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Atena e Telemaco

1.Atena nella reggia di Odisseo: trama


Atena incita Telemaco a cercare il padre: Nell’episodio che stiamo per analizzare ci
troviamo davanti a un momento speciale: Telemaco, per crescere, dovrà mettersi
sulle orme del padre e viaggiare per scovarlo sul vasto mare. Dovrà inseguire quel
fantasma. Il brano si apre proprio con lei che sotto mentite spoglie, travestita da
Mente, è disgustata dalla presenza dei Proci e incita Telemaco a cercare il padre che
è ancora vivo. Gli indica alcune sedi in cui può cercarlo o almeno averne notizia
certa. Se la ricerca dovesse avere esito negativo, dovrà capire lui come sbarazzarsi
dei Proci: deve considerare l’idea di ucciderli. Spetta a lui il posto del padre, non a
loro. E, Atena aggiunge, non ha più l’età di un ragazzino. È grande. Ulisse avrebbe
agito nello stesso modo. Capiamo che Atena è l’intelligenza all’opera.

Prima apparizione di Penelope: Giunge in quel mentre Penelope: è la sua prima


apparizione. I pretendenti la salutano e tutti, in cuor loro, sognano di unirsi a lei.
Nella sala sta cantando Femio: racconta le storie dei ritorni degli eroi in patria dopo
la guerra di Troia: i nòstoi. Argomento triste per Penelope che chiede al cantore di
cambiare soggetto: non ha voglia di addolorarsi del mancato ritorno dell’eroe.

Telemaco rimprovera Penelope: Telemaco la rimprovera pubblicamente: Femio può


cantare quello che vuole e, anzi, a lui questo argomento è gradito perché lo motiva
ancora di più nelle sue intenzioni. Cercare il padre. E vuole, inoltre, che tutti
ricordino che Ulisse può ancora tornare perché non si sa niente della sua fine. Il fatto
che sia disperso, bloccato da qualche parte, lascia aperte tutte le possibilità.
Penelope, colpita dall’affermazione del figlio, va con le ancelle nelle sue stanze:
piangerà per Ulisse in segreto.

