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Roberto Talamo

Per una lettura delle «Sette canzonette del Golfo» di Fortini

1. I tentativi di ricondurre l’interpretazione delle «Sette canzonette del Golfo» di Franco Fortini1 alla
riflessione generale sulla guerra non possono che indurre la critica a esprimere un giudizio limitato,
dubbioso o, al contrario, forzosamente positivo su questi componimenti. Andrea Inglese, in Scrivere di
guerra: Fortini e Buffoni, rileva che nelle Canzonette non c’è traccia alcuna di una lettura storico-politica dei
fatti della prima guerra del Golfo.2 Il valore di questi testi si troverebbe allora, aggiunge Inglese, nella
modalità attraverso cui questi fatti vengono conosciuti, non come eventi politici, bensì come fatti televisivi.
Le Canzonette del Golfo direbbero che «la televisione ci avvicina alla guerra e nello stesso istante ci separa
irrimediabilmente da essa».3 Se questo fosse il reale valore conoscitivo delle poesie in discussione
bisognerebbe rilevare che, in altri luoghi della propria opera, Franco Fortini ha condotto analisi ben più
articolate ed efficaci. In relazione al rapporto tra guerra e rappresentazione mediatica, la riflessione
condotta all’altezza de I Cani del Sinai appare, seppure espressa in una terminologia oggi in parte
desueta, di valore infinitamente maggiore.4

Non diverso è l’imbarazzo con cui Ennio Abate presenta le Canzonette, in un articolo che ripercorre la
riflessione di Fortini sul tema della guerra:

La poesia […] ha perduto il ritmo percussivo e corale di Foglio di via e sembra regredire a <ninna-nanna per
l’addormentamento, narcosi e ebetudine procurata= (Lenzini). […] Le Canzonette del Golfo sono seguite da autocritica
(Considero errore). Quasi temendo di essersi lasciato troppo andare, Fortini metteva sotto accusa la propria <complicità con
avversari e interlocutori= e l’ironia <lacrimante= (l’espressione è sua) di quei componimenti. È agevole al lettore capire che
l’insieme dei componimenti di Composita solvantur […] <correggono= o ridimensionano il peso di quella singola sezione.5

1 F. Fortini, Composita solvantur, Einaudi, Torino 1994, pp. 29-37.


2 A. Inglese, Scrivere di guerra: Fortini e Buffoni, in «Qui. Appunti dal presente», 9, primavera 2004, pp. 41-49.
3 Ivi, p. 42.
4 F. Fortini, I Cani del Sinai, Quodlibet, Macerata 2002 3, in particolare pp. 12, 18-19, 24.
5 E. Abate, Fortini, la guerra, la pace, in «Poliscritture», rivista pubblicata in cartaceo e on-line,
www.poliscritture.it/article.php3?id_article=96. L’articolo è del 2007.
Sezione indubbiamente da <correggere= o <ridimensionare= se si resta legati all9idea che le Sette
Canzonette del Golfo siano un testo sul significato storico-politico della guerra o sulla rappresentazione
mediatica dei fatti bellici.

2. In questa breve nota vorrei provare a fondare l9interesse per questa sezione di Composita solvantur su
un diverso ambito tematico e conoscitivo. Si proverà a presentare questi sette componimenti come
tentativo di riflessione in versi sulla differente durata dei tempi storici e sulla possibilità di vederne
l9incrocio in un9ontologia integralmente storica e sociale dell9umano.

Per fare questo è utile accostare le Canzonette non ai testi dell9autore dedicati alla guerra, bensì a una
poesia pubblicata in Poesie inedite 6
che, negli ultimi anni, ha attirato l9attenzione di alcuni critici. Mi
riferisco a Reversibilità 7 e agli studi di Guido Mazzoni e Romano Luperini.

