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letteratura italiana
1. «Atti dell'Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna», Classe di Scienze morali, Ren
LXXII (1983-84), pp. 73-82, part. 74 nota 6.
2. Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio , Milano, Garzanti 1988, pp. 12-17:
versi sono quasi identici, eppure esprimono due concezioni completamente diverse [...]. In Caval
congiunzione e mette la neve sullo stesso piano delle altre visioni che la precedono e la seguo
fuga di immagini, che è come un campionario delle bellezze del mondo. In Dante l'avverbio
rinchiude tutta la scena nella cornice d'una metafora, ma all'interno di questa cornice essa ha u
realtà concreta [...]. In Cavalcanti tutto si muove così rapidamente [...]; in Dante, tutto acquista
stenza e stabilità [...]». Dietro queste geniali semplificazioni, specie connesse al balzo di Gui
novella del Boccaccio, stanno forse (accanto al capolavoro di Milan Kundera) certe complementar
della leggerezza maturate nel primo Novecento europeo, fra il Perelà di Palazzeschi e YArlec
Picasso, il Pierrot lunaire di Henry Rousseau e l'omonimo di Arnold Schönberg, YEquilibrista d
il Palombaro di Govoni e magari anche l'acrobata di Ungaretti (nei Fiumi).
3. Nelle varie sedi dove mi è accaduto di parlare su questo argomento, fra l'UCLA di Giovan
chetti (1985), la Montréal di Michelangelo Picone (1989) e la Ginevra di Guglielmo Gomi (199
primo amico con cui ebbi a discorrerne è proprio Giorgio Varanini, alla cui memoria queste pag
dedicate.
4. M. APOLLONIO, Lettura del XIV delVInferno (1961), in Lectura Dantis Scaligera , I, Firenze, Le
Monnier 1971, pp. 451-478.
5. Come E. PARATORE nella sua lettura del XIV deWInferno (1959), poi nel volume Tradizione e
struttura in Dante , Firenze, Sansoni 1968, pp. 221-249.
6. Nel suo commento ai Trionfi (Torino, Utet 1933), insuperato fino all'uscita (Milano, Mursia 1988) di
quello procurato da M. Ariani: che però in questo caso non aggiunge supplementi di sorta.
7. Così Casini-Barbi («Bella e semplice comparazione che ricorda le simili imagini di due antichi
rimatori, F. Ismera (Valeriani, Poeti del primo secolo I 431) «Veder fioccar la neve senza venti» e G.
Cavalcanti «E bianca neve scender senza venti»), mentre Sapegno («Il tono, che in Guido è di una
sensibilità preziosa e compiaciuta, in Dante è diverso e tutto funzionale: l'immagine, riferendosi a un
fenomeno naturale fra i più comuni e ritratto dal nostro con le parole più piane (egli sopprime, si noti
bene, l'aggettivo 'bianca' che nel Cavalcanti rispondeva a un gusto elegante e decorativo, da gotico
fiorito), serve a compiere con un'impressione di immediata evidenza la rappresentazione delle falde di
fuoco») e Bosco-Reggio («Il bellissimo verso dantesco va sentito nell'insieme di tutta la terzina, lenta e
scandita, con un ritmo straordinariamente espressivo (prevalgono le parole bisillabe); esso è privo di
quel preziosismo decorativo che ha invece il verso cavalcantiano») insistono sulla reminiscenza caval-
cantiana, che concordemente vedono spogliata di ogni arabesco tardo-gotico. Il Torraca ha il merito di
far entrare in gioco la 'petrosa' Io son venuto ; mentre il Contini richiama Inf. XIV 30 nel suo commento
alle Rime di Dante (p. 48 dell'ed. di Torino, Einaudi 1968), a fronte di Sonar bracchetti , ma senza
dedurne qualche conclusione. Nessun passo in avanti nel bel libretto di D. Della Terza, Forma e
memoria. Saggi e ricerche sulla tradizione letteraria da Dante a Fico, Roma, Bulzoni 1979, pp. 13-14;
mentre C. BOLOGNA (Tradizione testuale e fortuna dei classici italiani , in Letteratura italiana , Torino,
Einaudi 1986, p. 511) ha provveduto a rammentarci che l'associazione del plazer cavalcantiano sulla
neve bella col parallelo luogo petrarchesco nei Trionfi si deve per primo a Giulio Camillo.
8. Nella lettura del medesimo canto (1966), entro le Nuove letture dantesche , II, Firenze, Le Monnier
1968, pp. 47-76.
