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PATERNITA' NATURALE E PATERNITA' SPIRITUALE A PROPOSITO DELLA «NENCIA DA

BARBERINO»
Author(s): Paolo Toschi
Source: Lares , 1951, Vol. 17 (1951), pp. 141-145
Published by: Casa Editrice Leo S. Olschki s.r.l.

Stable URL: https://www.jstor.org/stable/26238592

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V A R I E T A'

PATERNITA' NATURALE E PATERNITA' SPIRITUALE

A PROPOSITO DELLA «NENCIA DA BARBERINO »

Italiano Marchetti ha replicato, in Aevum, al mio discorso su la N


La polemica, dunque, continùa. E continuiamola. Per parte mia, cerche
tinuare a renderla feconda.

Con viva soddisfazione ho, per esempio, constatato, che i miei rilievi hanno
costretto il mio contraddittore, a trar fuori dall'opera di Bernardo Giambullari
— ch'egli conosce così bene come nessun altro — tutto quel che può avere
autentico valore di poesia. Anche solo una bella terzina novamente acquisita alla
nostra cultura e alla storia della nostra poesia è pur sempre un guadagno, di cui
dobbiamo esser grati allo scopritore. Il Marchetti compie qui per la prima volta
una rivalutazione di « ciò che è vivo » poeticamente nel suo autore prediletto.
Egli stesso riconosce di « essere veramente in colpa per il giudizio troppo se
vero dato sul povero Bernardo » e si riscatta col mettere in evidenza i pregi e
i lati positivi della 9ua opera. Si tratta di un autore, se pure di media levatura,
cresciuto nel clima culturale di Lorenzo e della sua cerchia, una voce di quel
coro, non certo quella di capocoro, ma di uno che, insomma, fa la sua parte.
E perciò qualche accento di poesia s'è pur fatto luce nel grigiore e nell'im
personalità della maggior parte delle sue composizioni. La licenza della ballata
« Levati, dama, dal cuore » e due terzine di uno dei capitoli d'amore merita
vano veramente di essere tratte fuori dall'oblio. Le altre cose, sulle quali pure
si sofferma il M., mi sembra che non portino questa impronta di autentico va
lore lirico. Invece, se fosse sicura l'attribuzione a Bernardo Giambullari della
novella del Grasso legnaiuolo, su questa si potrebbe far leva per una maggiore
valutazione dell'ingegno e delle capacità letterarie del Giambullari : non si tratta
soltanto, almeno secondo il mio modesto giudizio, « di gustosi episodi narrati
con rozza vivezza, non senza, qua e là, buone doti di penetrazione psicologica »,
ma di qualche cosa di molto superiore, e che precorre quella narrativa di sug
gestione entro la quale possiamo comprendere, oltre Pirandello, alcuni altri dei
più significativi scrittori moderni. Per chi voglia elevare la figura del « povero
Bernardo » è dunque di grande interesse poter dimostrare la sicura paternità

(1) Italiano Marchetti, Stato civile lineamenti


e della Nencia da Barberino in Aevum,
discorso col titolo « La Nencia è di Lorenzo »,
XXV, 5, sett-ott. 1951 ; pp. 415-434. Il mio
in Archivio Storico Italiano, CV1I (1949)
n. 395 (dedicato a Lorenzo il Magnifico).

