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Roberto Talamo Intellettuali e vittime Rappresentazioni umanitarie e crisi della piet

Occorrono degli intellettuali per creare la teoria del sistema, insegnarla e giustificarla agli stessi occhi delle vittime PAUL RICUR

1. Premessa Nel gennaio del 1898, scienziati, uomini politici, scrittori, artisti, filosofi, avvocati, architetti, ingegneri, uomini e donne dalle occupazioni e posizioni sociali estremamente diverse tra loro, che non avrebbero avuto molte occasioni di cooperare nel corso delle rispettive attivit professionali, si riunirono intorno al nome di intellettuali, firmando un manifesto in favore di una vittima, Alfred Dreyfus 1. Lautocoscienza degli intellettuali nel moderno ha il suo atto di nascita simbolico nella comune difesa di un innocente condannato ingiustamente. Oggi, al contrario, mentre in atto una trasformazione radicale delle relazioni tra vittime e societ, tanto da poter parlare di un ambiguo ordine mondiale della compassione2, davanti a una moltiplicazione delle vittime, dovuta anche alla neutralizzazione politica di queste (non pi oppressi, proletari, colonizzati, ma pure vittime), i modelli di rappresentazione intellettuale sembrano incapaci di competere con le forme di descrizione e appropriazione della sofferenza messe in atto, in un intreccio non sempre facile da sciogliere, da governi, media e Ong. Si cercher di mostrare come la rappresentazione umanitaria abbia sostituito quella intellettuale appropriandosi dei due modelli tradizionali di rappresentazione dei dannati della terra: parlare in nome o parlare in favore delle vittime. In entrambe le disposizioni, che lumanitario assume in s, c il rischio di negare sostanzialmente lidentit del rappresentato. Il bisogno di riconoscimento delle vittime, non soltanto nel ruolo di pura vittima, ma come identit e biografia reale, pu essere attinto da un terzo modello di rappresentazione intellettuale, che prover qui a formalizzare attraverso un percorso in un

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Cfr. Z. Bauman, La decadenza degli intellettuali. Da legislatori a interpreti, Bollati Boringhieri, Torino 1992, p. 32. Cfr. C. Eliacheff D. Soulez Larivire, Il tempo delle vittime, Ponte alle Grazie, Milano 2008, p. 172

complesso arcipelago fatto di testi poetici, sociologici e filosofici. Partendo da unenunciazione poetica di un io lirico, contenuta in una poesia di Franco Fortini, cercher di costruire una variazione di scala che permetta di pensare alcuni aspetti generali della figura dellintellettuale nel presente.

2. La rappresentazione umanitaria: paradigma del dubbio e crisi della piet Lattuale dispositivo umanitario di rappresentazione delle vittime stato analizzato e messo in questione ponendo al centro dellinterrogazione la categoria del dubbio: siamo certi di quello che vediamo quando guardiamo una vittima ? 3. Parlare oggi di rappresentazione delle vittime comporta infatti una riflessione su una realt commista di rivelazione delle vittime e insieme di denuncia di una propaganda mediatica che, strumentalizzandole, le occulta. Lumanitario gestisce la visibilit e insieme la leggibilit della miseria: per entrare nella prospettiva umanitaria, per accedere allo statuto di vittima, lessere umano deve essere spogliato, del tutto o in parte, della sua biografia e di precisi riferimenti socio-culturali e politici, attraverso un ambiguo riconoscimento stigmatizzante4, un riconoscimento che poggia sui codici culturali di coloro ai quali sono destinate queste rappresentazioni. Secondo Boltanski, i singoli casi devono diventare oggetto di un trattamento paradossale. Da una parte si deve farne risaltare la singolarit, in modo da dare corpo alla sofferenza, dallaltro, per accedere al discorso umanitario, i soggetti devono perdere realt, identit e biografia, per trasformarsi in pure vittime:
Devono dunque essere, allo stesso tempo, ipersingolarizzati tramite laccumulazione dei dettagli di sofferenza e sottoqualificati: lui, ma potrebbe essere chiunque altro; quel bambino che ci strappa le lacrime, ma qualunque altro bambino andrebbe altrettanto bene al caso. Per ciascuno degli infelici convocati, si accalca una folla di sostituti5.

