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2 IL LIBRO PRIMO DELLE STORIE.

colonia d' Aquin<>. - LXXXIX. Parte OtoneI ai fratello SàIvio TlZiano affi.
data la p@Wica 'l1Ùete e cura.

CorIo di pochi meli.


SEB. SULPIZIO GuO! Aco.
An. di Roma DCCClllI. (di Cr. 69).-COIIloli. la II VOLT!o
l T. VllflO RUPINO.

I. Il consolato secondo di Sergio Gaiba e T. Vinio darà


cominciamenlo alla presente opera, l presa da me, vedendo
settecento venli anni' dal principio di Roma narra li da molli
(come allora si polea) con pari eloquenza il libertà. Ma poi-
ché si combattè ad Azio, e per lo bene della pace convenne
ridurre in uno tutta la podeslà j 8 que' grandi ingegIli manca-
rono: ed é stata in vari modi storta la verità, prima per lo
Don sapere i falli pubblici, non più nostrì ; pescia per l'odia-
re o adulare i padroni, senza eurarsì , nè gli olfesi né gli
obbligati, delli avvenire.' Ma lo scrittore adulante é agevole
riprovare; l'astioso e maldicente volenlier s'ode: perché
• d~", comlrrc/ltmellto eco Le Storie, .eeoDdo il disegno di Tacito, ."fftb.
oon dovnto cominci.re dove lerminOTon gli Ann.1i. M. il XVI libro di questi es-
sendoci pervenuto mutilo J resta una lacuna di più che due anni, eioè d'una parte
dell' 8t9 e de' due seguentì , ne' qu.li narravansi le altre inCamie e la vile mnrte
di Nerone, e il prillc:ipio dell' imperio di G.lb., che trovaadosi ia Sp.gn. alloro
che CII eletto dalle legioni e confermato per deereto del Senalo, corse. Rom., ap-
pena .eppe cile Nerone erasi leg.lo la gola, che Iia .'ili giugno 8U.-G.1ba,
veccbio di 73 ..... i, modesto, grave, m. Ichi ...o de' liberli, Itretto di minO e
poco aceetto a' 1.ldati, fOlle morir. Clodio lIaeIo iD Aftiic., FClIIwo CapilDlle
·...11. Germania inferiar., per aver tentato novità. Al comMldo dell' esercito pOIe
Vil;lIio, di nobilungne, m. poltrone e lussurioso: e a Vergillio C. sDeeedero,
lIell'esereito disopra, Ordeonio Placco, non atto a COllUDere quelle Ibrigliate
soldatescbe. - Di qui eomlaelano le Slorie.
I seuecento penti eco Il caci. mediceo ha: .. octiRgentill et ~/gintt: IO e COli
dee dire, ponendo il numero tondo, invece di 811!.
S podellà. Uige .. poleslalem J" m. dee leggersi...1medieeo .. polenli~". ...
Imperocchè le potelli., cioè le nusistulure, dararOl1e a~ dopo. _ la
po. . . . CII raccolta in DIIsolo. Vedi l' Orelli • questo luogo.
• '_11 c_~II, .ì Kli o{fell .ì Bli obbliK""' tielll_ersir-e.I..L: .ha.
.era", nsN ".,lCmlalli. infJer i'!fell'o, "et OlHrol#iol. IO lo' ADommo)b.:
• coslllè ~11i cii' mmo ofI'esi 1M> """IIi cb'nono per beM&tio obbligati, t _
vano cura della posterità... Il eoeeeuo dello Storico è questo, Pino al cllDsollto
di Galb. e Vinnio, molti raecoatarono i C.lli di Rom., sebbene 0011 diverlO It",;
J'Ilocebè fino ali. b.u,glia d'Azio (a, 723) liLtri scrilto" narr.roDO libtr.meDte
. il vero, m. dal cominciamento dell'imrerio in&no. G.Ib., nò gli inlesni CurOllo
Il grandi, nè l'odio o l'adulazione luciò cha dicessero la vtrità.
IL LIBRO P~IMO DELLE STORIE. 3
l'adulatore si dimostra brutto schiavo; il maligno par libero.
lo non riconosco da Gaiba, Otone e VileTIio, nèbene nè
male: Vespasiano cominciò, Tito accrebbe, Domiziano in-
nalzò la mia riputazione, l io noi nìegoi ma facendo profes-
sione di candida verità, parlerò senz' amore e senz' odio di
ciascheduno, serbandomì alla vecchiaia, se io v' arriverò, i
principati di Nerva e di Traiano: maleria più ampia e sicu-
ra, per la rara felicità di questi tempi, che si può a suo modo
Intendere, e dire com' ella s' intende,
Il. lo mello mano a un' opera piena di vari casi; atroci
baltaglie, discordie di parti, crudellà nella stessa pace. Qual-
tro imperadori' morIi di ferro; tre guerre civili; a molle più
straniere, e per lo più mescolate; prosperità in levante; av-
versità in ponenle; travagli in Illirico; le Gallie vagtllenti;
la Brilannia conquistata, e tosto perduta; genti sarmate G
sveve sollevate; la Dacia rinomata, per date e tocche scon-
ntte; e presso che mosse l'armi de' Parti per la bell'a del
falso Nerone," Italia per nuovi, o dopo lungo tempo ritornati,
danni afflitta; inghiottite o rovinate città 8 della grassa Terra
di lavoro; Roma da fuoco guasta; templi antichissimi disfatti;
e 'I campidoglio stesso arso per le mani de' cittadini. Santità
profanate; grandi adultèri; isole ripiene di confinati; scogli
di sangue tinti; atrocità crudelissime in Roma; nobiltà, ric-
cheza, rifiutati onori o esercitati, eran peccati gravi; le
~ù, rovina certissima; i premi delle spie, abbominevoli
quanto i delitti; rìportatone chi sacerdozi e consolati, quasi
spoglie ()pime; chi maneggi e poteua Intima," faeendo e

• re.. paliano comirlc;ò ee, Tacito nac'lue t come credesi, in Terni il 5'"
dell' era volgare, 807 di Roma: fu queslau sotto Veopuiano, e d.' quindeceaviri
aihiIlini. SpOIÒ la figliuol. d'Agricola, • lasciò Roma per alcun tempo. {:i tornò
negli ultimi lempi di pOlDi.iano, • fu ccnsole w&tiiuito scue il regno di l'ferva.
Congeltorui che mori... oltuagenario vellO il t 3:. di G. Cristo.
t QIUlUl"O imperadori, cioè Gaiba, Olone, Vilellio e Domiziano.
"$ tre gru ..... civi/i.; cioè,.Ua Olone e Vilellio, tra Vi~lIio e Vlllp..iallo••
tra lo. hlonio e Dcmisiano,
• del/allo Nerone. Vedi appre..o, lib.lI, 8.
5 rovi".te città: Ercolani e Pompei, per le eruzioni del Vesuvio, l'Inno di
Roma 832, secoado di Tito: nel qual diUllro l'ed ancbo l'lillio ~ Vec.ebio.
e poteuA intima. Lat.: .. "t.riore". potenuam; IO cioè nel l'alano del
principe.
r: ~---.

IL LIBRO PRIMO DELLE STOBIE. ~


:~
traendo il tutto a se per odio o terrore; schiavi e liberti cor-
rotti contro a' padroni: a cui mancava nimici, oppressi da ;~
amici. Secolo non però tanto di virtù sterile, che qualche
buono esempio non producesse.
,. li,
!li

III. Madri e mogli accompagnanti figliuoli e mariti scac-


ciati; parenti difenditori; generi costanti; schiavi fedeli e I]I!
forti a' tormenti; grandi ammazatisi con generosa laude an- 1011

tica. Olìre alli molti casi umani, in cielo e terra folgora am- 14
monitrici, segni e prodigii , lieti, tristi, scuri è chiari. Né iIlI
mai fu per si atroci mali del romano popolo, conosciuto si 'tJ
bene èhe gl' iddii non curano la salute nostra, si bene i ga- ~
stighi. l ,
I ~

IV. Ma prima che io entri nella proposta materia, è da 'i


mostrare qual fosse lo stato della città, come animati -gli i
eserciti, come stessero le provincie, che valido, che infermo
per tutto: I per sapere non pure le cose, avvenute le più
volte a caso, ma le ragioni e cagioni. La fine di Nerone nel
primo impeto lieta, cagionò poi vari risentlmenti" ne' padri,
nel popolo, ne' soldati della città, e in tutti gli eserciti e ca-
l-
~

pitani, avendo chiarilo questo punto;" che l'imperadore po-


teva esser fatto fuori di Roma. A' padri e principali cavalie-
ri, avendo principe nuovo e lontano, presa tosto libertà,

f gl' iddii .. o.. c..ra .. o la 641.. le "Ollra. s\ be,!e t gaslighi. Se la paTola


Il!clu·itatem si traduca lalide,# come qui, Don v' è dubbio che la lenunza di
Tacito è piena di saerilego scherno. Ma se un celebre scrittore eristiano, Lattan-
zio, DOD ci trovò che apporre; e se il Feriet Ja disse degDa d' DD padre deJJa
Chic.. , bisogDa PUT dire che quel secarilalem non fu bene inteso dal Davanzali
e da altri, prima e dopo di lui. Ed iDvero Cieerone sec .. ritatem appello. dice,
oacuitatem «gritadinil in qua vita beata polita est. Tacito dunque vuoI dire,
che i dolori d'ogni genere piovuti su Roma, mostrano che gli dei Don vollero
che quelli scellerati RomaDi sgua..a..ero ne' delitti tranquillamente e beatamente l"
(sec"ri. si ... c..ra); ma che fu loro a CUOTe di pnnire la '-">stOTO malvagità. Vedi l
la luoga ed erudila oola che il Valetiani pooe a qoesto loogo.

I ch« valido. che inferm» per 1.. 110. ADonimo M•. : • quello che in tulto
el moodo Cwsi valido, et quello che fussi debile et iofermo.•
5 risenttmenti, Così la NUliana e la Cominiana. Le altre, lerdimell'i. n
lat. ha: .. motu» QlIimor"m ...
... ave"do chiarito questo p"nto. Lat.: .. efl,..lgato imperii arcano; .. ICo-
pettosi queste segreto d.ll' imperio, che il principe pot .. farsi aoco fuori di Roma.
GaIba fu il primo imperaloTe eletto fUOTi dall' esereite. Prima, pareva cb. noo si
pote....
"-
IL LIBRO PROIO DELLE STORO.

pareva esalare. l II popol migliore, e i seguaci de' grandi, I


i liberli de' condannati e scacciati si levarono in speranza:
la plebaglia, avveza agli spettacoli, gli schiavi pessimi, e
chi, consnmato il suo, campava su i vitupèri di Nerone,
erano addolorati e avidi di garbugli.
V. I soldati della città, per la lunga divozionea' Cesari,
e per aver per arte altrui non di buona voglia piantato a Ne-
rone, e non veder correr il donativo promesso a nome di
Gaiba, né rìconoseersì nella pace come nella guerra i meriti
grandi, e che egli era obbligato prima alle legioni che l'avien
fatto imperadore; eran pronti a novità, stimolati dalla mal-
vagità di Ninfidio Sabino, 4 lor prefetto, che aspirava all'im-
perio. E benché fosse il capo della congiura I oppresso sol
bel principio, molti si sentivano in colpa, altri dicevano
GaIba troppo veeehìo e avaro, e e quella sua già da' soldati ce-
lebrata severità gli addolorava, sfuggendo l'antica discipli-
na; già per quattordici anni con 88SO Nerone si male avvezi,
che cosi amavano i vizi de' principi, come già rispettavano
le virtù. Disse anche GaIba una parola buona per la repub-
blica, non per lui: « Che sceglieva, e non comperava i sol-
dati; »7 ma non corrispondeva nell' altre cose. -
I elalar., respirar•• IDlendi. I p.dri, presI tolto Iiberlà, I.DtiVlDO ri-
CftI,ni, per a'ftl'e principe nuovo e lontaDo.- _
I Il p<>p<>l miBlior•• e i uguact de' gr.ndl. n testo cIi.e: _ 7"'rl pop.dl
inleRra el ma".;" domiblU ann.",a;. la p.rte del popolo 000 corrotti •
(come dia:e il md. MI.) 'PpogBiau .U. graa Cile. •
S pillnlall>,.bb'Ddoa.to•
• Ninjidio Sabino, ricordato Degli.t..n. XI, 711. pluurco -in Gaiba, li:
• "miclio SaLiuo che prefetto.ra del prelorio oou Tigeiliuo, dopo cbe dilp.nte
.lF.tto .fIDO1e e010 cii N.roD., aeeeDD.Dt. di vol.ni fuggire io Egilto, p.nUII.
Ina milili., come I. già NeroD. folS. fugBilO, cii Domin.re impendore G.lb.,
promettendo, per telta, o',old.ti pretori.ui e dello certe 7!iOO dr.mm., e i2!iO
.. OgDUDO cii que' di fuori. somma impoSlibile • raeeogliere, s.u •• f.r mille volte
più mlle ai popoli cbe ..... D....... f.tto N.rou •. Ciò fe roviDar NeroD., e più
tardi lo steliO GaIb.; impercioc.bè i soldati pi.utaroDo queUoper golo di tal pre-
mio, e ueciaero questo per Don averlo Ivalo. .. .
I il cap<> della congi,,,,a, lo ItUIO Nifidio.
e a.aro. Vedi Svetopio, in Gal .•o ili, dove raccoatausi molli raui della
.a. . . .riaia e erudeltà.
, C"e Ic.glieva.e:. S"loDio, In t<aL, ie: • Eu odi.to m...im.m.Dto
eia',old.ti.... percbè ....ado loro promolSo uu dODltivopiù srOSgi.to del solito,
DOlI solo Don maatenae la promuu, ma dille: H esaer lolito Don di .comprare,
.... eli ocegliere i lold.ti.•
6 IL UBaO PRIMO DELLE. SWRJE.

VI. T. Vinio e Cornelio LaWDe,,1' uno il ~,.I' al.,


tre. il pìù dappoco uomo del mondn, incaricando il dellol
vecchio delL' odio delle ribalderìe, lo rovinavano coL dispre-
gio, delle viltà. I Il. viaggio di GaIba. a. Roma fu. tardo e sars-
guinoso, avendo uccisi Cingonio VarooBe elello consolo"come
compagno di Nmlìdio;.e Petconìo Tunplliano-oonsolare, come
capìtaa di Nerone; non.uditi.nè difesi, quasi inno.centi.. L'en-
trala sua in. Roma, fu, male; agumsa , per tante migliaia di sol...
dati; disarmati tagliati a pezì; e spaseatesa eziandìo agli Wl.'
cidenti. La, ci ttà, fu piena. di soldati non soliti,. v;enutavi una
legione di Spagna, e rìmasas], quella che. Ner.one. trasse di
mare; oltre alle genti germane .. britanne: e illirie ,. dal.mede-
simo. Nerone.soldate, e mandate. a chiuder le porte easpie., •
per la guerra che egli. ordinava. contro alli Albani; e; poi ri-
chiamate per opprimer gli ardimenti di. Vindice•. Materia
grande a. far novità; non disposta più.a. ODo·che,a. OD altro,
ma: al primo che ardisse,
VII. E vennero a proposito avvisi come. furono. amma..
zaLi due. che tumultuavano, Clodio Macro in . .AJTtica da. Tre.-
bonio. Garuclano. procuratore ,. per ordine. di Gaiba ,. e. Fonteo
Capitone in Germania da, Cornelio Aqp.ino e Fabio Valente
legati di legioni, senz' aspellar ordine. Credellesi che Capi-
tone tentato da' legati a novità, come d'avarizia. e libidina
sozo, non acconsentisse; ma gli appenessero tal fellonia', e
GaIba la corressej" o il' fatto, poiché disfar non poteasì',
senz' altro cercare, approvasse. L'una e l' aUramorle dispia-
cque; perehè- il principe. già. odiato" fa:. mal eìè.eh' e' fa." Già
i liberti potenti vendevano ogni cosa. Ili schiavi· avidi, alle
suhìte.eccasìonì, .menavan le mani, 8 vedendol'vecehio. l'difetti.
I CDI di.pregiD delle vtltà. il traduttore M5.: • roviiuronoel debole vec-
chio ageravato doU' odio delle.scelerate.. di Iilnio (Vinio) e dal dispregio della
daE.0ca8g~ne di. Laconi. " Ancbe queste anouimo usa sempre la :& scempia.
I le porte ca spie, Erano un augusto varco tra la M~dìa e la Partia~
5 la corresse, ci. facesse sOEra poc:a atteneìone. Gelli: • Non la vo'·correr
questa cosa, ch' eUa importa troppo .• L'anonimo M•. traduce: • E' Galba.per
poca stabilità d'ingegno) O pur perch'e'non pen'sassi più iD. là, avere comprohato
in qualunque modo si.fussino le case fatte••
• fa mal ciò ch' e'fa; qualunque cosa egli faccLa, si giudica fatta male.
Lat.: " inf.'iso semel principe.. seI' bene se", male/acta premunt:••
S menaf.'an le ment, 5'affrettavino. rubare.

IL LIBRO rntsro DELLE STORIE. '1
della nuov.a corte erano i medesimi, ma meno scusati. Al
POIIolche fa concetto de' principi dalla presenza- e bellè'za,
aVlVezo a veder Nerone giovane, le grinze di' Gatba move-
vano riso e fastidio..
VUL Così disposta era tanta mollitndine d'aminf fu'
Roma. Quanto alle provincie, Clavio Rufo governa va'la' Spa-
gna; bel. dicitore; in affari di pace" non di guerra, esereììator
le. Gallie, oltre alla ricordanza di"Vindice ,. ci erano ollBligatc
per lo.nuovo dono della cittadinanza romana, e tributo al!.
Jeggeriìo: ma la loro città vicine alli eserciti di Germania,
rimase addietro, e alcune di confini ristrette, erano da invf-
dia e da.ingìnréa.egualmente percosse. Nelli eserciti Germani
era superbia e sospetto (cose perlcolçslssime in tante forze)
per. la fresca. vittoria, e per aver favorito altri. Lasciarono
tardi Nerone;. e Verginio a Galba non corse: forse per tòrsi
l'imperio l che i, soldati. gli oll'ersero; il che fu certo. E '<felfu.
morte di Fonteio Capitone anche quei che non potevan do-
lersi, se. ne sdegnavano. Stavansì senza capitano; perché
Verginio, sotto spezie d'amicizia richiamato e non rimanda-
to" anz i essere accusato, attribui vano a lor difetto; !'
IX. L'esercito di sopra sprezava Ordeonìo FIacco suo
capitano, vecehio,.gottoso, leggieri, senza autorità, non' atto
a maneggiar soldati pacifichi, non che quel furore a che per
la. deholeza del raffrenante più s'infòcava. L'esercito della
Germania bassa stette un pezo senza consolare.' GaIba vi
mandò Vitellio, di Vitellio censore e stato tre volte consolo,
figliuolo; che parve bastasse. Quel di Brilannia non s'alterò;
nè mai furon legioni per tutte le guerre civili' tanto sincere',
o per esser lontane e dall' oceano divise, o avveze per le
spesse battaglie a odlare anzi il nimico. Quel d"l1liria prrr
I jo"upe~·tOrIÌ<.L: imperio. Plinio.ilgio••ne lo ••selve da: t.l aQ.S{letto,
nè Virginio dnbito di lasciarsi \' epitaffio in questo bellissimo distico:
Hi.c.ifuI ut RufUA, pul,o qui YUldiU pondam,
Iinperium M,endt no"',lIij, "d-~

S' attribuivano a ìor difetto. Dati: .. lIIaneaolna di capo • .,.eude Itwt&


le.vato Ior Virginio da Cesare, e mandato a chiamar· Sòtt'o' spede d' 3micilia.ij 01
non usendo riinandato lèro, anzi sostenuto e: accuntb iD Rema, stimavano sa
essere gli accusati ...
3 quelfurore, que' furibondi.
" sensa con.rolAre~ senza governatore, dopo~che'fQ ucci'tt'lPolltelo CapitoDe.
8 n LIBRO P.IMO DllLLE STO~.

quietò, benchè quelle legioni ch' erano in Italia chiamate da


Nerone, sollecitassero per ambascerie Verginio. Ma questi
eserciti tra se lontani (che meglio per tenergli in fede non è)
non s' accozavano insieme con loro mali animi e forze. I
X. L'oriente non s'era ancor mosso: teneva la Soria
con quattro legioni Licinio Muciano, nelle cose prospere e
nelle avverse egualmente famoso. Procacciossi da giovane
amicizie di grandi. Dato fondo al suo avere, venne in istato
pericoloso. Dubitando dell' ira di Claudio, stette soffitto in
Asia; t tanto vicino all' esilio, quanto poscia all' imperio. Di-
spendio, industrie, piacevoleze, arroganza, buoni e mali
modi usava. Nell' ozio, piaceri eccessivi; ne' bisogni, gran
virtù. Le sue cose pubbliche loderesti; le segrete, il contra-
rio. Vassalli, parenti, colleghi si guadagnò con vari artifizi;
e più potea dar l'imperio che averlo. A' Giudei faceva guerra
con tre legioni Flavio Vespasiano eletto da Nerone, a Gaiba
non contrario di parte nè d'animo; avendogli mandato Tito
suo figÌiuolo, a servirlo e venerarlo, come dirò a suo luogo.
Credemmo, veduta sua grandeza, che occulta legge del fato,
segni e oracoli, chiamassero all' imperio Vespasiano e i fi-
gliuoli.
XI. L'Egitto S con le forze che lo imbrigliano, è stato
retto, da Agusto in qua, da cavalieri romani in' vece di re;
cosi gli parve bene che si stesse in casa sua l quella provin-
cia di scala malagevole, grassa, superstiziosa, discorde, vol-
tabile, senza legge nè magistrati. Allora lo reggeva Tiberio
Alessandro di quella nazione. L' AfI'rica, e sue legioni, ucciso
Clodio Macro, provato minor signore, si contentava d'ogni
principe. Le due Mauritanie, Rezia, Norico, Tracia e l'altre
provincie, rette da' procuratori, amavano e odiavano quel
che i loro più vicini e potenti eserciti; quasi per male appie-
t JlO" ,.-acco.cavallo illsieme ec.; DOO l'aCCOZ&aVI~O aè co'yuii (appiccan-
doseli • ~iceada come morbo contagioso} nè colle fone (uDendosi e sost......doli
inaieme). LaL: • lise .,UU,... Iute vìribus mi.rcebAnllu-••
t ."'tte .otJitlO in Ada. Lat.: • in .tuet"m A.I.....po.ltlU•• Il trad.
MI.: • ripolto nell' ultimo dell' Asil ••
S L'Ertto. Vedi Artn. Il, 59.
• CM .1 .,,cl,.e tra cala 6ua. Il trad. MI.: • COlì era pano espediente rite-
...ere per le uni provincia, all' andarvi difficile, abbondante di velloYlslie ee, •
~----

JL L~RO PBDlO DELLE STORIE.


-_
o
...
caticcio. Quelle senza eserciti, e principalmente Italia, erano
prontea servire e darsi a chi vincesse per premio della guer-
ra. In tale stato erano le cose romane nelle calende di gen-
naio, che Sergio Gaiba la seconda volta e Tito Vinio èntra-
~ ron consoli, anno ultimo a loro, e poco meno che alla repn-
bliea,
XII. Pochi giorni appresso, venne avviso da Pompeo
Propinquo, proceuratore in Fiandra, che le legioni in Germa-
nia di sopra, senza rispetto al giuramento;' chiedevano altro
imperadore, a scelta (per parer meno ribelle) del senato e
popol romano. Questo fece a Gaiba sollecitare il suo, già co'
suoi consultato, pensiero, d'adottarsi un successore.Nè d' al-
tro in que' mesi per Roma si ragionò, per essere a tali cose
le lingue sciolte, t e Gaiba di troppa età. Pochi con senno, né
amore al pubblico, molti per disegni propii; questo o quel-
l'amico o dependente, bociavano che succederebbe; e ancora
per abbassare T. Vinio, che quanto in potenza, tanto in odio
cresceva. Perché la dappocaggine di Gaiba accendeva l'in-
gordigia de' favoriti, posti in si gran fortuna: essendo il mal
fare appresso principe debole e leggieri, di poco rischio e
di gran guadagno. .
XIII. T. Vioio consolo e Cornelio Laeone prefetto del
pretorìo, guidavano ogni cosa. Né meno favorito era Icelo,
liberto di Gaiba, che gli diè l'anello dell' oro, e chiamavanlo
Marziano, nome cavalleresco. Questi non erano d'accordo:
nell' altre cose tirava ciascuno de' tre a' suoi fini: in questa
più importante dello elegger successore, eran divisi in due.
Vinio voleva Olone; Lacone e Icelo convenivano nel non
voler costui, non curando d'un più ch' un altro.! Sapeva
GaIba dal popolo che nulla tace, che Vinio voleva rimaritar
sua figliuola vedova a Otone smogliato: quinci era l' amici-
zia. 4 E credo che gl' increscesse della republica, invano da
l II!7I~a rispeu» al gi",."mento. Il trad. MI.: • avendo rotto la reve_aia
del 13cnmeDto...
t pe,. .lIe,.. a tali COI. I. li"gu" lciolte. Lat.: .lice"ti4 ac libidine ta.
li" loq_el}di•• Politi: • per la Iieen.. e gullo guade di diseorrere di simi! co.....
t "0" c.,.""do .c.; aoa importaado loro, del resto, cb' egli e1egg.... uao
piattosto cb. ua altro.
I l"amici.in" cioè tra Vinio e Ottone.

..
iO IL usao PIlUlO DELl.E STOBIE.

Nerone liberata, se cadesse in Otoae, .stato Ca&ciall.l) male


allevata, giovane sfacciato, grato per la conformità delle li-
bidini a Nerone. Che perciò appresso lu.i ceme a consapevole
delle sue disonestà, diposilò Poppea Sabina 1 sua meretrìee,
fin a che cacciasse Ouavìa sua moglie. Pescia per gelosia deJJa
medesima lo mandò solto spezie di governo in Portogallo.
G.overnò dolcemente, e Ca il primo a passare alla parte di
GaIba: non si stette; e mentre la guerra darò, comparì lo
pili splendido; venneglì speranza suhìtana di farsi adottare,
e ereseevagli ogaì dì: favorivau.1o i pia de' aoldati, e la corte
di Nerone, come a lui simile.
XIV. L'avviso del sollevamenlo in Germania, benchè
di Vi~llio non ci Cosse di cerio ancor nlllla, miee GaIba in
gran pensiero, ove quella forza s'avesse a gittarez" e BOn 000-
fidandosi nella stessa milizia romana, pensò di creare il S!lC-
eessorej il che stimava unico rimedio: e chiamati ollre a Vi-
Dio e Lacone, Mario Celso, eletto consolo, e Daceaio Gemilto
prefetto di Roma, e dette poche parole della 8U3 Yecehieza,
si Cece venire Pìsone Lìcìuiaao, Piacessegliil suggetto, o spin-
tovì, come alcuni vogliono, da Lacooe, Cattosi di esso Pisoue
amico, trattando seco in casa Rubellio Plautoe 8 ma s'infin-
geva ad arte di noI eoaoseeres e '10000 nome di Pisooe ag-
giugneva Cede al consiglio. Nato era Pisone di Marco Crasso
e Scribonia; sangui nobilissimi: di volto e gesti gravi e an-
tichi; secondo i buoni estìmatorì, ~vero: chi volea dir male,
il dicea barbero. Per qlAeskl qualità il popolo ne temma; al-
l' adottante piaceva.
XV. Presolo adunque Galba per mano, dicono che gli
parlò iD questa sentenza: « Se io privato li adoUassi per la
legge curiata dìnalBi. a' ponlelì.ci, come s'usa; sarebbe e ~
revole a me il mettere in casa nùa la progenie di Pompee e
di M. Crasso, e glorioso a te l' aggiugnere alla tua DObiltade
i sulpizi e i latazì splendori. Ora io per grazia degl' iddii e
degli uomini fatto imperadore, mosso da' belli indizi di lu

I p~ SabiJl4. Vedi ...t... .X lII,iO.


J in Iran peuù~o. DV' q,ull.ID~'. ec. PoIiU•• 6taado O.iOIO, dove
fusse per battere l'impeto desIi eserciti.•
8 in CaI" R .. bellio P/",do, di Rllbellio ec.
IL LIBRO PIlDlO DllLLÈ STORIE. 11
boDtade, e dall' 8JPOre aHa patria, queB' imperio CH i uelri
passati combatteaDO con armi, ti da me cooqaistato per gueT-
ra, ti porgo in pace: imitando il dimo .!gusto, elle Cece l&-
condo a se Marcello tigtioolo della SOftu., poi Agrippa ge-
nero, iDdi i figMIoli della fìgliuola, in ultimo Tiherio figlia-
stro. Ma Agato eereè 4i sneeessore in eua 108; I io nella
repubUea; non peI' manearmi parenti o amici in ~; ma
perellè io ho l' imperio lìOIl con male tarli procaceiUo: ti se-
gno dell' animo mio sia il posporre a te non pure i miei CClD-
giultti, ma i tuoi. Il fnte! tuo è nobile come se' tu; ~ior
di te, degD9 di questa fortuna, se tu BOD ae fussi più degJw. Tu
se' d'un' età r.m de' furori giovenili: di ~ita ohe insino a ora
DOn vi ha che riprendere: tu hai fin' 01:& avata forlooa avver-
sa. Le prosperiCi. &e1IOproa più le magagne dell' animo, per-
ché lo Cl4M'romponCl; e le miserie si solIeriscono. Tu ma.terrai
eome prima la fede, la liilerlà, l'amicizia (virtù sovrane nel-
l'uomo); ma gli aUri con l'adularli le'guasteranno. Assaliran-
noti le lesìnghe, e l'i_resse di ciasc8eduno: veleno pessimo
del. vero amore, Tu ed io ci favelliamo qui ora sinceramente:
ma gli altri alla nostra fortuDa favellano, e non a noi. Riti-
rare il principe al dovere è cosa dllra; ma l'adularlo, senza
fatica.
XVI. Il Se questo immenso imperio si potesse l!illIlZ& nna
reggente maao tener bilancialo, da chi polea meglio comin-
ciar la re\,\WWta che da me-! Ma la cosa è ora a termille, che
al popol rDJUDO DOB può far meglio aè la aia veachieza,
che .&asciargli 1111 buon .cceIiOre, né la tua giOl'&lleza, che
eseer buoa principe; Sotkl Tiberio, Gaio e Claudio, noi fummo
quasi retagglio d'UIIll famiglia. Siaci ora spe.ne ti libertà
r avet ooDineiMo ad.elISeI' eletti. SpeIlte le liIlee de' GilÙil e
de' Claudii, l'adozione scerrà 'I migJiore; pereIaè l'e8Ier ~ato
di pr.iacipe, è GoDO di fortena, ne più oltre si coasidera: ma
r eIeIioae dell' adottare, è libera; e'l gNdi&io di molti iDee-
t J.a Jilatiaal • _ce. oli e la a.a lUI ............se.. Brrore
che proviene m'Difest.meDte dal Ms., Del quale l'uDo de'due modi esleDdo c....
colluo, • soslihlito ..u'akIo, ...trllIoDo, per i"nerl..... doll.o 'Umpalore, . _
bedue nel teste.
t L. NUti'D' b.: • mali .rti••

l
IL LIBRO PBDlO DELLE STORIE.

gna beile eleggere. Spèechiati in Nerone per molta seguenza


di Cesari gonfio, lo cui giogo, non Vindice con la disar-
mata provincia, non io con una legione,' ma la sua bestialità
e lussuria ci scosse dal collo; e fu il primo principe senten-
ziato. Noi eletti in guerra, e da buoni estimatori, saremo ot-
timi, benché invidiati: e tu non ti dei perder d'animo, se
due legioni in questo trambusto del mondo, non si quietano
per ancora. Anch' io ebbi che Care: or come 8' udirà. che tu
sii adottato, finirà il dire che io son vecchio; difetto solo ap-
postomì. Nerone sarà desiderato sempre da'pessimij Cacciamo
si, tu ed io, ch' e' non sia anche desiderato da' buoni. Non é
or tempo da darti lunghi ricordi: e ogni consiglio compiuto, è

se io ho bene eletto. Vuoi tu proceder bene, e non male'!


guarda quello che sotto altro principe tu vorresti o no: que-
sta é la regola brevissima e capacissima: perché questo non
è un regno, come nell' altre genti, dove una casa sempre è

padrona, e tutti gli altri son servi; ma tu comanderai a uo-


mini che non posson soffrire né tutta servitù né tutta li-
bertà. » Tali cose a Pisone diceva GaIba Cacendol come prin-
cipe," e altri gli parlavano come a fatto,"
XVII. Dicono che essendosi vòlli in lui tutti gli occhi,
segno veruno di turbamento né d' allegreza non Cece: parole
al padre e imperadore riverenti; di se moderate: non mutò
Caccia né gesti; quasi più potesse che volesse imperare. Con-
sultossi se Cosse da adottarlo in ringhiera o in senato o in
campo. Piacque in campo, per Car quest' onore a' soldati; i
cui Cavore per danari e pratiche, malvagiamente s'acquista;
ma per buone arti, nOB si dee dispregiare. Il popolo stava in-
torno al palagio, non avendo pacienza che il gran segreto
uscisse, e n'accrescevan la Cama coloro che di spegnerla,
con poco senno, procuravano.
XVIII. Quel di dieci di gennaio, orrenda pioggia, tuo-
Di, saette e minacce da cielo, non rattennero Gaiba (benché
gli antichi in cotal di non creassero magistrati) dall' ire in
campo, sprezando tali cose, o come di Cortuna, o perché non
t L'esemplare NutilllO di G. Cappo"i ba, conetto a pellna, • come fa-
eendelo prillcipe...
! com." f"tto, come a principe rallo.
n LIBRO PRDlO DELLE STOBIB. 13
si fugge, benchè mostrato, il destino. Parlò a quella adu-
nanza, breve e da imperadore: « Chè adottava Pisone ad
esempio d' Agusto, e oso di milizia, che ono elegga nn al-
tro. »1 E per non far creder' col tacere il sollevamento mag-
~re, disse: « Le legioni quarta e diciottesima, soddotte da
pochi, non esser passate oltre alle parole e le grida ; e tosto
sarieno tornate a seguo. II Cosi secco, e.senza prometter 'do-
nativo, parlò: nondimeno f trihnni, centurioni e soldati, che
gli eran presso, gli risposero rallegrandosi: gli altri tacquero
attoniti, vedendosi aver perduto,nella guerra il donativo, di-
venuto ormai debìto ancor nella pace. Certo è che eon ogni
poco di liberalità si sarebbe lo scarso vecchio guadagnato
quegli animi. Nocquegli il rigore antico, e la troppa severità,
insopportabile al di d'oggi.
XIX. Fecero poi le parole in senato. Gaiba non più lun-
ghe né belle che a' soldati: Pisone amorevoli. E aveva la
grazia de' padri: di molti, sviscerata: di chi non l' arebbe vo-
luto, tiepida: i più si sommetteano per propri fini, senza amor
pubblico. Ne' quattro ,giorni corsi dalYadozione alla morte,
Pisone altro non fece né disse in pubblico. Rinforzando gli
avvisi ogni di delt' esercito di Germania ribellato; ed essendo
la città pronta a credere le novelle, massimamente male;
parve a' padri da mandarvi ambasciadori. Trattossi in segre-
lo, se Iussebene che anche Pisone vi andasse, per più rìpn-
tazione, rappresentando essi l'autorità del senato, egli la ce-
sarea maestà. E volevano che gli facesse compagnia Lacone,
prefetto del pretorio. Pisone contradisse. E GaIba, in cui ri-'
mise il senato lo eleggere gli ambasciadori, con gran legge-
reza ne nominò, scusò, scambiò; secondo che si raccoman-
davano d'andare o rimanere, per timore o speranza. •
XX. Vennesi al modo del provveder danari, e, tutto

telac ...o clegEIl_altooo.N.l lat •• pl,. p'rum legere" .'bl .ICaDche di-
boria: • cbe ua prude el.ggl uu I1tro prode. _ E .ce.DDa I UD .ntico UIO della
mili.ia, pel qual., cbi flcna la l.va el.ggeva un certo aumere d.' migliori, • po-
leil d,," a '1DOIti facoltà ebe ciascuno .I.gg.....i nno o più compagni in cui i'ià'
li Ild..... Oade Ia Iceueica•• pir viram legit- è divenuta quasi prov.rbial ••Virlll-
lio, lE". XI, 632, l'usI I aigni6cI" cbe n.lla bauaglia ogni prode d••igoa tu'llI'
miei aD'altro prod.per mùaurù con lui.
u.
IL LIBRO PRUIO DELLE STORIE.

sottilizato, I il più giusto parve ritrarlì onde venia la stret-


teza. Cinquanlacinque milion d'oro I aveva Nerone sparna-
zato ain donare. Citò ogn' uno a renderli, lasciando loro dieci
per oento: che tanti loro ll' eran rimasi; avendo dissipato il
loro e quel d'altri, e dato Condo astabili e mobili; lascia-
tosi i più rapaci e pessimi, gli strumenti soli da esercitar
vizi. Trenta cavalieri romani, ne Curon Calli riseotitori; ufìcìo
nuovo e di mollo aggravio, per r ambizione! e gran numero.
Essendo per tutta la città venditori e offeritoriall' incanto,
UDa sola alIegreza vi avea, che non erano men poveri a cui
Nerone avea donato, che a cDi tolto. Furon cassi in que' di
alcuni trìbunì, due Antoni, Tauro e Nasone pretoriani, Emi-
lio Pacese delle coertì di Roma, e Giulio Frontone delle
guardie di notte. E non furono esempio agli altri, ma prin-
cipio di paura di non esser sospetti tutti,' e a poco a poco
cacciati.
XXI. Olone allora, che non poteva sperare nella quie-
te, ma tutto nel garbuglio, avea molte passioni: spesa grave
fino a un principe, povertà intollerabile anche a privato, ira
con Gaiba, invidia a Pisone; e Cacevasi, per più pugnersi,'
. queste paure: Il. Essere stato a Nerone molto noioso: non p0-
ter più aspettare che Portogallo, o altro governo, riquopra
suo esigUo: aver sempre chi regna in odio e sospetto il più
vicino a succedere: avergli ciò nociuto col prìncìpe vecchio;
e più il Carebbe col giovane atroce e, per lungo esigUo, ac-
canito. Può essere Otone ucciso. Bisogna mettersi a avven-
turarsi, ora che l'autorità !liGalba cade, e di Pìsone non è
assodala. Fanno pc' gran disegni le mutazioni: e non è da
~dare, ove la posa' più ti rovina c~e la temerità. Dover
I tatto ..ottili... ta, euminata ogni eosa louilmente.
I Gli compnlaDo a 311t,380,OOO di rran<hL Il lat. ha: • hls .t "ici.. mi/-
lie....e..tertium; • nnliduemila volte centomila, ollia 1l1lOO milioni di lelter.L
, a"wa......pa....a.alo, lcialacquato:eoli anche negli 4n... XVI, 3.
I per l'amhWo..e.La voce amhlllu iD questo luogo panai usata nel lenlo
proprio di assir"",e..to, e che Taci,lo voglia dir...Ier quell'uflicio gravO.IO pel.
gran nnmero di coloro cui Nerone aves donato, e pel dovergli cercare iD laJlti
luoghi. 11Valeriani traduce. maneggio•• Altri, altrimenti.
a per più p.. per..i; cioè, per accendere maggiormente le lue voglie.
e no.. ~ da hadare, <we la po..a ec.; Don ai vuole indugiare, quando la
qw.te può ellerli più perniciola della temerità. In certiCoglivolanti, di mano del
IL UB.O PRmO DELLE STORIE.

