altro gli influssi della musica sull’animo
umano, secondo la cosiddetta “teoria dell’ h\qoς musicale”30, alla quale
è tradizionalmente legato il nome di Damone di Oa, maestro e consi-
gliere politico di Pericle31.
Frequenti furono gli intrecci e le reciproche influenze tra questi
due orientamenti: nonostante il primo fosse basato sugli aspetti quan-
titativi e il secondo su quelli qualitativi del fatto musicale, gli scambi
arrivarono al punto che «even those who consciously repudiated cer-
tain approaches were influenced by them»32. Lo stesso Socrate plato-
nico, per quanto riguarda l’educazione dei fuvlakeς, è apertamente da-

28
Su Aristosseno, la cui data di nascita viene generalmente fissata tra il 370 e
il 365 a. C., vd. la monografia di VISCONTI 1999 (con ampia bibliografia preceden-
te); più sinteticamente, BARKER 1989a, pp. 118-125, e BARKER 2000b; su aspetti par-
ticolari della sua speculazione teorica, cito soltanto il volume di BÉLIS 1986 e i con-
tributi di BRANCACCI 1984, LITCHFIELD 1988, BARKER 1991a, ROCCONI 1999, VISCONTI
2000; vd. anche, qui, capp. I e II §§ 2, 4-7.
29
Una rassegna sintetica ma sufficientemente dettagliata dei diversi orienta-
menti è offerta da WALLACE 1995 (con ampia bibliografia); vd. pure LIPPMAN 1964;
WEST 1992, pp. 218-253 e, da ultimo, MATHIESEN 1999; sul problema delle aJrmoni-
vai e dei gevnh fino ad Aristosseno, vd. ROCCONI 1998.
30
La denominazione è divenuta di uso comune a partire da ABERT 1899, al
quale si ricorre per l’ancora utile repertorio di fonti; vd. poi ANDERSON 1966 (con
ROSSI 1969), ROSSI 1988c, ROSSI 2000; A. BARKER, Psicomusicologia nella Grecia an-
tica, a cura di A. Meriani, in corso di stampa, passim.
31
Su Damone vd. BARKER 1984, pp. 168-169, WALLACE 1991, GASTALDI 1998,
con altre indicazioni bibliografiche; sull’importanza delle sue dottrine nel pensiero
di Platone, vd. ANDERSON 1955 e PAGLIARA 2000.
32
Così WALLACE 1995, p. 19, secondo il quale gli scambi cominciarono a farsi
più consistenti a partire dal IV sec. a. C., mentre per il periodo precedente le di-
verse correnti rimasero piuttosto indipendenti.
92 Sulla musica greca antica

moniano33, mentre si professa qui pitagorico, sia pur con riserva, per
quanto attiene agli aspetti più strettamente tecnici e speculativi della
teoria musicale: un richiamo a Damone sarebbe stato qui fuori posto.
D’altra parte sappiamo che anche i Pitagorici ammettevano che la
musica potesse avere influssi sull’anima: se, come essi sostenevano,
anche l’anima è armonia34, la musica, che «rispecchia l’armonia univer-
sale in virtù della sua natura numerica e matematica, ha un potere par-
ticolare su di essa per l’affinità con la sua essenza costitutiva», e può
anche «ristabilire l’armonia turbata nell’anima di ciascun individuo»35.
Meno chiaramente delineati appaiono invece i contorni di una
terza corrente, quella dei cosiddetti aJrmonikoiv, citati più volte da Ari-
stosseno per l’impronta fortemente empirica dei loro metodi di inda-
gine, e sulla quale i pareri degli studiosi non sono unanimi. Per An-
drew Barker la designazione stessa di aJrmonikoiv risalirebbe ad Ari-
stosseno stesso, il quale l’avrebbe applicata, indistintamente, a tutti i
suoi contemporanei e predecessori che egli riteneva avessero operato,
con differenti metodologie, nel suo stesso campo di indagine36. Robert
Wallace crede, al contrario, alla fisionomia ben individuabile di un
gruppo di teorici «who called themselves ‘the harmonikoi’», rintrac-
ciandone l’iniziatore in quell’Eratocle citato da Aristosseno e da Por-
firio e probabilmente attivo alla fine del V sec. a.C.37, e ascrivendone i
successivi sviluppi all’attività di Stratonico (ca. 410-360)38. Il gruppo
fu contrassegnato da una pluralità di indirizzi tematici e metodologici:
gli interessi principali furono la misurazione dei singoli intervalli, l’ana-
lisi della struttura dei tetracordi e lo studio delle loro diverse possibili
associazioni, ma dovettero essere affrontati anche argomenti correlati
con la “teoria dell’h\qoς”, come mostra il PHibeh I 13, manufatto del
275 ca. a. C., il cui testo è databile tra la fine del V e i primi decenni
del IV secolo a. C. L’anonimo autore, riportando le idee di alcuni se-
dicenti aJrmonikoiv dediti principalmente al qewrhtiko;n mevroς, polemizza

33
Vd. Plat. resp. III 400a-c.
34
Vd. Arist. Pol. 1340b18-19; de An. 407b 27; e Plat. Phaed. 86b-95b.
35
Così PRETAGOSTINI 1998, p. 627 (con n. 77), che ricorda gli influssi pitago-
rici sulla descrizione platonica della struttura dell’anima del mondo (Tim. 35b-36b),
e cita Aristox. fr. 26 Wehrli: o{ti oiJ Puqagorikoiv, wJς e[fh jAristovxenoς, kaqavrsei
ejcrw'nto tou' me;n swvmatoς dia; th'ς ijatrikh'ς, th'ς de; yuch'ς dia; th'ς mousikh'ς;
vd. FIGARI 2000.
36
BARKER 1978b, con l’utile raccolta dei passi aristossenici; in buona sostanza
sulla medesima linea si colloca BÉLIS 1986, pp. 90-107; 170-172.
37
Vd. Aristox. El. harm. I 5-7 (pp. 9, 17; 10, 19; 11, 3 Da Rios); Porph. in
Harm. p. 3, 5 Düring.
38
WALLACE 1995, pp. 30, 18; su Stratonico, che affiancava all’attività di teorico
quella di strumentista, vd. WEST 1992, pp. 367-368, GILULA 2000 e, più avanti, nota 40.
Teoria musicale e antiempirismo nella Repubblica di Platone 93

vivacemente contro la loro convinzione che «alcune melodie rendono


temperanti, altre assennati, altre giusti, altre valorosi, altre codardi» (col.
I 13-15)39. Tecnicamente, gli aJrmonikoiv concepivano i suoni come punti
da collocare su una linea immaginaria, chiamata diavgramma sicché per
loro gli intervalli musicali non erano rappresentati da rapporti nume-
rici ma da distanze tra quei punti, e poiché una linea è composta da
infiniti punti, infiniti erano anche i suoni e gli intervalli virtualmente
analizzabili40. Grande importanza era perciò attribuita all’individuazione
di un’unità di misura di quelle distanze, e sul tema il dibattito dovette
essere piuttosto animato, come possiamo immaginare dall’intervento
di Glaucone e dalla precisazione di Socrate: i metodi di indagine rap-
presentati in questo passo, nonostante esso non contenga esplicita
menzione di un particolare orientamento teorico, sono praticamente
identici a quelli ascritti da Aristosseno agli aJrmonikoiv. E se due delle
più antiche attestazioni del termine aJrmonikovς in senso tecnico sono
contenute nel brano del Fedro sopra ricordato (268d-e) e nel testo del
PHibeh (col. I 4), possiamo essere certi che questo passo della Repub-
blica costituisce la più antica testimonianza sui metodi di indagine degli
aJrmonikoiv41.
A questo punto, sarà opportuno riconsiderare più a fondo l’inte-
ra pagina, esaminandone, in successione, le sezioni di pertinenza stret-
tamente pitagorica e quelle riferibili a questa “terza via” della teoria
musicale greca.

39
Su questo testo assai dibattuto vd., da ultimi, AVEZZÙ 1994 (del quale ac-
colgo le datazioni e la traduzione) e LAPINI 1994, entrambi con ampia bibliografia
precedente; in seguito, anche gli Epicurei rifiuteranno l’idea che la musica possa
influenzare il carattere e il comportamento dell’uditorio: vd. RISPOLI 1991.
40
Vd. p. es. Aristox. El. harm. I 7, 30 (p. 12, 13-15 Da Rios) tw'n aJrmonikw'n
ejnivoiς [...] katapuknw'sai boulomevnoiς to; diavgramma; I 2, 15 (p. 6, 12-13 Da
Rios) ta; diagravmmatav g jaujtw'n (scil. tw'n aJrmonikw'n) ejdhvlou th;n pa'san th'ς
melw/divaς tavxin; I 27, 30-28, 1 (p. 36, 1-3 Da Rios) zhthtevon de; to; sunece;ς
oujc wJς oiJ aJrmonikoi; ejn tai'ς tw'n diagrammavtwn katapuknwvsesin ajpodidovnai
peirw' n tai : l’idea centrale, espressa dal verbo katapuknov w e del sostantivo
katapuvknwsiς è quella della collocazione nello spazio di elementi molto ravvicinati
tra loro: gli aJ r monikoiv in sostanza, “infittiscono” di punti-suoni i loro
diagrpavmmata: vd. § 8; stando al peripatetico Fainia di Ereso (fr. 32 Wehrli, ap.
Athen. VIII 352c), il primo ad adottare il diavgramma fu appunto Stratonico, che
fu anche il primo a introdurre elementi di virtuosismo ( polucordiva) nella musica
strumentale ( yilh; kiϑavrisiς): è evidente che le due innovazioni dovevano essere
collegate e interdipendenti.
41
Nel Carmide, certamente anteriore al Fedro, si trova già to; aJrmonikovn in ri-
ferimento ai contenuti tecnici della mousikhv (Plat. Charm. 170c): vd. nota 25; sulla
cronologia della Repubblica (composizione e ambientazione del dialogo), vd. nota 75.
94 Sulla musica greca antica

7. I Pitagorici

Il procedere del dialogo, come si è visto (§ 3), obbliga Socrate ad


affrontare la teoria musicale dei Pitagorici a due riprese, con due suc-
cessive precisazioni sul loro metodo di lavoro42. In entrambi i casi un
accento è posto sul loro eccessivo empirismo. In realtà, come ho ac-
cennato (§2), l’impostazione pitagorica aveva raggiunto già nel V sec.
a. C. un notevole grado di astrazione matematizzante, ed è noto che
le critiche di Aristotele ai Pitagorici, incentrate sulle loro dottrine astro-
nomiche, insistono invece sul loro insufficiente empirismo43. D’altra
parte, la tendenza a estromettere progressivamente dall’ambito della
teoria musicale i suoi aspetti tecnico-pratici sarà un tratto evidente delle
successive elaborazioni neopitagoriche della disciplina (Nicomaco di
Gerasa), sulle quali un notevole influsso sarà esercitato dal pensiero
stesso di Platone dei Platonici (Teone di Smirne)44.
Va qui preliminarmente osservato che il procedimento di misura-
zione al quale Socrate si riferisce nel suo primo intervento (531a) pre-
vede innanzitutto l’individuazione di alcune coppie di suoni come
consonanze (sumfwnivai), e si applica alle dimensioni dei relativi corpi
vibranti. Nella terminologia musicale greca il termine sumfwniva fa ri-
ferimento a quelle coppie di suoni di differente altezza, che, eseguiti
simultaneamente, producano un’impressione uditiva unitaria45. Proprio
in ambito pitagorico ne furono individuate tre, e inizialmente le loro
denominazioni, centrate prevalentemente sull’idea della loro unitarie-
tà, furono sullabhv, di’ ojxeiw'n e aJrmoniva: in seguito si imposero le
espressioni dia; tessavrwn (intervallo di quarta), dia; pevnte (intervallo
di quinta) e dia; pasw'n (intervallo di ottava), imperniate sull’elemento
numerico-spaziale, che evidenzia maggiormente la differenza di altez-
za tra i due suoni consonanti46. Evidentemente, nella speculazione

42
Plat. resp. VII 530e-531a; 531b-c.
43
Vd. Arist. Metaph. 986a6-12, Cael. 293a20-28; BÉLIS 1986, pp. 64-69.
44
La cosa è messa chiaramente in evidenza da BURKERT 1972; vd. ora CEN-
TRONE 2000.
45
Vd. p. es. Archyt. 47 A 18, col commento di TIMPANARO CARDINI 1962 pp.
326-330; Plat. Tim. 80b; Arist. de An. 426b (con BARKER 1981b); Sens. 447a 12-b
21, 448a; Ps. Eucl. Sect. Can., p. 116, 6-11 Barbera (= p. 149, 17-20 Jan); le idee
espresse in questi passi stanno alla base delle formulazioni dei manualisti più tardi
(Nicom. Harm. 12, p. 262, 1-5 Jan; Cleonid. Harm. 5, p. 187, 19-188, 2 Jan; Bacch.
Harm. p. 293, 8-12 Jan; Aristid. Quint. De mus. p. 10, 2-3 Winnington-Ingram);
vd. pure CIANCAGLINI 1991, p. 48.
46
Vd. Ps. Arist. Probl. XIX 32; le denominazioni originarie, in dialetto dorico,
sono note da Philol. 44 B 6 D.-K. (sullabav, di’ ojxeia'n, aJrmoniva), sul quale vd.
HUFFMAN 1993, pp. 145-165; sul valore originariamente ‘pragmatico’ di sullabhv è
Teoria musicale e antiempirismo nella Repubblica di Platone 95

musicale dei Pitagorici soltanto l’ottava, la quinta e la quarta possono


essere chiamate sumfwnivai, in quanto soltanto in questi tre casi si ge-
nera quel tipo di sensazione uditiva47. È dunque l’udito a rivelare che
esistono alcune coppie di suoni che producono un’impressione unita-
ria, e possono dirsi consonanti, altre che non la producono, e non
possono dirsi tali: e l’individuazione delle consonanze si fonda perciò
necessariamente su una percezione sensibile, la sensazione uditiva. Mi
pare importante ribadire qui e sottolineare che questo doveva essere
vero anche per i Pitagorici (§ 2): e come ci si poteva aspettare, sarà
proprio questo, infatti, uno dei punti centrali del dissenso espresso da
Platone per bocca di Socrate nei confronti della loro impostazione
teorica.
A questo punto, i Pitagorici, misurando e confrontando tra loro
le dimensioni dei corpi vibranti che producono i suoni consonanti,
vengono a sapere che se, per esempio, due corpi vibranti producono
una consonanza di ottava, il suono più grave viene emesso da quello
più grande, e che la dimensione di quest’ultimo è doppia rispetto a
quella del corpo vibrante che produce il suono più acuto. È possibile
esprimere questa relazione in termini matematici, sicché si può dire
che la consonanza di ottava è espressa dal rapporto doppio (2:1). Ana-
logamente, la consonanza di quinta è espressa dal rapporto emiolio
(3:2), in quanto il corpo vibrante che produce il suono più grave è una
volta e mezza più grande di quello che produce il suono più acuto; la
consonanza di quarta è invece espressa dal rapporto epitrito (4:3). È
notevole che in questi rapporti risultino coinvolti i primi quattro nu-
meri naturali, la cui somma è 10 e che danno luogo alla figura della

importante leggere Porph. in Harm. p. 97, 2-5 Düring: kata; de; tou;ς ojrganikou;ς
lurikou;ς sullabh; ei[rhtai ajpo; tou' lurikou' schvmatoς th'ς ceirovς, ejpeidh; ejn
th'/ eJptacovrdw/ crhvsei hJ prwvth suvllhyiς tw'n daktuvlwn kata; to; dia; tessavrwn
ejgevneto suvmfwnon (nel linguaggio dei suonatori di lira il termine sullabhv deriva
dalla forma della mano quando si suona la lira, giacché, nell’uso dell’eptacordo, le
prime corde che le dita prendono insieme formano un intervallo di quarta, che è
consonante); il valore letterale di aJrmoniva è “connessione, adattamento”, quindi
“accordatura”, sicché il termine viene usato per indicare la consonanza per
eccellenza, ossia l’ottava: vd. Nicom. Harm. 9, p. 252, 11-13 Jan; TIMPANARO CARDINI
1962, pp. 208-209; ROCCONI 1998, pp. 347-348.
47
Non sorprende dunque il fatto che, nel pensiero greco, speculazioni relati-
ve alle modalità secondo le quali diverse entità possono fondersi tra loro e venire
a costituire, da una pluralità di elementi, un’unità, prendano le mosse proprio da
questi fatti relativi alla fusione dei suoni e all’impressione che questa fusione gene-
ra sull’udito: l’osservazione è di BARKER 1994, p. 114, che cita come esempi Philol.
44 B 6 D.-K.; Plat. symp. 187a-e, Crat. 405c-d, resp. IV 432a; Arist. Sens. 439a-
440a, 448a.
96 Sulla musica greca antica

tetraktys, somma e figura considerate entrambe sacre nell’ambito del


pitagorismo più antico48.
Stando alle fonti, acquisizioni di questo tipo risalirebbero già ai
primi Pitagorici, tra VI e V sec. a. C., e la tradizione neopitagorica
tende a ricondurle allo stesso Pitagora, che, secondo Diogene Laer-
zio, avrebbe addirittura inventato il «kanwvn di una sola corda» o
monocordo49. Si trattava di uno strumento di indagine acustica costi-
tuito, secondo la descrizione datane da Claudio Tolemeo, da una
corda in tensione su sostegni sferici denominati magavdeς: mantenen-
do costanti la tensione e, ovviamente, lo spessore della corda, se ne
poteva dividere in due parti la lunghezza mediante un ponticello mobile
(magavdion), e si potevano analizzare così, seguendo un metodo in-
duttivo-deduttivo, i rapporti reciproci tra il suono prodotto dalla
vibrazione della corda intera e quelli prodotti dalle parti di essa di
volta in volta delimitate da uno dei sostegni fissi e dal ponticello
mobile, e tra le loro rispettive lunghezze50.
I commentatori moderni accettano in genere la communis opi-
nio, basata appunto sulla testimonianza di Diogene Laerzio, secondo
la quale gli studi dei Pitagorici si sarebbero basati fin dall’inizio pre-
valentemente sulle lunghezze delle corde vibranti, o, grazie all’uso
del monocordo, sulle diverse parti di un’unica corda51. In realtà, è
inverosimile che l’uso del monocordo sia anteriore al IV sec. a. C.52;
e le fonti riferiscono, anche per i Pitagorici più tardi, l’uso altrettan-
to frequente di auloi, syringes, dischi metallici etc. Si può dire in-
somma, e più in generale, che gli studi dei Pitagorici tendevano a