Telemaco convoca l’assemblea e parla ai Proci: Telemaco, invece, convoca


l’assemblea e parla apertamente ai Proci, anzi li denuncia. Vadano altrove a cercare
dei banchetti: lui ne ha abbastanza. I Proci sgranano gli occhi: senti senti,
mormorano. Telemaco ha cambiato tono, ha preso coscienza di essere un adulto,
ma non ha ancora consenso. Viaggerà alla ricerca del padre. Il fantasma di Ulisse
agita i presenti. Fa dunque sul serio questo ragazzino? E se per caso davvero
trovasse il padre? E se fosse lui stesso la minaccia da cui devono guardarsi?
2. Parafrasi
E Atena giunse in un lampo dalle cime dell’Olimpo, si trovò subito nel mezzo del
popolo di Itaca, davanti al porticato della casa di Odisseo, sulla soglia del grande
cortile; aveva in mano l’asta di bronzo perché era simile a un ospite, Mente, il capo
dei Tafi. Trovò i pretendenti che si atteggiavano in modo superbo: si stavano in quel
momento divertendo a giocare con le pedine davanti alla porta, seduti sopra le pelli
dei buoi che uccidevano. Gli araldi e gli scudieri si adoperavano a mescolare l’acqua
col vino nel cratere, a lavare e a mettere in ordine le mense con le spugne dai mille
buchi, a tagliare le carni abbondanti. Per primo la vide Telemaco simile a un dio;
sedeva tra i pretendenti, contrariato e afflitto nell’anima, sognando nel cuore il
nobile padre, se magari all’improvviso giungesse e liberasse la casa da tutti i
pretendenti, riacquistasse il suo onore e regnasse sopra i suoi beni. Era perso in
questi pensieri, sognando a occhi aperti, e vide Atena… […] Allora gli disse la dea
Atena dall’occhio azzurro: «[…] Mi vanto di essere Mente, figlio del saggio Anchialo,
e sono signore dei Tafi, ottimi marinai. Sono appena adesso approdato con la mia
nave e i miei compagni, mentre sono in viaggio verso popoli stranieri sul mare
schiumoso, verso Temese per il bronzo, e porto ferro lucente. La mia nave è laggiù,
dalla parte dei campi, appena fuori dalla città, nel porto Reitro, sotto il Neio pieno di
boschi. Possiamo vantarci della reciproca e antica ospitalità, basta che tu chieda al
vecchio Laerte: mi dicono che non sia in città, ma se ne sta lontano, tra i campi, a
soffrire, con solo una vecchia serva a portargli da bera e da mangiare, quando la
stanchezza gli opprime il corpo per la fatica di trascinarsi lungo il colle pieno di
vigneti. Sì: sono arrivato adesso e mi dicevano che tuo padre fosse già in patria: ma
forse gli dei ne stanno impedendo il viaggio. Perché Odisseo luminoso non è sulla
terra morto, vivo sulla vastità del mare, impedito al ritorno, forse in un’isola in
mezzo alle onde, magari dei selvaggi lo hanno catturato e lo tengono prigioniero. Ma
ti farò un vaticinio, come adesso gli dei immortali mi ispirano nell’animo, e credo che
si compirà nonostante io non sia un indovino né esperto del volo degli uccelli: non
starà molto tempo lontano dalla sua terra paterna, neanche se lo trattiene una
catena di ferro: saprà tornare perché è ricco di ingegno. […] Ti darò anche un saggio
consiglio, se vuoi ascoltarmi: dopo che avrai armato la nave migliore a venti remi
che c’è ad Itaca, parti in cerca di notizie di tuo padre lontano da tanto tempo, perché
magari te ne parlerà un altro uomo, o forse riuscirai a sentire la voce stessa di Zeus
che si divulga molto tra gli uomini. Vai a Pilo per prima cosa e interroga il famoso
Nestore e di là, poi, andrai a Sparta dal biondo Menelao, che è tornato per ultimo
tra gli Achei dai chitoni di bronzo. E se riuscirai a sapere la vita e il ritorno di tuo
padre, per quanto tu sia impoverito, sopporta ancora un anno: se invece sentirai che
è morto, che non abita più la terra, allora tornato in patria, alzagli un tumulo
funebre, offrigli i doni funebri, molti, come è giusto fare, e affida tua madre a un
nuovo marito. Quando infine avrai fatto e compiuto ogni cosa, medita allora nel tuo
animo e nel tuo cuore il modo in cui potrai massacrare in casa tua i pretendenti, se
magari dovrai farlo di nascosto, attraverso un inganno, o apertamente: non devi più
essere un ragazzino, perché non hai più l’età». […] Avendo detto ciò Pallade Atena
andò via: ma in cuore gli ispirò forza e ardire: gli infuse un ricordo più forte del
padre, più intenso, e lui riflettendo tra sé, restando stupito, capì che era stato alla
presenza di un dio. Allora Telemaco tornò fra i pretendenti, apparendo loro simile a
un dio. Per i Proci stava cantando Femio e quelli in silenzio sedevano ad ascoltarlo:
cantava del ritorno degli Achei da Troia che penoso inflisse loro Pallade Atena. Dalle
stanze superiori udì il canto la figlia di Icario, Penelope saggia, e discese la scala alta
del suo palazzo insieme a due ancelle. Non appena giunse tra i pretendenti la
bellissima donna, si fermò in piedi accanto a un pilastro del solido tetto, tirando
davanti alle guance i veli lucenti: alla destra e alla sinistra aveva un’ancella fedele.
Piangendo, dunque, parlò al cantore divino: «Femio, molti altri canti tu sai che
affascinano gli uomini; conosci imprese di eroi, degli dei, che i cantori glorificano:
canta uno di quelli a loro, sedendo, e loro in silenzio bevano pure il vino. Ma, ti
prego, smetti questo cantare straziante, che mi spezza tutte le volte il cuore, perché
soprattutto a me ne deriva un dolore insostenibile, rimpiangendolo, pensando a lui
di cui la gloria si spande per l’Ellade e nel cuore di Argo». Allora il saggio Telemaco
rispondendo diceva: «Madre mia, perché vieti che l’amato cantore diletti come la
mente lo ispira? Non certo i cantori sono causa dei dolori, Zeus è la causa: lui dà la
sorte agli uomini operosi così come vuole. Costui non è da rimprovera poiché canta
la disgraziata sorte dei Greci, perché il canto più lodato dagli uomini è quello che
appare più nuovo. Chiedi al tuo cuore di sopportare l’ascolto, così alla tua mente,
perché non solo Odisseo perdette il ritorno a Troia, ma anche molti altri eroi vi
perirono. Su, adesso torna alle tue stanze e pensa alle tue faccende, fuso e telaio, e
alle ancelle comanda di assistere il tuo lavoro: al canto pensino gli uomini tutti, e io
più di tutti gli altri: a casa mia, comando io». Penelope stupefatta tornò alle sue
stanze, e la prudente parola del figlio si tenne in cuore. Salì al piano di sopra con le
donne sue ancelle, e lì continuò a piangere lungamente Odisseo, il caro sposo, fin
quando Atena dall’occhio azzurro gettò il sonno sopra le stanche ciglia.
Ma i pretendenti rumoreggiarono dentro la sala densa di ombre, e tutti
desiderarono di giacere con lei. A loro Telemaco saggio tenne un discorso:
«Pretendenti di mia madre, pieni di ingiuriosa superbia, adesso godiamoci il
banchetto e non facciamo schiamazzi: non c’è niente di meglio di ascoltare ascoltare
un cantore di tale bravura com’è costui, nella voce pari agli stessi dei. All’alba
andremo tutti a sederci in assemblea affinché possa ordinarvi pubblicamente di
andarvene via da casa mia: cercatevi un altro posto dove dissipare le sostanze,
magari a casa vostra. Se invece vi sembra più degno di restare qui a saccheggiare i
beni di un uomo solo, senza temerne vendetta, fate pure. Da parte mia, invocherò
gli dei eterni: voglia Zeus che vi tocchi il cambio di quanto state facendo e allora, voi
senza vendetta, morirete nella mia sala

