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Storia della lingua italiana A

a.a. 2019/2020

Dispensa di testi (prima parte)

1. La prosa del Duecento

E appresso di queste parole e lo ree sì si n’andoe ne la camera e incomincioe


a·ppensare in che modo egli potesse distruggere o dilungare1 Tristano da·ssee e
mandarlo in tale parte che no tornasse giamai in Cornovaglia. E·ppensando sopra·ccioe,
non trovava via per la quale egli potesse mandare Tristano e allora sì chiamoe due de’
baroni suoi, ne’ quali e’ si confidava molto, e disse loro tutto suo intendimento
(Tristano riccardiano, 110).

1 dilungare ‘allontanare’

Incominciò a isguardare e alegrarssi sopra la fonte, e l’onbra sua facea lo simigliante.


Credette che quella fosse persona che avesse vita e che istesse innell’acqua, e non
s’acorgea che fosse l’onbra sua. E incominciòla ad amare, e innamorossi sì forte che la
vosse pigliare; e mise le mani inell’acqua. E l’acqua intorbidò, e l’onbra isparìo; onde
elli incominciò a piangere sopra la fonte. Rischiarando l’acqua, vidde l’onbra sua che
piangea com’elli (Ur-Novellino 79, 258-259).

Poi che li miei occhi ebbero per alquanto tempo lagrimato, e tanto affaticati erano
che non poteano disfogare la mia tristizia, pensai di voler disfogarla con alquante parole
dolorose. E però propuosi di fare una canzone, nella quale piangendo ragionasse di lei,
per cui tanto dolore era fatto distruggitore dell’anima mia; e cominciai allora Gli occhi
dolenti (Dante Alighieri, Vita nova 20, 1 = XXXI, 1).
2. La prosa di Giovanni Boccaccio (1313-1375)

Quello eccelso e inestimabile prencipe sommo Giove, il quale, degno de’ celestiali
regni posseditore, tiene la imperiale corona e lo scettro, per la sua ineffabile providenza
avendo a sé fatti cari fratelli e compagni a possedere il suo regno molti, conosceo lo
iniquo volere di Pluto, il quale più grazioso e maggiore degli altri avea creato, che già
pensava di volere il dominio maggiore che a lui non si conveniva; per la qual cosa
Giove da sé il divise, e in sua parte a lui e a’ suoi seguaci diede i tenebrosi regni di Dite,
circundata dalli stigi paduli, e loro etterno essilio segnò del suo lieto regno (Filocolo I III
§§ 1-2).

Maravigliosa cosa è quella della divina consolazione nelle mente de’ mortali1: questo
pensiero, sì com’io arbitro, dal piissimo Padre de’ lumi mandato, quasi dagli occhi della
mente ogni oscurità levatami, in tanto la vista di quelli2, aguzati, rendé chiara che, a me
stesso manifestamente scoprendosi il mio errore, non solamente, riguardandolo, me ne
vergognai, ma, da compunzione debita mosso, ne lagrimai e me medesimo biasimai
forte e da meno ch’io non arbitrava mi reputai (Corbaccio § 21).

1 Maravigliosa ... mortali ‘è straordinaria la consolazione (di origine) divina (che opera)
nelle menti degli uomini’. 2 quelli = «gli occhi della mente».

Il quale [= il maggior de’ fratelli], per ciò che savio giovane era, quantunque molto
noioso gli fosse a ciò sapere, pur mosso da più onesto consiglio, senza far motto o dir
cosa alcuna, varie volte fra sé rivolgendo intorno a questo fatto, infino alla mattina
seguente trapassò. Poi, venuto il giorno, a’ suoi fratelli ciò che veduto aveva la passata
notte d’Elisabetta e di Lorenzo raccontò (Decameròn IV V, §§ 6-7).

Con angelica voce: aggiugne un’altra cosa, mirabilmente oportuna nelle donne,
d’aver la voce piacevole, né più sonora né meno che alla gravità donnesca si richiede; e
queste così fatte voci fra noi sono chiamate «angeliche». E, oltre a questo, l’attribuisce1
Virgilio questa voce in testimonio della beatitudine di lei2, per ciò che estimar
dobbiamo alcuna cosa deforme non potere essere in alcun beato3; in sua favella, cioè in
fiorentino volgare, non ostante che Virgilio fosse mantovano.

