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GHEDINI” – CUNEO
a. a. 2008-2009
Scuola di Violoncello
Che cosa accadde quindi dopo la sua morte? Quali furono le cause del suo sprofondare
nell‟oblìo delle sabbie del tempo? Queste sono solo due delle tante domande che, nel corso
delle pagine seguenti, troveranno una risposta.
Questo lavoro si apre con un racconto che è quasi una testimonianza dal passato, un
racconto che narra del ritrovamento del Concerto Brillant op. 10 per violoncello e orchestra
o pianoforte composto dal nostro autore nel 1827 e del lungo lavoro di oltre un anno e mezzo
per riportarlo in una forma presentabile e pubblicabile. Si racconta anche di come un
professore mi aiutò a trovare una casa editrice e di come insieme ad essa si sviluppò il lavoro
fino a far risorgere dalla cenere questa fenice sfavillante di insegnamenti e di tesori nascosti!
Faremo quindi un breve viaggio nel tempo nella Germania che vide operare questo
“mago del violoncello”, conosceremo le sue storie, i suoi intrighi, le sue luci e le sue ombre,
prima di calarci nel profondo mare della sua musica. Vedremo come Kummer giunse a
Dresda e come la sua presenza vi lasciò quasi il segno che lascia il passaggio di una stella;
solo il contorno della sua gravità, infatti, pareva essere sopravvissuto fino ai giorni nostri, con
autori quali Dotzauer, Romberg, Cossman, uno dei due Goltermann, tutti grandi violoncellisti
e con una spiccata vocazione didattica. Ma rimaneva un periodo morto, un vuoto che nessuno
aveva avuto cura di colmare, forse perché ciò che Kummer aveva scritto si era rivelato più
difficile che pratico ai fini della tecnica violoncellistica. E forse era proprio così … ma forse
no!
Girando pagina ci immergeremo nel cuore della sua prima grande composizione,
scritta all‟età di trent‟anni quando, come vedremo, era già violoncellista stabile nell‟Opera di
Dresda da tredici anni: il Concerto Brillant op. 10 per violoncello e orchestra o pianoforte.
Ne verrà fornita un‟analisi all‟ascolto, si parlerà delle tre versioni in cui questo lavoro è stato
da me ri-pubblicato e di come ognuna di queste versioni avesse all‟epoca e abbia tuttora il suo
perché di esistere.
L‟intera tesi sarà corredata da immagini prese sia dalla edizione moderna di
ClassicaViva® sia dalla prima ed unica edizione della Breitkopf & Hartel® risalente al 1830.
Michele Galvagno
Questa grande storia prese il largo poco più di quattro anni fa quando, con la mia
prima insegnante di violoncello, nell‟anno scolastico immediatamente successivo al mio
superamento del Compimento Inferiore, mi cimentai con gli Otto Grandi Studi op. 44 di
Friedrich August Kummer, per me allora un perfetto sconosciuto. Sarà stato l‟entusiasmo
nello studiare qualcosa di diverso dai soliti studi però io li trovavo veramente meravigliosi, sia
per quella che negli anni a venire la mia maturazione come musicista avrebbe imparato a
chiamare «invenzione melodica», sia per come l‟autore riusciva a mascherare dietro audaci
armonie e sorprendenti melodie passaggi così salutari ed educativi per le mie mani. Destino
volle che in quel periodo avessi l‟occasione di approfondire soltanto tre di quegli otto studi
(un quarto sarebbe giunto più avanti), la mia attenzione venendo presto dirottata verso lo
studio della Hohe Schule des Violoncellospiels op. 73 di David Popper in vista del
Compimento Medio.
Accadde poi che tra il settimo e l‟ottavo corso decisi di interrompere i miei studi come
privatista e di iscrivermi come allievo interno di Conservatorio presso il “G. F. Ghedini” di
Cuneo, passando presto ai Corsi Sperimentali Accademici di Primo Livello, attratto com‟ero
da tutte quelle materie complementari che, nel corso di questi tre anni, mi avrebbero per
sempre cambiato sia come persona sia come musicista.
Mi ricordo che una mattina di dicembre stavo facendo lezione con la mia insegnante di
allora, Prof.ssa Paola Mosca, cui avevo portato a sentire lo studio n°7 tratto da quegli stessi
Otto Grandi Studi op. 44 da me menzionati poc‟anzi, uno studio meraviglioso, con quel suo
tema che riecheggiava il Mosè di Rossini e con quella sua peculiarità non indifferente: era
tutto da eseguire sulla terza corda! Come si può ben immaginare trovavo difficile quello
studio, soprattutto per quel che riguardava l‟emissione del suono, non esattamente delle più
semplici nelle regioni alte della III corda (non oso immaginare ora come Kummer potesse
anche solo aver immaginato una tortura simile con le corde di budello di cui disponeva
all‟epoca, ricche di irregolarità così delicate e gentili per le dita della mano!). Ciò che mi
lasciava ogni volta di stucco era però il fatto che non appena io mi davo per vinto di fronte ad
una difficoltà, mi bastava aprire gli occhi e guardare quello stesso passaggio da un‟altra
prospettiva per notare immediatamente ciò che l‟autore aveva furbescamente nascosto in
mezzo alle note. Studiando quel passaggio alla luce di quelle scoperte, esso risultava
vi
improvvisamente facile! Sembrava esserci una magìa insita in quelle note, una magìa in grado
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di far compiere ogni volta uno scatto di agilità e maturazione alla mia mano!
INTRODUZIONE DELL‟AUTORE
Così quel giorno a lezione chiesi alla mia insegnante se Kummer avesse scritto
qualcos‟altro per violoncello (diciamo che allora non avevo ancora imparato ad essere
autonomo nelle mie ricerche e non era neppure in germe l‟avido cacciatore di tesori musicali
perduti che sono ora!); ella mi rispose portandomi alcuni esempi come gli Studi melodici op.
57, la Scuola di Violoncello op. 60, ma nulla che avesse un qualche nome altisonante tipo
«Gran Sonata», «Sinfonia Concertante» o cose simili … Mi disse poi, però, che, durante una
sua visita al Conservatorio “G. Verdi” di Milano, aveva avuto modo di esaminare la parte di
un fantomatico «Concerto Brillant» per violoncello e orchestra, un concerto molto simile a
quelli di Romberg, di Goltermann, con una grande componente tecnica dunque e una scarsa
componente musicale. Diciamo che sarebbe potuta finire lì, io misero allievo avevo ottenuto
la risposta alla mia domanda: c‟erano sì altre opere di Kummer, ma a quanto sembrava nulla
di interessante o rilevante al punto da investirci del tempo.
La storia narra però che io non mi fermai lì. Il destino volle che io avessi un‟amica al
Conservatorio di Milano, una carissima amica violinista che sta come me terminando gli studi
di Primo Livello, senza il cui aiuto molto probabilmente tutto ciò che sto per raccontare non
sarebbe mai avvenuto. In una telefonata serale le chiesi se poteva cortesemente farmi una
ricerca nella biblioteca, inerente al sopramenzionato Concerto Brillant di Kummer e, in caso
di esito positivo, se poteva fotocopiarmi le parti, dicendole che l‟avrei rimborsata in toto della
spesa.
Il 9 febbraio 2007 venne a trovarmi qui a Saluzzo, poiché quella sera avevo preso per
noi due biglietti per lo spettacolo «TuttoDante» di Roberto Benigni a Cuneo (leggeva il V
canto dell‟Inferno, quello di Paolo e Francesca). Con mia somma sorpresa mi porse in regalo,
senza avermi anticipato nulla nei giorni precedenti, un CD-ROM – che ancora oggi conservo
gelosamente – contenente le scansioni di tutte le pagine del concerto!
Nel breve volgere di qualche giorno stampai tutto il materiale – un numero di pagine
non indifferente (N.B.: non si trattava della partitura, solo delle parti staccate dell‟orchestra e
del violoncello solista, neanche di una riduzione pianistica) – ed essendo un appassionato
utente del programma Finale, mi misi a copiarlo, nota per nota, dinamica per dinamica,
articolazione per articolazione! Ciò che mi sorprese, durante il lavoro di copiatura, fu il notare
la sconfinata complessità della parte del violoncello principale; ciononostante continuai
imperterrito nel mio lavoro di copista, ritagliando i minuti laddove già non ce n‟erano.
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Impiegai circa quattro mesi a copiare ogni singolo dettaglio, sperando di non trovare errori,
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controllando e ricontrollando più e più volte (in effetti, poi qualche errore c‟era),
INTRODUZIONE DELL‟AUTORE
promettendomi ogni volta di non ascoltare questo titano di quasi mille battute prima che fosse
completo. Arrivò così il giorno in cui questa nuova partitura ricostruita divenne presentabile
alla vista. Presi dunque in mano la mia copia del frontespizio originale e le diedi ancora una
lettura, visto che fino ad allora non avevo prestato attenzione ad altro se non alle note; e lì,
bello grande e sotto gli occhi di tutti stava scritto: «Concerto Brillant pour violoncelle avec
l‟accompaignement de l‟orchestre ou de pianoforte» (vedi pagina seguente). Rilessi meglio
per essere veramente sicuro che non fossero i miei occhi a ingannarmi: ma sì, avevo letto
bene, c‟era scritto «orchestra o pianorte», nel senso di «oppure»! Questo significava senza
ombra di dubbio che l‟autore prevedeva l‟esecuzione di questa sua composizione sia con
l‟accompagnamento dell‟orchestra sia con il pianoforte! Per quel che ne sapevo io, dei
concerti esistono la partitura orchestrale e poi la riduzione pianistica per eseguirli in sede di
studio, ma questo era completamente diverso, poiché nel titolo stesso figurava il permesso
scritto dell‟autore ad eseguirlo in concerto a seconda dei mezzi a disposizione; le potenzialità
esecutive di questo lavoro si stavano ampliando a dismisura. Mentre un sorriso di
soddisfazione si dipingeva sul mio volto mi resi conto poi che le sorprese non erano affatto
finite: in basso, in piccolo c‟era scritto:
Pour executer ce Concerto avec accompagnement de Quatuors on doit aussi jouer les petites notes
et dans la Partie principale les notes en dessus, qui sont intercalées dans les accompagnemens
Riassumendo brevemente, risultava chiaro, a pochi minuti dalla fine della realizzazione della
nuova partitura, che il mio lavoro non era che a un terzo del totale; mi misi quindi subito alla
ricerca delle parti mancanti e purtroppo – o forse doveva andare proprio così! – trovai solo la
parte del pianoforte, che mi venne prontamente spedita tramite la Biblioteca del Conservatorio
dalla Biblioteca “Ostiglia” di Modena.
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INTRODUZIONE DELL‟AUTORE
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INTRODUZIONE DELL‟AUTORE
Cominciai quindi la seconda parte del lavoro, che mi portò, nell‟arco di un paio di
mesi, ad ottenere la parte per pianoforte e violoncello (copiandola dall‟originale e aggiustando
i numerosi errori1 riscontrati nel confronto con la partitura) e quella per violoncello e quartetto
d‟archi, ottenuta modificando opportunamente le parti degli archi nell‟orchestra. Giunsi
quindi ad avere nelle mie mani le partiture, corredate ciascuna delle proprie parti staccate,
delle tre versioni di questo lavoro!
Il momento fatidico era infine arrivato, il momento del successo o del fiasco totale, il
momento di premere “Play” e di ascoltare il risultato. Le mie aspettative erano sicuramente
alte, come alte sono le aspettative di un padre verso la sua creatura, ma i precedenti giocavano
a sfavore di questo gigante di trenta minuti, visto che i concerti scritti sia dal maestro di
Kummer, Bernhard Romberg (1767 – 1841), sia da uno dei suoi più illustri allievi, Bernhard
Cossman (1822 – 1910), non avevano superato l‟esame più crudele di tutti, quello del tempo.
Accadde invece che, sentendo l‟assolo dei Corni che apriva il Concerto, ripetuto identico
dopo due battute di risposta degli archi, un brivido mi percorse la schiena! Avevo notato
durante la fase di copiatura che c‟era una lunga parte introduttiva da parte dell‟orchestra, ad
essere sinceri una delle più lunghe che avessi mai avuto l‟occasione di vedere o sentire, ma
questa era veramente notevole, oltre 2‟30‟‟! Andai avanti nell‟ascolto e assaporai con gusto la
maestria con cui i fiati venivano orchestrati attraverso le frasi che dal primo tema
conducevano al ponte modulante e di lì al secondo tema; e fu proprio qui che un dejà vu mi
colse: io quel tema l‟avevo già sentito! Mi ci volle poco per realizzare che questo secondo
tema riecheggiava quello del Concerto Imperatore op. 73 in Mib Maggiore per pianoforte e
orchestra di Ludwig van Beethoven … un plagio forse?
Riflettei a lungo su questo interrogativo finché il mio sguardo cadde sulla data di
composizione del Concerto Brillant: 1827. Anche a un musicista inesperto quella data ricorda
subito una cosa: la scomparsa del grande maestro viennese. È ovvio che possano solo rivelarsi
congetture, ma al momento nulla mi vietò di pensare che esso fosse una dedica all‟allora
appena defunto Beethoven.
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Se si trattasse poi effettivamente di errori o di modifiche volute dall‟autore per rendere pianistica la lettura e la
realizzazione della parte, lo vedremo nel capitolo II.
INTRODUZIONE DELL‟AUTORE
splendido e non riuscivo davvero a trovare una ragione per cui avesse dovuto essere
dimenticato.
Mi misi quindi sul web a cercare se, per caso, questo capolavoro fosse pubblicato da
qualche remota casa editrice; poche tracce rimanevano però di esso. Sul frontespizio veniva
indicata la prima pubblicazione presso la Breitkopf & Hartel (nota casa editrice tedesca
fondata nel lontano 1719) nel 1830. Decisi quindi di contattarla per richiedere una copia delle
stampe originali ed eventuali notizie riguardanti un‟edizione moderna. L‟8/5/2007 il Dr.
Andreas Sopart della Breitkopf & Hartel così rispose alla mia richiesta di informazioni:
Le possiamo confermare che il concerto op. 10 del compositore Friedrich August Kummer è stato
pubblicato da Breitkopf & Haertel.
Secondo le nostre informazioni oggi non c'è un'edizione moderna di questo concerto in questione.
Fu così che mi presi l‟impegno, in onore a Kummer e a tutto ciò che di bello e
meraviglioso aveva fatto per il mio strumento, di cercare e trovare un editore disposto a
pubblicare questo capolavoro.
Tra il dire e il fare c‟era però, come dice il proverbio, veramente un mare. Per mesi
scrissi e-mail a editori sparsi in tutto il mondo, specialmente in Germania visto che l‟autore
era tedesco, e cominciando proprio dalla casa editrice originale Breitkopf & Hartel. Tutti però
mi rispondevano dicendo che non erano interessati e che ringraziavano per l‟offerta, ma
nessuno aveva il coraggio di darmi una motivazione per il rifiuto. Ci pensò quindi la
Schirmer, grande casa editrice americana, a risolvere il dilemma; cito qui il testo dell‟e-mail
da me ricevuta da David Flachs della Schirmer:
[…] mentre il suo lavoro potrebbe essere di notevole interesse per i violoncellisti, potrebbe non
disporre di un potenziale sufficiente a giustificarne una pubblicazione commerciale2. Essendo stato
scritto per violoncello con pianoforte, quartetto o orchestra, richiederebbe non solo la
pubblicazione della parte del pianoforte e delle parti del quartetto, ma un agente che rappresenti il
materiale orchestrale da fornire in affitto.
xi
2
Si desidera sottolineare che la stessa Schirmer ha pubblicato l‟edizione americana della Scuola per Violoncello
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di F. A. Kummer, pubblicazione che, se non di meno, non presenta a mio avviso un maggiore potenziale
commerciale del presente Concerto per Violoncello e Orchestra.
INTRODUZIONE DELL‟AUTORE
[…] Ammiro i suoi sforzi in questo lavoro e mi permetterei di suggerirle che, nel ricercare un
editore per un tale progetto, sarebbe di beneficio se lei disponesse di materiali che ne permettessero
una futura promozione come una serie di esecuzioni in concerto o una registrazione.
Kummer è conosciuto per la sua pedagogia violoncellistica, così come per la sua abilità
strumentale, ma questo era tanto tempo fa. I grandi editori del giorno d‟oggi pongono attenzione al
potenziale esecutivo e commerciale di ogni lavoro, e l‟accettazione per la pubblicazione
richiederebbe la fiducia che questo lavoro potrebbe rientrare nel repertorio violoncellistico.
Sfortunatamente, questo richiederebbe molto più che una tesi scritta e un‟edizione a stampa. […]
Considerazioni: innanzitutto ringraziai il signor Flachs per la sua sincerità nei miei
confronti e per avermi finalmente spiegato il motivo per cui tutte le case editrici rifiutavano la
pubblicazione; ciò che trapelava però dal suo testo era che, per motivi puramente economici,
un capolavoro come questo sarebbe stato destinato al dimenticatoio. Oltre a questo veniva
sottolineato che, siccome Kummer era stato un grande nel passato e ora era stato dimenticato,
non bisognava preoccuparsi: a mio giudizio un pensiero vagamente imprenditoriale. È chiaro
che uno studente non poteva disporre né di un‟orchestra per suonare il concerto né quindi
della possibilità di registrarlo. Crebbe dentro di me un senso di frustrazione per il fatto che in
questo mondo il vile denaro avrebbe vinto ancora una volta. Abbandonai quindi questo
progetto per qualche settimana, forse anche più di un mese, accontentandomi di avere questo
gioiello fra le mie mani e di poterlo studiare tutto per me.
Il mio sogno cominciò quindi a prendere forma e, poco a poco, si accrebbe divenendo
sempre più nitido e tangibile, sfociando, infine, in realtà. Il grezzo diamante che io stringevo
fra le mani venne così lavorato fino a diventare il prezioso gioiello che è oggi, finalmente
libero dalla prigione in cui era stato relegato dall‟ignoranza e dalla cecità, libero di cavalcare
xii
L‟evento da prendere come punto di partenza per comprendere il XIX secolo tedesco è
la proclamazione del Regno di Prussia, avvenuta il 18 gennaio 1701. Questo però, più che
essere un punto di partenza, funge da perno attorno a cui la nostra comprensione potrà ruotare.
Con questa data, gli avvenimenti storici in Germania subiscono una svolta. Nel 1648 si era
conclusa la Guerra dei Trent‟Anni, una guerra che, anche se i libri di storia preferiscono non
menzionarlo, era stata una guerra di religione. Il 1517, infatti, aveva visto Martin LUTERO
(Eisleben - Sassonia, 10 novembre 1483 – 18 febbraio 1546) affiggere le 95 tesi al portale
della sua cattedrale a Wittenberg, dando così inizio a quella che la storia avrebbe chiamato
Riforma Protestante. L‟emergere di questa riforma era stato possibile grazie al fatto che
migliaia di persone lamentavano la trasformazione della Chiesa in qualcosa di poco attinente
con la fede. Tramite le decime essa racimolava fondi dappertutto e bruciava come eretici tutti
coloro che si opponevano o osavano denunciare le palesi ingiustizie. Questi primi anni del
Cinquecento erano stati, dal punto di vista religioso, anni estremamente ricchi, basti parlare
dello Scisma d‟Oriente del 1504 con cui nasce la Chiesa Ortodossa, fino alla pubblicazione
nel 1511 de L’Elogio della Follia di ERASMO da Rotterdam (Rotterdam, 27 o 28 ottobre 1466
– Basilea, 12 luglio 1536), in cui spiccava la frase «Ecclesia reformanda est»; vi erano
insomma, diverse correnti che manifestavano chiari risentimenti nei confronti dello status quo
in vigore a Roma. Con l‟incoronazione a Imperatore del Regno Asburgico di CARLO V (Gand,
24 febbraio 1500 – Cuacos de Yuste, 21 settembre 1558) nel 1515 – l‟imperatore su cui mai
tramontava il sole – qualcosa comincia a muoversi, dal momento che il re sollecitava la
convocazione di un concilio al fine di risolvere una volta per tutte l‟annosa questione. Nasce
così il Concilio di Trento, convocato seppur con aspre opposizioni nel dicembre del 1545: è
FRIEDRICH AUGUST KUMMER (1797-1879)
un concilio che nasce sulle ali delle colombe portatrici di pace ma alla fine, dopo quasi
vent‟anni di discussioni e ben poche soluzioni, le colombe vengono messe in gabbia e
vincono, ancora una volta, i falchi della guerra. Tutto il restante Cinquecento è una guerra di
religione dietro l‟altra ed è così che si apre anche il Seicento, con la più clamorosa delle
guerre di religione: la Guerra dei Trent‟Anni. Nei territori del Sacro Romano Impero
d‟Occidente era continua questa grande lotta tra cattolici e luterani e a poco valse la Pace di
Augusta del 1555 per fermare il fuoco che ormai si stava già diffondendo, sospinto dai venti
delle molteplici confessioni che convivevano sotto lo stesso cielo.
Questa guerra, scoppiata come tante altre per interesse di poche persone, si conclude
nel 1648 con la Pace di Westfalia per collasso dei partecipanti; ne esce una Germania
assassinata, dimezzata demograficamente e frammentata in quasi mille sovranità autonome.
Da un conflitto cui aveva partecipato praticamente tutta Europa – vi presero parte Spagnoli,
Olandesi, Francesi, Danesi, Svedesi, Italiani, Ungari, Turchi, Tedeschi … – e che senza
troppe difficoltà avrebbe potuto già arrogarsi il titolo di “guerra mondiale”, esce vincitrice la
Francia, proprio quella che cento anni prima aveva osteggiato l‟incoronazione di Carlo V per
paura di trovarsi nella morsa della tenaglia asburgica. Si inserisce qui il genio del cardinale
MAZZARINO (Pescina, 14 luglio 1602 – Vincennes, 9 marzo 1661) il quale, al servizio di
LUIGI XIV (Saint-Germain-en-Laye, 5 settembre 1638 – Versailles, 1 settembre 1715), riesce
ad inchiodare la Germania al Medioevo imponendo il cosiddetto liberum vetum, che consiste
nella possibilità, concessa a ognuna delle singole sovranità tedesche, di bloccare
l‟approvazione di un qualsiasi decreto qualora anche una sola di esse si trovi in disaccordo –
detto questo diventa facile immaginare con quanta semplicità ognuna di esse possa essere
comprata –. Solo per fare un paragone con l‟evoluzione della storia nel resto d‟Europa, in
Inghilterra nel 1649 si sta compiendo la rivoluzione puritana, viene decapitato il re e viene
proclamata da CROMWELL (Huntingdon, 25 aprile 1599 – Londra, 3 settembre 1658) la
Repubblica; nel 1660 viene restaurata la monarchia ma nel 1689 il Parlamento licenzia il re e
ne chiama un altro. Sale così al trono quella dinastia che è ancora oggi a capo del Regno
Unito, quella degli Hannover – Windsor, la cui Regina Vittoria è nonna del Kaiser
GUGLIELMO II (Berlino, 27 gennaio 1859 – Doorn, 4 giugno 1941), ed è tra i nipoti Guglielmo
II e GIORGIO V (Londra, 3 giugno 1865 – Sandringham, 20 gennaio 1936) che scoppierà la
Prima Guerra Mondiale. Tutto questo per far capire come nell‟Europa di allora i legami tra i
diversi stati siano molto più profondi di quanto possa sembrare a prima vista.
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FRIEDRICH AUGUST KUMMER (1797-1879)
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FRIEDRICH AUGUST KUMMER (1797-1879)
alla Guerra dei Sette Anni (1756-1763). Più di centocinquant‟anni dopo Winston Churchill
definirà questa come la prima “vera” guerra mondiale, poiché fu la prima ad essere
combattuta non solo sul territorio europeo ma anche in varie parti del globo ove le potenze
europee avevano possedimenti coloniali. A differenza delle precedenti questa non è più una
guerra di successione, ma un vero e proprio conflitto moderno, mirato alla conquista
territoriale e all‟affermazione egemonica europea. Il casus belli è riconducibile alla pace di
Aquisgrana del 1748, in cui un profondo malcontento e senso di insoddisfazione permane nei
sovrani di tutti gli stati ad esclusione del Regno di Prussia e del Regno di Sardegna. Si
formano così i due schieramenti, la Prussia e l‟Inghilterra da una parte, la Francia, la Spagna,
l‟Austria e l‟Impero Russo dall‟altra. Il re di Prussia FEDERICO II (Berlino, 24 gennaio 1712 –
Potsdam, 17 agosto 1786) ha una grande intuizione: formare un territorio in funzione
dell‟esercito; fonda così un esercito nazionale tedesco anticipando di cento anni la Francia che
lo farà solamente con la Comune parigina (1871). Si crea in tal modo un esercito di terraferma
formidabile, iper-disciplinato, estremamente motivato, con una durata della leva obbligatoria
che spaziava dai dodici ai ventuno anni, una vita, insomma, al servizio della patria. È grazie a
questo esercito che, alla fine di questi sette anni di guerra in cui praticamente nulla era
cambiato a livello geopolitico, la Prussia riesce a mantenere il suo status di regno sovrano.