Per concludere questa rapida sintesi della riflessione contemporanea sul problema della rappresentazione umanitaria, si pu affermare, con Mesnard, che, da un punto di

P. Mesnard, Attualit della vittima. La rappresentazione umanitaria della sofferenza, Ombre corte, Verona 2004. Questo libro sar al centro della ricostruzione del problema nella prima parte di questo paragrafo. 4 Ivi, p. 94. 5 L. Boltanski, Lo spettacolo del dolore. Morale umanitaria, media e politica, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000, p. 18.
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vista politico, lumanitario un soggetto collettivo che prende la parola in nome o a favore delle vittime, definendole, in termini apolitici, come deboli, esclusi, senza. La vittima, in questo modo, quindi vittima anche perch condannata a non veder riconosciuto nessuno statuto politico al proprio lamento6. La crisi della piet (Boltanski), ingenerata da riflessioni di questo tipo, non pu che chiederci di sviluppare e di pensare di pi un siffatto paradigma del dubbio: siamo certi di quello che vediamo quando guardiamo una vittima ?

3. Rappresentazione umanitaria e rappresentazione intellettuale Abbiamo visto come la rappresentazione umanitaria delle vittime sottragga identit ai suoi oggetti, nel momento in cui li rende riconoscibili parlando a loro nome o in loro favore. La posizione di chi parla in nome o in favore delle vittime non una scoperta dellumanitario. Il meccanismo di svelamento-leggibilit-appropriazione di chi soffre, la pretesa di parlare in nome, cio al posto, delle vittime latteggiamento dellintellettuale tradizionale, che si sente investito da un mandato universale. Ma lintellettuale, se pretende di essere il custode delluniversale [] ricade nella vecchia illusione della borghesia che si vuole classe universale7. La seconda declinazione dello stesso modello (parlare in favore delle vittime) invece latteggiamento tipico dellintellettuale engag, oltre a essere, come abbiamo visto per laffaire Dreyfus, la pi antica forma di autocoscienza intellettuale nel moderno. Boltanski descrive questo atteggiamento nei termini di una topica della denuncia 8. Chi osserva da lontano un infelice che soffre pu indignarsi: a partire dalla piet il suo sentimento impotente pu trasformarsi in unazione attraverso larma della collera, che simula limpegno in atti. La collera, atto a distanza, non pu che attualizzarsi nella parola di accusa, che per non si rivolge e non si interessa pi alla vittima, ma al persecutore. Il problema principale di una topica della denuncia non lidentit della vittima, ma il riconoscimento del persecutore da accusare:
Su questa definizione in termini politici della vittima cfr. P. Ricur, Certitudes et incertitudes de la rvolution chinoise, in Id., Lectures I, Seuil, Paris 1991, pp. 334-335. 7 J. P. Sartre, Difesa dellintellettuale, Teoria, Roma-Napoli 1992, pp. 88-89. Il volume raccoglie tre conferenze tenute da Sartre in Giappone nel 1965 e pubblicate per la prima volta in Francia nel 1972. 8 L. Boltanski, cit., pp. 91-120.
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Nella topica della denuncia lattenzione dello spettatore non si sofferma sullinfelice. Si sposta dal posto dellinfelice che suscita la piet a quello del persecutore che viene accusato. innanzi tutto verso il persecutore che si orienta lindignazione9.

Nel momento in cui si riconosce una genesi di natura intellettuale ai modelli umanitari, non si tratta naturalmente di rivendicare per gli intellettuali dei paradigmi da ritenere indebitamente sottratti dallumanitario. Tanto pi che questi modelli sono responsabili di quel riconoscimento stigmatizzante di cui abbiamo parlato. Si deve, al contrario, cercare una diversa via nel rapporto tra intellettuali e vittime che tenga conto e parta da ci che abbiamo definito come paradigma del dubbio.

