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DAL 'PLAZER' STILNOVISTICO-CORTESE A QUELLO UMANISTICO-CRISTIANO: STORIA DI

UN VERSO-CHIAVE SULLA NEVE


Author(s): Emilio Pasquini
Source: Italianistica: Rivista di letteratura italiana , MAGGIO/DICEMBRE 1992, Vol. 21,
No. 2/3 (MAGGIO/DICEMBRE 1992), pp. 459-483
Published by: Accademia Editoriale

Stable URL: https://www.jstor.org/stable/44000467

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DAL 'PLAZER' STILNOVISTICO-CORTESE
A QUELLO UMANISTICO-CRISTIANO:
STORIA DI UN VERSO-CHIAVE SULLA NEVE

Discorrendo, oramai troppi anni fa, della 'terzultima palinodia dantesca'1,


appena accennato ad alcuni casi di questa particolare intratestualità, nei suoi asp
prevalentemente ritmico- timbrici, con un laconico riferimento a «quella straor
ria icona della neve {Inf. XIV 30), che cela insieme una polemica con Cavalc
la palinodia di proprie concessioni all'evasività del plazer ». La storia di ques
sodio - già lo anticipavo - non era però riducibile ai due grandi amici (e poi avve
ri) di fine Duecento: qui ci proponiamo di ripercorrerla nelle sue ambagi sottili,
Ismera e Petrarca, non senza i necessari addentellati transalpini, che config
tale icona come un raro e inafferrabile verso-tema, chiave di volta per interpreta
d'ordine generale. E in fondo, proprio prendendo le mosse della rappresent
della neve in Cavalcanti e Dante, anche il postumo Calvino delle Lezioni ame
oscilla (in una prospettiva di Weltliteratur) fra i topoi della leggerezza e della p
tezza, in pagine suggestive2 che sono state non ultima ragione del ritardo con c
ora mi decido a dare alle stampe un discorso nel frattempo nutritosi di di
frequenti e appassionati con amici e colleghi, ai quali debbo stimoli vivaci e salu
correzioni di rotta3.
E, questa, una vicenda che è stata in buona misura ricostruita nei suoi ele
isolati, senza però che ne risultasse un sistema coerente, o meglio senza che
comprendesse l'intero meccanismo interno. L'attenzione infatti è andata ad anal
staticamente intese, in una serie di variazioni di quel 'fontalismo' addebita
genere all'erudizione della scuola storica. C'è ad esempio chi4 si sofferma co
gante vacuità sulla ripresa del verso di Cavalcanti in Dante, sia in rapporto al m
lo contiguo dello pseudo- Alessandro sia a un preteso «stile del paesaggio goticiz

1. «Atti dell'Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna», Classe di Scienze morali, Ren
LXXII (1983-84), pp. 73-82, part. 74 nota 6.
2. Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio , Milano, Garzanti 1988, pp. 12-17:
versi sono quasi identici, eppure esprimono due concezioni completamente diverse [...]. In Caval
congiunzione e mette la neve sullo stesso piano delle altre visioni che la precedono e la seguo
fuga di immagini, che è come un campionario delle bellezze del mondo. In Dante l'avverbio
rinchiude tutta la scena nella cornice d'una metafora, ma all'interno di questa cornice essa ha u
realtà concreta [...]. In Cavalcanti tutto si muove così rapidamente [...]; in Dante, tutto acquista
stenza e stabilità [...]». Dietro queste geniali semplificazioni, specie connesse al balzo di Gui
novella del Boccaccio, stanno forse (accanto al capolavoro di Milan Kundera) certe complementar
della leggerezza maturate nel primo Novecento europeo, fra il Perelà di Palazzeschi e YArlec
Picasso, il Pierrot lunaire di Henry Rousseau e l'omonimo di Arnold Schönberg, YEquilibrista d
il Palombaro di Govoni e magari anche l'acrobata di Ungaretti (nei Fiumi).
3. Nelle varie sedi dove mi è accaduto di parlare su questo argomento, fra l'UCLA di Giovan
chetti (1985), la Montréal di Michelangelo Picone (1989) e la Ginevra di Guglielmo Gomi (199
primo amico con cui ebbi a discorrerne è proprio Giorgio Varanini, alla cui memoria queste pag
dedicate.

4. M. APOLLONIO, Lettura del XIV delVInferno (1961), in Lectura Dantis Scaligera , I, Firenze, Le
Monnier 1971, pp. 451-478.

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460 Emilio Pasquini
te»; chi invece5 si limita a registrare la derivazio
da Dante, dimenticando che già il Calcaterra6, su
veduto ad aggiungere alla lista l'Ismera. Qualcuno
dei fatti, che assai per tempo era divenuta un pa
XIV 307. E il caso di Umberto Bosco8, là dov
scrisse quel verso «l'immagine, forse, era già tra
significato assai diverso, tutt'altro che idillico»;
che «Petrarca riprese il verso direttamente da C
ricordare l'utilizzazione fattane da Dante, per esp
morta, senza che l'urto della morte ne avesse sco
qualcosa di più rispetto alla precedente trafi
dimostrazione.
Del resto, che si sia ormai giunti a un punto morto, è testimoniato dal brusco
rilievo di Mario Marti9, che chiede ai suoi lettori il permesso di «non rinnovare le
superflue lodi del verso 'come di neve' ecc. (v. 30), con i rinvii d'obbligo al Caval-
canti, al Petrarca e ad altri». Il nostro tentativo è dunque quello di evadere dalle
secche di un pigro e improduttivo luogo comune dell'esegesi dantesca (o petrarche-
sca o cavalcantiana)10. Per ciò che riguarda Petrarca, infatti, accanto a sondaggi più

5. Come E. PARATORE nella sua lettura del XIV deWInferno (1959), poi nel volume Tradizione e
struttura in Dante , Firenze, Sansoni 1968, pp. 221-249.
6. Nel suo commento ai Trionfi (Torino, Utet 1933), insuperato fino all'uscita (Milano, Mursia 1988) di
quello procurato da M. Ariani: che però in questo caso non aggiunge supplementi di sorta.
7. Così Casini-Barbi («Bella e semplice comparazione che ricorda le simili imagini di due antichi
rimatori, F. Ismera (Valeriani, Poeti del primo secolo I 431) «Veder fioccar la neve senza venti» e G.
Cavalcanti «E bianca neve scender senza venti»), mentre Sapegno («Il tono, che in Guido è di una
sensibilità preziosa e compiaciuta, in Dante è diverso e tutto funzionale: l'immagine, riferendosi a un
fenomeno naturale fra i più comuni e ritratto dal nostro con le parole più piane (egli sopprime, si noti
bene, l'aggettivo 'bianca' che nel Cavalcanti rispondeva a un gusto elegante e decorativo, da gotico
fiorito), serve a compiere con un'impressione di immediata evidenza la rappresentazione delle falde di
fuoco») e Bosco-Reggio («Il bellissimo verso dantesco va sentito nell'insieme di tutta la terzina, lenta e
scandita, con un ritmo straordinariamente espressivo (prevalgono le parole bisillabe); esso è privo di
quel preziosismo decorativo che ha invece il verso cavalcantiano») insistono sulla reminiscenza caval-
cantiana, che concordemente vedono spogliata di ogni arabesco tardo-gotico. Il Torraca ha il merito di
far entrare in gioco la 'petrosa' Io son venuto ; mentre il Contini richiama Inf. XIV 30 nel suo commento
alle Rime di Dante (p. 48 dell'ed. di Torino, Einaudi 1968), a fronte di Sonar bracchetti , ma senza
dedurne qualche conclusione. Nessun passo in avanti nel bel libretto di D. Della Terza, Forma e
memoria. Saggi e ricerche sulla tradizione letteraria da Dante a Fico, Roma, Bulzoni 1979, pp. 13-14;
mentre C. BOLOGNA (Tradizione testuale e fortuna dei classici italiani , in Letteratura italiana , Torino,
Einaudi 1986, p. 511) ha provveduto a rammentarci che l'associazione del plazer cavalcantiano sulla
neve bella col parallelo luogo petrarchesco nei Trionfi si deve per primo a Giulio Camillo.
8. Nella lettura del medesimo canto (1966), entro le Nuove letture dantesche , II, Firenze, Le Monnier
1968, pp. 47-76.
9. Drammaticità speculare del canto XIV dell9« Inferno», «GSLI», CLIX (1982), p. 165.
10. Quanto a Dante, i riscontri addotti erano canonici almeno a partire dal diligentissimo regesto di L.
VENTURI, Le similitudini dantesche ordinate illustrate e confrontate. Saggio di studi , Firenze, Sansoni
1874, p. 68 (è la 112a): «Similitudine, in sua brevità, delle più belle del poema. Dante, altrove, del
vapore addensato: «Cade in bianca falda / di fredda neve» (Rim. canz. 11) (...) Guido Cavalcanti, in un
sonetto: «e bianca neve scender senza venti» (Rim. Ant., del Valeriani, Firenze 1816); e meglio di lui,
Francesco Ismera: «Veder fioccar la neve senza venti» (Rim. ant.). Affettuosamente, il Petrarca della

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Storia di un verso-chiave 461

o meno neutri11, neppure i sistematici accertamenti


portato molto avanti nella soluzione del nodo che ci sta
acquisito il sostanziale anticlassicismo di Cavalcanti13 e
memoria involontaria in Petrarca, si debba conclude
significhi «più il ricorso ad una auctoritas che ad un m
buisce però a un chiarimento la 'trascrizione' del cav
plazer funerario di R.V.F. CCCXII (Né per sereno ciel), d
chiave sulla neve14. E neppure battendo altre vie, la
mano: lo si dica per il rapporto fra Vita Nuova e Tr
diverse15; o per l'indagine a tappeto sui dantismi pe
Trovato16; o per le raffinate auscultazioni intertestuali
Trionfi , il già ricordato Marco Ariani.
Potremmo allora partire dal punto meno precisabil
trafila, da un personaggio neppure acquisito ai comuni
noto anzi solo a una ristretta cerchia di specialisti;
allettare da un eventuale filone topico, proprio in
cultura17. Alludiamo a Francesco Ismera (o Smera) d
tuale della Toscana sullo scorcio fra Due e Trecento,
intorno al 1335, che nel 1300 era canonico di Sant'An
poeta occasionale, dunque, che a volte venne errone

sua Laura morta: «pallida no, ma più che neve bianca, / che senza v
posar come persona stanca».

11. F. Chiappelli, Studi sul linguaggio del Petrarca. La canzone delle visioni , Firenze, Le Monnier
1971, p. 162 note 1 e 3 («è la neve a fornire la metafora dell'ultimo aspetto transitorio di Laura, in quel
pallore stanco in cui il poeta la immagina»: dove però - cfr. nota 98 qui appresso - quel pallore va
sottratto ad ogni ipoteca 'romantica'); E. Giannarelli, L'immagine della neve al sole dalla poesia classi-
ca al Petrarca : contributo per la storia di un « topos », «Quaderni petrarcheschi», I (1983), p. 121 nota
91.

