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GIANFRANCO RAVASI

VOWME Ir ( 51-100 >

COMMEN'IO E ATTUALIZZAZIONE

rnm EDIZIONI DEHONIANE • BOLOGNA


Prima edizione, aprile 1985
Seconda edizione, dicembre 1985
Terza edizione, luglio 1986

© 1986 Centro editoriale dehoniano, Via NosadeUa 6, Bologna


Stampa: Grafiche Dehoniane, 1986

ISBN 88-10-20536-7
SALMO 57 (56)

LA M IA VITA È IN M EZZO A LEON I ,


MA SALDO È I L MIO CUORE

« O rmai n o n m i rivolgo più agl i uomini, bensì a te, Dio d i tutti gli
esseri, d i tutti i mondi, d i tutti i te mpi, se mai è lecito a deboli
creature, sperdute nell'im mensità e i m percettibili al resto dell'u­
n iverso, di ardire chiederti qualcosa, a te che hai dato tutto , a te
i cui seg reti sono i m m utabili ed eterni . Degnati d i considerare
con occhi pietosi g l i errori inerenti alla nostra natura e fa' che
questi errori non d iventino la nostra sventura! Tu non ci hai dato
un cuore perché ci odiassimo e mani perché ci sgozzassi m o ;
f a ' c h e c i aiutiamo reciprocamente a tollerare i l fardello d ' una
vita penosa e passeggera i . . . Che tutte le m i n i m e sfu matu re che
distinguono g l i ato m i ch iamati uomini non siano segnali di odio
e d i persecuzione ! . . . Che coloro che domi nano s u una particel­
la del mucchietto di fango d i qu esto mondo e che posseggono
alcuni fram menti arrotondati d ' u n certo metallo, godano senza
o rgoglio di ciò che ch iamano grandezza e ricch ezza e che gli
altri l i guardino senza invidia, perché tu sai che in codeste
vanità non c'è nulla né da invidiare né da insuperbire.
Possano tutti gli u o m i n i rico rdarsi che sono frate l l i ! che abbiano
orrore della ti rannia esercitata sulle anime, come hanno in
esecrazione i l brigantaggio chè con la forza rapisce il frutto del
lavoro ! Se i flagelli della gue rra sono i nevitabili, non odiamoci,
non laceriamoci a vicenda in seno alla pace e i mpieg h iamo
l'atti mo della nostra esistenza a benedire in varie lingue, dal
Siam fino alla California, la tua bontà che ci ha accordato
q uesto atti m o l » .
(Voltaire, Trattato della tolleranza, tr. it. d i P . Bianchi, Milano 1 967, pp.
1 04- 1 05 : « Preghiera a Dio• ) .

1 Al maestro del coro. Su cc Non distruggere». DI


Davide. Miktam. Quando fuggì da Sau l nella caverna.

2 Pietà di me, o Dio, pietà di me,


perché in te si rifugia il mio essere.
All'ombra delle tue ali mi rifugio
finché sia passato il pericolo.

SALMO 57 (58) 1 45
3
1 nvocherò Dio, l'Altissimo,
Dio, il Vendicatore, I'Aitissimo.1
4 Mandi dal cielo e mi salvi ,
attacchi chi mi persegu ita, se/ah
mandi Dio il suo amore e la sua fedeltà.2
5 /1 mio essere riposa in mezzo a leoni
infiammati di rabbia contro gli uomini :
i loro denti sono lance e frecce,
· la loro lingua è spada affilata.

6 La tua grandezzaa è sopra l cieli, o Dio,


su tutta la terra la tua gloria!
7 Una rete hanno teso ai miei piedi,
u n cappio alla mia gola,•
hanno scavato davanti al mio volto una fossa,
in mezzo ad essa sono cad uti . se/ah

8 Saldo è il mio cuore, o Dio,


saldo è il mio cuore.
Vog lio cantare, voglio lnneggla re.5
9 Déstati, anima mia,8
déstati , arpa e lira,
vog lio destare l'aurora!
10
Ti loderò tra i popoli , o Signore,
lnneggerò a te tra le nazion i :7
11
«Grande fino ai cieli è il tuo amore,
fino alle nubi la tua fedeltà» .

12 La tua grandezza è sopra l cieli, o Dio,


su tutta la terra la tua gloria!

' Il TM ha 'alaj, «SU di me• ; meglio vocalizzare 'eli, •Altissimo, in parallelo con 'elj6n, "Altissimo,, del
primo stico•.
• Per le questioni poste dal testo ebraico di questo versetto vedi l'esegesi.
3 Si può intendere rOmsh anche come imperativo: «Innalzati!•. Noi lo traduciamo come sostantivo
rlJmsh, «altezza, grandezza .. .
• Lett. nafsi, «il mio essere vivente .. , ma il vocabolo ha spesso questa accezione somatica. Per la
versione «cappio• vedi l'esegesi.
5 Nel codice sinaitico e nel parallelo Sal 1 08,2 si ha anche il pronome personale «& te (/ak). ..

• Lett. •fegato mio» (kebedi) e non «gloria mia" (k�bodf. TM).


7 Nel v. 10 il Sal 1 08,4 ha invece di 'sdonsj, «Signore•, Jahweh, sostituito nel salterio elohistico.
L'inno del v. 1 1 inizia col tradizionale ki, proprio di inni e di antifone. Noi abbiamo preferito sostituirlo
coi segni della citazione.

146 SALMO 57 (56)


Testo e contesto

L'esegesi salmica da sempre ha sottolineato un fenomeno piuttosto appari­


scente del Sal 57, cioè quella specie di svolta o frattura che segna il passaggio dal
v. 7 alla successiva porzione dei vv. 8-12 1 Anche il metro muta: dai 3 + 3 accenti
.

classici si passa al 3 + 2 della qinah , nonostante che i temi suppongano l'inverso


dei ritmi (lamento nella prima parte , gioia e serenità nella seconda) . Si è, cosi,
pensato all'assemblage di due testi artificiosamente uniti attraverso un'antifona
(vv . 5 e 12) . La prima area è chiaramente riconducibile allo schema ideologico
della supplica (vv . 2-7) , la seconda al ringraziamento. Anzi, questa seconda
sezione è reperibile integralmente anche in 108,2-6. Grido di dolore e canto
entusiasta sarebbero stati combinati così da ottenere una nuova composizione a
mosaico ma discretamente unitaria. Sappiamo infatti che la lamentazione biblica
scivola sempre verso la speranza e spesso nel ringraziamento vero e proprio per il
dono immaginato come già concesso da Dio al suo fedele (vedi la finale del salmo
precedente, 56, 13-14) . Certo, la combinazione impedisce un risultato armonico
perfetto nell'insieme del carme. Anzi qualche esegeta più sottile sospetta che
anche la seconda parte (vv . 8-12) manchi di omogeneità e sia da unire coi vv. 6-7
(che sono anch'essi ritmati sui 3 + 2 accenti) così da avere una composizione cosi
concepita:

l {
-Introduzione all'inno nei vv. 6-7
a. Antifona parallela al v. 12 nel v. 6
,
b. Due distici che riprendono il tema del primo salmo (v. 7)
-Inno vero e proprio (vv . 8-12 = Sal 108,2-6) .
In altri termini tra le due composizioni sarebbe stato inserito un intervento
redazionale , una specie di ponte letterario coordinatore (i vv. 6-7).
Esiste , però , anche un'altra interpretazione che, meno impressionata dal
salto di tono e di tema, non impossibile, come si è detto , nelle suppliche, suppone
una base unitaria. La cornice sarebbe quella del tempio (v. 2), l'arco temporale
quello di una giornata , dalla sera al giorno successivo (v. 9) . Si tratterebbe,
perciò, di una supplica inviduale di una persona perseguita da un «mandato di
cattura» spiccato da crudeli giudici. L'orante cerca, secondo la prassi del diritto
processuale ebraico, asilo giudiziario nel tempio a cui affida la sua causa
attraverso un'ordalia o, più probabilmente, attraverso il rito dell'incubazione
sacra nel tempio (Sal 3,6; 4,9; 5,4; 17,3; 59,17) . Il rito, notissimo nel mondo
orientale antico, supponeva una teofania notturna liberatoria cui seguiva all'alba
l'oracolo liberatorio pronunziato dal sacerdote o dal profeta cultico. Uno dei
cinque Salmi siriaci di Davide, prodotti apocrifi di origine giudaica, ha: «Sono
giunto per riposare . Ho dormito , ho sognato e l'aiuto venne in mia liberazione»

1 Oltre ai commenti generali si vedano gli studi di Grill S . , Psalm' 57 nach dem syrischen Text ­
eine Bine um Absetzung der gottfeindliche Fursten -, in «Theologische-praktische Quartalschrift» 107
(1959), 133-135; Hoope M. A . , <<In You, o Lord, I seek refuge». Considerations on Ps 57, in BiTod 72
(1974), 1608-1612; Auffret P . , Note sur la structure linéraire du Psaume 57, in Sem 27 ( 1977), 59-73;
Goldingay J . , Repetition and variation in the Psalms, io JQR 68 (1977-78) , 146-15 1 ; McKay J. W.,
Psalms of Vigil, in ZAW. 91 (1979) , 229-247. Vedi anche Beyerlin W . , Die Renung der Bedriìngten . . .
cit. (Sal 54) e Waaijman K. , Psalmen over recht en onrecht, Kampen s.d.