9. Drammaticità speculare del canto XIV dell9« Inferno», «GSLI», CLIX (1982), p. 165.
10. Quanto a Dante, i riscontri addotti erano canonici almeno a partire dal diligentissimo regesto di L.
VENTURI, Le similitudini dantesche ordinate illustrate e confrontate. Saggio di studi , Firenze, Sansoni
1874, p. 68 (è la 112a): «Similitudine, in sua brevità, delle più belle del poema. Dante, altrove, del
vapore addensato: «Cade in bianca falda / di fredda neve» (Rim. canz. 11) (...) Guido Cavalcanti, in un
sonetto: «e bianca neve scender senza venti» (Rim. Ant., del Valeriani, Firenze 1816); e meglio di lui,
Francesco Ismera: «Veder fioccar la neve senza venti» (Rim. ant.). Affettuosamente, il Petrarca della
sua Laura morta: «pallida no, ma più che neve bianca, / che senza v
posar come persona stanca».
11. F. Chiappelli, Studi sul linguaggio del Petrarca. La canzone delle visioni , Firenze, Le Monnier
1971, p. 162 note 1 e 3 («è la neve a fornire la metafora dell'ultimo aspetto transitorio di Laura, in quel
pallore stanco in cui il poeta la immagina»: dove però - cfr. nota 98 qui appresso - quel pallore va
sottratto ad ogni ipoteca 'romantica'); E. Giannarelli, L'immagine della neve al sole dalla poesia classi-
ca al Petrarca : contributo per la storia di un « topos », «Quaderni petrarcheschi», I (1983), p. 121 nota
91.
12. Petrarca e la tradizione stilnovistica. Firenze, Olschki 1977, specie pp. 46, 56, 60-63.
13. Ma il commento di D. De Robertis (G. Cavalcanti, Rime , con le rime di Iacopo Cavalcanti ,
Torino, Einaudi 1986) appare ben diversamente orientato.
14. Al Suitner (Petrarca e la tradizione cit., pp. 60-61) sfugge il rapporto di entrata-uscita con Dante;
come già al vecchio commento di G. Carducci e S. Ferrari alle Rime del Petrarca (Firenze, Sansoni
1899, nuova presentazione di G. Contini, ivi 1957, pp. 428-429), dove pur si citano per esteso i
'campioni' di Ismera e Cavalcanti.
15. E. Chirilli, La contemplazione della morte in «Vita Nuova» XXXII e «Triumphus Mortis» /,
«L'Alighieri», 1 (1983), pp. 16-37, part. 30.
16. Dante in Petrarca. Per un inventario dei dantismi nei «R.V F Firenze, Olschki 1979.
17. Cfr. * Il «minore» nella storiografia letteraria , a c. di E. Esposito, Ravenna, Longo 1984, e ivi in
particolare il contributo di M. Marti, Il «minore» come crocevia di cultura , pp. 131-151.
18. Per l'Ismera, cfr. P. Bembo, Prose della volgar lingua , in Opere in volgare , a c. di M. Marti,
Firenze, Le Monnier 1961, pp. 308, 434, 441; G. M. Crescimbeni, Dell'istoria della volgar poesia ,
Venezia, Basegio 1730, II, p. 68; L. Fiacchi, Rime antiche , Firenze, Piatti 1812, p. 59; L. Valeriani,
Poeti del primo secolo della lingua italiana , Firenze, Tartini 1816, I, p. 431; Le rime di Folgore da S .
Gemignano e di Cene da la Chitarra d'Arezzo , a c. di G. Navone, Bologna, Romagnoli 1880, p. Ili; M.
Pelaez, Rime antiche secondo il Vat. lat. 3214 [per il sonetto-indovinello, forse a Dino Compagni] e il
Casanatense d. V. 5, ivi ma 1895; U. Bacchioni, Per un umile poeta del Trecento , Rocca San Casciano,
Sassi 1910; R. Scrivano, voce Beccanugi Francesco Ismera , in Dizionario biografico degli Italiani , VII
(1965).
20. Il tipo della strofa di 17 versi tutti endecasillabi non sembra proprio banale, anche alla luce dello
schema rimico: ABBCABBC.DEEDFFGGD. Non ne trovo riscontri né fra i siciliani né fra i toscani di
transizione né fra gli stilnovisti: con l'unica eccezione di una canzone di Chiaro Davanzati, con stanze di
16 versi tutti endecasillabi. Si veda l'ed. critica delle Rime (a c. di A. Menichetti, Bologna, Commissio-
ne per i testi di lingua 1965 p. 180), dove si cita la referenza del Casini, secondo il quale Chiaro fu uno
dei primi a dare «l'esempio della grande stanza tutta d'endecasillabi distribuiti in quattro periodi metri-
ci, quale fu poi fissata da Dante; e [...] questa novità è proprio in quelle canzoni che più arieggiano,
quanto ai pensieri e allo stile, la poesia dantesca». Una ricerca più sistematica ho io stesso prodotto
(1970) a proposito di una 'dispersa' pseudo-petrarchesca: ora (// mito della casa del Sonno) nel volume Le
botteghe della poesia , Bologna, Il Mulino 1991, pp. 115-198.