12. Petrarca e la tradizione stilnovistica. Firenze, Olschki 1977, specie pp. 46, 56, 60-63.
13. Ma il commento di D. De Robertis (G. Cavalcanti, Rime , con le rime di Iacopo Cavalcanti ,
Torino, Einaudi 1986) appare ben diversamente orientato.
14. Al Suitner (Petrarca e la tradizione cit., pp. 60-61) sfugge il rapporto di entrata-uscita con Dante;
come già al vecchio commento di G. Carducci e S. Ferrari alle Rime del Petrarca (Firenze, Sansoni
1899, nuova presentazione di G. Contini, ivi 1957, pp. 428-429), dove pur si citano per esteso i
'campioni' di Ismera e Cavalcanti.
15. E. Chirilli, La contemplazione della morte in «Vita Nuova» XXXII e «Triumphus Mortis» /,
«L'Alighieri», 1 (1983), pp. 16-37, part. 30.
16. Dante in Petrarca. Per un inventario dei dantismi nei «R.V F Firenze, Olschki 1979.
17. Cfr. * Il «minore» nella storiografia letteraria , a c. di E. Esposito, Ravenna, Longo 1984, e ivi in
particolare il contributo di M. Marti, Il «minore» come crocevia di cultura , pp. 131-151.
18. Per l'Ismera, cfr. P. Bembo, Prose della volgar lingua , in Opere in volgare , a c. di M. Marti,
Firenze, Le Monnier 1961, pp. 308, 434, 441; G. M. Crescimbeni, Dell'istoria della volgar poesia ,
Venezia, Basegio 1730, II, p. 68; L. Fiacchi, Rime antiche , Firenze, Piatti 1812, p. 59; L. Valeriani,
Poeti del primo secolo della lingua italiana , Firenze, Tartini 1816, I, p. 431; Le rime di Folgore da S .
Gemignano e di Cene da la Chitarra d'Arezzo , a c. di G. Navone, Bologna, Romagnoli 1880, p. Ili; M.
Pelaez, Rime antiche secondo il Vat. lat. 3214 [per il sonetto-indovinello, forse a Dino Compagni] e il
Casanatense d. V. 5, ivi ma 1895; U. Bacchioni, Per un umile poeta del Trecento , Rocca San Casciano,
Sassi 1910; R. Scrivano, voce Beccanugi Francesco Ismera , in Dizionario biografico degli Italiani , VII
(1965).

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462 Emilio Pasquini
Lapo o Lupo Farinata degli Uberti corrispondent
quando dicesti pastorella19 .
Entro lo smilzo manipolo di rime che con bu
nome dell'Ismera, l'obiettivo dell'analista è dunqu
gnativo, la canzone Per gran soverchio di dolor m
gia plausibile, essa potrebbe configurarsi come l'
verso-chiave sulla 'neve bella'. Ma vediamo subito
e poi quali addentellati la canzone presenti con
Il testo in questione, tutto in endecasillabi, con
con qualcosa di notevole - mi pare - anche dal pu
tante tuttavia ai nostri fini la consecuzione te
propria condizione di angoscia in seguito alla
lontano dalla donna amata (Ia stanza); egli sente i
immutabilmente segnato dal dolore (2a), al punto
siasi offesa (3a). Ogni sua residua speranza ris
senza l'illusione di un definitivo ritorno alla don
seguita da uno scontato congedo - segna una sv
per intero - con tenui e indispensabili aggiu
Chigiano latino L. VIII.30521:

A che diritto, Amor, son vostro servo


dirò in parvenza, perché dobli e cresca,
a ciascun che d'amare ha voglia fresca,
fermo coraggio a ssofrir no spaventi.
Galee armate vedere in conservo,
donne e donzelle in danza gire a tresca,
l'aria pulita quando si rinfresca,
veder fioccar la neve sanza venti,
e cavalieri armati torneare,

19. Lo si veda nell'ed. delle Rime del Cavalcanti a c. di G


309 e ora anche nel cit. commento di De Robertis. Per ques
L. VIII. 305 (nell'ed. Molteni-Monaci), l'ed. Arnone del Ca
tense; nonché Contini, Poeti del Duecento , Milano-Napo
stesso, ma II, p. 551, per il mottetto edito da S. Debened
70-71.

20. Il tipo della strofa di 17 versi tutti endecasillabi non sembra proprio banale, anche alla luce dello
schema rimico: ABBCABBC.DEEDFFGGD. Non ne trovo riscontri né fra i siciliani né fra i toscani di
transizione né fra gli stilnovisti: con l'unica eccezione di una canzone di Chiaro Davanzati, con stanze di
16 versi tutti endecasillabi. Si veda l'ed. critica delle Rime (a c. di A. Menichetti, Bologna, Commissio-
ne per i testi di lingua 1965 p. 180), dove si cita la referenza del Casini, secondo il quale Chiaro fu uno
dei primi a dare «l'esempio della grande stanza tutta d'endecasillabi distribuiti in quattro periodi metri-
ci, quale fu poi fissata da Dante; e [...] questa novità è proprio in quelle canzoni che più arieggiano,
quanto ai pensieri e allo stile, la poesia dantesca». Una ricerca più sistematica ho io stesso prodotto
(1970) a proposito di una 'dispersa' pseudo-petrarchesca: ora (// mito della casa del Sonno) nel volume Le
botteghe della poesia , Bologna, Il Mulino 1991, pp. 115-198.
21. La canzone si trova edita diplomaticamente da Molteni e Monaci (nel «Propugnatore» del 1877-
78); la mia è, credo, la prima edizione interpretativa, almeno per la quinta stanza (solo parzialmente e
non senza inesattezze proposta da G. Carducci e S. Ferrari nel loro commento alle Rime petrarchesche,
p. 428, in calce al CCCXII).

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Storia di un verso-chiave 463

cacce di bestie e falcon per rivera,


le pratora fiorir la primavera,
canti d'augelli e stormento sonare;
e tutto questo sentir e vedere
nient'è ver' mia donn'al mi' parere,
a cui tornar sempre '1 volere aferro
più che s'io fossi per natura ferro
ed ella calamita per tirare.

Il desiderio che riconduce il poeta verso la donna com


ferro verso la calamita - topos fra i più ricorrenti ne
na ancora una volta il vagheggiamento di un com
luogo di immutabile perfezione e paragonate (per ric
lezza della donna amata. In altre parole, si produc
letterario del plazer , di ascendenza transalpina, che
almeno per gli elementi naturalistici del quadro -
amoenus , tra Libanio («Sono per noi motivo di letizi
i giardini e le tenui brezze e i fiori e i canti deg
(«Amoena loca dicta quod amorem praestant, iocun
In ogni caso, la varietà degli elementi riconduce all
con naturalezza si possono inserire i tratti ideal
cavalleresca: le barche 'armate', cioè «attrezzate pe
li, i tornei, la caccia col falcone. Il che significa ch
una posizione tangenziale rispetto a chi, come un Fol
va nelle sequenze temporali della settimana e dei mes
diletto, idealizzato come sublime forma d'esistenza
delle sue terre»; secondo una formula che, appun
innesto degli stilemi provenzali del souhait e del p
naturalistico»24.
In sostanza, manca del tutto nell'Ismera lo stilema
presente, anche quando è sottinteso, nella 'partita
di un Folgore, Vi appaiono invece molti tratti de
dispiega attraverso i due sistemi complementari, anz
mana' e dei 'mesi':

galee armate... «e barche, saettìe e galeoni, / le qual vi portino a tutte


stagioni» (Di marzo 6-7)
donne e donzelle in danza... «donne e donzelle star per tutte bande» (Mercoredìe 5)
«danzar donzelli» (Domenica die 9)

22. Si veda la bibliografia adunata da A. Menichetti nelFed. cit. delle Rime di Chiaro Davanzati, p.
285.

23. Cit. da E. R. CURTIUS, Europäische Literatur ecc. (1948), ora finalmente in traduzione italiana,
Letteratura europea e Medioevo latino , a c. di R. Antonelli, Firenze, La Nuova Italia 1992, pp. 220-221;
allo stesso libro si deve la trattazione più innovativa del topos (pp. 219-223), e più in generale del
'paesaggio ideale' (pp. 207-226).
24. Folgore da San Gimignano, Sonetti , a c. di G. Caravaggi, Torino, Einaudi 1965, p. 12.
25. Cioè 4vi dono', Vi do' ecc. (ed. Caravaggi, p. 16). Per una valutazione complessiva di Folgore, cfr.
ora *11 giuoco deüa vita bella ecc., a c. di M. Picone, San Gimignano, Biblioteca Comunale 1988 (specie
per i contributi di G. Caravaggi e M. Ciccuto, oltre che dello stesso Picone).

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464 Emilio Pasquini

«donne e donzelle per vostra camp


zar» (D'aprile 4, 7)
l'aria pulita. . . «vento leggero, per polire l'a
e sana» (Lunidie 3-4)
«in una valle d'alpe montanina, / ch
marina, / per istar sani e chiari com
e cavalieri armati... «armar pedon, cavalieri e donzelli» (Martidie 3)
«Ed ogni giovedì tornïamento, / e giostrar cavalier» (Giove-
die 1-2)
«armeggiar cavalier» (Domenica die 9)
cacce di bestie... «Ed ogni venerdì gran caccia e forte /[...] là ove si troven
molte bestie accorte» (yener dì 1, 4)
«diletto ed allegrezza / in uccellare e volar di falconi» (Sa-
bato die 1-2)
«bella caccia / di cerbi, cavriuoli e di cinghiari» (Di feb-
braio 1-2)
«falconi, astori, smerletti e sparvieri» (Di settembre 2)
le pratora fiorir. . . «la gentil campagna / tutta fiorita di bell'erba fresca» (D'a-
prile 1-2)
e stormento sonare... «e sonare a raccolta trombadori / e sufoli, flaùti e ciramel-
le» (Martidie 12-13)

Limitiamoci per ora a rilevare che gli elementi del plazer dell'Ismera trovano tutti un
preciso riscontro nel complesso dei testi di Folgore, ad eccezione di due: il sintagma
(onnipresente nella tradizione) 'canti d'augelli' e il meno consueto «fioccar la neve
sanza venti», cioè il verso sulla 'neve bella'. (Va da sé, dato lo squilibrio quantitati-
vo, che viceversa nell'Ismera manchino tanti motivi della 'bella vita' folgoriana). Del
resto, in Folgore - siamo nel primo decennio del Trecento - sembrano ormai rifran-
gersi in forme più libere e occasionali (approdanti addirittura alle ore del giorno)26 i
temi che prima si concentravano nella misura più chiusa (in quanto legata a un'acro-
nica primavera) del plazer : nonostante la sua natura di catalogo 'aperto', la scelta
prevalente del sonetto - almeno nella nostra tradizione -27 vuol pure significare
qualcosa; così come il fatto che Folgore abbia avvertito il bisogno di 'catene' di
sonetti.