tutti egoalmen~e per natura morire: distinguerei De' raturi


secoli l' oblinOlìe, e la gloria: e, dovendo andame U beono
come 11 reo, il morire per qualche C088. è da uomo più eo-
raggioso. ]t
XXIJ. Non era Otone tenero d'animo come di corpo: e
da' suoi Iiberti e principali' schiavi, avvezi di880lati oltre al
modo delle case private, gli era detto che la corte di NMO-
ne, le pompe, gli adulterii, le noze, gli aUri gnstl da grandi,
onde egli era avido, toccherebbero a lui, se avesse coraggio;
e, dormendo, a on àUro: e per. i&q1ladri di stelle I gU pro-
metteano l'n quell' anno OD gran chiarore gli strolaghl; gente ~
bugiarda a' grandi; ral8a a chi le erede; coi la città nostra
sempre vieterà e terrà. Poppea in Begteto ne avea tenoti
molti, che Coron pessimo stmmento delle sue noze col prin-
cipe Tolommeo tra gli altri, il qoale accompagnando Otone in
Ispagna, gli predisse che Nerone morrebbe prima di loi; come
segui: onde venoto in fede, e già per la vecchieza di Gaiba
e gioventù d' Otone congetturandosi e spargendosi, gli rece
credere che l'Imperio sarebbe 800. Il che Otone pigliava
come per rivelata scienlll di suo fato; per natura .dell' amano
Ingegno, che volentieri presta rede a suo pro aDe cose dub-
bie. E Tolommeo lo stimolava a seelerato ell'etto: tra 'I quale e
il desiderio, piccolo è Il pa880.
XXIIl. Incerto è, se il pensiero del tradimento gli venne·
allon: ben si. era procacciato il fnor de' soldàti, o per ìspe-
ranza di s~eceli8ione o per apparecchio di sceleratesa. In
cammino, In ordinanza, in guardie, ehìamando i più vecebi
per nome; e, come già soldati di Nerone, appellaBdoli 800i
compagni; quale riconoscendo, qual domandando, e di mo-
neta e di favore aiutando: e spesso di Gaiba parlava male o
dubbio, e con altri modi a ciò aUi li IIOllevava. I fal.ieosi cam-
mini, scarsi meri, rigidi comandarì erano presi alla peggio;
essendo in cambio de'laghi di Terra di lavoro, e delle citta
n,,"a..ll, .... <oa1easoao .Ilntti di ..ri libri, ••be ai t""'1110 nel. Zib.ldono
<lol BifI-l, ~to Dell' A.nertimeoto .llotlore ....110 Bibliesrm., li Iegsol • r.
• e/rum.dl co..llliil pericu/olilu e,'d'p"."'"d/ q...m aud.re(SODleDII.1e1b
• PilA d"4"..), Id 0'110 I U{ (BisL I,!{) perlc~n.r qllÌu qlMÌ.. umorl-
• IA,.lIefllio è morire ptT·qasL:OII••
t per Ilquadrl 41 llell•. LIt.: • 0b,erPaUOfte IIdorlml, •
16 IL LIBRO PRIMO DELLE STORIE.

d' Acaia, ove solevano navigare, strascicati con l'armi in-


dosso per li monti Pirenei, Alpi, e viaggi senza fine.
XXIV. I già infocatì animi de' soldati più infiammò Me-.
vio Pudente, intrinseco di Tigellino: il quale adescando i più
leggieri di cervello; abbruciati di danari; I precipilosia'gar-
bugli, venne a tale, che ogni volta che Otone convitava GaI-
ba, alla coorte sua di guardia dava fiorini due e mezo d'oro
per uno, come per beveraggiot.Il quale quasi pubblico dona-
tivo accresceva Otone con maggior mancia in segreto: e al
corrompere prese tanto animo che, Coeceo Procolo t alabar-
diere litigando de' confini col vicino. compero e donògli tutto
il podere; per balordaggine del prefetto, cui eran .parimen te
ignote le cose pubbliche e l'occulte.
XXV. Capo della congiura Cece Onomasto Hberto, il
quale vi tirò Barbio Procolo, che dava il nome alla guardia,"
e. Veturio sergente" in quella:esaminolli; e trovatili astuti e
fieri, danari assai loro donò e promise e'lasciò, perché ten-
tassero altri. Due soldatelli tolsero a travasare l'imperio ro-
'mano, e'l travasaro. Il disegno loro dissero a pochi: gli altri
sollevando e pugnéndo con arti varie: i soldati principali con
l'esser ,a sospetto per li beneficii di Ninfidio: gli altri con la
oollora del tanto prolungato e disperato donativo: alcuni con
la memoria di Nerone e desiderio di quella licenza; tutti con
·10 spavento dell' aver a mutar milizia.
:XXVI. Questo morbo s'appiccò ancora a' soldati nostri,
e degli aiuti: S poiché si seppe per tutto, l'esercito di Gel':"
mania esser di dubbia Cede. E si pronti furono a levare in capo e
i corrotti, e i buoni a lasciarli
\.
Care; che. alli quattordici di
I abb,.,u:iati di dana,.i. Lat.: -qu.mqu..... p.C1Uli«Indipm,. B,."cJa,.e
dic. anc' oggi U nostro volgo poi Esser bruee a danari.
I Cocceo Proeolo. Il pOltillatore dell' esempi. Bestiona di G. Copponi eor-
regge: . . CocceoProcolo;. ma inopportUDamente; porchè Cocceo litigando e..
•i vuol considerare come ablativo assoluto, ed. è come dire: essendo che Cocceo
IlIIgass ..... Oton. COfllp."Ò il pod.,. e e don'ogll./o.
a claedtJp" il IIome ec.;cioè, che porta"a Aella tavoletta, chiamata t.II.,.a.
ICritta la parola d'ordiae, do darsi .na guardia. "at.: duse,.",.i_ .peca/"to-
rum._
....,.s.nte. Lat.: • optiOIr.m;. luogotenente, aintonltl di campo.
a e d.gli "iuti; cioè, od ai loldati delle truppe ausiliari.
e l.pa,.. in capo. Voc!i la nota 7 a pago 31 do! vol. l.
. -

IL LIBRO PRIMO DEttI! STORII. t't


gennaio, t tornando Otone da cena, Curon per levarlo di peso:'
ma i pericoli della notte; i soldati alloggiati per tutta Roma;
il poter inale quelli ubriachi accordarsene, li ritennero; noa
per carità della repoblica, cui esili digiuni trattavano di m~
chiar col sangue del proprio principe; ma aeeiè presentandosi
al buio un altro -0.' soldati di Pannonia o di Germania, nOIl
fusse eietto in cambio d' Otone. Di questa sedizione scoppia-
rono molti indizi; e furono oppressi da' consapevoli: a Galba
De pervennero alcuni; e Lacone generale, tutto al buio degli
animi de' soldati, nimico d'ogni consiglio non suo, benche
buono, caparbio contra i più saggi, gli fe' svanire:
XXVII. Alli quindici di gennaio sagrificando GaIba di-
Danzi ai tempio d'Apolline, Umbricio indovino vi conobbe
male interiora, vicino tradimento, nimico in casa; àscoltante
Otone, ivi presente, e raUegrantesi, che tutto faceva per lui.
Poco stette a venire Onomasto a dirgli che l'architetto e i
capomaestri l'aspettavano. Voleva dire, secondo s'erano in-
dettati, che i soldati e tutta la congiura era in punto. Egli
disse quivi, che comperava alcune case vecchie, e perciò volea
farle vedere: e appoggiato a colui passò per casa Tiberio' al
Velabro: indi al Miglio d'oro" sotto il tempio di Saturno. Ove
il salutarono imperadere ventitrè alabardieri: e lui del poco
numero spaventato, levano in sedia ratti con le punte basse:
per la via s'accompagnano circa altrettanti, de' quali chi sa
il fatto, chi slupisce, chi grida, chi sguaina, chi tace per
tenere da chi vincesse.
XXVIII. Giulio Marziale tribuno non si mosse del eam-.
po dalla sua guardia per lo subitano caso; o temesse non fosse
tutto il campo corrotto, e d'esservi, se si opponeva, amma-
zato: onde fu creduto consapevole. Ancora gli altri tribuni e
• di gm .. ~io. I.egge ia"uarii e DOD iduus«,
I r.... o.. ptJr I.par/o di peso. L.t.: • raptarl/lMIr'l..t. _
• ".... cala T/berio, di Tiberio. fDtade, oecoDdo il CIDIn. (l"dlc. di
Roma anUca, p.g. !66), l' .ggi",,'" f.u. d. Tiberio Ill. CII. di Anguolo, .1I0r-
chè fn ....bilito i'fj la oede imperille.
t III Miglio ti' oro. Plutarcc , l.. Galb. c. i8: • Alloro dicendo egli cho
• compenli1l ave~a UDI cali vecchia, e che mOltrar ne ~ole"iI i luoghi che rui.
• D})lj erano ai cittadini, .i ritirò; e giù duet.o per la cal. cbiamata di Tiberio,
• p.nlvi .lll pi.... per quelli patU Me erelll è <tnell'aurea COlODDa, iD cui
• terIDilllr.i vegg41DO tutte le Itrode ID.eot" che .ODO in Italia••
. ~ ,
i8 IL' LIBRO PRIMO DE.LLE STORIE.

centurioni anteposero all' onesto e incerto la pessima seele-


rateza presente, ardita da pochi, voluta da molti, 'patitaqa
tutti.
XXIX. Attendendo Galb8, di tutto al buio, a sagrifièare
e alfaticare gl' iddii dell'imperio ormai d'altri,' sentì romore,
che a furia era portato nel campo un senatore; pescia, che
egli era Otone, Correva Roma da ogni banda a dirgli, chi
più del vero, chi meno, adulandolo per ancora.' Fatto consi-
.glio, fu risoluto che si tentasse l'animo della coorte che guar-
dava il palagio: non da GaIba, per serbare all'ultimo la som-
ma autorità; ma da Pisone , il quale chiamatili dinanzi alle
scalee disse: «Oggi é il sesto giorno, compagni miei, che io
fui fatto Cesare, senza sapere quel che dovesse seguire, né
se tal nome da bramar fusse o da temere: che ciò sia rovina
o ventura di casa nostra, o della republica, in voi sta. Non
lo dico per me, che nutrito nelle cose avverse, 80 bene che
le prospere corrono non men pericoli; ma di mio padre e del
senato e dell' imperio mi scoppia il cuore, se oggi ci è neces-
sario esser uccisi, o (quello che a'buoni è pari miseria) ucci-
dere altrui. Consolavacì nel preterito movimente, che le cose
eran passate nella città senza sangue e d'accordo: con l'aver-
. mi adottato pareva preveduto che dopo GaIba non ci fusse
cagion di guerra.
XXX. li( Non mi do vanto di nobiltà né di modestia, che
non deon venire in bilancio le virtù co'vizi d'Otone, de'quali
soli si gloria: e rovinaron l'imperio insinquando era amico
dell' imperadore. Quelle veste, quell' andatura, quelli orna-
mentì da femmina meritano imperio? S'inganna chi lo scia-
lacquatore tiene per liberale. Sa gittar via, ma non donare:
lussurie, ebreze, ritrovi di femmine ha oranel cuore: etima
i frutti dell' imperio, onde egli solo tragga piaceri e solazi;
gli altri tutti rossori ed Infamie," Perciocchè imperio mille
acquistato, mai niuno esercitò con boutade, Il consenso del
mondo fe' Cesare GaIba: me GaIba col vostro. Se la repn-

.. ormai d"altri; alieni, a lui avversi.


, p.r ancora; anche allora, anche in qne1 fr.agente.
a Questi SODO p.. lui i frulli del1'ÙDperio. dai 'fUali tr. per se piaceri a
loll ••• i, e per Sii allri rossore ed infamia.
IL LIBRO PUMO BELLB sTo DI. iD
bJiea e 1 senato e'l popolo ci sonper niente,' tocca a voi, o
cOmpagni, provvedere che imperadore non Bi faccia da llC&-
Jerati. Essersi levate legioni contro al lor capitano, 8' é adite;
ma la fede e la fama vostra SODO iasiao a oggi IeDza maccllia.
Né voi abbandonaste Nerone; ma egli voi. Meno di trenta
truffatori e traditori, che DiODe oomporterebbe che s'eleg-
gessero centurione o tribono, a988gneranno lo imperioT Am-
metterete voique&to esempio? farete con lo starvene, il pec-
cato comODe? Impareranno a ribellarsi i vUsalli, li sepra di
noi poserà il pericolo de' tradimenti, sopra di voi quel delle .
guerre. Né pita si dona an' occidilore del priacipe che all'in-
DOeèDte, e il donativo che Yi farebbe altri per la seelerateza,
li faremo noi per la fede. »
XXXL Gli alabardieri abranclrono: I agli altri della
coorte DOn dispiacque il parladore: e, come ne'garbll§li si fa,
mettoMi fn arme per timore e boon fine per ancora; S ma poi
fu credatG per inlinta e mganno. Fo mandato Mario Celso a
fermare gìi eletti delì' esereito d' illiria aUendati nella loggia
di Vipsanio: e Amolio Sereno e Domizio Sabino di primefile,4
a chiamar dal tempio della Libertà i soldati di Germama.
Della !egion di mare non sÌ'fidava, odiandolo per quel' che
Galba ne aveva a prima giunta tagliati a peli. Vannone iD
campo Cerio Severo, Sobrio Destre; Pompeo Longino, tri-
baDi de' pretorieni, per veder di stornare l'incominciata sol-
levazione per ancora bOa gagliarda. Voltana! a Sobrio e Ce-
rio con le minacce: mettono a Longi no le mani addosso è
disarmaDlo: perehè DOn eome soldato, ma come amico di GalÌJa
era tenuto fedele al principe; però più sospetto a' sollevati.
Co'pretoriani la legion di mare oorre a eongiegnersì: gli eletti di
Schiavonia, co' lanciotti eaceìan vie. Celso: i Germani, di corpi
aocora infermi e placati d'animi; perehè Galba, trovatìli mal
eonci dal mare, t01'llanood'Alessandria· ove Nerone li mandò,
ti far.eva eurar COR molta solleeitudiee, la tentennarono. e
t cl _ "... .leJotfl; DOD haDDO alCDD valore, 10D ~uoti Domi,
J 6ItractI_; iutnDlili~o. 18 Ile aodarooo ehi '1"1 ehi l•.
• "... ne....... Llt••• • tIAae••
• di ,..,,,,ejile, primil'ilari.
I pv "lUI. por JI elF-
I I.. tullla... ro"o. llItàJro .dabbiooi.
SO IL LIBRO PBDfO DELLE .STORIll. ..

XXXII. Già empievà il paIagio tutta la plebe, e f1Chlavi


mescolati, gridando (come quando nel cerchio o nel teatro
si chiede qualche giuoco) «Muoia Otone, caccinsl i eongiu-
rstì.» Non per giudicio né volontà; dacché il contrario gri-
daron poi lo stesso di; ma per usato e vano applaudere a qual-
sivoglia principe. In tanto Gaiba si stava tra due contrari
consigli. Tito Vinio lodava «il tenersi in casa; difenderla con
li schiavi, fortificare le porte; non incontrare gli adirati: dar
tempo a' rei a pentirsi, a' buoni a eoafermarsì, Le scelerateze
amar furia: le buone deliberazioni tempo. L'alfrontare, se
pur fia bene, stare a posta sua; ! il ritirarsi, d'altrui.»
XXXIII. A tutti gli altri pareva da sollecitare: alla con-
giura, ancor di pochi e debole, tagliar la strada. «Perdereb-
besi d'animo ancora Otone, che ascosameilte partitosi, con-
dotto fra' non consapevoli del trattato; ora dall'inresoluzione
e viltà di chi perde tempo, piglierà cuore il fare il principe.
Non doversi laseiarli accomodare il campo, pigliar la piaza,
entrare in campidoglio in su gli occhi a Gaiba; mentre il va-
lente imperadore co' suoi predì amici si chiuderà in casa molto
bene, per regger l'assedio. E grande aiuto gli daranno li
schiavi, se il consenso e 'I primo sdegno (che ha gran forza)
di tanta moltitudine si ralfredda. Viltà non esser sicura: do-
versi, se morir si dee, alTrodtar il pericolo. Ciò darebbe a
Otone più carico, a loro più onore.» Vinio replicò: Lacone
il minacciò; stimolato da 10010, che per iza privata I guasta-
va il ben pubblico.
• XXXIV. Gallia senza indugio s'attenne al consiglio più
onorevole. Mandaron però innanzi Pisone al campo, come
giovane di gran nome, di novello favore, nimico di Vioio, o
fosse vero, come più si credeva, o perché cosi lo bramas-
sero gli adirati. Appena era' fuor di casa Pisone, che usci voce
confusa, che Otone in campo era stato ucciso: alcuni alfer-
mavano (come delle gran bugie si fa) di veduta, e d'esservi
intervenuti; credendo l'uomo quello che ha caro, o non gli
preme. ~olti queste false grida dieeano stratagemma delli
otoniani già in ordine, perché Gaiba uscisse fuori.
t dare a posta 8lUl~ esserein sua facoltàed arbitrio.
I per i.a privata, Lat,: " privati odii perUllaCia ••
IL UsBO "1.0 DELLE STOIlIE. J1
XXXV. Allora non pure il popolo e la plebe ignorante,
ma i cavalieri e' senatori quasi tutti folleggiano, per mo-
strare a Gaiba allegreza e amore. Rovinano come sicuri le
porte del palagio per entrare e farglisi vedere, dolendosi che
altri prima di loro avesser fatta la vendetta. I più codardi
(chiariti poi al bisogno) più sparate l faceano, e più feroci;
ninno il fatto sapeva, ogn' uno l'affermava. Di maniera che
Galbaper non saper il vero, e vinto dall' errore di tanti, si
mise il Corsaletto; I e non potendo stare, vecchio e debole, in
quella calca, fu levato in seggiola. Riscontrandolo in palagio
Ginlìo Attico alabardiere gridò: «·Con questa spada (e la
mostrò sanguinosa) ho ucciso Otone.» E Gaiba a lui:« Com-
pagno, chi te l' ha comandato? lt si era al frenar le.licenze
801datesche animoso, .di minacce non pauroso, da lusinghe '.
non corrotto.
XXXVI. In campo già eran tutti risoluti, e si accesi
che, non contenti d'aver circondato Otone, lo posero in
rialto; in mezo a tutte l'insegne e bandiere, ov' era stata
la statua d'oro di Gaiba. Né tribuni né centurioni poteano
accostarglisi; volendoi privati soldati guardarlo anche da'loro
superiori. Era ogni 'cosa pieno di grida e tumulto: davansi
tutti animo; non con adulazione vana e plebea; ma ogui
soldato che compariva, prendevan per mano, abbracciavan
conI' armi; menavanlo da Olone; deUavangli il giuramento; ..
ora a' soldati l'imperadore; ora lui aIoro raccomandavano.
Né mancava esso di stender le mani, .adorar quella turba,
lanciar baci, far Io schiavo, per esser fatto padroue,'Quando
tutta la Ieglon di mare ebbe giurato, parendogli averne buo-
no,' e da accendere tutti insieme que' che egli avea riscal-
dati disperse;" dinanzi alla trincea così cominciò:
XXXVII. CI Che personaggio io mi faccia qui, eompa-
gnì miei, non so. Privato non mi voglio dire, avendomi voi
nominato principe; e principe non sono, ove altri comanda.

•_IJHlrau " vlatlmenti.


I Il eO"lal.tto, il teraee, ,
, p",.."dogli ave..... b,.""o. Llt.' • fid .... V'Mb,.. J. pneudosli lver 1.li
rane da poterei eontare,
A dllp'''lèJ aeparalamente, • DDO • uno.
22 lL LIBRO PIUHO DELLE STORIB.

Voi ancòra non avrete nome cerio, menlre non ~i saprà se


voi lenele in campo l'imperadore, o pure il nimico del po-
poi romano. Udile voi come sia chiesla la mia morte e'l
vostro gaslìgo? sete voi chiari che voi e io abbiamo acam-
pare o morire insieme? e forse GaIba. ce l' ha giuralo; si
vano è:' poichè tagliò a peti a sproposito' tante migliaia di
soldati ìnnòcentìssimì, Mi si arricciano i capelli a ricordarmi
di quella orrenda entrata e sola vittoria di Gaiba, quando
que' poverelli datisi, raccomandatisi, ricevuti in fede, volle
decimare su gli occhi della città•.con tale agurio entralo in
Roma, che gloria porlò al principato, se non d'aver uceìsi
Obullronio Sabino, Cornelio Marcello in Spagna, VeUio Chi-
Ione' in Gallia, Fonleo Capitone in Germania, Clodio-Macro
in Aft'rica, Cingonio in viaggio, Turpiliano in Roma, Ninfi-
dio in campo? Qual provincia, qual campo non ha egli in-
sanguinato, infettato e,. a dello suo, raeconcio e corretto?
perché egll chiama rimedi que' che gli altri scelerateze, e
con falsi nomi appella severità la crudeltà, parsimonia l'ava-
rizia, disciplina i vostri supplizi e oltraggi. In questi sette
mesi, poiehè Nerone è morto, ha già più rubato Icelo che
Policleto, Elio e Vatinio non ragunarono. Vinio slesso, se
fusse stato imperadore, non poteva andar più a roba di tut-
.. t'uomo! Ora ci comanda come suoi, e strapaza come furbi
e stranì," Di sua casa sola può trarsi il donativo rinfaceiatovi
ogni di, e dato non mai.
XXXVIII. »E perchè non si speri né anche nelsue-
III Vllno è.1I testo ha una ror~ irollia, .c.dallen/tatll est,» volendo ..,.
cellnare alla lua cmdeltl. 11 Valoruni Lell cense..ò l'ironia, traducendo: • E
fane llià, tanto ~ dolce, promiae GaIba l~ no,tra morte, ~ .
, a Ip~opOlito non è, parmi, il nulio poscent« del teste,
I Vettio Chilone. Il Postillatore dell'esemplare Nestiano di G. Capponi
corregge B.,..,/chilone, conforme a' ~Iti comuni. Ma.quello di BaiUer e OreIli
legge Bettd Chilonil.
, non pOt~1'1I andar più Il rob« di "d" uomo. Così la Neltianl e la Comi-
niana. Quasi sospetterei cbe dov..se leggerli anda~e /I ruba, se queala frase non
a.,,". ordiaariamente senio p,,"ivo, lignificando Essere .derubato. Il lat. ha:
• Jlino~. IIva~lt/a ac /iceneill gt"alllltlU eI'" T. Villilu. 4 "".. impe-
ralld. _
S comef,.,.bl c It~alli. ColI la Neltiana e la Cominiana. Maf,,~bi ~ parola
intrusa, e dee dire Itrapaaa come strant, 11 lat. b.: • nUlle et labi8ctOl 110•
. habuit ta"'qllam 1"°1 1 et flilel Ilt alienaI.•
IL I.IBBO PBI.O DELLB STOBl" !3
eessore, Galba n' ba ehiamaw dall' esiglio 'tino avaro e faD-
rastico al par di lui. Vedeste, eompagni, anche gl' iddii eon
quella grossa tempesta aborrire la sciagurata adozione. Il
senato e il popel romano sono del medesimo animo. Seua
la vostra virté non si può fare: i buoni consigli prendon forza
da voi; e senza voi ogni impresa, beochè nobile, è nolla.
Non vi chiamo a battaglia né-a pericolo: tuttl i soldati son
per noi; e quella sola guardia di palagio, ehe è in toga, non
difende mica Gallia, ma lo ci serba. Quando ella vi vedrà,
quando io le darò il segno, conteDderete 8010 a chi più
m'esalti..Non date tempo I a quel eonsiglio che non si può
lodare se non eseguito. » Tosto fece aprir l'armeria: furon
l'armi, sens'ordiae o modo di milizia, rapite, DDn date
a' pretoriaoi o legiOnari le proprie peI' riconosoersi. Con
essi mescolati gli aillli per le medesime·celate e scodi. Nen
tribuno o eentarìoae esortava: eìascen gridava e spronava
se stesso: il veder i buoni addolorali, piu che altro, aecea-
dera i pessimi.
XXXIX. Pisone dal furibondo crescer deDa sedizione,
e dalle voeì risonanti sino a Roma spaventato, raggiunse
Gaiba vicino al fòro. Tornò )fario Celso con. male nuove.
Chi consigliava a tornare in palagio, chi salire al campido-
glio, altri pigliarla nnghiera, ad altri bastava contraddire:
e, come ne' cattivi partiti avviene, quello pareva ottimo che
non era più a tempo. Dicesi che Lacone trattò, senza saputa
di Gaiba, d'uecider T. Vioio; o per addolcire i soldati con
la pena di IDi, o per creder che egli s'intendesse con Olone,
o por per odio. Ritennelo il tempo e 'l luogo. Mettendosi
mano al sangue, mal si poteva fermare, e bisognÒ pensar ad

.0.
altro, venendo sempre peggiori avvisi: fuggendosi molti,
'discostandosi tutti,che prima mostrarono tanta fede e co-

XL. Gaiba era abburattato qua e là' seeondo che la .


turba ondeggiava. Palagì e tempii pieni con vista lagri-
. , .
• NOli dal. tempo • • Noll ponete indugio, ..... o più esallament.:. NOli
porre
li .1101 indugio a quel cODsigliò et••
I .,. abburalLalo qua. là. Lat.: _ agebetu» huc illuc.• ValeriaDi: _Era.
'!Wl • là .pinto Galb... ti Polili: •.tr ..portalo••
2.1 IL LlBBO PRIMO nELLE STORIE.

merolee stavano la plebe e 'l popolo attoniti, ammutoliti,


in orecchi a ogni strepito. I Non'V'era tumulto, non quiete:
silenzio quale è nelle gran paure e ire. Nondimeno essendo
detto a Otone che la plebe s'armava, fece correre a riparare
al pericolo. Vanno i soldati romani quasi avesseroa cacciar
Vologese o Pacoro dell' antico trono arsaeìdo , e non tagliar
a pezi il loro imperadore disarmato e vecchio: la plebe sba-
ragliano: il senato calpestano: con minacciose armi, feroci,
a corsa di cavalli si spingono nel fòro: senza riguardar a
campidoglio, a religion di templi, a maestà di principi pas-
sati e futuri, commisero l'eccesso che, qualunque succede,
gastiga.
XLI. Vedute appressatesi l'armate schiere, l'alfiere
della coorle che accompagnava GaIba (dicono che fu Atilio
Vergilione) tirò giù l'effigie di esso e la battè in terra. A
quel segno tutti i soldati si scopersero per Otoner il popolo
fuggi di piaza: erano, a chi la pensava,' voltate le punte.
Gaiba presso a fonte curzio, 8 tremando le gambe a' portatori
della seggiola, gittato per terra, e voltolatolo. L'ultime sue
parole, chi l'odiò disse che furono: « Che bo io fatto? il do-
nativo verrà tra pochi di: vi supplico di questo tempo. » Chi
l'ammirò, e i più, vogliono che egli porgesse la gola alli ne-
eìdìtorì, dicendo: « Che facessero, ferissero; se cosi pareva

t in o~tcchl ee, L. N"li,n•• Comini.n .. I.. o1'.cchl.. olf'li .v.pllo.


I .. chi 111 p.n,"P", a ebi .ta'"
dubbio.o.
5 fonl. c,.,..lo. Er. un luogo in lDe..o del Foro. T, Livio , VIl, 6, nel
volgari...menlo del buon secolo (Torino, f.846): .In quell'.ono, o però che l.
• terra li crollò, o per altra fona', nel mezzo del Mercato s· aperse la terra, e
• feee una fossa profonda. mar...iglia; e non .i polU la fo..a riempiere per terra
• ebe l' Domo..i 13pelle. gettare, iofiDO I lauto ehe gl' iDdoviDi dissero, che là
• entro si con.enla f.re lIeriGeio di quella COli, per I. quale il popolo di Roma·
• avea più di potere; però che così piaceva agl'iddii, .'elli 'YoleSiero che la re--
• pnblica di Rom. fa... perpeln.te, Allora Ieeomineiaro • demandare, qlUll.
• c.." quc'l4 f .... 7 'Dno gio.ine nomo, ch' ebbe nome M. Curzio, prode e
• ardito , di..e .1 popolo: DIlDil4l. poi che'l magglo1'e ben« ch. d .. n.' Bo-
• mani~ no'l .lia arme e pjrtt'de' E stando tutti cbeti, egli fece eovertare il
• suo ....110 il più genlilmente cb' egli poleo; poi ..i 1111 snso tutto ann.to,"
• rignardò ..erso li lempli del\i dii che sono sopra il Merc.lo, poi l..e l. m.ni....
• e bolò il suo corpo per lo ..I... menlo del popolo. Allora perca... il c,,"lIo de-
• gli .peroni, e gitto ..i dentro .11. fo....... E fu il luogo chi.m.to lagCl di Cur-
• aio••
IL LlD~O PRIMO DELLE STORmo 2{;

bene per la repablica. II Non attesero quel dicesse; non é


cbiaro chi l'uccidesse: alcuni dicono Terenzio Evocato, allri
Lecanio, i più che Camurio, soldato della legione quindice-
sima, lo scannò: gli allri gli mìnuzarono braccia e gambe,
perché il busto era armato; al quale, già tronco, tiraron be-
stiali colpi e molti.
XLII. Assalsero T. Vinio; di cui ancora si dubita, se
per la paura gli cascò il fiato, o pur gridò: « non esser da
Otone la sua morte stata commessa.» Facessegliel dire la
paura, o 'I confessasse, come sciente della congiura: la vita
e fama sua voglion più tosto ch' ei fusse consapevòldi quella
scelerateza di cui era cagione. Dinanzi al tempio del divino
Giulio spirò: la prima ferita ebbe sotto il ginocchio: poi da
Giulio Caro, soldato di legione, né' fianchi f~ passato fuor
Iuora,
XLIII., Vide l' età nostra quel giorno un memorevole
uomo: Sempronio Denso, centuriene di coorle pretoria , as-
segnato da Gaiba alla guardia di Pisone, sfoderato il pugna-
le, s'avventò alli armati, e chiamandoli traditori, e in se ri-
voltandoli, e con.le mani e con la voce, si fece che Pisone,
bencbè ferito, fuggi nel tempio di Vesta, e da uno di quei
ministri per misericordia ricevuto, s'allungava la morte, non
con la religione, ma con l'aqquattarsi. Eccoti venir difilati a
posta, mandati da Otone per lui ammazare, Sulpizio Floro
delle coorti britanniche, fatto poco innanzi cittadino da Gai-
ba, Stazio Murco alabardiere; da' quali Pisone fu tratto fuo-
ri, e fattone pezi in .su la porta del tempio.
XLIV. Di nìuna morte dicono avere Otone fatto tale al-
legreza: niuna testa sì minuto squadrata con occhi insaziabi-
li; ocomiBciando allora, scarico dognìpensìero, a perdersi
nell' allegreza; I o pur restato confuso quell' animo, benché
crudele, per rimembranza della maestà di Gaiba, e amicizia
di Tito Vinio, gli pareva dover della morte di Pisone suo ni-
mico e concorrente' far allegreza. Portavano in su le picche
le teste tra le insegne delle coorti, allato all' aquila della le-
gione: mostrando per fatto egregio a gara le mani sanguinose
que' che gli aveano uccisi, o vi s'eran trovati; vero o non
I n perdersi nClrnllt'p"un.Ltgge: ff vac"rt crrlldio; It. altri, ff Vacarc . ..
Il.
20 IL LIB.RO PRUIO DELLE STORIE.

vero. Cenlo venli, o più, suppliche di chiedenti premio


d'opere falle quel giorno lrovò poi- Vilellio: e \olli li fe' pi-
gliare e morire: nOR per onor di Galba, ma all' usanza
de' principi, per assicurarsi di quelli, e insegnare agli altri,
XLV. Non pareva il senato quel desso, nè il popolo.
Ogn' uno al campo: s' azuffavano per passarsi innanzi; mala-
divano GaIba; benedivano il giudicio de' soldati; baciavano
la mano a Olone; e quanlo più finte l'àpparenze erano, più
ne facevano. Egli dava paslo a ogn'uno,!lemperava con voce
e vollo i soldatì avidi e minaccianti: eglino nimicavano,
quasi male arti, l'induslria e bontà di Mario Ceiso, dise-
gnalo consolo, e a GaIba fino all' ultimo fedele amico, e chie-
devanlo .al supplizio. Vedevasi che si cercava occasione di
cominciare a far sangue e bollini, e lor via i .miglìorì. Ma
Olone non poleva per ancora proibire il mal fare, ma ben
comandarlo. Moslrandòglisi adunque pien d'ira eomandò
che '1 legassero, dicendo che bene il gastigherebbe: e cosi dal
pericolo lo soltrasse.
, XLVI. Ogn' altra cosa poi andò a voglia de' soldatl.
S'elessero i prefetti del prelorio a lor modo, cioè Plozio Fir-
mo, già soldalello, allora capo di scelte, e quando GaIba era
in piè,tenne da Olone: e Licinio Procolo, d'Olone fami-
gliarlssimo , e sospetto d'averlo favorilo. Della cillà fecero
prefetto Flavio Sabino col 'giudicio di Nerone, che già gli
diede lal grado: e molli riguardavano in lui Vespasiano suo
fratello. Fu chieslo che a' cenlurioni si levasse la rigaglìa ,"
già divenlala lribulo, di farsi pagare da' soldalelli privati i
risquitti dalle faliche e da' làvorii; perché i poveri per le
tende, per le vie del campo si davano a rubare, assassinare,
ad ogni gran fa li ca, ad egni viltà, per poler comperare il

t dava p(1.I10a ogn" lino r attendeva a tulti; non isdegnava aleuee.


_I ·la riga/Jlia a è quello che li gu.dlgn. olLre .111 p'LLo.iL' pro. .isioDe, o
quel ['ili che si cava dalle posseuioni, oltre alla raccolta principale. ., Lat.: _lIre·
na. " Così ]. Crusea, Il lesto ba: • Flagitatum Id vacati07l111 p"~lttr,.i u .. I"..
rionilms solit~ remitterentur, 1Iamqlle gt"r!garilu mtles, nt triblltrun a'lf"'''Uft
pr!ndebnt. " 1M Si domandò che l' e'sen.ioni, use pagani.' UDtufioni, ets,Ullera;
pcicbe il saldato greglrio quale annuale LrihuLoIUlI"..le•• La ri/Ja/Jlia d.ori-
s'It<itli è dUnque quel sopragg".d.g"o che i ceeturioni c....."o d.' sold.Li Del
dare .d essi le Iicen •• (vacalio1les).
IL LIBRO PRIMO. DELLE S.TORIE. 27
soIdatesco riposo. Il facoltoso era pio crudamente angariata
per farlo nscire a comperarlo: onde misero e fiacco, di ricco
e fiero, -se ne tornava al padiglione; e cosi l' un dopo l'altro
per povertà e licenza arrabbiai! precipitavano in discordie,
sedizioni e guerre civili, Otone per non si torre i centurioni
largheggiando co' soldati, promise che il fisco farebbe
_ ogn' anno qne' pagamenti; cosa utile, e da principi buoni;
sempre poi osservata per regola di milizia. In nome confinò
in isola Lacone '10' generale, e mandò innanzi Evocato ad
ammazarlo, Ieelo fu giustiziato in pubblieo per liberto. 1
XLVII. Alle sçeleratese di quel giorno già finito man-
cava questa del fare allegreza. Il pretor di Roma chiama il
senato. Il quale con gli altri maglstralì fanno a chi pio adu-
la. I padri corrono, decretano a Olone la podestà tribunesca,
il nome d'Agusto, e tutti gli onori de' principi: sforzandosi
tutti di non parer quei dessi ehe dianzi tanti oltraggi li dis-
sero, e cosi laidi, e niuno vide che gli rimanesser nell' ani-
mo. Se li perdonò o ripose, fu incerto, per lo corto imperio.
Esso (ancor fumicando di sangue la piasa) portato su per le
morte corpora in campidoglio, indi in palagio, permise che
elle fossero arse e sepolte. Pisone fu sepolto da Verania sua
moglie, e da Seriboniano suo fratello: il cadavero di T. Vi-
nio, da Crispina sua figliuola: cercate, e ricomperate le teste,
di cui li oeciditori fecero incetta.
XLVIII. Pisone visse anni trentuno, buono pio che fe--
liceo Gli furono ammanti i fratelli, Magno, da Claudio, Crasso
da Nerose: fu bandito lungo tempo: adottato in caccia e·'n
furia:! fu Cesare quattro di: avanzò il fratel maggiore di que-.
sto, d'essere ammazato prima. T. Vinio visse anni quaran-
zette, con costumi diversi. Fu suo padre di famiglia prete-
ria; l'avol materno de' ribelli. Militò prima con infamia sotto
Calvisio Sabinç legato: la moglie vogliolosa di vedere come
stesse il campo, entratavi di notte' travestita da soldato, e
viste le sentinelle e gli altri ufiei, ardi ancora nelle stesse
principia romper vergogna; e Vinio ne fu reo: e fatto inca-
tenare da G. Cesare; lasciato poi per li tempi mulali: corse
l per lib.rto. come Iit.erlo.
t in caccia e ' .. furi«, Lat.: ti p,.npernta adoptione.,.
IL L1UilO PRIMO DELLE sroars;
per gli onori senza intoppo: falto pretore: dopo, tribuno
d'una legione, si portò bene. Viluperossi poi col rubar, man-
giando I con Claudio, un bicchier d'oro: onde Claudiol'altro,
giorno fece lui solo servire in stoviglie di terra. Proconsolo
nella Gallia narbonese resse con severa bontà ; lirandolo
l'amicizia di Galba a rompere il collo, divenne audace; pron-
to, astuto, e a sua posta, buono e cattivo sommamente. Il te-
stamento di Vinio non fu eseguito per le troppe riccheze:
quel di Pisone si fu, per la povertà.
XLIX. llcorpo di Gaiba lasciato il di in abbandono, poi
per licenza delta: notte variamente schernito, Argio schiavo,
suo favorito e dispensiere, ricoperse con 'poca terra nel suo
orto privato. La testa da' saccomanni infilzata e guasta.fìnal-
mente dinanzi al sepolcro di Patrobio liberto di Nerone, pu-
nito già da Gaiba, fu lo di seguente trovata, e con l'altro suo
corpo, già arso, riposta. Tal finè fece Gaiba di settanta tre
anni: grande sotto cinque principi: felice nell'Imperio altrui,
più che nel suo: di famiglia nobile, antica: gran riccheza:
ingegno mezano: piùsenza vizi, che con virtù: amator di
gloria, non di boria: di quel d'altri non cupido: del suo par-
co: del. pubblico avaro: agli amici e liberli buoni senza bia-
simo condonava: a' contrari, ancor con sua colpa, chiudeva
gli occhi. Lo splendore del suo sangue.e la paura di que' tempi
fecer tenere la sua freddeza, prudenza. Nell'età vijorosa mi-
litò in Germania con gloria: resse l'Affrica viceconsolo con
modestia: più attempato, la Spagna di qua, con pari giusti-,
zia. Parve mentre fu uomo privato, più che privato; e a tutti,
all' imperio atto, s'ei non l'avesse avuto.
L. Roma spaventata d'Otone per lo presente fatto atro-
ce, 'e sbigottita per li suoi passati costumi, atterri at"nuovo
avviso di Vitèllio eletto imperadore in Germania, frodato in-
nanzi alla morte di Gaiba, col far credere non v' esser altro
che abbottinato l'esercito di sopra. Caddero le braccia non
pure a' senatori e cavalieri, che hanno qualche parte e cura
della republica ma a tutto il popolazo; che due i più diso-
nestì, dappochi e scialacquanti dell'universo si fussero scelti
per fato a disperdere questo imperio. Nè solo ricordavano gli
, mangiando .. rubando.
IL LIBRO PRUIO DELLE STORIE. 2!J
esempi freschi della sanguinosa pace, ma le antiche guerre
civili, la tante volte presa Roma da' cittadini, l'Italia deser-
ta, le provincie saccheggiate, Farsaglia Filippi Perugia Mo-
dana, dolenti nomi di nostre sconfitte. c Esser ilo quasi 80-
zopra il mondo, quando del principato contesero anche i
buoni: ma per le vittorie di Giulio e d'Agusto, l'imperio
stette in piede, e solto Pompeo e Bruto sarie' stata in piè la
repoblica. Ora correremo noi a' tempii ad empiamente pre-
gare che vinca la guerra Otone o Vilellio, sapendo sol que-
sto, che quel de' due che vincerà, sarà il più scelerato? »
Ebbevi chi pensò a Vespasiano, armato in oriente, più atto
di tulti; ma una guerra in terzo e nuova mortalità spaven-
tava, e anche non era Vespasiano in buon concetto. Fu il
primo che fatto principe migliorò.
LI. <na dirò della mossa di Vilellio i principii e le ca-
gioni, Ileeìso Giulio Vindice I con tutla sua gente, l'esercito,
per si ricca e agevol villoria senza sangue, inferocito, voleva
imprese e non ozio, premii e non paghe; avendo tollerato
milizia lunga, magra e aspra per lo cielo e silo, e severa per
li ordini che nella pace non si perdonano, t nelle civili discor-
die vanno a monte; essendo chi corrompe chi tradisce senza
pena da ogni banda. Gente, arme e cavalli gli avanzava per
lISO e per mostra. Ma innanzi a quella guerra ciascheduno
esercito conosceva sue centurie, sue- bande. distinguevangli
le provlncie, ov'eran posti alle frontiere: allora contro a Vin-
dioe si confusero. E avendo fatto sperienza di se e de' Galli,
cercavano nuove armi e risse, e non li chiamavano più com-
pagni, ma nimici e vinti. E la parte de'Galli abitante in su'l
Reno stata della stessa fazione, era contro a' Galbiani (che
cosi appellavano per dispregio la parte di Vindice) crudelis-
sima aizatrice. Fecero adunque i nostri assegnamento sopra
i Sequani e gli ~ui,' di sforzar le loro migliori città, votar
le case, guastar i contadi per avarizia e arroganza; difetti di
chi piu ne può: accaniti ancora da' Galli, che si vantavano
I V~dj .1 e, 6.
I 11011 li perdonnno" sono inesorahilmeute ouervali.
S 10pr" i Seq,ulni e eli Edut, L. Ne.ti.D. pcr errore- H Sopra i Scquaui .
.E'li... loro migliori eco ..
-30 IL LIBRO PRIMO DELLE STOBIE.