21. La canzone si trova edita diplomaticamente da Molteni e Monaci (nel «Propugnatore» del 1877-
78); la mia è, credo, la prima edizione interpretativa, almeno per la quinta stanza (solo parzialmente e
non senza inesattezze proposta da G. Carducci e S. Ferrari nel loro commento alle Rime petrarchesche,
p. 428, in calce al CCCXII).
22. Si veda la bibliografia adunata da A. Menichetti nelFed. cit. delle Rime di Chiaro Davanzati, p.
285.
23. Cit. da E. R. CURTIUS, Europäische Literatur ecc. (1948), ora finalmente in traduzione italiana,
Letteratura europea e Medioevo latino , a c. di R. Antonelli, Firenze, La Nuova Italia 1992, pp. 220-221;
allo stesso libro si deve la trattazione più innovativa del topos (pp. 219-223), e più in generale del
'paesaggio ideale' (pp. 207-226).
24. Folgore da San Gimignano, Sonetti , a c. di G. Caravaggi, Torino, Einaudi 1965, p. 12.
25. Cioè 4vi dono', Vi do' ecc. (ed. Caravaggi, p. 16). Per una valutazione complessiva di Folgore, cfr.
ora *11 giuoco deüa vita bella ecc., a c. di M. Picone, San Gimignano, Biblioteca Comunale 1988 (specie
per i contributi di G. Caravaggi e M. Ciccuto, oltre che dello stesso Picone).
Limitiamoci per ora a rilevare che gli elementi del plazer dell'Ismera trovano tutti un
preciso riscontro nel complesso dei testi di Folgore, ad eccezione di due: il sintagma
(onnipresente nella tradizione) 'canti d'augelli' e il meno consueto «fioccar la neve
sanza venti», cioè il verso sulla 'neve bella'. (Va da sé, dato lo squilibrio quantitati-
vo, che viceversa nell'Ismera manchino tanti motivi della 'bella vita' folgoriana). Del
resto, in Folgore - siamo nel primo decennio del Trecento - sembrano ormai rifran-
gersi in forme più libere e occasionali (approdanti addirittura alle ore del giorno)26 i
temi che prima si concentravano nella misura più chiusa (in quanto legata a un'acro-
nica primavera) del plazer : nonostante la sua natura di catalogo 'aperto', la scelta
prevalente del sonetto - almeno nella nostra tradizione -27 vuol pure significare
qualcosa; così come il fatto che Folgore abbia avvertito il bisogno di 'catene' di
sonetti.
E una tradizione che in Italia passa attraverso il Guinizzelli di Io voglio del ver la
mia donna laudare : sonetto dove la serie degli amoeņa analogicamente ricondotti
alla persona amata comprende rosa- giglio-stella diana-verde river( a) -are-tutti color
di fior-oro ed azzurro ['lapislazzuli'] e ricche gioi. E modello inauguratore di un
26. Cfr. la tarda variante del registro della 'vie joyeuse' (Zumthor) nelle ottave quattrocentesche da me
studiate a più riprese (Le botteghe cit., p. 12) e sulla mia scia da T. Zanato, Sulla tradizione dei testi
semi- o pseudo-popolari: le ottave delle «ore estive », in *La critica del testo: problemi di metodo ed esperien-
ze di lavoro , Roma, Salerno 1985, pp. 451-491. Si noti infine che il tema della neve è in Folgóre
connesso al mese di gennaio, a febbraio invece nel controcanto di Cenne (CONTINI, Poeti del Duecento ,
cit., II, pp. 406 e 424).
27. Dove rappresenta un manufatto piuttosto raro il plazer contratto in una canzone presso Chiaro
Davanzati (ed. Menichetti, pp. 100 e 103); cui del resto fanno riscontro i dieci sonetti-p/azer (ed. cit.,
pp. 261-271), estranei al tipo 'naturalistico', dove cioè le cose che piacciono sono persone o categorie
sociali.
* * *
34. Cfr. a questo proposito C. S. Del Popolo, Tenzone-plazer o Tenzone di due plazer?, SPCT, 21
(ottobre 1980), pp. 17-23.