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della novella : e speriamo che questa attribuzione sia più pacifica di quella della
« Nencia » (2).
Certo è che da questa rivalutazione dell'opera poetica del Giambullari avrebbe
dovuto prender le mosse la dimostrazione della tesi del Marchetti. Tale rivalu
tazione costituisce, tuttavia, soltanto una base di partenza generica.
Veniamo agli argomenti specifici. Il M. mi fa gran colpa di non aver stu
diato direttamente il Codice Ash. 419. Io ho accettato i dati del codice quali
ci ha offerto lui (3) : soltanto li ho interpretati come credevo necessario. Se egli
mi rimprovera di esser stato contento alle notizie del suo apparato informativo,
ciò vuol dire che egli ha di se stesso minor fiducia di quella che gli abbia io.
Egli mi rimprovera anche di aver « preferito sorvolare sui precisi riscontri di
lingua e di stile da lui istituiti », e di aver riportato un solo esempio, che,
naturalmente io avevo scelto apposta perchè ben calzante alla mia asserzione :
se tale esempio « rispondeva all'uso comune dei rimatori », come il M. stesso
riconosce, perchè ce l'ha messo ? Ma ora egli ripresenta, dopo oculata scelta,
alcuni esempi, che, dunque, dovrebbero essere i più significativi. Pronto a rico
noscere i miei torti, io gli chiedo perdono di aver letto alcune pagine troppo « a
volo » ; ed eccomi questa volta a rinforzare la mia attenzione. Il 1° esempio re
cato dal M. dimostra che la frase idiomatica pare un zero cancellato si trova
in due componimenti del famoso codice (rispettivamente una stanza e un sonetto)
di sicura attribuzione al Giambullari. Il II0 esempio ricorda che la descrizione
di Carsidora nella « Giunta » al Ciriffo Calvaneo trova sicuro riscontro con al
cuni versi di altri due componimenti dello stesso codice. Ora, nessuno aveva
mai contestato che tra le poesie autentiche del Giambullari ci potessero essere
delle rispondenze ; mancano invece i riscontri con la « Nencia » : quindi, allo
scopo dell'attribuzione della « Nencia » al Giambullari, questi due esempi non
provano nulla.
Ma il secondo esempio si conclude mettendo a fronte anche questi versi
della « Giunta » :

di sotto alle labbra il gentil mento


ritondo, onesto e con un foro drento

con quelli ben noti, della « Nencia » :

Ha un buco ento il mezzo del mento

che rabbellisce tutta sua figura.

(2) Ricordiamoci intanto che della novella esistono tre redazioni diverse l'una dall'
tra (Vedi M. Barbi, Una versione inedita della novella del grasso legnaiuolo. In « Studi
Filologia italiana » vol. I, Firenze, 1927).
(3) A. Chiari e I. Marchetti, L'autore della Nencia da Barberino, Milano, Marzora
1948.

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VARIETÀ 143

Così come 3° ed ultimo esempio, il M. trova, nella novella del grasso le


gnaiuolo l'espressione « vi sei già stato con più d'un fiordaliso sanza foglie »
e lo riscontra con i versi della Nencia :

ben se potrà chiamare avventurato


chi avrà quel fioraliso senza foglie.

Prima di tutto, questi due riscontri sono proprio così specifici ? L'immagine
della bocca come un foro o un buco nel mento porta proprio il marchio di
fabbrica Giambullari ? Non può essere stato comune al linguaggio popolare ?
La stessa osservazione può farsi per il 3° esempio, salvo che resta sospesa la
questione della cronologia e della paternità della novella del grasso legnaiuolo.
Ma l'argomento decisivo è un altro : questi due esempi di riscontri con la
« Nencia » (i soli recati dal M.) sono tratti da opere certamente posteriori : per
la « Giunta » lo sappiamo in modo preciso, e comunque ricordiamoci che quando
fu composta la « Nencia », il Giambullari aveva ventidue anni e quindi la mas
sima parte della produzione a lui sicuramente attribuibile appartiene a un periodo
successivo. Ora, non è affatto necessario che le rispondenze tra un'opera po
steriore e un'antecedente famosa denuncino lo stesso autore : anzi, di regola
avviene il contrario. È l'opera famosa di un autore insigne, che viene imitata
e presta dei versi agli imitatori. Nel cantare della Donna del Vergiù (ricordato
nel Decameron e quindi probabilmente composto nei primi decenni del Trecen
to) troviamo dei versi che derivano dall'episodio di Paolo e Francesca. Dovremo
dedurre che Dante fu l'autore del cantare, o attribuire all'anonimo cantampanca
il canto V dell'Inferno ? Pertanto riscontri fra la Nencia e opere posteriori del
Giambullari, non provano altro se non l'influsso esercitato su di esse dal poe
metto, che sappiamo aver goduto subito di grandissima popolarità.
Conchiudendo su questo punto, non trovo proprio nulla da cambiare circa
quanto scrissi sul non valore probatorio dei riscontri addotti dal Marchetti. La
rafforzata attenzione mi ha rafforzato nell'opinione formatasi alla prima lettura :
la quale, quindi, non deve poi essere stata così sorvolante come ama credere,
o far credere, il mio contraddittore.
Veniamo ad un altro punto. 11 Marchetti scrive « Egli (cioè io) ha dovuto
afferrarsi all'unico appiglio di fatto offertogli dal Varchi, che nell'Ercolano assegna
la Nencia da Barberino al Magnifico ».
No, non è vero. Io ho addotto tre dati esterni : e il primo a cui ho annesso
la maggiore importanza è costituito dai componimenti latini sulla Nencia di Barto
lomeo Scala : certo, mi sono servito anche della testimonianza del Varchi ; chè
se questi « non andò esente da facilonerie », per usare le parole del Marchetti,
ciò non vuol dire che si debba togliere ogni valore alla sua opera di storico.
Come folklorista non posso non ricordare quel capitolo delle sue Storie fiorentine
(L. IX) nel quale egli ci dà così precisi ragguagli sugli usi e sui costumi dei
fiorentini, con piena coscienza del valore di queste osservazioni dettagliate. « E