Nell9interpretazione che il primo dà di questo componimento, in Forma e solitudine, si legge:

La poesia parte dal passato, attraversa il presente e ritorna al passato [&]. Il punto di vista è quello dell9uomo moderno, che
solo con molta difficoltà riesce a capire perché la vita e la dottrina di un filosofo sparito, e in generale tutta la storia passata,
possano ancora riguardarlo. [&] Gli interlocutori silenziosi di questa poesia, cioè ogni uomo nel tempo storico presente,
sono, per quello che apprendono dall9esperienza quotidiana, isolati e soli; le forme di trascendenza che davvero li riguardano
sono soltanto la morte personale e i desideri. [&] Attraverso il desiderio, l9uomo capisce di non essere adempiuto, di non
essere tutto. [&] Il desiderio [&] è in realtà ciò che porta il singolo fuori di sé, nella vita sociale. [&] Reversibilità ha come
tema l9esperienza dei livelli di realtà che trascendono la vita privata.8

Romano Luperini interpreta questa poesia come segno del rovesciamento della situazione privata in
pubblica:

Da un lato, la vita dei popoli di cui percepiamo l9esistenza attraverso le radio determina la nostra interpretazione del loro e
del nostro mondo, e a sua volta questa stessa nostra interpretazione determina la loro vita. Dall9altro, la storia diventa
simbolo e figura di ciò che è biologico, naturale, immutabile [&]; ma anche il desiderio, il biologico, il vitale-materiale
diventa simbolo, figura e voce della storia. [&] Il biologico si esprime attraverso lo storico, e lo storico attraverso il
biologico.9

E ancora:

L9educazione insegna la reversibilità delle distanze e delle differenze nel tempo e nello spazio, e dunque un nuovo senso di
cittadinanza e di etica planetaria, la possibilità di un nuovo patto fra le generazioni e fra i popoli. [&] La poesia di Fortini ci

6 F. Fortini, Poesie inedite, Einaudi, Torino 19972


7 Ivi, p. 27.
8 G. Mazzoni, Forma e solitudine, Marcos y Marcos, Milano 2002, pp. 206-208.
9 R. Luperini, Il futuro di Fortini, Manni, Lecce 2007, pp. 86-87.
comunica in fondo un messaggio semplice. [&] L9attività intellettuale che cerca un senso non solo individuale ma pubblico è
l9unica risposta laica possibile al nulla della morte e alla ripetitività dei cicli biologici. 10

Il dispositivo di conoscenza messo in atto nelle Canzonette è analogo a quello descritto da Mazzoni e
Luperini in riferimento a Reversibilità. La differenza sta nel fatto che, nelle prime, oggetto di riflessione
non è l9alternarsi di passato-presente-passato, ma il contrapporsi e il fondersi di quelle che gli storici
definiscono <durate=: la lunghissima durata del tempo della natura (a cui corrisponde il personaggio
della <gentilissima ragazza=), la breve durata della vita dell9uomo (incarnata nel personaggio del
<vecchietto=) e la brevissima durata della guerra come evento mediatico (personaggi di questa
temporalità sono <gli imperatori dei sanguigni regni=, gli occidentali a cui <gli dèi porsero pace= e i
<popoli estranei=). Separate nelle prime sei poesie, queste differenti durate storiche trovano sintesi nel
settimo componimento, creando quell9effetto di <reversibilità= in grado di affermare il senso e la
necessità di quell9ontologia storica e sociale dell9umano, non dimentica dell9ambito <vitale-materiale=, di
cui abbiamo parlato all9inizio e che Mazzoni e Luperini hanno riscontrato nella poesia inclusa nella
raccolta postuma del 1997.

È necessario a questo punto rileggere i testi per seguire lo sviluppo di questa dinamica di durate e
significati.

3. Il primo componimento si apre su un quadretto idillico. È il tempo della natura a inaugurare l9opera:
lo splendore del mattino, un giardino, un «ragnetto» (v. 4) che si dondola al vento sulla sua ragnatela. Il
tempo dell9uomo è introdotto da un primo segnale: «Lontanissime sirene» (v. 6) in enjambement con
«d9autostrada» e dall9ingresso in scena del principale personaggio di queste liriche: il «vecchietto» (v. 9)
che nel suo giardino gode l9aria tersa di una domenica mattina. Nella terza strofe si ritorna sul tempo
naturale, ma osservato con gli occhi dell9uomo: le formiche vanno in fila a fare <danni= alle pere
mature. In questo primo componimento non c9è traccia della guerra, ma il termine <sirene= sembra
annunziarla.