L‟orologio della storia corre in avanti e, con la presa della Bastiglia il 14 luglio 1789,
ha inizio quel periodo che lo storico Eric John Ernest HOBSBAWM (Alessandria d‟Egitto, 9
giugno 1917) battezza con il nome di «Lungo XIX secolo». Questo termine si pone in
contrapposizione con un altro, sempre da lui coniato, in riferimento al periodo 1914-1991,
ossia «Secolo Breve». Tutti gli eventi, infatti, che si collocano tra l‟accendersi dei focolai
rivoluzionari a Parigi e l‟assassinio di Sarajevo del 28 giugno 1914, non possono essere
guardati che sotto un‟ottica comune che li raccolga tutti insieme.
della rete ferroviaria fondamentale, Londra possiede tredici stazioni per spostare la
FRIEDRICH AUGUST KUMMER (1797-1879)
popolazione (per fare un paragone negli stessi anni l‟Italia aveva gli otto chilometri della
Napoli – Portici). Ma torniamo qualche anno indietro, fino al 1815.
Le campagne napoleoniche
sconvolgono l‟Europa
dall‟auto-incoronazione del
Bonaparte il 2 dicembre
1804 e, nel momento in cui
egli viene definitivamente
sconfitto, si fa chiara e
urgente la necessità di
discutere il futuro della
Francia nell‟appena aperto
Congresso di Vienna. Qui si
cerca di mettere a posto
l‟Europa, con la filosofia di tornare alla situazione pre-1789; pur sapendo che tutto ciò non era
attuabile, si decide di formare una serie di “stati-cuscinetto” per impedire alla Francia di
espandersi ulteriormente. Si vengono a formare i Paesi Bassi dall‟unione di Belgio, Olanda e
Lussemburgo, mentre la Valle d‟Aosta viene concessa al Regno di Sardegna. La Germania
viene ridotta a trentanove sovranità dalle quasi mille che vi erano in precedenza, dando così i
natali alla Confederazione Germanica, mentre l‟Austria, pur partecipando alla stessa
Confederazione e detenendone la corona imperiale, mantiene comunque un suo impero
autonomo – l‟Impero Austriaco – composto da Austria, Ungheria, Cecoslovacchia e la zona
dei Balcani.
formata da Prussia, Impero Russo e Impero Austriaco) che doveva servire come «caschi blu»
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di allora per sedare i focolai rivoluzionari. Nasce così questo esercito internazionale, che però
FRIEDRICH AUGUST KUMMER (1797-1879)
Arriva il 1848 e presenta subito due grandi assenti: l‟Impero Russo e l‟Inghilterra. Per
la Russia è ancora troppo presto poiché essa è ancora ferma alla puntata precedente, ancorata
cioè ad una monarchia medioevale, mentre l‟Inghilterra il suo ‟48 l‟ha vissuto nel Seicento. Il
Quarantotto si innesta su un movimento liberale, autonomistico e da Praga a Budapest, da
Milano a Venezia passando per Parigi è una fiamma unica, è la primavera dei popoli, che si
muove con la velocità con cui i servizi postali portano le notizie da una città all‟altra.
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Il socialismo scientifico è una forma di socialismo che si distingue dal socialismo utopico per un‟analisi e una
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comprensione scientifica delle leggi della storia e della società: su questo studio basa argomenti, obiettivi e
principi, non più sull‟elaborazione di un modello sociale utopico.
FRIEDRICH AUGUST KUMMER (1797-1879)
grazie alla piazza che si è potuti arrivare a questo pre-costituzionalismo. All‟interno di questo
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Parlamento fittizio con sede a Francoforte si forma una grossa spaccatura tra Piccoli e Grandi
FRIEDRICH AUGUST KUMMER (1797-1879)
Tedeschi, i quali avanzano due ipotesi differenti sul come riorganizzare la futura riformata
Confederazione Germanica. I Piccoli Tedeschi – filo prussiani – ruotano intorno a Berlino e
propongono un‟unificazione in cui entri anche l‟Austria ma senza l‟appendice imperiale, non
considerando tedesche quelle popolazioni come i magiari, gli slavi, i tirolesi e gli italiani. I
Grandi Tedeschi, invece – filo austriaci, propongono il contrario, cioè di far entrare l‟Austria
con tutti gli annessi e connessi che sono appunto tutto l‟Impero. Per i Piccoli Tedeschi far
entrare l‟Austria con tutto l‟Impero diventa un problema perché, essendo già per tradizione la
corona confederata destinata alla testa di un rampollo viennese, concedere un ingresso così
invadente avrebbe sancito la rottura con il principio di equilibrio. Si crea così la spaccatura,
l‟ipotesi piccolo-tedesca diventa maggioritaria dentro quest‟assemblea che vale come il due di
coppe e gli altri, in gesto di condanna e polemica, abbandonano l‟assemblea. Prima che il
parlamento di Francoforte venga dissolto per sempre, il nucleo di parlamentari rimasti offre la
corona imperiale al sovrano di Prussia: questi, imbevuto di prussianesimo e timoroso di
perdere le caratteristiche di nazionalità del suo paese, nonché conscio del diritto di autorità per
origine divina, rifiuta con una frase che è passata alla storia: «Rifiuto un collare di ferro
offerto da maestri panificatori e macellai!». Ed è con questa frase che il Quarantotto tedesco
abortisce e si apre la strada a una repressione gigantesca.
Qui urge fare una riflessione: abbiamo appena assistito in Germania al fallimento di
una progettualità riformistica di impianto liberale. Come mai, mentre in altri casi la borghesia
si è messa al traino come gruppo dirigente per la modellazione e la riforma dei sistemi
politici, in Germania questo non accade? Semplicemente perché le egemonie economiche
tendono a diventare egemonie politiche nel breve volgere di due generazioni e generalmente
in modo rivoluzionario. La borghesia si impadronisce della struttura economica e, una volta
forte di questo, rivendica diritti politici. Ne consegue che la borghesia tedesca non era
egemonica dal punto di vista economico: la piazza è sempre stata tendenzialmente manichea
radicale – formata cioè da gente che ha fame – e una borghesia adulta ha sempre saputo dare
qualche contentino alla piazza promettendo più che facendo. La borghesia tedesca, invece,
teme di più la potenza giacobina sanculotta della piazza del re e, quando si tratta di prendere
le decisioni che potrebbero portare a un miglioramento sostanziale della situazione, va a
nascondersi sotto le gonne del sovrano. Questa borghesia è economicamente minoritaria,
parcheggiata nel terziario degli uffici statali e non è abbastanza adulta da rimodellare il
sistema politico. Fallisce così il liberalismo tedesco. Ci sarà poi solo Weimar (1919-1933), ma
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ormai è troppo tardi per ramificare e piantare radici nella mentalità del popolo tedesco.
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FRIEDRICH AUGUST KUMMER (1797-1879)
(Berlino, 22 marzo 1797 – Berlino, 9 marzo 1888, re di Prussia dal 1861 e imperatore tedesco
dai 1871); memorabile rimane la sua frase al discorso inaugurale: «La Germania per il suo
futuro non guarda ai proclami parlamentari ma al ferro e al fuoco!», cioè alla sua forza
militare, perché la storia della Germania la scrive il suo esercito e non la borghesia politica.
Comincia così la stagione bismarckiana, in cui la sua aspirazione all‟unità politica della
popolazione germanica lo porta a scavalcare il parlamento con una serie di decreti legge.
Compie principalmente tre iniziative politiche che sono tre guerre – tutte vinte – le quali
rappresentano in qualche modo il Risorgimento tedesco. La prima di queste iniziative ha
un‟origine lontanissima nel tempo: dopo la Guerra dei Trent‟Anni alcuni ducati tedeschi
erano stati dati in concessione alla Danimarca. Nel 1864 la Prussia rivendica questi ducati di
Schleswig, Louenburg e Holstein con una guerra alla Danimarca che vince con comprensibile
facilità. A questo punto Prussia e Impero Austriaco litigano sulla spartizione, ma ben presto
quest‟ultimo comprende che la lontananza da questi ducati li terrà per sempre staccati. Su
questo litigio scoppia la Guerra tra Prussia e Austria nel 1866 (ricordiamo, anno della Terza
Guerra d‟Indipendenza Italiana). La Prussia si allea con l‟Italia, la quale ha il dente
avvelenato con l‟Austria a causa del Veneto. I Prussiani usano la guerra di movimento
spostandosi sui treni e sconfiggendo gli austriaci a Sadova; l‟Austria, già in difficoltà,
sconfigge gli italiani a Custoza sulla terraferma e a Lissa sul mare, di conseguenza non vuole
cedere il Veneto a una nazione che ha sconfitto. Lo cede quindi alla Francia, la quale poi in
seguito ce lo offre. La Germania viene così divisa in due parti, una Confederazione del Nord e
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una del Sud, la prima ruotante intorno a Berlino, la seconda ancorata a Vienna e fuori quindi
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dall‟orbita prussiana. Bismarck ha sempre teorizzato che in guerra bisogna saper vincere ma
FRIEDRICH AUGUST KUMMER (1797-1879)
mai stravincere e proprio in questo caso porta a casa ciò che gli interessa, ma non umilia
l‟Austria perché ha un altro progetto in mente e non vuole che essa gli si rivolti contro.
Adesso Vienna, per sopravvivere, deve fare un‟opera di chirurgia politica con la
duplice monarchia e la conseguente nascita dell‟Impero Austro-Ungarico. A Vienna
capiscono che l‟Impero sta cadendo a pezzi, decidono quindi di prendere l‟avversario più
ostico che hanno all‟interno e di dargli un parziale contentino: l‟Ungheria da adesso avrà un
suo esercito e un suo parlamento, mentre il Re d‟Austria rimarrà anche Re d‟Ungheria.
Ora la Germania deve scontrarsi con la Francia. In Francia c‟è LUIGI NAPOLEONE III
(Parigi, 20 aprile 1808 – Chislehurst, 9 gennaio 1873), nipote del Bonaparte, che nel 1848 era
diventato presidente della Repubblica Francese quando i moti avevano cacciato la monarchia
orléanista. Nel 1851, il 31 dicembre, fa un colpo di stato, trasforma la Repubblica in Impero e
ne diventa Imperatore, dando così inizio al Secondo Impero. Nel 1868 muore il Re di Spagna
senza lasciare eredi diretti ma indicando come suo successore un cugino del Re di Prussia,
Leopoldo di Hohenzollern. Rischia qui di ripetersi il gioco di Carlo V in cui la Francia si sente
presa in mezzo. Leopoldo, sotto forti pressioni da parte degli altri sovrani europei, rifiuta
l‟offerta. Napoleone III, però, non si accontenta della vittoria, vuole stravincere. Manda il suo
ambasciatore a Berlino per incontrare il Re di Prussia. Il Re soffriva di gotta e si sottoponeva
a bagni depurativi alla stazione termale di Ems; si incontrano quindi in quel luogo e il re tratta
bene l‟ambasciatore, il quale gli chiede garanzie sul futuro, ossia di mettere nero su bianco
che la Prussia non penserà mai più ad allungare le mani sul territorio spagnolo. Il re prende
tempo dicendo che la Prussia non ci pensa più ma che sul futuro non si può dire nulla.
L‟ambasciatore torna a Parigi e la cosa sembra finita qui. Il Re manda un telegramma a
Bismarck informandolo dell‟accaduto; questi prende il telegramma, lo modifica e dà alle
stampe un comunicato (ancora gonfiato dai giornalisti) dal quale emerge che il re di Prussia
ha messo alla porta l‟ambasciatore di Francia. A Parigi si infuriano. Era una trappola.
A questo punto la Germania conosce uno sviluppo industriale enorme e diventa una
delle grandi potenze mondiali dell‟epoca; dà vita a una legislatura molto progressista ed è la
prima ad introdurre la mutua e la pensione per gli operai. In politica internazionale Bismarck
è conscio del fatto che i Francesi appena potranno presenteranno il conto alla Germania; tenta
così di ritardare il più possibile la rivincita francese spingendo la Francia su altri lidi. Nel caso
si dovesse però entrare in guerra sa che deve evitare una guerra sui due fronti: firma così
l‟alleanza con la Russia, dando l‟abbrivio a quella ragnatela di alleanze – Patto degli
Imperatori, Trattato di Contro-assicurazione, accordo segreto con lo zar russo – allo scopo di
imbrigliare l‟Europa in una serie di reciprocità in modo che lui possa consolidarsi. Tutto
questo sfocia nella Triplice Alleanza fra Austria, Germania e Russia, che si protrarrà fino alla
Prima Guerra Mondiale.
Come si può parlare in breve di un argomento vasto come la storia della musica nella
Germania del XIX secolo senza tralasciare nulla? Anche circoscrivendo all‟area di Dresda e in
particolare concentrandoci sul violoncello, l‟impresa resta comunque ardua. Cercherò quindi
di esporre nel modo più esauriente possibile quella che era la situazione musicale in cui si
venne a trovare Kummer all‟inizio dell‟Ottocento, momento in cui si trasferì a Dresda,
dandone un quadro generale, nell‟ambizioso tentativo di far percepire al lettore ciò che il
nostro autore vide con i suoi occhi.
L‟anno della morte di Johann Sebastian BACH, il 1750, determina un mutamento
stilistico di immensa portata che solo pochi autori quali Telemann riescono ad attenuare. Il
crollo del tardo Barocco è così improvviso che perfino Johann Christian, il figlio prediletto di
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Bach, osa schernire la musica del padre, ornandola di epiteti quali «roba da museo» mentre
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FRIEDRICH AUGUST KUMMER (1797-1879)
altri, forse con più discernimento, leggono in Bach la «catastrofe della musica»5. L‟ortodossia
bachiana viene sconfitta dalla piattezza illuministica, la sua monumentalità barocca dalla
tenera sensibilità, dalla delicatezza e dall‟arte miniaturistica del Rococò. Persino Wilhelm
Friedemann Bach tradisce il padre non inserendo più fughe nelle sue cantate per organo.
Sorgono però valori nuovi: sotto l‟influsso di Jean-Jacques Rousseau e del culto della
natura dei Filantropi viene rivendicato tutto ciò che è naturale, non artefatto. Già nella scuola
musicale di Mannheim, fonte e origine della forma sinfonica, si può sentire l‟irruenza dello
Sturm und Drang, movimento artistico e letterario sviluppatosi come naturale conseguenza
dell‟Illuminismo negli anni tra il 1770 e il 1775. Ed è proprio da questa scuola che escono
grandi nomi come Stamitz e Haydn, con quella spontaneità fresca e ingenua che rende la loro
musica incantevole al primo ascolto, quella stessa spontaneità che ispira Wolfgang Amadeus
Mozart nelle sue gioiose creazioni. Altro centro di mutamento stilistico è proprio la corte di
Federico di Prussia a Berlino e a Potsdam: qui lo stesso sovrano eccelleva come flautista, sia
in sonate di sua propria composizione sia in concerti che venivano scritti dal suo maestro J. J.
Quantz. Fra tutti emerge il genio di Carl Philipp Emanuel BACH (Weimar, 8 marzo 1714 –
Amburgo, 14 dicembre 1788) che con il suo Versuch über die wahre Art das Clavier zu
spielen completa la triade delle più significative opere didattiche dell‟epoca insieme con il
Versuch einer Anweisung die Flöte traversière zu spielen di Quantz e il Versuch einer
gründlichen Violinschule di Leopold Mozart. Egli non trae alcun giovamento dalla musica del
padre, bensì si rivela in tutto e per tutto esponente di un‟epoca posteriore. Merito suo, infatti,
è quello di aver introdotto il bitematismo nella forma-sonata, in lavori che in certi casi
anticipano il primo stile beethoveniano e che fin dal loro apparire vengono salutati da Haydn
come un‟autentica rivelazione. Una conferma di tutto ciò ci viene data da uno storico in visita
al vecchio Carl Philipp Emanuel, il quale riporta che i figli di Bach creavano musica solo
sotto la spinta di un impulso interiore, estasi artistica che,in qualche modo prelude già al
Romanticismo alle porte.
Un altro punto merita ora attenzione: sin dall‟inizio del XVIII secolo, coloro i quali in
Germania si interessavano di teatro e di musica manifestano il desiderio di una grosse
deutsche Oper da contrapporre all‟opera seria in lingua italiana che domina ancora i teatri di
corte. È di scena il Re di Prussia Federico Guglielmo III il quale, nel 1804, accoglie la
richiesta di Reichardt, giovane maestro di cappella, di adottare la lingua tedesca nelle
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rappresentazioni operistiche. Questo evento scatena numerose reazioni, tra le quali è bene
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Samuel PETRI DI SORAU, da UTET, DEUMM, Il lessico, Vol. II, pag. 346
FRIEDRICH AUGUST KUMMER (1797-1879)
ricordare solo le più note, ossia la Zauberflöte di Mozart (Singspiel diventato favola
musicale), la Leonore (Fidelio) di Beethoven e infine il Freischütz di Weber. Bisogna però
aspettare il 1823 per la definitiva affermazione dell‟opera su testo tedesco, con l‟Euryanthe di
Weber e la Jessonda di Spohr. Spunti Romantici cominciano a comparire e già in Mozart
sono presenti nella terrorizzante scena dell‟ultimo atto del Don Giovanni, il cui cromatismo
germogliante affascinerà Spohr come Wagner nel Tristan und Isolde.
Nasce un gusto nuovo in tutti i campi, dalla pittura alla letteratura per arrivare fino alla
musica, spinto da quell‟insieme di fenomeni che abbiamo avuto modo di trattare nel paragrafo
precedente. Non ci si stanca mai di ripetere che la storia non è fatta di cambiamenti netti e
tagliati col coltello ma di un continuo divenire che l‟uomo “romantico” ha saputo plasmare
con le sue azioni e reazioni diverse da individuo a individuo e ognuna a suo modo
meravigliosa e indispensabile. Il musicista, con l‟avvento del mondo industriale del XIX
secolo, si sente perduto e si rifugia nel paese ideale dell‟estetica pura, dell‟art pour l’art, di
chi gode del proprio isolamento e che è soprattutto infelice e incompreso.
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Si consiglia la lettura del racconto Il cavaliere Gluck di E.T.A. Hoffmann in cui egli descrive la musica come
un‟arte leggera e soave, ma profondamente distruttrice.
FRIEDRICH AUGUST KUMMER (1797-1879)
Arriviamo ora a un evento che ci interessa più da vicino: la diffusione negli ambienti
della borghesia benestante della pratica amatoriale del far musica in casa. Bisogna sottolineare
come la situazione di generale decadenza economica delle classi aristocratiche determini la
rarefazione dell‟impiego di grandi orchestre o comunque di ensemble numerosi, dato il loro
costo proibitivo. Questa pratica amatoriale e domestica si scava a poco a poco una nicchia
nella tradizione e nel gusto musicale del tempo, finendo per diventare un «genere»
compositivo, quello che nei paesi di lingua tedesca viene definito col termine di Salonmusik,
musica da salotto. A questo punto la differenza fra la musica “di più ampio respiro” e quella
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come in un limpidissimo specchio, i valori, i sogni e le fantasie di una classe borghese che
FRIEDRICH AUGUST KUMMER (1797-1879)
interpreta e vive sulla sua pelle le quotidiane trasformazioni del mondo, della società e della
cultura, anche se questo suo atteggiamento le ha più volte valso nel corso della storia l‟accusa
di rifarsi ad un «ingenuo sentimentalismo quotidiano»7. Ma essa possiede anche un aspetto
brillante: come vedremo con Kummer, in cui questo tipo di musica raggiunge forse l‟apice
della sua storia, essa è musica da grandi virtuosi, una musica strappa-applausi, ma anche, più
intimamente, una musica atta ad evocare motivi amati tratti dalle opere, rinnovando così il
piacere di riconoscerli sotto altra veste. Questa musica non ha come scopo quello di elaborare
nuovi percorsi culturali o di mettere in crisi certezze precedentemente acquisite. Questo stile,
infatti, chiamato Biedermeierstil, non va assolutamente confuso con il Romanticismo, poiché
a differenza di quest‟ultimo, indica lo stile idillico caro ai compositori minori del periodo
post-napoleonico.
3. LA CITTÀ DI DRESDA
Spostiamo ora brevemente il nostro sguardo, in questo fugace viaggio indietro nel
tempo, sulla città che vide protagonista Friedrich August Kummer: Dresda. Chiudiamo gli
occhi e immaginiamo di poter scendere in volo su quella che fu una delle più splendide
capitali europee. Il regno di AUGUSTO II (1670-1733) aveva sancito il periodo aureo della città
che, grazie a un gruppo eccezionale di architetti, aveva visto elevarsi un complesso
estremamente scenografico di edifici religiosi e civili (ricordiamo fra i tanti lo Zwinger,
castello originariamente pensato per ospitare le grandiose feste di corte).
direttore d‟orchestra della storia della musica, Weber porta notevoli cambiamenti all‟interno
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FUBINI E BARONI, Storia della musica, pag. 258, Piccola Biblioteca Einaudi 1988.
FRIEDRICH AUGUST KUMMER (1797-1879)
della musica tedesca, favorendo tra l‟altro l‟affermarsi di una più forte e chiara identità
nazionale. Come vedremo nel paragrafo successivo, dedicato alla figura di Kummer, Weber
fu molto importante per la sua affermazione artistica, per non dire fondamentale. Ma non
voglio anticipare nulla e mi sposterei ora ad analizzare più nel dettaglio la figura del
violoncello in questo ambiente musicalmente così fiorente.
La motivazione che sta alla base dell‟improvviso fiorire del violoncello nella
Germania dell‟Ottocento va ricercata nella crescita della domanda di artisti competenti da
parte delle numerose case principesche diffuse sul territorio. Parlando in generale, nel
momento in cui una delle autorità locali (all‟epoca quasi mille) avvia la formazione di
un‟orchestra, le altre sentono il bisogno di non essere da meno e così centinaia di realtà locali
crescono simultaneamente nel territorio germanico, contribuendo a quel grande incremento
che contraddistingue, a modo suo, tutte le famiglie strumentali.
4. QUADRI DI UN’ESPOSIZIONE
Per quanto riguarda il violoncello, la figura che per prima si impone sulle altre è quella
di Bernhard ROMBERG (Dinklage, 13 novembre 1767, – Amburgo, 13 agosto, 1841), che
possiamo paragonare per importanza, nel
violinismo tedesco, a quella di Louis SPOHR (5
aprile 1784 – 22 ottobre 1859), con l‟unica
differenza che quest‟ultimo fu un compositore di
maggior successo del primo. Ciò che distingue la
produzione di questi due autori e li rende perfetti
per un confronto è lo scopo che essi attribuiscono
ai loro pezzi, uno prettamente didattico e l‟altro
più direttamente concertistico. Infatti già in
quegli anni vediamo come le composizioni di
Romberg siano abbastanza rare nei programmi da
concerto, laddove abbondano quelle del suo
contemporaneo violinista. La grandezza di
Romberg, invece, sta nell‟aver creato un
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giorni nostri. Ciò che egli ha fatto nel corso della sua lunga carriera gli è valso negli anni
l‟appellativo di «fondatore» della scuola violoncellistica tedesca. I suoi concerti e pezzi da
FRIEDRICH AUGUST KUMMER (1797-1879)
Degno di nota è il fatto che Romberg sia il primo a favorire in Germania l‟uso di una
notazione semplificata per il violoncello. Fino ad allora in Italia e Germania venivano usate
solo la chiave di basso e quella di tenore, mentre in Francia si ricorreva a quella di contralto.
In tutto il Settecento assistiamo però alla progressiva estensione del registro del violoncello
verso l‟acuto, cosa che rende indispensabile l‟adozione di nuove chiavi di lettura: ciò che
sorprende è però che nessuna regola fissa viene imposta e, prendendo come esempio l‟Allegro
dal Concerto in Do di Boccherini, si arriva anche ad usare cinque chiavi diverse all‟interno
dello stesso pezzo, risultandone una notevole confusione per l‟esecutore di turno. Lo stesso
Boccherini, nell‟ultima parte della sua vita, decide di ridurre il numero delle chiavi da
utilizzare a tre, più precisamente basso, tenore e violino. Da Madrid, in cui il compositore
lucchese si trovava, questa consuetudine si diffonde, raggiungendo anche la Germania ove
Romberg se ne fa promotore.