SALMO 57 (56) 147


(III , 10, in ZAW 48, 1930, 10) . In sintesi il salmo descriverebbe «il ricorso
dell'arante, ingiustamente accusato, al giudizio divino atteso con la pratica
ordalica deWincubazione sacra nel tempio» (A. Lancellotti, II, p. 90) . Una
diversa lettura, sempre nell'ambito dell'ipotesi unitaria, è stata proposta da
Dahood (II , p. 50) ma già contestata da Kraus (I, p. 412) . Secondo l'esegeta
americano-romano il Sal 57 sarebbe «il lamento di un re , perseguitato da perfidi
calunniatori . . . Dopo il suo grido di aiuto (v. 2) , il salmista esprime la sua fiducia
che Dio interverrà in suo aiuto . Il v. 5 descrive la sua situazione , una situazione
ripresa nel v. 7, dopo essere stata interrotta dall'antifona del v. 6 che ricorre nel
verso finale. I vv. 8-11 contengono il solito voto in forma di inno di ringraziamento
indirizzato a Dio perché liberi l'orante dalla presente angoscia». Le argomentazio­
ni addotte per sostenere la qualità «monarchica» del salmo sono, però, molto
labili . Il titolo 'al ta!�t, «non distruggere !», connesso alla preghiera di Mosè in Dt
9 ,26, dimostrerebbe che il liturgista responsabile del titolo stesso intendeva il
salmo come pronunziato da un capo politico di Israele.2 Il secondo argomento
concerne la sequenza dei Sal 54; 56; 58; 59 che sarebbero tutti salmi regali , cosa
tutt'altro che dimostrata e pacifica.
Davanti a queste due ipotesi di lavoro, quale sarà il nostro atteggiamento
nella lettura del salmo? Noi riteniamo che il salmo a livello attuale sia una
composizione unitaria ben strutturata e coordinata, senza quelle goffaggini
proprie dei testi antologici, frutto scolastico di ambiti liturgici o scribali. La stessa
analisi strutturale mostrerà il rigore della trama e del movimento generale del
salmo . Rifiutiamo , perciò, l'ipotesi d'una semplice giustapposizione di due testi
disparati . Se il Sal 57 è l'opera di un solo artista, ciò non esclude però una seconda
considerazione. Il poeta nel comporre il suo carme unitario, che suppone un
lamento che trapassa in ringraziamento , ha utilizzato qualche materiale preesi­
stente, certi brani «jolly» che appartenevano ai repertorio tradizionale della
preghiera pubblica e privata: si tratta appunto dei vv. 8-12 che ritroviamo usati
anche dal poeta del Sal 108. Nasce, così, una composizione unitaria anche se
stratificata in cui il lamento drammatico trapassa progressivamente nella speranza
e nella gioia. Difficile è, invece , determinare l'epoca in cui questo poeta ha
elaborato il suo prodotto: nulla milita contro una datazione preesilica (Kraus) , più
esitanti saremmo a pensare all'epoca davidica come vorrebbero il titolo,
Kirkpatrick, Calès , Castellino e altri. Un'operazione di questo genere, piuttosto
sofisticata, l'abilità della miscela tra citazione e testo · nuovo suppone un buon
professionista di tecnica letteraria, meno l'intuizione pura , autonoma e libera d'un
genio poetico eccezionale.
In conclusione vogliamo riservare un cenno anche alle ipotesi avanzate da
parte dei sostenitori della totale divaricazione e duplicità dei due carmi a
proposito della terminale fusione del salmo . Per Weiser la giustapposizione è da
collocare in un Sitz-im-Leben liturgico ed è dovuta al fatto che «il salmo è stato
recitato in un rito di ringraziamento dove la lamentazione e la domanda avevano
preso il posto della solita narrazione della liberazione dell'arante da un pericolo» .
Per Buttenwieser e per altri i l poema è strettamente nazionale e d è stato coniato
in ambiti scribali, per Szorényi i vv . 8-12 sono un frammento liturgico del

1 Per il titolo vedi Sl01novic E., FomuJtion of historical titles in the book of Psalms , in ZAW
(1979) , pp. 372-373.

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repertorio del tempio, poi allegato ad un'altra composizione. Per Briggs, Gunkel ,
Mowinckel, Jacquet e altri la storia dell'unificazione è più complicata e suppone
sempre un ambito liturgico. In occasione di una vicenda tragica vissuta da Israele
e felicemente superata si sentì la necessità di creare un carme commemorativo .
Invece di affidarne la composizione ex-novo ad un poeta di corte o ad un altro
artista, si preferì ricorrere ad un'operazione di plastica testuale: i liturgisti o gli
scribi unificarono un paio di frammenti diversi, due liriche individuali, una
supplica (vv. 2-5) e un ringraziamento (vv. 6-12) . Così, una questione privata di
persecuzione e di antagonismo si è trasformata nel paradigma di una vicenda
nazionale: alla sofferenza e alle accuse personali si è sostituito il dolore dell'intero
popolo, il successo giudiziario personale è diventato il trionfo della nazione. · Per
addolcire il trapasso tra le due parti piuttosto stridenti tra loro si sarebbe im­
messo il v. 4c in cui si invoca sulla tragedia l'intervento della tradizionale coppia
di attributi divini relativi all'alleanza, l?esed ed 'emet, l'amore salvifico e la
fedeltà.
Naturalmente una simile Formgeschichte del salmo, di per sé possibile, non
sembra così limpidamente deducibile da questo testo i cui colori sono sostanzial­
mente personali e suppongono un'impostazione più generale e dai contorni più
sfumati . Lo stesso sfondo del tempio, certamente presente, è appena abbozzato , i
riferimenti al rituale dell'incubazione sacra sono esili e impalpabili, l'itinerario dal
dramma al ringraziamento è schematico ed essenziale. Un'ultima osservazione: il
Sal 57 ha ricevuto un suo peser, cioè un commento-interpretazione, a Qumran. Il
metodo è quello già presentato a proposito del Sal 37 : «citazione letterale
completa della prima frase avente , a giudizio dell'interprete, senso compiuto ;
interpretazione della frase , generalmente molto secca, breve e senza alcuna
esitazione casuistica ; citazione letterale, completa, della frase seguente ; sua
interpretazione , e così via fino al termine del libro e della parte che interes­
sava» .'

Dimensione letteraria

Aperto sul tempio e la sua liturgia, il salmo ben presto allarga il suo
orizzonte sino a raggiungere il cosmo intero. Inizia come canto elevato a Dio nel
tempio che è, nella teologia biblica e orientale , un microcosmo e sfocia negli spazi
infiniti del cosmo. Al centro, però, c'è il «cuore» (v. 8) che è quasi il punto nodale
delle relazioni che infittiscono la trama simbolica del canne : io e la mia coscienza,
io e Dio, io e il cielo, io e la terra, io e l'universo intero. Ma su un altro piano al
centro c'è Dio, il re e il giudice della terra che risponde a tutte quelle relazioni e le
trasforma. Vediamo ora a livello letterario la stesura che il poeta ha fatto del suo
carme attraverso anche il contributo della citazione di un'altra composizione.

3 Moraldi L. , I mancscritti di Qumran, Torino 1971 , p. 499. Cf. anche Carmignac J., Notes sur
les Pesharim , in RQ 3 (1962), pp. 521-526. D testo del pe.fer del Sal 57 non è ancora stato pubblicato in
edizione critica definitiva.

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La struttura letteraria

Il poeta ha lasciato nel testo un primo elemento di notevole rilevanza, la


presenza di un'antifona nei vv. 6 e 12. Attraverso questa operazione ha tentato di
assorbire il paragrafo preesistente dei vv. 8-12. Infatti se noi esaminiamo i vv. 6-12
ci incontriamo non solo con lo stesso metro ma anche con un altro elemento di
coordinamento, il v. 7, piuttosto stereotipo nel simbolismo , che serve a
ricapitolare il dato fondamentale della supplica precedente attraverso il simboli­
smo venatorio-teriomorfo . Inoltre l'antifona, pur essendo materialmente identica,
è in realtà differente per tonalità, una differenza registrabile a livello di emozione
interiore e di «esecuzione>>. Nel primo caso è un appello alla glorificazione di Dio
attraverso un intervento liberatore, ha quindi il sapore d'una supplica e riassume
la prima parte del salmo , nel secondo caso , invece , è un appello alla glorificazione
di Dio nel ringraziamento e nella lode. Abbiamo già notato questa «variazione
nella ripetizione» (Goldingay), variazione impalpabile, musicale e psicologica, già
a proposito dell'antifona del Sal 42-43 e del precedente Sal 56 (vv. 5 e 1 1 - 12). Il v.
7, perciò, oltre che evocare la prima parte del salmo , ha la funzione di preparare,
motivare e giustificare la citazione del ringraziamento a sua volta raccordato ,
motivato e giustificato dall'antifona.
Lo stesso v. 7 ci sposta l'attenzione sulla supplica dei vv. 2-5 . Il suo logico
parallelo è il v. 5 , una scena teriomorfo-militare barocca ma il rapporto tra i due
quadretti è ovviamente mutato. Nel v. 5 domina l'incubo, il rischio, il pericolo,
l'orante sta per essere inghiottito o pugnalato; nel v. 7 domina invece la
liberazione secondo il modulo della nemesi immanente, i cacciatori o gli avversari
militari piombano e si impigliano nella trappola da loro escogitata. Le due scene
sono , perciò , parallele ma inserite in due finalità differenti , la prima è destinata
alla supplica, la seconda all'azione di grazie . A questo punto restano i due brani
dei vv. 2-4 (supplica) e dei vv. 8-11 (lode) . Essi sono estremamente lineari ed
unitari . Il primo risponde ai requisiti indispensabili della lamentazione. Nei vv. 2-
3 si raccoglie il lessico tradizionale , dal /yln , «Miserere», al qara , il grido di
'