Nella seconda Canzonetta, il tempo brevissimo degli eventi militari è introdotto da un verso che ha il
sapore di una favola, quasi a voler stilisticamente riprendere il gioco del ragnetto nel giardino: «Lontano
lontano si fanno la guerra» (v. 1). Il <vecchietto= è distante dagli eventi, è «il sangue degli altri» (v. 2) che
viene sparso. Il suo sanguinare è invece procurato da un altro elemento, ancora una volta idillico e
campestre, cioè dalla puntura di una spina di rosa. La comparazione del proprio sangue col sangue altrui
porta ad una ironica riflessione sul ruolo del poeta e dell9intellettuale, che chiuso nel suo giardino
<occidentale= non può né portare aiuto alle vittime e né parlare, perché la sua parola resta inascoltata. E
se anche potesse far sentire la sua voce, a cosa servirebbero i versi ? La riflessione ha una brusca

10 R. Luperini, La condizione intellettuale, Prolusione per l9inaugurazione del 767° anno accademico, Università di Siena,

2007, www.unisi.it/eventi/inaugurazione767/relazioni.htm
torsione verso l9amarezza: si metta fine alla triste ironia, il sole comincia a scomparire, bisogna indossare
una «maglia» (v. 14) per affrontare l9inverno del conflitto.

Prima di prendere realmente congedo dalla <mesta ironia= del componimento precedente, un altro testo
di stile leggero serve a introdurre un secondo personaggio: una «gentilissima ragazza» (v. 4), che prepara
la colazione al <vecchietto=. L9attenzione è spostata su piccolissimi gesti quotidiani: il desiderio di fare
colazione non con una qualsiasi tazza, ma con la propria tazza è promessa di felicità. La tazza riflette il
turchino del cielo quando è più limpido e leggero, leggero, aggiunge il poeta, «come te» (v. 10), come la
ragazza che ha accanto. Già dalla sua prima apparizione la figura femminile (ironicamente una
<gentilissima= che prepara la colazione) ha una connotazione al contempo seria: è in più stretto
contatto, rispetto all9uomo, con il tempo naturale, con la leggerezza dell9aria e il turchino del cielo
sereno.

Con la quarta Canzonetta il tono cambia e anche la forma metrica si adegua: è quella nobile, per
tradizione letteraria, del sonetto. Nelle due quartine lo scenario è quello della guerra. Come minacciose
divinità, i governanti dell9occidente, i «sanguigni regni» (v. 1), definiti «imperatori» (v. 1), attraversano i
cieli (quanta distanza dal cielo turchino del precedente componimento !), sorvolando le luci ora
notturne delle città. Essi sono assorti, concentrati nel definire progetti malvagi o colpevoli. Scagliano
«tra fetori e fumi» (v. 5) micidiali schiere di «congegni» (v. 6), di bombe. L9effetto dei bombardamenti è
quello di dilaniare i corpi degli uomini, ridotti a brandelli: si riconoscono femori o cervelli, e in quelli
che non sono più uomini, ma solo immagini spettrali di uomini (<segni umani=), sono impressi, come
marchi, grumi bruciati e rappresi. Nelle due terzine del sonetto la focalizzazione è di nuovo
sull9Occidente, ma questa volta, non è l9io a campeggiare, ma il noi degli uomini e delle donne
occidentali. Questi dèi-imperatori a noi, solo a noi, hanno dato pace. Per i nostri giorni, che pure
volgono al tramonto («occidui», v. 10), si ravvivano e splendono i vigneti e i campi seminati e il riso
favorevole della sorte. Ci rende sereni e allegri un breve riso, quel «poco» (v. 12) costituito da una vista
che ci permette di spaziare con lo sguardo o, in chiara opposizione, la chiusura della pagina di un libro,
che promette autoteliche glorie letterarie. Osservando nuovamente questo sonetto nel suo complesso,
si nota come nelle due quartine, con effetto di accelerazione che sottolinea la rapidità del tempo
brevissimo degli eventi bellici («già», v. 5), è descritta la guerra. A questo tempo corrispondono nuovi
personaggi senza volto: gli imperatori-dèi e i popoli occidentali, protagonisti di questa specifica durata.
Per la seconda volta, inoltre, l9attività poetico-intellettuale è connotata dal marchio dell9impotenza e
della chiusura («i chiusi inchiostri», v. 13).

