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Olivier Messiaen

e il Quatuor pour la fin du Temps

Eredità didattica e compositiva in Tōru Takemitsu,


William Albright e George Benjamin

Consegna al Dipartimento di Composizione


del Conservatorio di Musica G. Verdi di Como,
esame di Analisi 1

Anno accademico 2022/2023

Thomas Pennisi
1

Indice

Abstract ………………………………………………………………………………………………1

Biografia e contesto dell’opera ………………………………………………………………………2

Ricostruzione cronologica del Quatuor e presentazione dei singoli movimenti ……….……………3

Costruzione armonica: modi di trasposizione limitata ………………………………………………5

Composizione musicale della fine del tempo …….………………………………….………………7

Isoritmi ………………………..………………………………………………….……………………8

Ritmi non retrogradabili ………………………………………………………………………………….8

Valori aggiunti …………………………………………………………………………………………..9

Ritmi aumentati e/o diminuiti ……………………………………………………………………………..9

Ritmi riduttivi …………………………………………………………………………………………10

Pedali ritmici …………………………………………………………………………………………..10

Frammenti organici .…………………………………………………………………………………….11

Contrazione e dilatazione dei modi di trasposizione limitata …………………………………………………12

Olivier Messiaen: eredità didattica e compositiva nel panorama musicale del ‘900 ……………….13

Tōru Takemitsu e il suo omaggio al compianto Olivier Messiaen: Rain Tree Sketch II .….…….…13

William Albright, scrittura eccentrica con «rappels mélodiques» a Olivier Messiaen: Sonata ……14

George Benjamin, il giovane allievo di Olivier Messiaen: Octet ………………………….………15

Bibliografia ……………………………………………………………….……..…………………17
2

Abstract
L’obiettivo del seguente elaborato, oltre che rappresentare una generale summa del processo genetico e
musicale del Quatuor pour la fin du Temps di Olivier Messiaen, ponendo nello specifico sotto la lente
d’ingrandimento soprattutto il primo movimento dell’opera, Liturgie de Cristal, per certi versi Manifesto
dell’intero quartetto in quanto compendio della quasi totalità degli espedienti compositivi di interesse per
l’autore, nonché ultimo movimento composto cronologicamente, e dunque rassomigliante ad un resoconto
finale, è quello di soffermarsi su un preciso aspetto dell’impegno del compositore francese: presentare la
traduzione in musica della fine del tempo.
Personalmente, ho sempre avuto particolare interesse per tutto ciò che si ponesse l’obiettivo di rendere
musica ciò che musica, originariamente, non è: il pensiero fatto musica, la musica in quanto pensiero, infine
la musica in quanto musica. Questa operazione si struttura - e si deve strutturare, risultando altrimenti debole
ancor prima che poco credibile - su un’attenta ed esperta scrittura che passi in maniera convincente il
messaggio di una volontà precisa, e che non si limiti a cercare forzosamente metafore o simbologie lontane.
Credo che il Quatuor pour la fin du Temps rappresenti in questo senso uno degli apici della nostra cultura
musicale, e sarà mio compito riportare gli elementi, squisitamente compositivi, che corroborano questa
impresa concettualmente paradossale, se è vero come è vero che il tempo è la principale dimensione della
musica.
A tutto questo, verrà infine accodato un lavoro di tangibilità dell’importanza compositiva e didattica di
Messiaen nel panorama musicale del Novecento, tramite esempi ed estratti nella musica di tre compositori,
ognuno dei quali legato a proprio modo alla sua figura. Per evitare banali questioni di somiglianza
accademica, stilistica nonché geografica, si prenderanno in considerazione tre autori il più possibile distanti
l’uno dall’altro nello spazio e nel tempo, ovvero Tōru Takemitsu (Giappone, 1930-1996), William Albright
(Stati Uniti, 1944-1998) e George Benjamin (Regno Unito, 1960).

- E ripeto ancora quanto ho già detto sopra: «tutto questo rimane un tentativo balbuziente se lo
paragoniamo alla straordinaria grandezza dell’argomento!», Olivier Messiaen in chiusura alla sua
prefazione del Quatuor pour la n du Temps.

N.d.A.: gli esempi musicali estratti dalla partitura originale verranno riportati e collocati con la numerazione
delle pagine in cui compaiono, non essendovene una per le battute: per Messiaen sarebbe stato certamente
contraddittorio numerare le battute dello spartito di una musica che vuole totalmente evitare qualsiasi forma
di scansione regolare (ed effettiva) del tempo. Lo stesso varrà per gli esempi in Rain Tree Sketch II per
pianoforte (1992) di Tōru Takemitsu e nella Sonata per sassofono contralto e pianoforte (1984) di William
Albright, anch’essi sprovveduti di numerazione delle battute, seppur senza la medesima simbologia
semantica del Quatuor. Per gli estratti dalla partitura di Octet di George Benjamin, si ringrazia caldamente la
gentile concessione di Faber Music, che ne detiene ogni diritto, per la collaborazione nel fornire al
sottoscritto una copia ad uso accademico.
fi
3

Biogragia e contesto dell’opera


Olivier Messiaen nasce ad Avignone il 10 Dicembre 1908 da genitori letterati, il professore di inglese Pierre
Messiaen e la poetessa Cécile Sauvage. A 11 anni si iscrive al Conservatorio di Parigi dove studia fra gli altri
con Dukas, Emmanuel, Widor e Dupré. Nel 1931 ottiene il ruolo di organista alla Saint-Trinité di Parigi,
impiego che manterrà fino alla sua morte. Impegnato nelle milizie ospedaliere, nel 1940 viene fatto
prigioniero durante l’invasione francese da parte dei Tedeschi ed internato nel campo di lavoro di Stalag
VIIIA, vicino Görlitz in Slesia. Qui, incontrando casualmente il violoncellista Étienne Pasquier, il
clarinettista Henri Akoka ed il violinista Jean le Boulaire, scrive la sua opera più celebre, Quatuor pour la fin
du Temps, che ebbe la sua prima esecuzione proprio nello Stalag il 15 Gennaio 1941, di fronte ad una platea
di circa 5000 compagni di prigionia1, dalle origini ed estrazioni sociali più disparate. Tale esecuzione è
contornata tutt’oggi di elementi leggendari in riferimento alle surreali condizioni in cui sarebbe occorsa, con
un violoncello senza una corda ed un pianoforte scordato i cui tasti del registro acuto, per testimonianza
diretta di Messiaen2, rimanevano giù alla digipressione, addirittura all’aperto a -15 gradi sotto la neve,
elementi smentiti in maniera abbastanza convincente da Rebecca Rischin nel suo For the end of time: the
story of the Messiaen quartet (Ithaca, N.Y., Cornell University Press, 2003), e in più occasioni dagli esecutori
stessi, mentre Messiaen confermò sempre la sopracitata versione dei fatti. Al di là delle leggende
metropolitane, è evidente come le condizioni ed il contesto di una prima esecuzione simile non fossero
particolarmente felici, se non altro per il grado di preparazione musicale del pubblico stesso, gran parte del
quale nemmeno conosceva Messiaen e la sua attività di compositore. Ciò nonostante, vent’anni più tardi
circa, egli racconterà di non aver mai esperito un ascolto così attento e comprensivo della sua musica come
in quell’occasione3.
Poco dopo la sua liberazione nel 1941, ottiene la cattedra di armonia al Conservatorio di Parigi, alla quale si
aggiungerà poi, nel 1966, quella di composizione, anche grazie ad un’insistente attività degli studenti negli
anni, guidati in principio da un allora giovane allievo Pierre Boulez, che preparò e fece firmare una petizione
studentesca, presentata poi al Direttore Claude Delvincourt, affinché Messiaen ricevesse in gestione tali
classi4, cariche che occupò fino al 1978. Fra i suoi innumerevoli egregi allievi possiamo ricordare, come
detto, Boulez, ma anche Stokhausen, Xenakis5, Benjamin, Murail… ecc. ecc.
Nei suoi molteplici viaggi per il mondo, ebbe modo di approfondire gli interessi dimostrati fin dalla gioventù
quali il canto degli uccelli (è noto come, forse ironicamente, si presentasse più come ornitologo e «ritmista»
che come compositore6), e più in generale ebbe da sempre grande riguardo per l’etnomusicologia, soprattutto
in relazione alla dimensione del ritmo - suo principale oggetto di ricerca fra tutti gli ambiti compositivi -
dedicandosi in particolare agli antichi «piedi» (modi) ritmici grechi e ai «deçi-talas» indiani, ritmi regionali
non dissimili dagli antichi modi grechi, strutturati sulla successione di tempi lunghi e brevi in combinazioni
lontane ed estranee alla tradizione musicale dell’Occidente.
Muore il 27 Aprile 1992 a Clichy e viene sepolto a Saint Théoffrey, a sud di Grenoble dove possedeva una
casa, sotto la stele di una lapide che, inevitabilmente, raffigura un uccello con le ali spiegate e l’incisione di
un estratto da Harawi - Chant d’amour et de mort (1945) per soprano e pianoforte, opera non lontana (ma
nemmeno simile) dal carattere e gli espedienti compositivi del Quatuor.
Come spiegato in precedenza, l’opera viene pensata e scritta in circostanze evidentemente particolari e
l’obiettivo di Messiaen, come facilmente intuibile dal titolo, è quello di sospendere il tempo, o meglio,
estinguerlo.