48
Per l’importanza simbolica della decade, vd. Philol. 44 A 13 D.-K., col
commento di TIMPANARO CARDINI 1962, pp. 126-138 e HUFFMAN 1993, pp. 359-
363; vd. pure le osservazioni di CIANCAGLINI 1991, pp. 63-64, con fonti e biblio-
grafia lì citate.
49
Diog. Laert. VIII 12; il problema delle testimonianze neopitagoriche, che
tendono a far risalire a Pitagora in persona acquisizioni successive, è troppo com-
plesso per essere affrontato qui anche solo sommariamente: rimando per questo agli
studi di BURKERT 1972 e CENTRONE 1996 e 2000; in particolare, per Nicomaco, che
attribuisce a Pitagora un’attività sperimentale sulla tensione delle corde vibranti, vd.
MERIANI 1995 e la bibliografia lì citata.
50
Ptol. Harm. I 8, pp. 17, 19-19, 15 Düring con SOLOMON 2000, pp. 24-27,
BARKER 2000c, pp. 192-206, e RAFFA 2002; vd. Hippas. 18, 12 D.-K. (Schol. Plat. Phaed.
108d), 18, 13 D.-K. (Theon Sm. p. 59, 4-21 Hiller), con COMOTTI 1991a; Claudio Tole-
meo descrive anche un altro strumento di sperimentazione sonora nel campo teorico
musicale pitagorico, l’helikon (Ptol. Harm. II 2, pp. 46, 1-49, 3 Düring): su di esso vd.
WEST 1992, pp. 241-242, BARKER 2000c, pp. 206-229, e RAFFA 2002, pp. 371-374.
51
Vd., da ultimo, RAFFA 2000, p. 101.
52
Vd. VAN DER WAERDEN 1943, p. 177; BURKERT 1972, pp. 375 n. 22; 455, n.
40; WEST 1992, pp. 240-241; LANDELS 1999, pp. 131-132.
Teoria musicale e antiempirismo nella Repubblica di Platone 97

mettere in relazione i suoni con le dimensioni dei corpi vibranti (non


soltanto delle corde) che li producevano, e a definire rapporti nume-
rici tra i primi sulla base dei rapporti tra le misure delle seconde.
Non è forse un caso che, nella pagina che ci sta di fronte, Socrate,
al quale le speculazioni dei Pitagorici dovevano essere certo ben note,
non parli esplicitamente di «corde» se non in riferimento ai teorici
evocati da Glaucone (531b).
Ad ogni modo, l’acquisizione importante dei Pitagorici fu che le
consonanze potevano essere rappresentate da rapporti matematici, e
l’esistenza di questo tipo di relazioni numeriche tra misure esprimenti
le dimensioni dei rispettivi corpi vibranti dovette rappresentare un’im-
portante verifica della convinzione razionalistica che esistesse una con-
nessione strettissima tra i numeri e le cose53. Si tratta evidentemente di
un sistema di misurazione relativo, che non prevede una vera e propria
unità di misura: le lunghezze delle corde (o le dimensioni dei corpi
vibranti) che producono i suoni consonanti vengono misurate compa-
randole tra loro e, in un certo senso, una delle due grandezze fornisce
l’unità di misura per l’altra. In sostanza, quando si misura in questo
modo, o una grandezza è funzione dell’altra, o si individua una terza
grandezza in base alla quale sia possibile misurare entrambe. Nel caso
dei rapporti multipli, tra i quali rientra il rapporto doppio 2:1, la gran-
dezza maggiore misura n volte la minore (x=ny). Nel caso dei rappor-
ti emiolio 3:2 ed epitrito 4:3, l’unità di misura per la grandezza maggio-
re è costituita invece dalla differenza tra la grandezza maggiore e quella
minore: rispettivamente, x=3/2y, dove l’unità di misura è 1/2y; x=4/3y,
dove l’unità di misura è 1/3y. Come si vede, i numeri così individuati
sono differenti tra loro (1/2y > 1/3y), e dunque possono fungere da
unità di misura solo per le grandezze coinvolte nel rapporto al quale
ciascuno di essi si riferisce. Il dato è rilevante per quanto si dirà in se-
guito sul sistema di misurazione adottato dai teorici menzionati da
Glaucone. Nel nostro passo, intanto, notiamo che l’espressione ajl<
lhvloiς ajnametrou'nteς alluderà chiaramente a questo tipo di approccio,
e Socrate, che mira a uno studio della teoria musicale totalmente dedut-
tivo, e finalizzato allo studio della dialettica54, ne rileva la sterilità.
Dopo l’intervento di Glaucone, Socrate fornisce altri elementi sul
metodo di lavoro dei Pitagorici. Anche qui il motivo della sua critica
è costituito dal loro eccessivo empirismo in campo teorico musicale:
la loro attenzione si concentra sugli eventi sonori percepibili, e la loro

53
Vd. Arist. Metaph. 985b23-986a12; CIANCAGLINI 1991, p. 64.
54
Vd. §§ 2-3.
98 Sulla musica greca antica

attività intellettuale, che pure cerca i principi numerici (ajriqmou;ς


zhtou'si) che governano quei fenomeni, non arriva al grado di astra-
zione sufficiente per porsi il problema del perché «alcuni numeri sono
consonanti e altri no, e in ciascun caso per quale ragione» (531b).
La critica, ovviamente, andrà riferita ai Pitagorici dell’epoca di
Socrate: nella risposta di Glaucone (Daimovnion [...] pravgma levgeiς), in-
fatti, l’aggettivo daimovnion, riferito all’impostazione teoretica auspica-
ta dal maestro sarebbe stato quanto meno fuori luogo, se l’argomento
affrontato fosse stato già noto al suo pubblico, o, meglio, alla “socie-
tà” formata dai personaggi del dialogo55. Ho già detto qiualcosa sul
valore concettuale dell’espressione suvmfwnoi ajriqmoiv nella prospetti-
va della critica platonica all’empirismo musicale (§ 4). Ma per apprez-
zare la reale portata di questa critica, bisognerà domandarsi in quali
direzioni si mossero, dopo Socrate, le speculazioni pitagoriche in campo
matematico-musicale: è possibile, in altri termini, che ai tempi di So-
crate i Pitagorici non fossero ancora giunti ai risultati che potranno
essere stati ben noti poi a Platone, e che, per bocca di Socrate, Platone
intendesse esprimere qui un giudizio proprio sulle acquisizioni e sui
metodi di indagine dei Pitagorici suoi contemporanei.
È utile allora ricordare che, a partire dagli inizi del IV sec. a. C.,
contemporaneamente all’attività di Platone, nell’ambito del Pitagori-
smo, si assiste a due importanti sviluppi in materia di teoria musicale.
Innanzi tutto, comincia a farsi strada l’idea che possono essere fatti
oggetto di misurazione non più soltanto gli intervalli, e cioè i suoni
presi a due a due, ma che anche l’intonazione di ogni singolo suono
dipende da fattori quantitativi misurabili. In particolare, si giunge al-
l’affermazione che l’intonazione dei suoni dipende dalla frequenza delle
vibrazioni che li producono, ossia dal numero delle vibrazioni sonore
nell’unità di tempo56. In sostanza, si comprende che il suono è il
prodotto di un movimento impresso all’aria da un corpo vibrante,
ed è evidentemente in questo senso che Socrate parla di ejnarmovnioς
forav57. Il progresso è notevole, perché si potranno ora mettere in re-

55
Faccio mia l’osservazione di BARKER 1978a, p. 339, precisandone la porta-
ta: per il concetto di “società dialogica” vd. VEGETTI 2000a.
56
Testimonianze importanti in tal senso sono Ps. Eucl. Sect. Can. p. 114, 6-8
Barbera (=p. 148, 9-11 Jan), che riporta dottrina risalente al IV sec. a. C., e Thphr. fr.
716 Fortenbaugh, sul quale vd. i lavori di BARKER 1977, 1985, 1989a, pp. 110-118.
57
Nell’ambito del pensiero musicale greco è possibile risalire a due concezio-
ni sul movimento musicale: secondo quella implicitamente seguita qui da Platone,
di ascendenza chiaramente architea, ogni singolo suono è il prodotto di un movi-
mento con una certa velocità, e le relazioni tra suoni sono rapporti tra velocità di
movimento. Secondo Aristosseno, invece, la voce ‘si muove’ da un punto all’altro
Teoria musicale e antiempirismo nella Repubblica di Platone 99

lazione anche i numeri applicabili alle frequenze corrispondenti ai suoni


delle consonanze. Si era visto che, considerando le lunghezze delle
corde (o le dimensioni dei corpi) vibranti che producono i suoni, a
suoni più acuti corrispondono corde più corte (o corpi vibranti di di-
mensioni più piccole), e dunque numeri più piccoli. Ora, consideran-
do il fattore frequenza, si comincia a osservare che la relazione esi-
stente tra intonazione e lunghezza (dimensione) è esattamente specu-
lare a quella tra intonazione e frequenza: a suoni più acuti corrispon-
dono frequenze di vibrazioni maggiori, e dunque numeri più grandi;
sicché, mentre la lunghezza della corda corrispondente al suono più
grave di un intervallo di ottava sta con quella corrispondente al suono
più acuto in rapporto 2:1, le frequenze relative ai medesimi suoni sta-
ranno nel rapporto inverso di 1:2. Lo stesso accade anche per le altre
due consonanze, quella di quinta e quella di quarta. In questa ‘specu-
larità’ di rapporti58 è contenuta un’altra proprietà matematicamente in-
teressante: moltiplicando tra loro i rapporti ‘speculari’ si ottiene l’uni-
tà (2/1x1/2 = 1; 3/2x2/3 = 1; 4/3x3/4 = 1). La possibilità di indagine
numerica dell’universo musicale si amplia dunque notevolmente, ag-
giungendo un’ulteriore conferma alla dottrina della corrispondenza tra
i numeri e la realtà.
Un altro passo avanti nel campo della matematizzazione della
teoria musicale fu segnato quando, dall’osservazione e misurazione
empirica dei fenomeni sonori, si passò alla ricerca delle proprietà pu-
ramente matematiche dei rapporti che governano le consonanze. Ci
si mosse sulla base della convinzione che se la coerenza e l’unitarietà
della percezione uditiva destata dalle consonanze dipendono dai rap-
porti numerici che le regolano, esse devono essere il riflesso di una
sorta di speciale coerenza o “consonanza” matematica che caratteriz-
za quei rapporti. Come si vede, è proprio questa la direzione nella
quale Socrate lamentava che i Pitagorici suoi contemporanei non si
muovessero.
In questo senso, è della massima importanza un passo di Porfi-
rio59, che si riferisce al metodo di lavoro di «alcuni Pitagorici» i quali,

nell’ambito dell’estensione (lungo una linea immaginaria chiamata diagramma), e


quando canta una nota, ‘si ferma’ su un punto, per cui le relazioni tra suoni sono
considerate distanze tra punti: vd. Aristox. El. harm. I 8, 13-12, 34 (pp. 13, 14-18,
1 Da Rios); MOUTSOPOULOS 1959, pp. 24-33; BARKER 1989a, p. 55, n. 1.
58
Registrata a partire da Trasillo (I sec. a.C.) ap. Theon Sm. 87, 7-93, 7 Hil-
ler; vd. pure Nicom. Harm. 10, p. 254, 5-13 Jan; Ptol. Harm. I 3, p. 8, 18-21 Düring.
59
Porph. in Harm. pp. 107, 15-108, 21 Düring (= Archyt. 47 A 17 D.-K.):
vd. CIANCAGLINI 1991, p. 150; ecco la porzione di testo che più da vicino ci interessa:
100 Sulla musica greca antica

«dopo aver fissato i rapporti numerici delle consonanze, li confronta-


vano tra loro [...], volendo mostrare quali fossero più consonanti». La
più consonante tra le consonanze risultava essere, naturalmente, l’ot-
tava, ma è importante notare che il confronto prevedeva un comples-
so procedimento di calcoli matematici, e che il motivo dell’eccellenza
dell’ottava era anch’esso di natura squisitamente matematica: «forma-
no una consonanza migliore quei rapporti, nei quali i dissimili sono
più piccoli: pertanto consonante in sommo grado è l’ottava, perché il
suo dissimile è 1»60. Qui si intende per «dissimile» la somma dei nu-
meri che si ottengono sottraendo l’unità a ciascuno dei termini dei
rapporti che regolano le consonanze: per esempio, sottraendo 1 da
ciascuno dei termini del rapporto 4:3, che regola la consonanza di
quarta, si ottengono, rispettivamente, 3 e 2, la cui somma dà 5; per-
tanto, il dissimile della quarta è 5. La medesima operazione, per l’ot-
tava (2:1), dà 1. In sostanza, la consonanza è tanto migliore quanto
più piccoli sono i termini del rapporto matematico che la regola. Inol-
tre, va notato che le fonti di Porfirio riferiscono chiaramente l’agget-
tivo suvmfwnoς a lovgoς, e dunque si può dire che i Pitagorici dei quali
parlano si muovono nel medesimo orizzonte concettuale del passo pla-
tonico che stiamo esaminando61. Il passo «testimonia l’esigenza [...] di
trovare un parallelismo tra la gerarchia di gradevolezza percettiva [...]
e la gerarchia di eleganza di economia numerica astratta»62. Tra le fon-
ti di questa notizia Porfirio cita lo stesso Archita, per cui si deve pen-
sare che al più tardi ai tempi di Archita, ma assai verosimilmente già
prima, in ambito pitagorico, ci si cominciò a chiedere che cosa, da un
punto di vista puramente matematico, rendeva quei rapporti così inte-
ressanti63.
Ulteriori specificazioni sulle dottrine teorico-musicali dei Pitago-
rici sono contenute in un passo di Claudio Tolemeo, convincentemente