Nella quinta Canzonetta l9«inverno» (v. 1) della guerra è già passato, il tempo degli eventi si fa sempre più
breve. I suoi «clamori» (v. 2, metafora <morta= del lessico giornalistico) sono stati insieme terribili, per
la realtà della guerra, e vani, per l9effetto di irrealtà creato dalla comunicazione. Al tempo delle battaglie
di popoli che ci sono lontani, estranei, estraniati dal racconto mediatico, si oppone nuovamente il
tempo lungo della natura: l9«eterno degli ippocastani» (v. 5), che continuano a germogliare dai «ceppi»
(v. 6). Nella seconda strofe ritorna il personaggio femminile, che sembra avere la stessa lenta indolenza
della natura: graziosa, annoiata, ancora in pigiama sul terrazzo, rivolge una preghiera alla natura, sua
<simile=: chiede che il bene vinca sui campi coperti di sangue, come il sole vince la nebbia al mattino.
La preghiera della donna si può considerare <esaudita=, ma solo in un senso, ancora una volta, ironico:
è già marzo (il 27 febbraio George Bush aveva annunziato la fine delle ostilità) e lei non si è accorta che
il «peggio» (v. 14), il male della guerra, è improvvisamente svanito.

Nella sesta poesia, il ritorno della primavera («Aprile torna», v. 1) sembra far dimenticare la guerra
appena terminata e i versi descrivono la vita di un borgo in un giorno di festa. Il fresco della sera
arrossa le guance di alcune ragazze, impegnate in una gara ciclistica. I ragazzi avvertono quasi in modo
animalesco il loro odore («le annusano», v. 9), una delle ragazze passa nella grazia del seno e della
muscolatura. Eppure qualcosa nella festa primaverile è cambiato: le parole vociano «rauche» e «laide»
(vv. 5 e 6): «Fu dolce, in altro tempo, primavera. / Godono pepsi cola ignude gole.» (vv. 7-8). La
stagione non è dolce, la sua dolcezza è in un tempo ormai passato o nell9eterno inattingibile della
natura, soprattutto per il <vecchietto=. Per lui, la stessa bellezza femminile che passa appartiene a un
altro tempo, un tempo in cui fu un pungente piacere. Non gli resta che interrogarsi su quale piacere
sensibile gli resti. La conclusione è amaramente ironica: il «dormire» (v. 14).

Il dormire si trasforma nell9immagine affine della morte nell9ultimo, fondamentale, bellissimo


componimento. Tutta la tensione presente tra tempi, luoghi e personaggi-simbolo è ripresa e
sintetizzata in pochi tratti essenziali e la vicenda del <vecchietto= (e in essa quella del poeta e della
poesia) trovano compimento. L9operazione di <pulizia= del proprio giardino è in relazione con
l9operazione di <polizia= in atto durante la prima guerra del Golfo.11 Nello stesso tempo il <vecchietto=
si identifica con le vittime. Nel momento in cui sente avvicinarsi la morte, come la lumaca morente che
rimette «plasma e anima» (v. 8), rilascerà un veleno scuro e definitivo che lento si insinuerà nel potere
degli <dèi= della guerra.12 I tre tempi e le tre figure rappresentative di queste diverse durate coincidono
per un attimo nella sua figura. Il <vecchietto= sperimenta insieme il tempo breve dell9umano, nel suo

11 Scrive Fortini in nota, affiancando i due temi: «Le Canzonette del Golfo sono del 1991. In quell9anno, oggi quasi fatta

dimenticare, un9operazione di 8polizia9 tra il Golfo Persico e Bagdad ammazzò centinaia di migliaia di persone, aprendo una
nuova èra nelle relazioni internazionali. La metaldèide di Se mai laida&è nome chimico di un prodotto che contro lumache o
limacce si sparge in granuli sul terreno» (F. Fortini, Composita solvantur, cit., p. 85).
12 Sul tema del veleno della vittima che uccide il carnefice, cfr. F. Fortini, Stanotte&, in Id., Composita solvantur, cit., p. 13.