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come ; — egli dice a rao' di conclusione, — raccontando tali minuzie può. uno
storico molte fiate non esser lodato, così talvolta, raccontandole può non esser
biasimato ». Nel nostro caso poi, come ho già messo in rilievo, il Varchi non
ricorda incidentalmente la Nencia e Lorenzo come suo autore, ma se ne occupa
in un'opera espressamente dedicata allo studio del fiorentinismo nella lingua e
nella poesia ; opera per la quale egli si era fatto una preparazione specifica. Non
tener conto della sua testimonianza è grave errore, per chi voglia affrontare il
problema senza preconcetti.
Ma quel che appare strano (o troppo chiaro) è che il Marchetti non spende
una parola sul valore della testimonianza che io (seguendo il Fubni) ho attribuito
ai componimenti latini dello Scala. E sì, che io vi annettevo grandissima impor
tanza ! Dovrò muovere a lui lo stesso rimprovero ch'egli fa a me, cioè di non
prestare nemmeno « un minimo di attenzione a quel che si vuol contraddire »,
o dovrò pensare che « chi tace conferma » ? Preferisco questa seconda ipotesi.
Infine, per disincagliare la polemica dall'irrigidimento in cui sembrava fissarsi,
io ho avanzato una ipotesi, sulla quale il M. « sorvola » del tutto. Più desideroso
di scoprire la verità che di dimostrare d'aver ragione, io mi ero chiesto se, tanto
noi, come dire ? lorenzisti, quanto i nostri contraddittori giambullariani, non
fossimo per caso in errore per voler dare al problema una soluzione troppo
semplicistica. Quel certo alone di oscurità e di incertezza in cui esso è sempre
rimasto, non ci deve mettere in sospetto, e far pensare che si tratti di un caso
un po' complicato ? Non sempre la paternità letteraria o artistica si attua allo
stesso modo- della paternità naturale ; la critica d'arte 9Ì trova abbastanza spesso
di fronte a un quadro in cui han messo la mano e il maestro e i discepoli.
Pertanto nel caso della Nencia io ho suggerito questa soluzione : che le ottave
che compongono il poemetto, o venti o trentatrè o cinquanta che fossero fin dai
primi tempi, sono nate nel campestre e sereno clima della villa dei Pulci, ad
opera di una piccola brigata, di cui, con i Pulci stessi, faceva parte Lorenzo e
qualche altro amico. Ma « uno che cominci, dia il tono e l'esempio, ci vuole. E
l'esame degli elementi esterni ed interni ci prova che l'ideatore e promotore e
primo autore fu Lorenzo ».
Tanto più mi sorprende il silenzio del Marchetti su questa ipotesi, in quanto
dal suo saggio sono emersi nuovi dati che certamente vengono a recare un no
tevole apporto in favore della ipotesi stessa. Infatti, mentre ferveva la polemica
dell'attribuzione della « Nencia » a Lorenzo o al Giambullari, Mario Ferrara co
municava al Marchetti alcuni sonetti Nenciali (tuttora inediti) tra i quali ce n'è
uno composto da Lorenzo « dopo il ritorno dal fortunato viaggio di Napoli ».
Ebbene in questo sonetto il Magnifico rammenta « mona Nencia mia ». Ma anche
in due sonetti del notaio, umanista amico di Lorenzo, Alessandro Braccesi, la
donna è qualificata « Nencia mia dolce », e « Nenciozza mia belloccia ». Dunque,
tanto Lorenzo che il Braccesi dicono Nencia mia. Del Giambullari nessuna traccia.