Concentriamo ora la nostra attenzione sulla figura di Romberg come esecutore. Non si
hanno notizie sul suo insegnante, ma il grande talento del giovane violoncellista gli spiana la
strada verso il successo. Già nel 1790, all‟età di ventitré anni, egli, con il cugino violinista
Andreas, viene ingaggiato nell‟Orchestra Reale di Bonn dall‟elettore di Colonia Maximilian
Franz. Nell‟autunno dell‟anno seguente abbiamo la possibilità di seguire i loro spostamenti
poiché, fra la ventina di artisti che da Bonn vengono trasferiti a Mergentheim, c‟è anche il
ventunenne Beethoven. È qui che assistiamo alle prime grandi esecuzioni del violoncellista e
ai prolissi e grandiosi commenti che ne derivano dai critici musicali decisi a proiettarlo verso
una carriera di successo. Tra i vari finanziatori delle sue tournées troviamo proprio
Beethoven, il quale sovvenziona una serie di concerti per lui e il cugino Andreas in Italia, poi
ad Amburgo e persino a Londra. Viaggi successivi negli anni a cavallo del 1800 conducono
Bernhard in Portogallo, Spagna ed infine a Parigi dove, per il successo riscosso nei suoi
concerti, riceve la cattedra di violoncello nel locale conservatorio.
Questa indole viaggiatrice caratterizza la figura del grande violoncellista per tutta la
vita, portandolo in giro per l‟Europa sempre al centro del palcoscenico, ruolo che in qualche
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In effetti un metodo per violoncello Romberg lo scrisse ma non riuscì mai a imprimere in quelle pagine la vena
didattica che lo aveva caratterizzato nelle lezioni con i suoi allievi.
FRIEDRICH AUGUST KUMMER (1797-1879)
ricorda infatti che egli, alla veneranda età di 73 anni, pur di apparire ancora come solista in
concerto, insistette per un viaggio a Berlino in cui si esibì ancora una volta. L‟insuccesso che
ne raccolse e la fatica comportata dal viaggio furono però le cause presunte della sua morte,
avvenuta poco tempo dopo il ritorno a casa, il 13 agosto 1841.
Mentre Bernhard Romberg eleva a una posizione di prestigio l‟arte del suonare il
violoncello in Germania, numerosi altri centri si vengono a formare in altre importanti città
quali ad esempio Dresda. La Corte di Dresda, che aveva sempre fornito un grande apporto alla
musica, si costruisce a poco a poco un‟orchestra di distinta reputazione, alimentata dal
continuo afflusso di musicisti talentuosi e altamente dotati. Guardando al violoncello in
particolare essa guadagna, non molto dopo l‟inizio del secolo, un rappresentante esemplare
con Dotzauer.
concerto, ottiene un grande beneficio per la prosecuzione della sua carriera. Nel 1811 accetta
FRIEDRICH AUGUST KUMMER (1797-1879)
un‟onorevole posizione nell‟Orchestra di Corte di Dresda, nella quale permane fino al 1850,
ricoprendo dal 1821 il ruolo di primo violoncello solista. Dopo di che si ritira dall‟attività e si
gode per dieci anni il pensionamento, morendo nel luogo in cui aveva lavorato con così tanto
successo il 6 marzo 1860. Dotzauer sviluppa nella sua vita una profonda abilità compositiva,
scrivendo un‟opera, sinfonie, ouvertures, una messa e numerose composizioni da camera.
Tutta questa produzione è stata a lungo dimenticata, mentre permane quella per violoncello
composta da nove concerti, tre concertini, due sonate a violoncello e basso, variazioni,
divertimenti, pot-pourris e un gran numero di duetti, alcuni dei quali sono ancora oggi
apprezzati e oggetto di studio. Per quanto riguarda il materiale didattico si ricordano i due
volumi della Scuola di Violoncello, gli Esercizi in difficoltà progressiva op. 120 e i 24 Studi
giornalieri per l’acquisizione e il mantenimento del virtuosismo, quest‟ultimo senza alcun
dubbio il miglior lavoro scritto da Dotzauer. Pubblica inoltre un Metodo per i flageolets op.
141. Il suo stile esecutivo si segnala sia per il dono di una grande solidità sia per l‟affascinante
dolcezza. Dotzauer viene ricordato non solo come un grande concertista ma anche come
distinto insegnante: suoi notevoli allievi furono Carl Schuberth, Carl Louis Voigt e Carl
Drechsler, oltre al nostro Friedrich August Kummer.
Carl SCHUBERTH nasce a Magdeburgo il 25 febbraio 1811. Riceve sei anni d‟istruzione
preliminare da un maestro della sua città natale prima di riparare a Dresda presso Dotzauer,
sotto la cui guida rimane due anni. Al suo ritorno a casa debutta con successo come solista per
poi intraprendere, nel 1828, una tournée nel nord. La destinazione è Copenhagen, dove egli
arriva nella primavera del 1829, decidendo poi di soggiornare nella capitale danese per un
lungo periodo. Lo ritroviamo di nuovo a Magdeburgo ad occupare il posto di primo
violoncello dell‟orchestra locale, ma il suo spirito pellegrino non sembra permettergli di
rimanere nello stesso luogo per troppo tempo. Nel 1833, infatti, abbandona l‟incarico al
Teatro di Magdeburgo e, nell‟autunno dello stesso anno, intraprende un viaggio attraverso la
Germania Occidentale e il Belgio. Da qui si trasferisce a Parigi, ma non vi si ferma e l‟anno
seguente si reca in Olanda; nella stagione del 1845 viene ascoltato a Londra. Passa quindi a
San Pietroburgo, dove viene accolto con estremo calore e dove gli viene offerto
immediatamente un incarico stabile. Egli, infatti, non solo viene nominato Direttore della
Banda Imperiale, ma anche Ispettore della Scuola di Musica affiliata al Teatro di Corte e
Direttore della Musica nell‟Università. Occupa questo posto fino al 1863, quando la morte lo
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coglie, durante un viaggio intrapreso per curare la sua salute, il 22 luglio a Zurigo. Lo stile
interpretativo di Schuberth viene considerato come estremamente intelligente, più elegante e
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ornamentale nell‟espressione che appariscente. I suoi pezzi per violoncello danno ragione a
FRIEDRICH AUGUST KUMMER (1797-1879)
questa definizione poiché tutti, con l‟eccezione forse del Concerto, appartengono a quella
categoria chiamata «musica da conversazione». Nessuno di essi però, fatta eccezione per
Mystification op. 18 per violoncello e pianoforte, è sopravvissuto all‟autore. Tra i suoi allievi
ricordiamo Karl Davydov, grande violoncellista russo che lascerà una profonda impronta nel
violoncellismo del XIX secolo.
Il prossimo allievo di Dotzauer di cui parleremo è Carl Louis VOIGT. Nasce a Zeitz,
cittadina della Sassionia, l‟8 novembre 1792, figlio dell‟organista della chiesa di San
Tommaso di Lipsia. Musicista poliedrico, intraprende grazie al nonno lo studio del
violoncello, ricoprendo un ruolo orchestrale nel Gewandhaus. Sentendo insufficiente per sé la
formazione tramandatagli in famiglia, decide di prendere lezioni da Dotzauer, che in quegli
anni era operativo come orchestrale. Nel 1811, anno in cui il suo maestro si sposta a Dresda,
egli ne prende il posto, occupandolo fino alla morte, avvenuta il 21 febbraio 1881. Le sue
composizioni per violoncello sono deboli musicalmente, anche se le Tre Sonate op. 40
possono essere ancora utilizzate a scopo didattico.
Partendo dal meno noto, Goltermann, è necessario fare subito una precisazione. Egli
appartiene alla famiglia dei Goltermann di Amburgo, dove nasce il 15 luglio 1825, e non va
confuso con il forse più famoso Georg Eduard Goltermann, del ceppo di Hannover e nato il
19 agosto 1824. Quest‟ultimo viene ricordato per la sua notevole produzione violoncellistica
– famoso oltremodo è il Concerto n°4 op. 65 – e per essere stato uno dei primi direttori
d‟orchestra violoncellisti. Quello che invece interessa ai fini della nostra storia è il primo,
Johann August Julius GOLTERMANN, del quale rimangono poche notizie: studia con Kummer
a Dresda, per poi trasferirsi, dal 1850 al ‟60, a Praga per insegnare violoncello nel locale
Conservatorio. È proprio in questi anni che nella sua classe egli ha come allievo un allora
anonimo David Popper. Quando nel 1862 viene nominato primo violoncello dell‟Orchestra di
Corte a Stoccarda, il suo grande allievo stava per cominciare una grandiosa carriera che
l‟avrebbe fatto diventare una delle personalità più di spicco della realtà musicale mondiale. È
interessante notare come sull‟enciclopedia della musica alla voce «Popper, David» non venga
menzionato il suo apprendistato con Goltermann e quindi di conseguenza il legame di una
sola generazione con Kummer viene facilmente reciso.
personalità:
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FRIEDRICH AUGUST KUMMER (1797-1879)
Egli ha un suono bello e netto, gestisce con grande facilità la tastiera e non solo è un eccellente solista
ma anche un distinto quartettista. Tra le sue composizioni le più degne di nota sono un Pezzo da
Concerto con accompagnamento di pianoforte, tre Fantasie su motivi tratti dal Freischutz, dal
Guglielmo Tell e dall‟Euryanthe, sei Soli in due parti, una Melodia Svizzera e una Canzonetta
Napoletana, Tre Pezzi op. 8, Cinque Studi da Concerto op. 10 e gli Studi per Violoncello.9
Maestro del Concerto Reale dopo, mentre sarebbe troppo lungo elencare le onorificenze da lui
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9
W. von WASIELEWSKI, Das Violoncell und seine Geschichte, Lipsia 1899
FRIEDRICH AUGUST KUMMER (1797-1879)
ricevute per il venticinquesimo anniversario del suo operato. In Grützmacher ritroviamo unite
in un felice connubio la rifinita maestria delle più alte difficoltà tecniche e la delicata maniera
espressiva, specialmente nel rendere le cantilene. Per quanto riguarda la sua formazione come
compositore, avvenuta sotto la guida di Friedrich Schneider, la troviamo espressa nelle sue
opere tra cui ricordiamo: due Concerti op. 10 e op. 46, la Fantasia Ungherese op. 7, il
Notturno op. 82, lo Scherzo op. 30, le Trascrizioni dai Classici op. 60, i 24 Studi op. 38 – oggi
ancora impiegati per il raggiungimento di una tecnica trascendentale –, Tre Canzoni con
violoncello obbligato op. 50. Viene inoltre ricordato per essere stato il primo esecutore del
Don Quixote di Richard Strauss a Colonia nel 1898. Riceve il pensionamento nel 1902 e il 23
febbraio dell‟anno seguente si spegne a Dresda.
Una volta inquadrato il contesto storico e musicale in cui visse il nostro autore,
possiamo dedicare la nostra attenzione al personaggio in
sé10.
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Prima di procedere con la biografia, però, è mia intenzione citare un estratto dalla voce «violoncello» del
Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti (DEUMM) edito dalla UTET:
Ciò che voglio far risaltare da questa nota introduttiva, cosa che risulterà estremamente chiara con la lettura della
biografia, è che la figura di Kummer scomparve misteriosamente alla fine del XIX secolo, ossia già un ventennio
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introduce allo studio del suo strumento, che però il figlio non coltiverà mai con molta
passione, preferendogli, già all‟età di sei anni, il violoncello.
In quegli stessi anni al padre viene affidato un incarico alla Cappella di Corte di
Dresda e così la famiglia Kummer si trasferisce. Nel 1811 l‟allora quattordicenne Friedrich
compie il primo grande incontro della sua vita: proprio in quell‟anno infatti, una delle figure
più eminenti e riconosciute del panorama violoncellistico del tempo, Justus Johann Friedrich
Dotzauer (1783 – 1860), allora neanche trentenne, inizia la sua brillante carriera
nell‟Orchestra della Cappella di Corte. È grazie a questo incontro, dunque, che Kummer
ottiene il suo primo vero insegnante di violoncello.
Già al tempo della stagione 1812-13, Kummer aveva partecipato a numerose prove e
recite con l‟Orchestra dell‟Opera con l‟incarico di aggiunto. Un anno più tardi viene ammesso
alla Cappella di Dresda ma, non essendovi ruoli vacanti come violoncello, gli viene affidato il
posto di oboista12.
È tanta però l‟abilità e la determinazione di questo ragazzo che Carl Maria von Weber,
giunto a Dresda per supervisionare i lavori per il Reale Teatro dell‟Opera, ne rimane
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François-Joseph FÉTIS (Mons, 25 marzo 1784 – Bruxelles, 26 marzo 1871) è stato un musicologo,
compositore e docente belga. Studiò al conservatorio di Parigi dove dal 1821 insegnò contrappunto e fuga. Nel
1833 divenne direttore del conservatorio di Bruxelles. Scrisse la monumentale Biographie universelle des
musiciens et bibliographie générale de la musique in 8 volumi, vera miniera di notizie storiche e aneddoti.
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Mi pare qui doveroso aprire una piccola parentesi che vuole anche essere un confronto tra due mondi che da
un lato sono così vicini ma dall‟altro così lontani: il nostro XXI secolo e il XIX secolo di Kummer. Al giorno
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d‟oggi un violoncellista che non trova posto in un‟orchestra per i più svariati motivi è un violoncellista
disoccupato; all‟epoca di Kummer si era in grado di suonare almeno un altro strumento, e non a livello
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dilettantistico. Ricordiamoci ancora che, almeno fino all‟età di 20 anni, Kummer fu abile tanto nell‟oboe quanto
nel violoncello!
FRIEDRICH AUGUST KUMMER (1797-1879)
profondamente colpito e insiste per un suo inserimento nell‟orchestra del Teatro, cosa che
avviene nel 1814.
A partire dal suo lancio grazie a Weber, negli anni ‟20 e ‟30 vediamo apparire
Kummer in numerosi recital solistici e non solo nella sua Dresda, ma anche a Lipsia, Berlino,
Weimar, Rudolfstadt. A questo punto la sua carriera prende slancio e lo possiamo seguire solo
grazie alla scia che lasciano gli applausi da lui riscossi nelle sale di Vienna, Praga, Milano,
Copenhagen e altre città ancora. Proprio in quegli anni lo scopriamo persino a rivaleggiare
con altri due grandi solisti del violoncello di allora: BORER e nientemeno che il suo grande
maestro Romberg, il quale senza dubbio sarà stato estremamente orgoglioso di vedere un suo
allievo affiancarlo e superarlo nella carriera solistica!
13
Alexander Nikolayevich SEROV (23 gennaio 1820 – 1 febbraio 1871) fu un compositore e critico musicale
russo. Egli non fu solo uno dei più importanti critici musicali nella Russia tra gli anni ‟50 e ‟60 del XIX secolo,
ma anche il più significativo compositore d‟opera russo negli anni tra la Rusalka di Dargomyžskij e le opere
25
14
Violinista, compositore e direttore d‟orchestra (Dresda, 22 luglio 1808 – ivi, 12 aprile 1878). Entrò
nell‟orchestra di corte nel 1823 come aspirante; nel 1831 il re gli diede modo di perfezionarsi a Parigi e, tornato
FRIEDRICH AUGUST KUMMER (1797-1879)
insieme con Karol LIPINSKY15. In duetto Franz Schubert e Kummer appaiono ripetutamente,
incantando il pubblico dei concerti col loro splendido istinto cameristico.
a Dresda nel 1833, continuò l‟attività nell‟orchestra, giungendo nel 1861 al posto di primo violino e terminando
il servizio nel 1873. Tra le sue composizioni vogliamo ricordare i due Duos concertants per violino e
violoncello, in collaborazione con F. A. Kummer.
15
Karol Józef LIPINSKI: compositore e violinista (Lublino, 30 ottobre 1790 – Leopoli, 16 dicembre 1861), fu uno
dei più grandi violinisti virtuosi della prima metà del secolo XIX e rappresentò uno dei più importanti anelli
della scuola violinistica polacca, proseguita poi da H. Wieniawski. Nel 1839 accettò l‟incarico di Konzertmeister
a Dresta dove, dopo aver riorganizzato l‟orchestra di corte, si dedicò prevalentemente alla musica da camera e
all‟insegnamento, avendo come allievo, fra gli altri, proprio Wieniawski. Chopin lo definì “il Paganini polacco”.
26
16
Aleksej Fëdorovič L’VOV: violinista e compositore (Tallinn, 5 giugno 1798 – Kaunas, 29 dicembre 1870). Fu
Pagina
aiutante maggiore dello zar Nicola I e nel 1840 fu a Parigi e a Lipsia applaudito concertista. Fondò un Quartetto
e la “Società dei Concerti” (1850) e fu assiduo collaboratore di Fétis. Compose tra l‟altro l‟inno nazionale russo
Dio salvi lo zar in uso fino al 1917- Nel 1861, divenuto sordo, abbandonò la carriera musicale.
FRIEDRICH AUGUST KUMMER (1797-1879)
Dotzauer, e rimanendovi fino al 1864 quando, durante i festeggiamenti per il 50° anniversario
di permanenza nell‟orchestra, annuncia la sua intenzione di ritirarsi.
Con l‟apertura del Conservatorio “Carl Maria von Weber” a Dresda nel 1856 si apre
anche un nuovo paragrafo nella vita di Kummer, quello dedicato all‟insegnamento. Viene
invitato proprio in quell‟anno ad occupare la cattedra di insegnante di violoncello principale
in quell‟istituzione, posto che occuperà fino alla morte, avvenuta il 22 agosto 1879. Tra i suoi
allievi possiamo ricordare i suoi nipoti Ernst (1824-1860) e Max (1842-1871), Carl FUCHS17,
Bernhard Cossman, Johann A. J. Goltermann, Arved Poorten, Richard Bellman e, secondo
alcune fonti, anche Robert Haussmann.
Come si può procedere a un ritratto generale del modo di suonare di Friedrich August
Kummer? Fortunatamente abbiamo le testimonianze dell‟epoca, testimonianze di amici,
colleghi o critici musicali.
Kummer si distingue per la sua grande compostezza quando esegue passi di grandioso virtuosismo.
Ma la sua caratteristica principale è il suonare elegiaco, come meravigliosamente Kummer lo
riesce a rivelare, e quanto spesso riesce a trasportare l‟ascoltatore in questo spirito.
17
Carl FUCHS: (Offenbach, 3 giugno 1865 – Manchester, 9 giugno 1951). Iniziati gli studi di violoncello sotto
27
Pietroburgo a partire dal 1886. Si stabilì in seguitò a Manchester, ove fu professore di violoncello al Royal
Northern College of Music, solista nell‟Orchestra Hallé e membro del Quartetto Brodsky.
FRIEDRICH AUGUST KUMMER (1797-1879)
Edmund van der STRAETEN18 considera Kummer uno dei più grandi violoncellisti
tedeschi del suo tempo, affermando che «diede un notevole contributo all‟ulteriore sviluppo
dell‟arte del violoncello». Possedeva uno stile classico di esecuzione e caratteristiche del suo
modo di suonare erano una sonorità grande e nobile, oltre ad uno sconfinato virtuosismo. Era
tuttavia estraneo alla più leggera e brillante tecnica dell‟arco caratteristica della
contemporanea scuola belga e francese.
Il violoncellismo di Kummer porta lo stampo di una grande precisione e correttezza, unità ad una
potente e stabile intonazione. La sua tecnica è accuratamente coltivata in ogni sua sfaccettatura, ma
egli era di natura troppo semplice per acquisire la „finesse‟ di un virtuoso, natura che si trovava più
a suo agio nell‟occuparsi della sfera della musica nei suoi aspetti intellettuali che
nell‟espressionismo brillante. […] La sua maniera di interpretazione era sempre strettamente
oggettiva e fedele alla regola.19
A giudicare dal suo metodo per violoncello, pubblicato nel 1839, lo scopo principale
di una persona che si appresta allo studio del violoncello, è quello di ottenere un suono pieno
e potente ma assolutamente non rigido. Egli enfatizza il carattere dei mezzi espressivi dello
strumento:
A causa del suo bellissimo suono [il violoncello] è, più di ogni altro, adatto a toccare l‟anima e il
cuore dell‟ascoltatore, ma solo se suonato con l‟anima e con il cuore. […], poche note suonato
sono talvolta parecchio più efficaci rispetto a tanti passaggi elaborati; il violoncellista dovrebbe
quindi evitare ogni sovraccarico di abbellimenti &c. – di certo essi possono mutare la forma di una
composizione, forse possono abbellirla, ma non possono mai soffiarci dentro la vita.20
Il punto di vista di Kummer, sia come violoncellista sia come interprete, sullo scopo
del virtuoso, è assai caratteristico:
[…] la più alta vocazione del virtuoso è: di impregnare di vita e di spirito, con la sua esecuzione, il
corpo, che il compositore ha costruito a partire dalle note. Il potere per ottenere questi obiettivi
deve giacere nella mente dell‟artista; deve essere il risultato della sua immaginazione e dei suoi
sentimenti, i quali si dimostreranno purissimi e sommamente nobili, solo quando irradieranno
naturale e incontaminata semplicità21.
18
Violoncellista, compositore e scrittore di musica tedesco naturalizzato inglese (Düsseldorf, 29 aprile 1855 –
Londra, 17 settembre 1934). Studiò il violoncello a Colonia ed esordì nel 1875 come solista. Lo si ricorda per
aver fondato, nel 1890, una rivista a tutt‟oggi pubblicata con grande successo in tutto il mondo, «The Strad».
28
19
W. von WASIELEWSKI, Das Violoncell und seine Geschichte, Lipsia 1899
20
Pagina
F. A. Kummer, Violoncello School for Preliminary Instruction, rev. Alfredo Piatti (1877), ed. Friedrich
Hofmeister, Leipzig, pag. 29, trad. Michele Galvagno.
21
Ibidem, pag. 29-30, trad. Michele Galvagno.
FRIEDRICH AUGUST KUMMER (1797-1879)
La figura della posizione da mantenere con lo strumento fornita nel metodo è, per
molti aspetti, simile a quella fornita da Dotzauer; appare però più naturale, sebbene la
posizione bassa del gomito destro sia ancora caratteristica (non bassa come nel trattato di
Romberg ma più bassa di quella di Dotzauer).
29
Pagina
FRIEDRICH AUGUST KUMMER (1797-1879)
Kummer scolpisce la posizione della mano sinistra sulla scala di Do maggiore. Nella
scala cromatica, la diteggiatura di Kummer, così come quella di Dotzauer, è più avanzata
rispetto a quella di Romberg.
Il paragrafo dedicato alle corde doppie è abbastanza attenuato; si può pensare che
questa mancanza sia dovuta alla ricchezza di bicordi di cui è costellata la sua letteratura. Una
30
tavola degli armonici naturali viene presentata nel metodo, dove sono descritti anche gli
Pagina
armonici artificiali.
FRIEDRICH AUGUST KUMMER (1797-1879)
Il metodo di Kummer segue formalmente la struttura dei metodi strumentali fin dal
periodo Rinascimentale: ad una prima parte prettamente tecnica e di descrizione dello
strumento, della posizione e della prassi esecutiva, segue una seconda parte di letteratura
didattica. Quest‟ultima sezione del metodo è musicalmente assai più interessante della
corrispettiva nel metodo di Dotzauer, e viene presentata corredata dall‟accompagnamento di
un secondo violoncello, cosa che verrà presa ad esempio da molti altri trattatisti dell‟area
germanica e che, nell‟area francese, ne aveva visto un validissimo esempio in Jean-Louis
DUPORT (Parigi, 4 ottobre 1749 – ivi, 7 settembre 1819) il quale, nella seconda parte del suo
ESSAI sur le Doigtée de Violoncelle et sur le Conduite de l’archet, dédié aux professeurs de
Violoncelle, inserisce i famosi «Ventuno esercizi per due violoncelli»
Kummer presenta 101 studi nella sua seconda parte e un gran numero di esercizi
melodici – dal n° 67 al n° 79 – vengono inseriti in una sezione chiamata «Übungen im
Vortrag» ossia «Esercizi di interpretazione»: questi esercizi, di spirito romantico e con ampi
riferimenti ai contemporanei Mendelssohn e Spohr, risultano assai utili per l‟allenamento in
una sana conduzione della linea melodica. Una grande qualità di Kummer, che traspare da
queste pagine, è una profonda umiltà nel rendere il dovuto merito ai lavori dei suoi colleghi,
senza mai insinuare di essere l‟unica ed assoluta autorità nella didattica del violoncello del
tempo. Fra le tante altre composizioni didattiche di Kummer ci sono gli Esercizi Giornalieri
op. 71 e op. 125, i duetti per due violoncelli da essere suonati a prima vista e un gran numero
di studi (ricordiamo i Dieci studi melodici op. 57 e gli Otto grandi studi con
accompagnamento di secondo violoncello ad libitum op. 44 che ancora oggi mantengono un
alto valore pedagogico). Kummer introduce un interessante nuovo metodo nel suo
insegnamento, dividendo il suo materiale tra Repertorium e Orchesterstudien, una collezione
di frammenti tratti da difficili parti orchestrali, purtroppo andata perduta.
cantare.