35. Cfr. P. Zumthor, Lingua e tecniche poetiche nelTetà romanica (1963), trad, it., Bologna, Il
Mulino 1973, pp. 169-173.
36. Cfr. G. Ghinassi, Il volgare letterario nel Quattrocento e le « Stanze » del Poliziano, Firenze, Le
Monnier 1957, pp. 78-79; nonché, di chi scrive, La memoria culturale nella poesia di Eugenio Montale.
Modena, Mucchi 1991, pp. 20-21.
37. Alludiamo alla famiglia lessicale di 'isotopo', 4-ia', sulla scorta (oltre che del Greimas di Du sens :
essais sémiotiques , 1970) di C. Segre, Tema / motivo, in Enciclopedia, 14 (Torino, Einaudi 1981, pp.
Esse si fanno ancor più stringenti col sonetto del Cavalcanti, Biltà di donna e di
saccente core51, che a questo punto entra prepotentemente in gioco. Nel caratteristi-
co 'elenco paratattico' (Contini) di questo prodotto arcaico, eccezionalmente conser-
vatoci dal Laurenziano Rediano 9, è agevole ritrovare almeno tre e forse più piene
corrispondenze col Tot-lo-mon:
Ma è evidente che assai più strette risultano - a dispetto della diversa collocazione
dei tasselli - le concordanze fra i due colleghi toscani:
1 Galee annate 4 adorni legni 'n mar
2 donne e donzelle 1 Biltà di donna
3 l'aria pulita quando si rinfresca 5 aria serena quand'apar l'albore
4 veder fioccar la neve sanza venti 6 e bianca neve scender senza venti
5 e cavalieri armati torneare 2 e cavalieri armati che sien genti
6-7 per rivera, / le pratora fiorir 7 rivera d'acqua e prato d'ogni fiore
8 canti d'augelli 3 cantar d'augelli
9 e tutto questo [...]/ nïent'è ver mia donn'
9 ciò passa la beltade e la valenza / de la mia
donna
51. Così dal Contini nel suo commento, ora riedito nelle Opere minori di Dante, t. I, parte I, Milano-
Napoli, Ricciardi 1984, p. 337.
52. Diversa la discussione sensistica (di un Cesarotti) su questo stesso sintagma: cfr. R. SPONGANO,
La poetica del sensismo e la poesia del Parini (1933), 3a ed., Bologna, Patron 1964, pp. 66-67. L'inseri-
mento a pieno titolo (o sullo stesso piano) dell'elemento 'bello' della neve nel locus amoenus primaverile
'venatorio' Sonar bracchetti (cfr. Le « souhait » et le «plazer» chez les poètes toscans de la fin du XIIIe siècle ,
«Travaux de Linguistique et de Littérature publiés par le Centre de Philologie et des Littératures Roma-
nes de l'Université de Strasbourg», IX (1971), 2, pp. 7-35). Prescindiamo qui dalla querelle di Lippo/
Lapo , su cui ha aperto un copioso e brillante ma un po' controverso incartamento G. Gorni in varie
puntate degli SFI fra il 1976 e il 1979 - nel 1978 con la postilla 'consensuale' di D. De Robertis -, saggi
ripresi nel volume II nodo della lingua e il verbo d'Amore , Firenze, Olschki 1981, pp. 99-124 (in
particolare 114-115 quanto alla risposta di Cavalcanti). Al De Robertis (pp. 223-225 del suo commento
cavalcantiano) va dato anche il merito di aver ribadito - non però in termini chiarificatori di tutto il
retroscena - il collegamento fra Guido , i' vorrei e il sonetto (ancora arduo da interpretare) Amore e monna
Logia e Guido e io, di dubbia attribuzione per Barbi, sicuramente dantesco per Contini, solo probabil-
mente per Gorni e per lo stesso De Robertis.
58. Contini, Poeti del Duecento , cit., II, p. 545: «Col suo vasel (che infatti Guido tradurrà per legno)
Dante sembrava rinnovare uno degli elementi del plazer cavalcantiano (III), «adorni legni 'n mar forte
correnti»; di lì anche il «ragionar [...] d'amore» (che ritornerà in Folgore, VI 14)».
59. Anche se con un eccesso di sottigliezza ci si potrebbe indurre a ricollegare - in chiave di tenue
polemica - Y ad ogni vento del v. 3 al cavalcantiano senza venti , elemento che manca non solo nella
tradizione del plazer-souhait provenzale, ma perfino nei quadri nivali dell'inverno (un meccanismo ana-
logo, si vedrà, potrebbe funzionare a Pd. XXXIII 64-66). Inoltre la rima -ento è assai vicina a quella
-enti, sempre nelle quartine, mentre -ore dalla fronte di Biltà di donna è dislocata nella sirma di Guido,
i' vorrei.