E una tradizione che in Italia passa attraverso il Guinizzelli di Io voglio del ver la
mia donna laudare : sonetto dove la serie degli amoeņa analogicamente ricondotti
alla persona amata comprende rosa- giglio-stella diana-verde river( a) -are-tutti color
di fior-oro ed azzurro ['lapislazzuli'] e ricche gioi. E modello inauguratore di un

26. Cfr. la tarda variante del registro della 'vie joyeuse' (Zumthor) nelle ottave quattrocentesche da me
studiate a più riprese (Le botteghe cit., p. 12) e sulla mia scia da T. Zanato, Sulla tradizione dei testi
semi- o pseudo-popolari: le ottave delle «ore estive », in *La critica del testo: problemi di metodo ed esperien-
ze di lavoro , Roma, Salerno 1985, pp. 451-491. Si noti infine che il tema della neve è in Folgóre
connesso al mese di gennaio, a febbraio invece nel controcanto di Cenne (CONTINI, Poeti del Duecento ,
cit., II, pp. 406 e 424).
27. Dove rappresenta un manufatto piuttosto raro il plazer contratto in una canzone presso Chiaro
Davanzati (ed. Menichetti, pp. 100 e 103); cui del resto fanno riscontro i dieci sonetti-p/azer (ed. cit.,
pp. 261-271), estranei al tipo 'naturalistico', dove cioè le cose che piacciono sono persone o categorie
sociali.

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Storia di un verso-chiave 465

versante solo naturalistico, sul quale troviamo attest


se non di un Muscia senese) Giùg[g]giale di quares
tezze fuori stagione»28, come le giuggiole, le susine
vesti di giocosi correlati di un amore contro natura.
Viceversa, su un filone sonettistico che va mesc
socio-mondani, ritroviamo il Cino di Una ricca rocca
contro all"acqua vertudiosa'); il Muscia da Siena di Du
quattrini, le belle donne, la fortuna al gioco, di cont
l'anonimo di Io vorria in mezzo al mare una mon
adorno di porte, ponti e torri d'oro e di cristallo entr
di un'isola montuosa; e ancora il Cino Rinuccini d
perle30, con la 'donna amorosa' e il 'cavalier armato',
donzelle' accanto al 'verde prato', alle 'lucide stell
Su questa strada resta in qualche misura anche
cacciatori aizzare 32 , mentre ne diverge (per la chia
Guido, i' vorrei, sulla cui linea si muovono Guido Or
Cavalcanti) A suon di trombe, anzi che di corno ; e,
Gianni nel doppio caudato Amor, eo chero mia donn
elementi 'civili' (cioè le «mura di Firenze inargent
adornate», il «sonar viole, chitar[r]e e canzone») fa d
ca' (i l'Arno balsamo fino-I' aria temperata- giardin f
condotti ď acqua-cacciagione). Resta insomma isolato
pia scacchiera, 'fisica' e 'mondana', il tratto della
maverile, riscontrabile - come in Ismera - presso il C
saccente core33: che a questi primi due segmenti 'um
armati-ragionar d'amore-adorni legni 'n mar, intrec
ca' cantar d'augelli-aria serena-bianca neve-rivera
argento, azzurro 'n ornamenti (dove la ripresa te
sorta di svalutazione stilnovistica dei rituali cortesi).

* * *

Tornando all'Ismera, vorremmo sottolineare un pai


primo luogo come in lui manchi uno degli eleme

28. Contini, Poeti del Duecento, cit., II, p. 394.


29. Rimatori del Trecento , a c. di G. Corsi, Torino, Utet
30. Ibid., pp. 577-578.
31. Caravaggi (ed. cit., p. 16) cita anche gli anonimi Io vor
v allegri Iddio, gentil brigata, su questa stessa linea; che è po
Né per sereno ciel ir vaghe stelle (in R.V F . CCCXII), dove l'e
plazer si alternano regolarmente per coppie di versi: stelle-leg
snelle ecc. (ed è il modello che agisce sul Rinuccini).
32. Con giustapposizione alle belle piagge della serie lepri leva
sono evidenti i debiti nei confronti del cavalcantiano Biltà di d
ti di Folgóre. Cfr. G. Caravaggi, Le plaisir de la chasse, «M
33. Che è una fra le sole tre poesie di ioda' nel Cavalcanti, con
questa che vèn, ch'ogn'om la mira.

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466 Emilio Pasquini
iunctura fra plazer e locus amoenus (nel regis
vita'): la presenza di acque limpide trascorrenti a
'rivera d'acqua' in Guido; così, in Folgore, le «fon
(D'aprile 3) o la collina «ch'abbia nel mezzo una su
e fìumicelli, / ferendo per giardini e praticelli /
giugno 4-8). Così, ancora, in tanti dei sonetti cit
za, entro un fitto repertorio di loci riconducibil
do son dilettose le fiumane / e son chiare sur
aveavi una fontana» ecc.); ma già nel Reggimen
gon fontane di fonti novelle, / spargon là dov
ecc.).
Viceversa (ed è questo il secondo punto che ci preme ribadire), in tutto il com-
plesso della tradizione che ruota intorno alla tipologia del plazer-souhait , l'elemento
'bello' della neve non è dato ritrovarlo, entro il territorio italiano, che in appena due
casi (oltre che nell'Ismera, nel solo Cavalcanti): ciò che del resto si spiega agevol-
mente proprio per la prevalente concentrazione dei motivi afferenti alla sfera del
locus amoenus intorno a un archetipico nucleo primaverile. La controprova immedia-
ta si ravvisa nell'apparizione del tema 'ameno' della neve proprio nel sonetto che
Folgore ha dedicato al mese di gennaio: «uscir di fuor alcuna volta il giorno, /
gittando della neve bella e bianca / alle donzelle che saran d'attorno [...]».
Ma prima di far entrare in gioco Cavalcanti, occorre verificare come stiano le cose
nella tradizione transalpina, dove affonda le sue radici il genere stesso del plazer.
Lasciando stare analogie sul versante dei loci communes , vi risultano latitanti due
tratti, di ordine sintattico l'uno, tematico l'altro: che rappresentano i connotati di
base, il primo del plazer italiano34, il secondo invece degli exploits paralleli di Isme-
ra e di Cavalcanti. Inusitato dunque, più che raro, in area transalpina35, il tipo
sintattico giustappositivo del plazer italiano, con quei suoi caratteristici infiniti otta-
tivi (o acronici): comuni alla canzone dell'Ismera come al sonetto cavalcantiano, o ai
tanti esemplari due-trecenteschi sopra ricordati, e persistenti fino al Poliziano delle
Stanze (o addirittura al Montale di Meriggiare pallido e assorto)36.
Sotto il profilo tematico, invece, quell'immagine della neve bella fra le tante cose
che piacciono (correlate alla superiore leggiadria della donna amata), di per sé quasi
impropria in un insieme di amenità primaverili (in quanto ammissibile solo entro un
paesaggio invernale), non può non presentare un basso grado di probabilità nella
serie dei plazers - per loro natura legati a loca amoena e a una perpetua primavera -
della letteratura d'oltralpe. Se, pur non rinunciando alla terminologia cara a Greimas
e al nostro Cesare Segre37, facciamo appello al concetto di 'registro espressivo' usu-

34. Cfr. a questo proposito C. S. Del Popolo, Tenzone-plazer o Tenzone di due plazer?, SPCT, 21
(ottobre 1980), pp. 17-23.
35. Cfr. P. Zumthor, Lingua e tecniche poetiche nelTetà romanica (1963), trad, it., Bologna, Il
Mulino 1973, pp. 169-173.
36. Cfr. G. Ghinassi, Il volgare letterario nel Quattrocento e le « Stanze » del Poliziano, Firenze, Le
Monnier 1957, pp. 78-79; nonché, di chi scrive, La memoria culturale nella poesia di Eugenio Montale.
Modena, Mucchi 1991, pp. 20-21.
37. Alludiamo alla famiglia lessicale di 'isotopo', 4-ia', sulla scorta (oltre che del Greimas di Du sens :
essais sémiotiques , 1970) di C. Segre, Tema / motivo, in Enciclopedia, 14 (Torino, Einaudi 1981, pp.

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Storia di un verso-chiave 467

fruito da Paul Zumthor38 per la tradizione del plazer


mo di fronte a una serie di coincidenze abbastanza sc
due-trecentisti. Insomma, a un codice comune: che t
li, sembra coerentemente escludere l'immagine
belle, solitamente vincolato alla costante di un qua
In ogni caso, per ritrovare attiva questa leggiadra i
dal circuito del genere plazer ; puntare ad esempi
vicende nella stagione adeguata a quella stessa immag
le' di Raimbaut d'Aurenga, Ar resplania flors envers
locus asper - dovette suggerire non poco alle 'petros
suggestivo risulta essere quello, modernissimo, d
flors? Neus, gels e conglapis [...] e tene per flor lo c
già al centro di un capolavoro di Bernart de Ventado
ai mo cor pie de joya*2: «Flor blancha, vermelh'e gro
ven et ab la ploya / me creis l'aventura, / per que m
chans melhura: / tant ai al cor d'amor, / de joy e
sembla flors / e la neus verdura»; analogamente,
vei luzir solehl : «neus m'es flors blanch'e vermelha
Una bellezza, quella della neve, che ambiguamen
fioritura nel cuore dell'inverno (Yadynaton che d
giornata del Decameron); per contro, come la sua pre
paesaggi, tale è altrettanto la sua assenza in testi am
giche più favorevoli ai fiori propriamente detti che
ed esclusivo corredo primaverile apparenta la 'canzon
Raimbaut de Vaqueiras, Kalenda maya 44 , alla 'ca
dorn, Can Verba frescKe'lh folha par45. Simile 's
gruente all'«idea del ciclo, di un 'eterno ritorno', d
insomma a quell'attenzione di Bernardo per gli eleme
renti, che privilegia l'ottica stagionale nell'avvice
mente primaverili, ma anche invernali e perfino aut

3-23) e Intertestualità e interdiscorsività ecc. (1982), ora in Tea


letteraria , ivi 1984, pp. 103-118. Cfr. M. Corti, Per una tipo
felicità mentale ecc., ivi 1983, pp. 61-71.
38. Lingua e tecniche cit., pp. 134 sgg.
39. Anche nei suoi rapporti oppositivi con la tradizione del
articolo di R. T. Hill, «PMLA», 27 (1912), pp. 265-296 - si
Routledge nelFed. critica di Les poésies du Moine de Montaud
d'Etudes Occitanes de l'Université Paul Valéry 1977, pp. 80-1
40. Quello stesso, fra l'altro, che è alla base del registro espre
su Un'ottava spicciolata ecc., in * Letteratura fra centro e perif
Napoli, E.S.I 1987, pp. 249-259.
41. A. Roncaglia (a c. di), Poesia dell'età cortese , Milano,
42. Ibid., p. 314.
43. La settima nell ed. Appel dei Lieder , Halle, Niemeyer 1915.
44. Roncaglia, ed. cit., p. 358.
45. Ibid., p. 312.