Pagina
FRIEDRICH AUGUST KUMMER (1797-1879)
Op. 126: 6 duetti a due violoncelli per principianti in ordine progressivo di difficoltà
fino all‟apprendimento del capotasto.
Op. 156: 6 duetti a due violoncelli
Op.157: Capriccio su melodie ungheresi - vlc., orch.
Fantasie, pot-pourris, variazioni su arie d‟opera per vlc. e orch.
Divertimenti e variazioni su arie da opere per vlc. e orch. da camera.
Divertissement senza numero d‟opus per 3 clarinetti e orch.
26 duetti per due violoncelli
Concertstück – due violoncelli
9 duetti per violoncello e altri strumenti (ctb., vla, pf.)
12 duetti per vlc. e pf. o vla. e pf. A 4 mani.
Ci si chiede ora perché questo autore sia stato dimenticato, perché sull‟enciclopedia
della UTET alla voce «violoncello» – come si diceva a inizio paragrafo – il suo nome
scompaia in un misterioso buco di cinquant‟anni che separa Dotzauer da Grützmacher. Alcuni
hanno detto (e a prima vista può sembrare una motivazione validissima) che la musica di
Friedrich August Kummer era troppo “squisitamente biedermeier”22, troppo legata al suo
tempo e che, perciò, non avrebbe mai potuto sopravvivere, non presentando al suo interno
aspetti assoluti ed eterni come quella proposta da Schumann o da Schubert. Sarebbe però
interessante confrontare alcuni passaggi melodici dei tre autori: a mio avviso non sarebbe una
lotta così scontata e impari. Ciononostante, per quanto la suddetta affermazione sia stata resa
vera dalla storia, ritengo tale giudizio profondamente ingiusto.
Dal punto di vista del successo Kummer è fortunato in vita: è un divo, il suo suono e la
sua fama fanno il giro dell‟Europa, i giornali recano titoli entusiastici dei suoi concerti, in cui
il pubblico lo chiama a rientrare quattro, cinque volte dopo la fine. L‟orchestra in cui suona a
Dresda viene riconosciuta perché c‟è lui a suonarvi! E ancora … Nel 1877, quando Kummer
ha ormai 80 anni e un certo violoncellista di nome Carlo Alfredo PIATTI (Bergamo, 8 gennaio
22
Il Biedermeier è un movimento artistico nel periodo storico che intercorre tra il 1815 ed il 1848. Molto in voga
tra la borghesia tedesca e austriaca, viene spesso definito di genere romantico. Questo stile nacque come
contrapposizione al cosiddetto Stile Impero, nel periodo immediatamente successivo al Congresso di Vienna
(1815), di cui riprende una decisa "voglia di normalità". Soprattutto per questa ragione, il Biedermeier è stato
33
spesso definito come lo stile della Restaurazione. Lo scopo che sottende allo stile Biedermeier infatti è
valorizzare la sobrietà e l'armonia, mutuando parte dei motivi stilistici dal periodo precedente, ma spogliandoli di
Pagina
1822 – Mozzo, 18 luglio 1901) porta avanti un‟ormai affermata carriera di grande solista
virtuoso in tutto il mondo, l‟editore Friedrich Hofmeister di Lipsia chiede proprio al Signor
Piatti di curare una riedizione del metodo per violoncello di Kummer. Egli accetta e sul
frontespizio della nuova edizione leggiamo:
Molti studi di Kummer, inoltre, vedono il loro inserimento nello stesso metodo per
violoncello pubblicato da Piatti e, senza alcun dubbio, quest‟ultimo deve gran parte dei suoi
clamorosi successi all‟esecuzione di brani proprio di Kummer. A sostegno di questa ipotesi,
desidero riportare alcuni frammenti degli articoli di giornale dell‟epoca:
Alfredo Piatti, che tanto onora il Conservatorio di Musica di Milano, istituzione sì feconda di
valenti istomentisti, da pochi giorni giunto a Vienna, ove superò una lunga e pericolosa malattia,
ieri sera al teatro Ungarese venne accolto colle più festose acclamazioni e quasi ad ogni frase del
nuovo concerto di Kummer, e della Fantasia sulla Lucia di squisita sua composizione, proruppero
universali applausi, e dopo ciasun pezzo venne ridomandato per quattro o cinque volte […]24
BERLINO. Döhler e Piatti. Questa artistica coppia, lustro dell'Euterpe italiana, nella dotta capitale
della Prussia ha conseguito un successo straordinario. I due celebri concertisti qui giunsero verso la
metà di novembre ed il giorno 16 dicembre avean già dato sei concerti. Prima di recarsi in Russia
34
Pagina
23
Da Gazzetta Provinciale di Pavia, 15 maggio 1841
24
Da Gazzetta Musicale di Milano, 6 agosto 1842, pag. 140
FRIEDRICH AUGUST KUMMER (1797-1879)
si producevano altre due o tre volte onde i voti de' loro ammiratori venissero appagati. Tutti i
giornali di Berlino ne parlarono col maggior favore. Eccone vari brani. "Il Concerto dato al 1
dicembre all'Accademia del canto da Döhler e Piatti come i precedenti riuscì di brillantissimo
effetto. I due suonatori, che con uguale maestria san trattare il proprio istomento, nella gran sonata
in la per pianforte e violoncello di Beethoven diedero prova di quella precisione e delicatezza che
tanto caratterizza la loro bravura. […] "Piatti si meritò pari onore per l'esecuzione di una fantasia
di Kummer e di un Souvenir della Beatrice di Tenda, ne' quali pezzi egli sviluppò un suono sì
soave e sì espressivo da pareggiare i migliori cantanti, confermando l'opinione da noi già emessa
sul suo conto che senza dubbio può stare a lato del Servais, se pure non lo supera. Piatti non suona
soltanto il violoncello, ma sul violoncello suona ogni sorta d'istromenti. Un altro giornale così si
esprime: "Noi abbiamo udito Bernard Romberg, Servais, Dotzauer, Ganz, Kummer: sotto ogni
rapporto Piatti gareggia con queste sommità; nessuno poi ci seppe rendere le melodie meglio di
lui"25
E queste non sono che alcune citazioni dalla cronaca dell‟epoca. Per tornare, appunto,
alla riflessione precedente, ci si chiede perché un così grande autore, che teneva
tranquillamente testa nei programmi da concerto al signor Beethoven, dopo la morte avvenuta
sul finir dell‟agosto 1879, gradualmente scomparve. Non mi pare motivo sufficiente il notare
che dopo di lui la famiglia a poco a poco si sgretolò e andò a scomparire con Alexander,
violinista che studiò al Conservatorio di Dresda e che prestò poi la sua attività a Londra. Ciò
che secondo me merita di essere sottolineato è come egli non fosse comunque un episodio
isolato: ogni strumento all‟epoca aveva il suo rappresentante virtuoso e il didatta che per
primo aveva desiderato portare al di là dell‟immaginabile i confini dello strumento. Certo,
Kummer non fu il primo nel suo genere ma, e questo non lo si può negare, ebbe un merito che
la maggior parte dei suoi colleghi, soprattutto in ambito violoncellistico, non ebbero: i suoi
pezzi, seppur di un virtuosismo assoluto e di una difficoltà trascendentale, sapevano
mascherare quest‟ultima dietro una cantabilità degna dei più grandi operisti, e questa fu, a
parer mio, la sua grande abilità.
Ricollegandomi al Biedermeier di cui parlavo prima, non ritengo assolutamente che gli
studi scritti da Dotzauer o da Grützmacher siano più ricchi musicalmente e/o più utili di quelli
di Kummer: in primo luogo non più ricchi perché in entrambi i casi si badava solo ed
esclusivamente all‟aspetto tecnico dello studio, senza minimamente preoccuparsi del fatto che
un povero studente avrebbe dovuto passarci le ore sopra. In secondo luogo non più utili
perché, laddove gli studi di Dotzauer sopperiscono alla minor qualità con la quantità (si sta
parlando dei 150 studi, ridotti in edizione moderna a 113 negli ormai celeberrimi quattro
volumi editi dalla Peters), quelli di Grützmacher non costituiscono uno strumento pedagogico
35
utile e soprattutto pratico per il violoncellista che stia cercando di risolvere i suoi problemi
Pagina
25
Ibidem, 12 gennaio 1845, pag. 8
FRIEDRICH AUGUST KUMMER (1797-1879)
tecnici di base, trattandosi di composizioni che, al giorno d‟oggi, verrebbero definite quasi
“cinematografiche”. Kummer, d‟altro canto, non solo scrisse numerosissimi studi di squisita
fattura, ma in tutti i suoi pezzi da concerto inserì vere e proprie maree di spunti di studio i
quali, ad un occhio poco attento, potevano sembrare tutti uguali, niente di nuovo rispetto ai
suoi predecessori, ma che, ad un‟analisi più approfondita, portavano alla scoperta di una
grande verità. Ed è con questa verità, che è una citazione del grande maestro André Navarra a
me giunta tramite il professor Marcio Carneiro durante una lezione presso l‟Académie “Tibor
Varga” di Sion (Svizzera), che chiudo questo paragrafo incentrato sulla figura finora
ingiustamente ignorata di Friedrich August Kummer:
… una tecnica non si fa con cinquecento note, una tecnica si fa perché si risolve un problema
tecnico in due note a perfezione!…26
36
Pagina
26
Rimando al capitolo III sulla Didattica per la spiegazione di questa frase in riferimento a Kummer.
Capitolo II
1. IL CONCERTO BRILLANT OP. 10 PER VIOLONCELLO E ORCHESTRA (O
PIANOFORTE O QUARTETTO D’ARCHI)
l‟editore Breitkopf & Hartel (pubblicazione datata 1830) il suo primo concerto per violoncello
e orchestra, denominato «Brillant». Agli occhi dell‟impaziente lettore possono sembrare due
eventi totalmente scollegati e, in effetti, senza un‟accurata e profonda indagine non è possibile
trovare alcun nesso evidente, poiché questo concerto non ricevette alcuna esecuzione né
registrazione se escludiamo appunto quelle donate dal suo autore negli anni seguenti la
pubblicazione. Al fine di sciogliere questo nodo inserisco un brevissimo episodio di storia
personale.
Nel concerto di Kummer, invece, esso introduce una nuova idea tematica e si presenta
in sol minore, tonalità costruita sul secondo grado della tonalità d‟impianto Fa maggiore.
Come vedremo nella seguente analisi, questo secondo tema verrà poi esposto dal violoncello
in Do maggiore, tonalità della dominante e quindi più consueta per un secondo tema mentre
qui il Do maggiore arriva qualche battuta dopo quasi in risoluzione tonale di questo sol
minore. A livello di armonia funzionale la struttura è la stessa del frammento beethoveniano e
si muove tra tonica e dominante su un pedale di tonica di violoncelli e contrabbassi e
fermandosi su una tesa nona di dominante.
40
Pagina
CONCERTO BRILLANT OP. 10
alla volta, infatti, mentre la Sonata da Chiesa assume la sua forma definitiva con l‟adozione
CONCERTO BRILLANT OP. 10
della forma in tre movimenti – Allegro, Adagio, Allegro – pure la Sinfonia e il Concerto si
avvalgono di questo sistema. Con l‟affermazione del Classicismo dalla seconda metà del
Settecento e soprattutto nella zona austro-tedesca le Sonate da Chiesa e da Camera – fino ad
allora saldamente impiantate sul modello della sonata monotematica bipartita (seppur con
qualche tentativo evoluzionistico) – gradualmente scompaiono, lasciando spazio a un nuovo
gigante della musica che da allora fino al secondo decennio del Novecento domina
incontrastato e quasi immutato: la forma-sonata. Come già rilevato in precedenza, la forma
bitematica tripartita non nasce come un fiore dal ghiaccio ma evolve dalla progressiva
emancipazione, all‟interno della prima parte del primo movimento delle composizioni che
prendono il nome di Sonata, Sinfonia o Concerto, di due zone tonali ben distinte,
corrispondenti generalmente alla tonica e alla dominante. Da questa distinzione
esclusivamente armonica e che possiamo riscontrare, ad esempio, nei Quartetti (Divertimenti)
per archi op. 20 di Franz Joseph HAYDN (Rohrau, 31 marzo 1732 – Vienna 31 maggio 1809),
si passa ad una più improntata sulla melodia. La zona corrispondente alla tonalità della tonica
prende così il nome di PRIMO TEMA mentre quella della dominante (o altro tono vicino) di
SECONDO TEMA, con un collegamento atto a consentire la maturazione della situazione tonale
chiamato PONTE MODULANTE. Dopo il secondo tema viene lasciato spazio a una parte,
chiamata CODETTE, che serve e da chiusura della prima parte – chiamata ESPOSIZIONE in
quanto espone le due idee tematiche sulle quali si basa in un certo senso tutta la sonata – e da
introduzione della seconda parte chiamata SVILUPPO. Essa può avere due diversi caratteri, di
autonoma idea tematica (a volte chiamata «terzo tema») o di libera rielaborazione del
materiale precedentemente esposto. In quasi tutti gli esempi di Sonata del periodo Classico la
parte dell‟esposizione è ritornellata al fine di consentire ai materiali tematici di penetrare più a
fondo nell‟animo dell‟ascoltatore, permettendogli di conseguenza una più chiara
comprensione del loro successivo sviluppo. Proprio nella seconda parte i materiali
appartenenti ai due temi e alle codette vengono ripresi, stravolti, sviluppati, nascosti in mezzo
a materiale estraneo tramite un processo compositivo noto come «variazione». Non si può
stabilire con precisione meccanica e fine a se stessa quanto questa parte debba essere estesa
poiché ogni compositore usa un suo unico e particolarissimo stile. Terminato lo Sviluppo è il
momento della Ripresa, parte in cui i due temi – o, in alcuni casi solo il secondo – vengono
riproposti esattamente come nell‟Esposizione tranne che per una sostanziale differenza: il
Secondo Tema è nella tonalità d‟impianto. Ne consegue che il Ponte Modulante parta dalla
42
tonica per ritornare poi, dopo un viaggio generalmente più corto rispetto all‟Esposizione, alla
Pagina
tonica stessa. Finita questa parte rimane da terminare il primo movimento, fatto che,
CONCERTO BRILLANT OP. 10
ovviamente, non può accadere con due accordi lanciati nel vuoto; questa parte anzi,
denominata CODA, viene spesso utilizzata dai compositori come zona in cui esprimere tutta
l‟inventiva che poteva essere stata trattenuta nella parte precedente. Vengono ripresi materiali
dei due temi, delle codette così come dello sviluppo, rimescolati spesso con risultati quasi
irriconoscibili, giungendo così alla fine del movimento.
Gli altri movimenti, due o tre senza una regola precisa, assumono gradualmente un
contorno più definito man mano che ci si porta avanti col tempo. Il secondo movimento,
generalmente un Adagio o movimento a carattere lento, rappresenta spesso un‟oasi della lirica
poiché il solista – nel caso la composizione prenda il nome di Concerto – o vari strumenti
nell‟orchestra hanno qui occasione di esibire le loro doti melodiche e espressive. Varie forme
possono essere utilizzate dai compositori per questo movimento, la più semplice delle quali è
la canzone binaria, caratterizzata da una prima parte [A] che matura dalla tonica alla
dominante, nessuna stanghetta di separazione e direttamente la ripresa ricca di ornamentazioni
[A‟]. Può avere la forma di una canzone ternaria, occasionalmente trasformata in forma-
sonata, che rappresenta ciò che nel Romanticismo viene definita «forma romanza». È divisa in
tre parti (A-B-A), la prima delle quali può ancora presentare una divisione in tre sezioni (a-b-
a). La parte [B] espone una nuova idea in un tono vicino mentre [A] consiste in una ripresa,
spesso arricchita da ornamentazioni. È possibile trovare anche una forma di tema con
variazioni che, se in questa sede presenta ancora una struttura legata all‟impianto sonatistico
con riferimenti frequenti e solitamente chiari alle cellule tematiche, col tempo tende a
diventare una forma autonoma. A livello compositivo essa si costituisce di un tema la cui
struttura rimane pressoché invariata – o quantomeno simile – nelle variazioni successive (per
esempio in Beethoven restano quasi sempre inalterati i pilastri armonici della prima e della
quarta battuta). Artifici di variazione sono l‟ornamentazione, il cambiamento di modo – da
maggiore a minore, l‟ausilio, a partire dal Romanticismo, degli antichi modi greci –, il
cambiamento di metro – da binario a ternario, da semplice a composto –, la variazione
armonica, il mantenimento di qualche pilastro melodico armonizzato però in modo diverso. Si
può aggiungere che più ci si allontana dal tema, più quest‟ultimo diventa irriconoscibile
all‟interno della variazione stessa, soprattutto per la frequente inserzione di elementi
virtuosistici. Questo secondo movimento può avere inoltre una forma di marcia funebre: essa
è una forma tripartita costituita da due parti estreme in minore generalmente uguali tra di loro
43
e da una centrale intitolata «Maggiore» e separata dalle adiacenti da una doppia stanghetta e
dal cambio di armatura in chiave. A livello puramente descrittivo si può affermare che le due
Pagina
parti [A] estreme di questa forma rappresentino il pianto dei parenti o dei compagni del
CONCERTO BRILLANT OP. 10
dedicatario della marcia (es. Marcia funebre in morte di un eroe dalla Sonata per pianoforte
op. 26 no. 12 di Ludwig van Beethoven), mentre la parte centrale può essere riferita a ciò che
di bello e buono il compianto fece in vita. L‟intera Marcia Funebre può assumere e assumerà
nel corso della storia della musica connotati umoristici anche grotteschi, come nel caso della
Marcia Funebre ispirata da Il Funerale del Cacciatore, fiaba molto nota fra i fanciulli
dell'Impero Austro-Ungarico alla fine dell'Ottocento che narra del corteo funebre di un
cacciatore al quale partecipano gli animali della foresta e inserita da Gustav MAHLER
(Kalischt, 7 luglio 1860 – Vienna, 18 maggio 1911) nella sua Prima Sinfonia. Infine può
ancora assumere una forma di Rondò, forma più tipica dell‟ultimo movimento della sonata ma
che a volte può anche essere inserita al centro. Esso presenta una struttura di tipo (A-b-A-c-A
+ coda) in cui l‟elemento [A] torna sempre più o meno variato; esempio illustre ne è il
secondo movimento della Sonata «Patetica» op. 13 no. 8 di Beethoven.
Per quanto riguarda il terzo movimento, invece, non ci sono mai state troppe diatribe
sulla sua forma, saldamente stabilizzata su quella del Minuetto con Trio. Esso rappresenta uno
dei pochi movimenti della sonata ad aver mantenuto il nome di danza e la forma tripartita
Minuetto – Trio – Minuetto. Il minuetto presenta un metro ternario semplice e un movimento
moderato a carattere ballabile con la possibilità di essere a sua volta suddiviso il tre sezioni
più minute (a – b – a). Di queste [a] è nel tono d‟impianto e formata da uno o due periodi con
cadenza in un tono vicino e solitamente ritornellata, [b] rappresenta una specie di sviluppo e
[a] è una ripresa che va a cadenzare nel tono d‟impianto. Da questa breve descrizione si
evince il carattere chiuso di questa forma. Il Trio è un pezzo contrastante impiantato in un
tono vicino – in origine era più corto e così chiamato perché presentava un numero minore di
strumenti (generalmente tre) – con forma binaria (A – B) ritornellata. Segue quindi
nuovamente il Minuetto senza ritornelli. Con il passare del tempo il Minuetto si velocizza e
prende il nome di Scherzo, il quale nient‟altro è che lo stesso Minuetto accelerato e con un
carattere più brillante e spesso virtuosistico. Nello Scherzo il ritmo di danza si perde per la
maggiore velocità e il numero di battute va almeno a triplicarsi per sopperire alla durata
inferiore rispetto al Minuetto. Lo troviamo molto spesso nelle sinfonie in cui assume la veste
di pezzo molto caratterizzato, dove l‟ironia può prendere piede con grande facilità.
Il quarto movimento, infine, segue due strade principali: può ricalcare la forma del
primo movimento, ossia bitematica tripartita ma, solitamente, invece di avvalersi
44
dell‟opposizione in senso drammatico dei due temi, impiega spesso due temi brillanti e
Pagina
carattere necessario a terminare l‟intero lavoro oppure può impiegare lo schema formale del
Rondò con un utilizzo dei materiali tematici adattato questa volta al tempo allegro finale. Il
finale di una qualsiasi opera musicale tende per natura a una notevole amplificazione ed è
solito presentare, a conclusione del Rondò, una coda di notevoli dimensioni. Unione di queste
due possibilità e quindi ipotetica terza via percorribile dal quarto movimento è quella che
prende il nome di Rondò – Sonata. Questa forma si costituisce di tre parti che possono
prendere lo stesso nome delle corrispettive del primo movimento. Nell‟esposizione troviamo
un ritornello che funge da ipotetico primo tema, un passaggio corrispondente al ponte
modulante, un secondo tema in un tono vicino – spesso dominante o relativo maggiore – il
quale però generalmente non si discosta caratterialmente dal ritornello. A questo seguono
delle codette che riportano l‟impianto tonale a quello iniziale giusto in tempo per vedere una
nuova inserzione del Ritornello. La seconda parte viene anche chiamata «svolgimento» e
ricopre grosso modo lo stesso ruolo e funzione che lo sviluppo ricopriva nel primo
movimento, anche se spesso farcito da spunti virtuosistici. Un pedale di dominante riconduce
al tono d‟impianto e assistiamo alla ripresa della prima parte coronata da una coda spesso di
notevole ampiezza.
Il Concerto Brillant op. 10 di Friedrich August Kummer segue il modello della forma
in tre movimenti, che l‟autore intitola Allegro brillante, Adagio espressivo ma non tanto lento
e Rondò scherzoso – Allegro molto. La prima nota d‟interesse la troviamo sul frontespizio in
cui, come già rilevato nell‟introduzione, l‟autore intitola la sua composizione Concerto
Brillant per violoncello e orchestra o pianoforte. Proprio questa dicitura lo rende differente da
tutti i concerti – almeno per violoncello – composti fino ad allora e, almeno nell‟area tedesca,
non ci sono testimonianze simili di altri autori. Ancora più importante è che la riduzione
pianistica non è pensata per lo studio come nel caso dei concerti di Schumann, Elgar e simili,
ma è una versione differente pensata e partorita direttamente dall‟autore. Sempre sul
frontespizio leggiamo la seguente frase (già inserita nell‟introduzione):
45
Nel mio lavoro di realizzazione di queste tre edizioni è stato necessario così integrare le parti
Pagina
degli archi con le guide aggiunte dall‟autore. Con una sola edizione per orchestra egli ne
CONCERTO BRILLANT OP. 10
pubblica quindi due: al prezzo di una singola parte per violoncello con le parti staccate (non è,
infatti, presente la partitura, cosa assai consueta all‟epoca) ci si portava a casa anche la parte
per quartetto d‟archi. Un altro compositore che utilizza questo artificio è colui che può essere
definito il corrispettivo di Kummer dell‟area belga, Auguste Franchomme, autore di numerosi
quintetti per violoncello e quartetto d‟archi.
La durata complessiva è quindi stimata tra i 26‟50‟‟ e i 28‟30‟‟. Stimata perché al momento
una registrazione di questo pezzo non esiste e la prima esecuzione assoluta in riedizione
moderna avverrà nel giorno di discussione della presente tesi, nella versione per violoncello e
pianoforte. Di conseguenza la durata indicata per prima è quella che viene fornita
dall‟esecuzione del software Finale, mentre la seconda è quella presunta dall‟interpretazione
di numerosi passaggi virtualmente ineseguibili – nonché musicalmente non accettabili –
esattamente a tempo. Non essendo presenti sulla parte originale indicazioni metronomiche, ho
dovuto, in fase di edizione, fornirne di mie affinché il software suonasse le note da me scritte.