Tw' n Puqagorikw' n tine ς , wJ ς j A rcuv t a ς kai; Div d umo ς iJ s torou' s i, meta; to;
katasthv s asqai tou; ς lov g ou ς tw' n sumfwniw' n sugkriv n onte ς auj t ou; ς pro; ς
ajllhvlouς kai; tou;ς sumfwvnouς ma'llon ejpideiknuvnai boulovmenoi toiou'tovn ti
ejpoivoun: segue la descrizione dei calcoli matematici all’uopo escogitati dai Pitagorici.
60
Ho riportato la traduzione di CIANCAGLINI 1991, pp. 151-152; vd. il com-
mento di BARKER 1989a, pp. 34-36; echi di questa terminologia (simile/dissimile)
sono presenti, diversamente contestualizzati, in Plat. Tim. 80a-b: vd. BARKER 1989a,
p. 62, n. 31.
61
Nel suo commento, TIMPANARO CARDINI 1962, p. 322 parla, secondo me a
torto, di “suoni più o meno consonanti” (corsivo mio).
62
Così CIANCAGLINI 1991, p. 152.
63
Porfirio cita anche Didimo, sul quale vd. sopra, nota 19.
Teoria musicale e antiempirismo nella Repubblica di Platone 101

riferito alle dottrine di Archita64. Vi si dice che i Pitagorici, partendo dal


fatto che a numeri uguali corrispondono suoni di altezza uguale e a
numeri disuguali suoni di altezza disuguale, argomentano che, dal
momento che esistono due forme (ei[dh) di rapporti fra suoni disuguali,
le consonanze e le dissonanze, e che le consonanze appartengono alla
forma più bella (kavllion to; tw'n sumfwvnwn, scil. ei\doς), esisteranno
anche due classi (diaforaiv) di rapporti fra numeri disuguali, e l’una sarà
preferibile (ajmeivnwn) all’altra. Se gli intervalli musicali sono in ultima
analisi rapporti tra numeri, è lecito aspettarsi che a significative diffe-
renze percettive relative a classi di intervalli, debbano corrispondere
significative differenze di ordine puramente matematico che individua-
no differenti classi di rapporti. In particolare, a intervalli giudicati este-
ticamente, o percettivamente, più belli (le consonanze), si suppone che
corrispondano rapporti numerici dotati di uno status in qualche modo
più elevato, da un punto di vista intrinsecamente matematico. E, infine,
ci si aspetta che le proprietà di quei rapporti spieghino le caratteristiche
estetiche di quegli intervalli. Il testo di Tolemeo fa pensare che l’argo-
mentazione seguita dai Pitagorici sia comunque di tipo induttivo: per
passare dalla considerazione sul punto di partenza del metodo dei Pi-
tagorici (ajrch;n ga;r oijkeiotavthn poihsavmenoi th'ς meqovdou) al seguito
del discorso relativo alle classi di intervalli e alle relative classi di rap-
porti, l’espressione toujnteu'qen ejpavgousi allude chiaramente al proce-
dimento dell’ejpagwghv (induzione, astrazione), e in realtà il discorso
giunge all’astrazione matematica procedendo da dati empirici, come
appunto i gradevoli effetti che le consonanze esercitano sull’udito65.
Tolemeo distingue la classe di rapporti chiamati epimerici ovvero
‘di numero a numero’ da una parte e quella dei rapporti epimorici e
multipli dall’altra. Tecnicamente, viene detto epimorico (ejpimovrioς) un
rapporto nel quale il numero maggiore contiene il minore più una sua
parte, secondo la formula [n+(n:a)]:n, nella quale n e a sono numeri
interi maggiori di 1. Sono rapporti epimorici, per esempio, 6:4 (in
quanto 6 contiene 4 più la sua metà, ossia 2) e 4:3 (in quanto 4 contie-
ne 3 più la sua terza parte, ossia 1), e così via66. Semplificando, ogni
rapporto epimorico può essere ridotto alla formula (a+1):a, con a>1,
in quanto, per esempio, 6:4=3:2, e così via. Sono invece rapporti mul-

64
Ptol. Harm. I 5, pp. 11, 8-12, 7 Düring: accolgo qui le conclusioni di Barker
1994, ribadite e ulteriormente precisate in BARKER 2000c, pp. 54-73; vd. anche il
suo commento in BARKER 1989a, pp. 284-285.
65
Sull’argomento rimando alle osservazioni di BARKER 1994, pp. 118-119 e di
BARKER 2000c, p. 60.
66
Vd. Theon Sm. p. 76, 21-77, 2 Hiller.
102 Sulla musica greca antica

tipli (pollaplavsioi) quelli nei quali il numero maggiore contiene n


volte quello minore, secondo la formula x:ny. Il rapporto che non rien-
tri in una di queste due categorie viene chiamato epimerico, o ‘di nu-
mero a numero’ (ejpimerei'ς, ajriqmo;ς pro;ς ajriqmovn). La classe dei rap-
porti multipli ed epimorici è quella preferibile, grazie alla semplicità
della comparazione (kata; th;n aJplovthta th'ς parabolh'ς), e le conso-
nanze sono espresse soltanto da rapporti di questo tipo. In sostanza,
in un rapporto matematico che esprime una consonanza, o uno dei due
termini è multiplo dell’altro (come per esempio nel rapporto doppio,
2:1, che esprime la consonanza di ottava) ovvero sta con l’altro in rap-
porto epimorico (come per esempio nei rapporti epitrito, 3:2, ed emio-
lio, 4:3, che esprimono, rispettivamente, le consonanze di quinta e di
quarta)67. Anche qui troviamo l’affermazione dell’eccellenza della con-
sonanza di ottava, definita kallivsth, e del rapporto doppio, definito
a[ristoς.
In entrambi i testi è evidentemente operante la classificazione dei
rapporti, così come la conosciamo dall’introduzione della Sectio cano-
nis attribuita a Euclide68. L’autore presenta tre tipi di rapporti mate-
matici: i multipli, del tipo x:ny, gli epimorici, del tipo (n+1):n e i su-
perpazienti, del tipo (n+p):n, con p maggiore di 1 e minore di n (es.
[5+2]:5). Le consonanze sono espresse soltanto dai rapporti multipli
ed epimorici. Per quanto si tratti di una formulazione posteriore al-
l’epoca di Platone, ci sono buoni motivi per ritenere che la dottrina
risalga almeno ad Archita69, col quale Platone dovette avere senz’altro
una notevole familiarità. Sappiamo infatti che, nel corso del suo se-
condo viaggio in Sicilia (367/6 a. C.), Platone favorì rapporti di amici-
zia tra Dionigi II di Siracusa da un lato e Archita e i Tarantini dall’al-
tro70: è presumibile allora che i suoi rapporti con Archita risalissero a
un periodo anteriore, probabilmente quello del suo primo viaggio in
Italia meridionale e in Sicilia (388/7 a. C.)71.
67
Si vede bene come il rapporto doppio, pur essendo di tipo (a+1):a non
rientri nella categoria dei rapporti epimorici, ma in quella dei rapporti multipli,
perché il numero maggiore, 2, contiene due volte quello minore, 1, e non quello
minore più una sua parte: e si comprende anche perché, nella formula dei rapporti
epimorici, è necessario che n e a siano maggiori di 1.
68
Vd. Ps. Eucl. Sect. Can. p. 116, 2-11 Barbera (p. 149, 11-24 Jan).
69
Vd. le convincenti argomentazioni di BARKER 1978a, p. 338-340; di Archita
sappiamo infatti che riuscì a dimostrare che non può esistere un numero intero che
rappresenti la media geometrica tra due numeri che stanno tra loro in rapporto
epimorico: vd. 47 B 19 D.-K. (=Boeth. De mus. III 11).
70
Plat. epist. VII 338c = 47 A 5 D.-K.
71
Vd. TIMPANARO CARDINI 1962, pp. 281-282; sui rapporti tra Platone e Ar-
chita, vd. THESLEFF 1962, MATHIEU 1987 e, da ultimo LLOYD 1990, pp. 159-174; per
Teoria musicale e antiempirismo nella Repubblica di Platone 103

Ora, tralasciando una più approfondita analisi tecnica dei passi di


Porfirio e di Claudio Tolemeo, mi pare importante notare che essi
testimoniano l’esigenza, fortemente avvertita in ambienti pitagorici al
tempo di Platone, di indagare sulle proprietà puramente matematiche
dei rapporti numerici che regolano le consonanze. I rapporti multipli
ed epimorici, grazie alla loro semplicità, e, per così dire, ‘eleganza’
matematica, venivano considerati dai Pitagorici matematicamente ec-
cellenti. Lo stretto collegamento tra l’eccellenza matematica di questi
rapporti e l’eccellenza sensoriale esercitata sull’udito dalle consonanze
indusse a ritenere che la prima fosse la controparte formale della se-
conda, e che fosse in grado di spiegarla72. I Pitagorici della generazio-
ne di Archita basavano insomma il loro edificio concettuale sulla con-
vinzione che «what is aestetically finer goes with what is mathemati-
cally better»73. Questa, a partire dai tempi di Archita, e forse già pri-
ma, dovette diventare insomma una questione assai importante ed ecco
perché, nel testo di Platone che qui ci interessa, Socrate insiste che gli
studiosi di teoria musicale cerchino quali numeri (e non quali suoni)
siano consonanti e quali no: evidentemente, ai tempi di Socrate, e del-
la data drammatica della Repubblica, queste indagini non erano state
ancora avviate, o erano forse in una fase appena embrionale, ma i ri-
sultati di esse costituivano già una parte importante della dottrina di
Platone, che le porrà a fondamento della sua divisione dell’anima del
mondo nel Timeo74, ed erano certamente in corso di avanzata elabora-
zione contemporaneamente alla composizione della Repubblica. Met-
tere in bocca a Socrate l’esigenza di uno studio di questo tipo all’in-
terno del sistema di scienze che fa da preludio alla dialettica, in un
dialogo ambientato qualche decennio prima della sua composizione

i problemi suscitati dalla notizia, risalente ad Aristox. fr. 50 Wehrli, di rapporti tra
la corte di Dionigi II e Archita e da quella, certo più problematica, riferita da Cic.
Cat. m. 12, 41 ma anch’essa verosimilmente derivata da Aristosseno, di un incon-
tro tra Archita e Platone a Taranto, vd. WUILLEUMIER 1939, p. 69; WUILLEUMIER
1961, pp. 46-46; MELE 2000: entrambe le notizie sono rubricate sotto Archyt. 47 A
9 D.-K.; per i viaggi e le dimore di Platone, vd. WILAMOWITZ-MOELLENDORFF 1959
(1919), pp. 242-253; 537-556; PASQUALI 1967 (1938), pp. 27-34; 45-69.
72
BARKER 1991b, pp. 116-119, ha raccolto una serie di testi antichi evidente-
mente tesi a dimostrare la correlazione tra semplicità matematica e piacevolezza
uditiva delle consonanze.
73
È la felice formulazione di BARKER 1994, p. 119.
74
Vd. Plat. Tim. 35b-36a: la scala musicale qui elaborata da Platone è una
«costruzione puramente metafisica, ottenuta mediante procedimenti aprioristico-
deduttivi» (così CIANCAGLINI 1991, p. 243, che richiama giustamente FRANK 1923,
pp. 161-167); cf. Nicom. Harm. 8, pp. 250, 4-252, 2 Jan; Aristid. Quint. De mus.
III 5, pp. 100, 17-101, 23 Winnington-Ingram.
104 Sulla musica greca antica

rappresenta forse il migliore apprezzamento del lavoro svolto in que-


sto senso dai Pitagorici, e da Archita in particolare75.
Su un altro versante Archita ci è noto per aver esteso i metodi
dell’analisi matematica degli intervalli a tutti e tre i generi della prassi
musicale del suo tempo, l’enarmonico, il cromatico e il diatonico,
individuando, per ciascuno di essi, specifiche configurazioni nume-
riche76. In particolare, è stato dimostrato che a trovare concreta
applicazione in questo campo furono i suoi studi sulle medie ma-
tematiche (in particolare quella aritmetica e quella armonica), dei
quali ci è data notizia da Porfirio77. I procedimenti applicativi, trop-
po complessi per essere esposti qui anche solo sommariamente, di-
vennero uno strumento efficace per la descrizione accurata della di-
visione dei tetracordi e per l’analisi degli intervalli dei tre generi
musicali78. Il loro carattere evidentemente deduttivo, e il loro inten-
to di spiegare le ragioni puramente matematiche per le quali alcuni
rapporti erano musicalmente accettabili e altri no, andavano chiara-
mente nella direzione invocata da Platone, salvo il fatto fondamen-
tale che la loro motivazione di partenza era troppo legata alla prassi
musicale del suo tempo. A prestare il fianco alla critica platonica
doveva essere il fatto che l’elaborazione matematica era legata e si
fondeva con l’osservazione empirica attenta, alla ricerca di una spie-
gazione teoreticamente plausibile di fenomeni sensibili e di una prassi
musicale consolidata: gli elementi positivi rappresentati dall’impo-
stazione matematica del problema erano in qualche modo offuscati
dall’attenzione riservata ai suoni realmente uditi, quelli adoperati
nella pratica dai musicisti, che venivano a rappresentare un impedi-
mento a possibili ulteriori sviluppi in direzione della ricerca e della
soluzione di problemi di matematica pura. D’altronde, anche sul fronte
della geometria sappiamo che Platone nutriva una netta avversione

75
In questo senso, vd. BARKER 1994, pp. 133-135. Sui problemi della data di
composizione della Repubblica (385-375; 390-370; 360 a. C.) e di quella in cui il
dialogo è ambientato (411? 425-422?), vd. VEGETTI 1998a; 1999, pp. 3-5; l’attività di
Archita, che visse tra il 430 e il 360 a. C., si colloca tra la fine del V e la prima
metà del IV sec. a. C.: vd. nota 6.
76
Archyt. 47 A 16 D.-K. (=Ptolem. Harm. I 13, pp. 30, 9-31, 18 Düring): è
ben noto che i Pitagorici più antichi, come per esempio Filolao, consideravano
soltanto il genere diatonico, ed è a questo genere che appartiene la scala che Plato-
ne riporta nel Timeo.
77
Porph. in Harm. pp. 92, 27-93, 17 Düring (=47 B 2 D.-K.).
78
Un’accurata descrizione dei complessi procedimenti matematici e delle
molteplici implicazioni tecniche, è quella di Barker 1989b (vd. anche BARKER 1989a,
pp. 46-52 e WINNINGTON-INGRAM 1932).
Teoria musicale e antiempirismo nella Repubblica di Platone 105

nei confronti dell’impostazione empiristica data da Archita alla


materia79.
Ma un’impostazione totalmente deduttiva della scienza musicale
è di fatto impossibile, perché in musica l’esigenza della verifica sen-
soriale rimane imprescindibile. Una volta che i rapporti matematici
corrispondenti agli intervalli musicali siano stati individuati, e dedut-
tivamente derivati, per acquisire la certezza che essi sono corretti da
un punto di vista specificamente musicale, si ha comunque bisogno di
tornare a verificarne l’effetto uditivo80. E soprattutto, la speculazione
teorico-musicale dei Pitagorici si confrontava comunque con l’oriz-
zonte fenomenico della musica effettivamente praticata. Platone va-
gheggiava invece la costruzione di una teoria musicale che offrisse
l’opportunità di una contemplazione teoretica pura: le sue strade e
quelle dei Pitagorici del suo tempo, per questo aspetto, erano desti-
nate a divergere. Prendendo alla lettera e portando alle estreme con-
seguenze le istanze teoretiche di Platone, si sarebbe giunti non soltan-
to a una riforma della teoria musicale in senso antiempiristico, ma a
una sua abolizione come tale: non c’è musica senza suoni, e senza
musica non c’è teoria musicale. Ma la teoria musicale ‘sorda’ auspicata
da Platone si configura, in sostanza, come uno strumento euristico e
teoretico astratto, che dalla musica prende soltanto le mosse, per poi
staccarsene progressivamente, definendo campi e metodi di indagine
del tutto autononi. D’altra parte, è indubbio che la progressiva astra-
zione data dai Pitagorici contemporanei ai problemi musicali costitu-
isse nel suo insieme un esempio estremamente significativo di un per-
corso di regolazione e rigorizzazione, in un campo epistemico esposto
forse più di ogni altro ai “pericoli” di derive ultraempiristiche, perché
istituzionalmente legato al dato fenomenico. E la riforma del com-
plesso di discipline propedeutiche alla dialettica prospettata da Plato-
ne non poteva, per quest’altro verso, non accogliere aspetti non se-
condari della speculazione teorico musicale dei Pitagorici. In questo
senso, l’accusa di eccessivo empirismo rivolta ai Pitagorici dei tempi
di Socrate, pur se storicamente fondata, anche in relazione a una parte
almeno della successiva attività teorica di Archita, ci appare come una
vera e propria provocazione intellettuale.