implorazione , dall'evocazione del pericolo nell'atmosfera pressante dell'indirizzo


orante a Dio e nel v. 2b al motivo della fiducia espresso attraverso la ripetizione
del verbo l,asah , «confidare, rifugiarsi» (v . 2) , e attraverso il simbolismo dei
tempio, dell'arca e delle ali dei cherubini (v. 2) . Nel v. 4 si ha un ulteriore appello
coordinato in unità dal verbo sliT-, «mandare», e si riprende il motivo della
presenza celeste di Dio già apparsa nell'antifona dei vv. 6 e 12. Dio interviene
dalla sua trascendenza e quest'atto di salvezza diventa radice di lode alla sua
trascendenza («Mandi dal cielo . . . Innalzati sopra il cielo . . . »). Si passa poi alla
descrizione dell'incubo nel v. 5 già esaminato . I vv. 8-1 1 , invece , riprendono la
supplica ma sul versante dell'esaudimento . Nel v. 1 1 riappaiono il 11-esed e l"emet
di Dio in parallelo al v. 4 della supplica; l'invocazione all'intervento divino dai
cieli del v. 4 è ripresa nella certezza dell'esaudimento, sempre nel v. 1 1 . Si tratta,
quindi, di un raffinato gioco di rimandi tematici. L'inno dei vv. 8-1 1 è intessuto col
lessico «eucaristicO>>. Ecco , infatti , il verbo del canto , sir, e quello tradotto dai
LXX col «salmeggiare>> (zmr) nel v. 8; ad essi fa eco il verbo della todah, la «lode>>
nel v. 10 che riprende il «salmeggiare>> (zmr) . Nel v. 9 appaiono anche gli
strumenti musicali della lode , l'arpa e la lira mentre il v. 11 sembra essere quasi il
contenuto dell'inno , la formula cantata introdotta dalla tradizionale ki-gadol,
«perché grande è >> (vedi il Grande Hallel, il Sal 136) . A questo punto possiamo
. . .

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tracciare il giuoco generale dei rimandi che permetteranno poi di dipanare un
armonico piano di lettura. In questo schema ci troviamo per molti elementi in
concordanza con l'analisi strutturale del Sal 57 e,seguita da Auffret. Ecco lo
spartito letterario del salmo :

vv.
2- 4 La supplica
v. 5 L'incubo del pericolo
r+--+--- v. 6 Antifona-appello all'intervento divino
v. 7 La liberazione dal pericolo

vv. 8-1 1 La tòdah


v. 12 Antifona-appello alla lode per l'intervento divino

Ed ecco il piano di lettura globale che seguiremo nell'analisi esegetica:

La supplica (vv. 2-5) . Essa si snoda in due paragrafi diseguali

{ quantitativamente ma paralleli qualitativamente :


a. L'invocazione (vv. 2-4) scandita da una sequenza di implora­
zioni nello stile classico delle suppliche
b . // pericolo (v. 5): i leoni e le armi
r+------ Antifona-appello all'intervento divino (v . 6)
La todah (vv. 7-11) . La lode di ringraziamento si snoda in due
paragrafi diseguali, l'uno negativo, l'altro positivo:
{
a. Il pericolo (v. 7) : la rete, la fossa e la liberazione
b. L'invocazione (vv . 8-11) scandita da una sequenza di celebra­
zioni nello stile classico dei ringraziamenti innici
L.------ Antifona-appello dopo l'intervento divino (v. 12)

Questo limpidissimo impianto strutturale e soprattutto il raffinato richiamo


centrale sul tema del pericolo (vv . 5.7) permettono di intuire la precisa
rielaborazione del poeta che, pur attingendo a materiali preesistenti, è ben
lontano dal presentarci un collage mal riuscito di due carmi, come alcuni esegeti
ancor oggi suppongono. A questa operazione di amalgama contribuisce anche
l'impianto simbolico del salmo che ora esaminiamo .

La slmbologla del carme

Il salmo suppone come fondale l'area sacra del tempio che però sfuma
aprendo il cerchio di visuale verso l'infinito. Tempio e cosmo si intercettano e si
rimandano reciprocamente . Il simbolismo spaziale è, quindi, il coordinatore
generale del quadro. La dinamica teologica di questo simbolo è stata ben illustrata
da R. Lack.4 «Tanto Dio quanto l'uomo si trovano in un luogo duplice ! Dio è

4 Lack R . , Mia forza e mio canto è il Signore, Roma 1981, p. 93. Il tempio come centro
paradisi acodel cosmo, ombelico (tabar in ebraico) geografico del mondo, isomorfia della madre, della
metro-poli, della genitrix, archetipo del <<centro» e dell'intimità è un tema simbolico tipico degli inni a
Sion e di rilevanza costante in tutte le culture. Vedi Guimbretière A . , Quelques remarques sur la
fonction du symbole à propos de l'espace sacralisé, in «Cahiers Intemationaux de Symbolisme» n. 13,
(1967-68), 33-55 .

SALMO 57 (56) 151


presente nel tempio. L'accusato riposa al sicuro all'ombra protettrice delle ali di
Jahweh . Nello stesso tempo, l'accusato si lamenta di giacere in mezzo ai leoni e la
sua preghiera deve andare a cercare Dio nei cieli (vv . 4 5). Per il momento bontà e
-

fedeltà sono ancora nei cieli (v. 4) , oggetti di fede e di speranza. Quando il
Signore avrà accordato il suo aiuto, il salmista si ripromette di cantare tra i popoli:
"Il tuo amore è grande fino ai cieli e la tua fedeltà fino alle nubi" (v. 11). Il
rapporto cielo e terra si sarà invertito. La fede non dovrà più garantire sulla terra
per il Dio del cielo . La terra stessa, visitata dalla potenza di Dio , risponderà del
cielo (vv . 6. 12) . Più Dio fa riuscire la terra, più l'uomo crede al cielo». Il tempio
. .

è evocato attraverso le «ali di Jahweh>> (v. 2) , la classica tipologia gerosolimitana


dell'arca e delle ali dei cherubini (Sal 17,8; 36,8; 61,5; 63 ,8; 91 ,4) , una tipologia
che ha, accanto alla dimensione teologica (la presenza di Dio in Sion) e a quella
giuridica (il diritto d'asilo nel tempio) , anche un aspetto di intimità, di protezione,
di «maternità» (vedi Mt 23 ,37) , una tipologia che si colora anche di riferimenti
biblici, connessi all'esodo (Es 19,4; Dt 32, 11). Il tempio è evocato anche
attraverso il titolo «gerosolimitano» di Jahweh, 'Eljon , l'Altissimo (Gn 14,8; Sal
7,18; 9,3; 21,8; 46 ,5) , un titolo a cui allude simbolicamente anche I'<<innalzarsi»
sopra i cieli (rwm) che l'antifona applica al Dio liberatore (vv. 6. 12) .5 Il tempio ,
infine, è evocato attraverso l'orchestra del v. 9 che accompagna il fluire della
giornata liturgica dalla sera al giorno successivo. Naturalmente il tempio sarebbe
menzionato in modo ancor più esplicito qualora il v. 9 fosse riservato alla prassi
dell'incubazione sacra. È noto anche che esisteva a Gerusalemme un rituale di
«risveglio» del giorno, celebrato da )eviti detti appunto <<gli eccitatori» o
«risvegliatori» (Sal 130,6 ; cf. 72,16). Il rito, noto anche in Fenicia nel culto di
Melqart, aveva precedenti nell'innologia egiziana che accompagna il rituale del
risveglio del dio solare . Ecco un esemplare vicino al tema del v. 9: «Svegliati,
grande dio ! O santo disco alato, spezza la tua prigione d'argilla, vieni a spandere
sulla terra il tuo pulviscolo d'oro h>.6
Un secondo sistema simbolico intreccia elementi teriomorfi-venatori-bellici.
Esemplari al riguardo sono i vv. 5 e 7. Al centro del quadro c'è la raffigurazione
del leone in posizione d'assalto ma l'immagine poi si trasforma in un duello con
lance , frecce e spade mentre l'evocazione della lingua e delle zanne riesce a