Dopo diverse prove ho stabilito che una pulsazione ottimale potesse essere 108 pulsazioni al
minuto, poiché l‟aggettivo «brillante» non va assolutamente inteso in prospettiva
metronomica ma di carattere. L‟intero pezzo è di carattere molto brillante e l‟allegro iniziale
lo denota in modo ancora più incisivo: starà ovviamente alla bravura dell‟interprete spezzare
una lancia in favore della volontà dell‟autore.
Nei concerti con strumento solista del periodo classico e primo romantico,
l‟esposizione è doppia, ossia enunciata in maniera abbreviata e soprattutto non uguale in ogni
aspetto tematico e armonico dall‟orchestra – e qui ci ricolleghiamo a quanto detto in
46
precedenza riguardo alle differenze tonali – e poi regolarmente ripresa dal solista con
Pagina
riguarda il violoncello, almeno fino al Concerto in la minore op. 125 di Robert Schumann che
antepone al solista solo quattro battute di introduzione. Il concerto inizia con due battute
affidate ai corni che, come un richiamo ancestrale, arpeggiano un accordo di fa maggiore –
tonalità d‟impianto del concerto – con un ritmo narrativo che è una variante brillante del ritmo
dattilico.
27
A questa semifrase di proposta ne corrisponde una di risposta degli archi. I corni, quasi a
voler affermare la superiorità della loro idea ripresentano la linea melodica precedentemente
esposta. La risposta degli archi porta questa volta all‟ingresso di tutta l‟orchestra: una nuova
linea melodica è ora affidata a flauto e clarinetto primi, con gli archi che stendono sotto di
loro un tappeto armonico di sostegno.
27
Pagina
Sono conscio del fatto che la maggior parte delle partiture presenta i fiati accorpati in un solo rigo quando essi
si presentano in coppia. Presentando Kummer due parti separate per i singoli corni, mi è sembrato doveroso, per
un lavoro filologicamente corretto, mantenere questa separazione anche in partitura.
CONCERTO BRILLANT OP. 10
Un maestoso corale sincopato dei fiati conduce all‟accordo di dominante che spiana la strada
all‟ingresso del solista. Proprio questo ingresso con un fa sulla quarta corda del violoncello
viene marcato con un «forte risoluto» dall‟autore. Un veloce accordo e il violoncello si trova
già nel registro tenorile. Un periodo occupato dal ponte modulante e dai primi virtuosismi di
riscaldamento del solista ci porta nella zona della dominante. Il secondo tema irrompe così in
tutta la sua dolcezza in un Do maggiore che, in due battute, si muta in mi minore per poi
lanciarsi, con una virtuosa scala concatenata, verso il registro acuto in una nuova, più brillante
affermazione del tema in Do maggiore seguito subito dopo dal do minore. Una rapida
trasformazione di un accordo comune ed eccoci in Mi bemolle maggiore, ma solo per poco
perché il «do (maggiore e minore)» sta a poco a poco prendendo il sopravvento e da qui alla
fine dell‟esposizione sarà solo più lui a dominare la scena in un continuo alternarsi di
virtuosismi.
Proprio dopo questa sospensione gli archi gravi riprendono la medesima idea melodica
facendo da ponte per il breve episodio del clarinetto e dei primi violini, la cui bellezza e quasi
infantile semplicità lascia senza parole ad ogni ascolto.
48
Pagina
CONCERTO BRILLANT OP. 10
Inserisco appositamente la sola parte del Clarinetto I per far risaltare il ritorno della seconda
idea tematica quattro battute dopo, quasi a voler ricordare all‟ascoltatore quali siano le linee
melodiche da riconoscere nell‟ascolto dell‟ormai imminente sviluppo. Ci stiamo
gradualmente avvicinando, tramite una breve migrazione in Mi bemolle maggiore, a un
brusco cambiamento, segnato addirittura dall‟autore con la doppia stanghetta di cambio
armatura. Appare così il do minore, dal Do maggiore in cui il violoncello trionfante aveva
concluso. Riflettiamo ora: queste due tonalità sembrano vicine, condividono la medesima
tonica, ma la differenza è assai più profonda di una semplice differenza nel terzo grado della
scala. Consideriamo, infatti, che Kummer, per portarci da una tonalità all‟altra, impiega ben
trentotto battute le quali, alla velocità indicata, rappresentano circa un minuto e mezzo di
musica; in questo spazio di tempo si succedono, ritornano, nascono parecchi elementi che non
vanno sottovalutati.
Approfitto di quest‟attimo di esitazione dovuto al cambio di tonalità per aprire una
brevissima parentesi sulla personalità di Kummer che, a mio avviso, risalta moltissimo dal
modo in cui egli dà l‟abbrivio allo sviluppo nella parte del violoncello. Come si può vedere
dall‟immagine qui sotto, esso è saldamente impiantato nel registro grave e anche se, per
motivi di spazio, non è possibile inserire tutto il passaggio, appare chiaro che si tratta di un
passaggio assai lungo e faticoso da sostenere, soprattutto dal punto di vista della chiarezza
delle singole note. Si corre, infatti, il rischio di mescolare tutto in un amalgama indistinguibile
di suoni la cui mancanza di direzione e disordine vanno a cozzare contro la bellezza del
dialogo affidato agli altri strumenti.
Mentre il violoncellista si cimenta nel tentativo di far risaltare le singole note con chiarezza a
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dispetto delle ampie legature e delle indicazioni dinamiche che l‟autore inserisce, gli altri
Pagina
strumenti letteralmente si divertono a passarsi l‟incipit della melodia presentata dal flauto a
battuta 9 (vedi prima figura pag. 47). Da qui si può dedurre quanto Kummer si divertisse a
CONCERTO BRILLANT OP. 10
comporre e ancor di più quanto questo – non in senso dispregiativo s‟intende – non fosse il
suo mestiere (lo era invece quello dell‟orchestrale), bensì un amatissimo passatempo. Egli
poteva qui sperimentare, sfogare la sua creatività, trasmettere tramite la penna le influenze che
i temi operistici gli trasmettevano ogni giorno. Chiunque abbia un minimo di dimestichezza
col repertorio operistico riconoscerà già al primo ascolto di questo concerto alcune citazioni
tratte dal Don Giovanni di W. A. Mozart e dal Freischutz di C. M. von Weber.
Chiuso questo breve inciso restringo l‟obiettivo sull‟idea melodica che in questa parte
viene passata, quasi come un aquilone in balia del vento, tra tutta l‟orchestra. Ancora più
interessante è che quella linea melodica in sé e per sé permane solo in un paio di «proposta» e
«risposta» che si lanciano prima flauto e oboe e poi flauto e clarinetto; poco a poco, poi, negli
archi, si viene a formare un sottofondo armonico sempre più spesso ed intricato, in cui essi si
stuzzicano in contrappunti delicati e brevissimi – quasi fossero episodi fini a sé stessi –.
Armonicamente questa sezione che va da misura 198 a 224 è estremamente movimentata; non
complessa perché sono all‟incirca sempre le stesse armonie – è infatti un‟armonizzazione di
un basso che si muove di semitono ascendente – ma complicata per come riesce a spostarsi
con il poco materiale che ha a disposizione da do minore a re minore, Mi bemolle maggiore,
fa minore, fino al «piano cresc.» di battuta 220 in cui troviamo una settima diminuita di si
bemolle minore. Formato dalle note la-do-mi bemolle-sol bemolle, quest‟accordo acquisisce
un doppio valore poiché, se si considera il la come si doppio bemolle, viene a formarsi
l‟accordo do-mi bemolle-sol bemolle-si doppio bemolle, settima diminuita della tonalità di re
bemolle in cui infatti questo accordo va a cadenzare. Kummer dà per scontata la conoscenza
di questa regola dell‟enarmonia poiché nella parte scrive solo il la bequadro al basso
facendolo risolvere – quasi innaturalmente - su la bemolle. Questo crescendo ci porta due
battute dopo al «fortissimo» (il primo della parte solistica) con una nona di dominante di Re
bemolle maggiore, espressa quasi con violenza dall‟arpeggio del violoncello.
tornando a quella originale, anche se questa volta non indica il Fa maggiore bensì il re minore
che, tramite la tempesta scatenata dai timpani e dai fiati a battuta 232 – quasi una
Pagina
Beethoven –, irrompe grandioso e drammatico nel «Tutti» di battuta 236. Potrebbe sembrare
che, in questo punto, lo sviluppo sia terminato e ci aspetti già la ripresa; Kummer, invece,
inserisce un momento di stacco orchestrale per far rifiatare il solista e preparare la giusta
tensione per la parte in arrivo. Come dimostra la storia della musica, il punto culminante di un
primo tempo di sonata del periodo classico – romantico si trova, generalmente, nello sviluppo,
poco prima della ripresa. Al momento del ritorno del solista, al levare di battuta 244, un
piccolo accenno della prima parte dello sviluppo può essere ancora udita, subito scalzata però
da una grandiosa frase cantata che porta al culmine, dopo quattro battute di trilli quasi
esasperati e di fiati che suonano la carica, in Re maggiore.
Una meravigliosa sezione in cui il limite tra monodia e polifonia sul violoncello viene
fragorosamente infranto fa seguito a questo culmine partendo da un sommesso «pianissimo»
per arrivare, con un assai ritardato «cresc.», al «forte» che pone fine a questo sviluppo.
Sono i flauti, accompagnati dai fagotti che scandiscono il tempo (quasi fosse
l‟ingresso di una marcia trionfale), ad introdurre nuovamente il violoncello sulla scena. Questi
però, quasi altezzoso, non si cura di riprendere il primo tema, dei cui elementi si è finora quasi
abusato; riparte invece dal secondo, trasposto chiaramente in Fa maggiore. Se ora ci si ferma
un istante e si prende in mano la parte del solista, ci si rende conto che mancano ancora tre
pagine – per un totale di ottanta battute e tre minuti – alla conclusione, tre pagine fitte di
virtuosismo, senza alcun intermezzo orchestrale o pausa più lunga di un ottavo. Diventa così
ora di vitale importanza il razionamento delle energie perché da questa ripresa alla fine non ci
sarà tempo per respirare, tra scale concatenate, passaggi in capotasto tutt‟altro che automatici,
ottave, decime e, dulcis in fundo, un‟eterna scala di terze ovviamente non uguali per tipologia.
e quindi cerca di tappare i buchi laddove possibile. Nella versione per quartetto si ripete
Pagina
grosso modo lo stesso problema perché è ovvio che un tema iniziale suonato da due corni
CONCERTO BRILLANT OP. 10
Per tutto il primo periodo il canto del solista, sottolineato da un «dolce» come unica
indicazione dinamica, sono solo i quattro legni indicati a fornire il supporto armonico. Un
paragone ulteriore con il grande maestro Beethoven salta all‟occhio a ulteriore supporto di
una possibile dedica di questa composizione, nel momento in cui si osserva il finale del
movimento e lo si pone accanto a questo inizio: due accordi di la bemolle maggiore allo stato
fondamentale. Questo può far tornare alla memoria le parti estreme dell‟Allegretto, secondo
movimento della Sinfonia no. 7 op. 92 del maestro viennese che inizia e finisce con un
accordo di la minore in quarta e sesta. Ovviamente questa comparazione può essere
considerata come una nota fine a se stessa ma è doveroso inserirla poiché all‟ascolto risalta
piuttosto chiaramente.
28
Si definisce «testura» la tridimensionalità della musica, ossia quella dimensione sonora che non è percepibile
dalla partitura ma solamente all‟ascolto. Nell‟esempio presente si vuole portare l‟attenzione su ciò che tra i
Pagina
quartettisti viene chiamato « il quinto strumento » ossia il quartetto stesso, risultante dall‟unione dei singoli suoni
e dei singoli armonici dei quattro strumenti.
CONCERTO BRILLANT OP. 10
A scanso di articolazioni varie a toni più o meno vicini questa sezione [A] continua
nella tonalità d‟impianto di La bemolle maggiore fino alla fine del quarto periodo, in cui
l‟autore inserisce una doppia stanghetta e dà l‟avvio alla sezione [B] in fa minore con un
«forte risoluto» nella parte del solista. Per quanto riguarda l‟accompagnamento, esso è
affidato agli archi che presentano un ritmo quasi di marcia, con un «fortepiano» all‟inizio di
ogni battuta in una sequenza che dura per sette misure. Anche la struttura delle linea melodica
cambia, passando da una sezione che si muove tendenzialmente per gradi congiunti a una
caratterizzata da arpeggi.
È qui, alla fine del periodo, che assistiamo al passaggio armonicamente più complesso
di tutto il Concerto, anche se all‟ascolto esso risulta estremamente chiaro e semplice. Dopo
una frase di quattro battute in fa minore il centro di gravità si sposta verso si bemolle minore
poi, d‟improvviso, con una settima di dominante sottolineata da un audace salto del
violoncello e cantata dal solista, in sol bemolle minore. Pensando a quante alterazioni in
chiave possa avere sol bemolle minore, ci si rende presto conto di avere a che fare con una
tonalità teorica che presenterebbe due doppi bemolli e cinque bemolli in armatura. La
grandezza di Kummer emerge proprio qui: il si doppio bemolle – terza dell‟accordo di tonica
presente nella battuta successiva a quella presa poco sopra in esame – è presente in tale veste
solo nella parte del «violoncello principale»29, mentre nei violini secondi è indicato come la
53
bequadro. Si suppone che questa variazione sia semplicemente una semplificazione atta a
Pagina
29
Così si soleva chiamare lo strumento solista in un Concerto per strumento solista e orchestra, aggiungendo
l‟aggettivo «principale» al nome dello strumento.
CONCERTO BRILLANT OP. 10
È interessante notare che, a dispetto della prima parte in cui a una data armatura
corrispondeva un plausibile La bemolle maggiore, qui le due tonalità più possibili, ossia Do
maggiore e la minore, non compaiono fino al ritorno dell‟armatura d‟impianto, ben diciassette
battute dopo. A titolo di esempio inserisco qui la progressione armonica dei centri tonali:
Perché tutto questo? Difficile a dirsi. Una spiegazione potrebbe essere costituita dal fatto che,
non essendoci un vero e proprio centro tonale stabile in questa sezione, l‟autore abbia scelto
un‟armatura di chiave neutra, dato che le uniche altre alternative possibili erano o cambiare
armatura di continuo (il che non ha senso) o perdere letteralmente la testa nell‟annotare tutte
le alterazioni di cortesia restando in La bemolle. Prima di analizzare nel dettaglio un punto di
questa breve sezione desidero aprire una parentesi riguardo la gestione della parte del
pianoforte nella suddetta zona in sol bemolle minore. Ricordo qui che Kummer compone
personalmente la parte del pianoforte e che – ripeto ancora una volta – non si tratta di una
riduzione ma di una vera e propria parte concertante eseguibile in pubblico. Egli,
probabilmente con la stessa motivazione di comodità utilizzata per la parte dei secondi violini,
anticipa di una battuta il cambio di armatura in chiave e trasforma l‟accordo di sol bemolle
minore enarmonicamente in fa diesis minore:
54
Pagina
CONCERTO BRILLANT OP. 10
Parte dell‟orchestra:
Punti d‟interesse in questa sezione [B] sono ancora battuta 51 in cui nel primo
movimento si trovano avvicinate, pur nello stesso contesto tonale di Re, nella prima e seconda
suddivisione, un si bemolle nei secondi violini e un si bequadro preso tra l‟altro anche di salto
con un accento a sottolinearne l‟importanza nel violoncello principale. Questa figura,
caratterizzata da un salto seguito da una scala discendente «picchettata», consente al
violoncello di portarsi velocemente nel registro acuto, nel quale ora esso si ritrova a compiere
un complesso disegno arpeggiato basato su un accordo in posizione di terza e sesta con la
55
sesta che compie un‟ulteriore nota di volta superiore toccando così la settima rispetto alla nota
più grave. È una zona molto delicata sia per l‟intonazione (poiché l‟orchestra qui non fa altro
Pagina
che stendere gli stessi accordi in sesta pronunciati dal violoncello) sia per l‟interpretazione
CONCERTO BRILLANT OP. 10
armonica di gusto severo a causa della presenza di ben cinque accordi in sesta discendenti in
successione, secondo il modello compositivo del faux bourdon30. La struttura della parte del
violoncello verrà poi ripresa e variata nel secondo movimento del Concerto no. 2 in si minore
op. 104 di Antonin DVOŘÁK (Nelahozeves, Praga, 8 settembre 1841 – Praga, 1º maggio
1904). Quindi, oltre a utilizzare numerose citazioni operistiche e fungendo perciò da diffusore
di amati temi del tempo, questo concerto rappresenta anche una fonte d‟ispirazione riguardo
alle possibilità dello strumento per grandi autori quali Dvořák appunto, che scrive il suo
secondo concerto per violoncello e orchestra sessantasette anni dopo.
Qui possiamo vedere la parte del violoncello nel Concerto di Kummer (Adagio
espressivo ma non tanto lento, battute 53 - 57)
e qui la parte del Concerto di Dvořák (Adagio ma non troppo, battute 69 – 73)
30
Il falso bordone (o falsobordone) è una tecnica di armonizzazione usata nel tardo medioevo e nel primo
rinascimento particolarmente dai compositori della scuola di Borgogna. Guillaume DUFAY (1397 – Cambrai, 27
novembre 1474) fu il più grande compositore ad usare questa tecnica di composizione e probabilmente anche il
suo inventore. Nella sua forma più semplice, il falsobordone consiste in un cantus firmus e due altre parti a
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intervallo di sesta ed una quarta perfetta in basso. Per prevenire la monotonia o creare una cadenza, la voce più
bassa alcune volte scende di una ottava e ciascuna delle voci di accompagnamento può avere meno abbellimenti.
Pagina
Normalmente solo una piccola parte della composizione impiega la tecnica del falso bordone.
CONCERTO BRILLANT OP. 10
Torniamo ora in La bemolle maggiore per una nuova citazione del tema della sezione
[B], che viene conclusa con un artificio modulante molto amato da Schubert, ossia la
modulazione al relativo maggiore tramite passaggio cromatico dalla tonica (in questo caso di
fa minore) alla dominante di La bemolle maggiore.
Ritorna così la parte [A] annunciata dalla prima idea melodica e dal pizzicato degli
archi in battere. Per tutto il resto, l‟accompagnamento rimane identico come struttura, con
fagotti e clarinetti che sostengono il solista, ma con una mutazione nel ritmo: se prima si
aveva semiminima – minima in ogni battuta ora si ha una sincopazione in ogni battuta,
arricchita dai pizzicati dei violoncelli in orchestra come colonne portanti del tempio la cui
costruzione piano sta giungendo al termine. Da buon violoncellista d‟orchestra d‟opera
Kummer arricchisce la ripresa di A con numerose fioriture, cambi di registro improvvisi,
scale, arpeggi, scale di bicordi e poi, con un delicato arpeggio di la bemolle maggiore si
conclude, o meglio si torna alla situazione iniziale, con l‟accordo saldamente sostenuto dai
legni e con il violoncello che, trillando, raggiunge il la bemolle acuto conclusivo.
La passione per gli aggettivi descrittivi di Kummer viene confermata nella dicitura del
terzo movimento: Rondò scherzoso, Allegro molto. Il metro in sei ottavi con levare del
violoncello introduce il movimento in cui l‟autore – come se non l‟avesse già fatto abbastanza
– estrinseca tutta la sua fantasia in materia di virtuosismo. La forma di questo movimento è
chiaramente quella di un Rondò – Sonata, presentando, nella Prima Parte [A] un episodio [a]
iniziale di tre periodi dal carattere estremamente brillante saldamente impiantato in Fa
maggiore che funge da «primo tema». Fino al successivo episodio [b] compreso,
caratterizzato da un modulo arpeggiato coniato anni prima dal grande Romberg,
l‟accompagnamento orchestrale si fregia dei soli archi, essendo questo quasi un ingresso
trionfale del cantante sulla scena dell‟opera.
Dopo una battuta vuota per tutta l‟orchestra in cui l‟autore scrive proprio «vuota» su ogni
singola parte, clarinetti e fagotti introducono la seconda idea tematica in Do maggiore. In
questo episodio [c] legni e archi si alternano nell‟accompagnare il solista impegnato in scale
57
di ottave e intricati passaggi nel registro acuto. Con l‟arrivo dell‟episodio [d], chiamato anche
Pagina
«codette» i fiati scompaiono, lasciando agli archi il compito di sostegno. È qui che il
CONCERTO BRILLANT OP. 10
violoncello si scatena con un passaggio estremamente virtuosistico nel regno della chiave di
violino arricchito addirittura da due frasi in emiolia31. Tutta l‟abilità del solista è qui richiesta
nel senso di chiarezza e pulizia del suono, ma non solo: anche una mano di grandi dimensioni
può risultare utile, dati i non indifferenti allargamenti richiesti in questi velocissimi passaggi.
Alla fine di queste codette torna il primo tema, come già visto chiamato anche «ritornello»,
arricchito da una divertente eco del primo flauto al tema quasi da usignolo del violoncello.
A questo punto termina la prima parte del movimento e si apre l‟unico «Tutti»,
caratterizzato dall‟intervento degli ottoni e dei timpani – se si esclude il Tutti di chiusura –,
unico ma assolutamente spettacolare. Una breve progressione modulante ornata
dall‟acciaccatura dei violoncelli e dei fagotti ci porta al fa minore in cui è impiantato, con
tanto di cambio di armatura, lo «svolgimento» [B]. Viene qui ripreso il modulo arpeggiato di
cui si parlava prima nel descrivere l‟episodio [b] della parte [A]. Per oltre trenta battute il
violoncello si cimenta in questo artificio virtuosistico, la cui principale difficoltà rimane
ancora una volta la necessità di mantenere una chiarezza complessiva. Ciò che rende
interessante questa sezione non è però la struttura della parte violoncellistica, bensì il
contrappunto messo in scena dall‟orchestra.
31
In musicologia l'emiolia (o emiola, o hemiola) è un mutamento nella scansione ritmica che consiste nel
passaggio da una suddivisione binaria in una ternaria (come il passaggio da due minime puntate a tre minime
senza punto) o viceversa; l'effetto di mutamento ritmico è ben percepibile. L'emiolia può avere anche la durata di
una sola battuta. Vediamo alcune possibilità:
nel metro 6/8 possiamo avere una o più battute che, al posto di due semiminime puntate, hanno tre
semiminime senza punto; in questo caso l'emiolia possiamo considerarla un passaggio implicito dal
metro 6/8 al metro 3/4;
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nel metro 3/4 possiamo avere il passaggio da tre semiminine senza punto a due semiminime puntate,
oppure anche il passaggio da due minime puntate (una coppia di battute) a tre minime senza punto, la
Pagina
seconda delle quali sta "a metà" tra la prima e la seconda battuta e viene indicata con una legatura di
valore tra due semiminime; questa seconda forma si ritrova, ad esempio,in alcuni Valzer di Čajkovskij,
come il Valzer dei fiori: possiamo considerarla un passaggio implicito da 3/4 a 3/2.
CONCERTO BRILLANT OP. 10
Le due linee melodiche evidenziate dalle legature tra la seconda e la quarta e tra la quarta e la
sesta battuta formano le due semifrasi che vengono fatte rimbalzare in tutto l‟organico 32.
Questa linea viene prima esposta da clarinetto e fagotto primi con sostegno dei reciproci
secondi, poi passa al primo flauto che la riconsegna ai suoi donatori che la cedono poi ai
fagotti soli. Cosa fanno gli archi durante questo lungo frammento? Sebbene tutti, tranne le
viole, inizino con il pizzicato, solo i secondi violini lo mantengono per tutta la sua durata,
cosa che ha destano numerosi dubbi al momento della trascrizione, facendo presumere un
errore o una dimenticanza da parte dell‟autore. Per una buona parte violoncelli e bassi
continuano il sostegno pizzicato, ma quando anche il tema viene affidato loro per raddoppiare
i due fagotti, la soluzione risulta estremamente chiara. Nessun errore è presente nella parte dei
secondi violini, il cui ruolo rimane semplicemente quello di accompagnamento per tutta la
sezione. Di notevole interesse è anche la progressione tonale di questa parte: da fa minore si
passa in mi bemolle minore, settima diminuita di si bemolle minore e via in Re bemolle
maggiore. Il sesto grado abbassato di quest‟ultima trasformato enarmonicamente funge da
terzo grado per una vera e propria toccata e fuga in Si bemolle minore che, modificando
cromaticamente una nota, si trasforma in settima diminuita di Sol bemolle maggiore. Con lo
stesso artificio si torna in mi bemolle minore e da lì, con trasformazione enarmonica del sol
bemolle in fa diesis si passa, quasi per magia, in Sol maggiore. Progressione di settime
diminuite ed eccoci infine in La bemolle maggiore, ove gli ultimi due periodi di questo
sviluppo racconteranno le loro storie.