79
Vd. Plut. Marc. 14, 9-11; Quaest. conv. VII 718E-F; CAMBIANO 1996.
80
Vd. però, in ambiente pitagorico, le posizioni estremistiche sulle quali ci
informa Tolemaide di Cirene ap. Porph. in Harm. pp. 25, 25-26, 1 Düring; su To-
lemaide, vd. § 2 e nota 12.
106 Sulla musica greca antica

8. La “terza via”: gli aJrmonikoiv

La scena del dialogo tra Socrate e Glaucone si apre alla conside-


razione di un altro gruppo di teorici, che, in assenza di un’esplicita
denominazione, possiamo prenderci la libertà di chiamare aJrmonikoiv.
Come ho accennato (§ 6), il nostro passo, composto in pieno IV sec.
a. C. ma relativo a una realtà di diversi decenni precedente, è una
testimonianza preziosa sui primordi della loro attività teorica. Come
i Pitagorici, si prefiggono anch’essi di misurare gli intervalli, ma con
parametri di misurazione e metodi di indagine notevolmente diffe-
renti. Il loro scopo è trovare, tra i piccoli intervalli che costituiscono
l’oggetto delle loro ricerche, l’intervallo più piccolo, che possa servi-
re come unità di misura assoluta (smikrovtaton [...] diavsthma, w|/
metrhtevon: 531a): ma l’individuazione di esso avviene su base esclu-
sivamente sensoriale, sicché viene puntualmente stigmatizzato il rela-
tivismo dei loro risultati.
Le pratiche di questi “ultraempiristi” vengono infatti giudicate
ridicole da Glaucone (531a: geloivwς), e Socrate, con evidente ironia,
applica loro l’aggettivo crhstovς81. Particolarmente vivida risulta poi
la descrizione della metaforica “tortura” che infliggono alle corde
(531b), per la quale lo stesso Socrate adopera il termine eijkwvn82: la
terminologia ( prav g mata parev c w, basaniv z w, streblov w , plhghv ,
kathgoriva) fa pensare appunto a pratiche di tortura inflitte da una
corte di giustizia. Dei tre verbi, efficacemente disposti in kli'max
ascendente, basanivzw e streblovw pertengono proprio alla sfera
semantica della tortura83; in questo contesto, anche kovllopeς, termine
tecnico musicale che designa i piroli, congegni atti a regolare la tensione
delle corde dello strumento musicale, richiama alla mente la ruota per
la tortura84. Il periodo è strutturato in modo che alle «percosse inferte
col plettro» e alle «accuse» rivolte alle corde dai loro metaforici
“torturatori” rispondano il rifiuto delle imputazioni e le orgogliose

81
Mi viene in mente Aristoph. Nub. 8, dove Strepsiade adopera crhstovς in
riferimento a Fidippide, con analoga, anche se più marcata e scoperta intenzione;
in Demosth. XXIII 169; XVIII 130 il termine assume una connotazione evidente-
mente sarcastica.
82
Su questo termine tecnico del metalinguaggio critico-retorico, vd. GUIDO-
RIZZI-BETA 2000.
83
Vd. LSJ9 s. vv. basanivzw, II 2; streblovw, II 2: questa forma di tortura era
normalmente inflitta agli schiavi durante i procedimenti giudiziari: vd. Aristoph.
Ra. 620; significativa anche l’occorrenza platonica di resp. II 361e; per il valore
giudiziario di pravgmata parevcw ADAM 1963, p. 134, richiama Plat. Crit. 44e.
84
Vd. ADAM 1963, p. 134; BARKER 1989a, p. 56, n. 4; BARBERA 1981, p. 400.
Teoria musicale e antiempirismo nella Repubblica di Platone 107

proteste di innocenza delle corde “torturate”85. E ironia traspare anche


dalle parole di Glaucone, che descrive l’atteggiamento di questi teorici
con l’orecchio teso a percepire ogni minima variazione dell’altezza dei
suoni, come quando si è intenti a cercare di captare le voci dei vicini
di casa (531a).
È importante ribadire un punto centrale dell’impostazione
teorica degli aJrmonikoiv, che traspare qui dall’uso di due termini tecnici:
puvvknwma e diavsthma (531a). Il primo richiama immediatamente il
puknov n di cui parla Aristosseno e che designa quella parte del
tetracordo in cui la somma di due intervalli risulta minore del terzo
intervallo86. Il termine è il neutro sostantivato dell’aggettivo puknovς
(“fitto, folto, denso, stretto, compatto”) e si applica soltanto ai
tetracordi enarmonico e cromatico, visto che nel genere diatonico la
somma di due intervalli è sempre maggiore del terzo intervallo: l’idea
di fondo è chiaramente quella di designare metaforicamente uno ‘spazio
sonoro’ nel quale i suoni si trovano a essere piuttosto ‘ravvicinati’.
Alla medesima sfera di significato appartengono i termini
katapuvknwsiς e katapuknovw, sempre da Aristosseno riferiti all’analisi
musicale praticata dagli aJrmonikoiv87. Anche diavsthma ha propriamente
un valore spaziale, ricavabile dalla chiara connessione con la radice
sta – e dalla derivazione dall’intransitivo diasth'nai: da “distanza tra
due punti nello spazio” il termine passa a significare, tecnicamente,
“spazio compreso tra due note che non stanno sullo stesso grado”88.

85
L’espressione hJ eijkw;n [...] pevri equivale a hJ eijkw;n levgousa peri; [...]; la
posizione di pevri, in anastrofe, divide plhgw'n e kathgorivaς da ejxarnhvsewς e
ajlazoneivaς, sicché plhvktrw/ te plhgw'n gignomevnwn kai; kathgorivaς andranno
considerate come le azioni dei musicisti “torturatori”, ed ej x arnhv s ew ς kai;
ajlazoneivaς come le reazioni delle corde “torturate”; tutti i genitivi dipendono
chiaramente da pev r i , tranne cordw' n , genitivo soggettivo che determina sia
ej x arnhv s ew ς sia aj l azoneiv a ς: su quest’immagine assai vivida, vd. le puntuali
osservazioni e l’efficace parafrasi di ADAM 1963, pp. 134, 187-188.
86
Aristox. El. harm. I 24, 10-15 (p. 31, 3-5 Da Rios); I 50, 15 (p. 62, 14-18
Da Rios); vd. Bacch. Harm. 20, p. 298, 1-2 Jan, i passi aristossenici citati a nota 40,
e il termine puknovthς in Plat. leg. VII 812d; probabilmente, come fa notare ADAM
1963, p. 133, l’origine della metafora va rintracciata nel linguaggio tecnico della
tessitura: in Aesch. Supp. 235 il termine puvknwma designa vesti di tessuto a trama
fitta (vd. ThGrL, s. v. puvknwma); su tetracordi e generi, vd. qui, cap. II § 4.
87
Vd. Aristox. El. harm. I 7, 20-30 (p. 12, 8-16 Da Rios); I 27, 30-28, 5 (p.
36, 1-5 Da Rios); II 37, 30-38, 5 (p. 47, 13-17 Da Rios); II 53, 1-5 (p. 66, 1-5 Da
Rios); su questa terminologia, che mira alla trasposizione degli intervalli individua-
ti mediante l’udito in un sistema visivo-spaziale, vd. BÉLIS 1986, pp. 133-167 e ROC-
CONI 1999.
88
Aristox. El. harm. I 15, 25 (pp. 20, 20-21, 1 Da Rios); con tutta probabi-
lità, è dall’ambito degli aJrmonikoiv che l’uso del termine diavsthma si diffuse anche
108 Sulla musica greca antica

Come ho accennato (§ 6), alla base di questa terminologia, e di questo


tipo di speculazione teorica, è sottesa una concezione spaziale
dell’universo sonoro: i suoni sono concepiti e rappresentati, su una
retta immaginaria, come punti privi di dimensione, posti gli uni dagli
altri a una certa distanza misurabile, e gli intervalli musicali non sono
altro che la misura di quella distanza. Questa concezione geometrico-
spaziale dell’universo sonoro, tanto lontana da quella pitagorica,
impostata invece in termini squisitamente aritmetici89, viene avviata
ed elaborata proprio nell’ambito delle ricerche degli aJrmonikoiv, per
dare poi i suoi frutti più maturi nell’opera di Aristosseno, che la
assumerà a base della sua speculazione teorica90.
Dall’elaborata immagine adoperata da Socrate per descrivere le
loro procedure si comprende che gli aJrmonikoiv si servivano, per le loro
indagini, di un sistema di corde vibranti – presumibilmente, vista la
menzione dei kovllopeς, di un vero strumento musicale come per esem-

«in altri ambienti interessati alla speculazione sul suono»: lo fa notare opportuna-
mente ROCCONI 1999, p. 97, che rileva come in Plat. Phileb. 17c esso appaia già
consolidato come tecnicismo, e come, grazie ai «contatti tra i diversi gruppi inte-
ressati alla speculazione musicale», «la sua prima attestazione con valore musicale
appaia proprio nel frammento di un pitagorico», Archita (47 B 2 D.-K.); in dire-
zione opposta, le tesi di SZABÓ 1978, pp. 110-111, e RIETHMÜLLER 1985, che ricon-
ducono ad ambiente pitagorico l’origine della connotazione musicale del termine:
ma, ad avvalorare la tesi della Rocconi, e nello stesso tempo a precisare la sua se-
conda affermazione, è molto interessante notare come, nella realtà alla quale il nostro
testo si riferisce, il pieno V sec. a. C., epoca precedente all’attività teorica di Archi-
ta, il termine sia presentato come già di uso comune in senso tecnico proprio nel-
l’ambiente degli aJrmonikoiv; è difficile accettare il tentativo di RAFFA 2000, p. 102,
di stabilire una diacronia «dalla lessicalizzazione dell’intervallo come distanza tra
due punti/suoni (diavsthma) a quella delle somme e delle differenze degli intervalli
come somme e differenze di rapporti»: un tentativo sostanzialmente basato, a quanto
capisco, sulla convinzione esplicita (p. 101) che l’uso del monocordo fosse diffuso
e comune a partire da Pitagora (ma per questo, vd. § 7), e su quella implicita che la
lessicalizzazione spaziale dell’intervallo musicale fosse cronologicamente preceden-
te a quella matematica, il che non è affatto pacifico; in sostanza, si può dire che,
quando diavsthma viene adottato in ambito pitagorico, la sua lessicalizzazione
musicale nel senso spaziale di ‘intervallo’, doveva essere già avvenuta all’interno dei
domini degli aJrmonikoiv: ma, in precedenza, i Pitagorici avevano già cominciato a
riflettere sulla realtà sonora in termini numerico-matematici, e, per un tratto alme-
no del percorso, la loro speculazione doveva essersi svolta contemporaneamente a
quella degli aJrmonikoiv; andrà rilevato anche che, nella letteratura musicologica a
partire almeno dalla Sectio Canonis pseudoeuclidea, ha inizio un imbarazzante scam-
bio dei termini lovgoς e diavsthma, per cui spesso si trova l’uno in contesti nei quali
ci si aspetterebbe di trovare l’altro.
89
Vd. BÉLIS 1986, p. 152: «La conception ‘topologique’ des sons organisés en
systèmes et la conception ‘numerique’ des intervalles sont inconciliables».
90
Fondamentali, su questo argomento, BÉLIS 1986 e ROCCONI 1999.
Teoria musicale e antiempirismo nella Repubblica di Platone 109

pio la lira –, e che operavano su di esso variando la tensione delle cor-


de: a differenza dei Pitagorici, che ne consideravano le lunghezze.
Converrà qui ricordare che i fattori che possono concorrere alla
variazione dell’altezza dei suoni prodotti dalle corde vibranti sono tre:
il loro spessore, la tensione a cui vengono sottoposte, la loro lunghez-
za. Ceteris paribus, suoni più gravi corrispondono, di volta in volta, a
spessori maggiori, a tensioni minori, a lunghezze maggiori; e vicever-
sa, suoni più acuti corrispondono a spessori minori, a tensioni mag-
giori, a lunghezze minori.
Ora, la metaforica descrizione di Socrate, e in particolare l’espres-
sione ejpi; tw'n kollovpwn streblou'ntaς (531b), obbliga a pensare che
le corde dello strumento musicale adoperato da questi teorici “tortu-
ratori” alla ricerca dell’intervallo minimo, venissero sottoposte a ten-
sioni sempre maggiori. Fermo restando ciò, sono possibili, in astratto,
varie ipotesi sulle loro effettive procedure.
La prima prevede che, dopo aver apprezzato l’altezza del suono
prodotto da una corda messa in vibrazione, operando sul pirolo attor-
no al quale era avvolta, ne aumentassero minimamente la tensione per
poi produrre un suono minimamente più acuto. Ma non si può fare a
meno di notare che, procedendo in questo modo, risulterebbe estre-
mamente difficile poter comparare gli intervalli tra di loro: e proprio
la comparazione tra intervalli sembra essere indispensabile invece per
l’individuazione dell’intervallo minimo. Peraltro, nel nostro passo si
parla di «corde», al plurale.
Un’altra possibilità prevede che si servissero di due corde into-
nate su due suoni diversi: per cercare l’intervallo minimo bisognava
diminuire a poco a poco l’ampiezza dell’intervallo di partenza, e se,
come si è detto, bisognava farlo aumentando e non diminuendo la
tensione di una delle due corde, era necessario agire sulla corda che
emetteva il suono più grave. Così, mediante il confronto col suono
della corda la cui tensione veniva mantenuta costante, risultava senz’al-
tro meno difficile il controllo dell’intonazione del suono cercato.
Una terza possibilità prevede l’uso di tre corde: la prima doveva
essere intonata su un suono più grave della seconda, e l’intonazione
di queste due corde doveva essere tenuta costante; una terza corda
doveva servire, variandone la tensione, per individuare un suono che
fosse allo stesso tempo più acuto di quello prodotto dalla prima corda
e più grave di quello prodotto dalla seconda. Una volta individuato
questo suono, si poteva procedere ulteriormente, mantenendo co-
stanti le intonazioni della seconda e della terza corda, e aumentando
la tensione della prima, all’individuazione di un altro suono che avesse
110 Sulla musica greca antica

un’intonazione intermedia tra quelle delle corde mantenute fisse.