2
Ed in ciò n’ammaestra4 alcuno non dovere la sua original favella lasciare per
alcun’altra5, dove necessità a ciò nol costrignesse. La qual cosa fu tanto all’animo de’
Romani6, che essi, dove che s’andassero, o ambasciadori o in altri offici, mai in altro
idioma che romano non parlavano7; e già ordinarono che alcuno, di che che nazion si
fosse8, in Senato non parlasse altra lingua che la romana. Per la qual cosa assai nazioni9
mandaron già de’ lor giovani ad imprendere10 quello linguaggio, acciò che intendesser
quello e in quello sapessero e proporre e rispondere (Esposizioni esp. letterale a Inf. II
57).

1 l’attribuisce ‘le attribuisce’. 2 in testimonio ... di lei ‘come prova dello stato beato di
Beatrice’. 3 per ciò ... beato ‘dato che dobbiamo credere che in nessun beato possa
esserci qualcosa di imperfetto’. 4 in ciò n’ammaestra ‘così facendo Virgilio ci insegna’.
5 alcuno ... altra ‘che nessuno deve lasciare la sua lingua per nessun’altra’. 6 fu ...
Romani ‘stette tanto a cuore ai Romani’. 7 mai ... parlavano ‘non parlavano mai una
lingua diversa dalla latina’. 8 di che che nazion si fosse ‘di qualsiasi origine fosse’. 9
nazioni ‘popoli’. 10 imprendere ‘imparare’.

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3. Il Decameron e le sue riscritture

3.1. La novella del re di Cipro nella redazione di Giovanni Boccaccio (1350 circa)

Il re di Cipri, da una donna di Guascogna trafitto, di cattivo1 valoroso diviene.


[...] (4) Dico adunque che ne’ tempi del primo re di Cipri, dopo il conquisto2 fatto
della Terra Santa da Gottifré di Buglione3, avvenne che una gentil donna4 di Guascogna
in pellegrinaggio andò al Sepolcro, donde5 tornando, in Cipri arrivata, da alcuni
scelerati uomini villanamente fu oltraggiata. (5) Di che ella senza alcuna consolazion
dolendosi, pensò d’andarsene a richiamare6 al re; ma detto le fu per alcuno che la fatica
si perderebbe7, per ciò che egli era di sì rimessa vita e da sì poco bene8, che, non che
egli l’altrui onte con giustizia vendicasse, anzi infinite con vituperevole viltà a lui
fattene sosteneva9, in tanto che chiunque aveva cruccio alcuno, quello col fargli alcuna
onta o vergogna sfogava10.
(6) La qual cosa udendo la donna, disperata della vendetta11, a alcuna consolazione
della sua noia propose di voler mordere la miseria del detto re12; e andatasene piagnendo
davanti a lui, disse: «Signor mio, io non vengo nella tua presenza per vendetta che io
attenda della ingiuria13 che m’è stata fatta; ma in sodisfacimento di quella14 ti priego che
tu m’insegni come tu sofferi quelle le quali io intendo che ti son fatte, acciò che, da te
apparando, io possa pazientemente la mia comportare15: la quale, sallo Idio16, se io far
lo potessi, volentieri te la donerei, poi così buono portatore ne sé17».
(7) Il re, infino allora stato tardo e pigro, quasi dal sonno si risvegliasse, cominciando
dalla ingiuria fatta a questa donna, la quale agramente vendicò18, rigidissimo
persecutore divenne di ciascuno che contro allo onore della sua corona19 alcuna cosa
commettesse da indi innanzi20 (Decameròn I IX, §§ 4-7).

1 cattivo ‘inadatto al ruolo’, opposto di valoroso ‘dotato delle virtù necessarie’. 2 il


conquiso ‘la conquista’. 3 Goffredo conte di Buglione (1060 circa-1100), duca della
Bassa Lorena, nel corso della prima crociata si distinse nella difesa di Gerusalemme
(1099), venendo poi celebrato come il suo conquistatore. 4 gentile ‘nobile’. 5 donde ‘dal
quale’. 6 richiamare ‘lamentare’. 7 la fatica si perderebbe ‘sarebbe fatica sprecata,
sarebbe inutile’. 8 era ... bene ‘era di indole tanto remissiva (rimessa vita) e (uomo)
talmente dappoco (da poco bene)’; sì è l’elemento che correla la sovraordinata alla
successiva sub. consecutiva introdotta da che. 9 che, ... sosteneva ‘così che (sì ... che),
non solo il re non puniva secondo giustizia le offese fatte ad altri (l’altrui onte), al
contrario (anzi) sopportava con riprovevole viltà le offese fatte a lui stesso’. 10 in tanto
che ... sfogava ‘tanto che chiunque avesse un qualche risentimento (cruccio) lo sfogava