Approfitto dello stile di accompagnamento affidato agli archi in questa sezione per
aprire una parentesi sulle altre due versioni del concerto. Il tema precedentemente oggetto di
analisi subisce una strana variazione nella versione per quartetto e all‟ascolto di quest‟ultima
risultava chiara un‟omissione. In pratica una ripetizione del tema veniva omessa al fin di non
interrompere l‟accompagnamento del violino secondo. Poiché le note del violino secondo
venivano allo stesso tempo suonate da altre parti, mi è sembrato doveroso affidargli la parte
59
32
Pagina
A causa di una voltata di pagina non è stato possibile inserire il vero inizio della frase melodica utilizzata
come modulo per il dialogo fra le parti. Esso è costituito dalla parte che, nell‟immagine, è presente nel clarinetto
primo tra la quarta e la sesta battuta.
CONCERTO BRILLANT OP. 10
A separarci dalla fine di questo concerto è ormai solo una scala di ottave cromatica di
un‟ottava e una quinta e un breve, spettacolare «Tutti» in cui il solista può finalmente
intravedere un meritato riposo dopo questa epica fatica.
Il lirismo innato nel suono del violoncello ne contraddistingue la figura sin dai primi
giorni della sua esistenza; non sono in pochi infatti ad aver visto in esso lo strumento che più
si avvicina alla voce umana. Innumerevoli le composizioni per orchestra in cui ai violoncelli
vengono affidati i temi, suscitando l‟ammirazione degli ascoltatori e l‟affettuosa gelosia dei
colleghi strumentisti. Spesso questi temi si trovano nel registro acuto dello strumento, poiché
è lì che il suo timbro tenorile sfoggia le sue più apprezzate qualità. Ciò che non viene mai
detto, però, è che per il violoncellista è assai più complesso suonare nel registro acuto rispetto
a quello medio o grave. Le cause di questa difficoltà trovano riscontro nella pressoché
generale assenza di esercizi che mostrino il corretto uso di arco e mano sinistra nelle regioni
alte della tastiera e, forse, nel fatto che la stragrande maggioranza delle scuole
violoncellistiche antiche e moderne introduce l‟allievo al violoncello cominciando dalla prima
posizione. Questo si traduce in un lasso di tempo assai lungo ma fondamentale, essendo il
primo speso a contatto con lo strumento, in cui il giovane violoncellista non si spinge mai
oltre la prima metà della tastiera (è quasi superfluo aggiungere che questo ritarda di molto la
conoscenza e l‟acquisizione di sicurezza col capotasto e, di conseguenza, di tutta una
fondamentale parte della tecnica). D‟altra parte questo è l‟approccio che viene insegnato sin
dal XVII secolo ed avendo sempre consentito ad una schiera di talentuosi giovani di portare a
compimento senza difficoltà l‟apprendimento di una tecnica completa, non è mai sembrato
61
nell‟affrontare le posizioni più acute del violoncello, a una innaturale rigidezza nel suonare e
quindi, a dolori e contratture muscolari innumerevoli.
CONCERTO BRILLANT OP. 10
Questa introduzione ha il solo scopo di iniziare il lettore alla grandezza del pensiero
compositivo e pedagogico di Kummer: egli infatti non solo adorna le sue composizioni – e
questo Concerto in prima linea – di esercizi di tecnica nel registro acuto, ma li maschera
saggiamente con grandiose melodie, in modo che lo studente nell‟affrontarlo segua più
l‟istinto, rilassando quindi i muscoli ed assumendo un‟attitudine allo strumento più naturale.
Lo studente scoprirà così di essere ogni volta più abile e naturale nell‟affrontare il registro
acuto, imparando a considerarlo più come un amico che come un insidioso avversario. Proprio
in questo concerto troviamo numerosi passaggi in cui l‟autore incoraggia lo studente a trovare
una soluzione all‟apparenza nascosta disseminando la carta pentagrammata di tanti piccoli
indizi. Analizziamo ora alcuni di questi estratti, cercando di scoprire come ciascuno di essi
possa diventare uno scrigno di scoperte tecniche e attitudinali per il violoncellista desideroso
di apprendere.
Cominciamo dalla ripetizione del secondo tema che viene cantata dal violoncello a
partire da battuta 114. Kummer, prescrivendo una dinamica «dolce» nel mezzoforte, costringe
il violoncellista a due immediate prese di coscienza: nel registro acuto uno strumento –
qualsiasi esso sia – esprime un volume più alto a causa del maggior numero di vibrazioni (Hz)
delle note prese in esame e queste ultime richiedono una quantità maggiore di arco per essere
messe in vibrazione (questa è la motivazione per cui, ad esempio, l‟arco del violino è più
lungo di quello del violoncello). Un ulteriore ostacolo è rappresentato dalla legatura di
espressione comprendente tutta la battuta e dalla difficoltà di sostenere il suono della minima
con cui essa comincia. È quindi necessario spendere una giusta quantità di tempo nel ricercare
il punto dell‟arco in cui cominciare questo passaggio – all‟incirca un terzo dal tallone – e il
corretto punto di contatto tra tastiera e ponticello dei crini sulla corda – approssimativamente
due terzi dalla tastiera verso il ponticello –, al fine di ottenere la giusta velocità d‟arco e il
suono desiderato. Anche la diteggiatura di questo passaggio – purtroppo errata al momento di
andare in stampa e che verrà modificata nella seconda edizione33 – rappresenta una sfida
62
interessante, in quanto richiede un profondo spirito di ricerca critica, finalizzata alla scoperta
Pagina
33
La diteggiatura corretta è quella che utilizza il terzo dito (3) sul mi al posto del (2) indicato, al fin di ottenere la
posizione di ottava con il (mi)-si successivo.
CONCERTO BRILLANT OP. 10
Per trovare un nuovo passaggio lirico degno di nota dobbiamo aspettare quasi la fine
dello sviluppo e, più precisamente, le misure che vanno da 249 a 274. Mentre la prima parte è
relegata entro i confini del registro medio – grave, il salto di ottava di battuta 260 proietta il
violoncello nel regno dell‟acuto. Due battute di trillo in solitudine, due accompagnate dalla
primissima idea tematica nell‟orchestra e, finalmente, l‟apice della tensione in Re maggiore.
Ancora una volta qui Kummer impiega la «posizione di ottava» per costruire la sua linea
melodica nella misura 265, posizione mantenuta invariata per quattro battute – prima
sull‟ottava di fa diesis e poi su quella di re – in cui l‟arpeggio di re maggiore si alterna alla
linea melodica e alla scala discendente. L‟accento posto all‟inizio di misura 265 suggerisce
una maggiore pressione – e proporzionalmente una minore quantità d‟arco – sulla prima nota
e una leggerezza anche di approccio sulla seconda nota. Un‟ultima considerazione meritano
63
ancora i due punti indicati sulle ultime due note della medesima battuta: essi non vanno
Pagina
assolutamente interpretati come da eseguirsi balzati, anche perché ci troviamo nel terzo (⅓)
finale dell‟arco; essi servono invece per rinnovare l‟energia cinetica presente nell‟arco,
CONCERTO BRILLANT OP. 10
necessaria alla successiva veloce arcata in su. In questo passaggio vengono così trattati la
ripartizione dell‟arco in presenza di una maggioranza di note legate e il trattamento dei punti
in punta d‟arco.
Ci immergiamo ora nel secondo movimento, nell‟oasi della lirica, ove al violoncellista
viene richiesta una conoscenza pressoché impeccabile della tecnica dell‟arco al fine di riuscire
a gestire l‟abbondanza di bicordi inseriti da Kummer. Questa conoscenza è sì richiesta come
prerequisito per far risaltare la polifonia insita in alcuni bicordi, ma viene anche gradualmente
acquisita durante lo studio di passaggi come quello presentato nell‟immagine di cui sopra.
All‟orecchio viene infatti richiesta la massima attenzione e un alto livello di senso critico al
fine di notare le screziature del suono laddove si presentino e di guidare le mani dello
strumentista verso la soluzione. L‟esecuzione di un bicordo sul violoncello – e su qualunque
altro strumento ad arco – richiede infatti una giusta distribuzione di peso fra le due corde:
cercando di spiegare meglio il concetto si può dire che nel momento in cui uno studente si
trova di fronte ai primi bicordi gli viene insegnato a distribuire equamente la forza esercitata
dall‟arco fra le due corde (e per equamente si intende cinquanta per cento per corda). Questa
regola di base funziona grosso modo bene per tutto il registro grave, per quello medio e per
l‟inizio di quello acuto, anche se qui comincia a dare i primi segni di cedimento. La soluzione
va ricercata là, dove si parlava della reazione che una corda ha quando le si richiede una nota
acuta piuttosto che una grave: domanda più arco o più forza. Detto questo risulta chiaro che,
in un bicordo situato nel registro acuto dello strumento (e in questo secondo movimento ne
troviamo in abbondanza), sarà sufficiente sbilanciare leggermente il peso dell‟arco verso la
corda superiore per ottenere la chiarezza di suono desiderata; lo strumento reagirà con
un‟apertura timbrica notevole e permetterà alle note acute dei bicordi – che generalmente
64
costituiscono la melodia principale – di risaltare sulle altre. Una volta appresa questa regola la
Pagina
si potrà applicare anche ai registri medio e grave, scoprendo che, a differenza del primo
metodo, questo è oggettivamente valido.
CONCERTO BRILLANT OP. 10
Una volta un violoncellista mi disse di aver studiato uno dei Concerti di Popper per
Pagina
violoncello e orchestra e me li consigliò per lo studio della cantabilità nel registro acuto. Ora,
CONCERTO BRILLANT OP. 10
4. ANALISI ALL’ASCOLTO34
0‟01‟‟ Inizio esposizione [1]: corni e archi si scambiano una domanda e una risposta
introduttiva per due volte. Il metro all‟inizio sembra essere binario ma poi si stabilizza sul
4
quaternario semplice 4.
0‟18‟‟ Ingresso dei legni (flauti prima e clarinetti poi) che espongono un‟idea tematica [A].
Carattere ritmico.
0‟35‟‟ Primo «Tutti» orchestrale, si percepiscono fagotti per completare la famiglia dei legni
e trombe per quanto riguarda gli ottoni. Mancano gli oboi e i tromboni.
1‟06‟‟ Seconda idea tematica [B] esposta dai clarinetti con tappeto armonico degli archi.
Carattere melodico.
1‟24‟‟ Riproposizione di [B] col flauto in minore.
1‟38‟‟ Torna [A] negli archi.
1‟51‟‟ Tutti, coda all‟esposizione
2‟29‟‟ Ingresso solista [2]. Primo tema [A]
3‟05‟‟ Nuova scena, rielaborazione materiale tematico precedente, Ponte modulante [3].
3‟33‟‟ Tutti orchestrale
34
Desidero ringraziare qui in separata sede la Prof.ssa Cécile Peyrot, mia insegnante di Analisi all‟ascolto
durante i due anni di corso di Teoria e Analisi dei Linguaggi Musicali presso il Conservatorio “G. F. Ghedini” di
66
Cuneo, poiché i suoi insegnamenti mi han fatto capire «come» ascoltare un brano musicale e « come »
affrontarlo in relazione al periodo di sua composizione, rendendo tra le altre cose possibile l‟esistenza di questo
Pagina
capitolo.
35
Anche se molte cose inerenti l‟ascolto son già state inserite nella prima parte di questo capitolo, esse verranno
approfondite. Eventuali ripetizioni sono da ritenersi volute.
CONCERTO BRILLANT OP. 10
36
2‟21‟‟ i corni ripropongono la melodia con cui avevano aperto questa sezione.
2‟29‟‟ Ingresso solista. Primo tema, ma [A] non compare direttamente fino a 2‟47‟‟, ornata
con un gruppetto e sviluppandosi poi autonomamente.
3‟05‟‟ Ingresso della nuova scena costitutiva del ponte modulante con un tema leggiadro del
violoncello e il solo accompagnamento degli archi. Questa scena si chiude a 3‟33‟‟ con una
68
36
Si rimanda ad inizio capitoli per i parallelismi tra questa idea tematica e il Concerto «Imperatore» di
Beethoven.
CONCERTO BRILLANT OP. 10
7‟03‟‟ Torna quasi come un eco la proposta del Tutti orchestrale prima dell‟ingresso del
Secondo Tema nel solista. Poi cromatismo al basso e modulazione a do minore.
7‟17‟‟ Sviluppo, il tema dei flauti [A] è tronco, presentando solo la prima battuta. Lo
chiamiamo [A2]. Il centro tonale si sposta in re minore, Mi bemolle maggiore, fa minore, sol
minore, La bemolle maggiore, si bemolle minore Re bemolle maggiore.
7‟55‟‟ Le ripetizioni di [A] cessano e lasciano lo spazio a un tappeto armonico di sostegno in
tutta l‟orchestra.
8‟43‟‟ Tutti in Re maggiore. A 8‟57‟‟ interessante scala discendente cromatica che porta in La
69
Un terzo ascolto potrebbe risultare utile per classificare meglio le diverse tipologie di
linee melodiche presenti nella parte del solista, ma ciò esulerebbe dallo scopo che si è prefisso
chi scrive durante la redazione di questa tesi, scendendo davvero troppo nel dettaglio. Parte di
questo argomento sarà comunque trattata nel Capitolo III.
0‟01‟‟ Inizio: metro ternario semplice, tonalità maggiore. Carattere lirico di stampo operistico.
Pagina
Per tutto un primo periodo di questa sezione [1], che chiamiamo [A], i legni soli
CONCERTO BRILLANT OP. 10
parole di Felix Mendelssohn – Bartholdy). Nel secondo ascolto si tenta di isolare anche qui i
Pagina
nuclei tematici e i loro sviluppi nel corso del movimento, in aggiunta al tentativo di seguire il
CONCERTO BRILLANT OP. 10
suo percorso tonale. Come si ha avuto modo di vedere nell‟analisi precedente, è sicuramente
impossibile identificare all‟ascolto la modulazione enarmonica e il cambio di armatura in
chiave; è necessario invece annotare il cambio di ambiente tonale in attesa di un successivo
confronto sulla partitura.
Tema reale:
Ossatura melodica:
Questo tema viene ripetuto in due frasi positive di quattro battute entrambe sostenute dai
legni.
0‟28‟‟ Nel nuovo periodo la linea melodica del violoncello è caratterizzata da arpeggi e da
una scala polifonica discendente.
0‟59‟‟ Viene sviluppato il tema [A], nuovamente accompagnato dai legni. Questo sviluppo
pare più melodico che altro e può essere qui omesso. Fino all‟ingresso della parte [B] si nota
la pressoché totale permanenza nella tonalità d‟impianto, seppur con una brevissima
escursione nella tonalità della dominante, Mi bemolle maggiore. Questa staticità tonale è
72
comprensibile e giustificata dal fatto che in questa prima parte tutta la concentrazione del
Pagina
compositore viene spesa nella cantabilità e nella fioritura della parte solistica.
CONCERTO BRILLANT OP. 10
1‟58‟‟ Un chiaro salto di terza minore verso il basso dopo la risoluzione in La bemolle
maggiore e l‟accordo minore su cui il violoncello arpeggia la sua melodia suggellano
l‟ingresso della nuova sezione in fa minore. Ecco il tema di [B]:
L‟accompagnamento degli archi, si diceva, si fa più serrato dal punto di vista ritmico e la sua
struttura merita di essere inserita mentre, a livello armonico, si è saldamente guidati dai
pizzicati dei contrabbassi.
2‟28‟‟ Il processo modulante qui percepito può essere risolto e riconosciuto solamente se,
partendo da una decina di battute prima, si cerca di seguire cantando la parte dei violoncelli,
ossia il basso. Si nota quindi che il basso si muove verso si bemolle per poi scendere a sol
bemolle, al re naturale con un salto di quarta diminuita, a mi e infine cadenza sul la naturale.
Quello che si era detto in precedenza sul cambio di armatura di chiave può essere qui
addirittura intuito all‟ascolto.
Da questa figura si evincono i movimenti del basso. Dopo il secondo sol bemolle ho inserito,
nel rigo superiore, i quattro bequadri, commentandoli con i tre punti interrogativi in quanto
supposizione di una modulazione in la minore. Il fatto che poi in realtà si moduli in La
maggiore e che Kummer abbia inserito questa nuova armatura di chiave solamente per
semplificare la lettura generale confonde di sicuro anche in un‟analisi all‟ascolto. Entra
proprio qui un meraviglioso tema al flauto, mentre il violoncellista viene chiamato a fare
73
sfoggio del suo virtuosismo nei rapidi arpeggi in trentaduesimi. Tentiamo di scrivere il tema
Pagina
2‟50‟‟ Sempre nello stesso periodo [6], dopo la conclusione di questa frase di sei battute, il
violoncellista strappa violentemente il palcoscenico dalle mani del flautista, irrompendo con
uno sviluppo del tema [B] in forma di progressione. Tutto questo per cinque battute con
emiolia a chiudere la seconda frase del periodo.
3‟07‟‟ Una terza frase si apre ancora in questo periodo con una progressione discendente di
accordi in posizione di terza e sesta chiaramente udibile. La linea del violoncello è così
intricata da non poter essere trascritta ad orecchio, ma la risultante sonora con l‟orchestra è
talmente chiara che risulta lampante una totale omofonia tra solista e orchestra. Solo i
violoncelli irrompono ad un certo punto con il loro pizzicato a dare una direzione e,
soprattutto, un‟anticipazione sulla destinazione del prossimo periodo.
3‟25‟‟ Torna il tema [B].
3‟50‟‟ Ripresa di [A] con il pizzicato degli archi in battere.
4‟25‟‟ Si sente una nona di dominante nel violoncello.
4‟35‟‟ Nell‟accompagnare questa ultima sezione di [A] gli archi riprendono
l‟accompagnamento ritmico con cui accompagnavano [B].
6
0‟01‟‟ Inizio. Metro chiaramente binario composto ( ) e tonalità maggiore dichiarata di Fa.
8
L‟inizio è anacrusico con un potente salto di sesta maggiore del solista. Il tema [A], dal
carattere estremamente danzante, viene esposto con grande serenità dal solista mentre
l‟orchestra si limita ad accompagnare con uno stile che si potrebbe definire ballettistico.
74
0‟39‟‟ Qualcosa di diverso irrompe sulla scena, i violini che si appropriano del salto di sesta
Pagina
del solista mentre quest‟ultimo si cimenta in arpeggi quasi a voler subito complicare la
CONCERTO BRILLANT OP. 10
narrazione. Esso dà però solo un piccolo assaggio di questa idea [b]37 , bruscamente interrotto
da una battuta intera di silenzio generale.
0‟52‟‟ Clarinetti e fagotti rompono il silenzio e il violoncello torna a cantare il nuovo tema
[C], questa volta rinforzato dalle ottave. L‟accompagnamento è arricchito da clarinetti e
fagotti, anche se sarebbe meglio dire genericamente “legni” perché negli accordi del «forte» è
abbastanza difficile confermare a orecchio l‟assenza dei flauti.
1‟18‟‟ Il tema [C] viene sviluppato esprimendo un carattere più delicato e una sonorità più
dolce, accompagnato dai soli archi.
1‟45‟‟ Le parti si fanno improvvisamente più serrate e comincia un veloce succedersi di
episodi. Qui assistiamo al primo [d1], caratterizzato da ampi salti di registro e veloci
frammenti di scale.
2‟02‟‟ Secondo frammento [d2], virtuosismi nell‟acuto sempre accompagnati dai soli archi. Si
sentono numerosi spostamenti di accento nel violoncello.
2‟18‟‟ Terzo episodio [d3], i fiati tornano improvvisamente «fischiettando» una variazione del
tema [C].
2‟36‟‟ Torna [A], la prima volta solo nel violoncello, la seconda con l‟eco dei flauti. Questo
ritorno permette un breve inquadramento formale e consente di stabilire che non si tratta di un
semplice rondò finale, ma di un vero e proprio rondò – sonata, completo di primo e secondo
tema, ponte modulante da tonica a dominante e codette di chiusura.
3‟06‟‟ Un maestoso Tutti [E] raccoglie l‟ultima nota del violoncello e compie una specie di
riassunto di quanto accaduto in questi primi tre minuti di terzo movimento. Si tratta di una
sezione piuttosto ampia in cui si ripresentano anche gli ottoni e i timpani. Nell‟ultima parte
riecheggia il Tutti alla fine dell‟Esposizione del Primo movimento: infatti, con lo stesso
procedimento, si entra in uno Sviluppo in tonalità minore.
3‟58‟‟ Quel tema [b] che era stato lasciato dopo neanche dieci secondi, ritorna a nuova vita in
questo Sviluppo [F1] con i fiati e gli archi che si scambiano un tema estremamente melodico.
Le modulazioni sembrano semplici, ma la loro individuazione viene mostruosamente
complicata dalla presenza dell‟intreccio melodico nelle parti.
4‟37‟‟ Ora è il turno del Secondo Tema [C] di essere sviluppato [F2]; anche qui si percepisce
un non so che di nostalgico.
5‟15‟‟ Quattro colpi dei timpani annunciano solenni il ritorno di [A], questa volta però ai
violini primi, mentre il violoncello gioca con il tema in un‟onda complessa di ottave spezzate.
75
Pagina
37
La lettera «b» minuscola non è un errore, ma si tratta della piccola digressione tra prima e seconda idea
tematica nella forma del Rondò – Sonata.
CONCERTO BRILLANT OP. 10
5‟37‟‟ Gli archi, conclusi tutti i possibili sviluppi che l‟energia rilasciata dal Primo Tema
poteva concedere, prendono possesso di due battute e in queste suonano la carica per l‟ultimo
definitivo ingresso del solista nella Coda finale [G]. Scale rapide e staccate inondano la parte
del violoncello, con i flauti che ogni tanto fanno eco.
6‟07‟‟ All‟improvviso, mentre il violoncello compie una progressione di ottave, al basso
spunta un disegno melodico inconfondibile: quello del basso ostinato del Canone di
Pachelbel. Trenta secondi dopo riappare lo stesso disegno, accompagnando però le decime del
violoncello. Il movimento si conclude con una scala cromatica di ottave e un breve Tutti
finale.
Come poteva risultare chiaro fin dall‟inizio anche ai neofiti, il terzo movimento di
questo concerto, come quello di quasi tutti i concerti per strumento solista e orchestra, si
riserva il privilegio di mettere alla prova ogni singolo grammo di energia virtuosistica
presente nel corpo e nell‟anima dell‟interprete. Nel secondo ascolto che chiude questo
secondo capitolo dedicato al Concerto Brillant in Fa maggiore op. 10 di Friedrich August
Kummer si desidera porre l‟accento su alcune linea melodiche e sul loro sviluppo all‟interno
del movimento.
Ossatura melodica:
successivo in cui questo e altri disegni arpeggiati verranno analizzati più nel dettaglio.
CONCERTO BRILLANT OP. 10
0‟52‟‟ Dopo la battuta in cui l‟autore scrive «vuota» in tutta l‟orchestra, entra il Secondo
Tema [3], occupando due periodi nella sua versione originale
1‟45‟‟ Ora che si è a conoscenza della forma di questo movimento, si sa che dopo questo
Secondo Tema vi è di consueto una serie di Codette [4]. Qui se ne presentano tre,
caratterizzate ognuna da un disegno differente: la prima compie alcune scale alternando il
registro medio – acuto a quello grave, la seconda è una pura gara di coordinazione in
posizione di capotasto (unica posizione per realizzare scale così veloci e così acute) e la terza
è una progressione accompagnata dal flauto.
2‟36‟‟ Ripresa di [A]. [5]
3‟06‟‟ «Tutti» orchestrale [6] dalla grandiosa spettacolarità che si basa interamente sul
seguente ostinato ritmico.
Legni e ottoni approfittano di questo unico momento di gloria per intessere fra loro un dialogo
dal sapore quasi bandistico. Tutta questa gaiezza e serenità viene però dissolta dal passaggio
in fa minore.
3‟58‟‟ Ha così inizio lo Sviluppo [7] con un breve tema originato da clarinetti e fagotti, che
per tutta questa sezione domina incontrastato. Cerchiamo di scriverlo partendo dalla nota fa:
Come percorso tonale ci si affida di nuovo all‟ascolto del basso che ci porta da fa minore a mi
77
bemolle minore e subito in Re bemolle maggiore; da qui, con naturalezza, si scende di quinta
Pagina
4‟37‟‟ Viene sviluppato ora il Secondo Tema [8] con un accompagnamento molto interessante
dal punto di vista ritmico agli archi.