In omaggio all’Angelo dell’Apocalisse, che alza la mano verso il cielo dicendo: «non ci sarà più il
Tempo», dalla prefazione del Quatour pour la fin du Temps, in citazione al capitolo X dell’Apocalisse
di S. Giovanni.

1 Almeno così riporta Messiaen, mentre Pasquier e le Boulaire raccontano di una presenza non superiore ai 400 spettatori, dovuta
alle condizioni e allo spazio del vecchio casolare di Stalag VIIIA dove ebbe luogo l’esecuzione in questione, non certo in grado di
garantire una capienza simile.
2 Antoine Goléa, Rencontres avec Olivier Messiaen (Parigi, Juillard, 1960)
3 Antoine Goléa, Rencontres avec Olivier Messiaen (Parigi, Juillard, 1960)
4 Anthony Pople, Messiaen: Quatuor pour la fin du Temps (Cambridge, Cambridge University Press, 1998)
5 al quale però, ricordiamo, dopo un breve periodo Messiaen spiegò come non potesse proseguire a insegnargli più nulla, invitandolo
a trovare e perseguire la propria estetica musicale, specie rispetto all’impiego della matematica e alla sua formazione di ingegnere.
6 Claude Samuel, Permanences d'Olivier Messiaen: dialogues et commentaires (Arles, Actes Sud, 1999)
4

Messiaen sosterrà sempre che l’immagine dell’estinzione del tempo rappresenta per lui il raggiungimento del
regno del Paradiso, negando qualsiasi tentativo di connessione o evocazione del dramma dei campi di
concentramento, tale per cui necessitare di una sua astrazione (che in maniera certamente nichilista
richiamerebbe alla morte dell’individuo e - per lo meno moralmente - dell’umanità tutta), ed effettivamente,
inconfutabilmente, le suggestioni sonore e visive che egli ricerca - per sua stessa testimonianza, già nella
prefazione nonché in molteplici occasioni successive - sono riscontrate in partitura e corrispondono alle sue
precise descrizioni testuali, intendendo suddetta estinzione come il raggiungimento dell’eternità, unico
vettore temporale di Dio e del regno dei cieli. Se tutto ciò è appurato e fattuale, è altrettanto innegabile una
presenza di elementi tali per cui l’estinzione del tempo rappresenta, per analogia e contrappasso, la brutalità,
la disumanità delle operazioni naziste e delle esperienze nei campi, e dunque la necessità di interrompere,
«distruggere» il tempo in Terra, un tempo che scorre da sinistra verso destra, scandito e freddamente
regolare, portatore di sofferenza e infine morte, per raggiungere l’Eterno, il non-tempo.

«Se ho composto questo quartetto, è stato per fuggire dalla neve, dalla guerra, dalla cattività, da me stesso.
Il principale beneficio che ne ho tratto è che in mezzo a trentamila prigionieri, io ero l’unico uomo che non
lo era [prigioniero].»72

È infine interessante ricordare che Messiaen utilizzò il testo biblico della Rivelazione come introduzione al
pubblico prima dell’esecuzione di quel lontano 15 Gennaio 1941: nel contesto apocalittico di questa lettura
sono citati, ovviamente, catastrofi e cataclismi. Il compositore spiegò, però, che limitarsi a questi eventi
comporterebbe una comprensione povera del testo in questione, il quale invece racconta anche di «grandi e
meravigliose luci, seguite da silenzi solenni»8: tutto ciò assume un significato decisamente più vivido se
consideriamo il fatto che Messiaen, proprio durante la cattività, ebbe modo di assistere all’aurora boreale a
Stalag VIIIA9.

Ricostruzione cronologica del Quatuor e presentazione dei singoli movimenti


Se prendiamo in analisi il contenuto musicale degli otto movimenti che compongono il Quatuor pour la fin
du Temps, insieme a testimonianze dirette e indirette circa la cronologia della sua composizione, è
interessante farne un lavoro di ricostruzione temporale, non essendo stati concepiti nell’ordine in cui
compaiono nell’opera finita. Sappiamo dalle parole di Messiaen stesso che il IV movimento Intermède fu il
primo che compose, un «piccolo trio poco pretenzioso» scritto non appena conosciuti i tre musicisti
compagni di prigionia10. Non fosse per questa fonte diretta, potremmo comunque rifarci alla prefazione in
partitura che vede una precisa sezione di «consigli agli esecutori» in riferimento ai movimenti più
impegnativi tecnicamente ed interpretativamente, deducendo quindi che la scrittura dell’opera andasse di pari
passo con la confidenza fra il compositore e gli esecutori, e la loro stessa confidenza con la scrittura di
Messiaen, che non poteva chiaramente essere troppo esigente durante le prime fasi di questo approccio:
ricordiamo infatti che nessuno dei tre esecutori in questione fosse musicista professionista.
Questo movimento, per definizione di Messiaen stesso11, ha un carattere più estroverso, leggero, ma presenta
già degli elementi tematici, puramente melodici - specialmente nel clarinetto - , ripresi e ripercorrenti in tutta
l’opera («rappels mélodiques»), ad eccezione del V movimento Louange à l’Éternité de Jésus e dell’VIII
movimento Louange à l’Immortalité de Jésus, per un preciso motivo che è presto detto: questi due
movimenti, invero, sono trascrizioni, rispettivamente per violoncello ed accompagnamento pianistico e per
violino ed accompagnamento pianistico, di musica pre-esistente di Messiaen e che egli integrò nel Quatuor,
più precisamente, il quinto, da una sezione di Fête des belles eaux per sei onde martenot (1937) e, l’ottavo,
dalla seconda parte di Diptyque per organo (1930), non condividendo quindi alcun materiale musicale con il
resto dell’opera.
(Es.)