che GaIba a onla dell' esercito gli aveva-sgravatì del quarto


del lributo, e fallo loro pubblico donativo, eda una voce
astutamente mandala e scioccamente credula, che le legioni
s'avevano a decimare, e licenziare i centurioni migliori.
Alroci nuove comparivano da ogni banda: da Roma sinistre.
Era la colonia lionese avversa, e nella fede a Nerone osti-
nata, e camera di novelle: 1 ma erano nelli stessi alloggia-
menti le materie da farle credere e eomporre ; cioè odio,
paura, e, vedendosi gagliardissimi, sicureza.
LII. Il passalo anno all' entrar di dicembre A. Vitcllio
nella Germania di sotto, visitò gli alloggiamenti nostri con
molta diligenza: a molti rendèì lor gradi, scancellò la ver-
gogna, ad altri l'alleviò: le, più cose per guadagnar favore,
alcune per ragione; come nel mulare in tutto i carichi di
milizia, che per brutture e danari aveva Fonteio Capitone
dati o tolti: nè eran prese le sue azioni come di legato con-
solare, ma più. Era da' savi stimato vile, da chi lo favoriva,
dello cortese e buono, per dare senza misura senza giudi-
cio il suo, largir l'altrui, e per cupidigia di comandare, agli'
stessi vizi davano nome di virtù, Erano nell' uno e nell' al-
tro esercito de' modesti e quieti de' malvagi e valenti. Avidi
c temerari sopra modo erano i legati Alieno Cecina e Fabio
Valente: costui nimico a Gaiba, statogli ingrato dell' avere
scoperto il baloccar di Verginio, e rotto i disegni a Capilo-
ne, stigava Vitellioall'imperio, moslrandogIiI'ardore de' sol-
dati, .la sua gran fama. « Ordeonio Fiacco vi correrebbe: Brì-
taunia bramarlo: seguiterienla i germani aiuti:' esser mal
fedeli i vassalli: tener l'imperio un vecchio accattato per
pochi di: aprisse il grembo, andasse incontro alla vegnente
fortuna, Cagion di dubitare aver ben avuto Verginio, nato
cavaliere, di padre non conosciuto, non allo a regger l'im-
perio, più sicuro a ricusarlo. Vilellio coronano di già tre con-
solali di suo padre, la censura, la compagnia di Cesare, e
torgli " il poter più vivere privalo e sicuro. » Da tali ragioni
t camt!,.a di novelle. Lat.: • fecllnda rnmoribns, ti
i •iorgli. n posi illatore dell' esemplare Nestiano di G. Capponi corregge
e gli tolgono, Così infatti richiederebbe la costruzione regolare. Ma di simili irre-
Golaritàè vaso il nostro, nè abbiam voluto risicarci d'accettare quella corresicue.
IL LIBRO PRIMO D'ELLE STOllIE. 31
dibaUu(o quel freddo animo, ne rimase con più voglia cho
speranza.
LUI. Cecina l'altro legato in Germania disopra, bel
giovane, grande di corpo, dismisurato d'animo, parlar pre-
sto, andare intero, innamoro i soldati. Gaiba a questo gio-
vane, questore nella Betica, tosto dichiaratosi dalla sua,
diede carica d'unaìeglone. Trovatosi poi, che egli &l'eva ru-
bato il pubblico, il fe' citare. Cecina per eclissar la vergogna
sua ne' danni pubblici, delibero ingarbugliare ogni cosa. E
non mancavano semi di discordie in quell' esercito, andato
tutto contro a Vindicernon tornato a GaIba, se non morto
~erone; non datogli il giuramento, se non dopo a quel della
Germania di sotto: i Treviri e Lingeni, e gli altri comuni,
sbalorditi da Galba per atroci bandi, o stremati confini, con
le guarnigioni vicine diseredendosi, l facevano scandolosi di-
scorsi, corrompevansì tra que' paesani i soldati, e volta"asi
in Verginio il favor che doveva giovare ad ogn' altro.
LIV. I Lingoni mandarono alle legioni l'usato dono
delle due destre, antico segnale d'amicizia. Gli ambaseiadori
mesti e squallidi per le principia e per le tende, lamentan-
dosi, ora de' premii a' vicini e, vedendosi uditi volentieri,
de' pericoli e scorni di quell' esercito stesso, accendevano gli
animi. E stando per sollevarsi, Ordeonio Flacco comandò
agli ambasciadori che andasser via, e di notte, per più ce-
lare lor partita. Nacque romore atroce che e' fussero stati uc-
cisi, e che se non pensavano a' casi loro, lo stesso avver-
rebbe a' pio coraggiosi, e a chi dispiacevano i presenti mali.
Dannosi 'fede segrela le legioni; aggiungonsi li aiuti, stati da
princìpio sospetti di volerle circondare e tradire, poi dello
stesso volere, accordandosi più i malvagi a far guerra che a
stare uniti in Pace.
LV. Con tutto ciò le legioni di Germania disotto, il pri-
mo di gennaio diedono giuramento solenne a Gaiba; le prime
file, molto adagio e con parole stentate, gli altri alla mulola:
ciascuno aspettando che chi gli era aUato rompesse la pacien-
za; per la natura de' mortali, di tosto esequire quello che
niuno vnol cominciare. Ma le stesse legioni erano diverse
l discredendo.i. Veùi Ann. XV, 51.
32 IL LIBRO PRUfo DEl.LE STORIE.

d'animi; la prima e la quinta sì rabbiose che alcuni tiraron


sassi all' immagine di Gaiba. La quindicesima e la sedicesi-
ma non ardirono che fremere e minacciare, guardandosi in-
torno, e cercando principio di sollevazione. Ma nell' esercito
disopra, la quarta e la diciottesima insieme alloggiate, il
medesimo dì primo di gennaio spezano le immagini di GaI-
ba: la quarta a furia, l'altra adagio; poi d'accordo. E, per
non parere ribelle all' imperio, giurarono')' ubbidienza a' no-
mi già spenti del senato e popol romano, niuno legato né
tribuno per GaIba contrastante; e alcuni facevano per quel
tumulto maggiore schiamazo. Senza però aringare, non es-
sendo ancora risoluti dove gittarsi.
LVI. Stavasi a mangiunte a contemplarli OrdeonioFlaceo.
legato consolare, senza opporsi agli infuriati, ritenere i dubii,
innanimire i buoni; ma pigro, spaurito, innocente per dap-
pocaggine. Quattro centurioni della diciottesima, Nonio Re-
cetto, Donazio Valente, Romilio Marcello, Calpumio Repen-
tino, volendo difender le immagini di Gaiba, furono con
soldatesco empito rapiti e legati. Né vi ebbe più fede, né me-
moria del primo giuramento; ma tutti, come si fa ne' tumul-
ti, n' andaron co' più. La notte seguente alle calende di gen-
naio, l'alfiere della legion quarta porta nuova in Colonia
Agrippina I a Vitellio, che mangiava, che le legioni quarta e
diciottesima, abbattute le immagini di GaIba, hanno giurato
ubbidienza al senato e popol romano. Parvegli tal giura-
mento vano, e. doversi la fortuna vacillante incontrare, e of-
ferirsi imperadore. Mandò a dire alle legioni e legati, come
l'esercito disopra s'era ribellato da GaIba; e conveuiva , vo-
lendo pace, combatterlo o far un altro imperadore; e poto-
vasi con meno pericolo eleggere che cercarne.
LVII. Era la legion prima la più presso alloggiala, e
Fabio Valente lo più destro legato. Costui il giorno seguente
con la cavalleria di quella legione e degli aiuti, entrò in Co-
lonia, e salutaron Vitellio imperadore. L'altre legioni di-
sotto seguitaron a gara. L'esercito disopra, lasciati li nomi
pomposi del senato e popol romano, a' tre di gennaio s'ac-
costò a Vitellio. Di qui si può vedere che capitale n' arebbc
I Colonin AlJ'"ippina. Oggi Colonia. Vedi Ann. XII, 17•.
IL L1BIIO l'auro DELLE STORIE. 33
due di innanzi potuto far la republica. Pareggiavano l'ar-
dore degli eserciti i Colonlesì, Trevìrì, Lingoni, otrerendo
fanti, cavalli, anni e danari, quanlo potrebbe ciascuno con
la vita con le facullà e con l'ingegno. Né pure i primi delle
colonie e degli eserciti, pieni ora di ricchezc e di grandi
speranze nella vittoria, ma ogni soldatel1o ancora, in vece di
danari presentavano a Vitellio lor viveri, cinture, arredi,
armi ricche argentate, per volontà, per impeto, per avarizia.
LVIII. Egli lodata la pronteza de' soldati, distribul a' ca-
valieri gli uffici soliti darsi a'liberti. Pagò del fisco a' centu-
rioni i risquitti de' soldati. l Concedé loro molti domandati
a' supplizi; è parte ne sottrasse solto spezie d'incarcerarli.
Pompeo Propinquo,~ procuratore della Belgica, fu subitamente
morto. Giulio 'Burdone, prefetto dell' armata germana, con
arte levato all' esercito, invelenito della querela, e poseia in-
sidie poste a Fonteio Capitone,' di cara memoria: e potevasì,
con quegli Infuriati, ammazare liberamente, ma non perdo-
nare, se non per Inganno, Cosi Giulio tenuto in carcere, fu
dopo la vittoria finalmente, straccata loro ira, lasciato. E dato
come vittima Crìspìno centurione, imbrattatosi del sangue di
Capitone, però chiesto 'con maggior ressa,' e dato con minor
cura.
LIX. È levato dal pericolo Giulio Civile,' potentissimo
tra i Batavi, per non si provocare col supplizio di lui quella
feroce nazione, di cui erano ne' Lingoni otto coorti, aiuti
della legione quattordicesima, e da lei per le discordie di
que' tempi partitisi: forze di gran momento ad averle contro,
o in favore. Fece morire li detti quattro centurioni, Noniç,
Donazio, Romilio e Calpurnio, dannati per fede osservata a.
Gaiba; peccato gravissimo nelle ribellioni. Vennero da questa
parte Valerio Asiatico legato della Belgica, il quale poi Vi-
tellio si fe' genero; e Giunio Bleso governatore della Gallia
Iionese, con la legione della italica e banda taurìna, atten-
e i ril1"illi d.',o/dali. Vedi sopro cop. ~6. '
, V.di cap. n.
3 Vedi cap. 7.
4 ress«, premura, istaoza. .
5 Più·... nli, \il,. IV, 13, è chiamalo Claudio Civil.; • forse l'inlero suo
nome fu Claudio Giulio Civile.
34 IL UDIW PRIMO DELLE STORIE:.

datevi. Non tardarono a congiugnersi le forze che erano


nella Rezia.
LX. Non dubitò l'esercito d' Inghilterra, governato da
Trebellio Massimo,t avuto per avarizia esordideza in dispre-
gio e odio. Accrescevalo Roscio Celio I legato della legion
v.entesima, già poco d'accordo, poi per occasioni dell'armi ci-
vili, nimicissimi. TrebeUio tassava Celio di sedizioso e gua-
statore de' buoni ordini; e Celio, lui dell' avere spogliate le
povere legioni: e mentre bruttamente i capi contendono,
l'.esercito insÒlenlÌ, e a tal discordia venne, che insino
a' fanti e' cavalli d'aiuto s' uniron con Celio, scacciato e svil-
laneggìato Trebellio, Rimase la provincia, benché senza ca-
PO. quieta: retta da' legati delle legioni, pari d'autorità; ma
Celio, per ardire, più potente.
LXI. Per l'acquisto dell' esercito d' Inghilterra fattosi
Vitellio grande e possente, destinò al far la guerra due cam-
mini e due capitani: Fabio Valente, il quale le Gallie facesse
amiche, o, ricusando, guastasse, e per l'Alpi coziane scen-
desse in Italia: e Cecina più vicino passasse per li monti Pe-
nini. Diede a Valente con l'aquila della legion quinta qua-
l'antamila tra fanti e cavalli dell' esercito disotto: a Cecina
trentamila del disopra: de' quali la legion ventunesima fu il '
nerbo; e a ciascuno, aiuti germani; de' quali rifor~i Vitellio
ancorala sua gente per venire appresso con tutto il pondo
della guerra.
LXII. Maravigliosa fu la diversità tra l' esercito e l'im-
peradore. Sollecitano i soldati, chieggono che si venga all'ar-
mi, «ora che le Gallie tremano, le Spagne non si risolvono;
non impedisce il verno, non vile trattenimento di pace: 3 assal-
tisi Italia, pigliai Roma,Je discordie civili voler presteza,
falli e non consigli. » Vitellio, per contro, dormiva: la gran-
deza del principato preveniva eon ìnflngarde morbideze e
prodighe eene: ubbriaco a mezo di, pesante e grassoj" e non-
I. Vedi Ann. XIV, 46; e t/u. Agr. cap. iO.
I Vedi l. Vito d'Agr. cap. 7.
5 non "ile trattenimento dì pace. Lat.: ti neqll.e igna"a! paeil moras:« La
Nestiaul eIa Comiuiana erroneamente: ., Non III è trattamento di pace .•
• Svetonio, in Pit. 13: • Usava di mangiare tre volte al giorno, e anche
quattro , compartendo questi roangiari in asciolvere, in desinare, in cenare e pu....
IL LIBRO PBÌMO DELLE STORIE. SII
dimeno l'ardore e la forza de' soldati faceva l' nficio del ca-
pitano, come vi fusse presente imperadore a fare animo o
paura, a' valorosi o poltroni. Ordinati, e tutti pronti ehieg-
gono il sègno del marciare, aggiugnendo a Vitellio il nome
di germanico. 11 titolo di Cesare non volle, nè anche vinci-
tore. Lo di che Fabio Valente mosse colsuo esercito, un'aquila
gli volò innanzi, adagio secondo quel passo, t per lungo spa-
zio, quasi gli mostrasse il èammino, e quieta e sicura con
si allegre grida de' soldati, che fu agùro certo di gran 8UC-
cesso e di prospero.
LXIII. Entrarono tutti sicuri ne' Treveri come collegati,
e benché- cortesemente ricevuti in Divoduro, terra de' Me-
dlomatrlcì, presi da subita paura, si voltano con l'armi con-
tro a quella terra innocente, non per volerla saccheggiare,
ma per rabbioso furore senza sapersi perchè , perciò meno
rimediabile: pure it capitano tanto pregò che non la distrus-
sero, avendovi morto' da quattromila persone. E missono in
Gallia tanto spavento, che tutte le città, quando s'accosta-
vano, gr incontravano in pricissione co' magistrati, e le
donne e' fanciulli prostrati raccomandandosi con tutti gli al-
tri placamenti di nimica ira per aver pace da chi non facea
guerra.
LXIV. Fabio Valente ne' Leucl " ebbe la nuova come
Gaiba era ucciso, e Otone, imperadore. l soldati, senz'averne
allegreza o'paura, pensavano a ogni modo alla guerra. A' Galli
siBDllie; e reggeva" tuUi, aeDdosiav'VellO " \'Gomitate. FilClui convilare or.cil
questo or da quello, • ognuno _di questi pranzi non coslava meno di diecimila
scudi. Famosissima lopra l' altre ru la cena rallagli dal rratello il dì del IUO ar-
rivo in Roma; nella quale Icri.. esi ebe fOllero imbanditi dumila pesci e settemila
uccelli elettissimi, Egli poi la rincarò dedieando in eua un piatto, sì sterminato
cbe lo chiamava lo Scudo di Mlne,."a, tutto pieno e mischiato di Cegatidi. Icari,
<e....,lIa di ragiani e di pavoni, lingue di pappaSaIli, Iatte di murene , pescate dal
mar Carpazio iosin'o al mar di Spagna. E come uomo Don 1010 di gola sfondata,
ma impertinente e tardissimI, Don potè tenerla li segno nemmeno ne' sacri6.i e
ne' viaggi; imperoccbè tra gli altari pappavasi le viscere delle yittirile, e le fo-
cacce calde bollenti, senallofliarci; e per viaggi.o .paleEIa.vl per le cucine del-
l' osterie lDDgo la strada, iagollandosi ciò che vi trova';a di colto, nè perdonando
nemmeno a' hiasciaticc] e avanzaticci del giorno innanzi. ..
• ",,~l passo. Inlendi: secondo il passo dell' esercito.
, Leuct , Ira la Matron. (Marna) e la Mosella, la cl,li capitale h Tullnm
(TonI).
30 lL L1BRO PR1MO DELi.1! STORIE.

fu tollo allora ogni dubbio; Olone e Vilellio parimente odia-


vano, ma Vilellio temevano. Venuti ne' Lingoni ;" più vicini
e fedeli a lor parle, vi furono bene adagiali, ed essi altret-
tanto modesti. Ma poco durò l'allegreza per la faslidiosag-
gine di quegli aiuti batavi, parlitisi dalla legione quattordi-
cesima e ricevuti da Valente nel suo eserciio, come detto è,

I quali vennero co' legionari prima a parole, indi alle con-


tese; e favorendo ehi questi chi quelli, s' azuffavano tutti, se
Valenle col gasligo di pochi non ricordava a' Balavi l' ubbi-
dienza. Cereossì occasione per attaccarla con gli Edui, t se
non porgevano tanle armi e danari; ma essi vi aggiunsero
vettovaglie in dono. Questo che gli Edui per paura, fecero i
Lìonesi per allegreza. S Ma furo sgravati della legione italica
e de' cavalli taurini, lascialovi la solita guardia della coorlc
diciollesima. Manlio Valente, che comandava la della italì-
ca, assai per Vilellio fecc, e non fu aggradito, avendonegli
Fabio dello ogni male in segreto, e, per più ìngannarlo, ogni
bene in pubblico.
LXV. Aveva la passata guerra' l'antiche ize 5 ira Lìo-
nesi e Viennesi raecese per più danni fallisi, e maggiori
che non avrieno per Nerone e Gaiba semplicemente. Gaiba
incollorito co' Lionesi, confiscò loro tutte l'entrate: i Vien-
nesi, per lo contrario, mollo onorò. Onde fu gara e invidla,
o inlr' ambi dal fiume 6 staccati, attaccato odio. Aizavano
c' Lionesi 7 ogni soldalo a dislruggere i Viennesi ,assedia-
tori della colonia loro, aiutatori de' disegni di Vindice, ra-
gnnatori di nuova gente per difender GaIba. Mostravano
dopo le cagioni dell' odio, la preda grande. Né in segreto gli
l "e' Lingo"l. Vedi cap. ba e M.
ii Edili, popoli della Borg"t!na e Niverne •• , la cui capitale è Allg,,,'odll.
"llm (A utun),
5 per allegr ..a, <ome "emici • Galb.: Vedi cap. C>t • 65;
A la passata. guerra~ di ViDdi~e.
5 l"nntiche ise. Lat.: .. veterem discordìam.:»
6 dal fiume Rodano.
7 c" Lionest, Pongo }' apostrofo a questo articolo male. plur. e per i" per
Ia sola ragione cbe il Davanzali era unto di porvelo (come bo riseontrato in DD
zibaldone di sua mano, posseduto da Pietro Bigillzi), e perchèl'edizioni Nesliana
c Comìniana lo pongono. Nè intendo io ciò proferir giudiuo. percbè mi-preme
mantener pure le mani (la ogni sangue grammaticale.
IL LIBRO PROIO DELLB STORIE.

coofortavano, ma gli pregavano in pubblico: «Andas!lono a


gasligarli: sperperassero quel nido di guerra gallica, fatto di
stranieri tutti, nimici tutti, Sè esser colonia romana, parte
dell' esercito, compagni al bene e al male. Non si lasctas-
sono, in caso di rea fortuna, in bocca a' cani.' II
LXVI. Con queste e simili parole misero l'esereito in
tanta rabbia, che i legati e capi di parte credettero non po- .
terla spegnere. Il qual pericolo vedendo i Viennesi, con loro
veli e sagre bende, ove i soldati passavano, gli addolelro-
no, abbracciando loro armi e ginocchia e piedi; Valente
donando fiorini sette e mezo d'oro perano, Allora l'anti-
chità e degnità di quèlla colonia e le parole di Fabio rac-
comandante la salveza de'Viennesi, valsero loro.Nondimeno
al pubblico Curon toUe l'armi, e con private facoltà d'ogni
sorta, rinfrescarono i soldati. Ma e' si disse per cosa certa,
che Valente fo comperato gran danaio.'Di sempre mendico,
subito arricchito, non coperse la mutata fortuna: le voglie
accese per Iango patimento da giovane meschino, vecchio
prodigo, non tempero. L'esercito marciò per li Allobrogi a e
Vaconti l a passo lento, mercatando il generale brultamente
co' magistrati ~elle città e co' padroni de' campi, a un tanto
per lo cammino scansato, per l'alloggiare risparmiato, con
tali minaccè, che a Luco," buona terra de'Voconti, accostò
le fascine per arderla, se non veniva la moneta. E, quando
non ve D'era, lo, quietavano con dargli da sfogar sua libi-
dine. Cosi giunsero all' Alpi.
LXVII. Più preda e sangue fe' Cecina, avendo provo-
cato quell'animo travagliante gH Elvezi, li gente gallica, già
per armi e uomini, poi per le storie chiara, i quali non sa-
pevan che fusse morto Gaiba, e non volevano ubbidire a
Vitellio. Principio al combatter diede l'avarizia e la fretta
l I.. boutta'ratti, alle mani di quegli arral,biali.
, graft dt"'Qio~ eon RraD ·pnIIO.
5 Allob~ogi occupavano il Viennese e una parte della Savoia.
I l'oconli nella Gallia NarLonese, oSgi Delfinalo e parte della PronDIO:
1'11$10 (Vaùoa) era I. capilale.
5 Luco, oggi LI«' (Lucus AUfluSli).
o"Anodo llli Elvui proonealo quell'animo !UrLoleDlo (I,.~bid,.m In,c-
,,;am).
Il.
38 IL LIBRO PRIMO DELLE STORlB.

della legion ventunesima, che rubò certe paghe che gli El-
vezi mandavano alle guardie d'una loro forteza, Di che sde-
gnali ritennero, un centurione eon alcuni soldati, intercelle
le lellere del germanico esercito alle legioni di Pannonia.
Cecina bramoso di guerra, non dava lor tempo di pentirsi,
.per gastigarli, Subito mosse il campo: diede il guasto al con-
tado: saccheggiò quel luogo, per lunga pace fattocome una
città, ameno e frequentato per saluliferi bagni. Mandò a
.dire agli aiuti retini, che dessero alle spalle agli Elvezi ri-
voltati contro alla legione.
LXVIII. Essi innanz! al pericolo Ceroci, in su') fatlo
codardi, se ben fecero nel principio lor capo Claudio Severo,
non conoscevano armi né ordini né eran d'accordo. Com-
battendo con pratìchisslmì , andavano al macello. Pericoloso
era l'assedio dentro a mura vecchie e scassinate. Di qua era
Cecina con Corteesercilo; di là i Reti, fanti e cavalli, armi-
gera e ben' istruita gioventù: sacco e sangue per tutto, Onde
essi cosi rinchiusi, confusì e parte feriti, Cuggirono, gittate
giù l'armi, al monte Vocezio. 1 Caccionneli una coorte di
Traci mandatavi. Germàni e Reti tenner loro dietro, e per
le selve e tane ne tagliarono a pezi molle migliaia, e molte
vendéro alla tromba." E ogni cosa spogliato, tirando aUa
volla d'Aventico a loro metropoli, Curon mandate e accettate
le chiavi. Cecina uccise Giulio Alpino, come sommovilore
della guerra: gli altri rimise alla discrezione di Vilellio.
LXIX. Non sarebbe agevole a dire se.gli ambasciatori
elvezi trovassero più invelenito l' imperadore o .i soldati,
che,' chiedendo lo sterminio di quella città, con le mani e
con l'armi, vanno in su 'l viso agli ambasciadori, e Vitel·
lio raffibbiava ~ parole e minaccer. ma Claudio Cosso uno di
essi, famoso dicitore, con accorta natura velando sua arte,
però più creduto, mitigò i soldati: i quali, come Ca il volgo,
che, tosto mutandosi, corre alla misericordia, quanto s'era

I Poceoio. Boe.berg, pOTi. del Giun.


i alla tromba. LaL: • snb corona; .. all' incanto.
:1 .t/,'entico) A\"enches o WiOishurg, pnsao Frihurgo.
~ ,.(libbiava.llnffibbiare'dicesidon'rinnuonr. J. percoss.. 'lui con nuovo
r<l cfllrace lra.!alo è dolio dono parole,
IL LIBRO PRIMO DELLE STORIE. 39
versato nell' ira;l con molle lagrime, e migliori e più co-
stanti domande, ottennero a quella città mercede e salute.
LXX. Cecina trattenendosi negli Elvezi poehi giorni,
per saper l'animo di Vilellio e ordinarsi al passar l'Alpi,
ebbe d'Italia buone nuove, i cavalli sillani I in su'l Po aver
dato il giuramento a Vitellio, che li comandò viceconsolo ,in
Alfrica. Nerone avendoli fatti venire per mandare in Egitto,
li ritenne per la guerra di Vindice: c allora-essendo ìnIta-
lia da' loro capitani persuasi che, a Vitellio obbligati, non
conoscevano Otone e alzavano a ciclo la fama del forle eser-
cito di Germania che s'appressava; presero quella parle e
tiraronvi, come per un presente al nuovo principe, Milanò,
Ncw3ra, Ivrea e Verzelli, f<irti cillà de' paesi ,di là dal Po:
queste n'avvisarono Cecina. E non potendo una banda di
canIli sola guardare tanto spazio d' Italia, avviò gli aiuti
galli, portoghesi, inghilesi e germani; e con la banda de' ca-
valli petrini I ristette alquanto a pensare, se voleva per la
montagna di 1,\ezia voltare in Norico contro a Petronio, che
v'era proecuratore, che con chiamare aiuti e romper ponti
a' fiumi, si mostrava fedele a Olone: ma temendo non per-
dere le forze avviate, e parendogli più gloria l'avere Italia,
e che Norico, dovunque si combattesse, sarebbe con ogni
cosa di chi vincesse; passò la gente leggiera e le legioni di
grave armadura per le nevi ancor alle l'alpe penina.
LXXI. Otone in tanto, fuor d'ogni aspettazione, non
dormiva: messo da banda delizie, agi e piaceri, ràceva ogni
cosa degna d'imperio. Tanto più faeevan paura -Ie sue virtù
false, e i vizi che tornerìeno, Per darsi nome di clemente
perdonando a un grande, contrario a sua parte, si fe" venire
in campidoglio Mario Celso; eletto consolo, levato già alla
foria de' soldati, sotto ombra di carcerarlo. Celso ardita-
I ".,..1110 nelftra, obboDdoDato alFaUo all' ira.
I Ii//".i. Legge. alam lilla.am... :Mail Riller crede cbe, DOD da UD oocuro
,.metto di Dome Silla, ma da C. Silio fosse nominata (del quale vedi A"". 1,31,
7S. Il,6,7,!S; III, 4!, 4li; IV,., i9), e che perciò debba legget,i lilia.am.
I ca.a/lt petri. i, detti dagli illustri cavalieri romoDi ebe portavano il co-
poase di Petra (Ann. XI, 4. Vedi anche ìntorno a questi, 11/. IV ,49).10 aleuDi
leali manca. cnm' ala petri"a~tt èd ~nvec:e vili l'Bse. in alpe graia~. innanzi
a • paalalam cune/all'I. ..
-40 IL LIBRO PRIMO DELLB STORIE.

mente confessò il delitto d'aver servito Gaiba con llOmma


fede; atTermando che il medesimo -arebbe fatto per lui.
Otone come se non avesse bisogno di perdono, tosto lo ri-
cevè tra gl' intimi, e'l fe' uno de' capi della guerra, per
tor via ogni sospetto di finta riconciliazione: e· Celso an-
che a Otone mantenne, quasi per suo fato, fede intera e
sventurata, Piacque a' grandi.la salute di Celso: il popolo la
celebro: a' soldati, che quella virtù odiavano e ammiravano,
non fu dìscara.
LXXII. Pari allegreza per contrarie cagioni fu fatta
dall' impetrata rovina di Sofonio Tigelììno, vilmente nato,
disonesto fanciullo, vituperoso vecchio: il quale avendo acqui-
stato la prefettura delle guardie di notte .e del pi'etorio, Il
altri onori dovuti a virtù, per mezo de' vizi, che è la più
corta; esercitò da prima le crudeltà, poi l'avarizie e solenni
scelerateze: indotto Nerone ad ogni ribalderia; e molte ne
fe' che' non seppe: al fine lo piantò e tradì. Onde niuno fu
chiesto al supplizio con tanta rabbia, e dalli odlatorì di Ne-
rone e daÌli amatori. Appresso GaIba lo difese la potenza di
Vinio, a cui salvò la figliuola, non per pietà, avendone tanti
uccisi, ma per avere dove ricorrere: come fa ogni malvagio,
che vedendosi venire addosso la piena dell' odio pubblico, si
procaccia favor privato per fuggir pena, non colpa. Ma il
popolo per lo nuovo odio di Vinio rincappellato sovra il vec-
chio 1 di Tigellino, tanto più ostinatamente il chiedea, cor-
rendo tutta Roma al palagio, alle piaze, al Cerchio, a' teatri,
ove ha più licenza. Là onde Tigellino a' bagni di Sessa avuto
il comandamento di morire; tra le sue concubine, tra baci e
brutte dimore, segatasì con rasoio la gola, l'infame vita
macchiò anche con tardo fine e con disonesto.
LXXIII. Nel medesimo tempo Galvia Crispinilla, chie-
sta. al supplizio, se n'usci per varie gretole, I con biasimo
del principe che chiuse gli occhi: fu maeslra delle libidini
di. Nerone: passò in Affrica per istigare Clodio Macro a ri-
bellione, cercò alla scoperta d'affamar Roma: di poi marita- .
I " .. ovo odio•.••i~cappellalo .ov.a Il vecchio. Vedi la nota al c. 7,
l. XVI degli AnDali.
I P" vart« K.etole. l.at.: • va.ii.f.,ul.alionib,u.•
IL LIBRO PRIMO DELLE STORIE.

(asi a nn coo'S9lare, racquistò la grazia deDa citta: sotto


Gaiba, Oton8 & Vitellio fo sics.;a: rimase poi danarosa 8
senza reda: cose che hanno forza a' tempi bnonle a' rei.
LXXIV. Otone in qoeslo tempo mandava spesso Iet.,
. tere a VitelIio Iusinghevoli,' offerendogli danari, favori e vita
larga e quieta ovunque ei volesse. D medesima a lui faceva
Vitellio: dolcemente da prima, e con brutta e sciocca fin-
zione dell' ODa e dell' altro: poi vennero a mordersi, e rìn-
facciarsi Ior malvagitàe·brutture,' troppo vere. Otone rìehìa-
mO gli ambasciadori che mandò Galbaoo' due eserciti di
Germania, e sotto nome del senato ne mandò altri a' merle-
limi e aDa legione italica, e aUe forze tenute in Lione, che
rimasero con Vitellio si volenUeri che non parvero ritenuti•
. I preloriani mandati da Otonead accompagnarli, quasi per
onoranza, furono rimandati prima chepraticasseroco'legio-
Dari: e Fabio Valente scrisse in nome del germano esercito
a'soldati pretorìanì e romani, magnificando le forze di quella
parf&, ofl'erendo pace; biasimandoli del voltare a Olonel'im-
perio, già dato tanto innanzi a.Vitellio. Cosi con minacce e
. promesse li tentò, che facendo guerra, sarienoinferiori, e
Del far pace, nìenleperderìene. Non cangìaren fede peroiò
i pretoriani.
LXXV. Mandarousi ammazatori, Otone in Gèrmania e
Vilèllio a Roma,indarno. Questi tra tanta molliludine non
furono osservati: gli otoniani, visi nuovi, tra tutti.conoscen-
Usi,1 furon presi. Vitellio scrisse a Tiziano fratel d' Otene, •
che s'e' non faceva riguardare sua madre e figliuoli, farebbe
ammazar lui e 'l figliuolo. L' UDa e l'àltra casa fu salvata:
da Qtona forse per paura; da Vitellio vincitore, con sua
gloria.
I tftJer-•.••• Irulng",poli. Plutarco, in 01., c. 3, • Scrisle a Vitellio, tlor-
badolo a .. oler pensare il) maniera eoafaeeate a IIn .olda'lo, e-prometlendogli in
cIoDO molti danari ed una citlà ~ dove alFallo agiatamente e giocondamente menar
potlebbe I. -.ila con tnlta tranquiJ\ilà. Vitellio però'gli rilpold, molteggitnd'olo .
da prima COD ironie rattenute e coperte; ma ;'n progrello pei di tempo, irrilatisi
elrombi, • ~icenda. Ii .crisaero molti improperi ed obbrobri non già falumenl.,
..... !>end COD modo ridicolo. stolido, rinf.cciando,i l'un l'altro, qQOi ~i.i ..ergo-
po.i ai qnaJi era_loggelli. .. .
J tra tutli conolcenti.li.l in mezzo a rcrsone che tutte conoscevanaì lra
loro.
IL LIBIl.O PRIMO DELLE STORIE.
. .
LXXVI. La primasperanzà d' Olone fu l'avviso d'Illi-
ria ,che le legic:mi di Dalmazia, Pannonia e Mesia gli avevan
dalo il giuramenlo.n medesimo venne di Spagna: Cluvio Rufo
ne fu lodato per bando: e tosto s'intese rivolta 1 a Vitellio.
Poco tenne fede l' Acqoilania, fatla giurare a Otone da Gil}-
lio Cordo. Né fedé né amoreera in luogo alcuno. Voltavagli
qua e là nicistà e paura. Questa rivollò la Provenza a Vitel-
liocpassandee! al più forle e vicino agevolmente. Le provin-
cie lontane, e tutte l'armi oltre mare, erano per Otoae; non
per amor suo, ma perché quel nome di Roma e quell'ombra
di senato facevano un gran che. E già s'erano alle prime
nuove acconei gli animi. A Otone fece giurare Vespasiano
l'esercito di Giudea, Muciano quello di Soria. A suo nome si
tenevano l' Egitlo' etulte le provincie volle a oriente, e 1':Af~
frìea, cominciatasi da Cartagìner.ove senza aspeUar ordine
di Vipsanio Aproniano viceconsolo, Crescente, fìberto-di Ne-.
rone, che ne' mali lempi s'ingeri anch'egli nelle cose pub-
bliche, per l'allegreza di questo' nuovo imperadore pasteggìè
la plebe,· che a furia fece l'altre dimostraZioni. Seguitareno
Carlagine l'altre città. Stando in questa guisa divisi gli eser-
cìti.e vassalli, a Vilellio per pigliar il possesso dell' imperio
conveniva far guerra. "
. LXXVII. Otone logovernava-come in gran pace, parte
con degnità, parte abborracciando 8 senza decoro, secondo
che Il tempo chiedea. Stelle consolo con Tiziano 8UO fratello;
gennaio e febbraio: li due seguenti mesi concedetle a Virgi-"
nio, per un poco addolcire il germano esercito, e a Poppeo
Vopisco, come a suo amico vecchìoe molti dicevano per ono-
rare Viennesi. E confermò Celio· e Flavio Sabini, destinati
ì

da Nerone per maggio e giugno; e Ario Anlonino 8 e Mario


Celso da Gaiba per luglio e agoslo; né Vitellio vincilore lolse
loro tal dignità. Molli vecchi già d' oner carichi Otone colmò'
di pontefìcati ,' agurali; e molli nobili giovani tornati d'esiglio

I .. /volta; doè, la Spagnl.