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468 Emilio Pasquini
stagionale in una sua 'dimensione ciclica'46. D'a
risulta essere il tempo 'archetipico'» in quanto il
«rigenerazione della gioia in tutte le creatur
invernali compare sempre il riferimento stagion
che «peu importe la saison [...] lorsque le coeur e
gure l'hiver en printemps, la neige en verdure»4
del Ventadorn (o in quella dei suoi vicini) appa
quanto si voglia - un elemento invernale entro u
Date queste premesse, non stupirà che si riduca
ne fra l'immagine invernale della neve e il con
giunta inserito in un componimento non riducib
ca nell'esordio di un serventese del trovatore Ber
seconda metà del XIII secolo e autore di tre serve
• • • so
attentamente questo inizio :

Be m'agrada'l temps de pascor,


quant es gent armatz e garnitz,
et aug chans e voûtas e critz,
que

que mout s'alegra per s


et yeu agrade 'm de la m
et agrada* m lo belhs do
et agrada*m l'iverns, qu

ci renderemo conto che


alla giustapposizione fra
nei due versi finali del
verso-chiave sulla 'neve
presenta singolari isoto

temps de pascor la primavera

46. T. MORICHI, Alcuni aspetti della deissi temporale nelle canzoni


dioevo Romanzo», IV (1977), pp. 4-5, 8-10.
47. Morichi, Alcuni appetti cit. , p. 10; e cfr. MoshÉ Lazar, Classific
images poétiques dans l'oeuvre de Bernard de Ventadour , «Filologia R
48. Altro uso di neu(s) nella tradizione provenzale sembra da ricon
alla nostra, per cui il fuoco nasce dalla neve cristallizzata (vedi P
(Notaio, Guido delle Colonne) e dai siculo-toscani (Guittone, Bonagiu
con la trafila dei plazers che qui interessa.
49. A. Jeanroy, Lxi poésie lyrique des troubadours , Toulouse-Par
50. Nel testo fissato da C. Appel, Provenzalische Inedita aus Parise
1890, pp. 43-44. Tradurrei alla lettera: «Ben mi piace il tempo di pr
mente [gent , avverbio] adomo e addobbato (di fronde), / e odo canti
poiché (l'uccello canta a) l'alba [integrerei: «que <l'auzels chanta
rallegra per la sua amica [o 'compagna']; / e così io mi rallegri [o 'pren
il bel dolce tempo di maggio, / e mi piace l'inverno, quando la ne
Edward Tuttle non renderebbe voutas con 'voci': trattandosi infatti de
egli rispecchierebbe il 'tricolon' con 'canti (o inni militari) e giostre e
come «tournoi, joute, pas d'armes» (cfr. Raynouard V 596 e Levy VIII
si presterebbe all'evocazione sonora di esercizi guerrieri, i «critz de

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Storia di un verso-chiave 469

chans e voutas e critz canti d'augelli e stormento sonare


quan la neus chay veder fioccar la neve

Esse si fanno ancor più stringenti col sonetto del Cavalcanti, Biltà di donna e di
saccente core51, che a questo punto entra prepotentemente in gioco. Nel caratteristi-
co 'elenco paratattico' (Contini) di questo prodotto arcaico, eccezionalmente conser-
vatoci dal Laurenziano Rediano 9, è agevole ritrovare almeno tre e forse più piene
corrispondenze col Tot-lo-mon:

et aug chans cantar d'augelli


albor quand'apar l'albore
quan la neus chay e bianca neve scender

Ma è evidente che assai più strette risultano - a dispetto della diversa collocazione
dei tasselli - le concordanze fra i due colleghi toscani:
1 Galee annate 4 adorni legni 'n mar
2 donne e donzelle 1 Biltà di donna
3 l'aria pulita quando si rinfresca 5 aria serena quand'apar l'albore
4 veder fioccar la neve sanza venti 6 e bianca neve scender senza venti
5 e cavalieri armati torneare 2 e cavalieri armati che sien genti
6-7 per rivera, / le pratora fiorir 7 rivera d'acqua e prato d'ogni fiore
8 canti d'augelli 3 cantar d'augelli
9 e tutto questo [...]/ nïent'è ver mia donn'
9 ciò passa la beltade e la valenza / de la mia
donna

Due 'insiemi' quantitativamente commisurabili, che si differenziano non tanto per


una maggiore o minore esaustività (i temi della 'danza', della 'caccia' e della 'musica'
sono assenti in Cavalcanti, che ha però in esclusiva i temi del 'saggio', del 'ragiona-
mento amoroso' e dei 'gioielli'), quanto per una più passiva aderenza dell'Ismera ai
filoni tradizionali (si pensi al topos della 'calamita') o - che è lo stesso - di un
superiore approfondimento concettuale (in chiave stilnovistica) nelle terzine caval-
cantiane, rispetto allo stilnovismo diffuso ma di riporto nella cobla ismeriana. Resta
il fatto che nel sistema del plazer italiano l'innovazione più interessante, anche
rispetto al giullare di Montauban, consiste nell'espansione descrittiva dell'elemento
nivale: non più un semplice «mi piace quando cade la neve», ma un «è bello veder
cadere la neve con moto verticale e tranquillo» (per Calvino, 'lieve e silenzioso').
Comune ai due toscani - oltre che la contiguità col particolare dell'aria tersa, da cui
la corrispondenza per l'intero distico, 3-4 contro 5-6, proprio la specificazione 'sen-
za venti'; diverso invece, ma più o meno sinonimico (rispetto al referenziale chay) il
verbo di moto addetto alla neve stessa (il più tecnico 'fioccar' in Ismera, il generico
'scender' in Cavalcanti); esclusivo infine di quest'ultimo l'epiteto cromatico ('bian-
ca'), che completa il quadro naturalistico e definitivamente sottrae l'icona della neve
all'astratta stereotipia del paesaggio occitanico52.

51. Così dal Contini nel suo commento, ora riedito nelle Opere minori di Dante, t. I, parte I, Milano-
Napoli, Ricciardi 1984, p. 337.
52. Diversa la discussione sensistica (di un Cesarotti) su questo stesso sintagma: cfr. R. SPONGANO,
La poetica del sensismo e la poesia del Parini (1933), 3a ed., Bologna, Patron 1964, pp. 66-67. L'inseri-
mento a pieno titolo (o sullo stesso piano) dell'elemento 'bello' della neve nel locus amoenus primaverile

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470 Emilio Pasquini
Alcuni elementi, dunque, lascerebbero pensa
merito di aver importato in Italia quella rara
plazer primaverile; e a Cavalcanti quello di av
acquisto immettendolo in un'atmosfera di cromat
certe magiche tonalità del Libro ď ore del Duca d
ca (per non dire la rispettiva statura), nonché la
nivale nel sistema primaverile, consentono an
sia stato Cavalcanti a cogliere l'importanza di
topica primaverile dei transalpini (o più probabi
gestione - specie in Ventadorn - della bellezz
trapiantarla in un plazer , per il resto abbastanz
ficativa aggiunzione (il 'senza venti'); e che la
estrapolazione di quel verso-chiave sentito come
tradizione del plazer occitanico, tanto più dop
Tuttavia un'incertezza del genere vige soltan
lettore moderno in genere); dal punto di vista d
il punto di riferimento, non poteva essere che C
bracchetti, un plazer venatorio di datazione incer
mostra tracce vistose - e subito rilevate - 55 del
almeno la coppia di parole-rima, 'genti' (ma sosta
adibito ai 'veltri', non ai 'legni'). Ugualmente s
5 («e sì come talora vedemo cadere l'acqua mi
udire le loro parole mischiate di sospiri»), propr
dove Dante fonde la memoria del plazer caval
nella variado di 'cadere' per 'scender', sia nel
neve', la neve dunque come elemento di bellez
quomodo descendit imber et nix de caelo [...] sic
de ore meo»)56. Certo è che quando in quegli ste
suo celebre e non meno innovativo souhait , app

rende piuttosto improbabile la dipendenza di Guido da Tot


canti abbia equivocato nel secondo verso del provenzale, in
'quando c'è gente armata e guarnita', dunque costruendo
armati che sien genti» (lo stesso abbaglio si sarebbe pun
armati torneare»).
53. Il suggerimento mi viene da Dante Della Terza, memor
nota 82 qui di seguito).
54. Non ci aiuta molto, da questa angolatura esegetica,
Cavalcanti allestito da De Robertis, né la somma di integraz
(1986) su «Aevum» e il Brugnolo (1987) sulla «Rivista di
55. Cfr. note 7 e 32, qui sopra.
56. Anche a norma del commento alla Vita Nuova di D. D
alla stessa fonte biblica il plazer di Cavalcanti (cfr. Opere m
Ma i luoghi biblici paralleli (specie Ps. 147, 15-18. e lob 38,
raffigurato sotto l'icona della neve.
57. Caravaggi, oltre a distinguere persino su un piano di
nante in Folgóre - da quella del plazer , come individua
complementari (come il 'desiderio' e la 'contemplazione' d
sistema a quattro sonetti, fra Dante e Guido, dove entra

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Storia di un verso-chiave 471

letto e memorizzato quell'archetipo cavalcantiano.


inconfondibili, ben rilevati dal Contini58, sottraend
exempla ficta , dei tasselli del plazer o del souhait co
mar forte correnti» diventano il magico 'vasel' che «
e mio»; soprattutto, il (mondanetto ancora) 'ragionar
con 'cantar d'augelli' - si trasforma in un intimo
sempre d'amore», non a caso accampato in esclusiv
E questi elementi inserisce nel nuovo mito del sogno
e amicizia, in questo medievale embarquement po
d'arte di fine Duecento in Firenze.
Per ora, egli non mostra ancora di essersi accorto della novità di quel verso sulla
'bella neve'59. Tutto però lascia pensare che col suo souhait così magicamente rivo-
luzionario Dante intendesse opporsi al plazer tutto sommato convenzionale del
Cavalcanti60. Ce lo lascia supporre perfino la sintassi arditamente ipotattica di Gui-
do , i9 vorrei, in quanto tacitamente polemica contro lo schema giustappositivo della
sintassi cavalcantiana, deferente anche in questo alla paratassi esasperata del 'gene-
re' plazer . Di fatto, la risposta di Guido, nel sonetto (non però per le rime) S'io fossi
quello che d'amor fu degno, riflette una singolare acrimonia, che è stata solo parzial-
mente rilevata da alcuni, propensi piuttosto a decrittarla come umor malinconico61.
Secondo me, invece, vi si fuoriesce dall'abituale immagine di un Cavalcanti splene-