5 ViganO L . , Il titolo divino Marbm: "L'Eccelso», in «Studii Bib. Frane. Liber Annuus» 24
(1974) , 188·201 pensa che anche in questi due vv . , come nel Sal 56,3 (vedi anche 7,8; 10,5; 92,9; 138,6;
Is 38,14; 57,15; Gb 21 ,22; Ger 3 1 , 12) , ci sia appunto questo riferimento all'appellativo divino Mar6m,
Eccelso. Interessante è la proposta di Dahood che legge l'imperativo rumah come un sostantivo (cf.
2Re 23,36; Gdc 9,41) con un significato simile al maschile ram, «altezza»: si tratterebbe di ramah,
«potenza, altezza, grandezza», anche <<lode» (Sal 66,17; 149,6; Mi 2,3). La proposta, già avanzata da
Podechard, avrebbe il vantaggio di stabilire un parallelismo col successivo kabòd, «gloria» e in questo
senso può essere presa in considerazione anche se il risultato dal punto di vista semantico è identico
alla lettura con l'imperativo. Siamo meno d'accordo col resto dell'applicazione di Dahood che,
traducendo rumah con «statura», cerca un riferimento «monarchico» eccessivamente laborioso. Ecco
la sua opinione: «C'è qui un'evidenza letteraria degli antichi criteri semitici per la qualificazione della
suprema divinità in parallelo con la concezione del re ideale. Saul è stato scelto re «a causa della sua
imponenza e della sua statura» (1Sam 16,7). Nel mito cananeo il dio 'Athtar tenta di occupare il trono
vacante di Baal ma la sua pretesa è respinta perché troppo basso di statura (UT 49: 1: 30-33) . . . La
statura di Jahweh torreggia sopra i cieli e la sua gloria si estende sino agli estremi confini della terra>>.
Graetz ha emendato senza necessità in romemah , «Sorgi!». Halévy, Buhl, Jacquet hanno aggiunto il
pronome di seconda persona rumeka, «la tua altezza»: per il principio ben dimostrato del suffisso con
doppio valore, il tua della «gloria» dello stico successivo può benissimo coprire la carenza e lasciare
intatto il sostantivo rfìmah.
6 Citato da Beaucamp E. - De Relles J. P., lsrael attend son Dieu cit. , II, p. 51.

1S2 SALMO 57 (56)


svolgere la metafora. Le belve sono i «persecutori» (v. 4 la'af, «inseguire
anelando>>, cf. Sal 56,2) , i denti che divorano il giusto con la depredazione e la
calunnia sono le frecce, mentre la lingua malvagia è la spada. Il simbolismo è
trasparente e, come ha spiegato H. Schmidt, si risolve nella denuncia di una falsa
accusa scagliata contro l'orante (Sal 7,3.16; 17,1 1-12; 27,2-3 ; 31,5; 35,7 ecc.). La
scena venatoria del v. 7, che ha pure connotati marziali (l'assalto e ·l'agguato
militare) , con rete e fossa per impigliare e catturare la preda costituisce un luogo
comune del salterio (Sal 7,16; 9,16; 10,9; 35 ,7-8 ; 124,7; 140,6; Ger 18 ,22; Ez 19,4;
Qo 10,8; Pro 29,5) di facile decifrazione, esplicitato com'è dalla tradizionale legge
del contrappasso o della nemesi immanente. Ma in mezzo a questo scatenarsi
dell'odio e della violenza brutale l'orante resta sereno. Egli è simile a Daniele
nella fossa dei leoni: «<l mio Dio ha mandato il suo angelo che ha chiuso le fauci
dei leoni ed essi non mi hanno fatto alcun male , perché sono stato trovato
innocente davanti a lui» (Dn 6 ,23). Dio , infatti , è il <<rifugio» (f!sh), l'area di difesa
protetta entro cui il fedele è al riparo dagli assalti del male . Dio manda la sua
avanguardia che è fatta di due personaggi salvatori , /fesed e 'Emet, Amore e
Fedeltà. Nulla ormai potrà colpire il giusto, affidato com'è ad una protezione
infinitamente potente.
Attorno al tempio e all'orante si organizza anche tutto il sistema spazio­
temporale. I <<cieli>> (vv . 4.6. 1 1 . 12) sono il polo verticale, sorgente di speranza e di
vita, le nubi (v. 11) svelano Dio ma lo segnalano come presenza amorosa. La
•terra» (vv. 6. 12) è l'orizzonte entro cui si svolge la battaglia della vita, ma è
anche il luogo in cui si svela la gloria divina. Popoli e genti (v. 10) restano coinvolti
in questa teofania e nella lode che segue da parte dei giusti salvati. Attorno
all'orante si organizza anche il tempo evocato attraverso la deliziosa immagine
dell'aurora <<destata» dalla preghiera del salmista (v. 9). Un'immagine cara alla
poesia di tutti i tempi perché la <<ditirosea aurora»' come la definitiva Omero è
sempre stata un simbolo di vita , di luce, di movimento. Shakespeare nel Venus
and Adonis rappresentava l'allodola come colei <<che sveglia il mattino» (vv. 853-
855) mentre per Milton erano i «cani che risvegliavano il mattino sonnolento»
(L'Allegro , I, 53) . Il Sal 139,9 parla delle <<ali dell'aurora» che si gettano nel volo
del giorno e del tempo. Indimenticabile è la scena dipinta da Gb 38,12-13: <<Nella
tua vita hai mai comandato il mattino, hai mai assegnato il suo posto all'aurora,
perché essa afferri la terra per i lembi e scuota via da essa i malvagi?». La terra
avvolta nelle tenebre è vista come un grande tappeto coperto di parassiti ; l'aurora
lo afferra per i lembi e lo scuote facendone cadere tarme e insetti e riportandolo
allo splendore dei suoi colori e della sua pulizia. I parassiti ovviamente sono i
malvagi la cui luce è paradossalmente la tenebra. Ma questa aurora è nella
speranza del salmista l'alba di un nuovo giorno, di una nuova era salvifica, è l'alba
dell'oracolo che salva, è il mattino dell'esaudimento di una preghiera distribuita
nella lunghezza temporale della notte. Al <<Sorgere» verticale del Dio liberatore
(vv. 6. 12) corrisponde il <<risvegliarsh> di un'aurora di pace e di gioia, accompagna­
ta dalla musica gioiosa di cui sono intrisi i versetti del ringraziamento.
L'apparato musicale dei vv. 8-1 1 sottolinea questo ottimismo di fondo che
penetra la composizione. Tre sono i verbi tecnici del canto che abbiamo già citato:

' Iliade VI, 175; Odissea Il, l; V, 228. Vedi anche Is 14,12; Gb 3,9; 41 ,10 e Ovidio, Metamorfosi
Xl, 597.

SALMO 57 (56) 153


§ir, «cantare», zimmer, «inneggiare, salmeggiare», jadah , «lodare, ringraziare».
Due sono gli strumenti musicali: il nebel, l'«arpa» a dieci corde (Sal 33,2; 71 ,22 ;
81,3; 92,4; 108,3 ; 144,9; 150,3), a dodici secondo Giuseppe Flavio, e il famoso
kinnor, la «lira», nota con lo stesso nome a Ugarit, dotata ugualmente di dieci
corde. Uno solo è l'inno , sintetizzato nel v. 1 1 e dedicato alle due virtù
dell'alleanza, 11esed ed 'emet. Il clima che avvolge l'intera composizione è , quindi,
contrastante: da un lato il terrore ma dall'altro lato lo splendore, l'armonia, la
musica, la liturgia, fonte di festa perenne. E queste sono anche le due tappe del
salmo, questa è la sua visione del mondo. Al centro (si ripete per due volte il
betok, «in mezzo» nei vv. 5.7 ma con esito diverso) c'è l'orante perseguitato , «in
mezzo» ai leoni ; ma al centro c'è anche la fossa «in mezzo» alla quale cadono i
nemici. Il salmo è, quindi, un impasto di amarezza e felicità con prevalenza della
seconda per opera dell'intervento di Dio. In questa luce si intuisce anche il valore
dell' ampio lessico psico-fisiologico. L"adam debole e atterrito sottoposto alla
violenza distruttrice appare nel v. 5, egli vede incombere minacciosi i «denti» e la
«lingua» degli avversari (v. 5), egli sente che la sua radice vitale, nafSi, la «mia
vita» , è in pericolo (vv. 2.5.7). Ma contemporaneamente il poeta sa che il suo
«volto» («davanti a me>> , v. 7) vedrà il giudizio di Dio che atterra il violento anche
se apparentemente sono ora i suoi {{passi>> ad inciampare nella trappola ed è il suo
{{collo» ad essere avvolto nel cappio (v. 7) . Ma {<saldo è il suo cuore>> (v. 8) e
all'alba egli con la luce dell'aurora sveglierà anche il kebedi, il «mio fegatO>>,
un'immagine corposa per esprimere la passione, il sentimento, l'essere segreto ,
così da essere tutto lode e todah (v. 9) .8 Il fegato , infatti, era considerato la sede
della gioia e del dolore , la radice delle emozioni «polari>> ed estreme provate
dall'uomo. Dal cuore, cioè dalla coscienza, e dal fegato, cioè dalla passionalità
dell'arante sale a Dio una lode totale. Anche nel Sal 30, 12-13 si diceva: {<Hai
mutato il mio lamento in danza , la mia veste di sacco in abito di gioia perché il mio
fegato ti possa cantare inni senza posa . Jahweh, mio Dio, ti loderò per sempre! » .