60. Ci sentiamo di avallare questa etichetta limitativa, nonostante le buone osservazioni con cui il
Caravaggi (Le «souhait» et le «plazer» cit., pp. 12-14) ha cercato di incrementare le quotazioni di Biltà
di donna , come anche (pp. 15-19) del dantesco Sonar bracchetti, rispetto a quelle, anche per lui (pp.
20-22) elevatissime, di Guido, i' vorrei.
61. Inadeguato il leopardismo del Contini (nel commento alle Rime dantesche, 2a ed. cit., p. 324),
secondo cui il Cavalcanti rispose «malinconicamente al solito». Fuori strada Barbi-Pernicone (Rime
della Vita Nuova e della giovinezza, Firenze, Le Monnier 1956, p. 196): «Il poeta ha in questo sonetto
un'intonazione stanca e malinconica, e anche una riservatezza delicata che rende più difficile l'interpre-
tazione». Ma non soddisfa neppure De Robertis commentatore delle Rime del Cavalcanti, quando defini-
sce tale risposta «elegante e patetica».
62. M. Marti, Poeti del Dolce stil nuovo , Firenze, Le Monnier 1969, p. 222.
63. Così la radice del 'disdegno' di Guido (in Inf. X 63) starebbe nella risposta di Cavalcanti al
dantesco Guido, i vorrei , almeno secondo D. De Robertis (cit. dal Gorni, Il nodo della lingua cit. , p.
134). Ma c'è di mezzo anche la 'rimenata' o 'paternale' /' vegno il giorno a te infinite volte , su cui (oltre
all'equilibrato consuntivo di M. Marti, nella voce Alighieri entro il Dizionario biografico degli Italiani)
cfr. M. Santagata, Lettura cavalcantiana ecc., GSLI, CXLVIII (1971), pp. 295-308 e ora la glossa di
De Robertis nell'ed. cit. delle Rime , pp. 158-161 (dove si conferma la proposta di un Io -Amore).
64. Cfr., anche per la bibliografía implicita, il mio saggio cit. (alla nota 1) su La terzultima palinodia
dantesca.
65. Guido , i' vorrei è del 1290 circa e, in ogni caso, del tempo della Vita Nuova: vedi, oltre a Contini e
Gomi, anche il cit. commento Barbi-Pernicone. De Robertis esegeta del Cavalcanti (p. 148) tende
invece a proiettarlo indietro, verso una fase ancora pre-stilnovistica, sempre tuttavia posteriore al plazer
cavalcantiano se esso ne cita esplicitamente (in chiave di wish-poem) proprio il 'ragionar d'amore'.
66. Basti qui il rinvio al classico commento di G. Contini, nella 2a ed. cit. (dove le pp. 431-459 sono
dedicate alle 'petrose'); e più in particolare, per le descrizioni stagionali in Dante in rapporto ai prece-
denti transalpini, a P. Boyde, Dante's Style in his Lyric Poetry (1971), trad. it. Retorica e stile nella
lirica di Dante , Napoli, Liguori 1979, pp. 361-365.
67. Boyde, Retorica e stile cit. , p. 364.
68. Che del resto Dante utilizza altrove in nessi comparativi: non solo nell'evangelico (caro al Manzoni)
«le sue vestimenta erano come neve» ( Conv . IV xxii 15), ma anche per la Fede («parea neve testé
mossa» a Pg. XXIX 126) e per l'abito degli angeli, «tanto bianco / che nulla neve a quel termine arriva»
(Pd. XXXI 15).
69. Ne è variante il sintagma di altra 'petrosa', la sestina Al poco giorno e al gran cerchio d'ombra (in
Rime CI 7-8), «similemente questa nova donna / si sta gelata come neve a l'ombra»; con cui può andare
la grande immagine di Pg. XXX 85 sgg. , riferita all'indurimento del cuore nel poeta -viator, tenendo
conto che nella sestina la neve è correlato negativo della gelida durezza di lei.