Operando in questo modo, si venivano a produrre, di volta in volta,
due intervalli, presumibilmente di eguale ampiezza, ma comunque
più piccoli di quello di partenza: quello tra il suono più grave e il
suono intermedio, e quello tra quest’ultimo e il suono più acuto.
Risulta evidente che la comparazione tra i due intervalli veniva in
questo caso estremamente facilitata. A mio parere questa terza ipo-
tesi potrebbe essere avvalorata anche dalla frase «alcuni sostengono
di udire ancora una nota intermedia, e che questo va considerato
l’intervallo minimo e dunque adottato come unità di misura (oiJ mevn
fasin e[ti katakouvein ejn mevsw/ tina; hjch;n kai; smikrovtaton ei\nai
tou'to diavsthma, w|/ metrhtevon: 531a)», nella quale l’espressione ejn
mevsw/ induce a pensare che si fosse in grado di percepire, e che dunque
fosse possibile produrre, un suono dall’intonazione intermedia fra
altri due suoni dati91.
Virtualmente, questo procedimento avrebbe potuto durare all’in-
finito, essendo virtualmente infiniti gli incrementi di tensione che si
possono imprimere a una corda vibrante, unico limite essendo, ovvia-
mente, la limitata capacità della corda di resistere intatta a tensioni sem-
pre maggiori. Inoltre, bisognerà ammettere che, teoricamente, le tre
corde non arriveranno mai ad essere intonate sullo stesso suono, per-
ché, come su una retta tra ogni punto e ogni altro punto ci sono infi-
niti punti, così tra ogni suono e ogni altro suono sono postulabili in-
finiti suoni92. Ma, a parte le limitate possibilità, anche su uno strumento
musicale moderno, di regolare con precisione micrometrica la tensio-
ne delle corde, esiste un altro limite pratico alla verificabilità di questo
teorema, ed è rappresentato dalla limitata capacità dell’udito, che varia
comunque da individuo a individuo, di apprezzare le differenze di
intonazione. In altri termini, più piccola è la differenza di intonazione
tra due suoni, meno un orecchio comunemente allenato è in grado di
percepirla e apprezzarla. Ecco perché, giunti in prossimità della “so-
glia di percepibilità” delle differenze tra i suoni, si è portati a conside-
rare uguali per intonazione due suoni che sono invece diversi. Ora, il
nostro passo ci riporta proprio una discussione su questo tema: «alcu-
ni sostengono di udire ancora una nota intermedia, e che questo va
considerato l’intervallo minimo e dunque adottato come unità di mi-

91
Ritengo che quest’ipotesi risolva anche le perplessità espresse, proprio
sull’espressione ejn mevsw/, da BARKER 1989a, p. 56, n. 3.
92
Vd. BURKERT 1972, p. 372.
Teoria musicale e antiempirismo nella Repubblica di Platone 111

sura, mentre altri ribattono che si tratta di un suono uguale ai prece-


denti» (531a)93.
Una delle metafore più interessanti del successivo intervento di
Socrate riguarda le accuse degli aJrmonikoiv alle corde da loro sottopo-
ste a tortura, e le risposte delle corde a queste accuse. In un testo così
denso di indicazioni tecniche, è legittimo domandarsi quale sia il mo-
tivo del contendere: di che cosa, musicalmente parlando, i musicisti
accusano le corde, e a che cosa, musicalmente parlando, si riferiscono
i termini ejxavrnhsiς e ajlazoneiva?
Trattandosi di un contesto che riguarda esclusivamente l’altezza
dei suoni, e non la loro intensità o volume, va detto subito che non
convince l’interpretazione di chi, facendo dipendere ejxarnhvsewς e
ajlazoneivaς da kathgorivaς, intende che i teorici accusino le corde di
non suonare o di suonare troppo forte: ejxavrnhsiς potrebbe avere a
che fare con il rifiuto di suonare, ma ajlazoneiva non si può in questo
caso intendere con «amplificazione del suono»94. Si potrà pensare in-
vece che le accuse alle corde riguardino la mancata produzione del
suono cercato. Ovviamente, da un punto di vista oggettivo, le accuse
sono ingiuste, perché, a rigore, ogni pur minima modificazione della
tensione di una corda vibrante produce una variazione dell’altezza del
suono prodotto. Ma, come ho sottolineato più sopra, non tutte le va-
riazioni di altezza sono distintamente percepibili dall’orecchio. In so-
stanza, nella vivida immagine platonica, le corde torturate non hanno
fatto altro che riprodurre esattamente i suoni corrispondenti alle ten-
sioni alle quali sono state sottoposte dagli aJrmonikoiv loro torturatori.
Questi ultimi, non essendo in grado di apprezzare le differenze di
intonazione, rivolgono le loro accuse infondate alle corde, che rispon-
dono negando gli addebiti (ejxavrnhsiς) e protestando baldanzosamen-
te la propria innocenza (ajlazoneiva).
Come ho avuto modo di accennare, la ricerca del più piccolo
intervallo percepibile è funzionale, per gli aJrmonikoiv, all’individuazio-
ne di un’unità di misura, della quale tutti gli altri intervalli potessero
essere considerati multipli: un sistema di misurazione assoluto, che dif-
feriva radicalmente da quello adottato dai Pitagorici, i quali, come si è
detto, consideravano gli intervalli come rapporti matematici. Le fonti
ci informano che gli aJrmonikoiv erano in grado, su base empirico-udi-
tiva, di dividere l’intervallo di tono, rappresentato per i Pitagorici dal

93
Vd. BARKER 1978b, pp. 10-13, con utili dettagli tecnici.
94
Un panorama delle differenti interpretazioni è fornito da ADAM 1963, pp.
187-188.
112 Sulla musica greca antica

rapporto 9:8, in due semitoni uguali, e di dividere ulteriormente cia-


scun semitono in parti uguali sempre più piccole. Tutto ciò era fuori
dall’orizzonte matematico dei Pitagorici: è matematicamente impossi-
bile dividere il rapporto 9:8 in due parti uguali, espresse da numeri
interi95. Per entrambi il tono era rappresentato dalla differenza tra l’in-
tervallo di quinta e quello di quarta, ma gli aJrmonikoiv, grazie al loro
sistema di divisione meramente empirico-uditivo, e alla loro concezio-
ne visivo-spaziale dei suoni, poterono servirsi di quest’acquisizione per
misurare in termini assoluti l’ampiezza di tutti gli intervalli. Fu pro-
prio questa la via seguita più tardi da Aristosseno, che adottò come
unità di misura la divesiς, ossia un intervallo che era allo stesso tempo
sufficientemente piccolo per poter consentire la misurazione per mul-
tipli, ma allo stesso tempo sufficientemente grande da poter essere
intonato dalla voce96.

9. Considerazioni conclusive

Il confronto fra queste due impostazioni teoriche in campo mu-


sicale ha evidenziato le differenze tra i loro metodi di indagine, ma ha
anche individuato, nel loro più o meno accentuato empirismo, il trat-
to che, nella visione di Platone, le accomuna. Più specificamente, si è
visto come di entrambe viene messo in evidenza il proposito di “mi-
surare i suoni”, sicché proprio questo appare come il bersaglio più
evidente della critica antiempiristica che Platone rivolge loro per boc-
ca di Socrate97.
L’alta considerazione che Socrate mostra verso la raffinata elabo-
razione matematica della teoria musicale dei Pitagorici, senz’altro la

95
Vd., p. es., Plut. De an. procr. in Tim. 17, 1020e: «Uno degli intervalli è il
cosiddetto “tono”, la cui ampiezza costituisce la differenza in virtù della quale la
quinta è maggiore della quarta. Gli Armonici pensano che la divisione in due del
tono produca due intervalli, ciascuno dei quali viene chiamato “semitono”. I Pita-
gorici, invece, negano che esso sia divisibile in parti uguali, e poiché i segmenti sono
disuguali, definiscono il minore leimma, perché non raggiunge la metà» (trad. Fer-
rari in FERRARI-BALDI 2002, p. 185); su quest’aspetto, che differenzia le due impo-
stazioni teoriche, vd. BÉLIS 1986, pp. 69-72.
96
Sulla critica di Aristosseno ai suoi predecessori su questo punto, vd. BARKER
1978b; BÉLIS 1986, pp. 87-129 (cap. III).
97
Giudico assai suggestiva l’idea di THESLEFF 1999, p. 115, secondo la quale
i libri centrali della Repubblica rappresenterebbero «only and purely Plato’s “own”
and personal philosophy as he saw it as contrasted to the Eleatic, Pythagorean,
mathematical, cosmological, physiological and legislative interests of his associates
in the Academy» (corsivi miei).
Teoria musicale e antiempirismo nella Repubblica di Platone 113

più vicina alla prospettiva deduttivistica di Platone, non nasconde,


provocatoriamente, che essi, nell’intento di spiegare e giustificare ma-
tematicamente la prassi musicale del tempo, avevano di fatto ridotto
la matematica a misurazione di fenomeni sensibili.
Quanto agli aJrmonikoiv, il tono fortemente ironico della descri-
zione delle loro pratiche di analisi fa avvertire la distanza abissale che
separa la loro impostazione teorica da quella auspicata da Socrate, ma
rende altrettanto evidente il proposito di Platone di ampliare la sua
critica antiempiristica a tutti gli orientamenti teorici basati sugli aspet-
ti quantitativi del fatto musicale. Nella prospettiva platonica è per noi
certamente scontato che un tale orientamento fosse non soltanto da
criticare, ma anche da rifiutare in blocco; l’intenzione di esplicitare con
precisione il bersaglio della critica sgomberava però il campo da even-
tuali possibili fraintendimenti da parte dei destinatari immediati del
messaggio, e dà a noi la preziosa opportunità di leggere una testimo-
nianza antica sui metodi di indagine degli aJrmonikoiv. Riferita com’è –
sia pur nella finzione letteraria del dialogo platonico – ai tempi di So-
crate, è forse la più antica di cui disponiamo, e perciò tanto più auto-
revole.
Si è potuto anche osservare come, in sostanza, nella Repubblica
si parli di musica in almeno due accezioni distinte. Da un lato (libri
III e IV) c’è la musica con la quale devono avere dimestichezza i
ϕuvlakeς: e qui Platone, per bocca di Socrate, si professa damoniano, e
cioè empirico. Dall’altro (libro VII) c’è la teoria musicale, disciplina
altamente speculativa che è dominio esclusivo dei filosofi dialettici
destinati a reggere lo Stato. In questo ambito – diverso e complementare
– appare invece chiarissimo che Platone tende a portare alle estreme
conseguenze l’antiempirismo propugnato dai Pitagorici, dei quali pure
si proclama seguace. Il suo disegno è qui perfettamente coerente con
l’analoga impostazione da lui data – sempre per bocca di Socrate –
anche agli altri maqhvmata che costituiscono il “preludio” alla dialettica
(aritmetica, geometria piana e solida, astronomia).
114 Sulla musica greca antica
Appendice 115

APPENDICE
116 Sulla musica greca antica

Plat. resp. VII 530c-531d

Problhvmasin a[ra, h\n d’ ejgwv, crwvmenoi w{sper gewmetrivan ou{tw


kai; ajstronomivan mevtimen, ta; d’ ejn tw'/ oujranw'/ ejavsomen, eij mevllomen
o[ntwς ajstronomiva ς metalambavnonteς crhvsimon (530c) to; fuvsei
frovnimon ejn th'/ yuch'/ ejx ajcrhvstou poihvsein.
«H pollaplav s ion, e[ f h, to; e[ r gon h] wJ ς nu' n aj s tronomei' t ai
prostavtteiς.
Oi\mai dev ge, ei\pon, kai; ta\lla kata; to;n aujto;n trovpon prostavxein
hJ m a' ς , ej a v n ti hJ m w' n wJς nomoqetw' n o[ f elo ς h\ / . aj l la; gav r ti e[ c ei ς
uJpomnh'sai tw'n proshkovntwn maqhmavtwn…
Oujk e[cw, e[fh, nu'n g’ ouJtwsiv.
Ouj mh;n e{n, ajlla; pleivw, h\n d’ ejgwv, ei[dh parevcetai hJ forav, (530d)
wJς ejgw\/mai. ta; me;n ou\n pavnta i[swς o{stiς sofo;ς e{xei eijpei'n: a} de; kai;
hJmi'n profanh', duvo.
Poi'a dhv…
Pro;ς touvtw/, h\n d’ ejgwv, ajntivstrofon aujtou'.
To; poi'on…
Kinduneuvei, e[fhn, wJς pro;ς ajstronomivan o[mmata pevphgen, w}ς pro;ς
ejnarmovnion fora;n w\ta pagh'nai, kai; au|tai ajllhvlwn ajdelfaiv tineς
aiJ ejpisth'mai ei\nai, wJς oi{ te Puqagovreioiv fasi kai; hJmei'ς, w\ Glauvkwn,
sugcwrou'men. h] pw'ς poiou'men…
Ou{twς, e[fh.
(530e) Ouj k ou' n , h\ n d ’ ej g wv , ej p eidh; polu; to; e[ r gon, ej k eiv n wn
peusovmeqa pw'ς levgousi peri; aujtw'n kai; ei[ ti a[llo pro;ς touvtoiς: hJmei'ς
de; para; pavnta tau'ta fulavxomen to; hJmevteron.
Poi'on…
Appendice 117

Platone, Repubblica VII 530c-531d

«Affronteremo dunque l’astronomia, dissi io, al pari della geo-


metria, servendoci di problemi: lasceremo però andare le cose del cie-
lo, se intendiamo, grazie a una trattazione dell’astronomia reale, ren-
dere utile, (530c) da inutile che era, la parte della nostra anima che è
per natura intelligente».
«Proponi certo, disse, un lavoro ben più impegnativo di quello
che ora si svolge nel campo dell’astronomia».
«Ritengo però, dissi, che anche per le altre discipline dovremo
disporre nello stesso modo, se la nostra opera di legislatori dovrà ave-
re una qualche utilità. Comunque, sei in grado di menzionare qualche
altro sapere che ci convenga?».
«No, disse, almeno così sul momento».
«Eppure il moto, dissi, presenta a mio avviso non una sola for-
ma, ma molte. (530d) Un sapiente sarebbe forse in grado di dirle tut-
te: ma due ve n’è di evidenti anche per noi».
«Quali?».
«Oltre a questa, dissi io, c’è quella che le corrisponde».
«E quale?».
«È probabile, dissi, che come gli occhi sono conformati per l’astro-
nomia, così gli orecchi lo siano per il moto musicale, e che queste due
scienze siano in certo senso fra loro sorelle, come dicono i Pitagorici
e anche noi, Glaucone, conveniamo. O che atteggiamento terremo?».
«Proprio questo», disse.
(530e) «Dunque, dissi io, poiché il compito è grande, ci informe-
remo sulle loro teorie su questo argomento e, se sarà il caso, su altri
ancora: noi però in ogni caso difenderemo il nostro punto di vista».
«Quale?».
118 Sulla musica greca antica

Mhv pot ’ auj t w' n ti aj t ele;ς ej p iceirw' s in hJ m i' n manqav n ein ou}ς
qrevyomen, kai; oujk ejxh'kon ejkei'se ajeiv, oi| pavnta dei' ajfhvkein, oi|on a[rti
peri; th'ς ajstronomivaς ejlevgomen. h] oujk oi\sq’ o{ti (531a) kai; peri;
aJ r moniv a ς e{ t eron toiou' t on poiou' s i… ta; ς ga; r aj k ouomev n a ς au\
sumfwnivaς kai; fqovggouς ajllhvloiς ajnametrou'nteς ajnhvnuta, w{sper
oiJ ajstronovmoi, ponou'sin.
Nh; tou;ς qeouvς, e[fh, kai; geloivwς ge, puknwvmat’ a[tta ojnomavzonteς
kai; parabavllonteς ta; w\ta, oi|on ejk geitovnwn fwnh;n qhreuovmenoi, oiJ
mevn fasin e[ti katakouvein ejn mevsw/ tina; hjch;n kai; smikrovtaton ei\nai
tou'to diavsthma, w|/ metrhtevon, oiJ de; ajmfisbhtou'nteς wJς o{moion h[dh
fqeggomevnwn, ajmfovteroi (531b) w\ta tou' nou' prosthsavmenoi.
Su; mevn, h\n d’ ejgwv, tou;ς crhstou;ς levgeiς tou;ς tai'ς cordai'ς
prav g mata parev c onta ς kai; basaniv z onta ς , ej p i; tw' n kollov p wn
streblou'ntaς: i{na de; mh; makrotevra hJ eijkw;n givgnhtai plhvktrw/ te
plhgw' n gignomev n wn kai; kathgoriv a ς pev r i kai; ej x arnhv s ew ς kai;
ajlazoneivaς cordw'n, pauvomai th'ς eijkovnoς kai; ou[ fhmi touvtouς levgein,
ajll’ ejkeivnouς ou}ς e[famen nundh; peri; aJrmonivaς ejrhvsesqai. taujto;n
ga;r poiou'si toi'ς ejn th'/ (531c) ajstronomiva/: tou;ς ga;r ejn tauvtaiς tai'ς
sumfwnivaiς tai'ς ajkouomevnaiς ajriqmou;ς zhtou'sin, ajll’ oujk eijς
problhvmata ajnivasin, ejpiskopei'n tivneς suvmfwnoi ajriqmoi; kai; tivneς
ou[, kai; dia; tiv eJkavteroi.
Daimovnion gavr, e[fh, pra'gma levgeiς.
Crhvsimon me;n ou\n, h\n d∆ejgwv, pro;ς th;n tou' kalou' te kai; ajgaqou'
zhvthsin, a[llwς de; metadiwkovmenon a[crhston.
Eijkovς g’, e[fh.
Oi\mai dev ge, h\n d’ ejgwv, kai; hJ touvtwn pavntwn w|n dielhluvqamen
(531d) mevqodoς eja;n me;n ejpi; th;n ajllhvlwn koinwnivan ajfivkhtai kai;
suggevneian, kai; sullogisqh'/ tau'ta h|/ ejsti;n ajllhvloiς oijkei'a, fevrein
ti auj t w' n eij ς a} boulov m eqa th; n pragmateiv a n kai; ouj k aj n ov n hta
ponei'sqai, eij de; mhv, ajnovnhta.
Kai; ejgwv, e[fh, ou{tw manteuvomai. ajlla; pavmpolu e[rgon levgeiς, w\
Swvkrateς.
Appendice 119

«Che i nostri futuri discepoli non intraprendano mai, in questo


campo, lo studio di qualcosa di imperfetto, cioè che non giunga sem-
pre a quello scopo dove tutto deve culminare, come poco fa si diceva
a proposito dell’astronomia. Non sai (531a) che fanno qualcosa del
genere anche a proposito della teoria musicale? Commisurando l’un
l’altro accordi e suoni percepibili dall’udito, compiono infatti, come
gli astronomi, una fatica inane».
«Sì, per gli dèi, disse, e in modo ridicolo: si trovano nomi per
non so quali intervalli minimi, e, tendendo l’orecchio come per ascol-
tare le voci dei vicini, alcuni sostengono di udire ancora una nota in-
termedia, e che questo va considerato l’intervallo minimo e dunque
adottato come unità di misura, mentre altri ribattono che si tratta di
un suono uguale ai precedenti: (531b) entrambi antepongono gli orec-
chi al pensiero».
«Tu ti riferisci, dissi, a quei dabben uomini che mettono alla sbarra
le corde e le torturano torcendole sui piroli. Perché l’immagine non
s’allunghi troppo, evocando le percosse inferte col plettro e le accuse
che essi lanciano alle corde, mentre esse, di rimando, negano le impu-
tazioni e, gloriandosi, protestano la propria innocenza, la fermo qui, e
ti dico che non mi riferivo a costoro, ma a quelli che ora dicevamo di
voler interrogare circa l’armonia. Essi si comportano nello stesso modo
degli astronomi: cercano infatti i numeri che sono in quelle consonan-
ze percepite dall’udito, ma non giungono a porsi il problema di sco-
prire quali numeri siano consonanti, quali no, e nei due casi per quale
ragione».
«Ma è opera straordinaria, disse, quella di cui parli».
«Utile piuttosto, dissi io, alla ricerca del bello e del buono, inu-
tile invece se perseguita per altri scopi».
«È probabile», disse.
«Io credo del resto, dissi, che se lo studio metodico di tutti que-
sti saperi che abbiamo passato in rassegna (531d), perviene alla com-
prensione della comunanza e della affinità fra di essi, considerandoli
in quanto apparentati tra loro, la loro trattazione contribuisce a con-
durci verso lo scopo che ci siamo proposti, e non è una fatica inutile;
nel caso contrario, sarà invece stata inutile».
«Anch’io lo suppongo, disse. Ma il lavoro di cui parli è veramen-
te grande, o Socrate».
120 Sulla musica greca antica
Bibliografia 121

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136 Sulla musica greca antica
INDICE DEI PASSI CITATI E RICHIAMATI

Aesch. Suppl. 235: 107 n. 86 Aristox.