IV movimento, Intermède II movimento, Vocalise pour l’Ange III movimento, Abîme des Oiseaux VII movimento, Fouillis d’arcs-en-ciel, pour
pag. 17, terzo sistema (clarinetto) qui annonce la fin du Temps pag. 15, penultimo sistema (clarinetto) l’Ange qui annonce la fin du Temps
pag. 7, primo sistema (clarinetto) pag. 40, primo sistema (clarinetto)

7 Antoine Goléa, Rencontres avec Olivier Messiaen (Parigi, Juillard, 1960)


8 Antoine Goléa, Rencontres avec Olivier Messiaen (Parigi, Juillard, 1960)
9 Christopher Dingle per Anthony Pople, Messiaen: Quatuor pour la fin du Temps (Cambridge, Cambridge University Press, 1998)
10 Antoine Goléa, Rencontres avec Olivier Messiaen (Parigi, Juillard, 1960)
11 Olivier Messiaen, Préface - Quatuor pour la fin du Temps (Parigi, Editions DURAND, 1941)
5

(Es.)

IV movimento, Intermède VI movimento, Danse de la fureur, pour les sept trompettes


pag. 18, quarto/quinto sistema (melodia condivisa da violino e violoncello) pag. 23, primo sistema (melodia condivisa da tutto il quartetto)

(Es.)

IV movimento, Intermède I movimento, Liturgie de cristal


pag. 17, ultimo sistema (clarinetto) pag. 2, ultimo sistema (clarinetto)

Comprensivo dell’intero quartetto - così come il I, II e VII - , si può collocare la scrittura del VI movimento
Danse de la fureur, pour les sept trompettes come successiva a quella del IV, e distinguerla temporalmente
dalla stesura dei tre movimenti sopracitati che ne condividono l’organico: innanzitutto, come mostrato
dall’esempio precedente, il VI3movimento riprende fedelmente una linea melodica espressa nell’Intermède,
che come detto rappresenta una scrittura relativamente mesta, e, come già trattato, sappiamo che Messiaen
comporrà il Quatuor nella maniera più conforme alle possibilità esecutive dei suoi compagni di prigionia, o
quanto meno proporzionalmente nel tempo. Oltre a questo, se è vero che questo movimento presenti
l’interezza del quartetto, aggiungendo quindi il pianoforte all’organico presentato nel IV, è anche vero che il
pianoforte suona in unisono (o ottava) con gli altri strumenti, senza avere una propria parte tematicamente
autonoma. Sappiamo per testimonianza di Messiaen in persona12 che non poté disporre fin da subito del
celebre e malandato pianoforte all’interno del campo, anzi, ed è quindi opportuno ipotizzare che questo
movimento possa essere stato inizialmente concepito senza l’intervento di questo strumento, a differenza
degli altri tre movimenti per quartetto che, oltre a presentare una scrittura certamente più esigente,
suonerebbero particolarmente mutilati - fino a sembrare impensabili nel caso del VII - senza la parte di
pianoforte. Possiamo inoltre individuarlo come precedente al III movimento, Abîme des oiseaux,
presentando sì momenti di carattere «a-metrico»13 tanto cari al compositore, ma rientrando - e adagiandovisi
spesso - in situazioni di relativa riconoscibilità metrica, a differenza di quest’ultimo ove anzi alcuni materiali
melodici (su tutti, quello che per Messiaen rappresenta il canto degli uccelli) vengono tessuti in una
maggiore complessità ritmica e maggiormente sviluppati. In aggiunta, questo movimento figura fra quelli
espressamente citati dall’autore nella prefazione, richiedendone un’accentuata esagerazione delle nuances
ritmiche e degli accelerando e ritardando (…«La parte centrale di Abîme des oiseaux, in particolare,
dovrebbe essere ricca di fantasia»…14).
I successivi ad essere verosimilmente stati composti sono, in ordine, il II movimento Vocalise, pour l’Ange
qui annonce la fin du Temps e il VII movimento Fouillis d’arcs-en-ciel, pour l’Ange qui annonce la fin
du Temps, strettamente ed evidentemente imparentati già dai titoli stessi. Il secondo riprende i ricami di
canto degli uccelli di provenienza dal clarinetto nel III movimento, mentre le parti di violino e violoncello
rimandano alle sonorità di ottave e unisoni proprie della pertinenza del VI. Il settimo conferisce una
indipendenza inedita agli strumenti, col pianoforte come già discusso totalmente autonomo e imprescindibile
per l’esecuzione.
(Es.)

II movimento Vocalise, pour l’Ange qui annonce la fin du Temps III movimento, Abîme des oiseau VI movimento, Danse de la fureur, pour les sept trompettes
pag. 7, secondo sistema (violino, clarinetto, violoncello) pag. 15, quinto sistema (clarinetto) pag. 29, ultimo sistema (violino, violoncello)

12 Anthony Pople, Messiaen: Quatuor pour la fin du Temps (Cambridge, Cambridge University Press, 1998)
13 Anthony Pople, Messiaen: Quatuor pour la fin du Temps (Cambridge, Cambridge University Press, 1998)
14 Olivier Messiaen, Préface - Quatuor pour la fin du Temps (Parigi, Editions DURAND, 1941)
6

(Es.)

VII movimento, Fouillis d’arcs-en-ciel, pour l’Ange


qui annonce la fin du Temps
pag. 40, ultimo sistema (quartetto)

La trascrizione dei sopracitati movimenti V e VIII potrebbe essere avvenuta giusto prima dell’ultimo
composto, il I movimento Liturgie de cristal, o comunque fra gli ultimi cronologicamente parlando, in
quanto riferiti nell’apposito paragrafo di consigli per l’esecuzione redatto da Messiaen stesso. Resta
comunque difficile stabilirlo con esattezza, a causa della mancanza già trattata in precedenza di elementi
condivisi con il resto dell’opera.
Questo I movimento, come spiegato, corrisponde all’ultimo nell’ordine di scrittura dell’intero ciclo, ed è
anch’esso - comprensibilmente - citato nei consigli per l’esecuzione, presentando una richiesta tecnica
decisamente più elevata ai fini dell’eseguibilità strumentale. Altro elemento che certifica questo ordine è la
particolare elaborazione dei motivi di canto degli uccelli, qui molto più articolati e differenziati rispetto al
resto dell’opera, per altro elargiti anche alla pertinenza timbrica del violino.
(Es.)