4
facendogli qualche offesa o affronto’. 11 disperata della vendetta ‘non avendo alcuna
speranza di essere vendicata (dell’oltraggio subìto)’; la vendetta nel Medioevo è la
punizione dei colpevoli secondo giustizia. 12 a alcuna ... re ‘per alleviare il suo dolore
(noia) decise di rimproverare prendendosene gioco (mordere) la pochezza del re’;
volere è superfluo. 13 per vendetta ... ingiuria ‘perché mi aspetti’, cioè ‘creda’, ‘che mi
sia resa giustizia dell’oltraggio’. 14 in sodisfacimento di quella ‘per soddisfare la
giustizia’. 15 ti priego ... comportare ‘ti prego di insegnarmi come fai a sopportare
(sòfferi) quelle ingiurie che sento dire (intendo) che ti vengono fatte, affinché,
imparando (apparando) da te, io sia in grado di sopportare (comportare) l’ingiuria fatta
a me’; priego: forma regolarmente dittongata da Ĕ in sillaba aperta, che nel fiorentino si
mantiene più a lungo che in altre varietà toscane. 16 sallo Idio ‘lo sa Dio’, con enclisi
del pronome regolare nel Trecento (secondo la legge Tobler-Mussafia, cfr. oltre). 17 poi
... sé ‘dato che (poi) ne sei (sè) ottimo sopportatore’. 18 la quale ... vendicò ‘che punì
con severità’. 19 onore della sua corona ‘la dignità del suo ruolo’. 20 divenne da indi
innanzi ‘da allora in poi divenne’.

3.2 La riscrittura di Lionardo Salviati (1539-1589) negli Avvertimenti della lingua sopra
il Decamerone (1584)

(4) Dico dunche1 che al tempo del primo re di Cipri, doppo che Gottifredo Buglione
ebbe racquistata la Terra Santa, accadde ch’una gentil donna di Guascogna andò in
pellegrinaggio al Sipolco2: e nel tornarsene, essendo giunta in Cipri, da certi ribaldi gli
fu fatta villania. (5) Di che ella non si potendo3 dar pace, fece pensiero d’andarsene al
re; ma gli fu detto da certi ch’ella perderebbe il tempo, perch’egli era sì vile e sì
dappoco, che, non ch’e’ gastigassi4 chi faceva villania agli altri, e’ comportava che
gliene fussin5 fatte a lui infinite ognindì, con una dappocaggine troppo vituperosa6;
talmente che com’uno aveva punto di stizza, se la cavava addosso a lui col fargli
qualche bischenca o qualche vergogna.
(6) Il che essendo ridetto7 a quella donna, la poveretta perdè ogni speranza di veder
far le sue vendette. Pure per isfogarsi un poco il me’8 ch’ella poteva, si risolvè di voler
pungere la sciagurataggine di questo re9; e così piagnendo a caldocchi10 se andò11
innanzi a lui, e dissegli: «Signor mio, io non vengo ’nnanzi a voi per isperanza ch’io
abbia che voi abbiate a farmi ragione12 e a gastigare chi m’ha fatta villania, ma per
pregarvi che in quello scambio13 voi m’insegnate come voi fate a patir quelle che io
sento dire che vi son fatte a voi: acciocché io impari da voi a sopportare anch’io la mia
con pazienza: che, Dielsà, s’io ve la donerei più che volentieri, s’i’ potessi, poiché voi
ne siate così buon portatore».

5
(7) Il re, che fino allora era stato un huomo di cenci e uno scimunito, parve ch’e’ si
destasse da un gran sonno, e cominciando da questa ingiuria ch’era fatta a costei, ne
fece gran dimostrazione e vendetta: e da lì innanzi doventò14 terribile huomo nel
gastigare qual si voglia persona che facesse cosa nessuna15 contra l’onor della sua
corona d’allora in poi (Salviati, Avvertimenti, n.p.).