4. Due poesie sul dubbio: Brecht e Fortini, allegoria e figura Oggetto di questo paragrafo, in apparenza una divagazione, in realt un tentativo di soluzione poetica (Ricur) di una difficolt teorica, saranno due testi letterari, che hanno come tema il dubbio: Colui che dubita di Bertolt Brecht e Sonetto dei sette cinesi di Franco Fortini10. Condurremo unanalisi in parallelo, perch il Sonetto riprende esplicitamente il testo brechtiano, ma ci soffermeremo soprattutto sulla differenza tra i due componimenti, perch in questa differenza che riposto un senso importante anche per il discorso che stiamo conducendo. Riportiamo integralmente le due liriche:
Bertolt Brecht Colui che dubita Sempre, ogni volta che ci pareva di aver trovato la risposta a un problema, uno di noi scioglieva, sulla parete, il nastro dell'antico rotolo cinese s che svolgesse e visibile apparisse l'Uomo Seduto che tanto dubitava. Io, ci diceva, sono Colui che dubita. Dubito che Ivi, pp. 102-103. B. Brecht, Colui che dubita, in Id., Poesie e canzoni, Einaudi, Torino 1961, pp. 200-201 (la traduzione dello stesso Fortini) e F. Fortini, Sonetto dei sette cinesi, in Id., Saggi ed epigrammi, Mondadori, Milano 2003, p. 1067. La poesia di Fortini datata 1975. Dora in avanti indicheremo con C la poesia di Brecht e con S quella di Fortini, seguite dai numeri dei versi.
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sia riuscito il lavoro che v'ha inghiottiti i giorni. Che, quel che avete detto, se detto peggio valga tuttavia 10 per qualcuno. Che lo abbiate detto bene e che forse un po' troppo vi siate, alla verit di quanto avete detto, affidati. Che sia ambiguo: per ogni possibile errore vostra sarebbe la colpa. Pu anche essere troppo univoco 15 e allontanar dalle cose la contraddizione; non troppo univoco? Allora quel che dite inutilizzabile. Le cose vostre sono inanimate, allora. Siete realmente nel corso degli eventi? Compresi con tutto quel che diviene? Siete ancora in divenire, voi? Chi siete? A chi 20 parlate? A chi serve quel che state dicendo? E, fra parentesi: vi lascia sobri? Si pu leggerlo di mattina? anche congiunto al presente? Le tesi davanti a voi enunciate son messe a profitto o almeno con25 futate? Tutto documentabile? Per esperienza? Di chi? Ma prima di tutto e sempre, e ancora prima d'ogni cosa: come si agisce 30 se si crede a quel che dite? Prima di tutto: come si agisce? Pensierosi noi si considerava con curiosit l'uomo Turchino dubitare dal quadro, ci si guardava e da capo si ricominciava. Franco Fortini Sonetto dei sette cinesi Una volta il poeta di Augsburg ebbe a dire che alla parete della stanza aveva appeso lUomo Del Dubbio, una stampa cinese. Limmagine chiedeva: come agire ? Ho una foto alla parete. Ventanni fa nel mio obiettivo guardarono sette operai cinesi. Guardano diffidenti o ironici o sospesi. Sanno che non scrivo per loro. Io so che non sono vissuti per me. Eppure il loro dubbio qualche volta mi ha chiesto pi candide parole o atti pi credibili. A loro chiedo aiuto perch siano visibili contraddizioni e identit fra noi. Se un senso esiste, questo. 5

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la prima quartina del Sonetto a congiungere in modo esplicito i due testi: Fortini cita espressamente autore (il poeta di Augsburg: S, 1) e contenuto essenziale del testo brechtiano, indicando in modo quasi didascalico il suo riferimento. Il nastro dellantico rotolo cinese (C, 3-4) e il quadro (C, 33) diventano una stampa cinese (S, 3) e