'venatorio' Sonar bracchetti (cfr. Le « souhait » et le «plazer» chez les poètes toscans de la fin du XIIIe siècle ,
«Travaux de Linguistique et de Littérature publiés par le Centre de Philologie et des Littératures Roma-
nes de l'Université de Strasbourg», IX (1971), 2, pp. 7-35). Prescindiamo qui dalla querelle di Lippo/
Lapo , su cui ha aperto un copioso e brillante ma un po' controverso incartamento G. Gorni in varie
puntate degli SFI fra il 1976 e il 1979 - nel 1978 con la postilla 'consensuale' di D. De Robertis -, saggi
ripresi nel volume II nodo della lingua e il verbo d'Amore , Firenze, Olschki 1981, pp. 99-124 (in
particolare 114-115 quanto alla risposta di Cavalcanti). Al De Robertis (pp. 223-225 del suo commento
cavalcantiano) va dato anche il merito di aver ribadito - non però in termini chiarificatori di tutto il
retroscena - il collegamento fra Guido , i' vorrei e il sonetto (ancora arduo da interpretare) Amore e monna
Logia e Guido e io, di dubbia attribuzione per Barbi, sicuramente dantesco per Contini, solo probabil-
mente per Gorni e per lo stesso De Robertis.
58. Contini, Poeti del Duecento , cit., II, p. 545: «Col suo vasel (che infatti Guido tradurrà per legno)
Dante sembrava rinnovare uno degli elementi del plazer cavalcantiano (III), «adorni legni 'n mar forte
correnti»; di lì anche il «ragionar [...] d'amore» (che ritornerà in Folgore, VI 14)».
59. Anche se con un eccesso di sottigliezza ci si potrebbe indurre a ricollegare - in chiave di tenue
polemica - Y ad ogni vento del v. 3 al cavalcantiano senza venti , elemento che manca non solo nella
tradizione del plazer-souhait provenzale, ma perfino nei quadri nivali dell'inverno (un meccanismo ana-
logo, si vedrà, potrebbe funzionare a Pd. XXXIII 64-66). Inoltre la rima -ento è assai vicina a quella
-enti, sempre nelle quartine, mentre -ore dalla fronte di Biltà di donna è dislocata nella sirma di Guido,
i' vorrei.

60. Ci sentiamo di avallare questa etichetta limitativa, nonostante le buone osservazioni con cui il
Caravaggi (Le «souhait» et le «plazer» cit., pp. 12-14) ha cercato di incrementare le quotazioni di Biltà
di donna , come anche (pp. 15-19) del dantesco Sonar bracchetti, rispetto a quelle, anche per lui (pp.
20-22) elevatissime, di Guido, i' vorrei.
61. Inadeguato il leopardismo del Contini (nel commento alle Rime dantesche, 2a ed. cit., p. 324),
secondo cui il Cavalcanti rispose «malinconicamente al solito». Fuori strada Barbi-Pernicone (Rime
della Vita Nuova e della giovinezza, Firenze, Le Monnier 1956, p. 196): «Il poeta ha in questo sonetto
un'intonazione stanca e malinconica, e anche una riservatezza delicata che rende più difficile l'interpre-
tazione». Ma non soddisfa neppure De Robertis commentatore delle Rime del Cavalcanti, quando defini-
sce tale risposta «elegante e patetica».

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472 Emilio Pasquini
tico: per quanto non offensivo (come nel celebre
to e agro; occorre, dunque, guardare un po' più a
una plausibile spiegazione.
Nella sostanza, Guido rifiuta senza mezzi termi
navigazione di sodali con le loro donne, a quel
radici oitaniche, ma alimentato da un clima stiln
sioso imbarco per Citera la realtà angosciosa e fr
passione. Rifiuta perfino le clausole della propost
ABBA. ABBA. CDE.EDC) la rima - ore delle ter
'incantatore' si trasforma in 'valore'). In parol
«La tua crociera sentimentale mi sarebbe gradita
tempo delle grazie amorose e del favore della mi
alla schiera degli amanti riamati, guarda come io
Amore e della donna; e sappi tuttavia che il mio
ne, è indotto a perdonare i suoi persecutori».
realtà adibito a se stesso ('S'io fossi...'), segue
all'interlocutore ('E tu [...] Or odi...'), implicita
conto di uno stato d'animo che invece gli doveva
almeno la scelta di una puntigliosa complessit
proposta dantesca.
Siamo ormai definitivamente allontanati dal cir
tesco in particolare. Al nucleo fiabesco 'incant
una 'maraviglia' ben più concreta e quotidiana,
di uno spirito disperatamente solo; al 'talento' ch
sodalizio, la 'pesanza' che occupa dolorosamen
regno d'Amore; alle 'madonne' («monna [...] m
disposte all'evasione amorosa («ciascuna [...] co
more»), la 'donna' che invece esibisce una 'sem
anzi a usare 'lietamente' le armi di Amore per un
con le parole di uno che se ne intende62, «Dante
una vaga fantasia d'Amore; Guido invece riev
contrapponendolo ad un fiero e doloroso prese
rei', l'altro alla 'rimembranza'». Ma l'amarezza
valcanti una più sottile e acida ritorsione: con
'vasel' dantesco, egli sembra voler ribadire i s
navigazioni idilliche: gli «adorni legni in mar for
pur non essendo testo di corrispondenza, avev
memoria del suo interlocutore.
Ce n'era abbastanza per creare fra i due amici una situazione potenzialmente
esplosiva, o perlomeno di tensione; tale in ogni caso da potersi riflettere in altri
luoghi dell'opera di Dante o di Cavalcanti (ma più del primo, che era in fondo
l'offeso)63. Sappiamo bene come in Dante palinodie o vendette non molto allegre

62. M. Marti, Poeti del Dolce stil nuovo , Firenze, Le Monnier 1969, p. 222.
63. Così la radice del 'disdegno' di Guido (in Inf. X 63) starebbe nella risposta di Cavalcanti al
dantesco Guido, i vorrei , almeno secondo D. De Robertis (cit. dal Gorni, Il nodo della lingua cit. , p.

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Storia di un verso-chiave 473

possano anche scattare per così dire a scoppio ritarda


immediatamente successivi65 a questa strana corrisp
anû-plazer (al limite dell'erme#), risolta cioè da Guido i
per le rime), in cui quel verso-chiave sulla neve sembrav
cato, il tema nivale riaffiora prepotentemente in Da
invernale.
Ciò si verifica all'altezza del ciclo delle 'petrose', ve
della passione respinta dalla freddezza algida e rupes
correlato oggettivo in un sistema di immagini legate al
ghiaccio66. Ed è appunto dantesco, nella canzone Io son
«l'esempio più brillante e sostenuto di apertura inverna
tutta la letteratura medievale»: per giunta, con straordi
stanza contiene un'apertura invernale e un contrasto ap
stessi. L'inverno è non già il preludio, ma il tema dell'in
strofa (vv. 20-21), l'immagine della 'nebbia' (cioè del
e cade in bianca falda / di fredda neve ed in noiosa p
nella positura degli epiteti, oltre che variare l'attributo
Vita Nuova , sembra recuperare il 'cadere' di Tot-lo-mon
l'elemento cromatico cavalcantiano68. Questo, però, in u
maverile, anzi di locus asper (dunque «fredda [...] noi
negatività della neve invernale, preannuncia ben altre r
veremo il 'cadere' e la 'falda'70, come pure il 'freddo' e
conto di alcuni anelli intermedi.

134). Ma c'è di mezzo anche la 'rimenata' o 'paternale' /' vegno il giorno a te infinite volte , su cui (oltre
all'equilibrato consuntivo di M. Marti, nella voce Alighieri entro il Dizionario biografico degli Italiani)
cfr. M. Santagata, Lettura cavalcantiana ecc., GSLI, CXLVIII (1971), pp. 295-308 e ora la glossa di
De Robertis nell'ed. cit. delle Rime , pp. 158-161 (dove si conferma la proposta di un Io -Amore).
64. Cfr., anche per la bibliografía implicita, il mio saggio cit. (alla nota 1) su La terzultima palinodia
dantesca.

65. Guido , i' vorrei è del 1290 circa e, in ogni caso, del tempo della Vita Nuova: vedi, oltre a Contini e
Gomi, anche il cit. commento Barbi-Pernicone. De Robertis esegeta del Cavalcanti (p. 148) tende
invece a proiettarlo indietro, verso una fase ancora pre-stilnovistica, sempre tuttavia posteriore al plazer
cavalcantiano se esso ne cita esplicitamente (in chiave di wish-poem) proprio il 'ragionar d'amore'.
66. Basti qui il rinvio al classico commento di G. Contini, nella 2a ed. cit. (dove le pp. 431-459 sono
dedicate alle 'petrose'); e più in particolare, per le descrizioni stagionali in Dante in rapporto ai prece-
denti transalpini, a P. Boyde, Dante's Style in his Lyric Poetry (1971), trad. it. Retorica e stile nella
lirica di Dante , Napoli, Liguori 1979, pp. 361-365.
67. Boyde, Retorica e stile cit. , p. 364.
68. Che del resto Dante utilizza altrove in nessi comparativi: non solo nell'evangelico (caro al Manzoni)
«le sue vestimenta erano come neve» ( Conv . IV xxii 15), ma anche per la Fede («parea neve testé
mossa» a Pg. XXIX 126) e per l'abito degli angeli, «tanto bianco / che nulla neve a quel termine arriva»
(Pd. XXXI 15).
69. Ne è variante il sintagma di altra 'petrosa', la sestina Al poco giorno e al gran cerchio d'ombra (in
Rime CI 7-8), «similemente questa nova donna / si sta gelata come neve a l'ombra»; con cui può andare
la grande immagine di Pg. XXX 85 sgg. , riferita all'indurimento del cuore nel poeta -viator, tenendo
conto che nella sestina la neve è correlato negativo della gelida durezza di lei.
70. Contini, nel commento alle Rime , p. 434: «si pensa alle 'dilatate falde' di Inf. XIV 29 (in rima con
'salde' aggettivo)». S'aggiunga che è questo l'unico caso in cui Dante adopera l'epiteto cavalcantiano di
'bianca', determinante però 'falda' e non 'neve' (determinato invece da 'fredda'). Il quadro tuttavia è