I movimento, Liturgie de cristal I movimento, Liturgie de cristal


pag. 3, secondo sistema (clarinetto) pag. 1, secondo sistema (violino)

Costruzione armonica: modi di trasposizione limitata

La questione dell’armonia rappresentò sempre un grande centro gravitazionale dell’opera compositiva di


Messiaen, il4quale si ingegnò particolarmente al fine di individuare nuove possibilità armoniche rispetto a
quelle esplorate dalle generazioni passate, specialmente in ambito francese. Prendendo in esempio la scala
esatonale («whole-tone scale»15), primo - e più celebre - modo di trasposizione limitata, nonché
maggiormente esplorato dai compositori a lui precedenti quali Debussy16, Bartók, Stravinsky ed il suo stesso
Maestro di gioventù Dukas, non era certo la preferita da Messiaen che ne fece sicuramente un cospicuo uso,
ma sempre in maniera alterata o quanto meno percettivamente nascosta. Si può osservare come, ad esempio,
nel I movimento del Quatuor, Liturgie de cristal, il compositore si rifaccia alla suddetta scala - per altro già
menomata di un tono, il quinto - nella parte di violoncello (Do - Re - Mi - Fa# - Sib, con il Lab mancante): a
questa sottrazione «funzionale» si aggiunge il fatto che il compositore utilizzi la matrice timbrica e registrica
come elemento di disturbo alla chiara riconoscibilità della coerenza scalare. Infatti, queste note vengono tutte
riportate come armonici, per altro nel ppp, fornendo una sonorità lontana e offuscata, con un’ulteriore
interferenza intervallare rappresentata dal glissando.
(Es.)

I movimento, Liturgie de cristal


pag. 2, secondo sistema (violoncello)

15 Anthony Pople, Messiaen: Quatuor pour la fin du Temps (Cambridge, Cambridge University Press, 1998)
16 il quale viene citato da Messiaen fra i suoi amori d’infanzia, insieme a Mozart, Berlioz e Wagner. Egli racconta inoltre di aver
ricevuto una partitura del Pelléas et Mélisande come regalo del suo decimo compleanno, e di come ne fu amore a prima vista:
«La cantavo, la suonavo, e la cantavo ancora e ancora. Fu probabilmente l’influenza più incisiva che abbia mai ricevuto…»,
Claude Samuel, Olivier Messiaen: Music and Colour (Portland, Amadeus Press, 1994)
7

A tutto ciò, si sovrappone l’opera di disturbo del pianoforte, che con degli accordi stanchi e dalla ripetizione5
apparentemente interminabile («senza direzione», elemento che tornerà utile più in avanti) fa uso di sistemi
armonici - di ispirazione modale - totalmente discostanti: una lunga serie di 29 accordi, strutturata su quelli
che Messiaen definisce «accordi sulla dominante», inanellati da un ripetitivo modello di risoluzioni parallele
- discendenti di un tono - di quelle che vengono a loro volta classificate come «appoggiature nella scala»17.

(Es.)

I movimento, Liturgie de cristal «Il primo modo è diviso in sei gruppi di due note ciascuno: è trasponibile due volte. È la
pag. 1, primo sistema (pianoforte) scala di toni interi. Claude Debussy, in Pelléas et Mélisande, e dopo di lui Paul Dukas,
in Ariane et Barbe-Bleue, ne hanno fatto un uso talmente notevole che non v’è più nulla
da agigungervi. Dobbiamo quindi evitare accuratamente di farne uso, a meno che non
sia occultata nella sovrapposizione di modi che la rendono irriconoscibile…» Olivier
Messiaen, Technique de mon langage musical (Parigi, Èditions musicales, 1944)

Schema di risoluzione delle appoggiature


Anthony Pople, Messiaen: Quatuor pour la fin du Temps (Cambridge, Cambridge
University Press, 1998)

Griglia della successione accordale nel I movimento Liturgie de cristal (pianoforte)


Anthony Pople, Messiaen: Quatuor pour la fin du Temps (Cambridge, Cambridge
University Press, 1998)

Sebbene questa successione di accordi nel pianoforte appaia (e in un certo senso lo è) di origine simil-
diatonica, si basa su delle variazioni dei modi di trasposizione limitata di cui sopra, nello specifico del
secondo. Appoggiandosi su questo modo scalare, che si struttura sulla serrata e continua alternanza semitono/
tono, con tre gradi di possibili trasposizioni prima che esso si ripeta, Messiaen interviene a piacimento per le
necessità contrappuntistiche citate in precedenza, ma a partire comunque da un preciso processo armonico
che prevede la formazione di triadi e quadriadi secondo sistemi variabili - arbitrari - di “salti”: per esempio,
prendi una nota, salta una nota, prendi una nota, salta due note… Così facendo, egli riesce a creare il proprio
personale telaio armonico che abbia una sua coerenza e compattezza logica, senza al contempo rifarsi a
modelli del passato né emulazioni anacronistiche.

(Es.)

Scala ottotonica, secondo modo di trasposizione limitata

Esempi di costruzione armonica a partire dalla scala ottotonica

Composizione musicale della fine del tempo

Come annunciato, l’oggetto principale di questa analisi sarà riportare e dissezionare quegli espedienti
puramente compositivi che riescano nell’intento di rendere una musica senza tempo. Gli elementi che
verranno trattati in questo senso e singolarmente presentati con rimandi precisi alla partitura sono i seguenti:

17 Anthony Pople, Messiaen: Quatuor pour la fin du Temps (Cambridge, Cambridge University Press, 1998)
8

- isoritmi;
- ritmi non retrogradabili;
- valori aggiunti;
- ritmi aumentati e/o diminuiti;
- ritmi riduttivi;
- pedali ritmici;
- frammenti organici;
- contrazione e dilatazione dei modi di trasposizione limitata.

Isoritmi

Rifacendosi chiaramente ai mottetti isoritmici dell’Ars Nova nel Medioevo, Messiaen qui sfrutta le
possibilità musicali degli isoritmi e dei concetti di talea e color (a lui molto cari, specie negli ambiti
musicali indiani già discussi) non tanto per creare particolari mescolanze o fluidità tematiche, quanto per
generare materiale in potenza infinito e soprattutto senza alcuna direzione: la ripetizione (e la possibile
infinita ripetizione) di questo ciclo sta a rappresentare per Messiaen la stasi - eterna - dell’estinzione del
tempo. Tutto ciò viene ancor più enfatizzato, per esempio, nel I movimento dal fatto che vi siano più isoritmi
sovrapposti contemporaneamente: difatti, l’esempio riportato in figura nel violoncello è accompagnato da un
altro isoritmo nel pianoforte, composto per l’esattezza dai 29 accordi di cui sopra, districati in una sequenza
di 17 valori ritmici. I due strumenti - anche grazie all’impiego che fa Messiaen del valore matematico dei
numeri primi, da sempre suo grande interesse - impiegherebbero un’infinità di tempo a tornare al loro punto
di partenza sincronica, e proprio questo senso di disorientamento suffraga il tentativo del compositore di
ricreare musicalmente la percezione dell’inconcludenza.

(Es.)

