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Il Quartetto in mi bemolle maggiore K.

493 fu scritto il 3 giugno 1786 pochi giorni dopo il debutto


delle “Nozze di Figaro” a Praga. Cosituisce la seconda (e ultima) opera destinata alla formazione di
quartetto con pianoforte, un organico assolutamente eccezionale per l’epoca.
L’editore Hoffmeister aveva commissionato a Mozart una serie di tre (o sei) quartetti con pianoforte
ma la prima opera (il Quartetto in sol minore K.478)
fu criticata e non piacque al pubblico viennese perché troppo seria e profonda, inadatta ad un ascolto
salottiero e superficiale, così Mozart si fermò alla seconda composizione e dovendo inoltre cambiare
editore.
Diversamente dal drammatico quartetto in sol minore, il K.493 è più lirico ed espansivo e trasmette
con l’eccezionale armonia espressiva e formale un senso di serenità. Il pianoforte ha un atteggiamento
protagonistico ma scambia anche i suoi temi con il violino e la viola andando verso una dimensione
concertante.
La felicità quasi senza ombre del primo movimento si fa pensosa nel Larghetto in la bemolle maggiore
pervaso da una trepida ansietà che si manifesta nel carattere interrogativo dei motivi e nelle tortuosità
armoniche dello sviluppo.
Nel rondò Allegretto al clima di diffusa beatitudine si aggiungono momenti di umorismo quando il
dialogo tra il violino e il pianoforte si infittisce di spiritose acciaccature.
Ernest Chausson nacque a Parigi nel 1855: di famiglia borghese ed agiata, trascorse una infanzia
solitaria ricevendo un’educazione privata. Il suo precettore lo introdusse assai presto nei cenacoli
letterari e artistici parigini. Attratto allo stesso modo dalla letterature, dalla pittura e dalla musica iniziò
a studiare il pianoforte soltanto all’età di quindici anni.
Prima di scegliere definitivamente la carriera del musicista completò anche gli studi in diritto. Entrò
quindi in conservatorio e ebbe come maestri Massenet e Franck del quale divenne uno degli allievi
prediletti.
Chausson iniziò la composizione del Concerto op.21 nel 1889 ma il lavoro procedeva lentamente
perché il compositore, colpito dalle critiche negative ricevute dalle sue opere precedenti, viveva un
momento di crisi artistica e spirituale. Anche la prima esecuzione della Sinfonia op.20 (1891) non ebbe
una buona riuscita, così Chausson quando terminò il Concerto decise di scegliere Bruxelles per la
“prima” di questa importante opera che avvenne
l’ anno successivo. Nonostante la defezione del pianista che era stato scelto (si ritirò giudicando la sua
parte ineseguibile) il brano (con E.Ysaye al violino e A.Perret al pianoforte) ebbe un successo
strepitoso che colpì il compositore che scrisse nel suo diario: “Non ho mai avuto un successo simile.
Non me ne capacito. Tutti sembrano apprezzare il Concerto. Esecuzione molto buona, a momenti
ammirevole, e sempre così artistica! Mi sento leggero e felice come non mi succedeva da tanto tempo.
Questo mi fa bene e mi dà coraggio. Credo che lavorerò con più fiducia da qui in poi.”
Il brano, intitolato Concerto, pur contrapponendo i due strumenti solisti all’insieme degli archi per
struttura e trattamento strumentale è vicino ai modelli di Schubert (Quintetto “La trota”), Schumann,
Brahms e Franck (il Quintetto e la Sonata per violino e pianoforte).
Fin dall’introduzione del Décidé iniziale si impone per due volte una cellula ritmica formata dai primi
tre accordi; dopo che il quartetto accompagnato dagli arpeggi del pianoforte ha sviluppato questa
cellula il primo tema viene esposto chiaramente dal violino: questo motivo servirà da legame tra i
quattro movimenti.
Il secondo tempo (Sicilienne) è come un arcobaleno dopo la tempesta e contrappone all’inquietudine
del brano precedente la sua serenità realizzata con eleganti linee melodiche. Il Grave seguente è cupo e
tragico e si sviluppa da una lunga e spoglia linea cromatica esposta dal pianoforte.
Il Finale è una specie di giostra in 6/8 piena di energia e libertà dove gli strumenti sembrano
rincorrersi fino alla conclusione nella tonalità luminosa di re maggiore.
Marco Guerrini

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