limmagine (S, 4). Le diverse espressioni come LUomo Seduto che tanto dubitava (C, 5-6), Colui che dubita (C, 8), luomo Turchino (C, 33) sono ricondotte al sintetico lUomo del Dubbio (S, 3). La principale domanda del testo di Brecht (come si agisce ?: C, 31) diventa come agire ? (S, 4). Elenchiamo due ulteriori analogie (significative per il fatto che il traduttore del testo tedesco lo stesso Fortini): il visibile (C, 5) della prima poesia trova eco nel visibili (S, 12) della seconda. Contraddizione (C, 16) ripetuto al plurale: contraddizioni (S, 13). Eppure, al di l di questi riferimenti, calchi e simmetrie, saranno le differenze ad attirare maggiormente la nostra attenzione. Per cogliere la distanza tra i due testi dovremo naturalmente soffermarci principalmente sul secondo. Fortini, dopo la quartina introduttiva, prende la parola, nel quinto verso, in prima persona: Ho una foto alla parete (S, 5). Nella nuova situazione (individuale, a differenza del noi brechtiano: C, 3 e 32), ad unopera pittorica (quadro o stampa) si sostituisce una foto di viaggio11. Per riflettere su questa prima importante differenza, mi affido a una considerazione di Walter Benjamin:
I quadri, qualora durino, durano soltanto in quanto testimonianza dellarte di colui che li ha dipinti. Nel caso della fotografia invece avviene qualcosa di nuovo e di singolare: nella pescivendola di New Haven che guarda a terra con un pudore cos indolente, cos seducente, resta qualche cosa che non si risolve nella testimonianza dellarte del fotografo Hill, qualcosa che non pu venir messo a tacere e che inequivocabilmente esige il nome di colei che l ha vissuto, che anche nelleffigie ancora reale e che non potr mai risolversi totalmente in arte12.

La fotografia esige il nome, lidentit, la biografia di chi, pur in effigie, ancora reale. Nel suo diario di viaggio in Cina, Asia Maggiore, Fortini si esprime in termini affini:
La foto sottintende sempre un elemento di crudelt e di distacco, insomma uno dei modi pi sicuri per far s che laltro sia altro []. Fra il gruppo di contadini o di ragazzi che si mettono in posa o magari sullattenti per farsi fotografare e il foto-reporter che li vuole naturali, lincivile questultimo. Quelli vogliono essere se stessi, e lui li vuole interpretare, ridurre a paesaggio, a impressione, a natura morta 13.

La foto naturale (ovvero costruita per sembrare tale) un gesto di violenza, dice Fortini, verso lidentit del soggetto che vuole affermarsi nella sua impossibilit a risolversi
Si tratta del viaggio realmente compiuto da Fortini in Cina ventanni prima rispetto alla data di composizione del sonetto, a cui fa anche riferimento il ventanni fa (S, 5). 12 W. Benjamin, Piccola storia della fotografia (1931), in Id., Lopera darte nellepoca della sua riproducibilit tecnica, Einaudi, Torino 20003, pp. 61-62. 13 F. Fortini, Asia Maggiore, Manifestolibri, Roma 2007 2, p. 133.
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totalmente in arte o natura morta. Prima di giungere a delle conclusioni, che del resto si possono gi intravedere, terminiamo la lettura del Sonetto. Nel mio obiettivo guardarono sette operai cinesi (S, 6): mio un aggettivo che apre una lunga serie di pronomi personali in coppie oppositive. Loro. Io (S, 8), me (S, 9), loro e mi (S, 10), loro (S, 12), noi (S, 14: su questultimo pronome torneremo a breve). La distanza, in questo modo segnalata, raggiunge gli accenti di una netta separazione nei versi: Sanno che non scrivo per loro. Io / so che non sono vissuti per me (S, 8-9). A questo massimo di formalizzazione della distanza tra lio lirico e gli operai che guardarono nellobiettivo e ora guardano dalla foto alla parete (cfr. S, 6-7), segue per una critica di questa stessa idea di separazione, fortemente segnalata dallavversativa eppure (S, 10). lidentit specifica, rivendicata dagli sguardi in posa degli operai, che li riavvicina al poeta: il loro dubbio (S, 10), la loro diffidenza, ironia o sospensione interrogativa (cfr. S, 7) che chiedono a chi parla e agisce da lontano come parlare e come agire: Eppure il loro dubbio qualche volta mi ha chiesto / pi candide parole o atti pi credibili (S, 10-11). Il dubbio, che muove lindividuo a riconsiderare i propri atti e le proprie parole, a domandarsi come agire ?, non soltanto la contraddizione a cui invita a pensare limmagine dipinta, ma la presenza reale, seppure a distanza, in forma di foto, di esseri umani reali, visibili contraddizioni e identit fra noi (S, 12-13). La dimensione della parola e dellazione responsabile davanti allaltro, riconosciuto nella sua identit, riportano lio lirico, attraverso una variazione di scala, al livello dei destini generali (per usare unaltra espressione cara a Fortini): il piano del noi (S, 13), che, come abbiamo visto, chiude la serie pronominale subito prima dellicastica conclusione: Se un senso esiste, questo (S, 14). Allanalisi semantica, per cogliere un ultimo importante senso di questa apparente digressione nel campo poetico, affiancheremo ora unanalisi retorica di un essenziale aspetto che distingue i due componimenti. Lelemento retorico a cui faccio riferimento luso nelle due poesie di un diverso tipo di allegoria14. Il dipinto dellUomo Turchino di Brecht e la serie di domande che pone a chi ricerca la risposta a un problema sono unallegoria tradizionale (o allegoria in verbis) del processo di verifica a cui ogni intellettuale, che voglia essere compreso nel corso degli