I movimento, Liturgie de cristal


pag. 1-2 (violoncello)

Ritmi non retrogradabili

Si è già discusso come il tempo, per come lo esperiamo noi in vita, scorra inevitabilmente da sinistra verso
destra, dunque con una precisa direzionalità. Allo stesso modo, si è già argomentato come Messiaen cerchi di
evitare in ogni modo la percezione di un tempo terreno e scandito: al fine di ciò, troviamo nel Quatuor pour
la fin du Temps un’infinità di cellule ritmiche (fino a delle «stringhe» intere) che il compositore definirà nel
suo Technique de mon langage musical, così come nella prefazione al Quatuor stesso, i ritmi non
retrogradabili. Queste cellule si presentano come palindrome, dunque non reversibili (in quanto
risulterebbero nella medesima sequenza di partenza), e per questo totalmente indifferenti alla
monodirezionalità del tempo, cui sono immuni. Permettono quindi a Messiaen di rendere la sua musica
intellegibile da ogni prospettiva di osservazione e in ogni direzione, senza subire il fardello della lettura
obbligata da sinistra verso destra, interrompendo ed astraendo il regolare avanzare del tempo.
9

(Es.)
1 2

Schema ritmico (talea) dell’isoritmo nel violoncello I movimento, Liturgie de cristal I movimento, Liturgie de cristal
Anthony Pople, Quatuor pour la fin du Temps pag. 4, primo sistema (violino) pag. 3, secondo sistema (clarinetto)
(Cambridge, Cambridge University Press, 1998)

Valori aggiunti

Trattati in maniera esaustiva da Messiaen nella sua prefazione al Quatuor, i valori aggiunti sono, appunto,
l’addizione di un valore ritmico minore in maniera irregolare rispetto ad una precisa pulsazione regolare, o
comunque definita. Questo inserimento, in un certo senso chirurgico e certamente artificiale, permette al
compositore di corrompere una pulsazione altrimenti riconoscibile rompendone i confini, e di conseguenza
di evitare modelli ritmici sistematici. Allontanando insistentemente una ravvisabile conduzione ritmica, si
evoca e rinvigorisce la situazione di disorientamento - se non addirittura di perdizione - funzionale a
Messiaen per dichiarare l’estinzione del tempo. Allo stesso modo, aggiungendo un valore ritmico a cellule
organiche in maniera cumulativa e progressiva, egli ottiene la parvenza di una dilatazione temporale - in
maniera non dissimile dal ritardando notato - , alludendo alla volontà di rallentare il tempo fino al suo
spegnimento.

4 5 6

Olivier Messiaen, Préface - Quatuor pour la fin du Temps V movimento, Louange à l’Éternité de Jésus
(Parigi, Editions DURAND, 1941) pag. 21, primo sistema (pianoforte)

Questo espediente viene applicato anche su larga scala nel Quatuor, dove viene aggiunta ad intere battute la
loro minima suddivisione (fra quelle effettivamente presentate in una data situazione), creando un meno
percettibile, ma pur sempre presente, sfasamento ritmico.

(Es.) 17/16 17/16 17/16 + 1/16

VI movimento Danse de la fureur, pour les sept trompettes


pag. 23, primo sistema (quartetto)

Ritmi aumentati e/o diminuiti

Non differentemente dall’espediente del valore aggiunto appena discusso, questi ritmi consistono
nell’aumentazione o diminuzione di una data cellula ritmica (o anche solo di un singolo valore di durata).
Dilatando o contraendo proporzionalmente, anche in maniera irregolare, questi valori - spesso costruiti sul
medesimo profilo melodico-intervallare per esplicitarne la parentela - fanno sì che la percezione del ritmo, e
di conseguenza del tempo, venga ripetutamente rimbalzata e stressata dal veloce al lento, ostacolandone la
regolare scansione a livello uditivo, e dando la parvenza di un metronomo continuamente - fino all’isteria -
cangiante.
10

I movimento, Liturgie de cristal III movimento, Abîme des oiseaux VI movimento, Danse de la fureur pour les sept trompettes
pag. 4, secondo sistema (pianoforte) pag. 16, quarto sistema (clarinetto) pag. 31, primo sistema (pianoforte e clarinetto)

Ritmi riduttivi

In maniera analoga e speculare all’artificio del valore aggiunto, Messiaen utilizza anche la riduzione - nel
senso di una vera e propria amputazione - come alterazione temporale, in funzione del suo definitivo
smantellamento. Se il valore aggiunto fungeva da disinnesco graduale della macchina del tempo, è opportuno
intendere in antitesi i ritmi riduttivi quali strumenti di compressione del materiale tematico, un
assottigliamento - anche progressivo - di cellule organiche tramite cesure tronche e all’occorrenza
volutamente brusche. Nell’ascoltatore viene così suggestionata la presenza di un agente esterno che attenti
all’incolumità del regolare scorrere del tempo.
Nell’esempio in foto, notiamo come la prima battuta consista di 15/16 mentre la seconda di 10/16,
presentando dunque una cospicua recisione ritmica. Si aggiunga poi il fatto che il movimento scalare
ascendente (Mi - Fa - Sol, note reali) - a sua volta mutilato nelle durate, presentando il terzo tempo (Sol)
dimezzato alla semicroma - appare troncato e succube di una forte attrazione gravitazione del Mi, il che
viene confermato e avvalorato dalla seguente ripetizione della medesima semifrase, in cui questa pseudo-
terzina ascende a Fa - Sol - Lab prima di riprecipitare verso il baricentro gravitazionale del Mi. A tutto questo
viene inoltre applicata una volontaria inosservanza dell’organicità delle battute: se osserviamo le legature,
infatti, notiamo come i fraseggi tematici siano totalmente indifferenti all’alternanza delle battute, e anzi
intenzionalmente discontinui e asincroni (tutto ciò risulta particolarmente evidente all’ascolto).
(Es.)

III movimento, Abîme des oiseaux


pag. 15, primo sistema (clarinetto)

Pedali ritmici

Abbiamo parlato in precedenza dell’uso che viene fatto da Messiaen degli isoritmi e nello specifico della
dimensione6della talea: queste impalcature ritmiche predefinite, ripetute per definizione come un ostinato nei
momenti isoritmici, danno la possibilità all’autore di creare - e sfruttare - materiale compositivo costante ed
autonomo, che quindi non sia soggetto ad alcun intervento di evoluzione tematica o formale. Questi «pedali»
compaiono dunque come «musica di pietra»18, monolitica e inscalfibile, senza subire la perturbazione degli
altri eventi musicali nelle restanti parti. Ciò che il compositore vuole ottenere tramite questa reiterazione,
unitamente agli altri elementi del movimento, è la parvenza di una musica in essere da sempre e per sempre,
senza inizio o fine, indipendente dall’ascolto o dall’ignoranza di un pubblico.

In prefazione, egli esplicita infatti quanto segue:

«Liturgie de cristal. Tra le 3 e le 4 del mattino, il risveglio degli uccelli: un merlo o un usignolo solista
improvvisa, circondato da polveri sonore, dall’alone di trilli molto acuti dispersi negli alberi. Trasferite
questo ad un piano religioso: avrete il silenzio armonioso del cielo».19

18 Anthony Pople Messiaen: Quatuor pour la fin du Temps (Cambridge, Cambridge University Press, 1998)
19 Olivier Messiaen, Préface - Quatuor pour la fin du Temps (Parigi, Editions DURAND, 1941)
11

(Es.)