Lettura esegetica

Un cenno in apertura di esegesi merita il titolo. Il riferimento davidico,


caratteristico nell'esegesi giudaica, introduce l'allusione a un paio di episodi della
vita partigiana di Davide durante il regno di Saul. Il primo può riferirsi alla fuga di
Davide nella grotta di Adullam ove confluirono con lui i membri del suo clan e i

8 D TM ha: «svegliati kebodt» , «gloria mia», che è probabilmente una lettura erronea e più facile
della radicale kbd nella forma kaMd, «gloria», presente nel v. 6 e nel v. 12. Ma il parallelismo con leb,
«cuore», precedente rende più logica la vocalizzazione kebedf, «mio fegato». II parallelismo è presente
anche nella poesia ugaritica (UT l Aqht: 34-35; UT 75: I: 12-13) . Esemplare è Sal l6,9-10: «Per questo
gioisce il mio cuore (libbt) ed esulta il mio fegato (kebedt), anche la mia carne (bisrf) abita al sicuro
perché non abbandonerai il mio essere vitale (naftt) nello sheol». Non è accettabile la lettura di un
manoscritto ebraico e del TM del Sal l08,2 che hanno una specie di vocativo, «Sl, gloria mia», senza la
ripetizione del verbo «svégliati» . Per questo Duhm, Buhl, Podechard, Jacquet pensano che la lezione
originale fosse 'attah kebodl, <<tu, gloria mia» e Jacquet traduce il tutto cosl: «<l mio cuore è rassicurato,
o Dio, il mio cuore è rassicurato. Io voglio cantarti, acclamare te, mia gloria! Svegliati, arpa e cetra,
che io svegli l'aurora!». Più arzigogolata l'interpretazione di A. Maillot - A. Lelièvre che ritengono che
kbd possa anche designare «l'anima d'uno strumento musicale per cui kbd sarebbe parallelo con «arpa
e lira» dello stiro successivo. Vedi anche McKay, My g/ory - a mantle of praise, in «Scottish Journ. of
Theology>> 31 (1978) , 167-172.

1 54 SALMO 5 7 (56)
contestatori del regime di Saul («quanti erano in miseria, quanti avevano debiti e
tutti gli scontenti», lSam 22 , 1ss). Il secondo riferimento può alludere alla famosa
scena della caverna di Engaddi nelle Rocce dei Caprioli (1Sam 24,1-23) in cui
Davide, pur potendo eliminare il suo avversario, si dimostra «più giusto» di Sau1
(v. 18). L'episodio è riedito in una variante narrativa presente nel c. 26 dello
stesso libro . Più problematica è, invece, l'altra indicazione , di tipo musicale , che
probabilmente introduce l'aria sulla quale modulare il salmo e che accompagna
anche i Sal 58 e 59 e che ritorna anche nel titolo del Sal 75 . Dahood, come si è
detto, pensa che sia da collegare alla preghiera di Mosè nel c. 9 del Deuterono­
mio: «Jahweh Dio, non distruggere ('al tasf!et come nel Sal 57) il tuo popolo, la tua
eredità, che hai riscattato nella tua grandezza e che hai fatto uscire con mano
potente dall'Egitto» (v. 26) . Per altri , invece, il testo del carme a cui si allude
sarebbe da ricercare in ls 65 ,8: «Dice Jahweh : Come quando si trova succo in un
grappolo, si dice : Non distruggetelo ('al taS}Jit) perché v'è qui una benedizione ,
così io farò per amore dei miei servi per non distruggere (has}Jit) ogni cosa».
�aturalmente l'allusione all'uno o all'altro dei due testi condiziona anche la
datazione. Tuttavia i riferimenti sono piuttosto esili e vaghi: l'unica cosa certa
sembra essere l'indicazione di una melodia anche se Eerdmans tenta di suggerire
che l'annotazione significhi piuttosto «Non abbreviare (il salmo)». Entriamo ora
nella prima sezione del carme, la parte segnata da un grido di angoscia mescolato,
però, ad una professione di fiducia.

La supplica (vv. 2-5)

Essa si apre con una lunga invocazione stesa secondo i moduli classici delle
suppliche salmiche (vv. 2-4) . Il primo verbo è appunto il Miserere (Sal 5 1 ,3 ; 56,2)
ripetuto due volte come implorazione intensa alla «grazia» (lrnn) amorosa di Dio.
Ad esso si accompagna subito la professione di fiducia personale : è l'essere intero
dell'uomo (nefeS) che si pone sotto il segno, il rifugio, la protezione divina. Dio è
il «tU» della fede. Anzi , come per il verbo della «pietà» , anche il termine del
«rifugiarsi>> (J,sh) è ripetuto una seconda volta nello stesso v. 29 ed ha come meta
!"arca del tempio, il luogo davanti a cui le tempeste del mondo si arrestano.
Sappiamo già tutte le sfumature che questo simbolo delle ali connota, dall'arca al
tempio, dall'esodo alla tenerezza materna, dal diritto d'asilo nel santuario al
dialogo amoroso con Dio. Su quelle ali dei cherubini, sul kapporet, lo «sgabello
dei piedi di Dio», cielo e terra s'incontrano, il divino penetra e salva l'umano.
Intanto, fuori, nelle strade del mondo , sta imperversando la bufera. Il vocabolo
usato haww6t (Sal 52,4; 55 ,12), «calamità», «flagello» , «pericolo», è un plurale
astratto e quindi regge un verbo al singolare («passare») ed è stato reso
suggestivamente da Teodoro di Mopsuestia con «tormenta». Si può citare il più
drammatico passo di Gb 14,13 in cui però la tempesta è quella sollevata dall'ira di
un Dio incomprensibile: «Oh , se solamente tu mi celassi nello sheol, mi riparassi
dal fluire della tua ira e fissassi una data per tornare a ricordarti di me l». Un

• Non c'� bisogno, quindi, di correggere il secondo IJsh in 'eiJebeh, «mi nascondo,. come hanno
fatto Buhl e Jacquet, né di accogliere la versione LXX, come hanno fatto Oesterley e Kraus, versione
che suppone il verbo jltJ, «attendere», o btl!, «sperare»: «io attendo all'ombra delle ali» l'oracolo divino
liberatore dalla calamità e dall'accusa. Vedi per il v. Sa Dahood M . , A new metrica[ pattern in Biblica[
poetry , in CBQ 29 (1967), 574-579.

SALMO 57 (56) 1 55
parallelo più vicino in Is 26,20: «Popolo mio . . . , nasconditi per un momento finché
non sia passato lo sdegno».
ll grido dell'orante (qara', v. 3) ha un destinatario preciso, è 'Eljòn,
l'Altissimo , il titolo divino indirizzato a Jahweh nel culto di Gerusalemme (Sal
7,9) , un titolo che probabilmente è ripreso nella finale del versetto, in 'eli,
vocalizzato in 'alaj, «su di me>> dal. TM. Questo Dio trascendente che dall'alto del
suo trono può abbracciare l'intero arco della storia e dell'essere ora si deve
rivelare per quello che egli veramente è, il gomer, il Dio giudice, «vendicatore», il
«retributore» per eccellenza, colui che ristabilisce l'armonia infranta dall'empio.
Non è, quindi, esatto correggere gomer, letteralmente «colui che porta a
compimento (la sua opera)» (Bibbia di Gerusalemme, Castellino , Mannati), in
gomel nella linea dei LXX-Vg : «colui che fa il bene» (CEI , Buhl , Podechard,
Kissane, Oesterley, Dhorme, Jacquet) . 10 Dio è invocato come giudice giusto e
liberatore . Dalla sua trascendenza egli interviene, non resta impassibile, «egli
manda» la sua salvezza contro cfli attenta alla vita del giusto . Si tratta di un motivo
caro alla teologia salmica. Dio interviene attraverso le due personificazioni degli
attributi dell'alleanza, �sed ed 'emet, «amore misericordioso e fedeltà». Esse
costituiscono l'avanguardia di Dio, i suoi angeli, esecutori della sua volontà:
«Manda la tua luce e la tua verità: siano esse a guidarmi . . . » (Sal 43 ,3) . 11 La scena
finora è chiara: dal cielo Dio , l'Altissimo , lancia in difesa del debole il suo esercito
spirituale. È un aiuto salvifico soprannaturale come sottolineava nel suo
commento Calvino: «Coelum opponit terrenis mediis vel naturalibus», il poeta
oppone alle manovre terrene l'irruzione celeste di Dio. La salvezza è, quindi ,
grazia.
C'è, però, uno stico del v. 4 da precisare: la sua inintelligibilità ha forse
prodotto la reiterazione dell'espressione «mandi Dio . . . » nel v. 4. Nel TM
abbiamo : «Dio redarguì, stigmatizzò o insultò l affidò alla vergogna (�ref) i miei
persecutori». I LXX, Kraus, Oesterley, Maillot e Lelièvre conservano questo
vivace antropomorfismo: «è l'unico passo dell' AT in cui Dio insulta i suoi
avversari» (Maillot-Lelièvre II, p. 53) . Anche noi accettiamo questa soluzione
originale ricordando però che si deve leggere il verbo o come perfetto precativo o
come un imperfetto (jel,aref in cui lo j- iniziale è caduto per aplografia) .
L'«insulto» di Dio è efficace e demolisce senza tregua ogni azione perversa. Non
riteniamo, perciò, necessario ricorrere a ritocchi del testo come è stato fatto a più
riprese.

- Buhl , Dhorme, CEI hanno proposto mikkaf, «dalla mano dei miei persecutori•.
- Duhm ha suggerito di leggere hadaf, «respingere».
- Gunkel ha letto l]afer, «confondere».