I pasl'lflfiò lo ptebe, Lat.: • epulum' plobi obta/or al••
5 abbo....acclando, facendo con fretta e alla peggio. _
• Colio Sahino, giureconsulto, molto potente a' tempi di Ve.p..iano.
5, Ario A"tonino~ avo dell'imperatore Autonino Pio.
IL LIBRO 1'81MO DELLE STORIE. 43
rjeonforlò, rendendo loro i sacerdozi antichi di lor famiglie.
Fu renduto il grado di senatori a Codio Rufo, a Pedio- Bleso,
a Sevino Pontino, perduto soUoClaùdìo e Nerone, pllI'pub-
bliche storsìoaì. Piacque a chi perdonò che quel che fu an..
rizia, cambiato nome apparisse offesa maeilà, per lo cui odio
allora le leggi anche bUODe perivano.
LXXVIII. Prese C9It simile larghesa gli animi deUecillà
e provincie. fspali e Emerita, I colonie, riforBI di rami~lie.
Tolti i LingODi fece èittadini roniani: donò le città de' Mauri '
alla provinèiabetica; leggi nuove alla Cappadocia e all' Af-
frica; più per-mostra che di durata: cose allora necessarie
e scusate. Né inque' gran pensieri gli usci del capo il rum
degli amori, .. e fece rimettere per decreto del senato le sia..
lue a Poppea. E credesi che per guadagnarsi il popolo trat-
tasse di celebrar la memoria di Nerone; e Cu ehi gli rimise +
le'Statue, e gridarono alcuni giorni il popolo e i soldati, VIVA
NDOIIfB Orog, quasi raddoppiandoli novello spteDdore. Pe-
ritosai a proìbirlo; evergognossi d'accettarlo;
LXXIX. A questa guerra civile si voltarono tottl gli ani';'
mi; e le cose di fuori si' trascuravaeo. Ondè nove mila cavalli
roSllOlani ,I gente sarmata, lo ·verno. avanti ardirono, uccise
due coorti, assaltar la MeiÌa con grandi speranze: e per la
ferocilà e succ:e8&O pio intesi a rubare che a combattere. Onde
la legion terza co' suoi aiuti, e C8Jl tutti gli ordini per com-
battere, gl' invesU subitam~nlll. Sparsi, e senza pensiero, e
non potendo i cavalli carichi di fardelli per quelle vie sdrue·
eioIanli correre, erano come pecore macellativesseado.gran
cosa, che tutto. il podere de' Sarmati sia, come dir, Cuor di
IGro. A piede niente vogliono: a cavallo una torma non la
terrebbe un esercito.' Ma quel di essendo.moDiccio e dìdiac-

t Ilf>II/j" Emoril. (.\"lIIIOI')' ora Sivi§liao


S
_.rid. Ilell. Sp.gD'.
h Cillà d,,'/t!auri: J. principali erano Tingi 01,i10, oggi T."j. o
Allul,
I gli Ulcl del capo il rru.o degli amori, 1,.1.: M ne luin q"idom 1"",,0.
'mor Il'''1H"1UfI• •
• rimise. Legge. rtponere1lt. D Alui, " propOllerent . ..
5 I ROSlobDi .bil.vaoo tra il Tan.i I il Borioteo.,. siDistra dell. pallide
lleolide.
I nOli la terrebbe ,,,. esercito ~ appena pot~eLbe resi5ler1e UD esercito.
IL LIBRO l'RIMO DELLB STOIlIE.

eìate, t le loro pertiche e .spadoni a d De mani fur disatill, tra-


collaudo I i cavalli per lo peso degli uomini d'arme (questi
erari principi, o signori coperti di piastre di ferro, o duro
quoìò da tutta bOtta,a ma gettati per terra da urto dìnimiei,
non si potevan rizare.) o nella neve alta e tenera affogando.
Là dove il soldato romano in corazaarreadevoleçeondardì
o.lance, o alle mani con la spada leggieri, avventandosi fo-
rava lo ignudo, Sarmata che non usa scudo. Pochi avanzati
alla battaglia si nascosero per, le paludi, e vi perìron per l~
-freddo e per .le ferite. Quando queste cose 1Ii seppero in Ro-
ma, M; Aponia che reggeva la M.esia, ebbe la statua trion-
fale: Fulyio Aurelio, Giuliano Ti~io e Numlsioc l..tipo, legati
di legioni, le insegne eonsolarìe rallegraadosi Otone e glo-
rlandosì d'avere con snafeliceguerra e suoi 'capitani ed
esercìtì- aoeresciuto lo statp.
LXXX. Quando da piccola cagione, onde meno s'aspet--
tava, nacque sollevamento cheebbe a rovinar la città. Otone
ordinò che la coorte diciassettesima, tenuta in Ostia, venisse
in Roma. Vario Crispino tribuno pretoriancç.ehe ebbe la eura
d'armarla per meno .confusiona, dormente il campo, all'una'
ora di notte aperse 1'armeria e cominciò a caricare•. L'ora
fu' a sospetto, la cagione presa per colpa, e la procurata quiete
levò rumore: e vedute 1'armi, veooe voglia a quelli ubhrìa-
. ehi d'adoperarle. Sbuffano i soldati: chiamano tradììor! i
eenturioni, come se armassero le famiglie de'senatori con-
tro a Otoneraleunì senza saper altro, scaldati dal vino; i peg-
giori.yper occasion di rubare; il volgo vaga al Solito d'inno-
vare;e non lasciava il buio ubbidire i migliori.
LXXXI. Ammazano un tribuno , che alla sedizion s'op-
poneva, e i più severi centurioni danno di piglio all'armi;
montano a cavallo con le spade ignude; entrano in Roma,
in palagìo, ave Otone faeea nobìl convito a principali donne
c uomini: i quali andaron tutti sozopra, non sapendo se ciò

t mol/iccio. didiacciato: mslliccio riferi.ci a dI, e didiacciato a terreno>


Lal.: .. "umido die et 401,,~o /f.l"• ..
:l'rllcolltcndol 5tramunado a terra.
a da t .. tlII b6l1a, da reoi.lne a qualunquecolpo. Lal.: .. adpen", ict",
imp""etrabile••
IL LIBRO PRlMO DELLE STORIE;

era per proprio furor di soldati o tradimento d' Otone] 88


peggio lasciarsi pigliare il fuggire: or Iaceano il eostaate ,
or gli scopria la paura, e guardavanlo in viso. Esso, come
fanno gli insospettiti, spaurito, impauriva: e temendo del
pericolo de' senatori, più che del Suo, mandò capi pretoriani
a raddolcire i soldati; e licenziò incontanenteil convito. Ve-
dresti i graduati, gittate le insegne via, schifata ogni comi-
tiva di schiavi e d'amici, vecchi e donne, di notte correre
per le strade: pochi alle lor case; ma appiattarsi in quelle di
lor amici e partigiani i più mìnnalì,'
LXXXII. I soldati sforzano la porta del palagìo, cor-
rono all'apparecchio, domandano dove é Otone: fediscono
Giulio Marziale tribuno e Vitellio Satumino, capodi legioni,
paratisi avanti alla furia. Tutto è arme e minacce a' centu-
rioni ai tribuni a tutto 'I seuato. Pazi per sospetto e ciechi,
Don potendo aver collera con alcun particolare, la voleano
sfogar con tutti. Otone, contro alla degnità dell' imperio, si
rizò in so '1 letto, e con preghi e lagrime li rafl'renò aft'atica;
e tarnaronsi malvolantìer] al campo, e non senza aver fatto
del male. Lo di vegnente, come fusse la città presa, erano
serrate le case, le vievote, la plebe mesta, i soldati guarda-
vano in terra, pensierosi più che pentìti, Parlarono a ogni
squadra Licinio Procolo e Plozio Firmo prefetti: ciascun se-
condo sua natura, e brusco o dolce. La eonchiusion fu, che
si contasse fiorini centoventicinque per testa. All' ora Otone
8' ardi d'entrare in campo. Centurioni e tribuni gli fanno
cerchio, e gittate loro anni in terra, chieggiono riposo e sa-
Jute. I soldati conobbero lo scandolo, e disposti a ubbidire,
chiedevano essi gli autori della sollevazioue al supplizio.
LXXXIII. Otone, benché in tanto travaglio e diversità
d'animo de' soldati; chiedenti i migliori il gastigo di questa
insolenza; e il volgo e più, come chi gode delle sedizioni
ì

e garreggiamenti dell'imperio, stimolatiper garbugli e rapine


a guerra civile; stimando ancora non potersi un principato
di mal' acquisto, con subita modestia e antica gravità rite-
nere; e dubitando d'un sacco in Roma, e del pericolo del
senato, finalmente cosi parlò: Il Non vengo io, . compagnì
l ... /",1411, di umile e ',aua çopdi.iuoç.
46 IL LIBRO PRIMO DELLE STORIE.

miei, per accender in voi affetto verso di me, né coraggio


a virtù, che troppo vi abbondano; ma per pregarvi chenel-
l' una e nell' altro vi moderiate. Moveste il passato tumulto,
non per cupidigia o per odio (che hanno messo molti eserciti
in discordia), né per fuggire o temer pericoli, ma per bontà
soverehia, meno considerata che pronta; seguendo spesso a
ottime cagioni, se non adopri il giudicio, pessimi effetti.Noi
andiamo alla guerra. Vuol'egli il dovere, o le occasioni che
fuggono, che tutti gli avvisi si leggano, tutti i consigli si
trattino in presenza di tutti? È cosi bene, i soldatinou sa-
pere alcune cose, come saperle. L'autorità de' capi, il rigor
degli ordini vuole, molte cose commettersi a' tribuni e cen-
turioni in segreto. Se ogni fante ha da sapere il perché, si
perderà J'ubbidienza, e l'imperio dietrole.' Darassi per' que-
sto all' arme di meza 1I0Ue? imbratterassi le mani uno o due
sgraziati e briachi nel sangue del suo centurione e tribuno?
che più non credo inalberassero! nel passato spavento. Sfor-
zerà il padiglione del suo imperadore?
LXXXIV. «Oh, voi il faceste per me. Sl,ma quel
soqquadro e buio e confnsion d'ogni cosa, poteva voltarsi
contra di me. Che posson Vitellio e le sue lance" chiedere a
lingua' più che mali animi e menti, e sedizioni e discordie
tra noi? che il soldato non ubbidisca al centurione, né que-
stl altribuno? e tutti confusi, cavalli e fanti precipitiamo?
Ubbidienza, compagni miei, fa buon soldati, non curiosità;"
e quello esercito nella prova é fortissimo, che innanzi alla
prova sta qùietissimo. Abbiate voi "armi e quore: lasciate a
me il consiglio e 'j maneggio della vostra virtù. Pochi pecca-
rono: due ne punirò: dimenticatevi tutti voi altri di quella
bruttissima notte. Niono esercito senta già mai quelle voci
contro al senato: chiedere al gasLigo il capo dell'imperio, lo
splender .di tuUi i vassaJJi: non J'ardirebbero que' Germani
I didrole, dietro a lei aodrà perduto,
I jn.al!Jera$'ero~ infuriassero. Lat.: • i'l.Iani...,t.•
5 le sue lane«, i suoi ntellili. '
• chiedere 4 11"K'<4,ligai6ca _chiedere e.presumente ciò che li 'roneL-
he,. ed anche .. incontrar cosa alla nostra volontà sì eoaferme , che riù DOD
potrt:hh'elsere, se da noi l'avusimo seella.,. Spesso si un per modo avverbiale
colla prer. aJ come: • non potevati dir meglio a chiedere a liDgu~ ••
Il. LIBRO PRUlO DELLli; STOIUB: . 47
che Vitellio più che altri ci splgne.contre. E chiederanno i
veri italiani e la gioventù romana il sangue e la morte di
quei venerandi, con la cui luce e gloria noi abbagliamo
l'oscurità e l'infamia della parte vitelliana? Vitellio ha qual-
che nazione dalla sua: ha di esercito qualche Immagine; e
noi abbiamo il senato dal nostro: che vuoI dire, che qui sta
la republica, e colà j suoi nimiei, Credete voi che quesla
bellissima città consista nelle case e tetta e pietre am-
massate? Queste non hanno sentimento né anima: si gua-
stano e racconciano: l'eternità dell' imperio, la pace del
mondo, la. salute mia e vostra, pende da quella del senato.
Ei fu criato a buona stella del padre e fondator della nostra
città: da' J1l a'principi sempre continuò: rendiamolo anche
noi, come ci fu consegnato, immortale: perché di voi si fanno l
i senatori, e de' senatori i principi.»
I.XXXV. Punse e addolcì questo accomodato parlare i
soldati, e piacque la poca rigideza del punirne due soli; e
posaronsi per allora quei che non poteano esser frenati. Non
era già riposo in Roma, ma strepito d'armi e faccia di
guerra: perché i soldati, benché in pubblico niente moves-
sero, con tutto ciò sparsi per le case, travestiti codiavano I
tutti coloro che nobiltà, riccheza o altro splendore esponeva
a' pericoli; e credevasi esservi gente di Vitellio a spiare gli
animi de' partigiani. Onde ogni cosa era sospetta; ìnsìno alle
segrete camere ; ma fuora ad ogni nuova buona oria, si
cambiava animo e volto, per non mostrare o dottanza" o
poca aJlegreza. A mali partiti erano in senato i padri, con-
venendo tacere, e parlare cpn le seste;' e l' ·adulare era
troppo noto a Otone, stato pur or cortigiano. Variavansi
adunque ne' pareri, e di qua e di là gli storcevano, chia-
mando Vitellio nimico e parrìcida, Chi più cervello aveva,
ne diceva mali comuni; chi meno, i veri; ma tra le grida
I sifanno" nasrono.
I codifW""O. Codi"". vale, andare alla coda di uno; seguirlo .<li n.srosto
per upiara i suoi palsi.
S dDIt411~a" timore: voce antiquata, come dottare e ridottare per temere"
l'dflentn,.e,, che i Francrsi han serbalo lO redonter;
',,,,,./are COli le .$e.. te, parlare eon molta con.iderazione e misura. 11 ht.:
• "e eontlunaz si/entilln! ~ ne suspecta /ib,rtns. "'
JL LIBRO PRIIlO DELLB IITORlE.

però; e quando le voci di molti, o elisi padri con l'aU'ollarlli,


nascondevano·Ie parole.I .

LXXXVI. Spaventosi segni oltre a ciò erano rapportati


Cadute le briglie alla carretta ov' era la Vittoria all' entrare
di campidoglio. Uscita della cappella di Giunone un' ombra
d'uomo maggior che naturale. Rivoltatasi, di mezo di sereno
e quieto, la statua del divin Giulio nell' isola del Tevere, da
ponente a levante. Un bue in Toscana aver favellato: più
mostri nati, e allre ubble osservate ne' rozi secoli ancor
nella pace: oggi a pena vi si bada nelle paure. Portò bene
danno presente, e spavento di futuro, il subito allagamento
dèt Tevere, che alzato a dismisura rovinò il ponte sublicio:
e per quella materia tenendo in collo, I cavalcò non pure i
luoghi bassi e piani della città, ma i non più allagati. Molta
gente colla allo scoperto ne menò o affogò nelle case e bot-
teghe. La plebe affamò, non trovando da vivere, né da la-
vorare. L'acqua ferma intenerio le fondamenta: scolando
quella, rovinavan le case. Otonecome prima si rispiròdal
pericolo, s'ordinò per partire alla guerra: e trovato, per ca-
gioni di fortuna o di natura,chiuso campo marzio e la via
l1aminia, onde doveva passare, fu preso per segno di futura
rovina.
LXXXVII. Purgò con sacrifici la città; e fatto consi-
glio della guerra, perché i vitellianì tenevano l'alpi penine
e cozie e gli altri passi in Gallia, deliberò assaltare la Gal-
lia narbonese con forte armata e fedele, per aver fatti sol-
dati legionari gli avanzati al macello di Pontemolle, e te-
nuti In carcere da GaIba, e promesso agli altri soldo più
onorato. Rinforzò l'armata di coorti romane, de'più de'pre-
torianì, nerbo e fior di.tutto r esercito; alli stessi capi guar-
dia e consiglio. La cura dell' impresa diede a Antonio No-
vello e Svedio Clemente, primopilari, e a Emilio Pacense,
cui avea renduto il tribunato, tolloglida GaIba. Confidò l'ar-
f na.rcondeflano le parote. Valeriani: "Certi scagliavano iDgiurie vere, ma
Crail clamore e il frastuono di molte vod, o col horboglio dell, parole, l'UD COD-
lro 1'altro romoreggiaDdo.•
I lenendo In co//o: di.esi degli ingomhri ehe arrealano il corso delle acque
nei finmi; e cielfiume Ite..o ingomLrato. Il popolo 10leaDO UII in questo, senso
il ..erbo Incolla,.e~ or lnn.itlyo ora intransitivo: la Cruna Don lo registra.
IL LIBRO PRDlO DELI.. STORIE. .(9

mala ad Osco suo liberto, perché avesse l'occhio alla fedeltà


de' principali. La fanteria e cavalleria commise a Svetonio
Paulino , M.ario Celso, Annio Gallo. Sopra tutti confidò in
Licinio Proculo prefetto de' pretoriani. Costui nella milizia
di Roma valente, alle guerre non pratico, col mordere (che
agevole è) l'autorità di Paulino, il vigore di Celso, la prn-
denza di Gallo, maligno e astuto scavaIlava I i buoni e modesti.
LXXXVIII. Riposto fu in que' di neUa colonia d'Aquino
Cornelio DolabeUa in prigionia né stretta né dubbia, non
per peccato alcuno, ma per essere in listra t de' gran casati,
e parente di Gaiba. Menò seco Otone molli di magistrato,
gran parte de' consolari, non per aiuti o ministri della guer-
ra, ma sotto pretesto di compagnia. Tra gli altri L. Vitellio,
stimato come gli altri, né da fratello d'imperadore né da ni-
mico. In tame sollevamento ogn' uno era in pensiero e peri-
colo. Vecchi e nella lunga pace annighittiti i primi senatori;
infingardi e scordati di guerre i nobili, non soldati i cava-
lieri; più timidi, quanto meno si mostravano; aUri per ambi-
zioni sciocche spendevano in belle armi, nobili cavalli; altri
in grandi apparecchi di conviti, lascivi incitameoti, come
questi fossero solenni stromenti da guerra: i saggi brama-
vano pace e ben pubblico; i leggieri e male accorti, gonfia-'
vano di vana speranza: molli nella pace falliti voleano gar-
buglio, nel pericolo godeano sicuri.
LXXXIX. La plebe e 'I popolo incapace de' pensieri
pubblici, per lor grandeza, cominciava a sentir i frutti della
guerra: essendo ne' soldati colato tulto il danaio, rincarati i
tiveri; il movimento di Vindice distrusse meno; la città non •
corse pericolo, e la guerra fatta fuora tra le legioni e la Gal-
lia fu quasi forestiera. Dappoìehè il divino Agusto fermò lo
&fato de' Cesari, il popol romano non fece guerre, se non di-
scosto, a rischio e gloria d'un solo: sotto Tiberio e Gaio si
pali solo per la pace. Scriboniano contro a Claudio fa fuoco
di paglia. Nerone fu cacciato con le grida, anzi che con l'ar-
mi. Dove allolta le legioni e le armate, e, quel che di rado
f ICDPnllaf1t1} 'G[ll'i.nla9a, .opercbina.
I l/lira, li,ta. Per Cllcre /n lisl,n dc't:rnn casatl, l'ercbb era noverare
Ira le illUllr; familllie.
. ~ ~
IL LID1l0' PRIMO DELLE sroars.
avvenne, la guardia del principe e quella di Roma si con-
dussero a battaglie. Il levante e 'l ponente con loro forze a
tergo, t se avessero avuto altri capi, erano materia da guer-
reggiare un gran pezo. Avendo alcuno fatto scrupolo a Otone
del partìrsì prima che gli anciIi fussero riposti, non ne volle
udir nulla; perchè la rovina di Nerone fu il baloccare; e Ce-
cina già sceso dall' alpi il cacciava.
XC. A' quattordici di marzo Otone raccomandò a' padri
la republica, e fece a' ritornati da' confini di tutte le nerone-
sche condennagioni ancor non pagate dono giustissimo; in
apparenza magnifico; in effelto, magro; perché i fiscali non
le avean lasciate freddare.' Chiamò a parlamento, e al cielo
alzò la maestà di Roma e l'unione del senato e del popolo
nello eleggerlo. Della parte contraria parlò riserbato, dicen-
doli ingannati, anzi che contomaci: senza nominar mai Vi-
tellìo, o per sua modestia; o pur non volle dirne male in
quella diceria, per paura di se, Galerio Tracalo, che la com-
pose, maneggiando le cose civili d' Otone, come Paulino e
Celsole militari. E fu riconosciuto lo stile, per le molte cause
difese, pìen di parole e gran romore, come piace al popolo.
Levò il popolo grida e sconce Iaudi, solite, adulatrici e false:
quasi per Cesare lo dettatore, o per Agusto lo imperadore,
facevano a gara a mostrar affelto e divozione: non per paura
nè per amore, ma per un istinto servile; come avvien fra gli
schiavi, che ciascuno ha il sl10 fine particolare, poco curando
l' onor del pubblico. Otone partì, lasciato Salvio Tiziano suo
fratello al gcwemo della città e dell' imperio. .
• /ll"'d~t~. 'l p.~~~t~ IO, LI beli.... di quella immlgi... Ipparilee più
Ipieeltl nelluto. Non era aneor certo (lpiegll'OreIli) l'IuII de'due, le I Otone
o Vilellio, inelinerebbesi l'oriente colle lne for.., oella Siril e oella Giudea 10110
Muciaoo e Vespasiloo, e parimente l'oceìdente eolio Brelagna, lo SpIgno, l'Af.
frica ee, Ben traducono il Bonrooufe il Lonlndre: .. l' .r/enl et r occid.nI a1'-
parallldi.nl en aeconde ligoe d~'C I.at~. l..... f.rc.., .. E il primo olsena:
.. Qu.U. b.U. et p'dnd~ ima,~ I dii F.rl.l: k. armi.. d'OI".n et d. l'i-
t.lli," marc"a~1 p.... I l 1....rter da", l.. pldln .. d~ r /tali~J ., d.rrièr•
•lI.. , r.ri...1 ~t .ccld.~1 pr~I'. dV" toNlU l.ur. Jorc .., c.nun~ d...",
chtJmplo... r.d._blee, " ."","." lic. pour la ."". q..,..U~••i .U. ,,'.fll
pae eli ~idi••1 pr.mpl...... t, ..
, ".n l. a~'d" ld'cial'freddar., le n'.rano aubilo IpproSUali I l'erloo
.tfreuati I rneoterle,
....
1st

IL LmRO SECONDO DELl,E STORIE


DI

GAIO CORNELIO TACITO.

SOMMA.RIO.

I. TIto spedito a GaIba, intesa la di lui morte, yolta strada. -II. V.


al tempio di Venere PaGa. - IV. Ivi istruito del futuro, pien di speme tona.
al pedre, che Gnito avea la guerra giudaica.-V. Indole e eostume di Vespa-
siano: costume di Mnciano: s'accordon '{\lesti deposti gH odi: indi n.on
ésca a guerre civili pel bollore delle legioni d'oriente.-VIII. Bori. d'n
finto Nerone ripressa da Asprcnale.-X. In Boma per friyolerie gran obi8lllO.
Vibio Crispo acensa Annio Fsosto come spis tinto egli della stessa pece. -
XI. Principii di guerra fouslo ad Otone, - XII. Soo soldalcsCB Iiremioèa in-
Gerisce contro gli Alpini e 'I mnnicipio Ventimiglis: egregia piet. di msdre.
XIV. Oste d' Otone che invade la provincia narbonese: IlIrre a' Titelliani iii-
fauste. - XVI. Pacario per trarre Corsica • Vitellio , da' Corsi è oeeieo.-
XVII. Oste Vitelliana in Italia. - XVIII. Cieca temerit. degli otOlliani.-
XIX. Sporinna fortifica Piacenza: indamo Cecina l'assedia; scioltola, n •
Cremoua.-XlIlI. Battaglia a Cremona felice agli otonisni.-XXIV. Agusti
di Cecina, contr' esso volli da Svetonio Paolino: il re Epifone pogna per
Otone: è ferito. - XXVI. Nell' incalzar il nemico non val mollo Paolino.-
XXVII. Valente in Italia: gran sedizione de' &taTi nel suo campol dal saggio
Alfeno Varo atlntata. Valente e Cecina con lor forze fan per Vitelbo, impove-
nodo Olone. - XXXI. Confronto d' Otone a Vitellio. Otone dibatle come dar
battaslia: cbi indugio consiglia, chi folle fretta, e prevale. - XXXIII. Con.
l'eggior conaiglio va con grao troppa Olone in Brescello. - XXXIV. Fingono
I vitelliani P"'" il Po, - XXXV. Searamuceia agli otoniani infanata.-
XXXVII. Vana yoce cl'un trattate di pace tra' dne eserciti per temenza e noia
de' pretendenti. - XXXIX. Tiziaoo e Proeolo da inetti piantano il campo a
quattro miglia oltre Ilebriaro: esitano snlla batlaglia. - XL. Otone ooiato,
impaziente ordina d'arrischiare.-XLI. Battaglia di Bebriaco.-XLIV. Fog-
1I0no gli otoniaDi: lor ira contro i doci. - XLV. Entrano i yiteUiani nel campo
de' Tinti: vinti e Tincitori in lagrime detestano la civil gnerra.-XLVI. Intesa
la rotta Olone, di ad risoluto} parla a soldati e amici che cercan consolarlo:
frena la nata sedizione; poi 81 dà morte: soldati al suo rogo r Decidono. -
i
L. Età, principii fama d' Otone. - LI. Sedizione rioata con lutlo e doolo
.lcll' armata.-l.1 . Gran parte di senato d'Olone amiea, in estremo rlsehio.-
LV. In tanto sobnglio, niente teme BOllla: godoOli fii spettacoli: odito morto
Otone, tutti per Vitellio.- LVI. L'armata vitton08a Sagello d' ltali~.­
LVII. Vitellio ode sua vittoria: l' nna Mauritania e l'altra va da lUI.-
LX. Uecidei eentnrioni pii .ddetti a Otone: i daci assoln. - LXI. Castigato
Marieo neo provarsi a forlona. - LXII. Gola e le~ di Vitellio.- LXIII. Uc-
ciso Dolabella. Licenziosa Triaria, modeste Galerla e Sestia. - LXV. C1nno
as.ollo.-LXVI. Legioni vinte inferocìscoao.Qaartadeeimani e Batavi in riaaa.-
LXVII. Onorato congedo a' Pretoriani. Lesioni sparH. - LXVIlI. Tnmulto
1S2 IL LIBRO SECONDO DELLE SrOBIE.

al Ticino, sedato da uuovo tllmlllto: rischio di Virgillio. - LXIX. Coortidi


Batavi in Germania rimandate: dim.embrale le coorti e gli aioti: il resto del.
l'armala guasto da lusso. - LXX. Vilellio in Cremona: visits avido il Be-
briaeese campo, insensibile a taoti eoneittadlni insepolli. - LXXI. lmils le
libidinì di Ncrone: i coosolati divide, - LXXII. Uo fioto Scribooiaoo pooito
di croce.-LXXIII. Orgoglio e tracotanza di Vitellio al sicorarsi dell' orieote.-
LXXIV. Vespasiano prepara a guerra. - LXXVI. Esila: l'asaoda, e sprona
Mociano.-LXXVIII. I reioosi anco degl' indovini: ara, e rispetto del Djo.te
e nume del Carmelo. - XXIX. Vespasiano gridato imperadore in Egitto
e 'n Soria. - LXXXI. Gli si danno Soomo, Antioco, Agrippa e Berenice re-
gina.-LXXXII. Consiglio di guerra: Vespasiano occopa l'Egitto: Tito insiste
solla Giodea. Mociano a guerra: accoglie danaro, di guerra nerbo.-
LXXXV. Legioni di Mesia e Pannonia datesi a Vespasiano, traggono le troppe
dalmate. Faci di guerra Antonio Primo, e Cornelio Fosco. -LXXXVII. Vilellio
vie sempre pigro e scostumato, con pesante e lnssorioea tr0l'pa a Roma s'ae-
C06Ia. - LXXXVIII. Dopo strage di soldati e plebe, entra in Roma come in
città vinta. - XC. Magnifica aringa di se sleaso. - XCI. Del divino e uman
diritto ignaroJ a certe popolari cose dà mano. - XCII. Cecina e Valente allo
cariche dell' Impero. - XCIII. Truppa oziosa e sfrenata in Roma, morbi e
morti. Soldaosi sedici pretorie coorti; quattro nrbane.-XCIV. Trnppa scarsa
e insolente; Vilellio, povero e prodigo. Ricchezza d'Asiatico liberio. Miseria
di Roma.-XCV. A gran pompa pnr si celebra il natal di Vitellio. Ei fa Pese-
quie a Nerooe.-XCVI. Mal reprime le voci sparse della diserzion Flaviana.-
XCVII. Chiamansi aioti, dissimulata necessità. - XCIX. Contro al nemico,
ch' entra in foria, esce Cecina. - C. Ma ordisce tradimento con Locilio Basse
ammiraglio dell' oste di Ravenna, e Miseno.

Àvvenimenti di poohi meli, 10110 i COllloli Gaiba Àugullo la leconda .,olla


e T. H7Iio utc"i.

. IsollilVili
C07ll01i.
I
M. S1LVIO OTONB AUG.
L. S1LVIO OTONB TIZI1NO.
'1" J L. V,BG,N,O RUFO la le-
S oli. u~h conda "olia.
An. di R. DCCCUII. (di Cr. 69). Co,nol>. POMPBO VOPISCO.
SOl li lUUi
, ConIOIi.
I CELIO S1BINO.
T. FLAVIO S1BINO.
,Sodilu!ti
Comol>.
l T. ABBIO ANTONINO.
P. MARIO CBLSO.

I. Ordiva la fortuna in diversa parte del mondo, prin-


cipiì e cagioni d'altro travasamento dell'imperio, variamente,
alla republica, lieto o atroce; a' principi, felicità o rovina.
Tito Vespasiano fu dal padre mandato ~ Giudea a Galba ,
ancora regnante, per fargli servitù, e per esser in età da
chieder onori. Ma il popolo che vuoI cicalare, il faceva chia-
mato all'adozione, vedendo il principe veechìo e solo, e non
potendo la citta astenersi di non dare a molti il principato,
IL LIBIO RCONDO OBUB 1T0118.

sinoa che non è dato. Tanto pm che il giovane era per na-
lura d'ogni grandeza capace, beUo, con una certa maest!;
le cose di Vespasiano prospere; in Cavore i ri8poDsi, e la
Cortona che, negli l!-nimi inclinati a credere, val per tatto.
Gionto in Corintn, città di Acaia, ebbe avvisi certi della
merte di Galba, e gli era detto che Vitellio era armato, e
Caceva guerra: dal che travagliato, Cece con pochi amici con-
siglio di totto. «S'io seguito il viaggio di Roma, preso per
allri onorare, chi me ne saprà grado'! sarò statico di Vitel-
lio o d'Olone. S'io torno addietro, oll'endo al certo chi vin-
cerà, mentre se ne dubita: se mio padre s'accosterà a ono,
io figlioolo sarò scosato: se cercherà l'imperio per sé, che
importa oll'endere, se si tratta di guerra'! »
II. Dibattato per tali discorsi da timore e speranza, que-
sta superò, e tornò indietro. Alcani dissero per martello l
della reina Berenice. TIgiovane non le voleva male, ma non
lasciava le Caccende perciò: Ca giovane allegro e di piaceri:
più modesto neU' imperio soo che del padre. Costeggiate
adunque l'ACaia e l'Asia e la banda sinistra, navigò a Rodi,
in Cipri; indi più ingolfato, in Soria. Vennegli disio di visi-
tare il tempio di Venere in paro,' celebrato da'paesani e
da'Corestieri. Tedio non fia dir qui brevemente l'origine di
questa divozione, il sito del tempio, e la Corma della dea,
dift'erente da quella degli aUri luoghi.
III. L'antica memoria Ca il tempio edificato dal re Ae-
ria: I alcano dice che questo è il nome di essa dea: la moderna
Cama è che Cìnara ' sagrò il tempio. Venere, nata del mare,
quivi arrivò: la scienza e arte dell' indovinare vi portò Ta-
mira di Cilicia; con patto che i discendenti saoi e quei del
re governassero la religione. Poscia, perché i reali avessero
d'onore alcun vantaggio da' Corestieri, qaesti cederono a
• pero m",./ello, perebè martellalo dall' amore.
I Ciu. doli' ilola di Cipro.
, .I.,.,,,. Vedi An. III, 6S•
• Ci..,,.,,. Elicbio lo dice 6glio di Apolloe di F.rnaet. Omero (lliad., XI,
JO)dice ch'.gli dODò ad Ag.m.aaoa. aaa Ieriea ,
••••••••• QDlDdo etrepitose In Cipro
Cone I. ramI. che l'Ac:bha armatI.
V_ Troi. epl.su do... J...le.
(IIonl·1
:iO

.
114 IL LIBRO SBCOl'lDO DaLLB STOBla.

quelli la scienza porlalavi. Non risponde se non sacerdote


del sangue di Cinara. Animale non si sagrifica se DOn ma-
schio: credesi che le viscere de' capretti m06trino il verissi-
mo. Non è lecito versar sangue in su gli altari: porgonvipre-
ghi e fuoco puro: sono scoperti, e non vi piove.La immagine
della iddia è, non in forma umana, somigliantissima a piI&-
mide tonda. La ragione è occulta.
IV. Tito, veduti que' ricchi doni de' re, e miracoli che i
Greci, vaghi di antlehità,' fingono nell'oscurità de'tempi, si
consigliò la prima cosa del navigare; e udito che il viaggio
era aperto, il mare tranquillo, domandò per modo coperto
di sua ventera, e molti animali sagrificò. Sostrato il saeer-
dote, vedute l'interiora belle, ben disposte, e che la iddia alle
gran domande inchinava; gli rispose poche cose e geoerali,
e chiamatolo al segreto, gli aperse quantunque I doveva avve-
nirgli. Giunse al padre e aUe provincie, e agli eserciti sospe-
si, tutto ìncorate e pien di speranze.
Vespasiano aveva finita la guerra giudaica, solo re-
standoli sforzar Gierosalemme; opera dora più per la gente
bizarra 8 e ostinata nella sua fede, che per aver forze. Te-
neva egli tre legioni, come dicemmo, • esercitate in guerra,
e Muciano quattro, state in pace: ma per la gara e gloria
del vicino esercito, non pigre. E quanto s'eran quelle ne' pe-
ricoli e nelle fatiche assodate, tanto queste per lo riposo, e
nullo scemamento per guerra, rinvigorite: forniti ambi di
cavalli, fanti e navi d'aiuto, e di amici re:' di fama eguali,
di qualità diversi.
V. Vespasiano era soldato feroce: il primo in battaglia
ad accamparsi contro al nemico: di e notte mulinava, e me-
nava, bisognando, le mani: mangiava a casos vestiva poco
meglioche soldatello: pari a' capitani antichi, levatone l'ava-
rizia. Mueiano, per lo contrario, facean grande la magnifi-
l di anliehllà, di antiche favole, nelle quali io.olgevano la propria origine.
t q"a"liUlq"e, qualnnque COI••
I per/agenlebiaarra. Lègge: .. ob ingenltunmenlll{illartun geall"m).•
Ma il Mediceoha ..moalil, .. e inteodeaidel gtUppo de'quattro colli su cui è pOlta
Gerusalemme, due miuori,l' Aera e il Ba.elhal due maggiori,i1Sion e il Moria.
I dicemmo I lib. I, ro,
5 di amici re; cioè Autioco di Cilicia, Agrippa di Giudea, Soemo de'So feDi.
IL uno SEGONDO DBLLI sroRIE. 1111
eensa, Ja richeza, ogni cosa da maggiore che privato: più
Ilio era al parlare, disporre, provvedere: perito de' negozi
eivili: le vi.rtlì d'ambi ceagìunte, schiumate de' vizi, I fatto
ameno alllrillçipato ottimo temperamento. Govemaqdo que-
lII.i la SoFia, 'luci la Giudea, y' era sempre ehe dire per la vi-
ciuaaza e invidia. Per la morte di Nerone diposti i raaeon,
incomiooial'O ad accomunare i consigli: prima per via d'ami-
ci, poi per mezo di Tito i il quale tra .lore nettò ogni ruggi-
ne; sapendo per natura e pet' arte ancora i costumi di Muciano
addolcire. Guadagoavansi tri~UIli, ceaturionì e soldati, {lCr
industrie, lìt:enze, virtq, piaceri, secondo le nature.
VI. Prima che Tito anivasse, l'uno e l'altro esercito
avea giurato per Olone: per~hè le nuove volano, e la mac-
china della guerra civ.ile ~a tarda a muoversi nel levante,
stato taRlo seDia; essendosi quelle gran guerre tra' cittadini,
in Italia e Gallia comiuciate con le forze di ponente; e a
Pompeo, Cassio, Bruto, Antonio che tiraron la guerra ciyiìe
oltre mare, male Ile incolse. Cesari in Soria e Giudea, vi
s'eran più uditi che visti: legioni sollevate non mai: a' Parti
solamente fatto paure, e con varia fortuna. L'ultima guerra
civile travagliò llgIl' uno: in levante fu salda pace, e poi fede
a Gaiba. :Ma adendosi all' ora Otone e Vitellio eon iscelerate
armi fare delle cose romane a chi più tira; I quei soldati,
perdlè agli altri non toécassero i premi dell'imperio, e a loro
la necell&ita del servire, cominciarono a fremire e riguardar
le loro forze. Selle legioni pronte, e con grandi aiuti la Soria
e la Giudea: l'Egitto congiunlo con due legioni: quinci la
Cappadocia e 'l PontI,)- e le frontiere d'Armenia: l'Asia con
l'altre popolate provincie e danarose: quante isole ha il mare:
esso mare alle provìsìoa della guerra atto e sicuro.
VII. Questo impeto de' soldati era noto a' capi: ma l'at-
leader il fine de' guerreggianti,8 parve. vantaggio: « Perché

I
I leI._I. Ile' .,.1. purglU dii vizi.
Ftlr'e ••l11 pii 'irti) qui ligoi6co •ror. o chi più rubo., secondo il
Ialo che Il• • rtl""" Ire•• Mo Dell'wo COIIIlllle, Far. d'"".. C084 .. c"i più
li... ~ ID P.r. fI ti,." ti,.", v.le CDft'f'fI,,,,,,.UtI 9;V'''''Dd ••
S il/.. d.' "."rr.",.,,". Lesse' .b.ll4 ~/If".~ Altri lemplicemeo!e,
• "eli_.•
lS6 IL LIBRO SECONDO DELLE STORIR.

facessesi' la fortuna vincere Otone o Vllellio, che monta?


sempre macchina il vinto contro al vincitore: e leprosperilà
fanno ancora i buon capitani insolenti. Esser questi due di-
scordi, trascurati, morbidi, e per lor vizi, uno n'estingue-
rebbe la guerra, l'altro la vìttorìa.» Serbarono adunque l'ar-
mi all' occasione consigliatisi Vespasiano e Muciano allora.
Gli altri prima tra loro: i migliori per lo ben publico; cac-
ciati molli dalla dolceza del predare: altri per lo male stato
di lor casa. Così tutti, buoni e mali, per cagioni diverse, con
pari affetto bramavan la guerra.
VIII. In questo tempo l'Acaia e l'Asia ebbero falso spa-
vento, che Nerone vi comparisse; essendosi la fine sua detta
in più modi, tanti più lo fingean vivo, e credeanlo. Nel corso
dell'opera diren' degli altri. Allora uno schiavo del Ponte, o,
come altri dicono, libertino d'Italia, ceterlsta e cantore, che,
oltre al somigliarlo, fece più creder l'inganno, con certi trnf-
fatori sperduti," con gran promesse ammaestrati, entrò in
mare: e per tempesta battè in Cìtno isola: ove con certi sol-
dati venuti di levante s'unì, e quei che non vollero ammazò:
spogliò i mercanti, e li schiavi più robusti armò. Sisenna cen-
turione, che portava le destre (segnale di concordia) dall'eser-
cito di Sona a' soldati pretoriani, tentò con varie arti in ma-
niera che, per non v' essere ammazato, s'ebbe a fuggire del-
l'isola di nascoso. Quindi si sparse il terrore, e quel gran
nome molti svegliò, per desiderio di cose nuove, e odio delle
presenti.
IX. La fama, che ne cresceva ogni dì, fu per caso estin-
ta. ACalpurnio Asprenate, Governator di Galazia e PanfiIia,
fallo da Gaiba, Curon, per suo passaggio, date dell' armata
di Miseno due galee. Con esse afferrò a Citno, Ove a' capitani
delle galee non mancò chi disse, che venissero a Nerone.
Egli con mesto velto , invocando la fede loro, già soldati suoi,
li pregava che lo ponessero in Sorta o Egìtto, Essi per dub-
bio, o per inganno, dissero che ne sarieno con gli altri sol-
I PI"C"~ facess esi eco Dati: • Molto non importa .. qull de' due la COT-
tUDI facease rimanere al sepra, o Vitellio o Ottone ...
I diren.l direno, per diremo•
• sp.rduti. Lat.: • inopia ~agol .•
IL LUBO ncoMlO DELLB STOBUL

dali, e tomerieno con la risoluzione. Ma riferiro il tutto con


fede ad Aspnmatei per cui consiglio il navilio fu preso, e
colui, chi ch' e' fosse, ammazato. Il corpo, di belli occhi e
chioma, e volto fiero, fu portato per l'Asia a Roma.
X. In queDa città discordante, che per li spessi mutali
principi non sapea se era libera, o senza freno, di cose an-
cor menome si faceano gran romori. Vibio Crispo per da-
nari, potenza e ingegno, tenuto tra i chiari più che tra'buo-
ni, voleva che l'accusa d'Annio Fausto cavaliere, stato spia
di Nerone, si vedesse in senato, secondo il decreto da' padri
ultimamente fallo a tempo di Gaiba. In alcuni si era osser-
vato, in altri no, secondo che il reo aveva danari o favori.
Cercava Crispo in tutti i modi di sprofondar questa spia di
sno frateUo, e vo}ti aveva li più de' senatori a condannarlo
senza disamina o difesa. Appresso ad altri, per lo contra-
rlo, nulla più al reo giovava che la soverchia potenza del-
l'accusante. « Odansl (diceano) l'accuse, deasi tempo alla
difesa, come s'usa al più tristo uomo del mondo,» Otten-
nero tempo pochi dl: e Fausto fu dannato, con meno appro-'
vazione deUa città che non meritava l'uomo pessimo; ricor-
dandosi che Crispoaveva esercitato i medesimirapportamenti
per danari; e dlspiaceva non il supplizioma l'autore.
XI. Lieto principio alla guerra diedono a Otone gli eser-
citi mossisi di Dalmazia e Pannonia, come e' comandò.
Quattro legioni erano: dumila di loro mandati innanzi; e
seguitavano con piccole distanze, la settima falla da Gaiba,
}' undecima e tredicesima, vecchie; la quaUordicesima fa-
mosa, che soppresse la ribellione di Britannia, scelta a ciò
per sua gloria da Nerone per la più alla; perciò a lui fede-
lissima, e rivolta con l' affetto a Otone. La confidenza in
loro possanza e forteza lo faceva più lento; e innanzi alle
legioni passavano gli altri fanti e cavalli. Di Roma uscivano
forze non poche. Cinque coorti pretoriane, le insegne de'ca-
valli, con la legion prima: dumila accoltellatori; laido ri-
pìenoj ma nelle civili guerre adoperato ancora da' capitani
severi. Annio Gallo condottiere di queste genti fu mandato
con Vestricio Spurinna innanzi a pigliare le ripe del Po, per
esser già Cecina contro al primo disegno di. tenerlo entro le
liB IL LIBRO SECONDO DELLE STORIE.

GaUie, sceso l'Alpi. La persona d' Olone in mezo a guardia


eletta, con gli altri pretorìanì , vecchi e pratichi, e gran nu-
mero dell' armata camminava, non con agio e pompa, ma
in corsaletto, innanzi alle insegne, a piede, sncìdo, arruf-
fato, contro a che aveva nome.!
XII. La fortuna per giuoco l' impadroni con le forze di
mare di quasi tutta Italia fino appiè dell' alpi marittime;
avendo di tentarle e pigliare la provincia nerbonese dato
carica a Svedio Clemente, Antonio Novello, Emilio Pacense,
Ma questi alla licenza de' soldati cedè. Novello non aveva
autorità. Clemente per ambizione lasciava i soldati esser
licenziosi; e di combattere era troppo avide. Non pareva
che andassero per Italia lor patria, ma per paese straniero,
ardendo, rubando, guastando nimiche città, tanto più atroci,
quanto meno aspettati. Era ancora la ricolta sopra la terra,
le case aperte; andavano loro incontro i padroni con le
donne e figliuoli con sìenrtà di pace, ed eran sopraggiunti
.da' mali della guerra. Teneva l' alpi vicine al mare Mario
Maturo proccuratore. Costa! con la gioventù, che v'abbonda,
volle cacciare di Provenza gli otoneschì, Ma furono al primo
assalto sbaragliati e uccisi gli alpigiani ragunatiecì, non d'or-
dini, non di capitano nè d' onor di vìttoria o vitupero di
foga conoscitori.
XIII. Accaniti per tale affronto i soldati d' Otone, 'e
non vedendo guadagno a combattere con poveri villani, con
armi vili; a pigliar impossibili, per lor velocità e pratica di
que' greppi; voltaron \' ira sopra Ventimiglia, e con le cala-
mità di quelli innocenti saziarono l'avarizia. E feceli più
odiosi il nobile esempio d'una femmina di Liguria, che na-
scose.Il suo figliuolino: e credendola i soldati aver con elio
nascose i danari, la domandavano con tormenti, ove avesse
appiattato il figliuolo: ella mostrando il ventre disse: cc Qua
entro: » nè strazio, nè morte la spuntò da quella valorosa
parola.'
XIV. A Fabio Valente giunsero affannali messaggi, che
j contro a che alleva no",e .. contro a quelle che dieta di lui la fama.