1 dunche ‘dunque’: la riduzione della labiovelare (/kw/ > /k/) è un tratto del fiorentino
quattro-cinquecentesco, così come i successivi doppo ‘dopo’, fussin. 2 Sipolco
‘sepolcro’. 3 non si potendo ‘non potendosi’. 4 e’ gastigassi ‘egli castigasse’. 5 fussin
‘fossero’. 6 una ... vituperosa ‘una pochezza infamante’ perché indegna di un re. 7
ridetto ‘riferito’. 8 il me’ ‘il meglio’. 9 si ... re ‘si decidette a rimproverare schernendo
(pungere) l’inadeguatezza del re’; volere è superfluo. 10 a caldocchi ‘a tutte lacrime’,
‘in modo irrefrenabile’. 11 se andò ‘se ne andò’. 12 per ... ragione ‘perché io speri
(abbia speranza) che voi siate in grado di rendermi giustizia’, cioè di punire i colpevoli.
13 in quello scambio ‘in cambio di quello’, cioè al posto della giustizia che non le
renderà. 14 doventò ‘diventò’. 15 cosa nessuna: con valore non negativo ma eventuale
(‘nel caso in cui qualcuno facesse qualcosa’).

3.3 La riscrittura di Aldo Busi (1990)

Il re di Cipro, per far vedere che è un uomo, diventa femminista.


(4) Ai tempi del primo re di Cipro, dopo che Goffredo di Buglione aveva conquistato
la Terrasanta, una gentildonna di Guascogna, ritornando dal pellegrinaggio al Santo
Sepolcro, fu oltraggiata a Cipro in modo vergognoso da alcuni delinquenti. (5) Siccome
la cosa non le era proprio andata giù, decise di lamentarsene col re in persona. Le
dissero che era fatica sprecata, perché il re era fiacco e così insignificante che non solo
non puniva le offese fatte a altri ma sopportava con schifosa vigliaccheria quelle fatte a
lui stesso, tanto che chiunque avesse un boccone amaro di traverso glielo vomitava
addosso senza temere alcuna conseguenza.
(6) La signora, disperando di essere vendicata, forse per addolcire il suo boccone
amaro, si mise in testa di prendere in giro la meschinità del summenzionato re e, giunta
in lacrime al suo cospetto, disse:
«Signor mio, non sono qui perché mi aspetto giustizia dell’oltraggio subìto, ma per
pregarti di insegnarmi come fai tu a sopportare tutte le offese che ricevi, in modo che io,
imparando da te, possa rassegnarmi alla mia. Lo sa Iddio se questa ingiuria te la
regalerei volentieri se solo potessi, visto che le sopporti tutte così bene».

6
(7) Il re, che fino a allora era stato pigro e tardo di riflessi, quasi risvegliandosi da un
sonno, cominciando dall’ingiuria patita da quella donna, che vendicò aspramente,
diventò un persecutore rigidissimo di quanti, da quel momento in poi, avrebbero offeso
l’onore della corona (Busi, Decamerone, pp. 72-73).

Bibliografia

Alighieri, Vita nova: Id., Vita Nova, a cura di G. Gorni, in Id., Opere, edizione diretta
da M. Santagata, I. Rime, Vita Nova, De vulgari eloquentia, Milano, Mondadori, 2011,
pp. 747-1063 [si cita per capitolo e paragrafo, indicando la corrispondenza con l’ed.
curata da M. Barbi, Firenze, Bemporad, 1932].
Boccaccio, Corbaccio, a cura di Giorgio Padoan, in G. Boccaccio, Tutte le opere, a
cura di Vittore Branca, vol. V/2, MIlano, Mondadori, 1994, pp. 413-614 [si cita per
paragrafo].
Boccaccio, Decameron, ed. critica secondo l’autografo hamiltoniano a cura di
Vittore Branca, Firenze, Accademia della Crusca, 1976 [si cita per giornata, novella e
paragrafo].
Boccaccio, Esposizioni sopra la Commedia di Dante, in I commenti danteschi dei
secoli XIV, XV e XVI, a cura di Paolo Procaccioli, Roma: Lexis Progetti Editoriali, 1999.
Busi, Decamerone: Aldo Busi, Decamerone. Da un italiano all’altro. Prime cinque
giornate, Cinquanta Novelle, Milano, Rizzoli, 1990.
Salviati, Avvertimenti: = Lionardo Salviati, Degli Avvertimenti della lingua sopra ’l
Decamerone, Venezia, Domenico e Giovanni Battista Guerra, 1584.
Tristano riccardiano = Il romanzo di Tristano, a cura di A. Scolari, Genova, Costa &
Nolan, 1990, pp. 47-325.
Ur-Novellino = Il Novellino, a cura di A. Conte, Roma, Salerno, 2001, pp. 165-264
[si cita per modulo e pagina].

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