Romano Luperini commenta così questa poesia: «Il morso con cui l9animale uccide la bestiola lo condanna: resterà contagiato
dal veleno che già contamina il sangue della sua vittima. [&] A entrare in circolo [&] è il veleno di un inquinamento che
tutti ci riguarda» (R. Luperini, Il futuro di Fortini, cit., p. 71). La poesia, risalente al 1985, fu pubblicata inizialmente con il titolo
L9animale.
imminente morire, il tempo brevissimo dei carnefici, nel suo gesto distruttore di 8pulizia9, il tempo
lunghissimo dell9«ultimo» veleno (v. 12), che «lento» (v. 11) distruggerà gli «dèi crudeli e ignoti» (v. 11).

Come la critica ha evidenziato per Reversibilità, anche nelle Sette Canzonette del Golfo l9intrecciarsi e
confondersi dei tempi storici (in questo caso <durate=), dei luoghi (vicino-lontano) e qui ancora delle
diverse funzioni simboliche dei personaggi, oppongono alla vanità del parlare, alla chiusura degli
<inchiostri=, l9apertura della «possibilità 3 riprendendo ancora Luperini 3 di un nuovo patto fra le
generazioni e i popoli», negazione possibile di quella «nuova èra nelle relazioni internazionali»
inaugurata dalla guerra. Fortini giunge così a disegnare un9ontologia integralmente materiale, storica e
sociale dell9umano.

Quella sorta di palinodia (Considero errore)13, che segue di poche pagine le Canzonette, non ne mette in
discussione la riflessione fin qui evidenziata, ma vuole ribadire, fuori da ogni dubbio, che la soluzione
proposta non è individuale. La risoluzione non è infatti nel momento estremo della propria morte,
recitata nei modi di una «ironia lacrimante» (v. 4), ma nel tempo lungo di chi avrà il compito e il dovere
di capire «che tempo fu quello» (v. 9), che tempo è il nostro, che appare «incomprensibile e senza
nome» (v. 11). Il compito non è più quello del poeta al termine del tempo breve della sua vita, ma
quello di chi verrà, il compito di inventare, di trovare una spiegazione. L9attenzione non è più rivolta a
sé, ma a noi: «voi tutto dovrete inventare» (v. 14).

4. A conclusione di questo tentativo di lettura delle Sette canzonette del Golfo è utile porre una breve
bibliografia ragionata, che introduca al lettore altre indagini e proposte ermeneutiche di cui non si è
potuto dare conto in questo scritto.

Fondamentale per un approccio filologico ai testi è l9articolo di Marianna Marrucci, Canzonette del Golfo.
Varianti e inediti, in «L9Ospite Ingrato» VI, 2003, 2, pp. 239-247. Dalla spoglio della corrispondenza
relativa a questo componimento appare, tra le altre informazioni, l9intenzione di Fortini di far musicare
le Canzonette e l9importante definizione, che l9autore dà dell9opera, di <manierismo del Golfo=.

Sul concetto di manierismo e sulla complessa trama intertestuale soggiacente alle sette poesie (da
Metastasio a Manzoni, da Foscolo a Pascoli) si veda l9articolo: Marina Polacco, Fortini e i destini generali.
Lirica e <grande politica= fino a Composita Solvantur, in «Allegoria», n.s. VIII, 1996, 21-22, pp. 42-61,
successivamente ripreso nel volume M. Polacco, L9intertestualità, Laterza, Roma-Bari 1998. Ai rimandi
intertestuali messi in luce in questi scritti bisogna aggiungere quello, suggerito da Luca Lenzini, alla
poesia No9 angossarte, putèl, spera& di Noventa (e indirettamente Heine e Brecht): L. Lenzini, Il poeta di
nome Fortini, Manni, Lecce 1999, p. 222. Ancora Lenzini ha scritto note importanti sulla <mesta ironia=

13 F. Fortini, Composita solvantur, cit., p. 74.


di questi componimenti: L. Lenzini, Fortini, in Id., Stile tardo. Poeti del Novecento italiano, Quodlibet,
Macerata 2008, p. 234-236.

