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VERSIONI DI GRECO

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Amasi dice questo a Policrate: è un piacere sapere che a un amico e ospite le cose vadano bene, però a me le tue
grandi fortune non piacciono, perché so quant’è invidiosa la divinità. Io perciò desidero che a me stesso e alle persone
cui tengo alcune cose abbiano esito felice e altre no, e che la vita trascorra tra sorti alterne, piuttosto che sia sempre in
tutto e per tutto fortunata. Di nessuno finora ho, infatti, sentito dire che, a furia d’essere fortunato in ogni cosa, da
ultimo non sia finito completamente in rovina. Tu, dunque, dammi retta e fa’ questo, contro la tua fortuna: dopo aver
pensato quale sia la cosa per te di massimo valore e per cui ti affliggeresti nell’animo in massimo grado se la perdessi,
gettala via, in modo che non ricompaia mai più fra gli uomini. Se perciò, d’ora in avanti, la tua buona sorte non
s’alternerà con le sventure, tu dagli rimedio nel modo che qui ti ho suggerito

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Questi fenici essendo arrivato con Cadmo, ma avendo questa terra introdussero mole nozioni presso i Greci e, anche
la scrittura, non essendo stata prima ai Greci, come a me sembra, insegnata, prima quello che tutti i Fenici utilizzano
con il passare del tempo con la voce cambiarono anche il ritmo della grammatica. Vicino a loro greci di stirpe ionica
abitavano gran parte delle terre a quel tempo: chi aveva ricevuto la grammatica con l’insegnamento presso i Fenici
avendo cambiato poche cose di quello la utilizzavano, utilizzandola vollero, come anche era giusto, avendola
introdotta i Fenici in Grecia, che fosse chiamata fenicia. Gli Ioni chiamavano i papiri scritti in antichità pergamene,
perché qualora in mancanza di papiro, utilizzassero come scritti sia pergamene di capra sia in pelle di pecora: ancora
anche (lett. fino a me) oggi molto fra i barbari scrivono su tali pergamene.

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La terra non generava alcun frutto (lett. la terra generava nessun frutto) per gli Epidaurii; riguardo a questa sventura
dunque gli Epidaurii consultavano un oracolo a Delfi: la Pizia consigliava loro di innalzare statue di Damie e di Auxesia,
anche per avere relazioni più forti con quelle a cui vengono innalzate (le statue).Domandandosi dunque gli Epidaurii se
le statue siano fatte di bronzo o di marmo: la Pizia (risponde che) essere tra quelli (siano fatte) né dell’uno né
dell’altro, ma di legno di olivo domestico. Gli Epidaurii necessitavano dunque che tagliassero e dessero a loro l’olivo gli
Ateniesi, considerando loro essere quelli i più sacri. Dicono anche che allora gli olivi non fossero altrove in nessun
luogo della Terra se non ad Atene. Loro dissero di dare a quelli una volta all’anno ad Atene sia sacrifici ad Atena
Pallade sia ad Eretteo. Essendo d’accordo gli Epidaurii con quelli ricevettero ciò che necessitavano, fabbricando statue
da quello olivi, e le eressero: la terra dava frutti ad essi e loro mantenevano la promessa agli Ateniesi.

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Essendosi trovato Paolo nell’Areopago diceva: “Uomini ateniesi, per tutto ciò che vedo voi siete timorati di Dio
(/religiosi): infatti attraversando e osservando i vostri culti ho trovato anche un altare in cui era iscritto: “Al dio
ignoto!”. Voi venerate colui che non conoscete, io questo ve lo annuncio. Il dio che ha creato il mondo e tutte le cose
in esso, questo signore dando inizio al cielo e alla terra non abita nei templi fatti dall’uomo né si fa curare (lett. è
curato) dalle mani umane come se ne avesse bisogno, lui dando a tutti vita e respiro e tutte le cose: fece da uno tutte
le nazioni degli uomini che abitassero su tutta la faccia della Terra, per essi ha stabilito l’ordine dei tempi e i confini del
loro spazio (lett. delle abitazioni di loro) che cerchino Dio, se lo cercano a tentoni ed effettivamente lo trovano, anche
se certamente non si trova lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo e ci muoviamo e siamo, come anche alcuni
dei vostri poeti hanno detto. Siamo infatti anche della sua stirpe. Essendo iniziatori della stirpe di Dio non dobbiamo
pensare che (la divinità) sia diamole a oro, argento o pietra, ai segni dell’arte o dell’immaginazione umana. Dunque
disprezzando i tempi dell’ignoranza, il Dio ora annuncia a tutti gli uomini in ogni luogo di pentirsi, perché egli ha
stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare il mondo con giustizia, per mezzo di un uomo che egli ha designato,
dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti”