10 Vedi Dahood M., The root GMR in the Psalms, in TS 14 (1953), 595-597 e Loretz 0 . , Das
hebriiische Verbum GMR, in BZ 5 (1961), 261-263.
11 I LXX e la Vg hanno i verbi al perfetto («misit . . . liberavi!») in un'anticipazione del
ringraziamento successivo. Inoltre mentre il TM ha il singolare, «colui che mi perseguita» (Io'aft) , i
LXX hanno il plurale Io'afe, <<coloro che perseguitano». Per il verbo Ia'af vedi l'esegesi di Sal 56,2.
Anche nella mitologia cananea gli dei erano accompagnati da due dignitari o attendenti. Anzi, secondo
Filone di Byblos citato da Eusebio nella Praeparatio Evangelica (I, 10.13), <<giustizia» e «rettitudine»
erano divinità del pantheon cananeo e fenicio. Naturalmente, se c'è contatto tra questa visione e quella
del salmo, dobbiamo però ricordare che la prospettiva biblica è totalmente smitizzata. Non si tratta di
divinità inferiori, ma di semplici personificazioni angeliche.

158 SALMO 57 (56)


- Dahood ha, invece, vocalizzato l!arep, un pie! infinito costrutto retto dalla preposizione
min implicita perché presente già nel precedente «dal cielo» ed ha tradotto: «mi s alva dagl i
insulti dei miei persecutori o calunniatori» . La soluzione è molto probabile.

La complessità e l'originalità dell'immagine hanno, come si diceva, pertur­


bato il testo e si è ripetuto il motivo della <<missione» divina, forse un segno anche
della rilettura del carme. U Ecco in parallelo l'attuale stesura del v. 4 e un'ipotetica
formulazione iniziale .

Testo attuale Testo supposto


Mandi dal cielo e mi salvi, Mandi dal cielo il suo Amore
e la sua Fedeltà
attacèhi chi mi perseguita, e mi salvi attaccando coloro che
perseguitano la mia anima (v. 5a) . 13
mandi Dio il suo Amore e la
sua Fedeltà

Subentra, ora, dopo la lunga implorazio·ne, uno schizzo simbolico della


situazione, cioè del pericolo incombente (v. 5). Gli avversari sono rappresentati
secondo la metafora classica della belva, segno di uno stato senza scampo (vedi
Sal 7,3; 10,9; 1 1 ,2; 14,4; 17,12; 22, 13. 14.22; 37,14; 52,4; 58,7; 59,8; 64,4; 140,4;
148,13). È di prassi citare una sequenza dell'Inno V di Qumran: «Tu non hai
abbandonato l'anima del tuo servo in mezzo ai leoni . . . , leoni che spezzano le ossa
dei potenti e bevono il sangue dei forti. . . Tu hai chiuso la bocca dei leoncelli, i cui
denti sono come una spada e i loro incisivi come !ance affilate . . . Tu, mio Dio, hai
liberato l'anima del povero dalla tana dei leoni , che hanno affilato come una
spada la loro lingua. Tu, mio Dio, hai messo loro una museruola cosicché i loro
denti non possano più ferire e non possano più dilaniare l'anima dell'umile e del
bisognoso . . . Tu hai fatto rientrare la loro lingua come una spada nel fodero . . . Tu
hai liberato l'anima del povero, come la preda si svincola dalle fauci dei leoni»
(vv. 6-7.9-10 . 13-14. 18-19). È suggestivo notare innanzitutto che nel nostro

12 Per Jacquet il v. 4c sarebbe una prova dell'operazione di fusione tra due tèsti disparati e deD"a
relativa applicazione all'intera comunità d'Israele. Per questo egli trasferisce lo stico dopo il v. 5
perché serva da transizione alla seconda parte. Si tratta però di un'operazione discutibile ed ipotetica.
l'imbarazzo del v. 4 è segnato anche dalla selah posta dopo il secondo stico, a metà frase.
13 Naf!i del v. 5 (ove sarebbe un soggetto: «la mia vita è in mezzo ai leoni») si trasforma così in
un complemento oggetto del «perseguitare», del v. 4. I LXX, la Pe�itta e la Vg l'hanno conservato nel
' . 5 ma hanno tradotto: «Strappò la mia anima di mezzo dei cuccioli dei leoni; io dormii agitato» ( !) .
\"g: «Eripuit animam meam de medio catulorum leonum, dormivi conturbatus». Ma Gerolamo nella
Juxta Hebraeos ha: «Anima mea in medio leonum dormivit ferocientium». Queste versioni sono state
interpretate in chiave cristologica da Origene, Atanasio, Agostino, Gerolamo e da altri Padri. Il
ocsonno» dell'arante diventa un simbolo del sonno della morte in croce del Cristo ; anch'egli come
l'arante ha attorno leoni feroci, cioè i suoi nemici. Giustamente si parla di «sonno» perché Cristo nella
risurrezione «Si sveglia» dalla morte. «Io ho il potere di offrire la mia vita e il potere di riprenderla»
(Gv 10,18): secondo i Padri questo loghion di Gesù ha proprio lo scopo di convalidare la dichiarazione
del salmo. Infine il turbamento di Gesù nel sonno è causato dalla persecuzione e dalle sofferenze
ioflittegli dagli avversari: «magna humilitas turbati, magna potestas dormientis», scriverà Rufina
(«grande è l'umiltà di Cristo turbato, grande è il potere di Cristo addormentato») . Altrettanto
allegorica è la lettura fatta dall'ebreo contemporaneo che si cela sotto lo pseudonimo di Emmanuel:
•Nel mezzo delle nazioni Israele è un osso nella gola del cane: non può essere rigettato perché è
buono, non può essere ingoiato perché grosso, non può essere spezzato perché duro» ( ! ; p. 130).

SALMO 57 (56) 1 57
versetto l'elemento centrale («in mezzo»; i LXX , la Pe�itta e la Vg hanno «dal
mezzo>>) è rappresentato dal «Sonno>> (skb) , un'espressione forte e audace che
molti esegeti (Griitz, Buhl , Osty , Podechard, Jacquet) impoveriscono correggen­
do in skn , «dimorare, abitare», sulla base del Sal 120,5-6. In realtà il verbo che
suppone un «riposare» e quindi una quiete crea tre effetti molto vivi. Da un lato
allude alla radicale fiducia del salmista che si abbandona a Dio anche nei momenti
più drammatici. Nel v. 4, infatti, si faceva balenare il prossimo arrivo degli
ambasciatori della salvezza di Dio, l'amore e la fedeltà. D'altro canto si introduce
un contrasto poetico vigoroso tra il terrore reale , umano, prodotto dai leoni
affamati e la scena idilliaca d'un viandante assopito . Non si tratta, però, di un
accostamento paesaggistico, si tratta di una conquista da raggiungere : anche se
attorno ho il ruggito delle belve, cioè la perfidia dei persecutori, devo addormen­
tarmi sereno e fiducioso . Infatti il verbo è al coortativo ed esprime, perciò , una
necessità amara da affrontare con coraggio facendo forza a se stessi. C'è, forse ,
un'ultima ragione per conservare il simbolo del «riposo» ed essa è legata alla
successiva notte di preghiera che sfocia nel risveglio all'alba (v. 9) . Per chi pensa
all'incubazione sacra si avrebbe qui un'altra prova del riferimento da parte del
salmista a quel rito. La pittoresca raffigurazione del giusto addormentato in
mezzo alle belve sembra richiamare alla nostra mente la scena, già citata, di
Daniele nella fossa dei leoni o dei tre giovani «che passeggiavano in mezzo alle
fiamme lodando Dio» (Dn 3 ,24). Infatti nel quadretto dipinto dal v. S' c'è un altro
elemento curioso da precisare.
Il TM definisce i leoni come lohatim , «fiammeggianti», ((infiammati» (Sal
104,4), un'espressione che dalla maggior parte degli esegeti è corretta in lO'atim ,
«divoratori» , o (<pronti a piombare» come traduce Beaucamp . S e lasciamo da
parte l'erronea versione dei LXX e della Vg che attribuiscono il participio
all'arante (<<conturbatus» Vg) , merita considerazione la versione di Gerolamo
(nel salterio Iuxta Hebraeos) e Aquila che traducono «feroci». L'ira - diciamo
anche noi con una locuzione comune - infiamma: i leoni sono dipinti carichi di
ferocia, pronti a sbranare, sono appunti «infiammati» di rabbia e questa
annotazione rende ancor più vigoroso e acceso il contrasto col riposo sereno ed
abbandonato dell'arante. Anche nel Sal 58,7 i nemici dell'arante sono rappresen­
tati come leoni feroci a cui Dio dovrebbe spezzare le mascelle . Questa simbologia,
abbastanza costante pur nella varietà delle sfumature e delle applicazioni, non
ammette, perciò , un'interpretazione troppo puntuale e circostanziata come quella
suggerita da B . Mazar (VT 13, 1963 , p. 312) secondo cui questi «leoni» sarebbero
una specie di «squadrone della morte» composto da mercenari detti appunto
leba'im, «leoni» , sia per la loro ferocia, sia perché il loro emblema era quello della
dea-leonessa. A questo punto il salmista, attraverso l'introduzione di elementi
somatici (denti e lingua) e militari (lance, frecce, spada) , decifra il simbolo
svelando la qualità della persecuzione a cui è sottoposto , una persecuzione fatta di
calunnie e accuse ingiuste. Osserva giustamente Jacquet (II, p. 235) : «L'autore ha
il talento di non "tagliare" le sue metafore dalla realtà umana: egli passa
gradualmente dall'allegoria (v . 5a) alla semplice comparazione (v . 5b) perché la
lingua e i denti dei "leoni" sono già lingua umana che perfora e denti umani che
attaccano» (cf. Sal 22,14. 17.22; 52,4; 55 ,22; 58,7; 59,7-8; 140,4) . La lingua del
persecutore è, infatti, «una lama affilata» che semina morte (Sal 52,4) .