El. harm. (Da Rios): 52, 67, 69,
Alex. Polyh. FGrHist 273 F 77: 50 n. 71, 72
12 I 1, 11-2, 7 (5, 4-6, 5): 67 n. 76
Amph. fr. 14 K.-A.: 23 n. 32 I 1, 15 (5, 7): 66 n. 71
I 1, 23-2, 7 (5, 10-6, 5): 67 n.73
Anticl. FGrHist 334 F 52: 50 n. 12 I 2, 1-7 (6, 1-5): 67
Antiph. fr. 207 K.-A.: 23 n. 32 I 2, 15 (6, 12-13): 93 n. 40
I 5-7 (9, 17; 10, 19; 11, 3): 92 n.
Apoll. Rh. I 1075 s.: 37 n. 87 37
Archyt. (D.-K.) I 7, 20-30 (12, 8-16): 107 n. 87
47 A 5: 102 n. 70 I 7, 30 (12, 13-15): 93 n. 40
47 A 9: 103 n. 71 I 8, 13-12, 34 (13, 14-18, 1): 99
47 A 16: 104 n. 76 n. 57
47 A 17: 99 n. 59 I 15, 25 (20, 20-21, 1): 107 n. 88
47 B 1: 84 n. 4 I 20, 32-21, 6 (26, 8-27, 4): 71 n.
47 B 2: 104 n. 77, 108 n. 88 85
I 24, 10-15 (31, 3-5): 107 n. 86
Arist. I 27, 30-28, 1 (36, 1-3): 93 n. 40
APo. 79a: 87 n. 19 I 27, 30-28, 5 (36, 1-5): 107 n. 87
Cael. 293a20-28: 94 n. 43 I 50, 15 (62, 14-18): 107 n. 86
de An. 407b 27: 92 n. 43 II 30-31 (39, 4-40, 11): 72 n. 89
426b: 94 n. 45 II 31, 17-32, 9 (40, 12-41, 12):
Metaph. 933b 15: 24 n. 34 67 nn. 73 e 77, 68
986a6-12: 94 n. 43 II 35, 1-38, 27 (44, 10-48, 10):
985b23-986a12: 97 n. 53 67 nn. 73 e 74
1340b 18-19: 92 n. 43 II 37, 30-38, 5 (47, 13-17): 107
Pol. VIII 1337b 24-1342b 34: 27 n. 87
n. 44 II 41, 25-43, 15 (52, 4-54, 4): 69
Sens. 447a12-b21: 94 n. 45 n. 80
439a-440a: 95 n. 47 II 44, 21 (55, 8-9): 63 n. 63
448a: 95 n. 47 II 53, 1-5 (66, 1-5): 107 n. 87
El. rhythm.: 52 e n. 24
Aristid. Quint. (Winnington-Ingram)
frr. (Wehrli)
1 : 60 n. 52
1: 43 n. 111, 52 n. 22
10, 2-3: 94 n. 45
10a: 71 n. 86
100, 17-101, 23: 103 n. 74
11-41: 72 n. 87
Aristoph. 17: 15 n. 1
Nu. 8: 106 n. 81 35: 61 n. 58
971: 23 n. 31 42-46: 53 n. 27
Ra. 620: 106 n. 83 45: 22 n. 24
138 Sulla musica greca antica

45, I: 43 n. 112 Peri; tragikhς ojrchvsewς: 22 n.


47-50: 72 n. 87 24, 53 n. 27
50: 103 n. 71 Peri; tragw/dopoiw'n: 22 n. 24, 53
51- 60: 72 n. 87 Peri; corw'n: 22 n. 24, 53 n. 27
61-68: 72 n. 87 Politikoi; novmoi: 53 n. 27
67: 72 n. 87 Praxidamavnteia: 53 n. 25
69-93: 53 n. 25 Sugkrivvseiς: 41, 53 n. 27
70: 22 nn. 25 e 27, 77-78, 80 Suvmmikta sumpotikav: 16 e n. 2,
76: 22 n. 25, 51 n. 17, 58-59, 63- 17, 41, 51 n. 16, 53
64, 78, 80 Upomnhvmata: 53
79: n. 28
80: 51 n. 17 Athen.
81: 52 n. 17 I 1c: 20 n. 19
82: 45 n. 120, 52 n. 17, 72-74 I 19f: 28 n. 49
83: 52 n. 17, 63, 79 IV 184d: 21 n. 23
94-102: 70 n. 82 VIII 352c: 93 n. 40
95: 70 n. 82 XIV 616e-639a: 20-21
100: 70 n. 82 XIV 620b-c: 28 n. 49
103-112: 53 n. 27 XIV 620e: 27 n. 48
103-116 (=17 F 1-14 Bagordo): XIV 621c: 27 n. 47
22 n. 24 XIV 623e: 20 n. 19
109: 41 n. 106 XIV 631e-f: 21, 65-66
110: 27 n. 47 XIV 632a: 15-16
111: 27 n. 48 XIV 633b-c: 21
112: 43 n. 112 XIV 634d-e: 70 n. 82
113-116: 53 n. 31 XIV 638b: 23 n. 29, 28 n. 49
113: 22 n. 24 Bacch. Harm. (Jan)
114: 22 n. 24 10, 293, 8-12: 94 n. 45
115: 22 n. 24 20, 298, 1-2: 107 n. 86
117: 22 n. 24
118-121: 53 n. 28, 61 n. 59 Boeth. De mus. III 11: 102 n. 69
120a: 61 n. 56 Callim. Aet. fr. 43 Pfeiffer (=50 Massi-
122-127: 53 n. 29 milla)
122: 52 n. 17 1-83: 40 n. 101
124: 7, 15-48, 78, 80 79: 40
127: 41 81-83: 40
128-139: 53 n. 30
135: n. 49 Chamael. fr. 28 Wehrli: 28 n. 49
136: n. 49 Cic.
Mantinevwn ejgkwvvmion: 43 n. 112, Cat. m. 12, 41: 103 n. 71
53 n. 27 De orat. 1, 9: 60 n. 52
Mantinevwn e[qh: 43 n. 112, 53 n. 27 Tusc. 1, 4: 61 n. 56
Mousikh; ajkrovasiς: 53 n. 25
Paideutikoi; novmoi: 53 n. 27 Claud. Ptol. vd. Ptol.
Peri; aujlhtw'n: 70 n. 82, 71
Cleonid. Harm. (Jan)
Peri; aujlw'n: 70 n. 82, 71
5, 187, 19-188, 2: 94 n. 45
Peri; aujlw'n trevsewς: 70 e n. 82, 71
13, 206, 3-18: 61 n. 59
Peri; diqurambopoiw'n: 22 n. 24
Dem. Phal. fr. 33 Wehrli: 28 n. 49
Peri; melopoii?vaς: 53 n. 25
Peri; ojrgavnwn: 70 n. 82 Demosth.
Peri; mousikh'ς: 53 n. 25 XVIII 130: 106 n. 81
Indice dei passi citati e richiamati 139

XXI 17: 70 I fr. 24, 2-4, 141 Rispoli: 65 n. 66


XXXIII 169: 106 n. 81 IV 5, 49-50 Neubecker: 78 n. 109
Diod. Philol. (D.-K.)
11, 66, 4: 37 n. 83 44 A 13: 96 n. 48
16, 80, 1: 37 n. 83 44 B 6: 96 n. 46, 95 n. 47
Diog. Babyl. SVF III fr. 64: 79 n. 111 Phot. Bibl. Cod. 161: 55 n. 37
Diog. Laert. Pind. Pyth. 5, 93: 37 n. 83
III 37: 72 n. 88
VIII 12: 96 n. 49 Plat.
Charm.: 93 n. 41
Duris FgrHist 76 F 29: 21 n. 23 170b-c: 90 n. 25
170c: 93 n. 41
Eup. fr. 326 K.-A.: 41 n. 107 170e-171c: 90 n. 25
Glauc. Rheg. FHG II 23, 2-4: 50 n. 8 Crat.
405c-d: 95 n. 47
Hippas. 18, 12 (D.-K.): 96 n. 50 405d: 84 n. 5
Heracl. Pont. fr. 162 Wehrli: 61 n. 58 Crit.
44e: 106 n. 83
Hdt. epist.
1, 168: 37 n. 83 VII 388c: 102 n. 70
6, 38: 37 n. 83 VIII 353e: 31 n. 60
6, 58: 37 n. 85 Gorg.
Hom. 501e-502c: 26
Il. 23, 170: 38 leg.: 25
Od. 24, 63-84: 38 II 656d-657b: 44 n. 117; 66 n. 69
II 658e-659a: 25
Ister FGrHist 140 F 14: 50 n. 11 II 659a-b: 25
II 659b-c: 25-26
Nicom. Harm. (Jan)
II 670a-671a: 90 n. 25
8, 250, 4-252, 2: 103 n. 74
III 699e-701c: 29 n. 58
9, 252, 11-13: 95 n. 46
III 700a-701d: 26
10, 254, 5-13: 99 n. 58
VII 812d: 107 n. 86
12, 262, 1-5: 94 n. 45
VII 817b-c: 26 n. 42
Papyri Phaed.
PHibeh I 13: 62 n. 60, 92 86b-95b: 92 n. 34
col. I 4: 92 Phaedr.: 93 n. 41
col. I 13-15: 92 268a-269a: 90 n. 24
361 Pack2=83 Austin: 22 n. 24 268d-e: 89-90, 93
362 Pack2=84 Austin: 22 n. 24 Phileb.
17c: 108 n. 88
Paus. 17c-e: 90 n. 25
3, 1, 8: 37 n. 83 resp.: 93 n. 41, 104 n. 75, 112 n. 97
3, 14, 1: 37 n. 83 II 361e: 106 n. 83
10, 7, 4-5: 50 n. 13 III: 8, 113
Phan. fr. 10 Wehrli: 23 n. 29 III 398c-399e: 85
III 398e: 89
Pherecr. III 399a: 73 n. 90
fr. 155 K.-A.: 51 n. 15, 58 III 400a-c: 92 n. 33
14-18: 23 n. 31 IV: 8, 113
Philod. De mus. IV 432a: 95 n. 47
140 Sulla musica greca antica

IV 424c: 29 n. 58 De virt. mor. 6, 444E-445A: 54 n.


VI: 83 n. 4 34
VI 504b: 83
VI 511b: 84 Polyb.
VII: 8, 83 nn. 1 e 4, 113 IV 20-21: 24 n. 34, 44
VII 522a-b: 85 IV 20, 9: 44
VII 522c-531c: 83 Porph. in Harm. (Düring): 60
VII 529c-d: 88 3, 5: 92 n. 37
VII 529d: 88 4: 60 n. 52
VII 530b: 87 4, 18-21: 61 n. 57
VII 530b-531d: 83-113, 116-119 22, 22 ss.: 87 n. 19
VII 530b-c: 85, 86 n. 17, 88 25, 9-14: 85 n. 12
VII 530c: 86-87 n. 17 25, 25-26, 1: 105 n. 80
VII 530d-e 84 n. 8 92, 27-93, 17: 104 n. 77
VII 530e: 87 n. 17 97, 2-5: 95 n. 46
VII 530e-531a: 94 n. 42 107, 15-108, 21: 99-100 e n. 59
VII 531a: 86, 87, 94, 106, 107,
110, 111 Pratin. PMG 708=TrGF I 4 F 3: 58 n.
VII 531a-b: 87 46
VII 531b: 87 e n. 18, 97, 98, 106, Ps. Arist.
109 De audibil. 804a: 69 n. 81, 71 n. 84
VII 531b-c: 94 n. 42 Probl. XIX 32: 94 n. 46
VII 531c: 86 e n. 17
VII 531c-d: 84 Ps. Eucl. Sect. can. (Barbera=Jan): 85,
VII 532a-b: 86 102, 108 n. 88
VII 534e-535a: 86 116, 2-11 Barbera (=149, 11-24
X 600b: 84 n. 8 Jan): 102 n. 68
symp.: 19 116, 6-11 Barbera (= 149, 17-20
187a-e: 95 n. 47 Jan): 94 n. 45
Tim.: 103, 104 n. 76 114, 6-8 Barbera (=148, 9-11 Jan):
35b-36a: 103 n. 74 98 n. 56
35b-36c: 84 150, 1-162, 3 Barbera (=158, 8-
80a-b: 100 n. 60 160, 12 Jan): 85 n. 13
80b: 94 n. 45 Ps. Hp. De victu: 23
Plut. I 18, 1: 23 n. 33
Alc. 2, 5-7: 66 n. 68
Marc. 14, 9-11: 105 n. 79 Ps. Plut. De mus. (Ziegler): 49-81
Per. 13, 11: 50 n. 13 1, 1131B (1, 1-5): 55 n. 38
Tim. 39, 5: 37 n. 83 1-2, 1131B-C (1, 1-19): 56
De an. procr. in Tim. 2, 1131C-E (2, 1-20): 57
12-33, 1017E-1030C: 53-54 n. 2, 1131E (2, 16-20): 57 n. 42
34 2, 1131E-3, 1131F (2, 16-27): 50 n.
17, 1020e: 112 n. 95 6
Non posse suav. 3, 1131E-F (2, 23-27): 74 n. 95
1095E: 53 n. 33 3, 1132F (3, 5-7): 50 n. 13
1093B: 71 n. 86 3-13, 1131E-1135E (2, 22-11, 18):
Quaest. conv. 57
VII 704E: 53 n. 33 3-14, 1131E-1136B (2, 22-12, 25):
III 9, 657B-C: 54 n. 34 57, 75
V 678C: 55 n. 38 4, 1132D-E (4, 18-22): 77 n. 101
VII 718E-F: 105 n. 79 4, 1132E (4, 24): 50 n. 13
Indice dei passi citati e richiamati 141