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474 Emilio Pasquini
A distanza di alcuni anni, infatti, la dura e rea
nale nella 'petrosa' viene ribadita attraverso il p
vio IV vii 6-7 - «Nevato è sì, che tutto cuopre
parte, sì che d'alcuno sentiero vestigio non si ve
ma da vedere nel suo aperto dissidio rispett
cavalcantiano, sia alla versione patetico-malincon
la Vita Nuova . Un tratto complementare è intan
dove al v. 37 («Ben conosch'io che va la neve a
oggettivo della consunzione cui il poeta è sottop
sa; ed è forse qui l'abbozzo embrionale di grandi
da e nella terza cantica del poema.
Alla luce di un simile retroterra, non ci si dev
verso-chiave sulla neve si riavviasse grazie al Dan
in tutt'altro contesto e con ben diverse motivazioni che in Cavalcanti e in Ismera. Il
XIV dell'Inferno ci introduce al sabbione dei violenti nel settimo cerchio, locus asper
per eccellenza, «landa / che dal suo letto ogne pianta rimove» (vv. 8-9), dove «lo
spazzo era una rena arida e spessa» (v. 13): neppure più l'apparenza di una vegeta-
zione o di un corso d'acqua come nei due gironi precedenti. Di più: in luogo di
brezze primaverili, un 'etternale ardore' (v. 37), cioè un'ininterrotta pioggia di fuoco
che richiama quella (di cui narrava Alberto Magno nel De metheoris) caduta sull'e-
sercito di Alessandro nell'estremo oriente (vv. 31-36). Ma sulla filigrana letteraria
prevale il correlato realistico di un repertorio opposto a quello del fuoco (vv. 28-30):
«Sovra tutto il sabbion, d'un cader lento, / piovean di foco dilatate falde, / come di
neve in alpe sanza vento».
La stupefacente reminiscenza cavalcantiana73 non poteva ovviamente sfuggire agli
esegeti74, che però (Calvino incluso) si sono limitati a una pura descrizione fenome-
nologica delle affinità e delle differenze fra i due luoghi, nel migliore dei casi ag-
giungendo che le 'falde' (:'salde') vengono dalla 'petrosa' C ('falda': 'salda'), o che alla
soppressione di 'bianca' fa riscontro l'inserzione del locativo 'in alpe', dovuto al
prepotente realismo dantesco, sdegnoso del cronotopo idillico del plazer (col suo
cromatismo pleonastico).

quello di un locus asper che non ha nulla né del plazer cavalcantiano né della malinconica dolcezza di
quella pagina della Vita Nuova (con la 'bella neve'), anzi ne rappresenta un autentico contromodello: per
di più alle radici dello snodo decisivo di Inf. XIV 30, dove le 'dilatate falde' sono insieme, ambiguamen-
te, di 'neve' e di 'fuoco'. Tale trasformazione non è forse scevra dall'influsso della metafora soleil plavil
(nella canzone di Arnaut Daniel, Lancan son passat li giure , cara al Pound dei Cantos), onde il dantesco
« piovean di foco dilatate falde»; mentre questa sorta di 'neve infuocata' potrebbe perfino configurarsi
quale icona di un «mondo alla rovescia» (Curtius), di una condizione contro natura, in qualche modo
riconnettendosi alle figure di Pier delle Vigne e di Brunetto, o alle immagini della selva e della sabbia
attraversate dal fiume di sangue.
71. Si pensi, subito, a Inf. VI 7 sgg., per la «piova / etterna, maladetta, fredda e greve», con «grandi-
ne grossa, acqua tinta e neve».
72. Amor , da che convien pur ch'io mi doglia (CXVI delle Rime), dove la postilla del Contini (p. 483)
va ora integrata col saggio della Giannarelli (cit. alla nota 11).
73. In ogni caso, non ismeriana, fra l'altro mancando qui il verbo tecnico 'fioccar' (che Dante adopera
solo in Pd. XXVII 67, proprio per i 'vapor gelati' della neve); mentre lo 'scender' cavalcantiano è
dislocato al v. 37, per il referente della similitudine, «tale scendeva l'etternale ardore».
74. Cfr. la nota 7, qui sopra.

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Storia di un verso-chiave 475

In realtà, anche in questo caso si è persa l'occasione


pare strano che perfino il Contini si sia fermato a mezz
rilevare che il verso cavalcantiano è il 'modello' di Inf
«è desunto con leggera variante circostanziale»76; o prec
ventaglio di citazioni nella Commedia dal plazer cavalcan
30, ove si 'riflette' e 'perfeziona' Biltà di donna 6, «il seg
dall'elenco di delizie allo spettacolo terrificante della pio
allargare il confronto a certi esemplari guinizzelliani per
sa esclusività di quel verso-chiave in Biltà di donna , «un
- quel nostro essere «traumatizzati dall'effetto della tras
spettacolo si attutisce e ovatta, dimesso tutto ciò che
'bianca' e 'scender' implicati in 'neve', aggiunta la pregna
za 'in alpe'; ma aggiunta soprattutto capitale, ai fini (è f
accento) della sommessità, della tacitazione, che non u
to montano, quella del 'come'; il quale, se dalla funzio
letteralità semantica, reintroduce la consueta parado
dantesca attraverso l'analogo - e si parli pure, di fronte
tiano, rigoroso nell'astratta equipollenza dei dati na
liano»78.
Osservazioni, tutte, pertinenti e di alta classe, ma non esenti dal sospetto di un
piétiner sur place , rispetto al quale la polarità leggerezza-gravità suggerita da Calvino
sembra almeno possedere i requisiti di una geniale arbitrarietà che tende a giustifi-
care un complesso di dati omogenei. Di fatto, il Contini arriva solo a sfiorare l'ipotesi
di una complessa e precisa strategia dantesca, in polemica contro l'amico della
giovinezza: con la mira, insomma, a un contromodello del plazer cavalcantiano, a un
locus asper (in certa misura complementare a quello delle 'petrose') contro Yamoenus
di Biltà di donna*, e dunque, in ultima analisi, a un rovesciamento in 'foco' della
'bianca neve'. Non sarà forse arbitrario pensare a una vendetta sottile per l'antico
sgarbo di chi aveva rifiutato l'invito cortese di Guido , i9 vorrei , col suo anti-souhait
(appunto, S'io fossi quelli i). Fatta salva l'autonomia dello scorcio nivale, le 'dilatate
falde' in primo piano sono proprio quelle di 'foco' e non quelle di 'neve': la 'bianca
neve', frammento seducente entro un intarsio di cose piacevoli giustapposte sullo
stesso piano (quasi in un bassorilievo edenico), si è ora trasformata nella profondità
prospettica delle 'falde' di fiamma. Risillabando tragicamente quel verso-chiave nel-
lo spazio infuocato del settimo cerchio, Dante rovesciava tematicamente l'esemplare
cavalcantiano. La nuova contestualizzazione non aveva bisogno di grandi ritocchi; e
tuttavia si ponga mente alla genialità della varìatio e replicado verbale, col 'cader
lento' (v. 28) ripreso nel 'cadere' del v. 33 e alternato dal 'pio vean' del v. 2979 e dallo
'scendeva' del v. 37, che recupera lo 'scender' di Cavalcanti.

75. Contini, Poeti del Duecento , cit., II, p. 494.


76. Dante come personaggio-poeta (1957), ora in Un'idea di Dante. Torino. Einaudi 1976. n. 49.
77. Filologia ed esegesi dantesca (1965), ivi, pp. 131-132.
78. Cavalcanti in Dante (1968), ivi, pp. 145-146.
79. Su cui insiste Italo Calvino, dimenticando però che 'piovere' metaforico è verbo tecnico dello
Stilnovo.

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476 Emilio Pasquini
Al tempo stesso Dante sembra voler chiudere de
zione del plazer, cui anch'egli aveva pagato un suo
evasività o la natura puramente ludica, che pu
mondano fin dalle corti transalpine. Con un'enne
colare della 'neve bella' - che rappresentava un
topica del plazer 80 - è rifiutato con quello stesso
'ironica' (qui dal bianco idillico della neve nel r
predominante - alla luce della iunctura riassu
infernale) che in altra guisa suggerirà l'atroce tra
na' nell'ultimo cerchio81. Se mai citazione fu dota
che sta dietro la radiance di Joyce), questa del Ca
retroterra segreto; guida dal microtesto al macro
e quanto mai produttiva accezione del Zirchel im
quanto alla luce di questo crocevia si leggono in t
della sequenza anteriore ma anche quelle della
I conti con Cavalcanti non si chiudono mai nella
perché di tanta acrimonia a distanza di anni da
tutti convinti che Dante in ogni modo intendeva
all'inferno anche il suo sogno di bellezza in ch
fascicolo relativo a Biltà di donna deve riaprirsi p
sottratto ad una interpretazione soddisfacente
mancava, per il suo riportare la neve - in chiave
nale da cui Guido l'aveva indebitamente estrapo
questi quindici versi (cinque terzine, quasi la m
tardo-gotico» (Apollonio, Sapegno) o addirittur
pure elegantemente prospettato82 sullo sfondo di
Duca di Berry o di altre possibili miniature inver
sca, l'apparente digressione si giustifica soltanto
del plazer cavalcantiano: con la neve ancora dip
come nella 'petrosa', alla brutta stagione), ma fra
bianca' della 'brina', ben altrimenti lieve e tran
quale miraggio illusorio, nel suo legittimo paesagg
zato locus amoenus. L'inverno infatti non è conte
e ammirato nella sua particolare bellezza, ma colt
degli uomini che lavorano, per i quali la neve è un

80. Peraltro mai accettato da Dante, se non (nella Vita Nuov


i sospiri, del più fragile fascino femminile.
81. E del candore delle carni della donna («con la bianche
notte»), quasi per un fiabesco riflesso della neve che aveva i
pelle bruciata («rossa divenuta come robbia e tutta di sangu
(Decam. VIII 7): dove un suggestivo antecedente potrebbe
cromatico della bianca neve idi Guido) nella rossa nev* di fnnrn Mi

82. A. PÉZARD, Dans le sillage de Dante , Paris, Société d'Etudes italiennes 1975, p. 259. Più effica-
cemente R. Blomme indica nel tertium comparationis - la transitorietà - un segnale prolettico rispetto al
tema della metamorfosi, peculiare della settima bolgia {Il palinsesto della memoria: osservazioni sulla
similitudine dantesca , in * Filologia e critica dantesca. Studi offerti a Aldo Vallone , Firenze Olschki
1989, pp. 412-415).