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A nessuno dovete nulla, se non l’amare vicendevolmente. Infatti colui che ama l’altro ha adempito la legge. Infatti il
non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare, e se qualsiasi altro comandamento, in questa
parola si riassumono, amerai il prossimo tuo come te stesso. L’amore non causa male al prossimo: l’amore dunque è il
contenuto della legge. E farete questo, essendo consapevoli del momento opportuno, poiché il tempo (lett. la
stagione) sa che voi vi siete svegliati dal sonno, ora la salvezza infatti (è) vicina a noi rispetto a quando sapremo. La
notte è avanzata, il giorno è allora vicino. Liberiamoci dunque delle opere delle tenebre, indossiamo le armi della luce.
Come nel giorno comportiamoci correttamente, non in feste orgiastiche, non nei letti e in scostumatezze, non in litigi e
in rivalità; ma indossate (rivestitevi) del Signore Gesù Cristo, non siate fatti per il desiderio della carne.

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E dicono che il poema di Omero fosse cantato presso indiani, essendo tradotto quello nel loro dialetto e anche [nella
loro] lingua. Così anche gli Indi sono ciechi rispetto alle molte delle stelle che ci sono presso di noi, infatti, le due
costellazioni si dice che non appaiano a loro; non son inesperti delle vicende di Priamo, di quelle di Andromaca, dei
canti funebri di Ecuba, dei pianti, di Achille e del coraggio di Ettore. Tanto forte fu la musica di un uomo: e a me
appunto sembra che anche le sirene e Orfeo abbia superato da quella potenza. Infatti, l’ammaliare le pietre, piante e
animali e condurle che cos’altro è se non sottomettere completamente uomini barbari dalla voce così tanto greca che
non sono né esperti della lingua né degli avvenimenti, essendo la parola oltre misura, ma essendo sedotti
semplicemente dalla cetra come penso; penso proprio io che molti anche tra i barbari ancora piuttosto incivili abbiano
sentito il nome di omero, ma che non sappiano in modo chiaro ciò che è evidente sia se è un animale sia se una pianta
sia se un fatto.

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Si dice che valicando lui (cesare) le alpi e occupando una cittadella barbara abitata proprio da pochi uomini e misera, i
compagni ridendo e scherzando dicono: “o ci sono forse quelli a favore delle ambizioni per il potere e le contese
per/circa la supremazia e le invidie dei potenti tra di loro?” cesare essendo impaziente/fattosi serio disse a loro: “io
desidererei di più essere primo fra questi che secondo tra i romani.” Allo stesso modo essendoci in Iberia di nuovo una
tregua leggendo qualcuno degli scritti di Alessandro ha meditato a lungo tra sé e poi pianse essendosi gli amici
meravigliati disse la causa: “non vi sembra che sia degno di sofferenza il fatto che essendo così vecchio Alessandro
regnava già tanto, ...?”