Sul manierismo e sul problema del tempo nell9intera opera di Fortini si vedano rispettivamente
l9articolo di Thomas Peterson, Aspetti manieristici della poesia di Fortini e quello di Giuseppe Nava, Tempo e
memoria nella poesia di Fortini, entrambi pubblicati in Aa.Vv., Dieci Inverni senza Fortini, Quodlibet,
Macerata 2006, pp. 83-92 e pp. 357-363. In quest9ultimo scritto, la dimensione del tempo, nelle
Canzonette, è individuata come «strategia di difesa», adottata da Fortini, contro «il funesto valore
inaugurale d9una nuova epoca di guerra» (p. 358). Un9ottima definizione del manierismo fortiniano è
data da G. Mazzoni in Forma e solitudine, cit.: «Il manierismo esprime nostalgia perché evoca
un9immagine dell9integrità che appartiene al passato per scatenare, al cospetto della realtà alienata,
un9energia di attesa: non è dunque un valore adempiuto ma un progetto. [&] In questo senso, il
manierismo è una forma di ironia romantica: indicando una verità ulteriore e irraggiungibile, chiede di
essere superato e inverato» (p. 202). Il rapporto generale tra ironia ed <energia di attesa= è stato
teorizzato molto bene, riferendosi a Benjamin, da Paul de Man: «L9ironia è la radicale negazione la
quale, tuttavia, rivela, attraverso il disfacimento dell9opera, l9assoluto verso il quale l9opera è in
cammino» (P. de Man, The Concept of Irony, in Id., Aesthetic Ideology, University of Minnesota Press,
Minneapolis-London, 1996, p. 163-191, tr. it: Id., Il concetto di ironia, in «Studi di Estetica», anno XXXV,
III serie, 35-36, 2007, pp. 73-100; a pag. 99).

Si veda infine la recensione alla raccolta Composita solvantur di Raffaele Cavalluzzi (Fortini, <Composita
solvantur=, in «Lavoro critico», n.s., 1992 [in realtà 1996], 22-24, pp. 121-124), che interpreta la settima
delle Canzonette come «densa metafora autobiografica della patologia che infierisce, sorda, nella sua
esasperata fisicità, dentro le viscere dell9uomo-Fortini» (p. 122).

***
APPENDICE: i testi

Sette canzonette del Golfo

1. Ah letizia&

Ah letizia del mattino!

Sopra l9erba del giardino

la favilla della bava,


della bava del ragnetto

che s9affida al ventolino.

Lontanissime sirene

d9autostrada, il sole viene!

Che domenica, che pace!

È la pace del vecchietto,

l9ora linda che gli piace.

Le formiche in fila vanno.

Vanno a fare, ehi! qualche danno

alle pere già mature&

Quanto sole è sul muretto!

Le lucertole lo sanno.

2. Lontano lontano&

Lontano lontano si fanno la guerra.

Il sangue degli altri si sparge per terra.

Io questa mattina mi sono ferito

a un gambo di rosa, pungendomi un dito.

Succhiando quel dito, pensavo alla guerra.

Oh povera gente, che triste è la terra!

Non posso giovare, non posso parlare,

non posso partire per cielo o per mare.

E se anche potessi, o genti indifese,

ho l9arabo nullo! Ho scarso l9inglese!

Potrei sotto il capo dei corpi riversi


posare un mio fitto volume di versi ?

Non credo. Cessiamo la mesta ironia.

Mettiamo una maglia, che il sole va via.

3. Se la tazza&

Se la tazza mi darai

che mi piace, la mia tazza

con il manico marrone,

gentilissima ragazza,

tu felice mi farai.

Il suo manico ha il colore

del più vivo e ricco tè

ma riflette anche il turchino

del leggero cielo se

è leggero come te.