, la .punCò da '1ft.ila valorosa parola, polè fare che eli. dice..e di.er-
IImente, o ceuasae da quel valorosoparlare.
IL LmBO SECOllDO DELLE STOBIB. 89
l'armala d' Otone pigliava la nerbonese, I già giurala a Vi-
tellio, e ambaseiadori I di quelle città a chieder llOCCOrBO.
Ifandovvi sotto Giulio Classicodue coorti de' Tungri e quattro
bande di cavalli e tutti i cavalli treveri: parte ne rimase iD
Fregius, acciocché mandaudOBi tutte le forze per terra, non
sopraggiugnesse loro l'armala del nimico, non ellllendo guar-
dato il mare. Dodici frotte di cavalli e un fiore di fa~ti, con
una coorte di Liguri, antica guardia del luogo, e ctuquecento
novelli Pannoni sfidarono il nimico; il quale llenza iudugio
accettò. Ordioaronsi in questa guisa. Tenevano le colline in
su 'l mare parte de' soldati d'armata mescolati con paesani;
il piano tra i colli e 'l mare, pretoriani. Nel mare i vascelli
accostati, e volti a terra stavano pronti minacciando. I Vi-
telliani forti di cavalli più che di fanti, mettono gli alpi-
giani sopra i colli, le coorti con le me serrate dietro a' ca-
valli. Le frotte de' Treveri male accorte si presentarono al
nimico, e turono da' soldati vecchi ricevute; e co' sassi in-
contanente le percosse per fianco una mano di paesani from-
bolieri ottimi, che mescolati tra' soldati, facevano nella vit-
toria le stesse prove si i codardi come i valorosi. E per più
terrore, que' di mare gl' investirono alle spalle; e cosi cir-
condati, erano disfatti tutti, se la notte non copriva i fuggenti.
XV. Non quietano i Vitelliani perciò; chiamano aiuti;
e'I nimico, per lo successo negligente e sicuro, assaltano,
Ammazano le scolte, sforzano il campo,e l'armata spaven-
tano; sinchè gli otoniani, ripreso animo a poco a poco e di-
fesi da un coDe vicino, corrono loro addosso. La strage fu
atroce; i capitani tnngri, tenuta un pezo la puntaglia,' op-
pressì caddero. Né senza sangue vinsero gli otoniani, per-
ché, per troppo oltre seguitar i nimiçi, da certi cavalli che
rivoltaron faccia, furono circondali. E quasi fatto tregua,
perché l'armata di qua e l cavalli di là non si Infestassero,
si ritirarono i vitelliani in Antibo terra della provincia ner-
bonese, e gli otoniani in Albenga di Liguria •.

• la "erb""el. C"ottinUD<!i) prOl1I"cill.


I e IImblllcilldorl, cioè l • gilHllero amlaciltOTi.
• p,mt4gllll, combattimento. T."er la ",."t4glia, teDer il fermo l non ce-
dere diaanai el nemico. Lat •• • I,.,te"ill'" 1Ic/""••
GO IL LIBRO SECONDO DELt.B STORIB.

XVI. La Corsica la Sardigna e l'allre vicine isole, alla


fama che l'armata avea vinto, tennero da Otoae. Ma ebbe
a rovinar la Corsica la temerilà di Decimo Pacario procura-
tore; che per odio d' Otone voleva pure con le forze de'Corsi
dare a Vitellio aiuto, in tanta macchina di guerra ridicolo,
quando bene gli fusse riuscìtor ma gli tornò in capo.' Aperse
suo concetto a' principali isolani: e perché Claudio Firrico,
ammiraglio di quelle galee, e Quinzio Certo, cavalier roma-
no, ardirono di contraddirlo, li fece ammazare. Spaventati
que' che presenti erano, con tutta la turba ignorante e tre-
mante, giurano fedeltà a Vitellio. Ma come Pacario cominciò
a scriverli per soldati, aggravare quella gente roza neIli nfìcì
della' milizia; fatiche non usate abborrende, s'avvidero d'es-
ser deboli, e in isola: la Germania, e forze' lontane; sac-
cheggiati e guasti dall' armata ancora i difesi dalle coorti e
da' cavalli: e subito rivollati, ma' occullamente, presero il
tempo. E quando fu Pacario da que' che lo corteggiavano
lasciato nel bagno ignudo e solo, ammazano lui e loro, e
portano le teste come di nimici a Otone, E non n'ebbero né
da lui premio, né da Vitellio gastigo, essendone in quella
confusione de' più sceleratì,
XVII. Avea già rollo la guerra in Italia la cavalleria
sìllana, come dicemmo, 3 e niuno favoriva Otone: non per
volere anzi Vitellio; ma per aver la lunga paceogn' uno av-
vilito a lasciarsi cavalcare, o migliore o peggiore, da chi
prima giugnesse. Arrivarono le genti avviate da Cecina,
onde l'armi di VileIlio tenevano tutte le pianure e cillà dal
Po all' alpi, il fior dell' Italia. Presero intorno a Cremona la
coorte di Pannonia, e tra Piacenza e Pavia cento cavalli e
mille soldati di mare: cosi furon padroni del Po e sue ripe i
vitelliani. Il qual Po a certi Batavi, e d'ollre Reno' mosse
vagheza di passarlo drimpello Piacenza, ove presero al-
cune guardie, con tanto spavento degli allri, che riferirono
falsamente esservi comparito Cecina con tutto l'esercito.

I gli tor"ò /" Ctlpo, tornò a lUO daDDo.


I for.e, le fone delle legioDi.
I dicemmo; li'" l, Cip. 70.
• e d' ollre Re"o, e alle geDti d' ollre ReDO,

h
n. LIBRO SECONDO DELLE STORIE. 61
XVIII. Sporinna, che teneva Piacenza, sapeva non esser
vero, e voleva, se si accostasse, non uscire, nè avventurare
tre coorti pretoriane e mille soldati d'insegne con pochi
cavalli, contro a un esercito di veterani. Ma que' soldati no-
velli e sfrenati, ritte le insegne e bandiere, saltan fuori: al
capitano che vuoltenerli, voltan le punte: sprezano i centu-
rioni e tribuni: gridano esservi tradimento: è Cecina chia-
mato. Spurinna seguitò lor pasta, prima per forza, poi finse
di consentirvi a fine di persuaderli con più autorità, se si
mitigassero.
XIX. Giuntialla vista del Po , e facendosi notte, parve
da porre il campo. Questa fatica non usata, a' soldati della
cUtà tolse animo, e ripenlivansi; e mostravano i più posati,
a che pericolo si mettevano d' essere inghiolliti si pochi in
pianura da Cecina con tanto esercito. E già per tutto il
campo parlavan meno allieri, frametlendosi i centurioni e
lriboni, e celebrando lo gran vedere del capitano d'avere
scelto per forteza e piaza di tulta la guerra quella forte e
ricca città. Spurinna non tanto rimproverò, quanto con le ra-
gioni mostrò la lor colpa, e tutti, dalle spie lasciatevi in poi,
li rimenò in Piacenza meno fastidiosi e più ubbidienti. For-
tiieò le mura, fece bertesche, I alzò torrioni, vi provvide
l'armi, e misevi la' riverenza e voglia d'ubbidire; di che
quella parte, per allro valorosa, mancava.
XX. Cecina, come avesse dietro all' alpi lasciata la li·
eenza e la crudeltà, passò per l'Italia modestamente. Superbo
parve aUe terre e città col dare alle persone togate udienza
in saio di più colori, e braconi alla barbara. E Salonina sua
moglie, benchè a niuno nocesse, offendeva cavalcando so-
pra nobil palafreno coverto di porpora: vedendo noi per
nalura la nuova fortuna altrui con mal occhie, e niuni esli-
mando doversi moderare più di quei che già ci vedemmo
ell.uali.' Cecina passò il Po, e' con trattato e promesse tentò
~li otooiani nella fede; e fu lenlato altresì: andaro aUOTn6

• "~"I"d/e, prcpugnacolij ripari guerrnchi lulle mura e lune torri,


I Dati: • E Datura)e degli uomini rimirare con malocchio l' altrui fft.rl
f~Jiddll. e .opra tutto deliderare esser ridotti OlI 5t"gno nelle lor Irandezat (corar
rOla a Ior deLita) colore i quali già ,.eduti hanno in ist~to eguale 3 le .•
Il. 6
6! IL LlBBO SECONDO, DELLE STORIE.

paroloni di pacee! finalmente si diede tutto allo aver Piacenza


con ogni sforzo e terrore; sapendo che i primi successi da-
rieno al resto reputazione.
XXI. Passò il primo giorno, con più furia che sapere.
l'esercito di vecchi soldati," Andaron soUole mura scoperti,
sprovveduti e pieni di cibo e di vino. In quel conflitto arse
il bellissimo anfileatro fuori delle mura, perle fiaccole e
palle e fuochi lavorati. tratti iunanzi o in dietro. Credettero i
terrazani sospettosi, alcune vicine terre avervi portato escbe
per invidia di quell' opera, la più capace d' lIalia. Il male
onde 3 si veuìsse, duranti le atroci paure, parve feggieri:
passate queUe, illllaggiore ch' e' potessero avere. Cecina con
molto sangue de' llUOi fu r.gittato. La notle s'attese a pron'e-
dere. Ivitelliani, tavolati, graticci, eopertoì e difese, per le
mura rompere, e zappare: gli Otoaìauì, travi, cantoni, piombi
e metalli, per li nimici infragoere, e le opere fracassare.
Stimotavali da ogni banda vergogna, gloria, diverso eseetare
e aggrandire; di là, le legiOlli e'l poderoso esercito di Ger-
mania; di qua, la sovraaa milizia guardatrice di Roma e del
principe. Quelli Il questi diceano « soldati da chiocciole: e da
meriggiare ne'teatri: II e questi a quelli, «forestieri e v~bon­
di:» e d'Dtone e di Vilellio contandosi le glorie ~ glì obbl;O-
bri, molto più s'aizavano.
XXII. Appena era di, che le mura fur piene di dìfen-
ditori; la campagna luccicante d'uomiBi armati: le legioni
insieme serrate: gli aiuli sparsì tiravano frecce o sassi alla
cima delle mura: assalivano ove erano dal tempo rotte o non
gaardate. Gli otoniam di sopra, più grave e diritte lanciol-
lavano: i Germani temerariamente eoa orrido camo sol-
tentrando, e li scudi a loro usaoza sopra gl' ignudi oraerì
percotendo. I legionari sotto le dette cepertare zappano la
muraglia: fanno trincea: spezan le porte. Gli avversari all'in-
contro roresciaao loro addosso condotti massi, CÀe con gran
I parolo,ti di PII.Ct. Lat. : • patr re c01Icordia\6peciori8 et i,..riU. nomilli-
"'U iadaCff .""1.•
! Dali: • La prima gioruata i soldati vecchi più hravamente che ilIg<gao-
aameoLedieron l'assalto...
• onde, oadechè; da qualuaque luogo.
.. seldAU dA chiocciole , leOli c infingardi,
IL LI.IO SECONDO DILLI!. Snllll. 63
tonfi sfraeellano, conficcano, aJllDllccano: e la paura aeere-
scendo la strage (perché le mura fioccavano laD'o più), si
ritirarono con poco onore di quella parte. Ceeina per la Cama
e vergogna della male aualita Piaeeaza, e per non Carsi,
standesi più in qoel campo, aeeelìare , ripusato il Po, si di-
rizzò a Cremona. Nel soo partire gli si diedono Turùlio Ce-
riale con molti deD' armata, e Giulio Brigaatico con pochi
cavalli: questi Batavo, capilano d'una banda; quegli, di
primopilo, t a Cecina Doa discaro, avendo avuto in Germania
eompagnia.
XXIII. Spurinna, vedulo il nelllÌco partito, Piacenza di-
fesa, quaato s'era fallo, e Cecìlla volea Care; scri.lse ad A....
nio Galle. Venia questi COli la legion prima a soccorrer Pia-
cenza, c1ie nen s'arrendesse, per la poca geate , al Corte
esercito germano. Quando egli intese che Cecina n'era.cac-
eiate , e andava a Cremona, ritenuto a Catica l'ardore di
queHa legione, che voleva combattere insin per forza, si Cermò
a Bedriaco, : borgo lra Verona eCremoaa, famoso per due rotte
romaae, e malurloso." In qua'giorni Marzio Macro, vicino a
Cremona ebbe un po' di vittoria. Ardilo e presto passò i gla-
diatOl'i alf altra riva del Po: e quivi; rotli certi aiotiviteUiani,
lIoe' che fecer testa, e a Cremona non fuggirono, ammazò;
e rilornOllllene, perché aiuU DUO\'i non venissero, e voltasser
forluna. Di qaes&o fatto gli oloniani, che SeIDpnl eredevaae
e
il peggio, preser sospetto; subilameule a gara i più codardi
e linguacciuti danno' varie accuse ad ADlùo Gallo, Svetonio
Paalino e Mario Celso loro capi dati por da OtODe. Tra que-
ali gli ucciditcri di Gaiba, slromenli pessimi da soìlevamenti
e discordie, forsennali per la sceierateza e spaveato , metle-
vano il mondo sesoprai ora sparlando in pubblico, o scrivendo
in seerelo a Otone: il quale ad ogni vile credendo, e de'buoni
temendo, era nelle prosperità impacciato, ne' travagli mi-
gliore. Chiamò adunque Tiziano suo fralello, e fecelo gene-

l di p.imopilo, eapitano di primopilo.


I B,d,.;lI.co o Behriaco o anche Vetria('o, .lcuni credono che .ia 1'odirmo
Carrneto, .ltri ltl Birrtl, oltri Ullitlno, .ltri finalmenle S. Lo,.e1IlQ G,,,, ..eee.
I ",tll,uioso~ di triste augurio. La prima rotta la loccò Glone da Vitellio;
lo ~coDd •• Vittllio d. Vt.plliano, eome r.teontlli nel lib....lItntt. cap. U.
61 IL LIBRO SJ!CO:l:DO DELL E STOBlll.

rale della guerra, da Paulino e Celso in questo mezo gover-


nata oltimamente.
XXIV. Cecina, che si rodeva dell' esser tutte le sue im-
prese svanite, la fama dell' esercito menomata, gli aiuti am-
mazati, sé da Piacenza cacciato, e al di solto ìnsìno ne' più
spessi che notabili affronti de' rleonoscìtori, vedendo Fabio
Valente appressarsi, a fine che tutta la reputazione della guer-
ra non venisse in lui, sollecitava con più agonia che censi-
glio , di racquistarla, Nel luogo dello Castore, dodici miglia
presso a 'Cremona, imbosca i più feroci fanti d'aiuto lungo la
via; più innanzi fa passar i cavalli, con ordine che appicchi-
no scaramnccia , voltino le' spalle, per farsi correr dietro sino
al saltar fuori l'agguato. I capitani d' Otone il seppero: Pau-
lino prese cura de'fanti; Celso, de'cavalli. A sinistra furono
la legion tredicesima , qualtro coorti d'aiuti, e cinquecento
cavalli. Presero il ciglione della via tre- coorti pretoriane in
file serrate. A destra la legion prima, con due coorti d'aiuti
e cinquecento cavalli. Oltre a questi, mille cavalli pretorianì
e d'aiuti stavano alle riscosse, bisognando, e, per vantaggio,
vincendo.
XXV. Innanzi all' appiccar la battaglia, i vitelliani vol-
tan le spalle. Celso, che sapeva lo inganno, li lascia andare;
escono a sproposito gl' imboscati: vannogli addosso. Celso
cede passo passo, conducelì nelle forbice,' perché gli aiuti a'
fianchi, la legione a fronte, e (cavalli girando lor dietro,-
subilamente gli accerchiarono, Non fu sollecito a dar alla fan-
teria il segno della battaglia Svetonio Paulino, tardo per na-
tura, e vago anzi di andar cauto con ragione, che di vincere
a easojma fece empier le fosse, nettar la campagna, spiegar
l'ordinanze, sembrandogli aver ben tosto cominciato a vin-
cere, avendo provveduto di non esser vinto. Tale indugio
diede agio a' vilelliani a salvarsi in certe vigne intralciate
lungo un picciol bosco: ove ripreso animo, ammazarono i ca-
valli' troppo volonterosi, E fu ferito il re Epifane," che faceva
per Otone gran prove.
f coruìucelì nelle forbice; nelle inaidie , ne11!! imboseate.
2 i cnvnllì ~ i r.ayalleggieri pretoriani, ./
s Epifane" 6~lio ù' Antioco) re (Ic' Comageni.
IL LIBRO SECONDO DELLE STORIE. 611
XXVI. Allora la fanteria d' Otone si difilò, e mise a fil
di spada i nimici combattenti, e 'l soccorso in fuga; perché
Cecina col mandarne pochi per volta, e non tutti insieme,
gli sbraneè , indeboli, spaurì. Onde il campo si sollevò, e prese
Giulio Grato maestro di esso campo per sospetto di tradigio-
ne, trattata con Giulio Frontone, suo fratello, tribuno nel
campo d' Otone; ove per la medesima cagione anche egli fu
preso. Nel fuggirsi, nel rincontrarsi in battaglia, alle trincee,
per tullo fu si fatto lo spavento, che per comun detto dell'una
e dell'altra parte, Cecina era del tutto disfatto, se Paulino
non sonava a raccolta. Per non tenere, dicev' egli, a petto
a' vìtelìianì , riposati nel campo e freschi, li suoi consumati
per tanto cammino e opere, senza aver dietro soccorso alcu-
no. Ragione entrata a pochie! il popolo ne levò i pezi. 1
XXVII. Mise il danno de' viteUiani non tanto paura
quanto cervello (non pure a Cecina, che ne incolpava i sol-
dati suai pio pronti a sollevarsi, che a combattere; ma a quelli
ancora di Fabio Valente, già comparite a Pavia) a non farsi
beffe più del nimico; rieomperar l'onore, e ubbidire con pio
dovuta riverenza illor capitano; essendo accesa gran fiamma
di sediziene; la quale ora, perché i fatti di Cecina non erano
da tramezare, narrerò da principio pio alto.Gli aiuti batavi, che
noi dicemmo essersi nella guerra di Nerone andando in Bri-
lannia spiccati dalla legione quattordicesima, e congiunti con
Fabio Valente ne' Lingoni, udito il movimento di Vitellio, si
vantavano per li padiglioni superbamente d'aver fatto stare 3
i quattordicesimani: tolto l'Italia a Nerone: aver in pugno
l'esito di tulla la guerra. Cosa ingiuriosa a' soldati, aspra al
eapitano: essendo per le tante parole e contese, guasta la
buona milizia. E finalmente Fabio sospettò non passasse l'In-
solenza in perfidia.
XXVIII. Perché all' avviso che l'armata d' Otone avea
rotti i cavalli treviri e i tungri, e costeggiava la Gallia ner-
bonese; per buona cura di difender que1li amici, e per mili-
tare astuzia di spartire quelli Batavi scandolosi, e tutti in-
l Rngione enìraìa a poc1J;~ che pochi peraua~e.
2 ne lrvò; peaì.l De disse male.
:1 dO ave,. fatto stare; d'avere repressi, tenuti a Sf'8DO ee,
6"
66 IL LIBRO SECONDO DELLE STORIE.
sieme possenti, comandò a una parte che andasse a quel
soccorso. Ciò udito, e sparsosì, s'addoloravano gli aiuti, e
. fremevano i nostri « che l'aiuto di quei pratichi e fortissimi
vincitori di tante guerre fosse levato 101' in faccia delnimico
in sul buono del combatterlo. Se più vale Provenza che Roma
e la salute dell' im perio, corressono tutti là: ma se la sanità,
il nutrimento, il bene della vittoria stava nell' Italia, non si
tagliassono quasi i più forti nerbi di questo corpo. »
XXIX. Mandando Valente i sergenti per chetare quesli
orgogliosi, gli si vollan co'sassi; ei fugge: corrongli e gridangli
dielro, « che nascondeva le spoglie delle Gallie, l'oro de' Vien~
nesi, e'I premio di 101' sudore: saccheggiangli le bagaglie, i pa-
diglioni, frugano infìn sotterra co' dardi e aste. Egli s'acquattò
vestito da schiavo appresso a un decurione di cavalli. J.' ar-
dore alquanto ammorzò: e Alfeno Varo maestro del campo
v' aggiunse quest' arte: non fece andare i centnrioni a rive-
der le sentinelle: non sonar lrombe che i soldati chiamano
ai loro ufìcì, Onde si stavano a man giunte, gnardavansi in
viso balordi; e del proprio vedersi senza capo impauriti ehie-
devan mercè con silenzio, pentimento, preghi e pianti. Uscito
fuori Valente tutto brullo, piangente, e vivo fuor d'ogni cre-
dere, impazali d'allegreza, compassione; favore (come va il
popolazo da estremo a estremo.'), con mille, laudi e inchini
circondato d'aquile e insegne lo portano in tribunale. Esso,
con utile moderanza, di niuno domandò supplizio: e pochl no
garri, per non metter sospetto dissimulando; sapendo che
nelle guerre civili posson più i soldati che i capitani.
XXX. Fortificandosi nel campo a Pavia, odon 'la rotta
di Cecina, e rimonlano in collol'a contro a Valente, quasi
tenuti quivi a badalucco! malignamenle, perchè non fossero
a quella fazione. Non dormono, non aspellano il capitano,
vanno innanzi all' insegne, pingono gli alfieri, e corrono a
unirsi con Cecina: nel cui esercito Valente era lacerato
d'avergli lasciati sì pochi contro a tanti nimici, e freschi e

l come va il popola.o eco Vedi la nota al cap. 29, lib. I degli Annali, alle
parole: o 4.JSO o sei.
, tentcti ti b adalncco , tenuti a bada. Lat.r ti tnnrqnnm !ral4de et cl,n.
ctatìonibus Valentis prrelio drfi,;sscnt. JJ
IL LIBIO SBCONDO DELLE STORIE. 67
valol'OBi; magnificandoli per più scusa e men dispregio del-
l'essere stati vinti. E quantunque Valente avesse piu legioni
e aiuti quasi il doppio, i soldati nondimeno inchinavano a
Cecina, come più benlgao, giovane, alto di persona, e per
una cotal vana loro compiacenza. Onde si astiavano, e ride-
vansì, Cecina delle codardie e macchie di, Valente; questi,
della gonlìeza e vanità di Cecina. Ma celato l'odio, tiravano
a un segno; I ed a Otone scrivevan lettere vituperose senza
pensar a quel che poteva avvenire; quando i capitani d'Oto-
ne, che avevan che dire molto più di Vitellio, se n'astene-
vano. .
XXXI. Perché veramente innanzi che facessero la lor
fine, Otone egregia, e Vitellio sceleratissima, si avea men
paura de' vili piaceri di costui, che delli appetiti ardenti
d' Otone. Era questi divenuto tremendo e odioso per la morte
di Gaiba: quegli, dell'origine della guerra da niuno imputa-
to.' ViteUio era per lo ventre e per la gola nimico a se stes-
so. Otone-, con lo spendio, crudeltà e audacia, pareva alla
republica più dannoso.
Tosto che Cecina e Valente furon congiunti con tutte
le forze, non avrebbero differita la giornata. Otone fece
consiglio, se la guerra si dovesse trattenere, o provar la
fortuna. Parve a Svetonio Pauli no, tenuto lo più scaltro
guerriero de' suoi tempi ,appartenerglisi discorrere di tutta
la guerra; e conchiuse che a' nimici bisognava sollecitare, a
loro indugiare.
XXXIl. cc Essere l'esercito di Vitellio comparito tutto,
e poco potersene aspettare, per essere le Gallie sospette, e
non metter conto abbandonar la ripa del Reno, perché v'en-
trino nazioni tanto moleste: i soldati d'Inghilterra aver che
[are con que' nimici: essere il mare in mezo: 3 armi alIe Spa-
gne non avanzare: la nerbonese per le galee, e per la rotta
ancor tremare: l'Italia di là dal Po essere dall' Alpi chiusa,
& t;ra.,dJlO a l'n, ,ero" miravano a UD intento medesimo.
I da ";""0 imputato; pncbè it;Davissimo, nulla avrebbe osato da se, le
non fOSJe stato meno su da Fabio Valente e da Cecina , 'Yogliosi di far novità.
J _l,ere il mare jJl meao: il britaneicc esercito esser trattenuto quindi
dal nemico , quincj diill mare. Lat.r I l Britnnntcum "mi/Uem host« et mrrri di-
stineri, Jf
68 IL LIBRO SECOND6 DBLLE STORIE;

per mare non soccorsa,I e guasta nel passar solo dell' eserci-
to, che non ha onde cavar da vivere, e digiuno non può du-
rare: que' corpi calosci t de' soldati Germani, che sono i più
atroci e i più feroci che i nimieì abbiano, condotti nella sta-
te, non reggeranno alla mutazion del paese e dell' aria: -es-
sere molte guerre possenti e furiose, svanite per tedio e lun-
gheza. Essi avere all' incontro tatti i comodi, fede per tutto.
La Pannonla , Mesia, Dalmazia, co' loro eserciti non tocchi.
Italia e Roma capo del tutto, il senato e'l popolo, non mai
scuri nomi, 8 se ben talora UD poco rannngoiati: rìeeheze infi-
nite, pubbliche e private, e contanti, che nelle discordie cit-
tadinesche vagliono più che'l ferro: soldati di complessione
avveza all'Italia, o a' climi ca1di: difenderli il Po e sicure
città per mura e uomini; Piacenza difesa aver chiarito che
niana s'arrenderebbe. Trattenesse per tanto la guerra pochi
giorni sino all'arrivo della legion quattordicesima di gran
nome per sé, e con gli aiuti di Mesia; e se allora, fatto nuovo
consiglio, paresse, con le forze cresciute si combatterebbe. Il
XXXIII. Del parere di Pauli no fu Mario Celso: e cosi
consigliò Annio Gallo mandatone a domandare, perché era
poco innanzi caduto da cavallo. Otone voleva dar dentro: a
Tiziano 8UO fratello, e Procolo prefetto del pretorio, come Il
ignoranti, parea mill' anni; l e col dire che la fortunae gl' id-
dii e'l genio d'Oione cosi lo consigliavano e l'aiuterieno; con
folle adulazione tolsero animo di replicare. Risoluto il com-
battere, si disputò se l'imperadore doveva trovarvisi o 110.
Gli autori del mal consiglio lo spinsero a ritirarsi in Brescel-
lo; levarsi dalla fortuna, e serbarsi all'ultimo uopo, e all'im-
perio. Questo giorno fu la prima ~ovina d'Otone, essendo
seco partito il meglio de' pretoriani, cavalieri e alabardieri,
e caduto l'animo a' rimagnenti: perché i capitani eran so-
spetti, e Otone (di cui solo si fidavano i soldati, ed egli a lor
« non soccorsa, perché tutte le flotte erano per Olon~~
, corpi calosei; fiacchi J s6brati. Così più avanti, cap. 93: Que' corpi
(C

cagionevoli àe'Tedeschì e Francioaiç non sofFerendo il gran caldo, nel vicino Te-
vere si gittavano J e ammalavami. " .
J non mai .fCll.ri nomi. Più veramente e senza reUorica dice 10 storico (SI.
1,55): CI nomi già spenti del senato e popol romano. t •
.t. parea miU' an,,;; l'area sovercbio l' indugio, e insistevano di far presto.
IL LIBRO SEcmlDO DELLE STORIE. 6$1
soli dava credenza) avea lasciato in compromesso l'autorità
de'capi.
XXXIV. Ogni cosa sapevano i vileUiani da molti fuggi-
tivi che sono nelle guerre civili: e le spie, per volontà d\
spiare i falli d'altri, scoprivano i loro. E vedendo Cecina e
Valente il nimico armeggiare, saldi e attenti lo lasciavan (il
che è savìeza) far sacco nella stoltizia; I fingendo voler pas-
sare il Po contro a' gladiatori per un ponte, cominciato, per
non impigrire i soldati, di navi equidistanti incatenate con
travi, per resistere alla corrente; con l'ancore all'errate per
tenerlo fermo; co' canapi lunghi, per alzarsi col fiume quando
egli ingrossa; e con una torre in su l'ultima nave del ponte.
per tenere, sparando tiri; il nimico.discosto.
XXXV. Gli otoniani ne fecero on' altra in su la ripa, e
tiravano sassi e fuochi. Il fiume faceva un' isola: brigavano
d'enttarvi i gladiatori in barche: i Germani a nuoto passa-
vano loro innanzi. Macro vedendone passati molti, empiè le
barche de' suoi più feroci, e quelli assali. Ma non combat-
tono i gladiatori col coraggio de' soldati: e barcollando nel
fiume, non aggiustavano le ferite, come quelli a piè fermo
in ripa. E .cadendosi addossò rematori e soldati. qua e là,
spaventati diversamente, i Germani si gitlan nell' acqua:
atlaccansi alle poppe: montano in su le corsie: affondano i
vascelli in so gli occhi 11' ambi gli eserciti, con tanta alle-
greza de' vitelliani, quanta rabbia delli otoniani, che be-
stemmiando quella rolla e chi n'era cagione, ruppero i va-
scelli salvati, e finirono la battaglia con la fuga.
XX XVI. Gridavasi, « Muoia Macro; » e già ferito da lon-
tano di lancia, gli erano addosso con le spade; ma tribuni
e centurioni accorsivi lo salvarono. Non guarì dopo, Vestrì-
cio Spurinna, d'ordine d' Otone, lasciata poca guardia in
Piacenza, venne con le forze a soccorrere. E Olone diede
a Flavio Sabino, disegnato consolo, la carica di quelle genti
ehe aveva Macra: piacendo a' soldati questo scambieltar ca-

f lo Iasctavan .... fn;' sacco nella stoili&ia... aspettavano cb' 'Sli restasse at
)~io della sua medesima stoltezu.Lat.: _lIlienllm stultuiem opper;e!Jarttl"·.N
V~di ,,4.... , IV, 60; Slor.IV, .9. (
'10 IL 1.11180 SECOIlDO DaLLE STODE.

pilani; e i capitani ancora per taRle lItldiziooi pece si cura-


vano di sI falli carichi.
XXXVII. 'frol'O scritto che ambi gli eserciti, spaven-
tati della guerra o stucchi delle bnllte sceleraleze dell' UBO
e dell' altro principe, che si seopriV1lDO ogni dì più; pensa-
rono se fusse meglio che combattersi, accordarsi a fare essi,
o far fare al senato imperadore un altro; e perciò persuade-
vano i capitani d'Otone iltnttenersi e indugiare; speziaI-
mente Paulìeo, il più vecchie di quanti erano stati consoli,
famo!l8 guerriero, di gru riDOlllO e gloria per sue chiare
geste in Inghilterra. lo credo bene che qualcuBo in suo se-
greto desiderasse quiele e Don discordia; OD santo principe,
e non due sciagurali: ma nOlI già che Paalino, di lJ1Iella
(irudeJ!za, sperasse in quel corrottissimo tempo soldati lanto
modesti ehe, avendo turbata la pace per aver guerra, la-
seiasson la guerra per zelo di pace; né che eserciti di lin-
gue e costumi cosi strani e diversi, potessero a ciò conve-
nire, o que' Ior generali e capitani, che si eenuvanc ìn
maggior parte disonesti, poveri e seelerali, patire aUro
prineipe men tristo, e a loro DOn oW>ligato.
XXXVIII. L'antica e na'ural' ansietà ne' morlali della
petensa erebbé, e scoppiò con la grandeza dell' imperio.
Perché neDo stato piccolo v.vano agevolmenle l' onestoj
ma soggìegato il mondo, e spenlo le republiche e i re emuli,
poiché potemmo agognar rassicurate graBdeze, s~ aecesero
ira i padri e la plebe i priIni comballimenJi. Or tumttltua-
vano i trìbuaì , or prevalevano i consoli: nella città e nel
roro erano alzamenti a guerra civile. Indi G. Mario deH' in-
fima plebe, e L, Silla Ira i nebili crudelissimo, miseno vinla
con l'armi la liberlà iD tirannia. I E dietro a 101'0 Gn. Pom-
peo piu coperto, DOn migliore. Né mai più s'è trallalo che
d'esser principe. Non laseìaron r armi in farsaglia e ne' Fi-
lippi i IlOtdati de' nostri cittadini; non che deporle di volontà
gli eserciti d' 010De ti Vltellio, diseordantì per la medesima
divina ira, umana rabbia, e scelerate cagioni. E se quasi
a' primi colpi finiron le guerre di questi principi, abbiasenc
• m;'tHlo t'il"" COli ,. twfIIl. ec., eaaparoDo iD tiraliDia la li_tà yiata con
l'armi.
IL LDaO UCONllO DELLE 1\,T0IU1l. f1
grado aUa lor dappoeaggine.lla il riadare i vecchi e'..-.i
costumi mi- ha traviato. Ora 8llguito l'ordine.
XXXIX. Andalo Otone a BresceHo, il suo fratello Ti-
;duo comandava in titelo, e Pnoolo, capitan della guardia,
in effetlo. A Celso e Paolino, iutendentissimi, e da niuDO
adoperati, il nome VaDO di capitani addosSlva gli errori al-
trai. Stavano i tribani e' cent.rioni 8O&pelIi, veggendo, spre-
zati i valenti, gevenare 4pJeÌ da niente: i soldati gioivano;
ma volenD più testo cementar le commiSllia.i, CM eae«Uide.
QraUro miglia più i_nanzi a Bedriaco piacque ripiantare il
ca8lpe; Ili male inteso, che di primavera, COll tanti fiDali
intorno, pativan d'acqua. Qoivi si disputO del combattere.
Otone lo 8OIlecifa'fa per lettere: i soldati vi volll'Vano la per-
tlDDa &Oa: molli, clae ai lDf.edaase 1>flr le genti peste di li
tIal Po. Quello che n meglio eea fare, non può ceel ben gin-
dicanM; come càe il fau.e fu il peasimo.
XL. Call1tlliMesi in ordinanza più da viaggio che de
~atfaglia, sedici miglia *n dove l'Adda imltoeca nel Pe,gri-
dando Celso e Paolino, che i soldati stanchi, carichi di ba-
gaglie, si davano in preda al aemico, che, spedito, cammi-
nalo appena quattro miglia, BOn lascereblte l' occaiOae
d'assaltargli, o lIti1Bli o occupati a fare il Catllpo. Tiziuo e
Procolo, quando non I8pean rispoader alle ragieoi, dice-
'"'GO, «O(..e vooi cosi. Il Ed eravi ~io.to battendo l un Nu-
mido con' 108 leUere, che li minacciava del non dar dea-
tro;~ struggendolo e l'aapettare e 'l più stare su le 8pel'Ulu. 3
XLI. Lo medesimo di 'fennero a Cecina, intento a far
il ponte, doe trihani preklriani a trattar seeo. Mentre egli
udiva le coadizi&ni e peD88va le risposte, eeeotì riconosci-
'ori trafelando a dirgli, il nilDico 888e1' quivi: e retto fu il
ra~are. Se i tri!Mmi voUero iaganaare o tradire o partito
oneslo, IIOD si 18. Cecina li licenziò, tornò in calBpO, e
t.rovò da Fabio Vale.te da~ il segno alla battaglia; li soldati
io arae: e Blentre le legioni traggon per sorte i luoglti, la

I balt."do, tornado.
S de] "0" da,. d.",,.o. Del Doa aUaccar la bau.glia.
~ Tadlo e Plutareo VIa qui lì d' accorde , che o qutlli h. 100'e da "..Uo,
o alD~duc hanno .Uinto iii un' i)lesu sorgente, Y.eùi i" 01011_ t'. G.
12 IL LI~RO SECONDO DELLE STORIE.

cavalleria si spinse: e fu miracolo che pochi otoninni non


gli rincacciassero sino alla trincea. La virtù della legione
italica gli spaventò, che con le spade al viso, li fece voltare
e ripigliar il combattere. Ordinaronsi i vitelliani senza spa-
vento; perché li folti arbori toglievan l'aspetto dell' armi
de' nimici benché vicini. Nelli otonìanì erano i capitani sbi-
gottiti, in odio a' soldati: tra essi carri e bagaglioni mesco-
lati: la strada per le fosse, di qua e di là smottate, rimasa
stretta ancora a quieto marciare: chi era intorno alle inse-
gne, chine cercava: da ogni banda correre e chiamar si
sentiva: ciascuno secondo coraggio o codardia correva nelle
prime file, o nelle seze si ritirava.
XUI. Una falsa allegreza venuta in quelli storditi, che
l'esercito di Vitellio gli s'era ribellato, fu per loro tanto peg-
gio. Se questa voce usci da' riconoscitori di Vitellio, o da gente
d'Otone, a caso o per ingannare, non é chiaro. Fermato l'ar-
dore del combattere, gli otoniani salutarono. Fu risposto con
mormorio nimico: temessi di tradimento, non vedendosi a
che proposito quel saluto. Allora gI'investi questo nimico
esercito, d'ordine, podere e numero al disopra. Gli etoniani,
benchè male ordinati, stracchì , e meno ,' presero feroci la
battaglia, varia per lo luogo imbrattato d'arbori e vigne; af-
frontavansi da lontano e presso; a squadre e conii;! in su'l
baslione della strada alle mani, si urtavano con le persone
e con li scudi: gittate via l' aste , con le spade e accette sfon-
davano celate e coraze: riconosciensi tra loro, e facìensi ve-
dere, combattendo per la fine di tutta Il!- guerra.
XLIII. Tra'l Po e la strada s'appiccarono in un piano
due legioni: per Vitellio 'la ventunesima, della rapace, d'an-
tica gloria; e per Otone la prima, detta aiutrice , che non
aveva più combattuto, ma feroce e' volonterosa d' oaere,
Mandò per terra le prime file, e guadagnò l'aquila della ra-
pace: la quale dal dolore accesa ripinse quella indietro; uc-
cise Orfidio Benigno legato, e molte nimiche insegue e sten-
dardi rapi. In altra parte l'impeto della quinta cacciò la

f e nlell'o... minori di numero.


~ e conii. Lat.: ... l'''''l"ifo ..
IL LIBRO SBCONDe DELLE noBIE. '73
trediceaima, e fur da molli della quattordicesima circondale. •
Già eran fuggiti i capitani d'Olooe, e Cecina e Valenle rin-
forzavano i loro. E nuovo aiuto giunse di Varo Alfeno co'Ba-
lavi, che rotti i gladialori tagliali da loro a pezi nelte barche,
viltoriosi per fianco urtarono, e per mezo fenderono la bat-
tagliadegli oloniani, che fuggiro verso Bedriaco; via lunghis-
sima, impacciata di cadaveri; onde l' 'uccision fu maggiore,
non si facendo prigioni nelle guerre civili.
XLIV. Paulino e Procolo per diverse strade sfuggirono
gli aJJoggiamenli. Bntrorvi, essendo ancora allo il sole, Ve-
dio Aquila .legato della legion tredicesima, e si espose, non
da pratico, all' ira de' soldali scandolosì e fuggili, che gli furo
.addossò con le grida, con le mani, chiamandolo truffatore;
traditere, senza suo peccato; ma, all' usanza del volgo, gli
apponevano i loro; Per Tiziano e Celso si fece' l'entrarvi di
notte; messe le scelte, attutati i soldati da Annio Gallo, che
consigliò, pregò, eomandò non aggiugnessero alla scenfìtta
la crudeltà contro a loro stessi, o fosse finita la guerra, o
voJesserla ripigliare: conforto unico a' vinli, esser l'unione.
Si perderono .gli allri d'animo. I soldati pretorianì sbuffano,
Cl che non erano stati vinli per virtù, ma per tradimento.