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Essendo in procinto di condurre l’esercito da Abido ad un’altra terra, bruto si riposava la notte nella tenda come era
abitudine, non dormendo, ma pensando a quello che sarebbe successo/ al futuro; si dice infatti che quest’uomo fosse
veramente il meno sonnolento tra gli strateghi e facesse uso di se stesso da sveglio la maggior parte del tempo/ e
fosse soggetto a restare sveglio per la maggior parte del tempo era soggetto a stare sveglio per natura; gli sembrò di
sentire un rumore vicino alla porta, avendo guardato verso la luce della lanterna che subito si spegnava, vide la
terribile apparizione di un uomo orribile nella grandezza e selvaggio nell’aspetto. Dapprima/per primo colto dallo
stupore, come vide che nè faceva e nè diceva niente, ma stava in silenzio sul letto, domandava chi fosse. Il fantasma gli
rispose (lett. risponde): “O Bruto, sono il tuo demone cattivo, mi rivedrai a Filippi.” Allora (dunque) bruto disse
intrepidamente “ti rivedrò” e il demone subito se ne andava via. Con il passare/l’avvicinarsi del tempo essendosi
schierato contro Antonio e Cesare nei dintorni di Filippi, avendo dominato nella prima battaglia mise in fuga la parte
contro di lui, e procedette distruggendo l’accampamento di Cesare, di notte lo stesso fantasma si reca di nuovo da lui
che era sul procinto di combattere la seconda battaglia, non …, ma Bruto avendo scoperto ciò che gli era stato
mandato (il destino) si lanciò portandosi nel pericolo. Non cadde combattendo/gareggiando, ma avvenuta la sconfitta
essendo fuggito verso qualcosa di ripido, avendo colpito/essendosi ferito il petto con la lancia sguainata, insieme ad
un amico che ... morì.
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Omero elogiò quasi tutto si agli animali sia le piante sia le anche sia le armi sia le piante e non esiste nulla che abbia
tralasciato ricordandolo senza elogio e considerazione ebbene solo tra tutti quanti biasima Tersite e dice che costui è
un oratore dalla voce stridula. Archiloco invece giunse al fine opposto: al biasimare vedendo che gli uomini
richiedevano principalmente questo biasimando per primo se stesso unico sia dopo la morte sia prima di nascere
ottenne la più grande testimonianza da parte della divinità. Apollo scacciando dal tempio delle muse colui che lo aveva
ucciso disse che aveva assassinato il suo servitore e per la seconda volta si difendeva di averlo ucciso in guerra definì
nuovamente Archiloco servo delle muse e a suo padre che chiedeva un vaticinio prima della nascita profetizzò che gli
sarebbe nato un figlio immortale
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Pagina 593 libro di letteratura

Le parole la musica le ha scoperte Alcmani e ha composto, mutata in linguaggio, la voce delle pernici.

Pagina 586 libro di letteratura

Dormono le cime dei monti e le gole


E le balze e le forre
E la selva e gli animali che nutre la terra scura (che strisciano)
E le fiere di montagna e la stirpe delle api
E i leviatani negli abissi del mare cangiante
Dormono le specie degli uccelli dalle ali distese.

Simonide

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I

Pagina 244 n 259

Discordia tra Pericle e figlio

E convivendo co una donna giovane e dispendiosa figlia di Isandro figlio di epilogo, mal sopportava la puntigliosità del
padre, che gli metteva a disposizione piccole somme e raramente. Dunque avendo mandato un ambasceria a
qualcuno degli amici, prese a prestito del denaro, come se Pericle lo ordinasse. E poiché quello in seguito ne
richiedeva la restituzione Pericle gli intentò un processo, e il giovinetto Santippo, essendosi infuriato per questo
motivo, insultava il padre in primo luogo, volgendo in ridicolo le sue conversazioni domestiche e i discorsi che
intratteneva con i sofisti. Poiché un atleta di pentatlon i giavellotto aveva colpito Epitimo di Farsalo involontariamente
e lo aveva ucciso Pericle aveva speso tutta la giornata a discutere insieme a Protagora se secondo il discorso più giusto
si dovevano ritenere responsabili del fatto il giavellotto, oppure chi lo aveva scagliato piuttosto che gli organizzatori
dei giochi. E oltre a queste calugine Stesimbro afferma che anche la diceria sulla moglie fosse stata diffusa da Santippo
e che il conflitto nei confronti del padre, per il figlio, rimase del tutto insanabile fino alla morte infatti Santippo morì
dopo essersi ammalato durante la peste.

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Un soprannome fieramente rivendicato

Pare che il primo membro della famiglia ad essere soprannominato Cicerone sia stato persona d'importanza; per
questo i suoi discendenti non rifiutarono l'appellativo, anzi lo conservarono con ogni riguardo, senza curarsi di chi li
derideva (ed erano in molti). In latino, infatti, cicer significa cece: quell'antenato sembra che avesse sulla punta del
naso un'escrescenza carnosa, aperta in mezzo proprio come un cece, da cui gli sarebbe derivato il soprannome.
Quando il nostro Cicerone, soggetto di questo scritto, agli esordi della carriera politica aspirava alla sua prima carica, i
suoi amici gli consigliarono di rifiutare l'appellativo e di mutarlo con un altro; ma lui, con la spavalderia propria dei
giovani, rispose che avrebbe lottato per esteso che il nome Cicerone poteva valere più degli Scauri o dei Catuli.
Durante la sua questura in Sicilia, poi, consacrò agli dei un oggetto d'argento, su cui fece incidere i suoi due primi
nomi, Marco e Tuilio; al posto del terzo, invece, ordina per scherzo all'artista di raffigurare un cece. Questo è quanto
si tramanda a proposito del nome.

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