1 58 SALMO 57 (56)
Antifona-appello (vv. 6.1 2)

Formalmente identica, l'antifona ha una diversa connotazione nelle due


posizioni in cui si trova, connotazione che le è attribuita proprio dall'evoluzione
dei due quadri fondamentali su cui si articola il salmo. Ora, al termine della prima
stanza poetica , tratteggiata sotto l'incubo d'una persecuzione e sotto i colori
oscuri della sofferenza, l'antifona ha il valore d'un'invocazione , riceve cioè il tono
dalla supplica precedente confondendosi con essa. Diventa l'implorazione di una
teofania giudiziaria in difesa dell'innocente (Sal 7, 7-9) . Sia che rumah si legga
come imperativo (<<innalzati !») sia che venga letto come sostantivo («grandezza,
altezza») , parallelo alla «gloria» dello stico successivo, l'idea è chiara: la potenza
cosmica di Dio non può assistere indifferente allo scempio perpetrato dall'empio.
Anche perché «la gloria di Dio riempie tutta la terra» (Sal 8,2; Is 6,3) , è come un
faro di luce che, da Gerusalemme, spazia nelle tenebre planetarie illuminandole
fin nei segreti più reconditi. A questa lama di luce che penetra e perfora l'universo
nessuno può sottrarsi.
Nel v. 12, invece, l'antifona conclude la manifestazione giudiziaria e salvifica
di Dio e si trasforma in una giaculatoria , in una lode alleluiatica nello spirito della
todah dei vv . 7-11 a cui è collegata. Dio è intervenuto e l'orante celebra la sua
grandezza e la sua gloria invincibile . Questo mutamento di tonalità è marcato, tra
l'altro , dal raffinato accostamento del v. 11 che in pratica anticipa la struttura
letteraria e tematica dell'antifona. Eccone una visualizzazione in ebraico e in
versione.

v. 11 v. 12
gadol 'ad-§amajim IJasdeka romah 'al §amajim . . .
Il Il ><
we'ad §el,aqtm 'amineka 'al kol-ha'arq keb6deka
grande fino ai cieli il tuo amore la tua grandezza è sopra i cieli . . .
Il Il ><
fino alle nubi la tua fedeltà su tutta la terra la tua gloria

Col Secondo Isaia potremmo commentare cosl il secondo uso dell'antifona


nel v. 12: «Allora si rivelerà la gloria di Jahweh e ogni uomo la vedrà perché la
bocca di Jahweh ha parlato» (Is 40,5; cf. Is 58,8; 59,19; 60,1).

La t6dah (vv. 7-1 1 )

L'inno di ringraziamento si apre con l'evocazione essenziale del pericolo (v.


7) , è quasi uno sguardo estremo lanciato alla scenografia della supplica. Si tratta
di un avvio piuttosto stereotipo che contrasta con lo splendore unico ed intatto
della successiva invocazione ionica dei vv. 8-1 1 . Il movimento della sezione è
chiasmatico rispetto a quello della supplica. Là si iniziava con un appello (vv. 2-4)
e si finiva con la scena del pericolo (v. 5) ; qui è il pericolo ad aprire l'orizzonte
poetico (v. 7) ed è l'appello ionico a concluderlo (vv . 8-1 1 ) . Secondo la legge del
taglione (Sal 7 , 16; 9,16; 54 ,7; 55, 16-24 ; 64,9 ; 69 23 29) immanente al peccato
, -

stesso che porta in sé i germi e gli strumenti della condanna, gli empi stendono una

SALMO 57 (56) 1 59
rete da caccia14 senza sapere che ben presto si trasformerà in un boomerang,
scavano una fossa per far piombare la preda ma non sanno che essa è destinata
alla loro caduta. Se il senso generale del v. 7 è abbastanza chiaro ed è basato
sull'iniziale sofferenza del giusto che si trasforma poi , per contrappasso , in
martirio per gli empi stessi, i dettagli del testo sono un po' più faticosi . Il problema
principale è legato al singolare del v. 7b: «Hanno teso una rete . . , ha umiliato il.

mio essere (nafsi)» I LXX e le versioni, seguite dalla maggioranza degli esegeti,
.

hanno preferito correggere il TM in plurale. 15 Noi, invece, preferiamo seguire


un'interessante indicazione di Dahood che vede nell'apparente perfetto singolare
kapap , «ha umiliato, piegato» , il sostantivo kpp , noto in accadico (kippu) ove
significa «Cappio, nodo scorsoio , trappola» . 16 Si avrebbe cosi un parallelismo
perfetto:

Una rete hanno teso ai miei piedi,


un cappio alla mia gola (qualora si intenda nefes, «gola, collo»)
oppure:
una trappola alla mia vita.

Pensiamo che l'idea di tradurre naf!i con «gola» , anche se contrasta con l'uso
del termine nel resto del salmo ove significa «essere vivente , vita» , possa
giustificarsi col fatto che il v. 7 è ricco di riferimenti somatici (i passi, il movimento
del cadere, il volto)." Ormai la scena del v. 7 ha contorni precisi . La speranza
espressa dal poeta è la stessa di quella avanzata da Bildad in Gb 18,7-10: «< passi
vigorosi dell'empio si faranno stentati, i suoi stessi progetti lo faranno inciampare,
i suoi piedi incapperanno in una rete e camminerà tra le maglie, un laccio lo
afferrerà al tallone, un nodo scorsoio lo impiglierà, una trappola sarà nascosta nel
suolo , una tagliola gli sarà aperta nel suo sentiero».
Si apre a questo punto un inno di ringraziamento di eccezionale bellezza (vv.
8-1 1 ) . Pur essendo limitato a poche battute, il canto di todah si rivela colmo di luce
come l'aurora che suppone. 18 Potremmo definirlo un canto del cuore che vive la
freschezza d'un'alba . Il rito dell'incubazione , a cui forse può alludere il v. 9, il

14 D vocabolo re§et, «rete», ricorre anche nell'ugaritico (rtt) . Vedi Dahood M., in Bib 47 (1966) ,
404-405 .
" Gerolamo nello Iwcta Hebraeos pe r evitare l a difficoltà traduce «ad incurvandam animam
meam». Buhl, Calès e Osty, invece, per conservare il parallelismo integrale nel versetto hanno
corretto cosi:

«Hanno teso una rete ai miei passi,


il loro piede vi si è impigliato (leggi kapam nitpesah).
Hanno scavato davanti a me una fossa,
vi sono caduti».
16 Vedi Lambert W. G . , Babylonian Wisdom Literature, Oxford 1960, p. 130 l. 90: kun-na-a!-su
fcip-pu zi-ru «Un cappio stretto è stato preparato per lui». La preposizione per nafii è presente nel
precedente lip'amaj, «per i miei passi» che ha valore duplice, come spesso avviene nella poesia ebraica.
17 Per il valore di nefei, «gola, collo», vedi Sander 0., Leib-Seele Dualismus im A . T. , in ZAW
77 (1965), 329-332 e soprattutto Wolff H. W. , Antropologia dell'AT, Brescia 1975 , pp . 19-25. La
negromante di Endor interroga Saul con queste parole: «Perché vuoi mettere un cappio intorno alla
mia nefe! cosi da farmi morire?». Tra l'altro il Sal 105,18, come nel nostro v. 7, ha in parallelo «piedi» e
«collo (nefef)>>. Il «Volto» pensiamo sia da esplicitare nella forma (di per sé anche avverbiale) di
/epanaj, «davanti a me» , ma anche «davanti al mio volto». Halévy J., Recherches bibliques III, p. 164
propone di correggere l'espressione in leraglaj, «ai miei piedi» ma senza motivi solidi.
18
Vedi Beaucamp E. - De Relles J. P . , Ps 57 (56),8-12, in «Feu Nouveau» 17, n. 9 (1966) , 20-26.