70. Contini, nel commento alle Rime , p. 434: «si pensa alle 'dilatate falde' di Inf. XIV 29 (in rima con
'salde' aggettivo)». S'aggiunga che è questo l'unico caso in cui Dante adopera l'epiteto cavalcantiano di
'bianca', determinante però 'falda' e non 'neve' (determinato invece da 'fredda'). Il quadro tuttavia è
quello di un locus asper che non ha nulla né del plazer cavalcantiano né della malinconica dolcezza di
quella pagina della Vita Nuova (con la 'bella neve'), anzi ne rappresenta un autentico contromodello: per
di più alle radici dello snodo decisivo di Inf. XIV 30, dove le 'dilatate falde' sono insieme, ambiguamen-
te, di 'neve' e di 'fuoco'. Tale trasformazione non è forse scevra dall'influsso della metafora soleil plavil
(nella canzone di Arnaut Daniel, Lancan son passat li giure , cara al Pound dei Cantos), onde il dantesco
« piovean di foco dilatate falde»; mentre questa sorta di 'neve infuocata' potrebbe perfino configurarsi
quale icona di un «mondo alla rovescia» (Curtius), di una condizione contro natura, in qualche modo
riconnettendosi alle figure di Pier delle Vigne e di Brunetto, o alle immagini della selva e della sabbia
attraversate dal fiume di sangue.
71. Si pensi, subito, a Inf. VI 7 sgg., per la «piova / etterna, maladetta, fredda e greve», con «grandi-
ne grossa, acqua tinta e neve».
72. Amor , da che convien pur ch'io mi doglia (CXVI delle Rime), dove la postilla del Contini (p. 483)
va ora integrata col saggio della Giannarelli (cit. alla nota 11).
73. In ogni caso, non ismeriana, fra l'altro mancando qui il verbo tecnico 'fioccar' (che Dante adopera
solo in Pd. XXVII 67, proprio per i 'vapor gelati' della neve); mentre lo 'scender' cavalcantiano è
dislocato al v. 37, per il referente della similitudine, «tale scendeva l'etternale ardore».
74. Cfr. la nota 7, qui sopra.
82. A. PÉZARD, Dans le sillage de Dante , Paris, Société d'Etudes italiennes 1975, p. 259. Più effica-
cemente R. Blomme indica nel tertium comparationis - la transitorietà - un segnale prolettico rispetto al
tema della metamorfosi, peculiare della settima bolgia {Il palinsesto della memoria: osservazioni sulla
similitudine dantesca , in * Filologia e critica dantesca. Studi offerti a Aldo Vallone , Firenze Olschki
1989, pp. 412-415).
83. Non voglio arrischiarmi a suggerire che dietro la silhouette del 'villanello' dantesco si nasconda
un'allusione alle salaci ironie sodomitiche di Lapo degli Uberti (Guido, quando dicesti) a proposito della
'pastorella' cavalcantiana. Per la possibilità di certi sottili tramiti biografici, cfr. G. May, L' autobiogra-
phie, Paris, Presses Universitaires de France 1979, p. 111. Ma la linea 'allusiva' da noi perseguita
sembrerebbe piuttosto consonare con certe proposte di D. De Robertis, Arcades ambo. Osservazioni
sulla pastoralità di Dante e del suo primo amico, «Filologia e critica», X (1985), 2-3, pp. 231-238,
specie 233 (per i riflessi di Donna me prega in Pg. XXV e della 'pastorella' in Pg. XXVIII e XXIX); o di
E. Malato, Lo fedele consiglio de la ragione ecc., Roma, Salerno 1989, specie pp. 204 sgg., importanti
per l'individuazione di certe riscritture di Donna me prega in Pg. XVII 91 sgg. e XVIII 13 sgg., quasi a
preparare la riconciliazione fra amore e virtù sancita dall'incontro con Stazio (XXII 10-12). Ma nessuno,
se ho visto bene, ha mai fatto entrare in questo circuito il 'villanello' dantesco; mentre anche la serie dei
riscontri fra luoghi del poema e Donna me prega necessiterebbe ormai di qualche supplemento: primo fra
tutti l'opposizione fra un'icona della luce, connessa a un movimento spirituale (Pg. XVIII 28 sgg.: «Poi,
come '1 foco movesi in altura [...], / così l'animo preso entra in disire, / ch'è moto spiritale...»; ma cfr.
già Conv. III, Amor che ne la mente 63: «Sua Bieltà piove fiammelle di foco [...]»), e l'icona dell'oscurità
connessa al piano sensitivo, che caratterizza l'amore nell'accezione cavalcantiana (vv. 16 sgg. «prende
suo stato [...] d'una scuritate [...] sensato» e 68 «assiso - 'n mezzo scuro, luce rade»).
84. Tale non è invece nel Cino pre-petrarchesco del nesso metaforico (per 'denti' e 'labbra') di «la
bianca neve / fra le rose vermiglie» (canz. Oimè, lasso, ed. Marti, Poeti del Dolce stil nuovo, cit., p.