4, 1132E (4, 26-5, 2): 50 n. 8 n. 101


4, 1132E-F (5, 3-8): 50 n. 12 28-30, 1140E-1142A (23, 8-26,
6, 1133B (5, 26-6, 3): 77 n. 101 18): 57, 75, 78
6, 1133B (6, 1): 56 n. 41 29, 1141B (24, 6): 56 n. 41
7, 1133E (7, 2): 56 n. 41 29, 1141B (24, 9-11): 78-79
7, 1133E-F (7, 10-18): 50 n. 8 29, 1141B-C (24, 6-19): 77 n. 101
8, 1134A (7, 21-23): 50 n. 13 30, 1141C-1142A (24, 20-26, 18):
8, 1134B (8, 6-8): 50 n. 13 77 n. 101
10, 1134E-F (9, 4-16): 50 n. 8 30, 1141E-1142A (25, 9-26, 16):
11, 1134F (9, 17-20): 63, 79 51 n. 15
11, 1134F (9, 17-10, 20): 52 n. 17 31, 1142B (26, 19-27, 15): 22, 51 n.
11, 1135B (10, 11): 56 n. 41 17, 58-58
11, 1135C (10, 19-20): 79 31, 1142B-41, 1146B (26, 19- 35,
12, 1135C (10, 21-11, 5): 76 19): 52 n. 19
12, 1135D (11, 5-10): 76-77 31-34, 1142B-1147A (26, 19-37,
12, 1135D (11, 8): 56 n. 41 24): 57
14, 1136A (12, 13-15): 50 nn. 9 e 32, 1142C-D (27, 16-25): 59-63
11 32, 1142E (27, 25-28, 7): 63-64
14-42, 1135E-1146D (11, 19-36, 32, 1142E (27, 29-28, 7): 44
10): 57 33, 1142E-F (28, 10-12): 67 n. 72
15, 1136B (12, 27): 56 n. 41 33, 1142E-F (28, 18): 66 n. 71
15, 1136B (12, 26-13, 1): 77 n. 101, 33, 1142E-F (28, 9-10): 66 n. 71
80 33, 1142E-1143D (28, 8-30, 8): 66-
15, 1136C (13, 5-7): 51-52 n. 17 67
15, 1136C (13, 9-13): 50 n. 10 33, 1142F-1143A (28, 14-26): 68
15-16, 1136B-E (12, 26-14, 4): 57, 33, 1143A (28, 22): 67 n. 75
75 38, 1145A (33, 6): 56 n. 41
16, 1136D (13, 14-20): 52 n. 17 43, 1146D (36, 15): 55 n. 38
17, 1136E (14, 5-23): 52 n. 17 43, 1146D-1147A (36, 13-37, 12):
17, 1136E-F (14, 5-23): 72-74 58 n. 44
17, 1137A-18, 1138C (14, 19-15, 43, 1146E-F (36, 24-37, 12): 52 n.
14): 52 n. 19 17
17-27, 1136E-1140E (14, 5-23, 7): 43-44, 1146D-1147A (36, 15-37,
57 21): 57
20, 1137E (16, 12): 56 n. 41 44, 1147A (37, 21-24): 56
20, 1137F (16, 25): 56 n. 41
21, 1138A (17, 2-5): 70 Ptol. Harm. (Düring)
21, 1138A (17, 7): 56 n. 41 8, 18-21: 99 n. 58
21, 1138B (17, 14): 56 n. 41 11, 8-12, 7: 100-102, 101 n. 64
21, 1138B (17, 19): 56 n. 41 17, 19-19, 15: 96 n. 50
22, 1138C-1139B (18, 1-19, 18): 46, 1-49, 3: 96 n. 50
74 n. 93 94, 9-20: 84 n. 5
22-25, 1138E-1140B (18, 1-22, 3): Quint. Inst. or.: 60
57 I pr. 10: 60 n. 52
25-26, 1140B-D (21, 19-22, 26): 52
n. 19 Rhint.
26, 1140C (22, 16-17): 56 n. 41 test. 1 K.-A.: 29 nn. 54 e 55
26, 1140D (22, 21): 56 n. 41 test. 2 K.-A.: 29 n. 55
27, 1140DE (22, 27-23, 7): 22 Scholia
27, 1140D-E, 22, 27-23, 7: 79-80 Schol. Pind. Ol. 1, 149: 37 n. 90
28, 1140E-1141B (23,7-24, 5): 77 Schol. Pind. Nem. 7, 155: 37 n. 86
142 Sulla musica greca antica

Schol. Plat. Phaed. 108d: 96 n. 50 76, 21-77, 2: 101 n. 66


87, 7-93, 7: 99 n. 58
SGDI 5215: 37 n. 83
Thphr. fr. 716 Fortenbaugh: 98 n. 56
Steph. Byz. 603, 1 Meineke: 29 n. 55
Thuc. 5, 11, 1: 37 n. 83
Sud. (Adler)
a 134: 52 n. 22 Timoth. (PMG)
a 3927: 43 n. 111 fr. 777: 24 n. 34
r 171: 29 nn. 54 e 55 fr. 778: 24 n. 34
fr. 779: 24 n. 34
Suet. fr. 1 Reifferscheid: 71 n. 86 fr. 787: 24 n. 34
Terp. (Gostoli) fr. 788: 24 n. 34
test. 29: 23 n. 29 fr. 792: 24 n. 34
test. 35: 76 fr. 801: 24 n. 34
Them. Or. XXXIII 1, 364B-C: 22, 77- Xen.
78 Symp.: 19
Lac. 15, 9: 37 n. 84
Theon Sm. (Hiller)
59, 4-21: 96 n. 50
Indice dei nomi citati

INDICE DEI NOMI CITATI

Abert, H.: 5, 18 n. 12, 22 n. 26, 51 n. 28, 29 n. 57, 30, 31 e n. 62, 32, 33,
16, 52 n. 20, 61 n. 59, 65 n. 65, 91 34, 35, 36, 38, 39 e n. 99, 40, 41 e n.
n. 30 106, 42, 43, 44, 45 e nn. 122 e 123,
Accademia: 19 n. 15 46, 47, 50, 51 e nn. 16 e 17, 52 e nn.
Achille: 38 21, 22 e 23, 53 e n. 27, 54, 55, 58,
Acumeno: 90 59, 61 e n. 58, 62, 63, 64 n. 66, 65,
Adam, J.: 89 n. 22, 106 nn. 83 e 84, 66 e n. 71, 67 e n. 75, 69, 70 e n. 82,
107 nn. 85 e 86, 111 n. 94 71 e nn. 87 e 89, 73, 74, 75 e n. 99,
Agnone: 37 n. 83 77 e n. 102, 78, 79, 80, 81, 84 n. 9,
Agro Picentino: 16 n. 1 90 n. 25, 91 e n. 29, 92, 93, 98 n.
Alcibiade: 21 n. 23, 66 57, 103 n. 71, 112
Alcmane: 57, 73, 76 Aristotele: 17 n. 10, 19 n. 15, 22 n. 24,
Alessandro Poliistore: 50 24, 27, 29 n. 57, 50, 61, 72, 75 e n.
Alexiou, M.: 35 n. 77 99, 94
Amfide: 23 Asheri, D.: 16 nn. 1 e 5, 18 n. 11, 24
Anderson, W. D.: 27 n. 44, 91 nn. 30 e 31 n. 39, 31 nn. 60, 61 e 62, 32 nn. 64
Andriuolo: 32, 33, 47 e 65, 33 n. 69, 45 n. 122, 46 n. 125,
Anfione: 57 48 n. 133
Anticlìde di Atene: 50 Asopodoro di Fliunte: 66
Antifane: 23 Atena: 73
Antifemo di Gela: Atene: 24, 26 n. 42, 28, 75
37 n. 83 Ateneo di Naucrati: 7, 15, 16, 20 e nn.
Antigenida di Tebe: 58 n. 46, 66 19 e 20, 21, 27, 31 n. 62, 54 n. 35,
Antonaccio, C. M.: 37 n. 88 65
Apollo: 40 Avezzù, G.: 93 n. 39
Arcadi: 24, 44
Arcadia: 43, 44 e n. 115 Bacchiadi: 37
Archiloco: 28 n. 49 Bacchilide: 73
Archita: 17 n. 10, 72 n. 87, 84, 100, Bagordo, A.: 22 n. 24
101, 102 e nn. 69 e 71, 103 e n. 71 Baldi, L.:
Ardovino, A. M.: 39 n. 99 54 n. 34, 112 n. 95
Ares: 73 Ballerio, R.: 49 n. 1
Argas: 23 Bapp, C. A.: 20 n. 20, 65 n. 67
Argonauti: 37 Barbera, A.: 86 n. 13, 87 n. 18, 106 n.
Aristarco: 70 n. 82 84
Aristide Quintiliano: 60 Barker, A. D.: 10, 17 n. 10, 18 n. 12,
Aristofane: 21 n. 21, 24, 45 19 n. 15, 20 n. 20, 21 n. 21, 22n. 25,
Aristosseno di Taranto, 5, 7, 8, 15, 16 23 n. 33, 49 nn. 1, 2 e 3, 52 nn. 20 e
e n. 6, 17 e nn. 9 e 10, 18, 19 e n. 23, 59 n. 48, 71 n. 84, 84 n. 7, 85 n.
15, 20, 21, 22 e n. 24, 24, 25, 26, 27, 13, 86 n. 16, 88 n. 20, 90 n. 27, 91
144 Sulla musica greca antica

nn. 28, 30 e 31, 92 e n. 36, 94 n. 45, Cicerone: 60, 61


95 n. 47, 96 n. 50, 98 nn. 55 e 56, Cinesia: 21 n. 21, 23, 26 n. 42
99 n. 57, 100 n. 60, 101 nn. 64 e 65, Cipolla, P.: 58 n. 46
102 n. 69, 103 nn. 72 e 73, 104 nn. Cipriani, M.: 32 n. 64, 33 n. 69
75 e 78, 106 n. 84, 110 n. 91, 111 n. Citelli, L.: 49 nn. 1 e 2, 57 n. 43, 59 n.
93, 112 n. 96 48
Batto di Cirene: 37 n. 83, 39 n. 98 Cizico: 37
Bélis, A.: 19 n. 15, 27 n. 44, 52 n. 23, Claudio Tolemeo: vd. Tolemeo
61 n. 55, 62 n. 61, 69 nn. 80 e 81, Cohn, L.: 87 n. 19
72 n. 89, 87 n. 19, 91 n. 28, 92 n. Cohn, N.: 55 n. 37
36, 107 n. 87, 108 nn. 89 e 90, 112 Comotti, G.: 21 n. 23, 49 n. 1, 86 n.
nn. 95 e 96 16
Bellelli, V.: 33 n. 68 Conti Bizzarro, F.: 23 n. 32, 51 n. 15
Bergk, Th.: 68 n. 78 Cordiano, G.: 19 n. 15
Beta, S.: 106 n. 82 Corinto: 37
Bowen, A. C.: 84 n. 7 Cresso: 76, 77 n. 101, 78
Bowersock, G. W.: 31 n. 60 Cristofani, M.: 31 n. 60, 32 n. 66, 33
Bowie, E. L.: 16 n. 6 n. 68
Brancacci, A.: 52 n. 23, 91 n. 28 Crocker, R. L.: 86 n. 16
Brandwood, L.: 19 n. 17 Crusius, O.: 23 n. 30
Brasida: 37 n. 83 Csapo, E.: 25 n. 40
Brelich, A.: 36 nn. 80 e 82, 37 nn. 83,
88 e 91 Dain, A.: 6
Broneer, O.: 24 n. 35 Damone: 8, 21 n. 21, 58 n. 46, 61 n.
Brussich, G. F.: 52 n. 20 58, 90 n. 26, 91 e n. 31, 92
Burelli Bergese, L.: 44 n. 119 Da Rios, R.: 52 n. 23, 53 n. 32, 63 n.
Burnet, J.: 83 n. * 64, 67 n. 71
Burkert, W.: 17 n. 10, 52 n. 17, 84 n. de La Genière, J.: 46 n. 126
7, 94 n. 44, 96 n. 49, 110 n. 92 De Lacy, Ph. H.: 49 n. 1, 59 n. 48, 68
Busch, O.: 86 n. 13 n. 78
de Martino, E.: 36 e n. 78
Calame, C.: 10, 20 n. 18, 35 n. 75, 42 Del Tutto Palma, L.: 33 n. 68
n. 108 Delcroix, K.: 28 n. 49
Callimaco: 40 Demetrio Falereo: 28 n. 49
Camassa, G.: 72 n. 87 Demostene: 70
Cambiano, G.: 105 n. 79 Desideri, P.: 15 n. 1
Cameleonte, 28 n. 49 Di Benedetto, V.: 83 n. 4
Campani, 16 n. 1 Didimo il Musico: 87 n. 19, 100 n. 63
Cassio, A. C.: 22 n. 24, 33 n. 70, 75 n. Di Giglio, A.: 70 n. 82
96, 84 n. 7 Dinse, H. L. M.: 66 n. 70
Catalano, R.: 32 n. 63 Diocle di Cineta: 28
Catoni, M. L.: 24 n. 38, 27 n. 43, 44 n. Diogene di Babilonia: 65 n. 66
117, 66 n. 69 Diogene Laerzio: 72, 96
Cattanei, E.: 83 n. 1 Dionigi di Alicarnasso il Musico: 55 e
Ceccarelli, P.: 16 n. 3 n. 37, 60, 69, 74 n. 94
Centrone, B.: 17 n. 10, 84 n. 8, 94 n. Dionigi II di Siracusa: 102, 103 n. 71
44, 96 n. 49 Dionisio di Tebe: 58 n. 46, 59
Cerchiai, L.: 10, 15 n. 1, 31 n. 62 Dionisio Iambo: 50 e n. 10
Ciancaglini, C. A.: 84 nn. 6 e 7, 86 n. Dover, K. J.: 19 n. 17
16, 94 n. 45, 96 n. 48, 97 n. 53, 99 Draconte di Atene: 73
n. 59, 100 nn. 59 e 62, 103 n. 74 Duride: 21 n. 23, 66
Indice dei nomi citati 145

Ebrei: 34 n. 73 Gianotti, G. F.: 20 n. 18


Egitto: 44 n. 117, 66 n. 69 Gigante, M.: 17 n. 10, 28 n. 49, 29 n.
Einarson, B.: 49 n. 1, 59 n. 48, 68 n. 54, 32 n. 63
78 Gilula, D.: 92 n. 38
Ekroth, G.: 37 n. 88 Giove: 32
Eliade, M.: 15 Glauco di Reggio: 50
England, E. B.: 25 n. 40 Gostoli, A.: 23 n. 29, 49 n. 1, 50 nn. 7
Enòpa: 28 e 13, 52 n. 20
Epaminonda: 58 n. 46 Gottschalk, H. B.: 61 n. 58
Epicarmo: 22 n. 24 Greco, E.: 10, 32 nn. 67 e 68, 33 nn.
Eracle: 38 69 e 71, 38 nn. 93 e 94, 39 nn. 96,
Eraclide Pontico: 50 97, 99 e 100, 46 nn. 125 e 126
Eratocle: 92 Greco, G.: 46 n. 126
Erissimaco: 90 Green, J. R.: 25 n. 40
Esiodo: 28 n. 49 Grilli, A.: 59 n. 49
Etruschi: 15 n. 1, 31 n. 62 Guidorizzi, G.: 106 n. 82
Euclide: 102
Eudico: 28 Hägg, R.: 37 n. 88
Eupoli: 41 Harmon, R.: 49 n. 1
Euripide: 24, 90 Helmbold, W. C.: 52 e nn. 19, 20 e 21,
53 n. 33
Fania di Ereso: 23, 93 n. 40 Hera Argiva: 34 n. 73
Fantuzzi, M.: 26 n. 41 Higgins, R. A.: 44 n. 119
Ferecrate, 21 n. 21, 51, 58 Hordern, J. H.: 24 nn. 34 e 35
Ferrari, F.: 54 n. 34, 112 n. 95 Howard, A. A.: 71 n. 84
Figari, J.: 92 n. 35 Huffman, C. A.: 17 n. 17, 84 nn. 5 e 7,
Filosseno di Citera: 21 n. 21, 22, 23, 94 n. 46, 96 n. 48
44, 59, 66, 76 Huxley, G.: 50 n. 8
Focilide: 28 n. 49
Fornaro, S.: 50 n. 8 Ierone di Siracusa, 37 n. 83
Fowler, D.: 83 n. 1 Imperio, O.: 21 n. 21, 26 n. 41
Fozio: 55 n. 37 Istro di Cirene: 50
Franco Repellini, F.: 83 n. 1 Italici: 16 n. 1
Frank, E.: 86 n. 16, 103 n. 74 Izzo, A.: 86 n. 16
Fraschetti, A.: 15 n. 1, 17 n. 10, 18 nn.
11 e 14, 30 n. 59, 31 nn. 60, 61 e 62, Jacoby, F.: 50 n. 13
32 n. 63, 34 n. 72, 45 n. 122 Jan, C. von 66 n. 70
Frinide di Mitilene: 21 n. 21, 23, 24 Jannelli, L.: 38 n. 94
Joly, R.: 23 n. 33
Gallo, I.: 10
Gamberini, L.: 49 n. 1 Kearns, E.: 37 n. 88
García López, J.: 54 n. 34
Gastaldi, S.: 85 n. 11, 91 n. 31 Lacedemoni: 44, 64 e n. 66
Gaudo, 33 n. 68 Laloy, L.: 31 n. 61, 34 n. 72
Gemelli Marciano, L.: 52 n. 17 Lampro: 58 n. 46, 59
Gentili, B.: 21 n. 21, 24 n. 38, 29 n. 56, Landels, J. G.: 71 n. 84, 96 n. 52
52 n. 24 Lapini, W.: 93 n. 39
Gerusalemme, 34 n. 73 Lasserre, F.: 49 nn. 1 e 2, 50 n. 13, 51,
Ghinatti, F.: 32 n. 63, 34 n. 73, 35 n. 52 nn. 18, 20, 21, 55 n. 36, 56 n. 41,
75, 36 n. 81 57 n. 43, 59 n. 48, 60 e n. 53, 61, 68
Giannattasio Andria, R.: 28 n. 49 n. 78, 69 e n. 79, 74 n. 94
146 Sulla musica greca antica