3. Analisi del brano


L’assenza di Ulisse: Nei primi quattro libri dell’Odissea, Ulisse non compare, ma è
spesso nominato: è una tecnica piuttosto frequente nelle narrazioni: presentare i
personaggi attraverso il punto di vista e le informazioni di altri personaggi. Possiamo
però dire che la sua presenza è nell’assenza e l’assenza, stai attento, è la piena
manifestazione della presenza spirituale e affettiva dell’assente. Faccio un esempio:
hai presente i quadri in cui Van Gogh dipinge la sua stanza, la sua sedia, la sua pipa, i
suoi pennelli e la tavolozza? Tutto tranne lui: l’assente. Il pittore non c’è, ma proprio
perché non c’è sembra essere ancora più presente. La sua assenza pesa sulla scena.
In modo più prosaico, quando perdiamo qualcuno di caro, magari un nonno,
notiamo la sua assenza, ma essa – nuova, a cui siamo impreparati – ci lascia
intravedere i luoghi in cui si muoveva, gli oggetti che maneggiava, le parole che
diceva. Lo percepiamo. L’assenza sembra davvero una presenza cambiata di segno.
Sono sicuro che è un’esperienza fatta da molti. Ad Itaca c’è il trono lasciato vuoto, la
sala affollata da estranei irriguardosi, i familiari e i servi fedeli rattristati dall’angoscia
di un’attesa sentita inutile, il talamo di Penelope privato dello sposo. È una
situazione di lutto perenne non da tutti accettato. Le persone fedeli a Ulisse si
muovono in quello spazio come se Ulisse ci fosse ancora. Altri si comportano come
se fosse morte.

Ulisse: eroe liminare: Ci muoviamo sulla soglia: Ulisse, dicevamo, c’è e non c’è. È un
eroe liminare (limine, ossia confine e quindi anche soglia), come vedremo spesso
nell’opera. Le informazioni che sappiamo di lui ci giungono da altri personaggi e
quindi egli si rivela prima nella narrazione e solo dopo nella realtà. La sua vicenda si
propaga nella narrazione, giunge attraverso racconti che sono come onde fluttuanti
nell’immenso mare dello spazio e del tempo, appunto come le onde del mare.
Queste notizie sono raccontate da stranieri e viaggiatori: ne arrivano tanti a Itaca,
con notizie vere e inventate. Atena-Mente è uno di loro e la narrazione ha un effetto
immediato, divino, su Telemaco.

Il ricordo di Ulisse: Il ricordo di Ulisse si fa più vivo:

«Detto così, se n’andò Pallade Atena,

come un uccello volò via sparendo: ma in cuore

gli ispirò forza e ardire, gli infuse un ricordo del padre

più intenso di prima; e lui, tra sé riflettendo,

restò attonito in cuore, capì ch’era un dio».

Atena: Telemaco ha intuito di aver ricevuto un messo divino: bisogna, ora, agire in
fretta. I Proci stanno spazientendosi. Penelope dovrà scegliere volente o nolente
uno di loro e prima o poi l’inganno della tela verrà scoperto. Telemaco sta
affrontando il difficile passaggio dall’adolescenza alla maturità. Madrina di questo
momento cruciale non può che essere Atena che funge da padre. Dice Privitera:
«Telemaco non è solo un giovane che cerca suo padre, ma è il giovane che ha
bisogno di un padre. Telemaco è l’icona del figlio. Anche se Odisseo fosse introvabile
o morto, Telemaco avrebbe bisogno lo stesso di un padre. Chiunque sia con lui
affettuoso e gli dia buoni consigli è per lui un padre. Ad Atena-Mente è grato perché
gli dà consigli come li dà un padre a suo figlio».

La denuncia ai Proci: Il rimprovero di Telemaco a Penelope, anticipa la denuncia ai


Proci con parole che prorompono con la forza e la sfrontatezza di un giovane
principe. Addirittura li minaccia di morte.

Telemaco: Telemaco, è vero, non ha ancora raggiunto la maturità necessaria per


prendere il posto del padre: appare ridicolo ai Proci, un giovane che con spocchia
gioca a fare l’Ulisse, cercando in se stesso le parole, i gesti, l’autorità paterne. È
acerbo, sì, ma intanto, ha preso coscienza di sé e della sua forza grazie alla dea. Lo
sottolinea proprio Omero: «Allora fra i pretendenti tornò, l’eroe pari ai numi».
Dubbi e paure dei pretendenti: È un momento di grande importanza perché il
fantasma di Ulisse si rivela nel figlio e questo basta a suscitare dubbio e paura nei
pretendenti i quali dissimulano con scherni e risate la loro inquietudine, poiché
comprendono che sta per diventare un nemico temibile e che sarà bene farlo fuori il
prima possibile. Telemaco può mandare all’aria i loro piani forse anche più del
ritorno di Ulisse, a cui nessuno di loro crede.

La partenza di Telemaco: Telemaco si metterà allora in viaggio, cercando il padre e


contemporaneamente se stesso, correndo il rischio di lasciare la madre da sola. In
questo distacco audace è già il segno del suo ingresso nella vita adulta.

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