5‟15‟‟ Qualche spostamento di accento insieme ai timpani e viene ripreso [A] [9]. È
interessante come qui lo strumento solista non sia tematico ma riempitivo; partendo da fa,
cerchiamo di riconoscere il percorso melodico del violoncello, tutto ad ottave spezzate.
Una nota d‟interesse è rappresentata dai timpani che scandiscono il tempo quasi fossero
campane, percuotendo un colpo sul tempo forte di ogni battuta.
5‟37‟‟ Quattro accordi di fa maggiore e parte la Coda [10]. È interessante l‟uso degli accenti
in cui a uno in levare col violoncello risponde uno nel battere immediatamente successivo
degli archi. Cominciano poi le corde doppie e le progressioni coi flauti che ogni tanto danno
un timido segno di vita.
6‟07‟‟ Oltre alle tante citazioni operistiche di cui questo Concerto è ricco l‟autore non poteva
mancare di inserire anche una citazione tratta dal Canone di Pachelbel. Trasportandolo in Fa
maggiore, egli inserisce il basso ostinato vero e proprio del famoso canone, senza modificarlo
di una virgola.
Con questa gloriosa citazione barocca Kummer conclude questo suo Primo Concerto
per violoncello e orchestra, affidandolo ai contemporanei che tanto l‟apprezzarono e ai posteri
che, senza pensarci due volte, lo dimenticarono e lo rinchiusero in un cassetto destinato forse
a non essere mai più riaperto. Forse, ma forse no …
78
Pagina
Capitolo III
1. LA PEDAGOGIA DI FRIEDRICH AUGUST KUMMER
… una tecnica non si fa con cinquecento note, una tecnica si fa perché si risolve un problema
tecnico particolare in due note alla perfezione!…
Il primo capitolo si era chiuso con questa frase lasciata in sospeso. Pronunciata dal
grande violoncellista e pedagogo André-Nicolas NAVARRA (Biarritz, Francia 13 Ottobre 1911
– Siena 31 Luglio 1988), è stata poi utilizzata come spina dorsale da tutta la scuola
violoncellistica diffusa dai suoi allievi, quali Johannes GORITZKI, Susanne RIBICKI-VARGA,
Christophe COIN, Philippe MULLER, Roel DIELTIENS, Xenia JANKOVIC, Marcio CARNEIRO e
Marco SCANO per citarne solo alcuni tra i più rilevanti. Il significato di questa frase sta nella
presa di coscienza del fatto che le situazioni tipiche sul violoncello, quelle su cui l‟allievo
deve formare il suo bagaglio tecnico, non sono duemila, ma cinque o sei, da risolversi con
l‟aiuto di un professore. Una tecnica perfetta è una tecnica che si possa ripetere due milioni di
volte sempre uguale e che sia al servizio della musica, poiché una tecnica che ostacola – in
qualsivoglia modo – non è al servizio della musica. È ovvio che gli insegnamenti della scuola
di Navarra non si esauriscono qui, ma già con questa piccola introduzione si può gustare un
assaggio della sua grandezza. Perché ho deciso di inserirla qui, come prologo del capitolo
dedicato alla didattica di Kummer?
Se si esamina la figura di Friedrich August Kummer si scopre presto di aver a che fare
con due persone contemporaneamente: il Kummer camerista, solista e orchestrale e il
Kummer insegnante. È proprio su questa dicotomia che si fonda la mia tesi. Per quanto
quest‟ultima manifestazione della sua persona sia vera solamente per gli ultimi quindici anni
(1864-1879), anni in cui insegna nel Conservatorio “C. M. von Weber” di Dresda, una
profonda vena didattica attraversa tutta la sua vita e ciò lo possiamo dedurre analizzando
anche superficialmente le sue composizioni. In particolare ho paragonato la sua scuola
violoncellistica con quella di Navarra perché in comune hanno, a mio modesto parere, la
semplicità, l‟immediatezza e la naturalezza assoluta dell‟approccio al violoncello. Se
pensiamo infatti che in trenta pagine, frontespizio e indice inclusi, egli esaurisce il suo metodo
corredandolo di esercizi per ogni tipo di situazione che il violoncellista si potrebbe trovare ad
affrontare, abbiamo immediatamente un‟idea di ciò a cui egli mirava: un‟agevolezza nella
comprensione da parte dell‟allievo che fosse il più totale possibile. Per ciò egli non si dilunga
in eccessive spiegazioni ma si limita a esprimere i concetti generali, sicuro del fatto che
LA PEDAGOGIA DI F. A. KUMMER
l‟allievo si curi di scoprire da solo le più piccole sfaccettature nascoste nella tecnica. Con
questo non si vuole certo dire che questo tipo di approccio sia il migliore o l‟unico accettabile,
poiché per essere uno strumentista e soprattutto un musicista completo è necessario conoscere
il maggior numero possibile di trattati e metodi sul proprio strumento e, applicandoli, scoprire
quale sia il più adatto a ciascuno. Si vuole invece sottolineare come un‟eccessiva
complicazione nella ricerca di esercizi astrusi e di difficile comprensione nonché di dubbia
utilità possa facilmente sviare lo studente dal comprendere la reale semplicità e naturalezza
dello strumento violoncello. D‟altro canto uno dei libri di tecnica più utili mai scritti è il
Complete Cello Technique di Diran ALEXANIAN (1881-1954) che conta oltre
duecentocinquanta pagine piene fino all‟inverosimile di esercizi e spiegazioni tanto teoriche
quanto pratiche, del quale neanche mezza riga può essere ritenuta superflua o fuori luogo.
L‟analisi della pedagogia di Kummer prenderà piede sotto due diversi aspetti: il suo
metodo per violoncello e il suo Concerto Brillant op. 10. Il primo si baserà sull‟edizione
Friedrich Hofmeister di Lipsia denominata Latest and augmented edition. Violoncello school
for preliminary instruction with an appendix containing 101 progressive studies by F. A.
Kummer. Revised by Alfred Piatti, cortesemente concessami dalla Biblioteca dell‟Istituto
Musicale “G. Donizetti” di Bergamo, il secondo invece sulla già menzionata edizione del
Concerto di ClassicaViva.
Come ho avuto modo di accennare poco fa, il metodo per violoncello di Friedrich
August Kummer si traduce in una trentina di pagine di disarmante semplicità e chiarezza,
tanto che in alcuni punti egli stesso menziona la possibilità da parte dello studente di
apprendere l‟arte del violoncello in totale solitudine semplicemente applicando i principi
esposti nel suo manuale. A supporto di questa tesi desidero inserire qui in toto le prefazioni
scritte dall‟autore per la prima e per la seconda edizione:
Istruzioni per questo strumento, nel quale la più grande attenzione dovesse essere prestata alla
Pagina
graduale progressione della difficoltà dei diversi capitoli, così come agli esempi di studio pratico
da abbinare loro.
LA PEDAGOGIA DI F. A. KUMMER
Se un lavoro di tale natura non riesce ad essere esattamente considerato come un‟indispensabile
necessità per tutti coloro i quali, guidati dall‟esempio pratico di insegnanti capaci godono di tali
vantaggi che raramente o mai possono essere eguagliati da spiegazioni scritte, allora apparirà
ancora più come tale al grande numero di studenti il cui tempo e posizione in vita permettono solo
la fruizione di un insegnamento succinto, forse persin inefficiente. È principalmente a vantaggio di
quella classe di principianti che l‟autore ha tentato, con il presente lavoro, di provvedere al bisogno
sopramenzionato, e mostrare con semplici e più che concise regole la strada all‟apprendista, il
quale la dovrà seguire fedelmente durante lo studio del Violoncello, senza permettersi alcuna
deviazione arbitraria o alcun cambio nell‟ordine dei capitoli.
Egli [l’autore N.d.T.] suppone che lo studente abbia già preso confidenza con i primi rudimenti
della musica in generale e, inoltre, al fin di evitare ogni inutile estensione del lavoro, confina
l‟introduzione in una mera spiegazione delle differenti chiavi occorrenti nella musica per
Violoncello, allo stesso tempo evitando nel libro ogni altra cosa che possa oltrepassare i limiti
dell‟istruzione nel suonare il Violoncello.
Gli esempi pratici nell‟appendice hanno da camminar di pari passo con i capitoli istruttivi, come
sopra menzionato; in ogni capitolo viene quindi fatto riferimento ai rispettivi numeri ad essi
associati. Per una migliore educazione musicale dello studente, e per rendere il suo lavoro più
gradevole, questi esercizi sono accompagnati da un secondo violoncello, e sebbene il loro numero
sia maggiore nel presente lavoro, che in ogni altro suo simile finora pubblicato, la varietà da loro
risultante sarà senza dubbio benvenuta da ogni studente (specialmente da coloro che si dedicano a
questo strumento come amatori), l‟obbiettivo di questi esercizi essendo principalmente di
consolidare la conoscenza tecnica su una ferma base, prima di passare a composizioni di maggiore
lunghezza e difficoltà. Dopo averli studiati tutti, i seguenti potranno essere raccomandati allo
studente per il suo ulteriore sviluppo:
Dotzauer, 12 esercizi, Op. 70. Merk, 20 esercizi, Op. 11.
Dotzauer, 24 capricci, Op. 35. Franchomme, 12 capricci, Op. 7
F. A. Kummer, 8 Grandi Studi, Op. 44
Si ricordi inoltre allo studente (in aggiunta a quanto di cui sopra) che il più alto obbiettivo finale
del virtuoso è: combinare una perfetta intonazione, chiarezza, gusto e la più alta abilità tecnica con
il più grande volume di suono. Nello sforzarsi per ottenere ciò egli non si deve mai stancare, e
anche in età avanzata dovrebbe meritar di essere classificato tra i Maestri dello strumento, mentre
la voce della sua coscienza artistica gli ripeterà ancora che il costante progresso è necessario
nell‟arte, poiché lo stazionare su questo sentiero sarebbe equivalente al primo passo nella direzione
opposta.
F. A. Kummer38
81
Pagina
38
Da Violoncello school for preliminary instruction with an appendix containing 101 progressive studies by F.
A. Kummer. Revised by Alfred Piatti, ed. Hofmeinster Leipzig, 1877, pag. 2, Trad. M. Galvagno.
LA PEDAGOGIA DI F. A. KUMMER
La favorevole accoglienza e diffusione che la mia Scuola per Violoncello ha goduto, mi ha indotto
a pubblicarne una nuova edizione. Questo lavoro, destinato ai principianti dello strumento, è stato
da me attentamente revisionato e allargato con diversi pezzi che alleviano lo studio dello
strumento; spero così di giustificare la fiducia riposta in me.
F. A. Kummer, 6 Duetti per 2 Violoncelli (da utilizzare nell‟esercizio della prima vista) Op. 126.
F. A. Kummer39
Leggendo questi due estratti si può facilmente comprendere il perché io abbia voluto
intitolare questo sottocapitolo «Umiltà e Coscienza»: «umiltà» perché mai in tutto il metodo
si ha l‟impressione che l‟autore voglia imporsi sul libero arbitrio dello studente,
costringendolo a seguire il suo metodo piuttosto che un altro. Anzi, egli dice proprio che molti
sono i metodi validi esistenti per il violoncello e che solo una sua considerazione sulla
necessità di colmare una lacuna a suo avviso presente in generale in essi lo ha spinto a
scrivere questo “manuale di istruzioni”. Il perché di «coscienza» va ricercato nell‟ultima
frase della prefazione alla prima edizione, nel momento in cui l‟autore mette in guardia lo
studente riguardo allo smettere di studiare e all‟accontentarsi dei risultati raggiunti, poiché ciò
rappresenta il primo passo verso il declino. Questo pensiero, comune in gran parte dei
pensatori romantici e preromantici tedeschi e in particolar modo di Immanuel KANT
(Königsberg, 22 aprile 1724 – ivi, 12 febbraio 1804), fa leva sull‟ansia di perfezione cui il
pensiero filosofico agogna in quel tempo. La tentazione dell‟infinito, del superuomo, mette
giustamente in rilievo questo aspetto anche nella musica e qui Kummer non fa nient‟altro che
esprimere nel suo pensiero quelle che sono le influenze culturali che lo circondano. Tornando
a quanto esposto all‟inizio, egli si rivolge con toni quasi paterni e affettuosi agli allievi che,
per varie sfortune, non hanno potuto usufruire di un buon insegnante, accendendo in loro la
luce della speranza con questo manuale che, all‟epoca della pubblicazione, deve senz‟altro
avere suscitato entusiastici consensi.
Dopo l‟introduzione sull‟uso delle differenti chiavi nel violoncello, Kummer inizia la
82
sua vera e propria Violoncello School. E da dove poteva cominciare, se non dalla posizione da
Pagina
39
Ibidem.
LA PEDAGOGIA DI F. A. KUMMER
mantenere con lo strumento? In maniera molto concisa, dieci righe in tutto, egli spiega come
comportarsi di fronte allo strumento, ipotizzando che lo studente non ne abbia mai neanche
visto uno – è proprio un manuale d‟uso! –:
Il violoncellista dovrebbe sedersi sulla parte anteriore della sedia, i suoi piedi allungati in avanti, il
sinistro un po‟ più del destro, mentre la parte superiore del corpo rimane in una posizione diritta e
naturale40.
Importantissimo è sottolineare come Kummer dia una grande importanza alla naturalezza
della posizione della schiena, prerequisito fondamentale per la preservazione della salute del
violoncellista. Egli continua indicando la presa da avere sul violoncello con le gambe, non
essendo ancora stato inventato il puntale nel al momento in cui scrive, o non avendo esso
ancora avuto una sufficiente diffusione da essere adottato stabilmente. Si ricorda che il
puntale, a parte alcuni sporadici e mal riusciti esperimenti in anni precedenti, viene inventato
da Adrien – François SERVAIS (Halle, 6 giugno 1807 – ivi, 26 novembre 1866), grande
virtuoso del violoncello nonché importantissimo didatta ed insegnante al Conservatorio di
Parigi, negli anni intorno alla metà del secolo e quindi non può essere entrato in uso stabile
nel resto d‟Europa prima dei primi anni del XX secolo. Aggiunge però un fattore molto
importante riguardo alla posizione dello strumento rispetto al tronco dello strumentista:
L‟importanza di questo ultimo dettaglio è vitale per la salute della colonna vertebrale, poiché
il violoncello non è, anche se può sembrare diversamente, uno strumento simmetrico. La
mano sinistra si muove in verticale e il suo braccio compie movimenti rotatori di apertura e
chiusura con la spalla a seconda della posizione da raggiungere mentre il braccio destro si
muove in orizzontale, con il polso che funge da cardine tra avambraccio e mano. Quindi il
violoncello non può e non deve essere tenuto esattamente dritto rispetto allo strumentista,
poiché se così fosse la sua testa dovrebbe essere momentaneamente staccata e riagganciata
una ventina di centimetri più a destra, sulla spalla! Non potendo fare ciò senza ledere
irreversibilmente l‟incolumità del musicista e non potendo accettare una rotazione letale della
colonna che deriverebbe dal mantenimento di una tale posizione bisogna per forza compiere
una decisione: o si sposta il violoncello verso sinistra o si ruota l‟intero corpo, gambe
83
Pagina
40
Ibidem, pag. 4.
41
Ibidem.
LA PEDAGOGIA DI F. A. KUMMER
comprese, in senso antiorario. Solo così la schiena del violoncellista può rimanere
perfettamente naturale, mantenere le sue curve fisiologiche e non subire danni. Tutto questo,
inoltre, vale per il violoncellista medio del tempo in cui vengono scritte queste preliminari
istruzioni: altezza circa un metro e settanta, fisico in salute grazie alla grande quantità di
movimento che l‟assenza di trasporti a breve gittata permetteva. Rispetto a quattrocento anni
fa il violoncello non è cambiato e dunque queste regole rimangono valide per chi soddisfa
quei prerequisiti, soprattutto di altezza. Chi, come colui che scrive, o come Lynn Harrell,
famoso violoncellista americano (alto quasi due metri), è dotato di una schiena e soprattutto di
un collo più lungo, non dovrà fare altro che accentuare questa inclinazione verso sinistra fino
a trovare il giusto equilibrio di comodità nei due punti scomodi del violoncello, in punta
d‟arco alla fine della tastiera sulla corda di la (I) e al tallone sulla corda di do (IV) in quarta
posizione.
I capitoli II e III del metodo sono dedicati alla posizione delle due mani e sono
anch‟essi molto brevi: anche qui è interessante osservare come Kummer sottolinei
l‟importanza di non irrigidire mai il polso nell‟impugnare l‟arco. Grande rilievo è dato anche
all‟importanza di riconoscere il vero timbro dello strumento, ossia quello che il violoncello
produce tirando l‟arco tre quinti di distanza tra la fine della tastiera e il ponticello. Questo
timbro consente di percepire le note con la corretta intonazione e con un‟ottima qualità di
suono. A questo capitolo sulla condotta dell‟arco egli aggiunge ancora alcune istruzioni
preliminari sui due modi di condurre l‟arco (in su e in giù) e sui segni convenzionalmente
usati nella letteratura.
gradualmente e con gli intervalli a partire dalla terza per arrivare fin alla decima (chiaramente
Pagina
commovente come egli descriva il concetto della necessità, prima o poi, di cambiare posizione
e di avventurarsi più «a sud» lungo il manico e poi lungo la tastiera, soffermandosi con calma
Pagina
LA PEDAGOGIA DI F. A. KUMMER
su ogni particolare al fine di non dare nulla per scontato ed evitando così ogni possibile
fraintendimento. Ecco qui lo specchietto sulle posizioni:
In aggiunta a questa tabella Kummer fornisce, a pag. 12 alcuni Studi, ventitré per essere
precisi, atti a rendere solido e sicuro l‟apprendimento delle posizioni. Si tratta di esercizi da
ripetersi tante volte finché le dita – dice l‟autore - «non avranno perfettamente dominato le
diverse figurazioni». Da questi esercizi si può intravedere in lontananza il profilarsi
all‟orizzonte degli Studi per Violoncello di Bernhard Cossmann, forse il miglior allievo di
Kummer, di cui a tempo debito si parlò.
Nel capitolo VIII si discute del polso della mano destra, l‟uso della quale, come si
diceva nella biografia sull‟autore, Kummer esaspera all‟inverosimile, arrivando a dire che:
Il polso deve sempre essere oggetto di grande attenzione per il violoncellista, dato che tutti i cambi
dell‟arco hanno da essere eseguiti solamente con esso, senza muovere la parte superiore del
braccio42.
Una prima massacrante serie di quindici esercizi sui vari movimenti del polso della mano
destra con la raccomandazione «da suonarsi a metà arco» stampata a pieni caratteri segue
questa affermazione. Essi vengono proposti per le corde di sol ( III) e re (II) ma, a piè di
esercizio, viene posto un «N. B.» in cui tramite un cambio di chiave e di tonalità (chiave di
86
tenore con due diesis aggiuntivi – come se si stesse leggendo con un clarinetto in si bemolle
Pagina
42
Ibidem, pag. 12
LA PEDAGOGIA DI F. A. KUMMER
insomma –) e alcuni piccoli accorgimenti si può eseguire lo stesso esercizio sul re e sul la.
Anche qui, come già segnalato nella prefazione dell‟autore e come in ogni altro precedente
capitolo, vengono indicati gli esercizi dell‟appendice necessari ad espandere la conoscenza
dell‟allievo sull‟argomento trattato nel capitolo. Su esercizi simili a questi si concentrerà,
arrivando ben oltre l‟esasperazione e l‟esagerazione, il violinista ceco Otakar ŠEVČÍK
(Horaždovice, 22 marzo 1852 – Písek, 18 gennaio 1934), autore di oltre seimila esercizi per la
gestione dell‟arco nel violino, esercizi trascritti con successo anche per gli altri strumenti della
famiglia degli archi.
Con grande precisione Kummer s‟immerge nel capitolo successivo intitolato «Le
diverse arcate». A rigor di logica verrebbe da chiedersi a cosa serva un capitolo del genere
quando le arcate possibili in uno strumento ad arco sono due, in su e in giù. Ebbene, il nostro
autore dedica questo capitolo all‟importante influenza che ogni arcata ha sul carattere di un
pezzo; egli introduce così tale concetto:
I compositori sono soliti segnare con precisione i passaggi che richiedono una certa enfasi con la
condotta d‟arco in cui vengono suonati; […]. Ma laddove questi segni manchino, lo studente
dovrebbe far della seguente una regola, e così dividere e arrangiare le differenti arcate in modo che,
dovunque possibile, la prima nota di ogni battuta si trovi ad essere suonata in giù. […]
Naturalmente questa regola ha innumerevoli eccezioni nel bel mezzo dei brani musicali, poiché al
fin di seguirla universalmente, sarebbe necessario, che ogni battuta contenga un numero pari di
note. […]43
Ciò detto, egli propone un esercizio di tre righe in sol maggiore, corredandolo di tre
sottoparagrafi di variazioni d‟arco e più precisamente, nove variazioni nel legato, quattordici
in cui mescola insieme note staccate e legate e tre infine per le note che presentano un ritmo
puntato (lombardo o francese che sia). L‟autore raccomanda all‟allievo provetto di esercitarsi
a fondo in tutte le variazioni, sottintendendo il fatto che tutte queste varianti potranno essere
applicate all‟intero repertorio violoncellistico con indubbio giovamento dell‟allievo.
Kummer:
Pagina
43
Ibidem, pag 13
LA PEDAGOGIA DI F. A. KUMMER
L‟arpeggio è un accordo spezzato, eseguito su tre o quattro corde con una specie di movimento
ondulatorio dell‟arco, poichè l‟accordo sale e scende. […] Nell‟Arpeggio, […], tutti i cambi di
arcata, così come il suo passare da una corda all‟altra, sono compiuti dal polso e solo quest‟ultimo
ha da essere supportato leggermente da un corrispondente movimento dell‟avambraccio. […]44
Gli esercizi dedicati vengono anche qui divisi in tre parti: arpeggi su tre corde, su quattro
corde e misti.
Nel successivo capitolo, sui bicordi, nove esercizi preliminari vengono offerti per
acquisire familiarità con l‟intonazione armonica sul violoncello; infatti due note suonate su
due corde differenti possono essere perfettamente intonate singolarmente, ma è quasi certo
che una volta suonate simultaneamente in un bicordo esse risulteranno stonate, a volte con
risultati piuttosto sgradevoli. Seguono tre esempi di scale a terze e tre a seste e, infine, esercizi
sui trilli nei bicordi, questi ultimi sicuramente da prendere con estrema moderazione e
rilassando il più possibile la mano sinistra.
«La posizione del pollice» è il titolo del capitolo seguente, il più esteso e dettagliato di
tutto il manuale, ricoprendo ben sette pagine. Come sempre Kummer introduce l‟argomento
da buon Cicerone del violoncello, sottolineando come innumerevoli passaggi risulterebbero
semplicemente impossibili senza l‟ausilio del capotasto. Istruzioni sulla posizione da
mantenere con il pollice sulle due corde corredate da vari fronzoli anatomici concludono
88
questa breve introduzione, lasciando spazio al primo esercizio: le scale in capotasto. Segue
una breve ma utilissima infarinatura sugli intervalli spezzati in capotasto, partendo dalle terze
Pagina
44
Ibidem, pag. 15
LA PEDAGOGIA DI F. A. KUMMER
e andando fino alle settime (le ottave saranno argomento di un‟analisi approfondita più avanti
nel capitolo). Due esempi di scale cromatiche in capotasto ribadiscono la validità del nostro
autore su questo argomento: egli infatti utilizza gli spostamenti di semitoni utilizzando lo
stesso dito per due volte prima di passare al successivo.
L‟utilizzo del quarto dito, anatomicamente il più debole di tutta la mano dovendo condividere
lo stesso tendine con l‟anulare, riceve un trattamento speciale in questo capitolo con ben
cinque esercizi dedicati. Si rimanda comunque al libro di esercizi di Cossmann per un più
profondo e completo sviluppo della tecnica del quarto dito in capotasto. Altro argomento
scottante è, senza dubbio, l‟utilizzo del capotasto mobile, di un capotasto cioè che durante un
determinato passaggio sia indipendente e possa essere utilizzato quasi come un quinto dito
della mano. I sei esercizi proposti da Kummer seguono la sua già esposta teoria della
progressione graduale della difficoltà, partendo da un esercizio in cui la posizione viene
cambiata ogni battuta, poi ogni mezza e poi alternando questa tecnica a esercizi di agilità sia
di sinistra che di arco.