715). Con qualche cautela formulo in calce l'ipotesi che Dante abbia riluttato ad aggiungere a una neve
vista in chiave negativa un epiteto che (come 'bianco') per lui non poteva non essere fortemente positivo
(cfr. nota 102 qui di seguito).
* * *
Versi fra i più altamente petrarcheschi, ma nonostante tutto iscrivibili dentro l'orbita
di Dante89, a partire dal segnale dei vv. 151-152 («Lo spirto [...] con tutte sue virtuti
in sé romito», che va con Purgatorio VI 72, «l'ombra, tutta in sé romita»), fino al
culmine dei vv. 166-167, dove i commentatori hanno privilegiato Dante fra i prece-
denti possibili, limitandosi però quasi alla mera registrazione del fatto, secondo
l'inveterato vezzo positivistico della 'fonte'90.
In realtà qui Petrarca ci offre il nuovo e decisivo contromodello, non senza una
strategia allusiva ancor più complessa di quella dantesca verso Cavalcanti: la pole-
mica infatti, smorzata solo perché tendenzialmente implicita, è rivolta sì al XIV
dell'Inferno , ma coinvolge anche Cavalcanti e perfino Ismera. Alla 'morte seconda'
dei dannati nell' Inferno si contrappongono la tertia mors (Ambrogio), morte- vita o
89. Il fatto non è sfuggito ai lettori più avvertiti, fra il Contini del Saggio d'un commento alle correzioni
del Petrarca volgare (1943, ora in Varianti e altra linguistica , Torino, Einaudi 1970, pp. 28-31) e la
glossa puntuale dell'Ariani (pp. 248-251 del commento cit.).
90. Analitico ma referenziale il Calcatemi: «Bella similitudine, che ricorda quella di F. Ismera:
'Veder fioccar la neve senza venti' (vedi Poeti del primo secolo della lingua ital. a c. di L. Valeriani,
Firenze 1816, I, 431); quella di Guido Cavalcanti, son. XV: 'E bianca neve scender senza venti'; e
quella meravigliosa di Dante: 'come di neve in alpe sanza vento' (Inf. XIV, 30); nella quale gli stessi
'suoni aperti esprimono la larghezza dei Fiocchi lentamente cadenti' (Venturi)»; ridotto all'osso F. Neri
nell'ed. ricciardiana: «l'immagine appare nei nostri poeti prima di Dante, e in Dante (Inf. XIV 30)»; più
sottile e argomentato l'Ariani: «Rispetto ai modelli, P. ha sottratto i 'venti' (con il fisso 'senza') alla rima,
affidata ad un hapax 'fiocchi' (è ricca: 'occhi'), che è altrettanto raro e d'uso paesistico, e (sotto rima) in
relazione alla neve, appunto in Dante, Pd. XXVII 67 e 71 [...]. Di suo P. ha aggiunto un 'bel colle' [...]
che varia in liquida [...] l'insistita consonanza in nasale comune al Cavalcanti [...] e a Dante, e ne
interrompe la dominante vocalica in -e [...]». Non molto aggiunge A. Ferriguto, Abbozzi e frammenti,
Verona, Fiorini 1972; purtroppo deludente ai nostri fini la meritoria ricerca a tappeto della Giannarelli
(L'immagine della neve cit., pp. 91-129), che pure s'ispira a questa suggestiva affermazione di G.
Durand (Psycanalyse de la neige , «Mercure de France», VIII [1953], p. 630): «Rien ne semble, du point
de vue d'une physique du sens commun, plus antithétique que la neige et que le feu. Rien n'est plus
proche du point de vue poétique». L'individuazione (p. 107) delle due coppie archetipiche fuoco-cera e
sole-neve suggerirebbe tuttavia per il nostro verso-chiave nell'accezione dantesca (e petrarchesca, con
sostituzione, al fuoco, di un «soave e chiaro lume») un incrocio innovativo (fuoco-neve) rispetto allo
schema di base.
Comuni a tutti e quattro i poeti la 'neve' e il 'senza venti (-o)', cioè proprio i tratti più
91. Ariani, commento cit., p. 229; ma già a p. 226: «Tutto si gioca intorno ad una sublime ars
moriendi , rappresentata in forma di azione rituale come ineluttabile passaggio revolutivo dal fragile
all'eterno».