I movimento, Liturgie de cristal


pag. 1, primo/secondo sistema (pianoforte)

I movimento, Liturgie de cristal


pag. 1 secondo sistema, pag. 2 primo/secondo sistema (pianoforte)

«…Aldilà di tutto, la loro musica [degli strumenti] ‘è’ senza inizio né fine - gli stessi motivi ciclati e riciclati
senza alcuna apparente articolazione nel tempo. Semplificando, è come se, ogni volta che ascoltiamo il
Quatour, per questi tre minuti circa stessimo origliando qualcosa di perpetuo…».20

Frammenti organici

Gli interventi melodici nelle parti fanno sovente riferimento a materiale proveniente da quanto definito come
un frammento organico, ciò vuol dire un elemento tematico isolato di carattere principalmente melodico -
ma non solo - , selezionato e rimodulato secondo le sue proprie componenti interne, per generare dunque,
anche retroattivamente, materiale inedito7tematicamente, ma compositivamente ereditato. Particolarmente
evidente nei passaggi del «canto degli uccelli», questo espediente consente a Messiaen di generare
illimitatamente materiale musicale a partire da una palette ben definita, circoscritta, di elementi di
costruzione tematica, creando così una musica organica, compatta, «Unica»21 (in termini esistenziali: Dio è
Uno, Trino, Tutto).

(Es.)

II movimento Vocalise, pour l’Ange qui annonce la fin du Temps. I movimento, Liturgie de cristal
pag. 8, primo sistema (clarinetto) pag. 6, primo/secondo sistema (clarinetto)

(Es.)

I movimento, Liturgie de cristal I movimento, Liturgie de cristal


pag. 1, primo sistema (clarinetto) pag. 3, secondo sistema (clarinetto)

(Es.)

I movimento, Liturgie de cristal I movimento, Liturgie de cristal


pag. 1, primo/secondo sistema (violino) pag. 4, terzo sistema

I movimento, Liturgie de cristal II movimento, Vocalise, pour l’Ange qui annonce la fin du Temps
pag. 1, secondo sistema (violino) pag. 7, secondo sistema (violino)

20 Anthony Pople Messiaen: Quatuor pour la fin du Temps (Cambridge, Cambridge University Press, 1998)
21 Timothy Koozin, Contemporary Music Review: Spiritual-temporal imagery in Music of Olivier Messiaen and Tōru Takemitsu
(Internazionale, University of North Dakota, 1993)
12

Contrazione e dilatazione dei modi di trasposizione limitata

Evidentemente, le tecniche compositive secondo cui Messiaen ricerca l’evocazione musicale della fine del
tempo riguardano prevalentemente la questione ritmica, e non potrebbe essere altrimenti. Ciò non vuol dire
però che questo obiettivo non possa rifarsi, come già dimostrato, ad elementi di carattere intervallare e, come
vedremo, armonico. Infatti, il compositore si avvale dei modi di trasposizione limitata di cui sopra per creare
un’efficace ed elusiva contrazione e dilatazione del raggio armonico (color), al fine di disorientare la
percettività di questa musica e dunque la sua familiarità all’ascolto.
Se si osserva per esempio il segmento riportato, ovvero un’ascesa scalare - non compiuta - di tre ottave, lo si
può dividere in tre porzioni interne (le ottave che lo compongono). Queste ottave però non si equivalgono
l’una con l’altra pur condividendo i relativi estremi (Sol bemolle): esse impiegano infatti tre scale differenti,
ognuna in riferimento ad un modo di trasposizione limitata diverso. Di seguito le tre successioni distinte (in
note reali):

- prima ottava: Solb - Lab - Sib - Do - Re - Mi - (Fa, accenno di sensibile) - Solb


I modo di trasposizione limitata (scala esatonale) + intervento della sensibile;

- seconda ottava: Solb - Lab - La - Si - Do - Re - Mib - Fa - Solb


II modo di trasposizione limitata (scala ottotonica);

- terza ottava: Solb - Lab - La - Sib - Do - Reb - Re - Mi - Fa (incompleta, risoluzione volutamente evitata)
III modo di trasposizione limitata (3 moduli di tono/semitono/semitono).

I movimento, Liturgie de cristal


pag. 6, primo/secondo sistema (clarinetto)

Come riportato, il compositore inanella movimenti scalari, contratti e dilatati in successione, estendendo le
durate del loro respiro e raddensandone il contenuto armonico, a partire dai sistemi di trasposizione limitata
discussi precedentemente, per lui fondamentali in funzione di una scrittura inedita e distante da qualsivoglia
citazionismo del passato, che egli riconosce e commemora certamente, ma non replica. 8

A tutti questi strumenti di dissolvenza del tempo, si aggiunge globalmente la costante estremizzazione dei
metronomi che caratterizza l’intera opera, dai più lenti (36 all’ottavo) ai più frenetici (126 al quarto) e spesso
cangianti anche in maniera consequenziale. Questa polarizzazione permette a Messiaen, non solo di creare
un particolare smarrimento all’ascolto, ma soprattutto di spingersi ai limiti opposti della pulsazione fino ad
estinguere il tempo, sia tramite il suo stanco spegnimento sia tramite la sua eccitata esplosione.

«La dissoluzione del tempo che Messiaen ricerca, implica una sorta di musica ritmica, che per Messiaen
sfugga a ripetizioni regolari, stanghette di battuta e divisioni eguali, e che in definitiva prenda propria
ispirazione dai movimenti della natura, movimenti che sono liberi e ineguali nelle durate»22.

22 Iain Matheson, The End of Time: a Biblical Theme in Messiaen’s Quatuor, da Peter Hill, The Messiaen Companion (Portland,
Amadeus Press, 1995)
13

Olivier Messiaen: eredità didattica e compositiva nel panorama musicale del ‘900

Esempi in Tōru Takemitsu, William Albright e George Benjamin

È risaputo come Messiaen venga tutt’oggi riguardato, giustamente, come uno dei principali modelli
d’influenza nel contesto musicale del secolo passato, e questo grazie certamente alle sue opere - non ultimo,
il Quatuor pour la fin du Temps - , ma anche grazie al suo ruolo di grande didatta cui si dedicò per quasi
quarant’anni. Sappiamo inoltre che fu sovente ospite dei corsi estivi di Darmstadt e abbiamo già citato (solo)
alcuni dei suoi allievi più illustri. Si ricordino per altro i Quatre études de rhythme per pianoforte (1950),
specie il secondo di questi Mode de valeurs et d’intensités, primo storico - e programmatico - esperimento di
trasposizione della tecnica seriale sul piano delle durate e delle articolazioni d’attacco. Questa sua enorme
incisività nella musica del ‘900 è ampiamente ravvisabile, se non altro per tanti degli innumerevoli ingegni
compositivi trattati in questa analisi, nelle opere di molteplici compositori, indipendentemente dai contesti
culturali, sociali o geografici. Sarà quindi mio compito, qui, esemplificare questa rilevanza storica tramite la
musica di questi tre compositori, selezionati appositamente lontani l’un l’altro nel tempo e nello spazio per
poter dimostrare la permeabilità (e capacità) dell’esperienza musicale di Olivier Messiaen.
Ciascuno di loro ebbe modo di conoscerlo personalmente: William Albright e George Benjamin ‘emigrarono’
appositamente a Parigi per studiare con lui al Conservatorio, mentre Tōru Takemitsu, già suo grande
estimatore, ebbe modo di incontrarlo a New York nel 1975 per quella che doveva essere una lezione privata
di un’ora circa e che finì per diventare un appuntamento di oltre tre ore23 ad analizzare il Quatrain per
orchestra (1975) dell’autore giapponese, e il quale proprio Takemitsu chiese a Messiaen di poter trascrivere
per la medesima formazione del Quatour, dando dunque alla luce Quatrain II per quartetto (1977), in
omaggio all’ammirato Maestro.