Non era stata-la vittoria senza sangue, avendo rotti i cavalli


e tolta no' aquila; essere con Otone tutta, la gente d'oltre
Po: gran parte dell' esercito rimaso a Bedriaco, Due legioni
venir di Mesia: questi non esser vinti però; e pur, dovendo,
moriréno S in battaglia con più onore. » Tra questi pensieri,
or terribili or paurosi, per ullima disperazione l'ira cacciava
più spesso il timore,
XLV. L'esercito di ViteUio si piantò cinque miglia presso
a Bedriaco; non avendo i capitani ardito il di medesimo
d'assaltare il campo, e anche si sperava che s'arre.ndesse.
Ma a quegli senza bagaglie, e usciti solo a combattere, l'ar-
mi e la vittoria servìron per ogni cosa. La dimane ~ di vo-
I • "". tliJ mD/II dell". quatlordlce"mll circondate. Si paÒ'co""gg..."
addirittura: •• far da molli i quauordic..imani circo.da.i: • percbè il testo
ba.: • c;,.cul1werttl plu,.j"m IIdc,,,.i,,. qua,.tadeclmani. " Quest3 ine"sattrui fu
avnrtil' dal Volpi.
S Ilfece, fa utile.
5 mo,.irào ~ morirebbero,
Il. 7
74 IL LlBRO SECONDO DELLE STORIE:

lontà non dubbia deU' esercito d'Olone (e vòlti a pentirsi i


. più feroci), furon mandati' ambasciadori a chieder pace. I
capitani di Vitellio non la stettero a pensare; 1 ritennerli al-
quanlo, e se ne stette con ansietà, non sapendo se l'avessero
ottenuta. Rimandatili, lo steccato fu aperto. Allora i vinti
e' vincitori con un mare di lagrime e miseranda a1legreza
maladicevano l'armi civili; ne' medesimi padiglioni medi-
cavano le ferite de' fratelli e de' parenti. Le speranze e gui-
derdoni erano dubbi, le morti e' pianti certani; I e nìuno ne
andò cosi netto che non piangesse qualcuno. Il corpo d' Or-
fidio , legato, fu trovato e arso con solita onoranza; sep-
pellili alcuni da' lor parenti; tutti gli altri in su la terra
lasciati.
XLVI. 'Otone attendeva l'avviso deUa giornata corag-
gioso, e di sé risoluto. Giunsene prima fama non troppo bno-
na; poscia i fuggiti della battaglia accertarono esser ito in
malora ogni cosa. L'all'ezione a de' soldati non aspettò ch' ei
parlasse, dicendo « Non dubitasse: esservi ancor nuove for-
ze: patirieno, ardirieno essi ogni estremo; »e senza adulare
ardevano di voglia infuriata d'ire a combattere, risuscitar la
fortuna: alzavano le mani i lontani, baeìavanglì le ginocchia
i vicini. Scongiuravalo del medesimo, Plozio Fermo, prefetto
de' pretoriani, « Non gittasse via sì fedele esercito, soldati si
meritevoli: la fronte e non le spalle voltare il coraggioso al-
l'avversità. Speranza eziandio ritenere il forte e valoroso
contro a fortuna: alla disperazione correre i codardi e vili. »
Secondo che a tali conforti Otone in viso pareva piegato o
duro, uscivano aUegreze o sospiri. Né pure i pretoriani, pro-
pri soldati d'Otone , ma i mandati di M.-esia portavano la me-
desima Ostinazione di quell' esercito che s'appressava, e già
era in Aquilea; e senza dubio si poteva rifar guerra atroce,
lacrimevole e dubbia. . .
XL VII. Ma Otone deliberato di no, disse a' confortanti:
Il Non vale la vita mia quanto il mellere a nuovo risieo que-
st' animo e virtù vostra. Quanto più speranza mi date, vo-
f non la stçttere « pensare, non lslelt.ero dubblosi,
s ce,.tani~ certi., Vo(:e antiquata.
:J L'Qffi&ione~ J' ardore.
IL LIBRO .SIlCONDO DJU.LE STOIUE. 7/S
lendo io vivere, tanto fia più bello il morire. Ho pronto
l'ona el'altra fortuna, ed esse me: non fate ragion del tem-
po: felicità non durabile, é più difficile a temperare. Ma io
sarò esempio d'aver voluto una sola volla con armi civili
combattere il principato con Yitellio, che fu il primo a muo-
verle, Quinci estimino i secoli chi fu Otone, Riabbiasi Yitel-
lio il fratello, la moglie e' figliuoli: io non ho bisogno di
vendetta né di conforti Abbiansi tenuto altri più lungamente
l'imperio: Diuno l'avrà lasciato si fortemente. Come? io pa-
,ire che tanta gioventù romana, tanti valorosi eserciti siano
straziati e tolti alla republiea un' altra volta? Accompagnimi
questo vostro buono animo di aver voluto per me morire.
Vivete pure, e non tratteniamo, io, la vostra salute, voi, la
mia gloria. Le molte parole intorno al morire sono debole-
za: vedete se io ne sen dispostissimo, chè io non mi dolgo
né d'iddii né d'uomini, perché ciò fa chi vuoI vivere. » '
XL VIII. Cosi detto, suavementé comandò a' giovani,
pregò i vecchi e' graduati; che tosto da lui si partissero, per
DGn inasprire )' ira del vincitore: e con volto piacevole e
parole animose le ìautìll lagrime de' suoi riprendendo, fece
dare a loro barche e carrette. Arse le lettere e scritture con-
tenenti notabile amore a lui, e vilupèri di Yitellio. Donò
• N OD urll discaro 't'edere come la generosa seDteDsa- df questo discono .ia
tIl"'Ita ·da Plq.lan:o (Ot. c. XI.): .10, o miei commililooi, l.ogo que.lo !lioroo
ha più felia eli quello, ia cai d. prima mi ......10 ..oi impendo.. , ...gg.od....i

_i.
ora lali .....0 di me, ....ggeado me Il.110 r.Uo deg"" cii Il .fFeuuo.. dimo.tn..
•ioni. Ma Don vogliate negarmene UDa masgiore, la qual è di lasc:iarmi ODon"o!-
mori .. per t.oli <iu.dioi • Il raui. Se meritevole Itato io 0000 di otteoer
l'impero rom.oo, d'uopo Il.b'io uoo mi .chi.i di lpeoder la ..ila. pro den.
tria. So beoillimo, <h. i oemici DOO baooo DDa .iuoria ferma • aicun. Riferito
p"

ci vieDe che la milizia, che move per Doi dana Misia, noa ;, già lontana molti
Sioroi di Itrad.: per ooi giù seeudono al mare Adri.tico l'A.i. e la Siria •
l'Esitto: eia r...or oodro pur .000 l. truppe cbe guerr.ggiaoo eentro i Giud.i I
e il _ o altresl Il per noi: • • 000 già io nostro poI... i figliaoli d.' n.mici • l.
mogli. Pure la,guena, che noi facciamo, noa è già in difesa dell' Italia contro di
Anoiba1e o di Pirro O dei Cimbri, ma .11' è contro dei Romaoi; ·ood. tanto ..io-
citori quaoto .. iati Id ofFeoder ... niamo la patria: imperciocchè, ciò cb. è beae •
ehi ..iace, toro. oempte. daODO di Cred.temi pur., ch'Io pOliO ora più glo-
rioaameale morire che r.goa.. , Don gg.odo com' es io po... di t.oto".D-
uggio ai Romaoi col ..ineere, di quaolo pOliO loro rne dando morte I me
ateuo pa- lo pace e eoocordi. di loro med.limi,. percbè più 000 .bbia l'Itali.
a wdere nD giorno così 10ltaOlo•• (Traduaioo. di G. Pompeì.)
---------
76 IL LIBRO SECONDO DELLE STOBÌE.

mancie, ma scarse, come non dovesse morire. Di Salvio Cee-


ceiano, giovanetto, figliuol del fratello, maninconoso e ti-
mido, lodata la pietà , riprese il timore, lo consolò a: Che Vi-
tellio non sarebbe si crudo che dell' avergli la casa salvata
non gli rendesse almeno questa grazia: che la morte alJ'ret..
tatasì meriterebbe clemenza dal vincitore: perciò che non
per ultima d,isperazione, ma chiedente battaglia l'esercito,
avea. risparmiato alla repoblica il pericolo estremo. Avere
acquistato assai uomea sé, e splendore a' suoi avvenire.
Dopo i Giulii, Claodii, Servii, lui primo aver messo l'im-
perio in nuova famiglia. Vivesse con franco cuore, né mai
si dimenticasse, né troppo si ricordasse, Otone essere stato
suo zio. Il
XLIX. Licenziato ogn' uno, alquanto si ripqsò, e g~
pensando al suo fine, fu sturbato da repentino strepito e nuova.
che i soldati minacciavano morte a chi ili partisse, e la casa
ove tenevano assediato Verginio, abbattevano di tutta forza.
Andò a riprendere i movitori del tumulto; e tornato faceva
motto a ciascuno, finché tutti se ne furono andati salvi. In
su la sera gli venne sete, e bevve acqua fredda: fecesi por-
tar due pugnali: tastoni; e uno se ne mise al capezale. Saputo
non v' esser più amici, si passò quella notte quieta, e, alJ'er-
masi, non senza sonno. All' alba s'infilzò in su'l pugnale col
petto. Corsero al romore di lui, per quella sola "ferita boe-
cheggiante, servi e liberti, e Plozio Fermo, prefetto del pre-
torio, e'l seppelliro 'spaecìatamente, come egli caldamente
pregò; perché non gli fosse tagliata la testa per ischernirla,
Soldati pretoriani il portarono con landi e lagrime, hacìando-
gli la ferita e le mani. Alcuni soldati lungo la catasta s' ~IC­
cisero; non per peccato o paura, ma per amare il principe,
e imitare la sua virtù. E poscia, a Bedriaco, a Piacenza-e in
altri alloggiamenti fu cotal morte usata da molti. Fu fatto a
Otone sepolcro piccolo, ma da durare.
L. Tal fine ebbe di anni trentasette. Fu natio della città
di Ferente: il padre consolo: l'avolo pretore: da lato di ma-
dre men ehiaro ; non però basso: fanciullo e giovane, qu,lie
abbiamo detto: per due fatti l'uno bruttissimo, l'altro egreg io,
meritò fama rea, e buona egualmente. Siccome la gravità di
IL LIBRO SIlCONDO DELL'E STORIB. 77
quest' opera non comporta solleticar gli orecchi a chi legge
con favole, cosi non ardisco appellar favole le cose dlvolgate
e scritte. Contano que' paesani che il di che si combattè a
Bedriaco, si posò un nccel nuovo in un bosco di Reggio 8Jl88i
frequentato, nè mai fu per molta gente lo svoluante ueèeUo
cacciato, né spaurito Ù1siao a eheOtone s'uccise; allòra spari:
e che i tempi del principio e fine di questo mirae~1o s'accor-
dano con la detta morle. '
LI. Nel suo mortoro feèero i soldati per lo duolo e pianto
nuova sedizione, e non era chi quielarla. Voltatisi a Vergi-
nio,ora che pigliasse" l' imperio, ora ehe andasse ambascia-
tore da parte loro a Ceeina e Valenle, il pregavano minac-
ciando: Verginio, entrandogli essi con impelo in casa, per
l' uscio di dietro scamjlò la furia. Dellecoorli state ti Brescello
porlò Robrio Gallo le preghière, e subito fu Ior perdonato:
e Flavio Sabino tirò tutla la sua earìea l a divozione del vin-
citore.
LII. Posata per tutto la guerra, corse pericoloona gran
parle del senato uscita eon'Otone di Roma, e rimasa a Mo-
dana. Dove quando veone la nuova che s'era perduto, i sol-
dati non la credevano; e lenendo i senatori per nìmìeì crOtone,
osservavano le parole, atti e volti, tirandogli al peggio; e con
oltraggi e villanie eereavano occasione di manometterli. E
già essendo la parle di Vitellio gagliudissima, porlavano un
altre pericoloi senatori di non parere d'aver indugiato troppo
a far aUegrezadella vittoria. Con questi battieuorì si ragnna-
vano. Ciascheduno per sé era impaccialo: assicuravagli aver
molti compagni. Aggravavali il senato di Modana, che offe-
"riva loro arme e danari; del nòme di padri coscritti, fuor
d' olla, onorandolì,
LUI. Nacqoevi gran eonlesa, per aver Lieinio Cecina
detto a Marcello Eprio, che parlasse chìaro. Non si lascia-
vano intendere anche gli altri: ma Cecina, uomo nuovo, tirato
so ora in senato, si volle illustrare col farsi gran nimici, e
pigliarla conlra Eprio, grande e odioso perla r&moria delle
~ tut'" I" I .... c",.lc". tutte le truppe del cui comando eSIi era incaricalo.
Lat.: ". coltc.d.ltUlll" "d vlcto,..m po,.Fl"vi_ S"biltr'm /il copill quibal
p,.·fl-"', •
7'
78 IL LIBRO SECO. DO DELLE STORIE.

ntramn i di mez prodi uomini, E tutti a Bo-


t rono per are nuovo on i 'li o ; in I nto verrebbero
IU ' - , D B Ioana mandaron ' uom ini a' pa i a intendere
,l ch i cn i fr ' co di là, I h fu Il d' Oton . » Hi po . IIn
110 Iib rto: « Cb , port a a il 1101 stamento, c l' nvea las cinto
'i ~ o : ma p n a va all a fama , nun alla vita . Il lupiron o ; ver-
uaron i di più domandare: e lutli fur volli a Vitell io.
IV . E n in qu el con i IiI) Lucio uo fral ell o , c n IIl1e' _e-
lori ' in adulant i i pre en ta vn; qu an do Cen o , liberlo di , 'e -
ro ne, con at roce rnenzozn gli mi e soz opra , alli rmando e r
I I ion q uatlonlic ima arri -ata , un iu con le forze di Bre-
' c Uo: I. /.:Ii li a pezi i vin ci tori : rivoltata forlu na. Qua lo
I lo fec , accio bé le pat enti d ' Otone , eh non i li-
m \ ' :1 no • r ipiglia s er forzn pe tal novella. Costut n' and ò
a Hlllna volando, ove pochi di Ppr "SO Vilellio il fe' ' a li-
gare, C sdendo n lal novella i solda ti d' Otone , crebbe il pe-
ricolo del enato , tanto più e. . endo i in vista di con siglio
pubblico u cit o di Ioda na 'on abbandonar qu ella pa rt e. Ond e
1I0n ai ra gun ò più : ozn' un pe n & n sè: Iinahucute Fabio Va -
I nl con u I nere li av è di paura: e la morte d' Otune
qunnt più lod vole , tanto più pre lo \'01&.
I. r. I om a non se ne moss ' . Fa .e va sl l' usa ta festa d i
CCI quando nel teatro venne cert ez: che Olon e era
urorto , e Flaviu ab ino cremante a veva fall o qu nnti soldul]
' r;1I111 in Rom a " illrar fed eltà a Yilellio , i rido Il Vlva Yit el-
Ho. J) Il popolo l'orl ò le imma ini di Gaiba inlorn o li ' [empii
COli t: rane di fiori d 'alloro, e li celi di e a modo d 'un
polc ro a foni - curzla , a ve mor endo ' 1),1 " C il sa n ue. In
n at o i Ile celò uhito a Yil clli o q uan ti un uri mai si trovare
, IUII!.! ID III I lo prlnclp e : a' . e r mani crc iti , laueli il rin-
grazi m u ti ; amlm sceria a Vii l1io _ ra llea ra "i. i le. una
Ictl a Ili Fabi o r 1 nte a ' con soli, n on ven to . la più ra ta
fu la modestia di Cecina, he e n'a tenne.
J. I. la l' I talia cm più atrocemente utll itla ' ho ave r
uerra, L viìelliani 110 ci nti a di. ere zione per le terro , spo-
' 11:1\' no , ra pivano , vergogn av ano , la glic!,;'gianlllo , vende-
I J .. chi vent v« fr u co di /il. da coloro . 100 r nltm nlo rane yw ul i
di I .

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IL LIBRO SIlGOl'lDQ DIlLLB S'rOmB. '79
VaDO con ogni uideza il sagro e 'I profano. Baleoni uecieero
lor nimici,privati sotto spezie di soldati d' Otone. I pratichi
del paese volevano in preda i terreni grassi e i padron ricchi.
Chi replicava uccidevano: né ardivano i capitani, a loro
obbligatissimi, rattenerli, Cecina meno avaro, ma più ambi-
zioso; Valente, per li brutti guadagni, infame: però all'allrui
colpe chiudeva gli oechì, Ilalia già macinata non poteva pià
tollerare tanti soldati e cavalli e danni e òllraggi.
LVU. Qoando Vitellio, non sapendo di sua vittoria, ve-
Diva Yia come a viva guerra eol rimanente delle forze di Ger-
mania; lasciati pochi soldati vecchi nelle guarnigioni, avendo
in foria fatto genti nelle Gallie per rinfrescar le legioni che
rimanenDo. La goardia dellaripa commisse a Ordeonio FIac-
co: egli con ottomila Inghilesi di più, camminalo poche giollr
nate, intese la vittoria di Bedriaeo: e finita la vila IfOlolJe e
la guerra. Chiama a parlamento, e alza al cielo la virlù de'
soldati: raB'rena l'adulazione disonesta di qoeHi domandanti
lotti che facesse cavaliere Asiatico suo liberto. Poseìa per
deboleza, quel che negò io pnblìco, fece a ona cena: e
delli anelli onorò 4,siatico schiavo vituperoso, che s'aggraD-
diva per trìstlzie,
L vln. In qoe' giorni vennero avvìsì, che ambe le Mail-
ritanie s' eran volle a Vitellio, avendo morto Loceio Albino
procuratore. Gostut messo da Nerone a governo della cesa-
riense, e da. Gaiba della tingitana, avea non poche forze.
Diciotto coorti, cinque cornette, i gran nomero di Mori, gente
assassina, rapace, e perciò da guerra. HorlQ Gaiba egli s'ae-
costò a Otone; e non baslandogli l'Alfrica, ucceìlava alla Spa-
gna, divisa da poco stretto. Clovio Rufo avendone paura, al
lilo accostò la legion decima per passare; e mandò innanzi
centurioni a tirare i Mori a divozion di Vilellio. Poca fatica
dorarono per la fama del germanico esercito per lolto'l mondo.
E dicevasi che il proccuratore AlbiDo, prese l' insegne regie,
8' intitolava il re Iuha.
LÌX. Onde, mutati gli animi, uccisero Asinio Pollione
• ci"ql<e cornett«; La cornelia ~ un'in,egna propria d'un drappello cli <2-
Talltria, e la"'olla, -come qui, piglia.i pel drappello medeaimo. Cosi travasi anche
più nanli; Iii>. 111, 2.
80 IL LmRO !BeONDO DILLI STORII.

confìdentissimo d'Albino, che comandava una compagnia: e


Festo e Scipione colonnelìì: e Albino andando dalla Mauri-
tania tìngitana alla cesarìense,' fu insu'I lito amazato con la
moglie, che si presentò agli ucclditori. Vitellio noli cercava
di cosa che si facesse: con breve udienza passava le più im-
portanti" alle gravi cure non atto. Lasciò l'esercito venir per
terra. E se ne Tenivagiù per la Sona, non con apparecchio
da principe, ma con la sua antica povertà raggaardevole, Ma
Giunio Bleso, che reggeva la Gallia Iionese, di sangue illu-
stre, ricco e magnifico, lo forni di bella corte, e l'accompa-
gnò. Vilellio l'ebbe per male, benché nol mostrasse e lo co-
prisse con umili cirimonie. In Lione gli fècero riverenza i
capitani vincitori e i vinti. In pieno parlamento lodò, Valente
e Cecina, e fe' sederlisi allato, e tutto l'esercito incontrare
il suo figliuolo bambino. Come il vide, lo prese in collo,l'ap-
pellò germanico, lo cinse di sopravvesta, e di tutte l'impe-
riali' insegne. Il quale onore eccessivo nella felicità, nella
miseria gli 'fu conforto.
LX. Allora i centurioni più divoti d' Otone furono am-
màsatì, Onde nacque il principale sdegno Belli eserciti d'Il-
liria: per lo quale quasi male appìccaticclo, e per l'invidia
a' soldati di Germania, gli aUri pensavano a nuova guerra.
Fatti lungamente storiare, I e straziati Svetonio Paullno e
Lìcinìo Procolo, uditi alla fine si difesero con iscuse più ne-
cessarie che onorate, con affermare aver fatto per lui tradi-
mento. Il lungo cammino innanzi alla battaglia, la 'stancheza
degli Otonìanì, le schiere ordinate fra' carriaggi, e altre cose,
le più di fortuna, I attribuivano a lor froda. Vitellio credette
il tradimento, e gli assolvé dalla fedeltà. Né Salvio Tiziano,
fratel d' Otone, portò pena, scusato come obblìgatov .e dap-
poco. l/u confermato Mario Celso nel consolato; ma detto e
creduto, e in senato rinfaeciato a Cecilio Semplice d'aver
oll'erto danari per conseguir quell' onore con la morte di
Celso. Ma Vitellio non volle, e a Semplice poscia lo diè senza
j c81arilnll ~uriUDia.
I Jat" itmgamtrtte Itoriarl. Far, storiare altru; è modo ancora l'ivo
nel popolo toscano, c vale Far patire o Itentare a/trl'i con lt~nghi ind"si.
5 difortll,na~ fortuite.
IL LIBRO SECONDO DELLE STORIE. 81
peccato né costo. Galeria moglie di Vitellio favori e liberò
Traealo da' suoi accusanti.
LXI. Tra hl fortune de' grandi si mescolò (che vergogna
è a dire) un plebeo de' Boi, detto Marico: e ardi provocar
l'armi romane col chiamarsi liberator.delle Gallie, e iddio:
e già con seguito di oltornila persone, sollevava i vil<ini vil-
laggi degli Edaì, quando quesla genie prudentissima con sua
fiorita gioventù e gente avuta da Vilellio sbaragliò quella
moltitudine spirìtata. Marieo nella battaglia fu preso e gittato
alle fiere; e percbé non lo sbranavano, il volgo sciocco cre-
deva cbe fusse invioIabile; finché fu ammazato veggente
Vitellio.
LXII. Contro ad altri felloni o lorbeni, non s'andò pi6.
De' morti nella battaglia otonìana valsero i tèslamenti; o,
per li non testati, leleggi; da non temere d'avarizia, s'ei
si fusse temperato da quella brutta gola, non unque piena.
Mandavanglisi di Roma e d' Italia gli aguzamenti dell' appe-
tito: le peste correvano dall' uno e dall'altro mare: se n'an-
davano in banchetti i grandi. delle eìttà: rovinavansi esse
città: tralignavano i soldati, passando dane delizie al di-
sprezo del capitano. Mandò in Roma un editto, nel quale
dil1'eriva il titolo d' Aguslo, non riceveva quel di Cesare, non
diminuendo però sua podestà. Cacciò d'Italia gl' indovini.
Sotto gravi pene a' cavalieri, romani proibì macchiare quel
grado scbermendo in teatro, o recitando. Ciò sotto altri
, principi fallo aveano a .prezo, e spesso forzati. E le terre e
colonie gl' imitavano, invitando con premi i più scorretti
giovani.
LXIII. Ma Vilellio per l'arrivo del fratello, e per li
sott' entrati ministri divenuto pìù superbo e crudele, fece
ammazare DolabeUa, messo da Otone in Aquino con guardia,
come dicemmo. Il quale, udita la morte d' Otone, se n'era
venuto a BomaPlauzio Varo stato pretore, 8UO caro amico,
l'accusò a Flavio Sabino, prefetto di Roma, d'esser venulo,
roUa la carcere, a farsi capo della parle vinta, e d'aver vo-
lato corrompere la coorte cbe stava in Ostia: poi non pro-
vando si gran delitti, tardi ripentito, cbiedeva della bruttura
perdono. Slando Sabino sopra tanta cosa sospeso, Triaria
82 IL LIBIlO SECONDO DE~LE STOIlIE.

moglie di L. Vitellio, feroce più che donna, il minacciò che


non facesse il misericordioso conperiglio del principe. Il
buono uomo, dolce per natura, e mutabile .per paura, per
non far sue le brighe d'altri, con l'aiutar chi cadeva, gli diè
la pinta.
LXIV.. Vitellio adunque per sospetto di Dolabella, e per
odio, avendo egli per moglie Petronia, stata sua, lo chiamò
per lettere; e ordinò che, per fuggir la via fiamminia fre-
quentata, fusse fallo voltare 11 Terni, e quivi ucciso. L'uccì-
ditore per farla più breve, lo scannò nel cammino, e lasciò
in una di quelle osterie; con grave carico e mal saggio del
nnovo principato. E l'arroganza di Triaria vie più appariva
per la modestia di Galeria moglie dell' imperadore, che non
àmiggeva gli amitti, e di Seslilia madre d'ambi essi Vitellii,
d'anlica bontà, che alla prima lettera del figliuolo dicono
che rispose «aver generata Vilellio, non Germanico. » Nè
lusinghe di fortuna nè corteggiamenti di Roma la fecero
baldanzosa: i mali soli di sua casa sentì•.
LXV. Vitellio si parli di Lione; e M. Cluvio Rùfo, ,la-
sciata la Spagna, lo raggiunse con festa e rallegranza nel
volto, ma dentro ansìo, sapendo che Ilario liberto di Vitellio
gli aveva rapportato ch' egli (udito esserei due imperadori)
tentò di farsi in Ispagna signore: perciò nelle patenti pub-
bliche .non era, di sopra,nome d'jmperadoree! e certi passi
di sue dicerie sponeva" che vìtnperasser Vitellio; e facesser
grato lui al popolo. L'autorità di Cluvio ebbe più forza: e
Vilellio feee il proprio liberto pnnire, e lui rimaner seco, e
governar la Spagna benché assente; come già L. Arunzio,
ritenuto in Roma da Tiberio, perchè ne temeva; mà' non
VitelIio di Cluvio. Non fece.tanto onore a Trebellio Massimo
per la furia de' soldati fuggitosi d'Inghilterra, ove mandò in
suo cambio Vezio Bolano, che era di sua corte.
LXVI. Stava con timore delle vinte legioni ancora al-
tiere sparse per l'Italia. Mescolate co' vincitori parlavano da

f non era" di lopra" no~c d· i,,!peradore; cioè, Don poneva in fronte


delle pubbliche patenti il uome deU' Imperatore,
I 11"''''1'4; cioè, FI.vio interpreta .. m.liga.meute certi pUli delle dicerie
di M. eluvio, qu•• i egli .v.... voluto vituperare Vitellio.
IL LlBBO 8BCONDO DELLE l!TOBIE. 83
nimiehe: la quattordicesima piu orgogliosa non accettava
d'esser vinta; perchèvinti forono a Bedriaco soli i vessillari:
nerbo di Jegione non v' era. Piacque rimandarli in Bretìa-
gna, onde Nerone li chiamò, e alloggiarli uniti co' Batavi,
stati con loro tanto discordi. Poco ressero insieme tanti odii
annali. In Torino nn Batavo a uno artefice che l' avea gab-
bato, diceva male: un soldato di legione alloggiato seee lo
difendeva: ciascuno ebbe 800 seguito; vennesi dal contendere
allo ammazare: e seguiva foco!lll battaglia, se due coorti
pretoriane presala per li quattordiciani l non mettevan loro
animo e paura a' Batavi; i quali Vitellio menò seco come
fidati: e comandò alla legione che tenesse il cammino per
l'alpe graie, per scansar Vienna, sospettando de' VieJ;l.nelli.
La noUe che questa legione diloggiò, lasciò per tutto fuochi
accesi: arse di Turino una parte; al qual danno, per li mag-
gior dell' altre ci~tà, DOn s'attese. Scesa che eli' ebbe l'alpe,
i più fastidiosi volevan voltar pur aVienna, ma i migliori li
tennero, e passè la legione in Brettagna.
LXVII. Il secondo timore di Vitellio erano i soldati
pretoriani. Prima li separò; poi licenziò dolcemente per one-
ste cagioni: i. quali rendevan l'arme a' tribuni; finché rin-
forzò voce, Vespasiano aver mosso la guerra: allora ripre-
sele, furono il nerbo di parte llavia. Mandò la legion prima,
che era in armata, in Spagna ad ammansire nella pace e
nell' ozio: l' undecima e la settima rimandò alle loro stanze:
la tredicesima ìmpìegè in fabbricar anfiteatri: perché Cecina
';n Cremona, e Valente in Bologna volevan fare lo spettacolo
degli accoltellatori; non lasciando mai Vitellio, por pensieri
. che avesse, i piaceri. .
LXVIII. Cosi furono i partigiani. sbrancatì bellamente.
Nacque scisma tra i vincitori per cagione giocosa, se i troppi
nccisi noli avessero accresciuto l'odio alla guerra. Vitellio in
Pavia metteva tavola, ed avea seco Verginio. Attendono i
o
generali e' capitani a cose gravi, a conviti fuor d'ora,
secondo che veggono l'imperadore. Similmente i soldati sono
obbedienti o licenziosi. Il campo di Vitellio era tutto confu-
I presala pt,. Ii q'<Ilttortllciani, anndo pre.e le porti della lefione deeì-
ma quarta,
84 IL LIBRO SECOS DO DELL TO rs,
ione e crapola , veglie e bac cani ,l anzi che squola di milizia
Giucando adunque alla lolla un solda to della legion qui nta
con un ' altro degli aiuti galli ; r iscald ati e punti , il roman o
cascò; il gallo il belTava; i concor si a vedere presero par te;
i legionari corse ro addosso alli aiuti , e ne amma zarono due
coorti. Un altro tumulto rimediò a questo. Fu vedut o lont an o
polverio e armi : e subitamen le grida lo e servi la legion
quattordicesima che tornava indietro a comha lle re : ma sa-
poto essere i serg enti che acconciava no l'o rd inanze , si quie-
tarono tutti quanti. Diede in loro a sor le uno schiavo d i Ver -
ginio: dicono ch' ei lo mandava a uccider Vilellio: corrono
alla men sa addo sso n Vergin io: della cui inn ocenza Vite llin
s~eS50, d' o ni co a ombro i imo, non .dub itò: e appena cav ò
loro delle branch e qu ell' uomo sIa lo consolo e lor capi ta no.
E d'o ni sed izione Ve rg ini o era il herz aglio, Rim an evagli
l'ammirazione e la fama : ma per esse rne stucc hi, l'od ia va no.
LXI. ' . L' altro di , Vile llio diede udien za alli amhascia-
dori del sena to, fallo si qui vi aspettare: enl rò nel cam po; e
lodò i legion ari dell' alTezione verso di lui , fremend o ~Ii a iuti
del non punirsi si crudeli arro ganze; e per ch è non facessero
pi ù be lialità, rimand ò in Germania i Iìata vi, ap parecch iand o
i fati princi pio di nuo va guerra dentro e fuori . HimarlllÌl :tl-
tresl alle lor case gli ai uti ' alli, gra n genie , sohlatn nel
principio ch' ci pre e l'armi per un o di qu e' vani appa recc hi
di guerra. E perch è l' imperio , pe r lanti pre mii sm unlo , po-
te e re gger i, tron cò le legion i e ~ Ii a iu li: a vend o vieta te i
supplimenti, olTeri le licenze. Co a perniziosa alla republ icn,
e non gra ta a' oldati , toccan do a qu e' meno i ca ric hi, i pe-
ric oli e le fati ch e medesime, e perdendosi per gli agi la rn-
busteza contro a' buoni ord ini anti ch i , e costumi de ' no. Iri
ma ggiori , che meglio tennero lo sta to romano con ia virt ù
che co' dan ari.
LXX . Qui ndi Vile llio voltò a Cremona , e, ved uta la fe-
sta di Cecina , gli venne di sio di pa se~gia r per quel pian o
d i Bedriaco , c pascere gli occhi ne ' freschi vestigi della vit-
IDria. Schifa vista e fiera doppo qu aranta gior ni, d i corpi la-
cer i, membra tron che , ca ro ' ne puzolenti , terreno imbrodo-
I ".rc4nl# orlle h~C't'anll i.
IL LIBRO SBCONDO DBLLB STORIB.

lato di marcia: arbori, biade, orti calpesti, solitudine orribile.


Né meno inumana cosa era una parte della strada da' Cre-
monesi parata, fronzuta d'alloro e rose, con altari, uccisovi
ostie come a re; le quali allegreze tornaron poi loro in pian-
to. Valente e Cecina gli mostravano i luoghi deUa battaglia.
ti Qui s' affrontaron le legioni; quindi uscirono i cavalli ad-
dosso: qua circondaron gli aiuti.» Trìbunì , sergenti, ogn'uno
diceva: do feci, lo dissi; » cose grandi, vere e false. Turbe
di soldati sallan fuori di strada; con grida e aUegreza rico-
noscono ove furon le zuffe: guatano le masse dell' armi, le
cataste de' corpi; e strabiliano. Alcuni considerando quanto
è varia la fortuna, piangevano e compativano. Vilellio niente
intenerì, né si raccapricciò di tante migliaia.di cittadini ri-
mase a' corbi: ma lieto e gaio alli iddii del luogo sagrificava,
non vedendo la rovina quasi vicina.
LXXI. Fabio Valente gli feee poi la festa de' gladiatori
in Bologna, con apparato fatto venire da Roma: ove quanto
più s'appressava, più era il viaggio ammorbato di mandrie
di strioni, eunuchi e del resto della squola di Nerone; perché
Vitellio ammirava ancora lo stesso Nerone, e andandoli die-
tro quando e' cantava, non per bisogno, che seusa i buoni,
ma perch' ei s'era venduto per isehiavo al pappare e scia-
·Iacquare.' Per non tener a disagio' Valente e Cecina del-
l'onore del consolato, raccorciò il tempo ad altri. Marzio
Macro, stato capitano deUa parte d' Otone, fece vista che
non fusse consolo, e Valerio Marino, destinato da Gaiba,
prolungò; non per alcuna offesa, ma per esser dolce uomo,
da non sapersene risentire. Lasciò in dietro Pedanio Costa,
avendolo poco a grado, perché contro a Nerone congiurò, e
sollecitò Verginio. Ma Vitellio trovò altre cagioni da vantag-
gio: lo ringraziaro, come usa chi serve.
LXXII. Una falsa novella, da principio caldissima,durò
pochi giorni. Uno si diceva essere Scriboniano Camerino,
nascostosi per paura ne' tempi di Nerone in Istria, dove an-
",1'''• .....,,-
I 6·.,.a vt1Idulo per IlcAiavo ,l papp"'" eco Lal•• • lUJl&N et
c;palll" emptluqlle.•
I Per non tene» .. di"/1io ec.; per DOD ritarllare a Valeol' 'c. l'OIIore del
consolato. .
Il. 8
86 IL LIBRO SECONDO DELLE STORIE.
cora erano creature, beni e favore del nome antieo de' Cras-
si. Costui prese per istrioni di questa favola schiume di ri-
baldi. Azulfavasi per seguilarlo il popolo corribo,' e qualche
soldato ingannato del vero, o vago di novità. Fu preso, e
menato a Vitellio, e domandato chi fosse: e veduto ch' ei
s'avvolpacchiava;· anzi uno lo riconobbe per suo schiavo
fuggito, per nome Geta; fu giustiziato da schiavo.
LXXIII. Le spie di Vitellio in Soria e Giudea gli riferi-
rono che l'oriente gli avea giurato fedeltà. Nòn s'i può crede-
re quanto ei ne divenne superbo e tracolato. Perché tra ')
popolo, se bene senza certeza, si bociava di Vespasiano; e
Vitellio a quel nome- tutto si riscoteva. Ora ch'egli e l'eser-
cito si vider senza competitore, la dieder pe'l mezo,' a uso
de' barbari, ad ogni crudeltà, libidine e rapina.
LXXIV. Ma Vespasiano andava considerando la guerra,
l'armi, le forze vicine e lontane: i soldati gli eran tanto in-
fervorati, che udiron dettare il giuramento e pregar felicità
a ViteWo, tutti mutoli. Muciano inclinava a Vespasiano, ma
più a Tito. Alessandro che reggeva l'Egitto era secod'accor-
do: la legion terza contava per sua, poiché di Sorfa era pas-
sata in Mesia: il medesimo sperava di' quelle di Illiria. Ac-
cendendo a tutti gli eserciti collora l'arroganza de' soldati che
venivano da Vitellio, i quali d'aspetto terribile, parlare orri-
do, si ridevan degli altri come da meno. Mll. la macchina
della guerra portava dimora, e Vespasiano ora era tutto spe-
ranza; ora considerava i casi avversi: « Ho io ad avventurare
me di sessant' anni, e due giovani figliuoli'! potere le private
imprese cimentarsi e, più e meno, rimettersi alla fortuna:
T imperio non aver mezo: mandare in cielo, o in precipizio. »
LXXV. Gli era in Ba gli occhi l'esercito di Germania
poderoso, da lui, che dell'arte sapeva, ben conosciuto: Il le
t co~~I(,oJ coniYo, cndlllo•
• 6' avvolpaeehiava. Vnchi, EreolallO: • Quando alcune ra o dice alcuna
con sciocca o hiasimevole, e da non dovergli per dappocaggine e tardilà.... riu-
scire, per moatrargIi la sdoccbuii e menlecalhggiDt sua, se Sii dice iD Firen_
•• : In Irmellsi•••; llll' nyoIai.. ,; llll' Inilnppi Iln l' onolpacchi; III non d~i
in n11l1o••
• f<J d/.d.~". 'l "'no.. ~., ad ogni e~udel/;Ì;; dieder.i o rore •• nsa ritegno
ollni crudelt~.
IL LIBRO SECONDO DBLLB STORDI. 87
iUe legioni in guerra civile IOre; l quelle di Vilellio, vintilri~
ci: ne' vinti essere più querele che Corze;nelle discordie, poca
Cede: l'esser cinto d'armi e cavalli, che valere, se uno o al-
tro soldato può tradirti per premio? cosi essere stato morto
Scriboniano sotto Claùdio; cosi Volaginio, che l' ammazò , sa-
lito di fantaccino a' primi gradi della milizia: poterei meglio
spignere tuUi, che guardarsi da ciascheduno. ».
LXXVI. Tentennandola egli I tra queste paure, legati e
amici J'animavano, e Muciano prima tra lIè e lui', poscia pre-
sen ti tulli, parlò in questa sentenza: « Qualunque volge l'ani-
mo a grande impresa, dee prima considerare se ella è atil
pubblico, gloria sua, agevole o possibile almeno a riuscire: e
se chi la consiglia, ci porta pericolo; e riasoeado , di chi 6a
tutto l'onore. lo ti chiamo, o Vespasi3llO, all' imperio; salu-
meroaBa republica, a te magnifico; in mano tua,3 se gli dii
non mentono. E percbè vegghi oh'io non t'adulo, l'essere
eletto doppo Vitellio- t'è vergogna più cile onore. Noi non ci
leviamo contro a quella gran testa del divino Agusto: a quel
sagace vecchio di Tiberio: alla fondata casa per lungo impe-
rio di Gaio, Claudio o Nerone: e tu anche alla nobiltà di
GaIba. cedesti. Lo slarti ora a donnire, e lasciare imbrat-
tare e perdere la republica, sarebbe troppa viltà, benchè
quanto disonesta, tanto ti Cusse sicura la 8Qrvitù. Non è più
tempo da guardarsidì non parer d'aspirare all'imperio; ma
da corrervi. Ricordat' egli come fu ucciso Corbulone? di san-
gue cliiaro più di noi, si; ma anche Nerone era più di Vite1-
lio: assai chiaro è, appresso a chi teme, colui ch'è temuto.
E che uno possa esser. CaUo principe dal suo esercito, Vitellio
il sa, che senza pratica né nome di soldato; l'odio di Gaiba
veJ pinse, che oramai ha fatto desiderare Otone, come buono
e gran principe, vinto, non da sapere del nimico, o Corza
d'esercito, ma troppo tostaaa " disperazione. Ora sparpaglia
le legioni, disarma le compagnie, sparge ogni di noovi semi
di guerra. Se ardore e fiereza eran ne' soldati, se ne va in

lo,.e; melporte, cJiladaUe.


I
• T""te"",uulo14 .,Ii. Itllldo. dDbbioloe inelo1ulo.
• iII "'l1li0 "...; <ioè,il ql1àle iaopero Il in lUi mlDo, io IUO potere.
.. t06"'ntJ~ subitanea.
88 IL LIBRO SECONDO DELLE STOBIg.

fumo per le cucine e per le golosità imparate dal principe.