4. Gli imperatori&

Gli imperatori dei sanguigni regni

guardali come varcano le nubi

cinte di lampi, sui notturni lumi

dell9orbe assorti in empi o rei disegni!

Già fulminanti tra fetori e fumi

irte scagliano schiere di congegni:

vedi femori e cerebri e nei segni

impressi umani arsi rappresi grumi.

A noi gli dèi porsero pace. Ai nostri


giorni occidui si avvivano i vigneti

e i seminati e di fortuna un riso.

Noi bea, lieti di poco, un breve riso,

un9aperta veduta e i chiusi inchiostri

che gloria certa serbano ai poeti.

5. Come presto&

Come presto è passato l9inverno

fra clamori terribili e vani!

Le battaglie di popoli estrani

che mai sono in confronto all9eterno,

all9eterno degli ippocastani

che dai ceppi si industriano lenti

a sperare germogli lassù?

E tu assorta graziosa annoiata

sul terrazzo, in pigiama pervinca,

forse chiedi al mattino che vinca

come il sole la bruma ostinata

così il bene sui campi cruenti?

Ma è domenica, è marzo: non senti

che un altr9anno, e il suo peggio, svanì?

6. Aprile torna&

Aprile torna e a sera un frescolino

irrita gote di ragazze accese:

in un palio ciclistico protese

volanti rubiconde mutandine.


Come rauche ora vociano parole

quasi laide nell9aria della sera!

Fu dolce, in altro tempo, primavera.

Godono pepsi cola ignude gole.

I ragazzi le annusano. Una bella

passò, di zinne e deltoidi ribaldi

e d9altro che acre un dì mi fu diletto.

Ma come mai sensibile diletto

trovar non so che me attonito scaldi?

Sì, d9aprile il dormire è cosa bella.

7. Se mai laida&

Se mai laida una limaccia

quando a ottobre l9aria è spenta

lenta bava perse lenta

che di lunga e liscia traccia

porri o sedani segnò,

metaldèide in grigi grani

fai che inghiotta; e a globo stretta

plasma e anima rimetta.

Quanti soli già lontani

la lucertola mirò!

Lento a dèi crudeli e ignoti

va il mio bruno ultimo fiele&

Dove volgi, ansia fedele?

A che vomito mi voti,

cara meta che non so?


***

Considero errore

Considero errore aver creduto che degli eventi

(«meglio non nominarli!» mi soffiano i piccoli dèi)

di questo 991 non potessi parlare o tacere

se non per gioco, per ironia lacrimante.

I versi comici, i temi comici o ridicoli

mi parvero sola risposta. Come sbagliavo !

Ho guastato quei mesi a limare sonetti,

a cercare rime bizzarre. Ma la verità non perdona.

Chi mai potrà capire che tempo fu quello? Credevo

scendere in un mio crepuscolo. Ahi gente! Invece

altro era, incomprensibile e senza nome. Guardavo

la luna di aprile sullo Eichhorn, a mezzanotte,

e la stellina d9oro dello Jungfraujoch, Disneyland.

(Nulla era vero. Voi tutto dovrete inventare).

***

Reversibilità

Anassagora giunse ad Atene

che aveva da poco passati i trent9anni.

Era amico di Euripide e Pericle.

Parlava di meteore e arcobaleni.

Ne resta memoria nei libri.

Si ascolti però quel che ora va detto.

Anche la grandissima Unione Sovietica e la Cina

esistono, o l9Africa; e le radio


ogni notte ne parlano. Ma per noi, per

noi che poco da vivere ci resta,

che cosa sono l9Asia immensa, il tuono

dei popoli e i meravigliosi nomi

degli eventi, se non figure, simboli

dei desideri immutabili dolorosi? Eppure

3si ascolti ancora 3 i desideri immutabili

dolorosi che mordono il cuore nei sonni

e del poco da vivere che resta

fanno strazio felice, che cosa sono

se non figure, simboli, voci,

dei popoli che furono e che in noi

sono fin d9ora? E così vive ancora,

parlando con Euripide e con Pericle

di arcobaleni e meteore, il filosofo

sparito e una sera d9estate

ansioso fra capre e capanne di schiavi

entra ad Atene Anassagora.

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