Tōru Takemitsu e il suo omaggio al compianto Olivier Messiaen: Rain Tree Sketch II

Come spiegato, Quatrain II deriva da Quatrain per orchestra e dunque il suo materiale compositivo, al netto
degli aggiustamenti di sorta necessari ad una trascrizione salutare, non è propriamente inedito dell’opera né
apertamente ispirato alla scrittura di Messiaen, verso il quale risiede un omaggio più nella dedica e citazione
che nella musica: per questo motivo, si prenderà in visione Rain Tree Sketch II, brano per pianoforte
composto nel 1992 in occasione della morte del compositore francese (per l’appunto, Rain Tree Sketch II: in
memoriam Olivier Messiaen). Il nome dell’opera si rifà ad una pianta mitologica tratta da una breve storia di
folklore giapponese24, appunto, «Rain Tree» (Albero della Pioggia) che avrebbe la particolarità di conservare
per lunghi periodi l’acqua piovana nelle sue piccole foglie di modo da distribuirla nel tempo, mantenendo il
terreno umidificato, alle piante più piccole che la circondano e incapaci di immagazzinarla a lungo termine.
Per Takemitsu, allo stesso modo, Messiaen rappresentò per i protagonisti della musica del ‘900 una pianta
alla quale affidarsi e da cui trarre nutrimento e linfa25.

Primo ed evidente rimando al Messiaen compositore è una frequente alternanza di tempi metronomici,
seppur non certamente convulsa come nel Quatuor per gli ovvi e discordanti rispettivi fini poetici. Sappiamo
che anche Takemitsu era affascinato ed interessato alla questione del tempo quale fenomeno per come si
presenta in natura: irregolare e libero. Se in Messiaen l’ispirazione è quella del tempo liscio (e
quadridimensionale) del Paradiso, nel compositore giapponese ritroviamo sovente l’immagine dell’acqua e
della sua fluidità come binario dello scorrere del9tempo26. Notiamo per altro una curiosa indicazione di
agogica, nella quale è difficile non vedere una dedica sentita, «celestially light», luce celestiale.

Rain Tree Sketch II


pag. 3, primo sistema

23 Peter Burt, The Music of Tōru Takemitsu (Cambridge, Cambridge University Press, 2001)
24 Kenzaburō Ōe, The Clever Rain Tree (1980)
25 Tomoko Isshki, Tōru Takemitsu’s Cosmic View: The Rain Tree Sketches (Houston, University of Houston, 2001)
26 Peter Burt, The Music of Tōru Takemitsu (Cambridge, Cambridge University Press, 2001)
14

Anche a livello armonico, Takemitsu eredita da Messiaen la tecnica dei modi di trasposizione limitata per la costruzione
della sua musica: in Rain Tree Sketch II, fa particolare uso soprattutto del secondo modo (la scala ottotonica) - spesso
destinata nei vari registri del pianoforte - specialmente, come nell’esempio riportato in figura, nella sua terza
trasposizione: Do - Re - Mib - Fa - Fa# - Sol# - La - Si.10
(Es.)

Rain Tree Sketch II


pag. 5, secondo sistema

Oltre a questi elementi, egli attinge all’esperienza compositiva di Messiaen anche per una precisa ‘attitudine’
di carattere orizzontale, negli anni divenuta una delle firme musicali del compositore francese, vale a dire la
risoluzione di brevi momenti di ascesa - spesso scalare ma non obbligatoriamente - in un salto di tritono
discendente.

(Es.)

Rain Tree Sketch II Quatuor pour la fin du Temps: III movimento, Abîme des oiseaux
pag. 5, primo sistema pag. 15, primo sistema (clarinetto)

Per completezza, è opportuno citare che, essendo stato Messiaen una fonte d’ispirazione fin dalla sua
gioventù, (specie da quando entrò in possesso dei suoi Huit Préludes per pianoforte grazie all’amico, pianista
e compositore Toshi Ichiyanagi27), la musica di Takemitsu pervasa dall’anima compositiva del Maestro di
Avignone è abbondante: si riportano i titoli - fra i tanti - di Rain Tree (per tre percussionisti, 1981), Rain Tree
Sketch I (per pianoforte, 1982), ma anche Les Yeux Clos I (per pianoforte, 1979), Les Yeux Clos II (per
pianoforte, 1988) e Rain Spell (per flauto, clarinetto in Si bemolle, arpa, pianoforte e vibrafono, 1982).

William Albright, scrittura eccentrica con «rappels mélodiques» a Olivier Messiaen: Sonata

Come anticipato, William Albright ebbe l’opportunità di studiare al Conservatorio di Parigi con Messiaen,
nel 1970 per l’esattezza. Pur sviluppando una scrittura stilistica certamente lontana dagli ambienti europei,
fatta di forme decisamente più libere e con grande interesse per il jazz, il minimalismo e la musica popolare
americana28, egli comunque attinse a numerosi degli aspetti compositivi predominanti nel suo Maestro in
gioventù per il suo linguaggio musicale.

Sfogliando la partitura della sua Sonata per sax contralto e pianoforte (1984), risaltano subito all’attenzione
degli episodi melodici nel sassofono particolarmente simili - pur non condividendone la simbologia - al canto
degli uccelli affidato al clarinetto del Quatuor pour la fin du Temps: se come detto questi frammenti
rappresentano certamente figurazioni narrative diverse per i due autori, rimane da parte di Albright la scelta
di affidare a degli elementi così familiari con la scrittura di Messiaen - anche per questioni di retaggio
timbrico - un ruolo di rilevanza tematica.

(Es.)

Sonata: I movimento, Two-Part Invention Sonata: I movimento, Two-Part Invention Sonata: I movimento, Two-Part Invention Quatuor pour la fin du Temps: II movimento
pag. 1, secondo sistema pag. 1, secondo sistema (sax contralto) pag. 3, primo sistema (sax contralto) Vocalise, pour l’Ange qui annonce la fin du Temps
(sax contralto e pianoforte) pag. 7, primo sistema (clarinetto)

27 Peter Burt, The Music of Tōru Takemitsu (Cambridge, Cambridge University Press, 2001)
28 Nicolas Slonimsky, Baker’s Biographical Dictionary of Musicians (Internazionale, Music Library Association, 1992)
15

In secondo luogo, Albright in questa Sonata - chissà, forse proprio seguendo il diretto consiglio di Messiaen
nel suo Technique de mon langage musical circa le possibilità ormai espletate della scala esatonale, e gli
escamotages secondo cui sia ancora stimolante avvalersene - , più precisamente nel III movimento Scherzo
“Will o’ the wisp”, fa un uso quasi accademico del primo modo di trasposizione limitata («whole-tone
scale») nel sax contralto e nella mano destra del pianoforte, con quartine organiche scalarmente ascendenti e
chirurgicamente sovrapposte ad un modulo omoritmico di interferenza basato sul cromatismo nella mano
sinistra del pianoforte, per altro con una importante forbice fra i registri in maniera tale da distorcere,
inequivocabilmente, la percezione di una chiara area esatonale.