180 SALMO 57 (56)


complesso liturgico della musica e del canto che accompagnano in sottofondo il
carme , si sciolgono in . dissolvenza per lasciare al centro della lirica la luce
dell'amore e della fede del salmista. Come scriveva il mistico indù Tukaram (XVII
sec.) nei suoi Salmi del Pellegrino, «è impossibile rimanere sempre davanti
all'immagine del Dio prediletto ad agitare lampade rituali, è possibile invece
agitare sempre davanti al nome del proprio Dio la lampada ardente del proprio
amore».19 Se volessimo tentare di isolare una struttura in questo mini-inno,
possiamo dire che , oltre all'inclusione dei verbi della lode nei vv. 8 e 10 che
costituiscono anche il cuore del piccolo carme, c'è un rapporto di affinità tra il v. 8
e il v. 1 1 . Il primo definisce la <<Stabilità» , la «sicurezza» del cuore, una pace
ribadita due volte quasi a proclamame la totalità. Il v. 1 1 , invece, introduce la
causa di questa pace nelle virtù dell'alleanza che avvolgono la totalità dell'essere e
della storia. Ma il dato più interessante a livello strutturale è quello che emerge
dal giuoco dell'incastro di un micro-inno nel mini-inno. Infatti il v. 11 è la
citazione dell'inno essenziale (o dell'antifona dell'inno) che il salmista canterà
all'alba della gioia e dell'esaudimento . Vediamo ora in dettaglio lo svolgimento
del carme.
Nel v. 8 entra in scena il poeta con un simbolo somatico fondamentale , il
cuore. I denti e la lingua dei nemici (v. 5) non fanno più paura, ormai i suoi piedi,
la sua gola, il suo volto (v. 7) non corrono più pericolo. La sua coscienza, cioè il
suo «cuore>>, è ormai «saldo», «fermo» (nakon): si tratta dello stesso aggettivo
usato nel Miserere (51 , 12) per esprimere una realtà interiore nuova, stabile ,
sicura, gioiosa per la liberazione ottenuta dalla potente protezione divina (Sal 3 ,4;
4,3 ; 23 ,3; 106,20) . Con l'arpa in mano, sullo sfondo d'un'aurora che sta per
effondere la sua luce dorata sul mondo , il salmista sembra proprio simile a quei
sacerdoti egiziani che «Svegliavano l'aurora» dalle terrazze dei templi. Ma il suo
«canto» e il suo «inno» hanno un destinatario ben diverso; non è il disco solare
divino ma è Jahweh, sole splendente nella parola di salvezza che tra poco
risuonerà anche per il salmista (vedi il Sal 5). Come diceva un inno liturgico
tedesco di P. Gerhardt, «mentre dormo, la sua attenzione veglia e ristora il mio
animo affinché in tutte le albe io scorga nuovo amore e fedeltà . . . Ogni cosa dura
per il suo tempo , l'amore di Dio per l'eternità». Dopo la preghiera notturna Dio
all'alba appare come luce che cancella le tenebre salvando. Altamente suggestivi
sono gli imperativi e i coortativi che si succedono nei vv. Sc-9. Soprattutto nel v. 9
sono personificate tre realtà ed invitate ad associarsi alla vita che ora Dio sta per
effondere. Il primo appello è indirizzato attraverso uno sdoppiamento al cuore
stesso del sabnista, anzi, come dice il corposo simbolismo originale, al «fegato» ,
all'interiorità passionale e umana del poeta. Il secondo appello va invece agli
strumenti musicali, all'arpa e alla lira, che durante le calamità nazionali, chiusi
nelle loro custodie, venivano raffigurati quasi «in sonno», avvolti da una specie di
lenzuolo funebre o di ombra di morte (Sal 137) . Finito l'incubo, cessata la notte,
essi «risorgono» e si mettono a celebrare la fine della sofferenza, della notte (Sal
17,3 ; Is 17,14; 59,9). Il terzo appello , inserito <<in un movimento di lirismo
patetico» (H . Gunkel) , è indirizzato all'aurora perché si affretti a «svegliarsi» , a
gettare la sua luce , a spargere la sua vita e. quindi la sua speranza connessa

19 Citato in Queguines M., Introduzione all'induismo, B,ologna 1962, p. 7.

SALMO 57 (56) 161


all'oracolo divino. Le allusioni evocate da questo coortativo finale sono moltepli­
ci. Si può pensare al valore simbolico del contrasto luce-tenebre, si può pensare
all'incubazione sacra nel tempio che ora ha il suo sbocco nel verdetto positivo, si
può pensare al valore esistenziale e spirituale dell'alba come segno di liberazione
(Sal 17,15; 130,5-6; Is 8,20; 33,2; 58 ,10; Sir 47 ,8- 1 1 ; Sof 3,5; Lam 3 ,23) , si può
pensare alla connotazione escatologica d'un nuovo e perfetto giorno , «il tempo
favorevole>> (Is 49,8; 2Cor 6,2), si può pensare, come si è detto, ad allusioni c6lte
sulla base dei culti egiziani e fenici, si può pensare anche ai !eviti che con ansia
attendono l'alba per iniziare il loro servizio liturgico (vedi , forse, Sal 130,5-6) .
Possiamo anche evocare l'appassionata alba che segue la notte dell'assenza nel c.
3 del Cantico dei cantici. Tutto si concentra in questo mirabile ed essenziale
«voglio destare l'aurora>>.20
Si apre , allora, dopo l'appello, il canto vero e proprio. Esso è iperbolicamen­
te destinato a raggiungere gli stessi orizzonti nei quali operano le virtù benefiche
di Dio, l'amore e la fedeltà; è quindi destinato a varcare i confini di Israele e ad
abbracciare in un'unica sinfonia di lode l'intero orizzonte planetario (v. 10) . Il
canto attraversa popoli e nazioni; è questa la dimensione orizzontale del cosmo.
Anche in un inno babilonese citato da Podechard si dice : «<o voglio far conoscere
la tua grandezza ai popoli lontani>>. Il canto, però, attraversa anche i cieli e le nubi
in una specie di estasi celeste (Sal 36,6; 71, 19) : è questa la dimensione verticale
del cosmo (v. 1 1 ) . Anche in un inno cuneiforme citato da Jacquet si esclama: «Chi
è così grande per raggiungere il cielo? Chi è cosi vasto per abbracciare la terra
intera?>>. Tutto l'essere diventa armonia e lode , è una mobilitazione totale del
pianeta interiore , che è il cuore e la coscienza del poeta, e del pianeta terra che è
convocata con le sue creature a cantare quest'antifona corale: «<l tuo amore
(Jresec() è grande fino ai cieli , fino alle nubi la tua fedeltà>>. È un inno che ha il suo
parallelo nel kf le'olam 1Jasd6, «perché eterno è il suo amore>> del Grande Hallel
(Sal 136) . La trascendenza di Dio , espressa attraverso i simboli dei cieli e delle
nubi (Dt 30,12; Bar 3 ,29) , è fonte di amore per tutta l'umanità. Dio si rivela
lontano e vicino al tempo stesso. Certo , come dice il libro della Guerra tra i Figli
della Luce e i Figli delle Tenebre di Qumran, «i segreti delle meraviglie di Dio sono
nelle altezze celesti>> (XIV, 14) , ma le «meraviglie>> salvifiche che egli opera sono
presenti in mezzo a noi sulla terra.
L'antifona finale, ripetuta ora con una tonalità differente rispetto al v. 6,
sigilla nella gioia la composizione ricordando che tutto il mondo e tutta la storia

20 Anche in ugaritico esiste il vocabolo §/p' ed indica la dea dell'aurora. Vogliamo citare anche il
curioso commento cristologico-pasquale del v. 9 scritto da Ruperto di Deutz: «Svegliati, salterio e
cetra! II corpo di Cristo che riposa nel sepolcro è il salterio, è la cetra. I giudei l'avevano spezzato. Ma
egli si svegliava per non essere mai più spezzato e per spandere tra i popoli e le nazioni il canto della
sua confessione . . . Svegliati, salterio e cetra: è la voce del Padre. Non la sentirà quell'anima unita al
Verbo come sposa, unita a lui da un bacio eterno? Oh sl, l'ascoltava pienamente, rispondeva nella
gioia: All'aurora io mi alzerò! Ci fu mai risposta più gioiosa? Quale cuore fu mai più pronto? Perché è
nella persona di Cristo che il salmo dice: "Il mio cuore è pronto (nak6n di per sé può significare anche
«pronto»), o Dio, il mio cuore è pronto". O gioia di questo cuore pronto che si slancia per accogliere
,l'ordine divino che dice: Alzati! II cuore pronto risponde: All'aurora io mi alzerò . . . Questo cuore, che
era pronto ad obbedire a suo Padre deciso a non risparmiarlo ma a consegnarlo per noi, era pronto a
rispondergli: All'aurora mi alzerò!» (PL 169, 1484-1485) . L'applicazione pasquale era, nella patristica,
favorita dal fatto che uno dei verbi usati per indicare la risurrezione è appunto egherthènai,
«risvegliarsi» (Mt 9,25 ; 10,8; 1 1 ,5; 14,2; 16,21; 17,9; 26,32; 27,52.64; 28,6; Mc 12,26; Gv 2,22; 5,21 ;
12, 1 ; At 3,15; 26,8; Rm 4,24-25; 6,4.9; 7,4; 8,11 .34; 10,9; 1Cor 6,14; 15,4. 12.20.29.32.35; 2Cor 1 ,9;
4,14; 5,15; Gal 1 , 1 ; Ef 1 ,20; 1Ts 1 , 10; 2Tm 2,8; Eb 1 1 , 19).

1 62 SALMO 57 (56)
sono percorse e quindi guidate dalla «grandezza» e dalla «gloria» di Dio. Iniziato
nel lamento e nell'abbandono, il salmo si chiude nella gioia e nell'inno. Gioia e
dolore inestricabilmente s'intrecciano nella vita di ogni uomo. Scriveva Kh.
Gibran : «Tra voi , alcuni dicono: "La gioia è più grande del dolore" , e dicono altri:
-n dolore è più grande" . Ma io vi dico che sono cose inseparabili . Essi giungono
insieme , e se l'una vi siede accanto alla mensa , ricordatevi che l'altro sul vostro
letto dorme» !1 E in Così parlò Zarathustra Nietzsche osservava: «Anche
mezzanotte è mezzodì; anche il dolore è gioia; anche l'imprecazione è benedizio­
ne; e la notte è sole . . . , anche il saggio è un folle . . . Avete mai detto sì a una
semplice gioia? Oh, amici, allora avete detto sì anche a tutto il dolore». 22

21 Gibran Kh . , n profeta, Milano 1976, p. 33.


22 Citato in Cox H., La festa dei folli, Milano 1971, p. 38.

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