Nove legioni hai tu in Egitto, Giudea e Sorfa intere, non per
niuna battaglia scemate o discordia corrotte, ma per eserci-
zio assodate, e 'de' barbari domatrici: forti armate, cavalli e
fanti, fedeli re, e sopra tolto lo saper tuo.
LXXVII. » lo, solo mi vanterò di non ceder a Cecina
né a Valente. Ma perché to non dispregi Mociano per com-
pagno, poiché non l'hai per concorrente, ti vo'dire, che an-
tepongo' me a Vitellio, e te a me. In casa tua hai trionfi, e
due figliuoli, 1'000 capace d'imperio, e nelle prime milizie
ne' germani eserciti tanto chiaro, che sproposito sarìa non
cedere l' imperio a te, lo coi figliuolo adotterei, se io impe-
rassi. Del bene o male che ne avverrà, non andremo to e io
a ona stregua.' lo, se noi vinciamo, me ne terrò l'onore che
mi darai: de' travagli e pericoli faremo a metà: anzi é meglio
cosls-reggì quelli-eserciti tu: e lascia il rischio del guerreg-
giare e combaltere a me. Oggi si regolano i vinti meglio che i
vincitori: accende quelli a virtù, ira, odio e desiderio di ven-
dettai guasta questi, sdegno e disnbidienza. La guerra taglierà
i loro enfiati,' e vedrassi la puza che n' esce l né sperar meno a
mi fanno i sonni, l'ignoranza, la crudeltà di Vitellio, che la tua
vigilanza, savieza e modestia. Finalmente la guerra fa per
noi pio che la pace, perché quei che eonsnltano di ribellarsi,
son già ribellati. »
LXXVIII. Quando Muciano ebbe detto, gli altri pio
arditamente gli stavano intorno, esortando, mostrando i ri-
spensi delli indovini, gli aspeUi de'pianeti: né egli era nello
di tal vanità; e fatto imperadore, teneva scopertamente Se-
leuco matematico per sua guida e indovino. Bieordavansl di
tolti i suoi agùrì passati. In villa sua, un grande arcipresso

4 A UNA .t~tg"tI. Il proprio .igoi6elto di .t"'lf'ltI ~ qulle nd..i io que-


llO p...o del Borgbioi, 0,.i8' di Fir, 88 , • Era, come dire, Il parte d'uoo, e
non so se noi dicessimo beue la rata o la stregua.• Ma qui fton and,.r.mo " "Pia
si,.,s"" vale: Non saremo posti a un pari; a un medesimo ragguaglio ~ NOD ci
toeeberà del hene e del male Il mede.ima parte.
I I lo~o 'Nfidl, i loro tumori.
a Nè 'p.~tI~ m'NO. Nelll Nutianl e Commilnl mlnel il Nè; mi ~ riebi..
sto n~lIriamentedal testo che ba: .. "et: mlAi maio,. In t"" vlgi fan tia , p"".
limonla.l laplentifl"jidll-Cifl est, q,,;'m in PI'ellU torpo",,, t1fscitia.l Itrpitia._
n LIBRO SICONDO DILLI STO&lI. 89
a un tratto cadde; el' altro di si rizò più che mai beDo, alto
e verde. Gran cosa parve a tnttì gl'indovinanti, e felice pro-
messa di alto chiarore a Vespasiano allora mollo giovane. Le
trionfali, il consolato e la gloriosa vittoria di Giudea pareano
averla adempiota; ma avute queste cose, s'aspettava l'impe-
rio. Tra Giudea e Soria é il monte e dio Carmelo: cosi
chiamano l'uno e l'altro. Lo iddio non ha tempio né imma-
gine (cos\ parve a' maggiori); altare solo e riverenza. Sagri-
fleandovi VespasiJuto con l'imperio nel quore, Basilide sa-
cerdote, osservate quelle viscere, gli disse: «Vespasiano, o
palagio o terreni o numero di schiavi che tu ti cerchi d' ac-
crescere, io veggìo dartisi grande ogni cosa. » Di queste pa-
role scure la fama subito corse, e ora le dichiarava, e non
si parlava d'altro, e a lui si diceva mollo più, come si fa a
ehi spera.
LXXIX. Con questa deliberazione se n'andarono, Mu-
ciano in Antiochia, capo di Soda, e Vespasiano in Cesarea,
di Giudea. La prima mossa a dar l'imperio a Vespasiano,
fece Tiberio Alessandro in Alessandria, dove sollecitò a far-
gli giurar fedeltà dalle soe legioni il primo di loglio, cele-
bralo poi per natale di suo imperio; benché il secondo giu-
rasse l'esercito di Giudea dinanzi a loi proprio, si ardente,
cbe non aspettò che Tito, il quale portava tra 'l padre e Mu-
ciano i consigli, tornasse di Sorìa,
LXXX. Passò il tutto con furor soIdatesco:non s'aria-
gò: non s'accordò il dove né il quando né chi dovesse esser
il primo a gridarlo; al che si va mollo adagio in simili casi;
che la speranza e'l timore, la ragione e'l caso danno da
pensare ad ogn'uno. All' uscir di camera Vespasiano, pochi
soldati gli si fanno, al solito, inconlro quasi per salutarlo
legato, e 'l salotaro imperadore. Allora lutti corsero, e Ce-
sare e Aguslo e tulti i titoli gli aro massavano. Egli sol-
levò l'animo dalla paura alla grandeza. Non lo vedesti
punto gonfiato, non arrogante, non in tanta novità nuovo.
Fermalo il polverio di tanta turba, parlò in maniera solda-
tesca; e gli fu risposto con grida liete e lavorevoli. E Mu-
ciano, che ciò aspettava, fece suo' soldati volonterosi giurar
fedeltà a Vespasiano. Entrò nel teatro ove li Anliocheni con-
S'
90 IL LIBRO.SKO!'tDO DELLE STOUL

soltano; e a loro in gran nomero concorsi e adolanti parlò


con beOa giazia e greca facondia e arte propria deU'aggran-
dire suei detti e fatti. Qoello che i paesani e l' e&ercito pià
n'accese di voglia fu, l'affermare Meciano che Vilellio avea.
deliberato di tramlltare le legioni di Germania in Soria, in
'J1IeDa grassa, riposata milizia; e quelle di Seria a IIIOrir di
freddo li fatiche in Germania. Perciochè a' paesooi que'sol-
dati con coi 8' erano addimesticati e imparentati enn cari;
e i soldati avvezi tanti anDÌ in qllelle guarnigioni, le ama-
vano come casa loro.
t.XXXI. Avanti mezo luglio totta Soria ebbe glorato. E
congiunsesi Soemo con tatto suo reame di DOn poehe forze:
Antioco di etica potema, e de' re suggetti il più ricco.
Agrippa per occulti messaggi de' suoi chiamato da Roma,
v' era volato per mare, che Vitello ancor noI sapeva; e la
reina Berenice giovane e beDa, e al vecchio Vespasiano per
gran presenti grata, era più calda di tutti in aiotar questa
parte. Ogni previncìa che il mar bagna sino all'Asia e l'Acaia,
e tutta terra ferma dentro al Ponto, e l'Armenia" gìurè, Ma
non vi avendo Vespasiano mandate ancora le legioni di
Cappadocia, reggeva qoelli stati per legati sens'armì, Fecesi
consiglio generale di tutta la guerra in Berito. Vennevi Mo-
ciano con legati, triboni, centorioni e soldati principalissimi,
e dell' esercito di Giudea seeltissimo fiore, e tanto apparato
di fanti e cavalli, e pomposi re gareggianti, che parea bene
esservi corte d'imperad"ore.
LXXXII. La prima cura deRa guerra fu fare nuovi sol-
dati, chiamare i vecchi, fabbricar neHe migJiiori città noove
armi, in Antiochia battere moneta d' ariento. e d'oro; e tutto
si facea per ministri oltimi, ne' looghi atti, e con sollecitu-
dine. Vespasiano in persona i soldati trovava, esortava i va-
leftti con lode, i pigri con l'esempio, più inatando che ri-
prendendo: i difetti, non le virln, degli amici di88imulando.
Molti onorò di prefetture e proeuraterìe , pi6 fece senatori,
tutti prodi uomini, che tosto a sommi gradi saliro; ad aleanl
servi per virtù la fortuna. De' donativi t a' soldati, e MlRliano
nel primo aringare andò scarso, e Vespasiano oftllri meno
• n.' do.."Uvi, rilpetto .' dO,,"ti~i eia· f...i .' soldlli,

J
IL LIBRO SECONDO DELLE STO.IL

nella civil guerra che gli altri non usavano neHa pace: col
lener forle di non largheggiare a' soldati, l'esercito faceva
migliore. Con ambasciadorì Cermò il Parlo e l'Armeno, per
DOO aver molestia alle spalle, ~Dude di fone, occopale in
guerra civile. Parve che Tilo doveue leDer la Giudee, e Ve-
spasiano la chiave d' Egilto. E che ad atrl'ORtar Vilellio ba-
slasse parte delle forze, lIociano capo, il nome di V8Ipuia-
no, e il destino, che laUe pnole. Si serìsse a hJlti gli eser-
citi e legali, che a ciascUDo dei pre&oriani da Vilellio casei e
offesi, offerissero il soldo.
LXXXIIL Muei3JK) COIl genie spedita, a gaisa di com-
pagno dell' imperio, DeD ministro, marciava né adagio, per
niuna paura mostrare, nè rallo, per dar tempo alla fama di
crescere; sapendo d'aver poche forze, e credersi le cose 100-
tane esser maggiori. Ha 'dietro gli veniva la legion sesta con
grande squadra di tredici mila ve88i11ari. L'armata aveva
fallo venire del mar Maggiore a Goslantiaopoli: e stava in
dubio di làsciar la Ifesia, e 008 tutti i cavalli e fanti andar
a Darazo, e con le galee chiudere il mare verso Italia, e
dielro assicurar l'Acaia e l'Asia disarmale; che non si guar-
dando, andrieno in bocca a VileUio: il quale ancora non sa-
prebbe qual parle d' Italia si difendere, se tutti i liti di
Brindisi, Taranto, Basilicala e Calabria tf infe&ta888ro a
un tratto,
LXXXIV. Erano adlllnque per le provinoie gran rOlllOri
di navi, armi e uomini. L'importanza era lrovar danari:
questi dicendo Mooiano esser il nerbo deHa guerra civile,
non guardava ne' giudizi o torlo o diriUo, ma a chi più ne
dava. I ricchi erano spiali, e Ingeiatì, Le quali iniquKà iD-
tollerabili, ma nella guerra scusabili, rlma88l'O neDa pace.
VeBpa8iaDO nel principio di suo imperio v' andava a rilento:
ma poscìa per la buona Cortona, e da' maeslri pravi le im-
parò, e ardi. Aiulò la g-uerra Maciano, anche col suo, per
rifarsi di questa Iargbeza privata ia molli doppi dalla re-
publica. AUri lo vollero imitare, ma pochissimi ebbero quella
licenza nel riavere..
LXXXV. Accelero l'impresa di Vespasiano l'esercilo
d'Illiria venuto dal suo. La legion tersa insegnò all' allre di
92 IL LUIn o SECO~ DO DELLE SrORlE.

esia, Quesle erano l'oliava e la settima claudiana , che


aveano Olone nel cuore, se bene non furono nella glor nata.
te quali già l'assale in Aquile a , scacciati quelli che d' Otone
port avano le novelle, slraccial e l'insegne col nome di Yi-
tellio , rubati e divisisi i danari , pro cedevano da nimi che i
ond e ebber limore , e qnin ci risolverono di meller a conIo a
Vespasiano quello di che con Vil ellio conveniva scolparsi.
Co I le Ire legioni di Me ia per lellere allella vano l' esercito
di Pannonia , e , ricusando, s' ordin avono alla forza. In que-
sto movimenl o A ponio Satur nìno , gover natore della !\Iesia,
piglia brullo ard ire: manda un cenlurione a uccider Terz io
Giuliano legato della legion set tima, nimico suo, solto s(IC-
zie che fu e di parte contrarla ; il quale ne fu av vertilo , e
con buone guide fuor di stra de per la Mesia fuggi di là dal
monle Emo. E verso Ve spasiano s' incamminò, trattenen-
dosi .per la via più e meno secondo gli avvisi; tanto che la
guerra civile fu finila.
LXXXVI. In Pannonia la legìon tredi cesima e la sel-
lima galbian a, I non potend o sgozare quella gior nnta ! di De-
driaco, s'accoslarono a Vespasian o incontanente ; stiga te
principalmente da Antonio Primo. Quesli uomo reo , e dan -
nato a lempo di Nerone per falsario, rifallo senatore (sopra
gli altri mali della uerrn) da GaIba , e capo della legìon
sellima , cre dett esi che a Otone s' olferis e per letter e , capo
di sua parte. 1.0 sprozò, n è mai l'adopero. Anda ndo le cose
di Vilellio all' in giù , prese a servire Vespasiano , cui fu
gra nde aiulo quesl' uomo lìero di mano e lingua , maeslro di
metter odii e scan doli , poten te nelle sedirio ni , rapace , do-
natol8, in pace pessimo, in guerra da non disprezare. I due
eSerclti .di Mesia ~ Pannonia , congiunti seco, trassero i sol-
dati di Dalmazia; non si movendo i legati consolari, resi-
3enti.T. Ampio Flaviano io Pannonia, in Dalmazia Poppeo
Silnno, ricchi e vecchi; ma v' era proccuratoro Cornelio
Fusco d'età vigorosa, e chiaro sangue, Giovanetto, renun-
ziò al senato per fugJÌr briga. Governò per GaIba la colo-
nia sna, e n'acquistò l'esser fatto proccuratore. Presa la
I '11/6""'11, eOlcril~ d. G.lba.
I aoa potCItU '/lO.,./I" qwllfl /1Ì0r"",,, non pottndo dimenlicare te.

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IL LIBRO SECONDO DELLE ST08IE. 93
parte di Vespasiano, fo gran fiamma a qoesta guerra: go-
deva più de'pericoli che de'lor premii: lasciava le cose eerte,
e già acquistate, per le nuove, in aria, e pericolose. Comin-
ciò adunque a smuovere e sqootere ciò che vacillava. Si
scrisse alla legion quattordicesima in Britannia, alla prima
in Ispagna, per aver l'una e l'altra tenuto da Otone contro
a Vitellio. Si sparsero lettere per le Gallie, e gran goerra in
un attimo ardea. Gli eserciti d'Illiria già s' eran dichiarati:
gli altri terrebbero da chi vincesse.
LXXXVII. Mentre che queste cose da Vespasiano e
da' suoi si facevano per le provincie, Vitellio ogui di piè
disprezevole e lento, baloccandosi intorno all'amenità d'ogni
terra e villa, se n'andava a Roma con gravosa moltitadine.
Sessanta mila armati lo seguitavano Iicenziosissimi: più no-
mero di bagaglioni e guatteri, anche in comparazione deUi
schiavi per natura insolentissimi, senza il gran traino de'le-
gati e cortigiani non atti a ubbidire, ancorché con somma
severità rettì.: I senatori e cavalieri venuti da Roma ad in-
eontrarlo per paura, per adulare molti, anzi a poco a poco
tutti per non rimaner soli; senza i giullari, strioni, coc-
chieri, per disonesti servigi notissime baziche di Vitellio, I e
carissime. Tanta moltitudine raceozata saccheggiava e gua-
stava non pure le città e terre, ma i contadi, essendo già la
ricolta matura, come paese nimìco,
LXXXVIII. La discordìa cominciata aPavìa, ond'eran
seguiti molti crudeli ammazamenti, tra le legioni e gli aiuti
ancor durava: ma, tutti all' ammazar paesani erano uniti.
La strage grande segui sette miglia fuori di Roma. Ove Vi-
tellio divideva il mangiare a' soldati, qnasl avesse avuto a
ingrassare gladiatori. La plebe vi corse, e mescolossi per
tutto il campo. Alcuni con villano scherzo a certi soldati
balocchi tagliano bellamente la cintura, e ridendo doman-
davano s' eran ben cinti. Quegli animi, non soliti esser bef-
fati. con le spade ignude vanno addosso al popolo sens'arme r
e vi fu morto, tra gli altri, il padre d'un soldato trovandosi
eol figliuolo. Fu riconosciuto: e ìl easo divolgato rattenne la
furia contro gl' innocenti. Ma Roma andò sozopra, eorren-
• baaiche di Pile/lio, cagnolli. compagnoni di Vilellio.
IL LIBRO SECONDO DELLB STORIE.

dovi per tutto soldali di primo lancio al fòro, a vedere il


luogo dove fu disteso GaIba: e orribili erano a vedere essi
vestiti di pelli di fiera, con grandi spiedi, che non sapendo
forar la calca, se sdrucciolando o urtati cadevano, veni-
vano alle villanie, alle pugna, al ferro. Mettevano ancora
spavento i tribuni e maestri di campo in armate frotte ron-
zando.
LXXXIX. La persona di Vitellio da ponte Molle sopr'a
superbo corsiero in sopravvesta imperiale, di brando cinto,
col senato e popolo romano innanzi, per non parere d' en-
trar in Roma presa per forza, per consiglio d'amici, si ve-
stì la ·pretesfa, e messe adagio in tale ordinanza. Quattro
aquile di legioni in fronte, con quattro gonfaloni d'aUre le-
gioni intorno: dodici di cavalli, e dopo le file della fanteria,
cavalli: poi trentaquattro eeertì d'aiuti, separate secondo lor
lingue e armi. Stavano maestri di campo, tribuni e princi-
pali centurioni innanzi alle loro aquile, in veste candida i e
gli aUri nelle lor centurie risplendevau8 eon beDa mostra
d'anni, doni, coDane, e abbigliamenti. Superba vista: eser-
cito degno d'altro principe che VitelHo. Cosi entrò in cam-
pidoglio: ove abbracciò sua madre, e onoroDa di titolo
d'Agoata.
XC. Lo di seguente al senato e popolo, come fossero
d' nn' altra città, con magnifica diceria seìorìnè Ile landi di
lèstesso: l'indùstria, la temperanza: sapendosi le sue see-
lerateze da chiunche v' era, e da tutta Italia, per dove la-
sciò il segno della sua gola e ~nno e disonestà vergognose.
E pure il popolo scioperato alzava alle stelle le solite adula-
zioni imparate, vere o falsei e non lascìandolo vivere,' che
accettasse il titolo d'Agusto, ne trasse nn si, vano come fu
il rieusarlo. .
XCI. La città, che ritrovava d'ogni cosa la quint'essen-
za,' prese a maluria che Vitellio, fatto pontefice massimo,
bandisse le cerimonie pubbliche per li diciolto di luglio, giorno

c'c.
I Icio,./1rò; pompa, Ollentllioae.
I e 11011 lascialldolo p/pe,.e; e lollecil.ndolo, C.cendogligran pmnura.
S cA. ,./t,.Of1apa, d"opi cola la qrdnt· essensa , che commenlava e ìater-
prttan 0llni COli lotlilmenle.
IL LIBRO SECONDO DELLE STORIE. 93
infelice per le antiche rotte a Cremera et ADia; Il era igno-
rante d'ogni ragione umana e divina, e involto tra liberti e
famigliari'balordi, e come ebbri. Ma nel far de'consoli, chie-
deva come gli altri candidati ciVilmente: nel teatro, come
spettatore, nel Cerchio, come partigiano, cercava piacer al-
l'infima plebe. Grate nmanitadi, venendo da virtù; ma, sa-
pendosì chi egli era, erano ilidegnitadi e viltadi. Veniva in
senato a udire eziandio cause leggieri. Avvenne che Elvidio
Prisco, eletto pretore, non sentenziò a suo modo; di che Vi.
tellio prima s'altero alquanto, e chiamò i trìbanì in aiuto
deHa sprezata sua podestà. Alli amici che, credendolo molto
più adirato, iI mitigavano, disse, ({'Non esser cosa nuova lo
intendere due senatori le cose pubbliche diversamente: aver
usato anch' egli contraddire a Trasea. J) Mosse riso la IDa
sfacciataggine d'agguagliarsi a Trasea. Altri lodarono l'avere
scelto lui, e non qualche potente per esempio di vera gloria.
XCII. Fece P. Sabino generale de' pretoriani; Giulio
Prisco, di centurione, eolonnello d'una coorte; potenti am-
bo, Prisco per lo favore di Valente, Sabino, di Cecina. Eran
discordi: Vitello niente poteva; e Cecina e Valente gover-
navao l; imperio. Già si odiavano, e gli odii mal si nascon-
devano nella guerra e ne' padiglioni: le male bìette ,' e la
città, feconda madre di òimicizie, le raUizò, ,e;;»;lise ambo
in gara d'onori, di codazi e turbe di salutanti, mOs(Ì'Ilftdosi
Vitellio variamente inclinato or' all' uno or' all' altro. La
grandeza non è mai sicura, quand' eli' è troppa. E lo stesso
Vilellio, che or veniva in repentina collora , or faceva spro-
positate careze, sprezavano e temevano. Non perciò con più
lenteza rapivauo le case, i giardini e le riccheze dell' impe-
rio, mentre infelice e compassi6nevol turba di nobili, che
insieme co' figliuoli GaIba avea rendnti alla patria, non tro-
vavano alcuna pietà nel principe. Fu cosa grata a' grandi, e
approvata dalla plebe, render loro il diritto sopra lor liber-

, le mole bielle. i ptn'ersi amici.La biella h una .epp•.di legno o d'.ltro,


che . ' iIl.iDaa di foraa tra due, oggetti o per a/Torzarli o per dividerli. Co. i un
amico è .o'loguo, se bUOllo; h .uadafo, 'e malvagio. ;, Però (dlee il Varchi,
Ereol.) d'uno cbe ,ia maledico, e lavori .!trui di .traforo, ccmmettendo male
occultamente, .i diee, egli h una mala bietta ••
96 tL LtllRO SECONDO DELLE STORtE.

tilli: ma vana per l'astuzia schiavesea, che la moneta trafu-


gaYain riposligli, o imbrogliava con potenti,' e alcuni in casa
Cesare aceentatìsi," potevano più de' padroni.
'XCIII. Ma i soldati, la cui moltitudine non capendo nel
campo, si spargeva per le logge, tempii e tutta Roma, senza
eenoseere l'insegne, far le guardie, e mantenersi robusti con
le fatiche, dati a'pìaeerì della città e alle .disonest à, imbolsi-
vano' il corpo nell'ozio, e l'animo nelle libidini. Né anche
si pensaea a sanità: attendessi gran parte nell' infame aria
di Vaticano: onde fu grande mortali tà, E que' corpi cagìo-
nevoli de'Tedeschi e Franciosi, non sofferendo il gran caldo,
IMIlYicino Tevere si gittavano , e ammalavansi. Guastò anche
glt ordini militari la malizia o ambizione;e sedici coorte preto-
nane, e quattro romanesche si scrivevano di mille fanti l'una.
Valente si prese in ciò più autorità che Cecina, quasi per
averlo salvato; e veramente l'arrivo suo rimise quella parte
a cavallo; 4 e la battaglia vinta chetò le lingue del tranquil-
lato' cammino, e tutti i soldati della bassa Germania volevan
Valente: e qui si crede che Cecina cominciasse a vacillar
nana fede.
.. XCIV. Ma se Vitellio sciolse la briglia a' capitani; mollo
. più a' soldati. Ogn'uno si faceva scrivere dove e' voleva: ogni
cerna all~cMD§rdia di Roma. E, per lo contrario, rimanersi
tra lll, .1egioni o cavalli potevano i valorosi; né mancava chi
volesse, essendo per malattie infiacchiti, e allegando Ia cat-
tiva aria. Nondimeno dalle legioni e bande fu snerbato I il
più forte e il fior del campo. Di tutto l'esercito si fece una
massa, anzi che scelta, di ventimila. Parlamentando Vitel-
lio, furon chiesti al supplizio Asiatico, Flavio e Ru6no, ca-
pitani; avendo in Gallia servito Vindice. Pativa Vitellio si-
mili voci per sua dappocaggine naturale; e perché era venute
I "imb",,&/itlytl c"n pol.ntl, la d..a in mano a'polenli con imbrogli.
t accontlltill.. usando domelticameole.
• ;".bol'lva"o~ in5accbi1'IDo.
I ,.Imi.. '1,u/ltl ptl.t. ti Ctlytl/loJ rece <h'eUa "pia!ù", il di lopra ; la
rislahilll la lolleTò.
• If'.,nqulflato, indugialo : coloro <he ..,davano Iparlando, 'JUui cb' l'.i
ro... Iroppo lonlamenle follo il cammino.
• .nerb."o, lollullo: li 101.. dine legioni eco il nerbo , il più rorle eco

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IL l.IBRO SECONDO DEl.l.B SfOau.

il tempo del donativo, non aveva danari j e co' soldati lar-


gheggiava in ogn' altra cosa. Pose a' liberli de' passati impe-
radori un balzello di tanto perischiavo. Egli, per soìa voglia
di giUar via, aUendeva a murare stalle a' cocchieri, fare
spettacoli nel Cerchio di aceoltellanti e fiere, e straziar da-
nari, come gli avanzassero.
XCV. E Cecina e Valente, per ogni strada della citta
facendo feste di accollellanti, con apparati non visti onque,
celebrarono il natale di Vitellio. Lieto alla feccia, odiose al
fiore della eittà forono l'esequie faUe a, Nerone con rizati al-
tari in campo mania, viltime uccise e arse: datovi fooco
da' sacerdoti d'Agusto, che Tiberio creò a casa gialia, come
Bomolo al re Tazìo. Non era doppo la vittoria il quarto mese,
che Asiatico liberto di Vitellio era maggiore che i Policleti,
i Patrobii e gli altri vecchi nomi odiati. Uomo in quella corte
non fu che d'industria o virtù gareggiasse: sola via alla gran-
deza era, empiere di prodigiose vivande l di qualunque spen-
dio la sfondata gola a Vitellio. A ventidue milioni e mezo
d'oro diede fondo in pochi mesi, bastandogli godere senz' al-
tro pensare. Grande e misera Roma, che nel medesimo anno
Olone e Vitellio sopportasti; e mal menata fosti con varia e
vergognosa sorte da' Vinii, Fabii, Icelì , Asiatici! E poi ne
vennero lIuciano e Marcello, altr' uomini sì, migliori no.
XCVI. La prima ribellione che Vitellio intese fu della
legion terza, per leUere d'Aponia Satumino, non ancor pas-
sato anch' egli a Vespasiano. Ma non gli scrisse, in quel subito
spavento, ogni cosa. Gli adulanti dicevano essersi sollevata
una legion sola: gli altri eserciti fermi in fede. Cosi disse an-
cora Vitellio a' soldati, « e che queste false novelle spargevano
i pretoriani dianzi cassi; I e non v'era alcun pericolo di
guerra civile;» senza punto nominare Vespasiano: sparse
soldati per Roma, a dare al popolo in su la voce: S il che la
fece più crescere.

I tli prodigiole vivande. Voramonle i11.tiDn b. prodigÌl spalil, cho..uol


dIr prodighe o non prodigioso. Be.. li voro cIM IpOSSO prodigiOIO pigliali ÌJI IODIO
di esorbit«.. t••
I d,·an&i cassi; levati di carica, cassali dal ruolo.
S ti dare al popolo in I" la voce, a IODor in freno i damoride! popolo.
~ 9
'8 tt LIÌJRO "CONDO DELLE IlTORIE. .
,rll. 'u ehi! mò a iuli di Ge rm an io , Spagn e Dri-
in , freddar I utu, e non ma trando necessità; e co l lo
i ano ; 1 li l" pro inc; • Ordeo nio l'lacca avea ùa
fare per o petti de' D3Im'i: rezio olnno per non quietar
rnni n rell:tgn3j l' uno e l'altro slava in Ira due: I nè Spa-
linll e ra ollecita , non avendo allora viceconsole: e co i i capi
.ti Ire le ioni d'c ual podere, che av rieno gnrcgg iato in ser-
r 'ile io nella buona fortuna , ora egualmente il bis tratta-
o nella rea. In Ilri ea la leaiono e coor ti falle da Clodlo
fa ·ro . e disfatte <la Galba, fur on rifalle da Yilellio : correndo
rucll ioventù a • ervirlo perché egli vi Co vicecousolo gin-
lo benicno: Vespasiano il contrario: o tale aspettavano
'Iu 'confederali dover assere quel tli loro che imperas e : ma
iuscì 1' 0I'Posilo.
CV I. ' alerio Fe lo lecato dapprima gli resse bene e
con fede: poi variò: in publico mandava lett ore e bandi in
favo re d i 'i1ellio, e in segreto avvisava Vespasiano per te-
nere da chi vincesse. Per le Gallie c per la Il ezfa furon presi
olda ti e cenlurioni con lettere e ordini di Vespasiano,
mandaii a Vitellio e ucci i: i più scamparono per loro a stu-
zia, o spalla d'amici.' E cosi gli npparati di Yilell io eran noli .
i di egni di Vespasiano per lo piu se greti: prima per lrascu-
ranza di Yitellio , e perch é "Ii avvi i non passavano , nè per
armonia ( landovi le guardie a' passi) n è per mare, r e-
c nando l' etesie , a che portano in or iente, (l non lascìan
ornare,
, 'CL', Spaventato finalmente dalle at roc i novelle da ocni
banda, che il nimi co veniva Culminando, s disce alla guer ra
Cecina e Valente. Quegli parti prima, questi indugiava per
riaversi d'una grave malattia. Uscendo di 'Roma il germano
esercito, non parea desso: non v' era vigòr di corpi, non arder
d'animi: marciavano lenti e radi: easeavan loro l'armi di
dosso: non potevano i cavalli sgranchìarer' non sole, polvere,

'I ItlIvIII" t~1I ti". '(50tiitltetldi' cOlllig7/J cioè, Ilan irresoluto, aubbioso•
• o #palla tI'amlci, O coll'aiuto a'amiei. c,

I l' .I•• ìe r &000 i veDli aquilonì , propili a chi Daviga <l'flalia vello
l'OrieDle. Vedi G. Cua"" B. G., rn, i07.
• 8(f'"tnrr:1riru·e~ far C:Orrtft; quasi.nllero i gnn':hi.
IL LIBRO SECONDO DEtLE STORn!o

pioggia i llOlcfaii patire- alte fatiche maturi, I nelTe qtristioni


fàstidiosi.Cecina aH' antica sua ambizione accompagnò nUOTa
pigrizia, datosi per troppa felicità a' piaceri, o pensando a
far fenonia, impoltronin r. esercito ad' arte. Credettesi per
molti che FlaYio Sabino mettesse a Cecina il cervello Il par-
tito,· facendogli da Rtrbrio Gallo o1ferir, volendo servire V&-
spasiano, il foglio biancoj" ricordandugli che, non avendo
potuto per l'odio e invidia di Valente esser grato né grande
con Vitellio, cercasse nuovo principe.
C. Cecina parti abbracciato da Vitellio con grande onore,
e mandò parte de' cavalli innanzi a tener Cremona; appresso
i vessìlìarì delle legioni quattordicesima e sedicesima: segui-
taron la quinta e ventiduesima: per retroguardia la ventune-
sima, detta rapace, e la prima italicaco' vessillari di tre
legioni dìBrettagna , e scelti aiuti. Partito Cecina, Fabio Va-
lente scrisse all' esercito governato da lui, che fermato l'aspet-
tasse; cosi esser rimaso con Cecina: il quale in sul fatto, però
di più autorità, disse essersi poi pentiti, per opporsi tutti in-
sieme alla guerra che urgeva. Cosi fece più ratto marciare a
Cremona, e parte a Ostilia. Egli andò a Ravenna, quasi per
parlare all' armata. Poscia elesse Padova per quivi ordire la
tradigione con Lucilio Basso, il quale da Vitellio fatto capitano
di cavalli, poi, dell' armata di Ravenna e Miseno, generale;
perchè non fu fatto subito anche de' pretoriani, si vendicava
della collora iniqua con fellonia scelerata: alla quale non si
può sapere se Cecina vi fu tirato da Lucilio, o pur (come
accade che i tristi sono anche simili) dalla tristizia mede-
sima.
CI. Quei che scrissero questa guerra ne' tempi che casa
flavia regnava, rivoltano, per quella adulare, la cattività di
Cecina e Basso, in carità della patria, di metterla in quella
pace e santo governo. lo credo che la loro leggereza naturale;
• alle·fatiche maturi; inetti, flosci.
, mdlelse a Cecina il cervello a parlito.l a.elle scosso l'animo di Ce-
cina. Lat.: • cr,dide,.. pleriqru Flavii. Sabinl con.JUib conClI.l.lam Cecinrz
... mentem.•
'face.dogli.•.••fferir•.•• /I foglt» bianc.; daDdogli facoltà di porn
quelle cODdiaioDi e palli che aVUle voluti, e allicuraDdolo che ai larebbero maD-
teDuti.
1.00 IL LIBRO SBCONDO lIBLLB nORIE.

lo stimare (tradito Gaiba) per niente la fede, e la invidia e


gelosia che altri non passasse loro innanzi appresso Vitellio,
li facesse rovinar Vitellio. Cecina raggiunse l'esercito, e con
varie arli sovvertiva gli animi d~' centurioni e soldati di fede
ostinata a Vitellio. Basso faceva il medesimo piu agevolmente,
perché l'armata ricordandosi aver dianzi servito Otone, sdruc-
ciolava al mutar fede.

Il

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101

IL LmRO TERZO DELLE STORIE


DI

GAIO CORNELIO TACITO.

SOMMARIO.

I. Mentre ~tmo i daci Imam, Alitomo Primo, viva faca di pern,


persuade ce1eriQ.-IV. Aggiagnesi l'aaloriQ di Cornelio F_.-V. Trag-
gonsi al partito Sidooe e Italioo, re "en. - VI. ADtomo iDvade l'Italia ia
_}'Apa cl'Arrio Varo: molte città OCCD....DO: scelgoD Verona Wllpo di L'"
taRlia, iBdamo o tardi frammetteDdo iDdagi V88l'lIllÌano e )faciaDo. -
IX. LeUere ostili de' vitelliaDi e lIaviam. - X. SedWoai D8l campo lIanano
sedate da AoloDio. -XII. Lacilio BlI8lIO e CeciDa tradiscoD Vitellio, e aoD
presi da'IOMafi.-XIV. VieD AlItoDioa BeLriaco: l88Ùe i discordi l'itelliaDi.
La nHa, pria dubLia, dinea per arte d' Automo prospera a' llan8DÌ. -XIX. I
i1aviui ir vogliono io GremoDa.- XX. Lor impradeDte foia rattien AntoDio.
-XII. VrtelliaDi a Cremona a pagoa aCCÌJ1ti: n ai preparaD aDCO i Oavi8DÌ.
-XXII. Atroce pagoa. ntl=r.r valore ed arta d'ADtomo: acciso dal figlie
DD padre.-XXVI. CremODa 'ata\presa, arsa: Cecina sciolto mandui a Ve-
8J1118i-. - XXXV. Disperae le viata egioDi. - XXXVI. Vitellio aopito iD lu..
IO. - XXXVII. PIU tieD aenato: eODdanaa di CeciDa. Preode e l...,ia il COD·
soIato iD UD ili Rosio Begolo. - XXXVIII. Morte di Giaoio Bleso per trama
di Vitellio: lode di Bleso. - XL. ValeDle per liLidiai e indugio ronDa Vi-
telIio, inaano tauta uscir Delle Gallie. XLII. I lIal'iaDÌ occupano l'Italia. -
nID. 'Valeute da rrocella balzato alle Sleeadi,iaole di Mareilia, è
XLIV. Spagna, Galba, Brettagna datesi a'Banam.-XLV. Iatorbidalac:qua iD
r.rqo.-
BreUapa V8DIIlIÌo: pague di vario eailo.-XLVI. 'forbidi in Germama, e tra' Da.
cO: a tempo MuciaDo fa la calma. - XLVII. Scbiavesehe armi d'ADiceto per
il PODto tosto opp_. - XLVIII. VesJ.'asiaDo in AlesaaDdria per affamar Ro-
me. - XLIX. AoloDie dopo CremoDallÙ altero, parte.di truppa.-a in Ve·
rooa~arte iana CODtro Vitellio. - L . Impadenza di aoldato chiedeDte pre-
mio fralello che accise. - LII. ADtomo accasalo a VeapllllÌano di oelerità
d. aeimo. - LUI. Orgogliosi lamenti d' ,btoDio presso Veap"ano:
odii tra AllloDio e Maciaoo. - LIV. Vitellio da folle disaimala l' nnao
della rotta a CremoDa: Dotabil costanza di centarione. - LV. Vitellio come
cIato da SODDO, fa -.Iiar l' ApeDlÙDO: comparle ODOri: ~eD io ODe al
_po. - LVI. Prodigii: tra' primi egli alealO Vitellio. rOllo io gnerra.
tICODSiglÌllto toroa a Roma. -LVII. pozuolo per VespasiaDo: Capoa per Vitel.
lio. daumo Giuliano tradisce Vitellio,occapa Tenaciaa. - LVIII. L. Vitel-
lio riDtaza l' _e dae iol'adOll Campaaoa. Di pleLe e schian so.ldui iD Boma
esercito. SeDatori ed equestri disertaDo. - LIX. I Baviam oltra ApeoaiDo:
reod OD dDce Petilio Cerial. scampato alle lJBardie ntelliaDe in iDcoDtrato.-
[ X. Di pogna avidi calmali ariDga d'Aotomo.- LXI. VitelliaDi DOD pDgnaDO
elle di perfidia. - Prisco e AlfeDo disertori. - LXII. COD iafacciato tra di-
mealo, Valente ucciso, puaaa da FIano i l'itelliaai. - LXIII. Tratiul _
9'
i81 IL, LIBRO TE r.zO DELlE ~TOItIE',

,\ nlo rilull« . - L 'IV. I ncilasi ali' armi FI." in S~ b io o frnld l.,


I i uo .1'IUlli r,ra : Ir llot u ,U r cc moo" con Vilcllio. - LX\'I . Vi·
I li.. \'1 " '"' fori ..... . - L \ • l'u ind n, rdia , arinroa, c e . I~ l' imo
l"'r... 1\ l anO el i a.l nli. n 'l ril mioon polllUo . - LXIX. .bioo l,,,,;
,••lrtlI••1. 11 "'llIIJ.h1i ,ftS ' filo .1.' l'rimai sena tori t il l'iii .lecli equcstri ,
1• ur milizia, i \·ici1i , • 111 lin \Ior d Ile u~n1l8ne coor ti : scara tnuccia t
,.il,lli li l'rol,iria. bino ~cnl'a il Campi.loçli o . - LX'\I. <:.n~pi ,lol:li o prcs "
,. ~ . - L.. Il. L m Il p lal rror.:: \I eude di '1nello '0""0.1.1 Ji. -
I. 111. I.in. Altico ""n,ol. presi . - LXXIV. no",i. i.n o c1. ' c. ltro li.
l... rto ocrultalo. -.. bino frAllo a \'itr1li('l . m ' r.ra.10 Ili 'lu cUIi urciso il r nlobln
[t le tnuni : - ~.X" " . ' il l il ,Ii .. ahi ~ o: ~\ ! t.ico rI~ ~ ) '·ero ~. f I ~u , t..:si reo
.111'.00 mp.Jo uho , 51lvnln. - L\ X\I. 1I'rraclO. , ,I. \ ,' rl h" ,lI cll. c
l'r_. SI:"""IO mlion<> . - LXX\ 111. I a.rioni ..I". p"r coll'" .1' \ tll"tli" ..
Muei nO l. lnocaoo, li ti tlalPnHiso dr' C;'llIl'illPHlio nssCll inlo nfr rl'ltll nsi 3
Homa. - LXXI. , Ivi l' r ~su .uff. di "IIvalleri" lor coutrn ri a . - 1.\ 'Ii\ , l'lire.
per 1"'<4, o 1"1:"8 tuO".1. n in-larno lecali c " "-\ali i vitclliani, -1.\\'\1. I
tl.. i i iu t corpi aJ aecestano l] Hnmn. PUf:11(l iYi nr -:;0 multe" Hui c , prn
""" iii "fiavi Di. J"nan.i i ,,;telli.lli .-L'i, XIll . lnl...x isoo 111,1,' : l''~
w.1 j per I ' vie. Il pnpnlo a,si,lc e applandu 3 combattenti . - L,' 'iX I\'. Il
1'... lor i" assalilo. - LXX:\. , Vitellie, l'.'''''' Il''111., .1. "p" rcu nasc..."li Uli..
• . tTO IIo , • morto , , lIillolo .,,11. llemoni• . - L" : X \'I. Suo vita e cestuuti ;
UUI1l;Lla a. lama te ec!ltlte.

Tratlo d4 ~t:hi .....

. ) Canloli
Sur'Fog.
l A.. C. FABIO V!LENTa.
AuIlNO CBWfA .

An. di Roma ncccrm, (di Cristo /l9). ~~'.l Bosro REGOLO.


COMOn
StlllTog .
l C.6ft. C!cILI'O SElI1'L1Cll .
QUll'lZIO ATTICO .

I. Con migfiorfede e stella goidavan III guerra i capi fla-


viani. In Petovìo ,' nelle stanze della legion tredìcesima, fe-
cer consiglio, se si devesseeo gnrdar-l'alpi di PannoDr.a, e
aspettare tutte le forze addìetro. .o investir al primo l'Italia.
A cui pare," di aspettare gti aiuti e trattener la guerra, ag-
grandivano la forza e la fama delle legioni di Germania.
« E8gere a Vitellio velluto di nuovo il Corte dell' esercito di
iBreu agna ; essi aver meno legioni, dianzi 'rotte: e benehè
'parli.o aUiae, sempre a'vinti manca l~ardire. Menlre che i
passi dei monti stanno chiusi, Terrebbe Muciaft~ con le
flJl:Z8 d'Oriente, rimanere a Vespasiano il mare e armata: i
cuori delle prorlneie, Clm le quali mO'VMeb~, come &D'al-
tra guerra intera.; verrieno con sano indugio forze nuove
llenla toccar le presenti. »
fOSSi, Pelaa. iD Stir~.