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Storia di un verso-chiave 477

nei nostri quindici versi si attui una calcolata riscrit


a comprovarlo, evidenti isotopie, se non con quel son
rime cavalcantiane. Inconfondibile, già, il sintagm
-, ribadito per ben due volte in Donna me prega
cruciali di quel 'manifesto' (proprio in posizione in
non pensava 44; il 'villanello' non può non ammi
boschetto 83 ; l'icastica tournure «prende suo vincast
caccia» sembra svilupparsi dalla più elementare e stat
rav'agnelli», nella stessa ballata. Ma soprattutto si
collocazione dell'attributo) fra la 'sorella bianca'
plazer: tanto più notevole dal momento che Dante no
stico84, al massimo indulgendo, nella 'petrosa', al
falda / di fredda neve».
Quel che è certo è che con Inferno XXIV 1-15 l'icon
bilmente i suoi tratti negativi, forse per il progressiv
contrasto traumatico (con l'amico morto ormai d
anello di una nuova catena che attraversa il poema d
mento, non più in chiave polemica, dall'archetipo
una positività di segno diverso, che potrebbe lontana
emozioni della Vita Nuova.
Il primo approdo in questa direzione coincide con la grande similitudine di Pur-
gatorio XXX 85 ss. («Sì come neve tra le vive travi / per lo dosso d'Italia si congela
[...]»): dove la neve appenninica rappresenta il correlato oggettivo dell'indurimento
della coscienza di Dante serrata nell'angoscia del peccato sotto il gelido soffio del
rimprovero di Beatrice, prima che quel ghiaccio interiore si sciolga goccia a goccia,
nel pentimento, sotto il vento ardente della fiducia nel perdono adombrata dal canto
degli angeli. Una svolta, dunque, dal negativo al positivo, quasi a preparare le

83. Non voglio arrischiarmi a suggerire che dietro la silhouette del 'villanello' dantesco si nasconda
un'allusione alle salaci ironie sodomitiche di Lapo degli Uberti (Guido, quando dicesti) a proposito della
'pastorella' cavalcantiana. Per la possibilità di certi sottili tramiti biografici, cfr. G. May, L' autobiogra-
phie, Paris, Presses Universitaires de France 1979, p. 111. Ma la linea 'allusiva' da noi perseguita
sembrerebbe piuttosto consonare con certe proposte di D. De Robertis, Arcades ambo. Osservazioni
sulla pastoralità di Dante e del suo primo amico, «Filologia e critica», X (1985), 2-3, pp. 231-238,
specie 233 (per i riflessi di Donna me prega in Pg. XXV e della 'pastorella' in Pg. XXVIII e XXIX); o di
E. Malato, Lo fedele consiglio de la ragione ecc., Roma, Salerno 1989, specie pp. 204 sgg., importanti
per l'individuazione di certe riscritture di Donna me prega in Pg. XVII 91 sgg. e XVIII 13 sgg., quasi a
preparare la riconciliazione fra amore e virtù sancita dall'incontro con Stazio (XXII 10-12). Ma nessuno,
se ho visto bene, ha mai fatto entrare in questo circuito il 'villanello' dantesco; mentre anche la serie dei
riscontri fra luoghi del poema e Donna me prega necessiterebbe ormai di qualche supplemento: primo fra
tutti l'opposizione fra un'icona della luce, connessa a un movimento spirituale (Pg. XVIII 28 sgg.: «Poi,
come '1 foco movesi in altura [...], / così l'animo preso entra in disire, / ch'è moto spiritale...»; ma cfr.
già Conv. III, Amor che ne la mente 63: «Sua Bieltà piove fiammelle di foco [...]»), e l'icona dell'oscurità
connessa al piano sensitivo, che caratterizza l'amore nell'accezione cavalcantiana (vv. 16 sgg. «prende
suo stato [...] d'una scuritate [...] sensato» e 68 «assiso - 'n mezzo scuro, luce rade»).
84. Tale non è invece nel Cino pre-petrarchesco del nesso metaforico (per 'denti' e 'labbra') di «la
bianca neve / fra le rose vermiglie» (canz. Oimè, lasso, ed. Marti, Poeti del Dolce stil nuovo, cit., p.
715). Con qualche cautela formulo in calce l'ipotesi che Dante abbia riluttato ad aggiungere a una neve
vista in chiave negativa un epiteto che (come 'bianco') per lui non poteva non essere fortemente positivo
(cfr. nota 102 qui di seguito).

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478 Emilio Pasquini
accezioni paradisiache85. Da questo punto di v
icona di bellezza, il vertice non è però rappresen
tema nivale, a Paradiso XXXIII 64 sgg. («Così
pur sembra saldarsi, in chiave di supremo smem
torio XXX (il «liquefatta, in se stessa trapela» si
di 'si disigilla'), per correlarsi infatti non più a
al lento irreversibile svanire della visione (ma
col 'vento' che disperdeva le profezie della Si
Questa ideale conclusione (nei termini quasi
stilnovistica e cavalcantiana) è invece da rav
come di vapor gelati fiocca / in giuso l'aere nost
ciel col sol si tocca, / in sù vid'io così l'etera
triunfanti f...]»86: dove appunto la nevicata ridi
contingenza terrena (di paesaggio, come in Guid
mente intesa, come nella Vita Nuova), I 'vapor
correlandosi ai 'vapor triunfanti' del cielo del
verbo 'fiocca' (come nel vecchio Ismera), quasi
hapax in Dante87. Un ritorno a Beatrice, ormai
Guido? Lo lascerebbero intendere l'analogia con
tato all'incontrario, in Vita Nuova XXIII 25 («e v
/ li angeli che tornavan suso in cielo [...]»); m
bellezza della sua donna, ai vv. 91-96 dello ste
schema di un antico plazen «e se natura o arte f
la mente, / in carne umana o ne le sue pitture, /
lo piacer divin che mi refulse, / quando mi vols
di Purgatorio XXXI 49 sgg.).

* * *

Così, la fabula de lineis et coloribus si risolve per


specie quando entra in campo l'ultimo element
quale nel primo capitolo del Triumphus Mortis, si
tradizione, così rappresenta la morte di Laura in v
di citare per esteso, data la loro pregnanza intertes
ai luoghi che si sono via via passati in rassegna

85. Trascurerei Pd. II 106 sgg. («Or, come ai colpi de li caldi


e dal calore e dal freddo primai [...]»), dove l'analogia f
l'errore, rimane neutra ai nostri scopl.
86. E. Caliaro (Poesia, astronomia , poesia dell'astronomia
di Scienze, Lettere ed Arti», XL (1985), 2, p. 63) parla de
memoria cavalcantiana», rinviando in nota al plazer di Guid
comparse della memoria cavalcantiana sono in Rime XLIII
dissonanza è unicamente termica» [sic!].
87. Si ricordi che altrove, per la neve terrena, tanto Cava
tecnici (cfr. nota 73 qui sopra).
88. Ed. F. Neri, in Rime , Trionfi e poesie latine , Milano

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Storia di un verso-chiave 479

Poi che deposto il pianto e la paura


pur al bel volto era ciascuna intenta,
per desperazïon fatta sicura,
non come fiamma che per forza è spenta,
ma che per se medesma si consume,
se n'andò in pace l'anima contenta,
a guisa d'un soave e chiaro lume
cui nutrimento a poco a poco manca,
tenendo al fine il suo caro costume.
Pallida no, ma più che neve bianca
che senza venti in un bel colle fiocchi,
parea posar come persona stanca:
quasi un dolce dormir ne' suo' belli occhi,
sendo lo spirto già da lei diviso,
era quel che morir chiaman gli sciocchi:
morte bella parea nel suo bel viso.

Versi fra i più altamente petrarcheschi, ma nonostante tutto iscrivibili dentro l'orbita
di Dante89, a partire dal segnale dei vv. 151-152 («Lo spirto [...] con tutte sue virtuti
in sé romito», che va con Purgatorio VI 72, «l'ombra, tutta in sé romita»), fino al
culmine dei vv. 166-167, dove i commentatori hanno privilegiato Dante fra i prece-
denti possibili, limitandosi però quasi alla mera registrazione del fatto, secondo
l'inveterato vezzo positivistico della 'fonte'90.
In realtà qui Petrarca ci offre il nuovo e decisivo contromodello, non senza una
strategia allusiva ancor più complessa di quella dantesca verso Cavalcanti: la pole-
mica infatti, smorzata solo perché tendenzialmente implicita, è rivolta sì al XIV
dell'Inferno , ma coinvolge anche Cavalcanti e perfino Ismera. Alla 'morte seconda'
dei dannati nell' Inferno si contrappongono la tertia mors (Ambrogio), morte- vita o

89. Il fatto non è sfuggito ai lettori più avvertiti, fra il Contini del Saggio d'un commento alle correzioni
del Petrarca volgare (1943, ora in Varianti e altra linguistica , Torino, Einaudi 1970, pp. 28-31) e la
glossa puntuale dell'Ariani (pp. 248-251 del commento cit.).
90. Analitico ma referenziale il Calcatemi: «Bella similitudine, che ricorda quella di F. Ismera:
'Veder fioccar la neve senza venti' (vedi Poeti del primo secolo della lingua ital. a c. di L. Valeriani,
Firenze 1816, I, 431); quella di Guido Cavalcanti, son. XV: 'E bianca neve scender senza venti'; e
quella meravigliosa di Dante: 'come di neve in alpe sanza vento' (Inf. XIV, 30); nella quale gli stessi
'suoni aperti esprimono la larghezza dei Fiocchi lentamente cadenti' (Venturi)»; ridotto all'osso F. Neri
nell'ed. ricciardiana: «l'immagine appare nei nostri poeti prima di Dante, e in Dante (Inf. XIV 30)»; più
sottile e argomentato l'Ariani: «Rispetto ai modelli, P. ha sottratto i 'venti' (con il fisso 'senza') alla rima,
affidata ad un hapax 'fiocchi' (è ricca: 'occhi'), che è altrettanto raro e d'uso paesistico, e (sotto rima) in
relazione alla neve, appunto in Dante, Pd. XXVII 67 e 71 [...]. Di suo P. ha aggiunto un 'bel colle' [...]
che varia in liquida [...] l'insistita consonanza in nasale comune al Cavalcanti [...] e a Dante, e ne
interrompe la dominante vocalica in -e [...]». Non molto aggiunge A. Ferriguto, Abbozzi e frammenti,
Verona, Fiorini 1972; purtroppo deludente ai nostri fini la meritoria ricerca a tappeto della Giannarelli
(L'immagine della neve cit., pp. 91-129), che pure s'ispira a questa suggestiva affermazione di G.
Durand (Psycanalyse de la neige , «Mercure de France», VIII [1953], p. 630): «Rien ne semble, du point
de vue d'une physique du sens commun, plus antithétique que la neige et que le feu. Rien n'est plus
proche du point de vue poétique». L'individuazione (p. 107) delle due coppie archetipiche fuoco-cera e
sole-neve suggerirebbe tuttavia per il nostro verso-chiave nell'accezione dantesca (e petrarchesca, con
sostituzione, al fuoco, di un «soave e chiaro lume») un incrocio innovativo (fuoco-neve) rispetto allo
schema di base.