89
Pagina
LA PEDAGOGIA DI F. A. KUMMER
Ritornano poi le scale, ma con una posizione di capotasto che deve essere preparata, non
essendo fissa dall‟inizio, presentate in tutte le tonalità maggiori e minori fino a tre alterazioni.
Le due pagine che seguono sono dedicate invece alle scale in posizione fissa: un breve grafico
illustra il corretto posizionamento del pollice ogni volta che esso debba cambiare ubicazione.
Una corona sulla prima nota (nonché tonica della tonalità in questione) può lasciar
presupporre un‟esecuzione rapida dell‟intera scala. Rispetto all‟esercizio precedente vengono
qui affrontate anche quelle scale più complesse da un punto di vista di lettura, spingendosi
fino a sette alterazioni. Si giunge infine all‟argomento più ostico di questo capitolo: lo studio
delle ottave. Ciò che è interessante non è tanto l‟aspetto basilare delle ottave in quanto il
concetto di per sé è abbastanza semplice, quanto il corredo pedagogico allegato. Ciò che
rende difficile un passaggio per ottave, soprattutto se suonate a bicordi, è la fatica che alla
lunga prenderà possesso del muscolo del pollice; è quindi necessario allenarlo al fine di
rendere il più confortevole possibile l‟esecuzione. Viene quindi proposto da Kummer un
esercizio in ottave spezzate legate a due, in aggiunta al quale se ne raccomanda l‟esecuzione
in quattro varianti fondamentali: una prima che enfatizza alternativamente lo spostamento del
terzo dito e quello del capotasto, una seconda che crea un moto ondulatorio nell‟ottava
spezzata, una terza che presenta un cambio sfalsato nella terzina ed infine una quarta che pone
lo studente di fronte alla ottava a bicordo vera e propria.
90
Pagina
LA PEDAGOGIA DI F. A. KUMMER
Ovviamente Kummer non si limita all‟esercizio sulle prime due corde, ma fornisce anche le
istruzioni per trasportarlo sulla terza corda. A chiusura troviamo quattro brevi esercizi per
applicare le suddette regole anche alle terze e alle seste, enfatizzando il concetto secondo il
quale le terze e le seste in posizione di capotasto utilizzano la stessa “situazione” in cui si
trova la mano nelle ottave, e due complessi esercizi di trilli nei bicordi in capotasto.
Per quanto di estrema brevità, il capitolo XVI sul pizzicato è di una tale chiarezza e
utilità che non è possibile non citarne le frasi chiave:
[…] il pollice forma una specie di riposo per la mano in quanto si appoggia contro il fianco della
tastiera, in quel punto in cui il manico dello strumento si riunisce al corpo. Le corde non devono
mai essere tirate con così vigorosamente da farle collidere contro la tastiera. Un bicordo (pizzicato,
N.d.A.) viene eseguito con indice e medio; un accordo di tre note con l‟aggiunta del pollice; se
tuttavia l‟accordo contiene quattro note il pollice può o eseguire tutte le quattro note insieme o
solamente le due inferiori mentre medio e indice eseguono le due superiori45.
Dovrebbe sempre essere uno dei principali obiettivi dello studente acquisire un timbro potente e
sonoro […]. Di certo egli è fortunato se il possesso di un buono strumento che, possedendo un
suono chiaro e pieno, rispondendo prontamente all‟arco lo favorisca su tutte le note nel
raggiungimento di questo oggetto. Ma se egli si affida solamente a questo accidentale vantaggio,
pensando che esso ovvii alla necessità di uno studio attento al fin di ottenere un buon timbro e che
con l‟ausilio di mera forza fisica egli sarà in grado alla fine di produrre la potenza e la pienezza
richiesta, egli verrà facilmente sorpassato da un altro […], meno favorito dalla qualità dello
strumento, ma più cosciente del come dominare lo strumento correttamente e con abilità. Un
91
Pagina
45
Ibidem, pag. 29
LA PEDAGOGIA DI F. A. KUMMER
timbro pieno e ricco è ottenuto da una giudiziosa distribuzione della forza e non dalla sua eccessiva
applicazione46.
In questo punto il revisore del metodo, Carlo Alfredo Piatti, inserisce una sua nota personale
all‟ultima frase: «Questa è un‟affermazione oltremodo vera e qualche volta uno strumentista
forte e muscoloso produce un timbro assai più flebile di quello di un bambino».
[…] per il resto il timbro dipende esclusivamente dall‟abile gestione dell‟arco; e lì la forza
applicata deve essere applicata più nel far scorrere l‟arco liberamente sulla corda che nel premere
l‟arco con durezza su di essa. […] Se lo studente, nel prestare attenzione a una perfetta intonazione
e a una corretta osservazione del metro, segue la strada che noi abbiamo ora indicato lui, allora con
il tempo e la diligenza egli ha la possibilità di diventare un musicista completo. […]47
Si chiude così il metodo per violoncello di Kummer e desidero terminare questo paragrafo
citando la nota conclusiva del revisore: «Che questo eccellente finale sia di giovamento non
solo allo studente, ma a tutti coloro che ritengano di poterne trarre giovamento!»
46
Ibidem.
47
Ibidem.
48
92
In questo punto Piatti inserisce una nota a mio avviso alquanto bizzarra: «Dal momento in cui questo metodo è
stato composto, le cose son cambiate, e io penso che lo studente farebbe meglio ad imitare il fraseggio di un
Pagina
buon strumentista». Dato che ancora oggi quando si è dubbiosi sull‟interpretazione di un passaggio si cerca di
pensare a come lo si canterebbe, ci si chiede cosa abbia indotto Piatti ad una simile affermazione.
49
F. A. Kummer, Violoncello School, pag. 30
LA PEDAGOGIA DI F. A. KUMMER
Iniziamo da questo frammento tratto dal ponte modulante dell‟esposizione del primo
movimento. Superata la parte ferma in capotasto di DO-SOL che termina con battuta 87, si
presenta un passaggio all‟apparenza innocuo ma che, in realtà, nasconde numerose insidie in
93
quanto uno studio non metodico e cosciente rischia di divenire inutile anche se ripetuto mille
Pagina
volte. Quale può essere però il metodo giusto per affrontare questo passaggio ed ottenerne un
LA PEDAGOGIA DI F. A. KUMMER
risultato che sia perlomeno accettabile all‟orecchio? Osserviamo nuovamente la parte: nella
seconda battuta notiamo la presenza di una croma di la con il punto di espressione legata alla
semiminima di la precedente. Questo è l‟indizio che ci lascia Kummer: nello spazio di quella
croma eseguita col secondo dito si prepara la posizione di ottava di si bemolle e la si mantiene
nel cambio di posizione richiesto per suonare il re e il fa nella nuova posizione di ottava di fa.
Il grafico qui proposto cerca di esemplificare quanto esposto:
Il rischio di un artificio tecnico di questo tipo è di irrigidire oltremodo la mano, non riuscendo
perciò a intonare bene gli intervalli. Lo scopo è invece quello di rendere rilassata proprio la
mano tramite uno studio intelligente che passa attraverso lo scambio di posizione di alcune
note all‟interno delle quartine e la memorizzazione della posizione meccanica generata dalla
nota più bassa di ognuna di esse. Nello sviluppo il già analizzato passaggio in quarta corda si
baserà tutto su questo principio, rendendo via via più semplice il suo apprendimento e la sua
conseguente applicazione.
Ecco come invece si presenta dopo una revisione che considera anche il piano a metà della
prima battuta e il crescendo tra la seconda e la terza.
95
Risulta quindi chiaro che Kummer con quelle lunghe legature voleva solamente indicare
Pagina
sul palcoscenico di un grande teatro e altre cose di questo genere; sta quindi allo studente il
trovare arcate più fattibili – di cui l‟esempio proposto rappresenta solo una possibilità –
rimanendo però fedele all‟intenzione espressiva del compositore.
Da buon operista Kummer non manca di costellare la parte del violoncello principale
di abbellimenti ulteriori, quali gruppetti e mordenti: proprio i primi rappresentano un ostacolo
quasi intrigante alla fine dell‟esposizione.
Osservando l‟ultima battuta di questa riga e consci del fatto che un gruppetto orizzontale e
posizionato sopra la testa della nota si risolve con una veloce terzina in battere partendo dalla
nota superiore (in questo caso la.sol.fa – sol) ci si rende immediatamente conto
dell‟impossibilità di una sua esecuzione in siffatta maniera. Il problema è dato dalla presenza
della legatura comprendente anche la nota col gruppetto. Non essendoci nel suo metodo
esempi di questo tipo, lo studente si vede costretto a trovare una soluzione da solo: bisogna
quindi decidere se cambiare arcata e rendere possibile la risoluzione canonica di questo
abbellimento o se seguire l‟autore e risolverla diversamente. Personalmente ritengo più
corretta questa seconda ipotesi e propongo come plausibile soluzione la seguente:
Abbiamo più volte sottolineato la difficoltà rappresentata dal suonare due note
contemporaneamente sul violoncello; si è dunque data quasi per scontata l‟impossibilità o
quasi di eseguire e far risaltare chiaramente due linee melodiche distinte come se vi fossero
due strumenti differenti. Alla fine dello sviluppo, invece, Kummer inserisce un lungo e
sfiancante passaggio in cui prima abbiamo una struttura di accompagnamento alla linea
inferiore e un bordone acuto in quella superiore, poi una settima diminuita con la
fondamentale tenuta e le altre tre note in arpeggio e infine, dulcis in fundo, una tremenda
progressione discendente. Procediamo un passo alla volta:
Con «A» segnaliamo la battuta 275, e con «B» la 279, in quanto in queste due battute avviene
il primo difficile cambio di posizione. La posizione di terza tra capotasto e secondo dito deve
variare in quanto fa – la è una terza maggiore quindi posizione stretta sul violoncello e la – do
è una terza minore quindi posizione larga. Utilizzando però un colpo di genio tecnico, che
verrà per la prima volta introdotto in un metodo per violoncello da Alexanian, ossia
l‟esecuzione di diversi intervalli con la stessa estensione della mano, scopriamo che queste
due terze suonano perfettamente intonate se spostiamo solo in giù di una terza minore il
capotasto, lasciando invariata la posizione della mano.
Arriviamo ora al punto più complesso, in cui alla mano sinistra viene richiesto lo sforzo più
97
grande di tutto il concerto. Per comodità verranno inseriti solo i cambi di posizione senza tutte
le relative ripetizioni:
Pagina
LA PEDAGOGIA DI F. A. KUMMER
Sebbene anche qui risulti piuttosto difficile mantenere le arcate scritte, lo studente potrà da sé
applicare i principi prima esposti in questo medesimo passaggio.
quindi quello di venirsi a trovare in un punto sbagliato dell‟arco. Una volta cominciato un
Pagina
simile passaggio nel punto sbagliato è solo questione di tempo prima che la mano si atrofizzi
e la presa sull‟arco venga meno. La soluzione può essere trovata dall‟allievo solo con il
LA PEDAGOGIA DI F. A. KUMMER
costante esercizio dell‟intera sezione, sia per quanto riguarda l‟arrivo nel corretto punto
dell‟arco, sia per la ricerca di una diteggiatura efficace. Ecco il passaggio come si presenta
naturalmente:
La grafica colorata qui proposta è un modo per rendere questo passaggio qualcosa di più di un
mero avvicendarsi di note senza alcun significato. Il rosso indica la linea melodica superiore,
il blu quella inferiore e il porpora quella centrale. Si tratta dunque di un dialogo a tre voci che
merita di essere messo in risalto.
Nel finale del primo movimento abbiamo un impressionante frammento a terze che
sembra praticamente impossibile da eseguire poiché presenta quartine di terze a una velocità
considerevole e, soprattutto, di terze non sempre uguali fra di loro. L‟orchestra, inoltre, suona
un accordo all‟inizio di ogni battuta, non permettendo al solista una semplice e spettacolare
volata, ma richiedendo estrema precisione. L‟unico aiuto che Kummer ci dà, nascondendolo
però molto bene, è un‟indicazione «spiccato» all‟inizio del passaggio. La prima cosa che
viene da pensare è che con tutto il delirio di queste terze sarebbe molto difficoltoso doverle
eseguire con l‟arco che salta. E invece è proprio questo che permette all‟esecutore di rendere
questo tremendo passaggio fattibile e ascoltabile: eseguirlo infatti tutto pulito in detaché alla
velocità richiesta è praticamente impossibile e quindi non resta nient‟altro da fare che seguire
il saggio consiglio dell‟autore, dato che questo finale sembra quasi uno spettacolo di fuochi
artificiali e tale deve rimanere.
99
Pagina
LA PEDAGOGIA DI F. A. KUMMER
Ciò che viene richiesto da questo frammento è una notevole prontezza con il pollice
capotasto, poiché a cavallo tra battuta 14 e 15 esso deve spostarsi da la bemolle a sol – quindi
scendere – mentre l‟altra linea melodica sale in moto contrario.
Poche battute dopo una volata lirica prelude a una scalata della tastiera a terze. Il
problema non sono tanto le terze, perché a parte una si tratta di terze minori, di conseguenza
in posizione stretta della mano; la ricerca dello studente deve vertere invece sullo scovare una
diteggiatura che prepari con efficacia la posizione della mano in capotasto. La soluzione
migliore sembrerebbe essere quella di sfruttare il moto ondulatorio dell‟arco nel cambio di
corda, riuscendo ad ottenere una pulizia sorprendente nel primo bicordo, conquista più che
sufficiente a garantire il successo dell‟intero episodio.
Inizia poi la parte [B] di questa romanza per violoncello e orchestra, con un arpeggio
che viene richiesto in picchettato, colpo d‟arco caratterizzato da un numero cospicuo di note
100
staccate eseguite tutte nella stessa arcata e realizzato sfruttando la resistenza che la corda offre
Pagina
alla spinta della mano. Un sol bemolle “napoletano” introduce con la sua caratteristica
dissonanza uno dei passaggi più scomodi di questo secondo movimento:
LA PEDAGOGIA DI F. A. KUMMER
Viene proposto il secondo dito per tre volte di fila al fine di mantenere inalterata e soprattutto
preparata la posizione della mano che verrà richiesta di lì a poco. La terzina di biscrome,
infatti, richiede una precisione da cecchino soprattutto per il cambio di corda tra la prima e la
seconda nota. Ma non è ancora finita, perché subito dopo, restando saldamente ancorati alla
posizione di ottava di fa, un arpeggio di due ottave di fa minore viene inserito nella seconda
metà della prima pulsazione di battuta 36, con un ritmo tremendamente stretto ma
estremamente fattibile anche a tempo. La difficoltà di questa volata nell‟acuto risiede nel fatto
di intonare il la bemolle in entrambe le ottave, poiché viene praticamente automatico alla
mano lanciarsi sul la naturale. Anche il do acuto è di difficile intonazione, salvo che non si
mantenga ferma la posizione e lo si sfiori soltanto lasciando che la caratteristica di una corda
di emettere l‟ottava esatta superiore a una nota premuta semplicemente sfiorandola si
manifesti da sé.
Si è citato in precedenza – secondo capitolo – il passaggio delle battute 53 – 57. È
necessario qui analizzarlo più nel dettaglio poiché presenta un‟insidia non da poco: la sua
diteggiatura, infatti, è una delle più stravaganti che io abbia mai avuto occasione di incontrare.
Una mano troppo piccola rischia di non riuscire a compiere l‟allargamento tra re e mi di
battuta 54, una mano troppo grande, d‟altro canto, viene a trovarsi in grande difficoltà a
battuta 57, non riuscendo con l‟indice a intonare lo stretto intervallo tra sol (capotasto) e la
bemolle. L‟unica soluzione che sembra accontentare un po‟ tutti – si consiglia comunque uno
studio soggettivo di verifica sostenuto e controllato da un docente – è quella di una
diteggiatura “volante”. Osservando la figura qui sotto le diteggiature segnate in rosso
rappresentano le dita che, precedentemente utilizzate in un‟altra posizione, giungono a quella
nota senza preparazione ma, se così si può dire, volando.
101
In questo modo la diteggiatura è fissa per tutto il passaggio e sicuramente più rilassante per la
Pagina
Gli spunti di interesse di questo secondo movimento si chiudono qui e il terzo, Rondò
scherzoso – Allegro molto, si fa largo con un potente salto di sesta che già da solo prelude a
quella che sarà la sua difficoltà predominante.
Già solo il fatto che Kummer ripeta per due volte il salto «do – la» presuppone il fatto
di non poterlo eseguire per due volte consecutivamente alla stessa maniera. Il secondo, infatti,
può sembrare un‟eco lontana, un «son io!» operistico di risposta al «chi sei?» iniziale. Sembra
di poterle vedere queste due personalità che si rincorrono come gli elfi del Sogno di una notte
di mezza estate e il loro dialogo potrebbe essere riassunto così:
È ovvio che si tratta solo di una delle possibili interpretazioni di questo passaggio e che le
dinamiche offerte fra parentesi sono solo una guida che l‟esecutore potrà seguire o meno a sua
discrezione. Ciononostante, esempi musicali di questo tipo dovrebbero spronare l‟allievo a
cercare soluzioni che vadano in questa direzione, al fine di non limitarsi a eseguire le note una
dietro l‟altra.
La posizione di ottava in capotasto continua a farla da padrone per tutta l‟esposizione
del primo tema, in cui progressioni di seste spezzate ornano la parte del violoncello
principale. L‟allievo dovrà trovare, per ognuno dei singoli frammenti progressivi, la posizione
più adatta e che richieda meno spostamenti possibili. Il solista qui è lasciato molto scoperto,
con i soli archi che forniscono un flebile sostegno armonico nel «pianissimo», rendendo
perciò l‟intonazione delicatissima e un minimo errore estremamente percettibile.
A sostegno della tesi secondo la quale Kummer quando componeva era un grande
umorista, inserisco il frammento delle battute 80 – 84, in cui subentrano nuovamente le due
voci che, questa volta, sembrano però rincorrersi o giocare a nascondino, balzando infatti con
frenesia da un registro all‟altro:
102
Pagina
LA PEDAGOGIA DI F. A. KUMMER
Kummer non indica direttamente un‟arcata ideale con cui cominciare ed entrambe sembrano
essere abbastanza valide. La difficoltà principale di questo passaggio risiede nella mano
sinistra, in quanto si tratta di un frammento tutto in posizione intermedia del braccio (dalla 4°
alla 7°) e inoltre si sposta molto, non consentendo un agevole uso semplificante del capotasto.
Una mano scattante che tocchi la nota solamente per farla sentire prima del cambio di
posizione è forse l‟unico consiglio utile.
Tutta la zona finale prima del Tutti orchestrale – battute 90 – 109 – è estremamente
pedagogica e rivolta al capotasto. Per tre righe il pollice rimane fermo in posizione di fa – do,
compiendo veloci scale di do maggiore. Il passaggio preoccupante si trova invece tra 102 e
105 (le stesse due battute ripetute due volte), poiché qui il capotasto non è fisso, non può
esserlo, e la posizione della mano risulta alquanto scomoda, richiedendo un allargamento
notevole tra primo e terzo dito.
più belle composizioni ingiustamente neglette del nostro autore. La strada sembra in salita, ma
la stesura di questa tesi ha dimostrato l‟esistenza di decine di persone desiderose di fornirmi il
loro aiuto, facendomi così capire che, in questo titanico lavoro, non sono solo.
La mia risposta, però, alla domanda iniziale non è ancora stata trovata ed è tutt‟altro
che facile. In questa tesi ho portato alla luce e analizzato ogni aspetto della personalità di
Kummer, dal suo talento indiscusso come esecutore alla sua grande vocazione come
insegnante passando per la sua passione più grande, la composizione. Per quanto sia difficile
prendere una posizione su quale fosse l‟aspetto dominante in lui, io ora non ho dubbi:
Friedrich August Kummer, nato a Meiningen il 5 agosto 1797 e spirato il 22 agosto 1879 a
Dresda, fu un didatta straordinario. Lo studio del Concerto mi ha aperto gli occhi su questa
verità e l‟analisi delle sue altre composizioni per violoncello non ha fatto altro che
confermarla e renderla ogni istante più vera e inattaccabile. Ogni sessione di studio passata a
decifrare i suoi “punti tecnici” non faceva che donare nuova linfa vitale alle mie mani,
rendendole sicure, stabili e forti.
Non ha importanza il fatto che egli sia stato dimenticato in quasi tutto il mondo
violoncellistico, non ha importanza che sulla più importante enciclopedia della musica del
mondo alla voce «violoncello» il suo nome non compaia, non hanno importanza i motivi
economici e/o politici che hanno causato questa sua scomparsa, poiché noi che viviamo in
questo presente abbiamo la possibilità e il dovere di rimediare agli errori del passato.
È giunto il momento di dare nuova vita alla volontà di Kummer, è giunto il momento
di donare questo concerto al mondo che per centotrent‟anni l‟ha ignorato, sperando che quel
mondo voglia pentirsi di aver tradito e seppellito un suo così grande e meraviglioso fratello. Il
dono di Kummer è un dono semplice, puro, genuino, un dono vero che non pretende nulla in
cambio, un dono che può entusiasmare e formare stuoli di violoncellisti e di loro apparati
motori e che, forse, potrà liberare tanti di loro dal velo di cecità pregiudizievole che li
opprime.
Grazie.
Michele Galvagno
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Pagina
Ringraziamenti
Ringrazio innanzitutto Lucia GAFÀ – che abbraccio con tutto il mio affetto –, senza il
cui aiuto con ogni probabilità questo lavoro non avrebbe mai visto la luce, il bibliotecario del
Conservatorio di Cuneo M° Alberto VIARENGO che mi ha aiutato a reperire la parte del
pianoforte presso la Biblioteca “Ostiglia” di Modena. All‟interno del Conservatorio “G. F.
Ghedini” di Cuneo ringrazio inoltre tutti i miei professori di teoria che nominerò uno per uno,
per avermi fornito un fertile humus in cui far germogliare la mia sete di conoscenza e per
avermi donato i mezzi per poter affrontare in completa autonomia e a 360 gradi una
composizione musicale di qualsiasi epoca e stile e il Prof. Francesco Redondi per avermi
avviato su questa strada e per avermi sostenuto e incoraggiato durante tutto questo lungo
periodo. Ringrazio quindi il Prof. Aldo SACCO, il Prof. Antonio FERRARA, la Prof.ssa Cécile
PEYROT, la Prof.ssa Cristina SANTARELLI, il Prof. Giorgio PUGLIARO, il Prof. Paolo MINETTI e
la Prof.ssa Elena CAMOLETTO. Ringrazio inoltre tutte le segretarie che mi hanno con pazienza
sopportato nelle mie innumerevoli richieste durante i mesi di preparazione di questo lavoro.
E ancora, ringrazio di cuore Santosh Guarino per aver reso ascoltabile il file audio
allegato a questa tesi e per avermi fornito il materiale e il supporto tecnico in questo lungo
indimenticabile periodo.
mie preoccupazioni, mi aprì ai segreti del mio strumento, riuscì a convincermi che il
violoncello in realtà è uno strumento facilissimo e che tutto è possibile se uno crede nelle
proprie possibilità. Per tutto questo dico: «Grazie, Professore!».
Ringrazio ancora di cuore Anna FENOGLIO per aver accettato di fungere da mia
“cavia” personale di laboratorio nel testare la validità del metodo di Kummer a centotrentadue
anni dalla pubblicazione della seconda edizione.
Grazie!
Michele Galvagno
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Pagina
Bibliografia
Mario BARONI, Enrico FUBINI, Paolo PETAZZI, Piero SANTI, Gianfranco VINAY, Storia
della Musica, Piccola Biblioteca Einaudi Arte. Teatro. Cinema. Musica., 1988
(ristampa 1999).
CORRIERE DELLA SERA, 22 giugno 2007, Il secolo lungo, Paolo Macry, pag. 53.
DEAGOSTINI, Grande Enciclopedia, 1996
Renato DIONISI, Appunti di Analisi Formale per l‟esame di cultura musicale generale
in conservatorio, XII edizione, Ed. Curci Milano.
Friedrich August KUMMER (1797-1879), Concerto brillant per violoncello e orchestra
op. 10, ed. critica a cura di Michele Galvagno e Stefano Ligoratti, ClassicaViva, 2008
Friedrich August KUMMER (1797-1879), Violoncello School for Preliminary
Instruction with an appendix containing 101 progressive studies, revised by Alfredo
Piatti, Leipzig, Friedrich Hofmeister, 1877.
UTET, Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti, Il Lessico;
Le Biografie.
William Josef von WASIELEWSKI, The Violoncello and its History, web .pdf edition.
Sitografia
www.cellist.nl
www.wikipedia.org
www.celloheaven.com