Per le distinzioni che faremo cfr. B. Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Bompiani, Milano 20032, pp. 259263.
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eventi, con tutto quel che diviene, deve sottoporre le proprie acquisizioni. In questo tipo di procedimento retorico, rappresentazione allegorica e significato dellallegoria possono autonomizzarsi e svincolarsi uno dallaltro: la rappresentazione pu essere anche presa letteralmente oppure il significato, una volta raggiunto e compreso, pu sganciarsi dalla rappresentazione e cancellarla del tutto, sovrapponendosi a essa. Cos, nella poesia di Brecht, possiamo anche dimenticarci dellUomo seduto che tanto dubitava e ritenere invece la rigorosa disciplina di autoverifica dei risultati raggiunti. Lallegoria di Fortini di natura diversa: quella che nel medioevo fu codificata come allegoria in factis (o, come la definisce Auerbach, figura). Lallegoria in factis si distingue dallallegoria in verbis per il fatto che, in essa, fatti, entit, persone reali e storici sono interpretati come figura di altri fatti, entit, persone altrettanto storici e reali. Se per gli esempi medioevali di questo procedimento retorico non possiamo che rimandare ai magnifici scritti di Erich Auerbach15, come esempio moderno della reversibilit integralmente storica di questo genere di allegoria, si pu citare un brano di unaltra poesia di Fortini, in cui compare esplicitamente il termine figura:
[] Ma per noi, per noi che poco da vivere ci resta, che cosa sono lAsia immensa, il tuono dei popoli e i meravigliosi nomi degli eventi, se non figure, simboli dei desideri immutabili dolorosi ? Eppure si ascolti ancora i desideri immutabili dolorosi che mordono il cuore nei sonni e del poco da vivere che resta fanno strazio felice, che cosa sono se non figure, simboli, voci, dei popoli che furono e che in noi sono fin dora ? []16

Nellimmagine figurale moderna e laica (quella che si slega cio dal figuralismo medievale di segno cristiano), il soggetto raffigurato resiste nella sua identit, storicit,

In particolare E. Auerbach, Figura, in Id., Studi su Dante, Feltrinelli, Milano 20075, pp. 176-226. F. Fortini, Reversibilit, in Id., Poesie inedite, Einaudi, Torino 19972, p. 27. Non questa purtroppo la sede per unulteriore discussione sullimportanza della figura nellopera di Fortini. Si rimanda quindi al bel saggio di A. Reccia, Fortini e Auerbach. Tra simbolo e allegoria: la figura come metodo, in a c. di R. Castellana, La rappresentazione della realt. Studi su Erich Auerbach, Artemide, Roma 2009, pp. 197-205. Per linterpretazione di Reversibilit: G. Mazzoni, Forma e solitudine, Marcos y Marcos, Milano 2002, pp. 205-215; R. Luperini, Il futuro di Fortini, Manni, Lecce 2007, pp. 86-88. Dello stesso Fortini, si veda anche: F. Fortini, Un decennio di postmoderno, in Id., Extrema ratio, Garzanti, Milano 1990, pp. 83-87.
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concretezza biografica anche dopo aver comunicato il suo significato per noi, rivendica la sua identit: identit fra noi.