È stupefacente come il Marchetti, che ci dà queste informazioni, non avverta

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la nuova grande difficoltà sorta per i sostenitori della tesi giambullariana, e non
senta l'obbligo di provarsi a togliere ogni valore di testimonianza a questi sonetti.
Riguardo a quello di Lorenzo, egli si limita a chiedersi, in un inciso del discorso,
« se realmente è suo ». Si faccia dunque coraggio il Marchetti e pubblichi questo
conzoniere burlesco del Braccesi, o almeno ci dia integralmente i sonetti che
parlano della Nencia. E cerchi di spiegare come mai non vi compaia il suo
Bernardo, e come Lorenzo possa dire Nencia mia, senza che con la Nencia egli
abbia nulla a che fare. Sarà un'impresa abbastanza difficile. Per noi invece è
facilissima : se Lorenzo dice Nencia mia, è segno che è sua, o almeno è anche
sua. I sonetti del Braccesi vengono a recare elementi tutt'altro che trascurabili
; all'ipotesi della creazione della Nencia da parte di un gruppo di amici capeggiato
da Lorenzo. Comunque, i nuovi dati esterni venuti in luce confermano e raffor
zano, in linea generale, la tesi da me sostenuta (4).
Da questo punto, quindi, può avviarsi la nuova ricerca, e ... finire la polemica.

Paolo Toschi

ANCORA SUL c TOCCAMANO »

Alle numerose e interessanti notizie che Bianca Toschi ci ha dato nel p


cedente fascicolo di Lares (a. XVI 1950) nell'articolo « Usi nuziali aret
un libro di ricordi del Cinquecento », intorno al « toccamano », si può aggiu
qualche altro dato. Levi Lucaccini nell'opera « Letteratura dialettale corto
'Dal settecento ai nostri giorni » Arezzo, ed. di Contemporanea 1930, a p.
trae dal lunario « La castagna » del 1867 alcune usanze nuziali, tra cui que
« Mentre mangiano (per il pranzo di fidanzamento) il fidanzato riempie
chiere di vino, che vien bevuto per metà dal giovanotto e per metà da
gazza, toccandosi la mano. È questo il cosidetto toccamano ». La testimoni
è importante perchè prova il conservarsi in prov. di Arezzo, (ma solo nelle
pagne) della stessa usanza che era documentata per il Cinquecento dal libr
ricordi del nobile aretino Giorgio Palliani. È inoltre da osservare come co
mine di « toccamano » si indichi una forma rituale in cui entra anche, co
in Romagna, un altro atto impegnativo, il « bere insieme ».
Sempre nella stessa opera del Lucaccini è riprodotto uno « Scherzo dra
tico » di Raffaele Luigi Billi (poeta dilettale della 2» metà dell'Ottocento)

(4) In tal modo i dati esterni per l'attribuzione della Nencia a Lorenzo diventano
tro : 1° - I tre componimenti latini di Bartolomeo Scala (circa 1474) ; II0 - Il sonetto
renzo (anteriore al 1480) ; III0 - La testimonianza del Varchi nt\V Ercolano (1560) ; IV0
dizione fiorentina del 1568. Gli anelli della catena sono, così aumentati, e la catena
tradizione s'è rafforzata. Invece per l'attribuzione della Nencia a Giambullari, non esis
qualsiasi testimonianza.

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