Latte, K.: 24 n. 35 Napolitano, M.: 10, 58 n. 46


Liceo: 19 n. 15 Nerone: 87 n. 19
Lippman, E. A.: 91 n. 29 Nicolai, R.: 10
Litchfield, M.: 91 Nicomaco di Gerasa: 94, 96 n. 49
Lloyd, G. E. R.: 102 n. 71 Nippel, W.: 48 n. 133
Lomiento, L.: 52 n. 24
Lucani: 35 n. 73, 45 e n. 122, 46, 47 Odisseo: 28
Lukinovich, A.: 20 n. 19 Olimpo: 57, 78, 79 e n. 110
Omero: 28 n. 49
Magaldi, E. 34 n. 73 O’Neil, E. N.: 52 e nn. 19, 20 e 21, 53
Malkin, I.: 36 n. 82, 37 nn. 89 e 91, 40 n. 33
n. 102 Orelli, L.: 52 n. 17
Mantinea: 43, 44, 45, 53 n. 27, 64 e n.
66, 66 Paestum: vd. Poseidonia/Paestum
Mantineesi: 44, 64 e n. 66 Pagliara, A.: 29 n. 58, 52 n. 20, 65 n.
Marinetti, A.: 33 n. 68 67, 73 n. 90, 74 n. 92, 80 n. 112, 85
Martin, J.: 16 n. 6, 17 n. 8 n. 11, 91 n. 31
Martin, R.: 37 n. 89 Palmisciano, R.: 10, 36 n. 79
Massimilla, G.: 40 nn. 101 e 103 Pasquali, G.: 103 n. 71
Massimo Planude, 49 n. 1 Patroclo: 38
Matelli, E.: 52 n. 17 Patterson, R.: 21 n. 21
Mathiesen, Th. J.: 24 n. 35, 91 n. 29 Pearson, L.: 19 n. 15, 52 n. 24
Mathieu, B.: 102 n. 71 Pellene: 64, 66
Mazzarino, S.: 30 n. 59, 31 n. 60, 32 n. Pelleni: 44, 64, 65 n. 66
63, 46 n. 127 Pellizer, E.: 20 n. 18
McClain, E. G.: 86 n. 16 Pérez Jiménez, A.: 10
Megaresi: 37 Pericle: 24, 50, 75, 91
Megillo di Agrigento, 73 Peripato: 61 e n. 58, 62, 69 n. 81
Meister, K.: 50 nn. 9 e 11 Pfister, F.: 37 n. 89
Melanippide di Melo: 21 n. 21, 23 Pindaro: 22, 58 n. 46, 59, 73
Mele, A.: 33 n. 69, 45 n. 123, 46 n. Pisani, G.: 49 nn. 1 e 2, 57 n. 43, 59 n.
126, 47 nn. 128 e 130, 103 n. 71 48
Meriani, A.: 6, 7, 8, 9, 52 n. 24, 91 n. Pitagora: 72 n. 87, 96 e n. 49
30, 96 n. 49 Planude: vd. Massimo Planude
Milanezi, S.: 28 n. 50 Platone: 7, 8, 9, 19, 21 n. 21, 25 e n.
Milziade il Vecchio: 37 n. 83 40, 26 e n. 42, 27, 31 n. 60, 44 n.
Mimnermo: 28 n. 49 117, 45, 50, 61 e n. 58, 66 n. 69, 72
Mitens, K.: 28 n. 51 e nn. 87 e 89, 73, 74, 75, 84, 86 e n.
Momigliano, A.: 17 n. 10, 72 n. 87 14, 90 n. 25, 95, 98 e n. 57, 102 e n.
Montanari, F.: 50 nn. 10 e 12, 55 n. 37 71, 103 e nn. 71 e 74, 112, 113
Mosconi, G.: 21 n. 21, 24 n. 37, 27 Plutarco: 49 e n. 1, 53, 54, 55, 74
nn. 43 e 46, 75 n. 97 Polibio: 24, 44 e n. 115, 65 n. 66
Mourelatos, A.: 88 n. 21 Polideucto di Acaia: 28
Moutsopoulos, E.: 85 n. 20, 90 n. 25, Polifemo: 28
99 n. 57 Polimnesto: 57, 76
Mueller, I.: 86 n. 14, 88 n. 21 Pontrandolfo, A.: 10, 32 nn. 64 e 66,
Murray, O.: 20 n. 18, 42 n. 110 33 n. 69, 45 n. 124, 46 n. 126, 47
Musti, D.: 17 n. 10, 20 n. 20, 21 n. 21, nn. 129, 130, 131 e 132
24 n. 39, 27 n. 46, 75 n. 96 Porfirio: 60, 61, 85, 92, 99, 100 e n. 63,
103
Najock, D.: 70 n. 83 Poseidonia/Paestum, 7, 15, 17 n. 10,
Indice dei nomi citati 147

18, 19, 20, 25, 31 n. 62, 32, 33 e nn. Schlesinger, K.: 69 n. 80


68 e 69, 34, 38, 39 n. 99, 43, 45 e n. Schmitt Pantel, P.: 20 n. 18
121, 46, 47 Segoloni, L. M.: 16 n. 6
Poseidoniati: 7, 16, 18, 19, 20, 29, 30, Senofonte: 19
32, 34 e n. 73, 35, 36, 38, 40, 42, 46 Sestieri, P. C.: 38 n. 93
Pratina di Fliunte: 22, 58 n. 46, 59 Sicilia: 26, 102
Pretagostini, R.: 21 n. 21, 92 n. 35 Sicione: 50
Privitera, G. A.: 52 n. 20, 58 n. 46 Simonide: 73
Pronomo di Tebe: 21 n. 23, 65, 66 Slater, W. J.: 20 n. 18, 25 n. 40, 42 n.
Prosdocimi, A. L.: 32 n. 66, 33 n. 68 110
Protagora: 72 Smits, J. P.: 54 n. 34
Pseudo-Ippocrate: 23 Socrate: 72 n. 87, 83, 84, 85, 86, 87 e
Pseudo-Plutarco: 8, 22, 57, 65 n. 66 n. 17, 88, 89, 90, 91, 93, 94, 95, 97,
Pugliese Carratelli, G.: 16 n. 1, 31 n. 98, 103, 109, 110, 113
62, 35 n. 73 Sofocle: 22 n. 24, 90
Solomon, J.: 61 n. 59, 96 n. 50
Quintiliano, 60 Sopatro: 55 n. 37
Sparta: 64, 66
Raffa, M.: 96 nn. 50 e 51, 108 n. 88 Spina, L.: 10
Rausch, M.: 39 n. 99 Spinazzo: 47
Reinach, Th.: 22 n. 27, 49 n. 1, 54 n. Steiner, G.: 13
34, 62, 63 n. 62, 68 n. 78, 78 e n. Stella, M.: 83 n. 4
107, 80 n. 122 Stesicoro: 57, 76
Relihan, J.: C. 16 n. 6 Stockt, L. van der: vd. van der Stockt,
Restani, D.: 10, 20 n. 20, 51 n. 15 L.
Riedweg, C.: 17 n. 10, 84 n. 6 Stratone di Taranto: 28
Riethmüller, A.: 108 n. 88 Stratonico: 92, 93 n. 40
Rintone: 29 Stucchi, S.: 39 n. 98
Rispoli, G. M.: 41 n. 106, 53 n. 27, 65 Suda: 55 n. 37
n. 66, 93 n. 39 Szabó, A.: 108 n. 88
Rivaud, A.: 85 n. 10
Robins, I.: 86 n. 14 Talamo, C.: 10
Rocco, T.: 38 n. 94 Taleta: 57, 76
Rocconi, E.: 10, 53 n. 32, 59 n. 48, 62 Taplin, O.: 26 n. 42, 28 nn. 51 e 52, 29
n. 61, 77 n. 103, 84 n. 9, 85 n. 12, nn. 53 e 54
91 nn. 28 e 29, 95 n. 46, 107 n. 87, Tarantini: 43
108 nn. 88 e 90 Taranto: 7, 17 e n. 10, 25, 28, 29 e n.
Roma: 47 57, 31 n. 62, 43, 45, 103
Romani: 15 n. 1, 16 e n. 1, 18, 31, 39, Tartaglini, C.: 73 n. 90, 85 n. 11
46, 47 Telenico di Bisanzio: 23
Rossi, L. E.: 10, 16 n. 7, 20 n. 18, 21 Telesia di Tebe: 58 n. 46, 59, 61
n. 21, 24 nn. 36 e 38, 27 nn. 43 e Teleste di Selinunte: 22 n. 24
45, 29 n. 58, 41 n. 105, 42 nn. 109 e Temistio: 22, 77
110, 52 n. 24, 75 n. 96, 91 n. 30 Teone di Smirne: 94
Rouveret, A.: 32 nn. 64 e 66, 33 n. 69, Terpandro: 23, 57, 76
45 n. 124, 47 n. 129, 130, 131 e 132 Theodorescu, D.: 32 n. 68, 38 nn. 93 e
Rufo: 55 n. 37 94, 39 nn. 96, 97, 99 e 100, 46 n.
126
Sacada: 57, 76 Theras Spartano: 37 n. 83
Sacco, G.: 32 nn. 66 e 67 Thesleff, H.: 102 n. 71, 112 n. 97
Sanniti: 15 n. 1 Timesia di Abdera: 37 n. 83
148 Sulla musica greca antica

Timoleonte: 37 n. 83 Volkmann, R.: 62, 63 n. 62


Timoteo di Mileto: 21 n. 21, 22, 23, Vope, P.: 10
24, 44, 59, 76
Timpanaro Cardini, M.: 17 n. 10, 84 n. Waerden, B. L. van der: vd. van der
7, 94 n. 45, 95 n. 46, 96 n. 48, 100 Waerden, B. L.
n. 61, 102 n. 71 Wallace, R. W.: 27 n. 43, 52 n. 20, 91
Tirreni: 16 e n. 1, 18, 46, 47 nn. 29, 31 e 32, 92 e n. 38
Tocco Sciarelli, G.: 46 n. 126 Wehrli, F.: 16 n. 1, 17 n. 8, 18 n. 13, 22
Todisco, L.: 24 n. 39, 25 n. 40, 28 n. nn. 24 e 25, 41 e n. 104, 51 e n. 17,
51 52 nn. 17 e 21, 53 nn. 27 e 32, 58 n.
Tolemaide di Cirene: 85 e n. 12, 87 n. 45, 63 n. 65, 69, 70 n. 82, 72 n. 87,
19 73, 74 n. 67, 77 n. 102, 78 n. 106
Tolemeo: 60, 96 e n. 50, 100, 101, 103 Weil, H.: 22 n. 27, 49 n. 1, 54 n. 34,
Tolemeo I: 29 n. 54 62, 63 n. 62, 68 n. 78, 78 e n. 107,
Torelli, M.: 31 n. 62, 32 n. 63, 34 n. 73 80 n. 122
Trasillo: 99 n. 58 Weissenberger, B.: 49 n. 1, 56 e n. 39
Tritopatores: 39 n. 99 Wersinger, A. G.: 85 n. 10
Tsopanakis, A. G.: 31 n. 60 West, M. L.: 18 n. 12, 21 nn. 21 e 23,
22 n. 26, 23 n. 33, 44 n. 118, 52 n.
Valeri, V.: 20 n. 18, 35 n. 74 20, 66 n. 70, 71 n. 84, 75 n. 96, 91
van der Stockt, L.: 54 n. 34 n. 29, 92 n. 38, 96 nn. 50 e 52
van der Waerden, B. L.: 86 n. 16, 96 n. Westphal, R.: 16 n. 2, 18n. 12, 51 e n.
52 16, 52 n. 21, 62, 63 n. 62
Vegetti, M.: 10, 83 nn. *, 2 e 3, 85 n. Wilamowitz-Moellendorff, U.: von 49
10, 86 n.15, 89 n. 23, 98 n. 55, 104 n. 1, 103 n. 71
n. 75 Winnington-Ingram, R. P.: 44 n. 118,
Vetta, M.: 10, 16 n. 6 104 n. 78
Villari, E.: 16 n. 4, 21 n. 22, 53 n. 32, Wuilleumier, P.: 17 n. 10, 19 n. 16, 28
54 n. 35 n. 51, 103 n. 71
Visconti, A.: 10, 16 n. 2, 17 n. 10, 18
nn. 12 e 14, 19 n. 15, 20 n. 20, 21 Yartz, F. J.: 85 n. 10
nn. 21, 22 e 23, 22 nn. 25 e 26, 23
n. 33, 24 n. 34, 27 n. 44, 35 n. 73, Zancle: 40
43 nn. 11, 112, 113, 44 n. 114, 52 Zanoncelli, L.: 86 n. 13
nn. 20 e 23, 53 n. 27, 58 n. 46, 59 Ziegler, K.: 49 nn. 1 e 3, 50 n. 7, 51 n.
nn. 48 e 50, 61 nn. 54 e 58, 64 n. 14, 52 n. 21, 63 n. 62, 67 n. 71, 68
66, 65 n. 67, 72 n. 87, 77 n. 102, 78 n. 78
e n. 108, 91 n. 28 Zimmermann, B.: 21 n. 21
Indice dei nomi citati

INDICE GENERALE

Prefazione p. 5
Nota 10

I. Festa, musica, identità culturale: il caso di Poseidonia 15


(Aristox. fr. 124 Wehrli)
01. Un frammento di letteratura simposiaca 15
02. Un’ipotesi sulla cronologia 17
03. Festa e simposio 19
04. Il contesto della citazione 20
05. Aristosseno e la musica teatrale 21
06. Forma, contenuto, altri dati cronologici 29
07. Festa, cerimoniale, ideologia 33
08. Pianto rituale e culto del fondatore 35
09. Un altro particolare del rito: l’invocazione del fondatore 40
10. Un particolare del simposio: musica antica e musica nuo-
va a confronto 40
11. Festa, simposio, musica, vita politica 42
12. Conclusioni 45

II. Tracce aristosseniche nel De musica pseudoplutarcheo 49


01. Un’opera pseudepigrafa molto preziosa 49
02. Aristosseno fonte del De musica 51
03. Contenuti e struttura letteraria del De musica 55
04. Educazione, teoria e pratica musicale 58
05. Organologia 69
06. Aristosseno contro Platone 71
07. Polemiche sulla nuova musica 74
08. Osservazioni conclusive 81

III. Teoria musicale e antiempirismo nella Repubblica di Pla-


tone (Plat. resp. VII 530b-531d) 83
01. Scienze sorelle: un motivo pitagorico 83
02. Una nuova impostazione 85
03. Rifiuto dell’empirismo: l’intervento di Glaucone e la pre-
cisazione di Socrate 87
04. Una metafora audace: suvmfwnoi ajriqmoiv 88
05. Un fraintendimento? 89
06. Temi e orientamenti di teoria musicale 91
07. I Pitagorici 94
08. La “terza via”: gli aJrmonikoiv 106
09. Considerazioni conclusive 112

Appendice 115
Bibliografia 121
Indice dei passi citati e richiamati 137
Indice dei nomi citati 143
Indice dei passi citati e richiamati

Finito di stampare
dalle Arti Grafiche «Il Cerchio»
Napoli

dicembre 2003

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