5. Figure delle vittime: agire davanti al dubbio dellimmagine umanitaria La stampa di Brecht e la fotografia di Fortini non rappresentano delle vittime. Ma un moderno metodo figurale di considerare lidentit catturata in unimmagine nella sua realt e identit fra noi il centro della risposta che qui si vuol dare al dubbio che limmagine umanitaria produce nel presente. Davanti allambiguit mediatica di ipersingolarizzazione e sottoqualificazione della vittima ( lui, ma potrebbe essere chiunque altro), di fronte al dubbio posto dalle immagini della rappresentazione umanitaria, la soluzione figurale, ricavata da Fortini, non vuol dire pretestuosa elucubrazione letteraria e soggettiva, n mancanza di attenzione ai fenomeni reali17. Essa lega, al contrario, in maniera inscindibile la responsabilit delle nostre parole e dei nostri atti, in quanto intellettuali, ai destini generali, al di l di qualsiasi sentimento di impotenza negli atti o di vergogna nel prendere la parola. Scrive Ricur:
Non ci si deve vergognare di essere un intellettuale, come il Socrate di Valry in Eupalinos, votato al rimpianto di non aver fatto nulla con le sue mani. Credo nellefficacia della riflessione, perch la grandezza delluomo sta nella dialettica del lavoro e della parola: il dire e il fare, il significare e lagire sono troppo mischiati perch unopposizione durevole e profonda possa essere istituita tra thoria e praxis. La parola il mio regno e non ne ho per nulla vergogna; o piuttosto ne ho vergogna nella misura in cui la mia parola partecipe della colpevolezza di una societ ingiusta che sfrutta il lavoro 18.

Anche secondo Deleuze e Guattari, il sentimento di vergogna uno dei temi pi potenti della riflessione contemporanea e lintellettuale pu uscirne pensandosi non come direttamente responsabile delle vittime, ma responsabile (come in figura, aggiungiamo noi) di fronte alle vittime:
La vergogna dessere uomo [] la proviamo [] anche in condizioni insignificanti, di fronte alla bassezza e alla volgarit dellesistenza che pervadono le democrazie, di fronte alla propagazione di questi

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Cfr. E. Masi, Postfazione, in F. Fortini, Asia Maggiore, cit., pp. 259-268. P. Ricur, Storia e verit, Marco editore, Cosenza 1991, p. IX. Ho rivisto in alcuni punti la traduzione.

modi di esistenza e di pensiero-per-il-mercato, di fronte ai valori, agli ideali e alle opinioni della nostra epoca []. Noi non siamo responsabili delle vittime, ma di fronte alle vittime19.

Edward Said propone un analogo argomento come correttivo a unaltra vergogna, quella del discorso sulla guerra e sulla pace proposto dai media internazionali:
Il miglior correttivo [] consiste nellimmaginare la persona di cui si sta parlando, in questo caso la persona sulla cui testa cadono le bombe, mentre legge le tue parole in tua presenza 20.

Davanti agli attuali fenomeni di depoliticizzazione scientifica e morale della politica21, allintellettuale che si attardasse nei vecchi modelli di rappresentazione delle vittime non rimarrebbe che il ruolo, marginale e subalterno, dellesperto di una scienza etica universale (colui che parla in nome delle vittime) o dellideologo moralizzatore (colui che parla in favore delle vittime). Ripoliticizzare, in termini figurali moderni, cio in base al riconoscimento dellidentit e della biografia delle vittime e al significato per noi della storia e del presente delle vittime, ripoliticizzare la rappresentazione umanitaria la sfida dellintellettuale che, al di l di qualsiasi impotenza o vergogna, voglia prendere posizione, prendere la parola davanti alle vittime. Ripoliticizzare vorr dire allora anche ristoricizzare il campo delle vittime, raccontare una storia nella quale si possa riconoscerle e, insieme, riconoscersi. Parlare davanti alle vittime vuol dire affrontare i dubbi e la complessa realt (di denuncia e insieme di soppressione delle identit) dellimmagine umanitaria contemporanea. Gli intellettuali devono oggi saper trasformare queste rappresentazioni in figure reali a partire dal dubbio che generano. Unoperazione che non cancella il dubbio, non purifica limmagine, ma fa lavorare proficuamente, per il presente, il dubbio stesso.

G. Deleuze F. Guattari, Che cos la filosofia ?, Einaudi, Torino 1996, p. 101. E. W. Said, Umanesimo e critica democratica. Cinque lezioni, il Saggiatore, Milano 2007, p. 163. 21 Cfr. E. Renault, Mpris social. Ethique et politique de la reconnaissance, Passant, Bgles 20042.
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