(Es.)

Sonata: III movimento, Scherzo “Will o’ the Wisp”


pag. 20, ultimo sistema - pag. 21, primo sistema (sax contralto e pianoforte)

George Benjamin, il giovane allievo di Olivier Messiaen: Octet

Come accennato, George Benjamin in gioventù ebbe modo di studiare personalmente con Messiaen negli
ultimi anni del suo insegnamento al Conservatorio di Parigi, prima che raggiungesse l’età di pensionamento,
e inoltre più tardi con un altro degli egregi allievi del compositore francese, Alexander Goehr: questa11
esperienza lasciò inevitabilmente una forte traccia nella formazione musicale dell’allora giovanissimo
compositore inglese. Egli fu per altro artefice, insieme ad Heinz Holliger e su richiesta di Yvonne Loriod -
pianista e seconda moglie di Olivier Messiaen - del completamento dell’orchestrazione di Éclairs Sur l’au-
dela per grande orchestra (1988-1991), siccome l’avanzare dei problemi di salute e di vecchiaia impedivano
al compositore francese di lavorare regolarmente.

«…Averlo entusiasmato della mia armonia fu più che sufficiente per farmi lavorare incessantemente…»;
«…Era come fossi inconsapevole di star ricevendo delle lezioni…»29.

Si prenderà quindi in visione la partitura di Octet30 (per flauto, clarinetto in Si bemolle, celesta, percussioni e
quattro archi solisti, 1978), opera giovanile di Benjamin la cui scrittura iniziò proprio durante l’esperienza
parigina. Notiamo subito il segno della didattica di Messiaen nei continui cambi di metro, perentori nella loro
successione, per altro anche in momenti - dal sapore stravinskiano31 - di serrata alternanza fra silenzi e
transitori d’attacco isolati - succubi inoltre di figure ritmiche irregolari come le terzine - in maniera da
occultare ancor di più la parvenza di una scansione ritmica regolare, già alterata di per sé:

(Es.)

Octet Octet
pag. 3-4 bb. 219-223

29 Peter Hill, The Messiaen Companion (Portland, Amadeus Press, 1995)


30 si rinnovano i sentiti ringraziamenti a Faber Music, che ne ha gentilmente fornito una copia di lettura ai fini di questa analisi
31 Andrew Welch, Affecting Eternity: the Pedagogical Influence of Olivier Messiaen (College Park, University of Maryland, 2020)
16

In questa organizzazione «macro-formale» della musica (è noto come il concetto di forma fosse e sia tutt’ora
particolarmente caro al compositore inglese32), si inserisce una minuziosa scrittura che vede fare un cospicuo
uso dei ritmi non retrogradabili tanto popolari in Messiaen, seppur qui in particelle certamente contenute e
mai «pedalizzanti» come nel Quatuor, ma utili a Benjamin per impreziosire il contesto musicale di una
12

pertinenza micro-formale notevolmente sviluppata, in un contesto di ragionevole concitazione sonora e


soprattutto ritmica.

(Es.)

Octet Octet Octet Octet


bb. 27 (clarinetto) bb. 53 (clarinetto) bb. 58 (xilofono) bb. 70 (xilofono)

Come i precedenti autori, anche il compositore inglese si rifà ai modi di trasposizione limitata escogitati da
Messiaen, seppur in maniera decisamente libera e senza soluzione di continuità all’interno dell’opera
(Benjamin stesso racconta di come questo pezzo fosse particolarmente «sperimentale», rappresentando per
lui l’occasione di mettere in pratica tutto ciò che apprese nel soggiorno parigino33). Egli vi integra dunque
degli accorgimenti per evitarne un’emulazione scolastica, se non didascalica: nell’esempio riportato in
figura, infatti, attinge al settimo modo nella sua prima trasposizione, aggiungendovi però un ulteriore
semitono in capo (Mib - Mi - Fa - Fa# - Lab - La - Sib - Si - Do - Reb - Re - Mib) al fine di scongiurare la
percezione esclusiva della sensibile o della sottotonica, presentandole entrambe e disturbandone la (ai tempi
‘pericolosa’) riconoscibilità.

Octet
bb. 157-158 (archi)

Come in precedenza per Tōru Takemitsu, è opportuno segnalare la marcata impronta compositiva di
Messiaen in questo autore, che si manifesta altrettanto vividamente anche in altre opere, su tutte: Fantasy on
Iambic Rhythm (per pianoforte, 1985) e Written on Skin (opera, 2012).

In conclusione, l’importanza ereditaria ed il valore musicale del lascito di Olivier Messiaen si misurano nella
vastità delle persone, esperte e non esperte, che egli ha raggiunto con le sue opere e la sua creatività
compositiva, e a più di trent’anni dalla sua morte, la diceria secondo cui tutt’oggi per i corridoi del
Conservatorio di Parigi studenti e docenti, disquisendo liberamente di musica, non manchino mai di
ricordarsi a vicenda: «Messiaen diceva che…» ci dimostra come la figura di quest’uomo abbia sempre fatto -
e continuerà a fare - da faro con la sua musica, possiamo dirlo, Eterna.

«…Tutto questo rimane un tentativo balbuziente, se lo paragoniamo alla straordinaria grandezza dell’argomento!…»

32 Peter Hill, The Messiaen Companion (Portland, Amadeus Press, 1995)


33 George Benjamin, intervistato dalla Berliner Philarmoniker (Febbraio 2019)
17

Bibliografia

- Antoine Goléa, Rencontres avec Olivier Messiaen (Parigi, Juillard, 1960)


- Olivier Messiaen, Technique de mon langage musical (Parigi, Èditions musicales, 1944)
- Anthony Pople, Messiaen: Quatuor pour la fin du Temps (Cambridge, Cambridge University Press, 1998)
- Claude Samuel, Permanences d'Olivier Messiaen: dialogues et commentaires (Arles, Actes Sud, 1999)
- Timothy Koozin, Contemporary Music Review: Spiritual-temporal imagery in Music of Olivier Messiaen
and Tōru Takemitsu (Internazionale, University of North Dakota, 1993)

- Iain Matheson, The End of Time: a Biblical Theme in Messiaen’s Quatuor (Portland, Amadeus Press,
1995)

- Peter Burt, The Music of Tōru Takemitsu (Cambridge, Cambridge University Press, 2001)
- Kenzaburō Ōe, The Clever Rain Tree (1980)
- Tomoko Isshki, Tōru Takemitsu’s Cosmic View: The Rain Tree Sketches (Houston, University of Houston,
2001)

- Nicolas Slonimsky, Baker’s Biographical Dictionary of Musicians (Internazionale, Music Library


Association, 1992)

- Peter Hill, The Messiaen Companion (Portland, Amadeus Press, 1995)


- Andrew Welch, Affecting Eternity: the Pedagogical Influence of Olivier Messiaen (College Park,
University of Maryland, 2020)

- Olivier Messiaen, Quatuor pour la fin du Temps (Parigi, Editions DURAND, 1941)
- Tōru Takemitsu, Rain Tree Sketch II - In memoriam Olivier Messiaen (Orléans, Schott Music, 1992)
- William Albright, Sonata (New York, C. F. Peters Corporation, 1984)
- George Benjamin, Octet (Londra, Faber Music, 1978)

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