92. Ibid., p. 227: «l'icona del lutto si configura come leggiadra consunzione di una fiamma 'cui
nutrimento a poco a poco manca', gotico emblema gentile in cui nivea bellezza e dolce [...] sonno
assottigliano l'orrore nel 'bel viso' in cui perfino 'Morte bella parea'» (e cfr. p. 228 per il riferimento al
Secretum e a Macrobio).
93. Resta sullo sfondo il tema della morte 'dolce' e 'gentile' in Dante lirico (Vita Nuova XXIII 9 e 27).
Abbastanza singolare che nessuna traccia del tema nivale persista in Leopardi (cfr. N. BONIFAZI, L'im-
magine della morte dai «Trionfi» petrarcheschi al «Sogno» leopardiano , in * Leopardi e la letteratura
italiana dal Duecento al Seicento. Firenze, Olschki 1978, pp. 399-418).
94. La miglior controprova della conoscenza di Biltà di donna è offerta, da Né per sereno ciel (in R .V J?.
CCCXII): trascrizione, in un registro più alto, del plazer duecentesco, che sacrifica il verso sulla bianca
neve ad altra leggerezza, di sapore dantesco (le «fere [...] snelle» del v. 3). Per altro e più significativo
incrocio fra due tasselli danteschi, in R.V J?. CXLVI 5-6 («in dolce falda / di viva neve»), cfr. G.
Orelli, «Altre cose , altra realtà , altra venta», in *Filogia e critica. Su / per Gianfranco Contini , Roma,
Salerno 1990, p. 346.
95. Oltre al commento dell'Ariani, pp. 225-233, cfr. O. B. Hardison jr., Christian Rite and Christian
Drama in the Middle Ages ecc., Baltimore, The John's Hopkins Press 1969.
97. Non è illegittimo ipotizzare che dai Trionfi muova Fazio degli Uberti - canz. Ne la tua prima età
pargola e pura , vv. 57-59 (ed. a c. di G. Corsi nei Rimatori del Trecento , Torino, Utet 1969, pp.
255-256): «E per neve, che fiocchi / dal tuo bel viso, l'amorosa manna / con la qual cibi li spiriti mei
[...]» -, materializzando rudemente l'immagine incorporea delineata da Petrarca: forse non senza la
spinta del testo biblico, dove il verbo addetto alla 'manna' è appunto 'nevicare'. Da Fazio deriveranno
invece ser Giovanni Fiorentino («veramente per neve che fiocchi / la saporita manna che mi dai») e il
Saviozzo: cfr. la mia recensione al Corsi, SPCT, 3 (ottobre 1971), p. 238; da Petrarca, il Boiardo degli
Amorum libri (X 1) e l'Ariosto del Furioso (XI 68).
98. Il rinvio d'obbligo è al magistrale saggio di M. Feo, «Pallida no , ma più che neve bianca »,
«GSLI», CLII (1975), pp. 321-361, specie 342 («Il pallore è insomma la più evidente presenza della
morte scesa sulle membra umane e anche il segno più sottilmente ripugnante della sua realtà»). Impor-
tanti anche le osservazioni sulla 'morte bella' (ivi, pp. 344 sgg.); va aggiunto tuttavia che se la bianchez-
za nivale di Laura può rappresentare un'innovazione sostanziale rispetto all'icona arcaica del 'color di
perla' (su cui cfr. almeno R. Crespo, SD, XLVIII [1967], pp. Ill sgg.), per simile mito (la bellezza
appunto della morte) Petrarca richiede una chiosa non meramente libresca. Insomma, non era solo
questione di immagine, come per Cavalcanti e Dante. Dietro, vi si nasconde un trauma esistenziale ben
più sconvolgente di qualsiasi mitografia letteraria; e quindi, lo confesso, non mi convincono gli ulteriori
richiami di un valente collega come Giovanni Caravaggi a Lo gens de pascor di Bernard de Ventadorn,
per l'icona della donna-neve (difficilmente proiettabile sul profilo immobile di Laura), o per quella della
'neve bella' affiorante dal Merlin francese (sulla scorta dello Ziltener). Semmai, allora, invocherei il
candore del corpo esanime di san Francesco, giusta la Vita seconda di Tommaso da Celano.
Emilio Pasquini
Università di Bologna
104. Fino a suggerirgli una volta, in Alla maniera di Filippo De Pisis nelVinviargli questo libro , cioè le
Occasioni ), l'epigrafe, tratta da Lapo Gianni, L'Arno balsamo fino.
105. Quasi una fantasia, negli Ossi di seppia : cfr. G. Lonardi, Il Vecchio e il Giovane e altri studi su
Montale , Bologna, Zanichelli 1980, pp. 75-79.