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480 Emilio Pasquini
'morte bella' di Laura91; all'unico verso di Dante
due versi, che ne costituiscono la più patetica am
che qui la neve non è spettacolo naturale o cor
protagonista di un'azione sacra. Come il fiume
settimo cerchio si contrapponevano alle acque
giante e ai prati fioriti del locus amoenus di tant
Biltà di donna), così l'anima di Laura che dolce
rea si contrappone, anche nella giustapposizione
ma che per forza è spenta, / ma che per se m
soave e chiaro lume, / cui nutrimento a poco
fuochi infernali (Tetternale ardore'), le 'fiamme'
di difendersi.
Alla violenza del locus asper dantesco si oppone la dolcezza del luogo ove avviene
il transito di Laura; e se è vero che non il locus è amoenus, ma amoena è la morte di
Laura («morte bella parea nel suo bel viso»)93, è altrettanto incontestabile che Pe-
trarca recupera qualcosa, se non anche di Ismera, certo di Cavalcanti94, proprio in
funzione anti-dantesca, sia pure in un contesto che ben poco avrebbe a che spartire
col plazer: appunto la descriptio della morte di Laura, nutrita di topoi dell'elegia
funebre, classica e mediolatina, quindi di altri e più convenzionali antecedenti
letterari95.
Proviamo ora ad abbozzare uno schema per verificare il gioco combinatorio delle
tessere nel mosaico del verso-chiave sulla neve:

Cavalcanti e bianca neve scender senza venti


Ismera veder fioccar la neve sanza venti
Dante piovean di foco dilatate falde, / come di neve in alpe sanza
vento (+ sua sorella bianca)
Petrarca più che neve bianca / che senza venti in un bel colle fiocchi

Comuni a tutti e quattro i poeti la 'neve' e il 'senza venti (-o)', cioè proprio i tratti più

91. Ariani, commento cit., p. 229; ma già a p. 226: «Tutto si gioca intorno ad una sublime ars
moriendi , rappresentata in forma di azione rituale come ineluttabile passaggio revolutivo dal fragile
all'eterno».

92. Ibid., p. 227: «l'icona del lutto si configura come leggiadra consunzione di una fiamma 'cui
nutrimento a poco a poco manca', gotico emblema gentile in cui nivea bellezza e dolce [...] sonno
assottigliano l'orrore nel 'bel viso' in cui perfino 'Morte bella parea'» (e cfr. p. 228 per il riferimento al
Secretum e a Macrobio).
93. Resta sullo sfondo il tema della morte 'dolce' e 'gentile' in Dante lirico (Vita Nuova XXIII 9 e 27).
Abbastanza singolare che nessuna traccia del tema nivale persista in Leopardi (cfr. N. BONIFAZI, L'im-
magine della morte dai «Trionfi» petrarcheschi al «Sogno» leopardiano , in * Leopardi e la letteratura
italiana dal Duecento al Seicento. Firenze, Olschki 1978, pp. 399-418).
94. La miglior controprova della conoscenza di Biltà di donna è offerta, da Né per sereno ciel (in R .V J?.
CCCXII): trascrizione, in un registro più alto, del plazer duecentesco, che sacrifica il verso sulla bianca
neve ad altra leggerezza, di sapore dantesco (le «fere [...] snelle» del v. 3). Per altro e più significativo
incrocio fra due tasselli danteschi, in R.V J?. CXLVI 5-6 («in dolce falda / di viva neve»), cfr. G.
Orelli, «Altre cose , altra realtà , altra venta», in *Filogia e critica. Su / per Gianfranco Contini , Roma,
Salerno 1990, p. 346.
95. Oltre al commento dell'Ariani, pp. 225-233, cfr. O. B. Hardison jr., Christian Rite and Christian
Drama in the Middle Ages ecc., Baltimore, The John's Hopkins Press 1969.

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Storia di un verso-chiave 481

innovativi rispetto alla topica del plazer 96 , anche se


'sanza vento' non ha la stessa funzione sintattica che
verbo (e non un sostantivo); a Ismera e Cavalcanti, l'i
connaturato alla sintassi (almeno italiana) del plazer ,
te e in Petrarca, che da quel 'genere' intendevano
inoltre trae da Ismera (se non è concordanza poligene
da Cavalcanti (ma forse anche dal perifrastico «sua so
5) l'epiteto cromatico, qui però trasferito all'incarnat
dispetto della morte) più bianco della neve; da entram
sottraendolo alla sede obbigata, dove pur concorreva
Dante infine quello straordinario tratto circostanz
mitezza di 'in un bel colle')97.
Dato per acquisito che il sistema allusivo dal microt
ghi all'intero macrotesto (il sonetto e la canzone,
tasselli dell'intarsio (costanti e variabili) non siano
inerte materiale di raccolta sottratto ad ogni interpr
ancora una volta che la fabula de lineis et coloribus s
giungere al segreto della fabula de affectibus. A r
Petrarca evoca l'immagine positiva della neve, esorciz
me muovendo dal Dante della Vita Nuova e del Parad
plazer cavalcantiano. E tuttavia quella che là era e
venta qui opposizione funzionale: 'bianca' più che
colore terreo di un cadavere98. Al tempo stesso, egli
stico dantesco ('in alpe') l'idillica miniatura ('in un be

96. Il primo elemento, in quanto pertinente ad altra stagion


letteraria; il secondo, nato forse come attenuazione in senso 'pr
in forma di bufera (inconcepibile nel ver perpetuum del locus a
fiori).

97. Non è illegittimo ipotizzare che dai Trionfi muova Fazio degli Uberti - canz. Ne la tua prima età
pargola e pura , vv. 57-59 (ed. a c. di G. Corsi nei Rimatori del Trecento , Torino, Utet 1969, pp.
255-256): «E per neve, che fiocchi / dal tuo bel viso, l'amorosa manna / con la qual cibi li spiriti mei
[...]» -, materializzando rudemente l'immagine incorporea delineata da Petrarca: forse non senza la
spinta del testo biblico, dove il verbo addetto alla 'manna' è appunto 'nevicare'. Da Fazio deriveranno
invece ser Giovanni Fiorentino («veramente per neve che fiocchi / la saporita manna che mi dai») e il
Saviozzo: cfr. la mia recensione al Corsi, SPCT, 3 (ottobre 1971), p. 238; da Petrarca, il Boiardo degli
Amorum libri (X 1) e l'Ariosto del Furioso (XI 68).
98. Il rinvio d'obbligo è al magistrale saggio di M. Feo, «Pallida no , ma più che neve bianca »,
«GSLI», CLII (1975), pp. 321-361, specie 342 («Il pallore è insomma la più evidente presenza della
morte scesa sulle membra umane e anche il segno più sottilmente ripugnante della sua realtà»). Impor-
tanti anche le osservazioni sulla 'morte bella' (ivi, pp. 344 sgg.); va aggiunto tuttavia che se la bianchez-
za nivale di Laura può rappresentare un'innovazione sostanziale rispetto all'icona arcaica del 'color di
perla' (su cui cfr. almeno R. Crespo, SD, XLVIII [1967], pp. Ill sgg.), per simile mito (la bellezza
appunto della morte) Petrarca richiede una chiosa non meramente libresca. Insomma, non era solo
questione di immagine, come per Cavalcanti e Dante. Dietro, vi si nasconde un trauma esistenziale ben
più sconvolgente di qualsiasi mitografia letteraria; e quindi, lo confesso, non mi convincono gli ulteriori
richiami di un valente collega come Giovanni Caravaggi a Lo gens de pascor di Bernard de Ventadorn,
per l'icona della donna-neve (difficilmente proiettabile sul profilo immobile di Laura), o per quella della
'neve bella' affiorante dal Merlin francese (sulla scorta dello Ziltener). Semmai, allora, invocherei il
candore del corpo esanime di san Francesco, giusta la Vita seconda di Tommaso da Celano.

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482 Emilio Pasquini
che percuotono i violenti il 'soave e chiaro lume'
si estingue («Non come fiamma che per forza è sp
alla tresca delle mani dei dannati (in polarità risp
il suo 'parea posar', suprema icona della 'pace'9
Tutto ciò significa, dunque, rifiuto del plazer (o
anche in qualche modo deWenueg corrispondente
nale. In opposizione al Cavalcanti, ma soprattut
nuovo mito umanistico-cristiano della bellezza
con essa si identifica («Morte bella parea nel suo b
plazer platonico-agostiniano, nutrito di sapori cla
sonetto): dove il «più che neve bianca» ripristina
secondo cui le bellezze naturali sono dichiarate in
E per giunta un plazer anti-cortese, addetto al
socialità della vita. Elementi costitutivi ne sono, i
medesma si consume», il «soave e chiaro lume
manca», il «posar come persona stanca», il 'dolc
quell'unico e raro tratto nivale dell'antico plaz
Ismera-Dante aveva sviluppato in vario modo,
occitanico, quanto piuttosto sulla simbologia estet
la neve102. Questa è dunque la linea diretta c
Triumphus Mortis103: dove Petrarca (diversamen
descrivere fisicamente Laura morta, secondo m

99. Cfr. vv. 124 («Vattene in pace...») e 162 («se n'andò


in pace e in porto»).
100. Ariani, commento cit., pp. 228-229: «Lo spectaculum
versione, abbandono, obbligata dolcezza («quel che morir
chi sa vedere , apparenza, platonico-agostiniano fantasma
lume terreno per acquisire un fulgore incomparabile)».
101. Ibid., p. 231: «Una figurazione, dunque, 'classica' que
vale (teschio, falce, inquietanti sectatores...): la violenza del
etiche, strutturate con l'insorgenza del grande motivo deìY
102. Cfr. Feo, «Pallida no» cit., p. 352: «Se il pallore è l'os
su di sé solo il bianco, che per la civiltà classica è colore di
del 'bianco' si è mantenuto per gran parte del Medioevo:
«Galilea è tanto a dire quanto bianchezza. Bianchezza è uno
altro; e così la contemplazione è più piena di luce spirituale
Cavalcanti di «compriso - bianco in tale obietto cade» (Donn
guardo per li prati ogni fior bianco (Marti, ed. cit., pp. 7
anch'essi alla luce del De vulgāri I xvi 2, «sicut in numer
coloribus omnes albo mensurantur; nam visibiles magis dicu
recedunt ab albo». La poesia moderna ha invece associato
Melville di Moby Dick ai nostri Pascoli e Montale (ma qui oc
vari dizionari dei simboli non vanno oltre certe genericità -
super nivem deal babor») via via discendendo, attraverso l'A
95 e XXX 129).
103. Non sembrerà illecito richiamare, a questo punto, se
Lancelot (per l'immagine del sangue sulla neve), il preceden
Vergine ), che in certa misura può essersi rifratta nel dolc
dell'epiteto 'bello', secondo un modulo comune nello stile

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Storia di un verso-chiave 483

dalla poesia medievale, che pure forniva ai Trion


magari per via polemica - molto di più che lo spu
Quasi sei secoli dopo, un poeta laico, cui spesso r
tradizione del p/azer104, avrebbe inserito un souhait
d'intatte nevi / ma lievi come viste in un arazzo [...]
veniano ma dalla sostanza dantesca e leopardiana105.
alle origini duecentesche, di là dalla soluzione um
Anche quest'ultimo episodio avrebbe potuto indurre
certe sue geniali forzature in tema di leggerezza.

Emilio Pasquini
Università di Bologna

104. Fino a suggerirgli una volta, in Alla maniera di Filippo De Pisis nelVinviargli questo libro , cioè le
Occasioni ), l'epigrafe, tratta da Lapo Gianni, L'Arno balsamo fino.
105. Quasi una fantasia, negli Ossi di seppia : cfr. G. Lonardi, Il Vecchio e il Giovane e altri studi su
Montale , Bologna, Zanichelli 1980, pp. 75-79.

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