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IL J,lBJlO TERZO DELLE sroara, fOi},
11. Antonio. Primo, 1 fulmine di 'fUesta guerra, rispose:
(l ~Ia prestesa a 1010 uLile, a Vitellio dannosissima: aver,
loto la littoria tolto e non dato vigore, eome stati fuor di
CalOj()- per blUe le terre d' Italia in,grandi agi, terribili a' soli
aIl9gi; ~ quaato prima feroci., or ingolfati 3 ne'piaceri. Nel Cer-
chio" DI!1 teatri, nelle geatileze di Roma fatti morbidi o in-
fermi; ma con un poeodi tempo, con l' uso della guerra tor-
nere\lbero come prima. Avere la Germania, onde viene lor
• forza, DOlI Jo.nlaDa: Breìtagna a un dito di mare; , le Gallie
e le SpagJw aIlato: da tutte uomini, cavalli e danari e l'Italia
e le ~:le di Boma. E se volessero muover guerra. hanno
dae armate, e il mare di Illiria netto. Che gioveria chiuder i
meRlif che, la guerra rimetter a quest' altra state? In tanto
danari e viveri onde uscirieBo? Facesson capitale" più tosto
che le legioni di PaDDOaia. tradite non vinte. si struggono
di Tendicarsi: che gli eserciti di Mesia eran giunti interi 'e
salvi. Se ViteUio ha più legioni; e noi più soldati valorosi,
niente corrotti,. più accesi, per quella vergogna, a vìrtù.Ca-
valli INHI viatianche allora che si perdè: 6 anzi due cornette T
di Pannonia e Mesia ruppero il nemico. Ora sedici insieme,
col calpestio, wl frasl.u919-, 8 con la polvere, sconfonderanno;
rialfOlleraDl» quanti cavalli e cavalieri divezi della guerra
vi avrà. lo medesimo,..se non sarò impedito, eseguirò questo
mio CIOBSiglio. Voi clI.e non vi sete ancor dichiarati; ritenete
le legio&i: a me bastano le coorti spedite. Non aro prima
Da piA in Ualia,9 she. voi udirete ViteIlio rotto: goderavvi
l'animo di seguitarmi, e calpestar queste pedate vittoriose.»
I 4atDIÙO Primo. Vedi sORra" U, 86:.
I a' loli alloggi; cioè,a' soli paesi dove aDoggia..no. Lat.' _ tantnm 1iiTrpI"
tìIIG _ _ dlu.. .
• "" iaflo.flJlti ec., laIÌto or ip10lfati eco '
• Il . . . dilo di ~,.e" a 'breve tratto di mare.
e F_UCA capita l. ee., confidassero piuttosto in questo, che eco Oppu","
.. ~ puttaJto di qnesla epporlunità, che le IegioDi eco
'~6i"B"d •• Valeriani: -La cavalleria nel'pu", allor vibla, anzi neJfri-.,
&l4) .,.,Ja8ilto sbaragliò l'esercito di Vilellio~ "
7 d". co,.",tte, Vedi la noIa dellib. Il, !ili.
• fraltluJlo, frastuono.
1/ No. ".ò prima un pie in Italta, Legge:. Lam , r'l.rattÌ'ltlJli~ ec.·
Altri .,.e.le,."ta lIdlUia .• Ma la 'Vera lezione è: «[am reseratam Ttaliam.limpu.1-
6&1 YiuJM ru audi.ti.s;.. .. tra pocO udrete aperta I' Italia, 'abballulo VitelJio••
iol I L LIDno Tlmzo nRU Fo sro nrs .
li. Tali ose mand è fuor con occhi di fuoco e voce te r-
ri bile per e sere udito discosto [essendosi me-colali col co n-
slalin enturioni e oldati), con tanta effica cia , che moss :\D COra
i ben ecustdcrati canti. L' a lt ra turba gridava; I( Que lo è il
capitnno ; gli altri da nu lla .)l Tal fama s' era acquistata in altro
consiglio Callo sopra certe lettere di Ve spa siano . dov non
parlò, come molti, riserltalo, per aver poi sue riliral e ; I ma a
viso aperto, che piace al soldato; a parte di colpa o cloria. "
I V. II secon do stimato ora Cornelio Fusco pro ccuratore,
ch e tanto sparl ò d i Yitelllo, che, se ella a ndava al con lr ari o ,
s' era giucato ogn i spe ra nza. l'ilo Ampio Flaviano and nndoci
pe r natura Il pe là a rllento ," luso pelli i oldali, ch' e' non
si r i ordnsse che celi cm stato par ent e ,li Yitellìo. E nel
primo motivo dell e le gioni ' fu gì tos }, Il poi tornato , fu er e-
duto ordir tradimento. Al tesoch è a Flaviano , )la. salo (Ii Pau -
nonia in Jtalla c uscilo di peri colo , venn e desi o (Ii novità;
d' essere rifalltl legutn , Il me . colarsi in gue r ra civile , sollee ì-
tandon olo Cornelio Fu sco, non per bisogn o del fall o suo ; ma
pe r aggiugnere a quella part e , surg e nte a llora, splendo re dal
nome co nsol are.
Y. Ma perch è il pa . a ~ !:: i o in Italia fusse utile o sicur o,
' i sc r isse ad A(loni o Saturniuo che cnn l' ese rcito Ili Ml',ia
s' affrettasse, Il per non la sciar le provincie di sarmat e iII pred a
a barbare ge nli, si soldarono i principali Sarmali \ , zil!;i.' i
qua li fecero oìler tu Ili ge nte Il gra n cavalleria , lIel101 qual sola
vugliono . E fu ricusata , perch é n on tentassero guerra Ira-
« ptr avet" poi su« rttirate ~ per aver modo di ritirarsi daUa sua p:nol.J I
SeD1-a parere di contnddirsi. Ulat.: .. hu.c ìllnc tractllrlu (iDeetta 'Yuhil) inter ..
pre"'tiolle. "
i a parI. di colpa . o gloria . QUUIO luogo nello n..liooo e comioi.oo
e nelle altre edizioni pedisseque, e m~nireJumtnte guaito t leggendorisi : • m~ I
..40 aperte (cb. piace 01soldolo) o parte comp.goo di colpa • glori••• Oltre lo
partalcsi Il sproposito J quell' d: parte compagno Ò ripetitiooe I Dilla fone di un
pentim eetc del M ,. do•• o a parI. O compagno dove Il.....r "neeIlate t oe-eero
h eancellatu .. non fu f.lla p.r inavver ten... I1IUlo ba: • Aptrl. deseeodilll
In carusam vldebal",.; eoque lfTalior m ìl ìttlms erat, ClIlpa l't' glo,.i~ so-
dal. ..
S andandoci.... a rilento ~ fII lodo tardo a risolyersi.
• ncl primo motivo delle 1~8ion;~ al primo mOl'ersi. Lat. ~ • taplante
ùt:ionllm molli . •
5 laliti, p,.uo il Ponto EUlSioo , lu'con6ni d.llo RUlSi•• dtll'l1ngberia.
IL LIBRO TBBZO DELLB STOIUE. 10lS
niera tra le nostre discordie, o passassero a chi li pagasse
meglio, senza tener contò di fede. Tiraronsi in lega Sido e
Italìco, re de' Svevi, antichi divoti de' Romani, gente di pro-
messe osservante. Furon messi aiuti alle frontiere verso la
Rezia, contraria, per esser retta dal procnrator Porcio Set-
timo, di fede sincera a Vitellio. Fu mandato adunque Sestilio
Feli~ con la banda di cavalli tauriana, t otto coorti di fanti,
con gioventù norica, a pigliar la ripa del fiumeEno/ che, di-
vide i Norici da' Reti: ambì-Iuggirono la battaglia, e la for-
tuna di parte flavia altrove si dimostrò"
VI. Volando Antonio, co' vessillari tratti delle coorti e
con parte de' cavalli, alla volta d'Italia, gli fu compagno
Arrio Varo,· vaìoroso in guerra, allievo (in quelle prospere
guerre d'Armenia) di Corbulonej le cui virtù si diceva che
egli segretamente infamò a Nerone, e ottenne il primopilo per
cotal brutto favore, che poi fu sua rovina.' Occupando Primo
e Varo intorno Aquilea ogni cosa, furon volentieri ricevuti
dalli Opitergi e Altini" Fu messo guardia in Altino contra
all' armata di Ravenna, non sapendosi ancora se era rìbel-
lata. Guadagnaronsi Este e Padova. Ivi si seppe tre coorti di
Vitellio e la cornetta 1 della scriboniana essersi fermati a Fer-
rara," e fattovi un ponte, e anche slarvisi mal guardati. Si
valsero dell' occasione. Furono all' alba quasi tutti senz' arme
sorpresì, e pochi, secondo il dato ordine, ammazatine j for-
zati gli altri per paura a mutar fede. Alcuni si arreser subito:
molli al nemico sforzallteli tagliarono il ponte e la via.
VII. Divolgatasi tal vittoria de' flaviani in principio di

f "'uri';,,,•. Iltesto ha al.. -iuritINlJ, della di UD III prefeuo Aurio.


'&0, OflIi In»••
SaliraI" Il dimodrò; cioè, per virlù. CODliglio d'ADloDio Primo, • pn
)'elf'upHio... di Cremoua, meDlre Porcio 8euimio e S.ltiJio Feli...i .IIDDO
iaerli. (0reI1i.)
• Di IDi YNi -i"". XIII, 9.
, fII ..... rovi"a. Vedi ....Dli, IV, i i 'e 811.
• Opil.rJl • Alti./. Opiurgio Olfli .ppel)lIi Od• .-.o. Alu.o è ora aD
Juogbicciaolo D.l padovaDo, eh. lerba il aome e il lilo dell' IDli," e opaleula
sede degli AlliDi.
7 corn,'la. Vedi Iddietro, c. ,.
8 a F.rrara. n testo h.: • FOri"" -illie,,/;. o, com'altri vaole, _ali.-
";1_ che il Cellario stima esser Ferrara; aleual Legnano.
t08 IL LIBRO TEltZO DEUE STORIE.

~t se,M _vllD&OnO due legioni, (la settima, deUa gal-


Jli~~;e.1a ~esima, gemin~) c;on Vedio Aquila legato, a
P.dO'a.~daDlIiose i .v~ si riposarono pochi giorni: e Minuzio
Gi~, ~~lto' del C3DlPO della seUima, fu levato dinanzi
• Ccu:i&. .e' soldaLi.~r troppo superbo comandare in tempo
. ~~.cix*, e m3ndalo a Vespasiano. Anlonio per ac-
cteseere. a sua parte riputazione col venerare il principato
dì'G8lhail8,~ far si che si credesse risurgere quella parte,
feee J}ei. ?lmi,lerra rimetter le immagini di quello abbattute
-per le discordie. Cosa tenuta glorìosa, quantopiù disiata.'
: I • .v~' çODlllÙtossi poi cbe la pianta ! della guerra fosse
VU~.; perehè v' era pianura atta alla cavalleria, ond' eran
pii\I~U:.e il tòrre a Vilellio si possenle colonia dava ulile
e"qp~ene. Nel passare, si prese Vicenza, terricciuola, ma
sl-Ilijmò r aver tolta la sua patria a Cecina capitano del nì-
1I~#~hGiovaron bene i Veronesi con l'esempio e con la fa-

~., e si ritennero li eserciti di Germania che non passas-
aero per la Rezia e per le alpi giuHe; le quali cose non sa~
pè.va, ci aveva vietate Vespasiano,' il quale ordinò che in
Aq!illea si (ermasse la guerra, e s' aspettasse Muciano: e pa-
revagli, poiché s' aveva il granaio d'Egitlo e' tributi di pro-
vincie ricchissime, che I'esercìto di Vitellio per mancanza di
danari e viveri potrebbe arrendersi. Il medesimo, spesseg-
I, gìando lettere, ricordava Muciano, per vincere, diceva egli,
con la spada nel fodero: ma in verità, perchè lutta la gloria
della guerra si serbasse a lui. Ma i consigli per la distanza
de' luoghi giugnevano dopo i falli.
IX. Antonio repente scorse sino al campo nimico, e con
leggierescaramuccia tastati gli animi, si levaron del pari; 3
e Cecina s' accampò" tra Ostilia, borgo veronese, e le pa-
f Cua ""ula gloriosa,.qllaoto pil~ disiata.llte.sto b&~ -d.sid.rata di"
re4 tnìerpretatìone gloriaque (in) maius acctpimr s » cioè, interpretation«
gloriosa, che il Burnouf Leo traduce: • Le motif glorio."" auq. .l 00 attribua
celte aetion en fit ezagérer le .,.;t,._
I la pj.. ol•• C.pri.cio........te il po.lòIl'IOI'A dell' 81l1DplaJIl DOSti.DO di
G. CappoDi~DC811. i Il riacriv. la I.d••
, .Ii levaron del pari" ai separarono senza ehe gli uni avessero a'V'wo alcuo
vantaggio sugli altri. Lat.: • es aq"o discc$$WI&. ._ .
• s' tJC&ampò. La naltiaaa .e la cominiaal l. l'al6re. s' lI'I:tJompagnò: il
lat.s -cutr.. perm ..niit,» Eil Volpi Depas.a .. di qUelLi! • l'ai f.rtanlo Lruciore
IL LIBRO T1!R2'O DELLE STORIE. 107
ludi del Tartaro, t sieere luogo, - di dietro, per lo fiume, e
'dal/ato, perlé paludi. Che se egli non tradiva, poteva, o eon
totte le forze TiteÌliane disfare le due legioni non ancor eOll-
giunte con l'esercito di Mesia, o farle' bruttam'ente fuggii'
d'Italia. Ma Cecina vendè ai nimici il tempo buono del eac-
clarle, tranqnillandosi I col mandar lettere a bravarle, tlncbè
-eon messaggi pattul la tradigione, In quella giunse Aponio
'Saturnino con la legion settima claudiana, cui era tribune
Vipsanio Mt'Ssana, di chiari genitori, valoroso, e solo in què-
-sta guerra sìneero, A queste tre legioni, che non erano an-
cor pio, né pari alle forze vileHiane, scrisse Cecina, non
volessero i vinti più armeggiare contro al vitelliano esercito,
la cui virtù alzò a cielo. Di Vitellio 'parlò poco, e in generale:
Vespasiano niente oll'ese: -e nulla vi dicea da corromperli e
impaurirli. La risposta de' capi flaviani , senza scusare la
prima fortuna, fu, quanto a Vespasiano,'magnifica: nella
causa, confidente: dell'esito, sìcura; di Vitelli01rattava come
nimico: a' tribuni e centurioni largheggiava di mantenere
quanro croncedette VitéDio; -e confortava Cecina molto aperto
a esser de' loro. LeUe in pubblìco queste due lettere, quella
di Cecina sommessìva, quasi temesse di non oll'endere Ve-
spasiano, e quella de' eepidìspregiante, qnasì insaltasser Vi-
teDio, accrebber gli animi.
X.E aB' arrivo di due altre legioni (terza sotto Dl11io
Aponiano, e ollavasoUo Numisio Lupo) piacque mostrar le
Ior forze, e trìnceare tutta Verona. Alla galbiana toccò a fa:'
vorar nena fronte opposta: e da lontano epparì eavaneI'ia
d'aiuti amieì, e
mise vano timore, parendo nimica. L'ira
~e' soldati a T.Ampio -FlaYiano, come autore di tradimento,
sensa riscontro al'ctmo,1 per odio antico, sidiffiò; e portavate
4Juasi tarito afla morte: gridavanlo parente di Vitellio, tra-
'\
desliS"('l'opodti del Nutìl Ho CDrt'Illto $' "r:rumlpò; ma direi pegno_ cm i! D••.
"aD1ati &criue 4- accampaSIlÒ" Al .percbè fu 'V:lgo di c::oniar simili ve,Li. e sì
percbè C'Q6t,.a: permuniit non è appuntino il castra: pOIl&it) ma vale .. forLificò
il campo per trprlr-·la Cttmpttg7r"," COlTle dice il Caro En, XII, cioè per far la
giaorDah. -
, T"r"'ro, 6ume ,do! Ven.to, che oggi pure conserva l'istesso nome.
, II''''''l"lIlfl"th>sl, iDikrgimao•
.s senac riscontro alcun», Polili: • quantunqne·noo n'a\1:ueT caUS:I....
f08 IL t.rnno TER ZO DEL LE sro ntn,
llilor d ' 10D, lad ro del do na tivo : ne gli val eva man g iun te,
gHIaI' i iII terra , strac cinr i "C te , picchiar petto , sinuhioznre.
qua i che In tanta paura accus • c la co cienza. Se Aponinno
com ìnclnva a parlare , i so ldati col gridare e picchiare , non
la 'i;l\'ano dir lui , ne a1lri : ad Antonio 010 davano orecchi ;
per ché era fa ondo, aveva nel quotar popo lo autorit à c
arte . on I. qual e vedendo il tumulto crescere e ve ni rsi
dallo vill anie all'arme, fece leaare Flavi ano in catene, 1 -01-
dati .onohher l'a rl c: cacc iuron via le guard ie da l tribun ale ,
pcr finirl o. Antonio si mise la spada 111 pello, e g rida va \ 0-
ler morire per le mani dc' nlda ti suoi, o sue : e per nome
chiamava ogn ' ami co o gradua lo ch' ci vedev a , perché
I' aiu lns c. Voll ossi all' in igne , a"l'iddii de lla " II er ra . pre -
andoli n mett er più lo lo nelli eserc iti dci nimi ci quel fu-
ro re , quella di scordia , tanto iho la cosa allenò: t c , ' iil lill: l o
il " iorno, si rilra se ogn' uno al suo padiglione. Flaviano III
no tte andò via , riscontr ò lettere 0.13 Yespa iano , e fu fuor tli
pe ricolo.
. I. Le legionl qua si tli quel morbo infette s i leva n o
con tro Aponio Sa turuino lega to dell' c crcilo .Jj Mc ia (piiI
a troci che prima , perc hé Ili mezo 0.11 , non da sera strncc he
da l lavorare) per c scrsi pubblicata una lettera cre duta (li Sa-
turnino a Yit ell io. Già si faceva a ch i più c ser buono c m o-
desto; allora a chi pi ù insolente e rabbioso: per non chieder
con mi no r rabbia al supplizio Aponio, che s'avessero Fl a-
viano, dice ndo i Mesi aver ai utato vendicare i P a nn oni : e
questi, quas i l'altrui sedizione la loro proscio gliesse, godevano
di ri farla . Yànnone al giardino, ove era Salurnino alloggialo.
Ogni cosa fecero Primo , Apo niano e Mcssalla per lui campare;
ma gli valse na scondersi al buio ne l fornello di cer ta slufa
per sor te spen ta. Onde a Padova sen and ò senza lillori.
Partiti li due consolari, rimase il comando d'ambo gli eser-
ciIi ad Antonio solo, cedendoglicle ' i colleghi , e volcndolo
i soldali. Né vi manc ò chi credesse, Anlonio aver mo sso lo
scandalo cattivamente, per esser solo padrone della guerra.
XII. Travagllava la parle di Vilellio in più maligna di-
f allenò, di. onno Iene ; p<fllh il vigore; ,lIentò ; .i c, lmò .
, cedendoglie le, cedendò; lie1o.
IL UBBO TBRZO DBLLB STOB.1B. :109
scordia, nOB per sospetti di popolo, ma per feDonia di capi-
tani. Lucilio Basso ammiraglio a Ravenna indusse que' soldati
Don chiari l (per esser quasi tutti di Dalmazia e Pannonìa,
le quali provincie si tenerano per Vespasiano) a chiarirsi per
lui. Di notte, perchè gli altri non sapessero il tradimento, i
trattanti soli si ragunarono nelle principia l del campo. Basso
per la vergogna o paura, se' non riuscisse, aspettò in casa.
Qllei capitani con gran tumulto abbattono le immagini di Vi·
tellio: dicerti opposlisi fanno pezi: l'universale, vago di cose
nuore, voleva Vespasiano. Allora Lucilio s'affaccia: palesa,
tuUo esser di .sno ordine. L'armata fa suo ammiraglio Cor-
Delio Fusco, il quale tosto si presenta. Basso con onesta
guardia portato da foste in Adria, è fatto prigione da Mennio
Rufinio che la guardava. Ma di subito laseìato , attivatovi
Ormo liberto di Cesare, tra' capi anch' egli.
XIIL Cecina} divolgatasi la ribellione dell' armata,
chiama da cam. nelle principia i principali centurioni e pe-
chi soldati~ dando agli altri da fare per lo campo. Quivi la
virtù di Vespasiano e le forze di quella parte esalta: dice,
« esser loro fuggita l'armata, arca di tutti i viveri: a le Gal-
lie e le Spagne nemiche, niuno in Roma di chi fidarsi, e
ogni cosa di ViteUio, all'ingiù.' », Però fece dare ìlgiaramento
a Vespasiano prima dai consapevoli, poi dagli altri, atto-.
niti di cosa sI nuova. Subitamente fu dato di piglio alle im-
magini di Vitellio, e mandatolo a dire ad Antonio. Ma come
per tuUo il campo si seppe la tradigione, soldati corsi alle
principia, I vedendo scritto il nome di Vespasiano e le im-
magini di Vitellio abbattute, prima ogni cosa ammutoli, poi
scoppiò faori ogni voce. Il: A tale esser ridotta la gloria del
• Il.n cM..,.I, d' ambiglU fede. L,at.: • .. mbil".' mllllum .."im ••.•
I Vedi la po"tilla a pag. 69 del prilllo volllllle.
l" a"ca dl tutti l vive,.i. Lat.: • ",.c,m contm,at'lUm .•
I .pi c.... 41Yif'W., ../n"giil. Lat.: _ .mnl. d. YlteW. III d.U,.I'....
a ••ldati c.".l ..li, p,.illclpia, v..J,lId. eco È un eOltnatlo o1quanlod-,
e li vuoI pigliare <ome av~dte foru di ablativo allolulo: • ...- .oLIali corsi ec.,
ebbero vedulo.• Il poolillllore N.lliano eorregg.. _,i lolda" eorsi, ee•• Politi,
• Pnhblicalasi pe1 campo l'infamia dellradime..lo, comado i loldati ..e'pri..-
cipii, e vedeado l'ilcrisio..i'di Vespasia..o,. per lerr. l'i...... agini di Vitellio;
_arrili da prima. perduta la parola, proruppero poi col dir "gai COli i.. un
t .. ue, gridaDaOec••
It. IO
fiO Ii. LJBIUJ TBBQ:6 DEIlLE S'I'ORIB.
germano- es8Riltl'? senza battaglia, senza sangae porgere' re
mani a legat'e, e l'awmi spoglial'e?1 e· a quali legioni1 vmre:
e saeme s della. peìma e quattordicesima, il forte delì'esereìte
d' Otoaes state rotte- nondimeno e' atterrate anch' esse' da loro
in quella stes!/a campagna: e per6hM per fure un presente ad
Antonio sbandifu,s di tante migliaia d'annati, quasi di tanto
bestiame da veadere, cioè di otto', legioni, oltre a un' armata.
Voler Basso e Cecina, sopra le case," giardini e tante riccheze
rapite' aI. principe, torgli anche i soldati, quantunqnenon me--
Domati IIè feriti, e- wli
alll stessi flavlanì, E che rispondereb-
bere a chi, domandasse di 101' prosperità o avversità? li
XIV" Cosi gridava ciascuno o tutti, secondo li cacciava
il dolore,. e. movendo la !egioo quinta, rimettono- le immagini
di 'ViooWo" legano Cecina: eleggonsi per capi Fabio Fabulo,
legato di essa quinta, e Cassio Longo , maestro del campa.
Danno ne' 801da« di tre fuete, a senza scienza né colpa, e ne
fanne pezì, Lasciano 11' campo, tagliano il ponte, tornano- a
Ostilia, indi, a Cremona a trevare la legion prima, detta ita-
lica, e la ventunesima, rapace, già da Cecina mandate con
pa.te de' cavalli a· tenerla,
XV. Quando. Antomo seppe queste cose, deliberll d' 81l'-
saltare quelli esereitì. diviBÌ' di looghi e d'animi, prima che
tornasse ne' .eapitani l'autellità, ne' soldati l'ubbidienza-, nelle
legioni cctDgiunte il coraggio: cametturasdo clte Fabio Valente
fedele a VMeIio e baon soldato fusse partito di Rema, e
s' afiìoe*taslle,. iIMeso il tradimento di Cellina. E Vitellio aspet-
tava gran ge.~tmanaper la Rezia., e aiutidt Brettagna,

,. e 1'IJ,mllp4gU«•• 1 CIIIi t... l.. Itml"" lilla dUbifu debba lllggersi ..


l* armi a spogliare; cioè, per esserne spogliati ~ facendo che i due membretti
sieco notti dal nrbll porgessero, com. dar verbo trtrd.,..n·' uel latìnc , eh e ha:
.. vinctar ma7UU et capta t.,.tJà~"ent armai'" cioè, • st vinci.71tlJ"~•.• ut ca- !
piant",.::, ti a lesare ••.• a' 'pogUI'I'e\ ..
J #e_. Le stampe del Neri • d.I'ClImiDo bltlDlIlcrmo, mal. manifesto
,""re, pllTllb. si riferis•• a legioni l'e quali', oltre a esser vinte, era DII anehe sea-
..." della prima. '1u"ttordic•• iD11l ( rimondate nna in Spagoa, l'altra in Britan-
aia, .. ,di Il, 66,6-", I. '1uali .....11 il forte d.ll' ...reito il Oton••
I Ib«ndiio. Vedi Il, 8e I e Afm. XIV, iO. .
• sopra le l14Ift~ oltre le e•• tl>
a D_•• n.' .oldati di t,.ef,.lta, ....lgonll i soldati di tre "avi libumicb.
inconsapevoli e innocenti.
IL ·LlnO TBaZO BIII.tB ftOIL Ul
Gallia e Spagaa·da fraOU88l' il mondo di guerra,à AD'leDio
aDuliedeodo .non ~a·j} oombaClere·e ov.iDllelle. VaDe
con tU,lio l' esercilo iD ·dae iPOiaie l.da v,8JOIl& a lJedriaoo.
L' .altre dì .teone .Ie legiODi.a .f&fiifiaarsi, .I§li eiaIi mandò Dél
crIllllOD8ie, BOtta 'lij)8IÙedi iar(IeDle, -a .empiesri. di 'JlI'eda cio)
vile. E8liCOD .quatkomila e8l1alli Ili dillOO8tòda Bedriaeo otto l.
miWia, .perobè ,predaMer .Don più ,Uotm.aa. B 'fIià loDiano e~
eome fI' ,lIIill, gente.a {ar la ·Sdperta. S
XVI. Intorno all' ora quinta del giorno vennero a'iam
~o" S .a dire:che i .nemiai eran "rMIIQ: JP8~i !iJillBDzi:
grande ,mo\'imeato.e.&emit, -seguitare. MeDlre ~aioIlOD­
aaIta·ahe:Bia.dII..fa!e,,:À1'IiD Varo, '\IOIoD.l8l080·cU fan ~
eàe ,-epera, .ee'piia JlHDH .cavalieri 88INlli te Ipiegil lÌ 'llit8Iliaoi,
lI8Jl :pocJ;lÌ medi.llerc:hè. molli ~o.onivj rillOllaroDrfoatuna: i
primi .all' atIronl&lle timasere B6IlÌ -.alluggire• ..ÀIItOllÌo nOD
l'ol&u.. tDBJe, Al B' ~tò .quel.abe an8Blle.l:Conmrf.cHsuoi
a;Ì1le~ 8I'&Jlde aDim, laIla'baUaglia; mad6 alone truppe
di -.c&Yalli .alIelatora, .lticiando. 'IlfII lIlelO spazie • rieevel'
f'an .eo' -BBO.Ì. oavalli. Feoe aruatre le legieBiper;lacampagna:
diede.il .&egno·oheciaseuno, lastiato illpredue, eorreeee in.
battaglia ,per..JapilÌ cOllla. Varo impAamo ,eutrò1ra' sDlIi:eom-
pagnì, eqnelli impaurl. Fugsiv.aao ,&IDi'8{erili, ailitti daDa
via stretta, e paura propria.
X,VII•..AI1toDio :nQll ~lasci6 in quel pericole eesa .possibile
a ,o08taota capitallll'e dlOldato:fortissimo: 'spigDe:i 'paurosi: Tat~·
tiene j ,fuggeBti. .Ov' è trataglio, .ODdeilpenmza, con voce,
J;D8DO., ·flej)sigliosi la da' lIflDlioi ammirare, da' sllOi'ftdere;
e venne- iD :8Lfatto an:lore,.che :trapassate'diJancia trn6 111-
tiare ohefuggiva, .raplla :bandiera, ev.oltdll8 ?e1'flOi nimicM
JlI8r:la tJII81 ~1l8JI8. 6 Don 'pilidi oente C8JV81li feoer telIta.
• in /11# PO"'''' ~on dlR-npo.i;'facemio alto lIue ..olte. Anche j1·tradut·
....._OIIimo .s..: • mn ttutto l'a:erdto in·ìftta pOHtll"tmDll ila -.aoàa.,.
I afa,. la 4C/?pe,.'a, ad "4Pmrau.
11 batiendo, correndo,
• "eal,--nllimi.
• p~,.l•. qw ·l'ft'PP... 1JlllDdi: .'1IlI6eDe pllllpue' .uai 0:011 'JUa!a'
versogna, pure Iion più di con'to ee•• Il frangento d'Antonio Primo nOD è di....
milo da quello in cui _ i :Aadrubàlo (""di T; ·Il"io). G.Cesareuell ..
tl uerra co'Norvii (De Bello gallico, Il, 20); >I 1re ,..torici 'mnlkno qui d'.... r
confrontati. "
112 IL LIBRO TERZO DELLE IIt'ORIE.

Giovò il luogo; perehè la via stretta, il ponte tagliato, il


fiume t in melo, di dubbio guado, d'alte ripe, non laseiaron
fuggire. Tal necessità o fortuna risucitò quella parte. Atte-
statisi t con iskeUì ordini, aspettano i Vitelliani larghi, con-
fusi, e abbattonli. Antonio seguita gli spaventati, ammaza i
combattenti. Ciascuno degli altri, secondo che più ama,
spoglia ,piglia, ruba arme e -cavalli. Sentendo le liete grida,
que' che dianzi fuggivano per le campora, si mescolano nella
vittoria.
XVIII. Quattro miglia lontano da Cremona si videro
luccicar le insegue delle legioni rapace e ìtalìca, che insin
quivi vennero, quando da prima vincevano i lor cavalli: ma
alla fortuna rivoltata non s'apersero per. ricevere gli sbara-
~liati: non si opposero al nimico, non l'assaltarono, straeee
per la pugna, e per la tanta via corsa. Forse i vinti non eosi
nelle prosperità desiderarono il capitano, come nell' avvenita
s'avvedevano di non l'avere. Urta la cavalléria vincente la
balenante battaglia; ed eccoti Vipsanio Me88alla tribuno con
li aiuti mèsìel, 8. i quali egli, benché v.enuti a corsa, teneva
si buon soldati, come i legionari. Cosi i cavalli e pedoni con-
giunti ruppero l'ordinanze delle legioni. E le mura cremonesi
vicine, quanto speranza davano di salvarsi, tanto animo to-
glievano di combattere.
XIX. Né Antonio li seguilò ricordandosi delle fatiche e
del sangue, ond' ei, se ben vinse, ami888 tanti uomini e ca-
valli. Tramontando il sole, arrivò tutto il forte dell' esercito
fiaviano: e calpestati i corpi e' frescbi vestigi deU' uccisione,
come a guerra vinta chieggon d'andare a Cremona a rice-
vere gli arresi, o sforzarli. Queste cose belle dieeano in pub-
blico. Ma in se discorreva ciascuno, « Questa colonia in piano
potersi pigliare con assalto, e di notte col medesimo ardire,
e più licenza di rubare. Aspettando il giorno, le n' andrieno
in accordi e lagrime: un poco di gloria vana e pietà paghe-
rieno lor fatiche e sangue. Ma le rìecheze de' Cremonesi bal-
zerieno in grembo a' legati e prefetti, Saccheggiare la citta
I il fi,.",e. Credono cbe li. il D,im.". ehe Il10céa nell' 0Sli ••
t .ilU6II4tl..l. rillrelLiai iOlieme.
5 mblcl. della Mui••.
IL LIDO 1'11810 DBLLB It'OaD. 113
.forzala, i JOldati: l' arresa, i capitani. Il Spregiano centu-
rioni e tribuni. E perché non s'odano comandare, dibatton
l'armi, risoluti, non essendo condotti ali' assalto, d'andarTi.
XX. Antonio entrò tra loro; e fatUli chetare con la pre-
senza e autorità, disse, • Non volere a sl meritevoli levar
gloria né premio. Ma da' soldati a' capitani esser divario:
a quelli star benissimo il desiderar di combattere, a queali
',il provvedere, consultare: più volte col savio indugio, che con
la temeraria fretta, giovare. Come aveva con l'arme e con
la mano fatto la sua parte nella vittoria, cosi gioverebbe con
'la ragione e col consiglio, arti proprie del capitano. Saper
ben egli che imporli la notte, il non sapere il sito della città,
i nimici' entro, ogni cosa atta ad inganno. Non dovenisi en-
trare, benché fussero le porte spalancate, se non di di, e se
prima riconosciuta I non Comincerete l'assalto senza vedere

o
è,

ove debba dBJ'lli1 quanto alte le mura, se con balestre o


ciotti o zappe o difici'! J I Voltatosi ad uno ad uno domandò
"n-
Cl se portato aveano accette, picconi,' e che altro ci vuole a
prender città; » e dicendo « no; Il soggiunse: « E potranno
'le vostre mani con le spade e lance aprire e atterrar le mura"
Quando bisognerà far bastioni, coprirci con tavolati e gra-
ticci, staremo noi trasecolati a lnirare l' alte torri e fortifica-
zioni altrui'! Non é meglio indugiare una notte, e condotte
tutte le macchine e gli ordigni, portar la forza e la vittoria
con esso noi?» E tosto manda a Dedriaco saccomani e ra-
'gazi co' pilÌ freschi cavalieri per condurre stormenti, e ciò
che (aceva di mestieri.
XXI. n che dispiacque a' JOldati: e stavano per levarsi
8U; ma alcuni cavalli scorsi sotto le mura presero certi usciti
di Cremona, da' quali seppero che sei legioni di Vitellio e

, ricOfIolcial4. esplonta.
I diJic/. L.t,: • operiblU •• 11Polili: • coa tar c.".lieri. •
• p/ccom. La Crwea ddai..,.: • Piccoae, .trumeato di t'erro eoa punle
quame, • 'w. di .ubbia, col quale .i rompOiloi ....i, e Caa.i .ltri Inori di
pietra, comeIDatÙli, e.imili.. Ma il !elto b. dolabrtll. ehe .ODO "eramOllle
le pialle. R.ftatlIo Pasto.. Dota • que.to lUOlO, ehe • eli .1 t.tti .lromeati lIn-
r .... DO i Rom"'; • ta", le lor torlificaaioai, e ...."... sotto le mm.l!lie de' DI-
miei; e soa (orse quelle ehe ....l!l!oali aell. CoIODDI di Tr.iaae al aam. 299.
o

t.l!lieati da aDi p.rte, dall' altra oll... i. •


lU IL U"O TERZO DltUE 8'lOÌl.JL

tlltto l'eM'rCito stato a Ostilia, udita la rotta de' loro, av-NDCJ


faUo n di tmata -.iglia: voleva combattere; 4t arri~rieno
aHara. Qoeslo terrore apene gti oreoebi de', soldati &' consigli
del capitalle.Ferma in su l' qine deUa ~ia pestmlia la le-
giml tena; a sinistra nel piano la settima galbiana; i. un
fosso naturale fortificata, la settima claudiana; iD luogo aperto
1'9Uava~ e chiusa tra foDdi arbuee1li l la tredieesima. Cosi
erano ordinate l' aquiie e le ìosegu.e; i soldati riofui·· aecase
per la Dette; ill'eSliUD de'pcet.rialli aIlal~ alla terza; le fan-
terie d'aiuto ne' corni; i fiuohi e le spalle ciase la cavaDe-
ria. Si~ e ltalico svev4 001 fiore di lor gente, stavano nella
prima battaglia.
XXlL lIa l'esercito di ViteUio, che doTevadi ~De
riposare in Cremena, e, riprese 'per cibo e sonno le ferze, il
di di poi rompere e disfare il nìmìe», morto di freddo e fame,
all' ora terza di notte, privo di capo e COIIsigfio, si sptll!le Dei
DniaMi disposti e pronti Qual fesse l'ordine dilOrdinato per
la DOtte e per l'ira, DOn affermérei: altri pongone la legion
quarta macedoniea nel corno a loro destro; la quillta e quin-
dloesima, con le compagaiedi Brelta~n8. della DORa, seconda
e ventesima, nella battaglia; la seGieesima, Tentiduetlima e
prima DelsiD:Ìstro. Quei della rapace e dell' italica essersi -me-
scolati per tuuo. I cavalli e gli aiuti si posero dove fi volle-
ro. Fa il combattere di quella notte vario, dubbio, atroce,
ora a questi ora a quelli infelice. Cuore, mani, oeebì , nuRa
valieno. Erano l' anoi medesime: daogui banda noto il B0-
me per tanto chiederlo; frotte di soldati qua e là strascica-
vano le insegne metlOOlate. Era forte caricata t la legioB set-
tima scritta da Gaiba, toltale alcane illtlegn8, uccisole sei
centurioni di prime 1Ue: Attili. Vero, ftO di ell8i, salvò
l'aquila con molla slrage di nìmìcì, e al fin sua.
XXIII. Antonio sostenne i suoi che piegavano, ehìa-
f ,In"li arbllcolfi. Coll'I la aestiaaa, e cosi dee dite. Ma il ~olpi, aon in.
teadOlldo la fona del vocabolo, aè ricordaadosi elena selva fonda di 'Daate
(1aL XX), eioèfilrc,folla, com!nefolti; e parendogli ""aver faUo molto
beae, registrò il folte sllO in foado allibro, quaci diceado: vedete r
I Eraf...,o c....tcala, en iDeabata e perco ..a fortemeate.Lat.: .. ...rgoba-
tur.· Ccricaroll nemtca vale'F..... impelo contro di osso; a/laccarlofor/e-
mente.
IL uno TD'ZO MI.LB STOBM~ BIS
BIIIIdo i prefloriai; i qwali, presa la pugna, caricarono i ni-
_i. poi CoI1lll piegati; avendo i ViteUiani piantati i man-
gani .. su l' arF8 delta via, che tiranno alr aperto: dove
prima Ili pmtevano i tiri, eogliende erbori e 110b nimici. Un
de' qOatigraDde a diAllisura della legi01l qaattOTdicesima fra-
ca1lNft een gran _ i i oimici; e n'avrebbe fatto macello)
se n . . era un glorioeo ardire di due soldati che con due scudi
necolti tra quei ~rti, non essendo considerati, andaron li.
tagliar le fmi a' contrappesi di quello stromento. Furono io-
OIIIltueDte .cem; però i nOlllilloo si seppero: il fatto è
aerto. A meza ..ate, IIOD si 'VellenOO ancora dove la fortuna
pendesse, si ~ la luna, e scoperse l'uno esercito, l'altro
iDgannò. Giovò ~ flaviani l'averla didietro, perché gittava
più IDngbe Yembre de' cavalli e fanti che non erano i corpi:
e i nimici i~iaTan qoolle. I viteUiani scoperti col lume
in foocia, emJlO, BeDU petersì guardare, quasi da occulta
parte saetlati.
IXIV. Antonio adunque, qeande potette conoscere i sl10i
ed esser ocmosciato, chi svergognava e proverbiava, molli
lodava ed iDanimiva, a tutti dava speranze e promesse, e do-
mandava le legioni di Pannonia, perchè avessero ripreso Par-
mi·? la quel piano potere essi 'convertir la passata vergogna
1ft gloria. VoIla~i a' mèsiC'i, 11 predieava capi e autori di
~ guerra. u: Acehè Il'fer provocato con parole e minacce
i YileIliaBi, se Maspiritaseno dene lor mani e occhi? Jl t Cosi
a q.aJaMue a Ioi "ane.in, diceva. Più disse alla legion
terza, ncordandole l'antiche prodeze e le nuove; delli scac-
ciati Parti setto M. Antonio; Armeni sotto Corbulone; Sarmatì'
di~zi. B a' pretoriani in eotlora disse: « E voi contadini, I se
DOD v.iDeete questa volta, quàle altro imperadore, qual campo
vi raceUerà't coli. son le anni vestre e l'insegne; la morte,
se perderete;oàè fODor D'è già ilo. Jl Ustiren le grida per
lolto; e la terza salulò (cosi 8' Ula in Seria) il nascente sole.
XXV. Usci voce, forse JDe8I8. per arte del capitano, Mo··

• .rp;,.ltasIOlJo delle lo,. ..... "1 • occ"if moriuero di paara della foru e
degli sguardi di costoro 1 Lat.: a non tolerent;» Don avessero cuor di sosteDeJl.
I e<mterdlnl.1\ L.t.: «pagani] » per atto di dispregio , 000 degnaodoli
del nome di soldati, ma Itimandoli quasi rozzi e inesperti Dorghigiani.
Hl u. LORO uuo DaLLE STOarB.

daJie .... giaato, e eh gli élerCiti s'eran salutati con quelle


~ MuovoDO il pasM. qaési cresciuti di nuovi ainti, e già
diradaYaDo i eombattenU' utelliani senza capo, ciascuno da
suQ impelo o paura spiati 8 ritirati. Quando Antonio li vide
p~ col folto battaglione gli urta, allarga e scompiglia.
K.... poJevano, impediti da lor carri e macchine, rIordinare.
I viBcitori aDe bande della via fanno calca per fretta di se-
guitarli. Fece pIù notevole la mortalità un caso che Vipsanio
MessaDa conta cosi. Giulio Mansueto spagnuolo,scritto nella
rapace, _iò a casa un figliuoletto, il quale cresciuto, fu
scruto da Gaiba nella settima: avvennesi qui nel padre e lo
atterro di fedita; mentre l'uno spoglia, l'altro dà i tratti, si
riconoscono.: spiragli in braccio: il figliuol piagne e scongiura
quell'anima del morto padre che gli perdoni la non sua colpa.
Ma di tutte quelle maledette armi civili, un soldato solo! che
parte era? Levò suso quel corpo: fece la fossa, e rese al pa-
dre l'ultimo ufficio. Considerollo chi gli era presso; indi al-
tri; e per tutto l'esercito fu sparso il miracolo, con bestem-
miare e maledire si crudel guerra. Nulla però di meno cor-
rono a spogliare amici, parenti, fratelli ammazati: lo mal ratto
biasimano, e si il fanno.
XXVI. Arrivati a Cremona si presentò loro strana e di-
smisurata fatica. Nella guerra d' Otone i soldati germanici
cinsero le mura di Cremona col campo loro, e quello di trin-
cee, e nuovi fortificamenti v' aggiunsero. A colai vista arre-
starono i vincitori, non sapendo i capi che comandarsi. Dar
l'assalto i soldati stracchi la notte e'l di, cosa dura, e Senza
vicino aiuto, pericolosa: tornare a Bedriaco, tanto cammino,
fatica intollerabile, e rendevasi la vittoria disutile: fortificar
il campo; cosa, da far uscir subito i nimici vicini addosso
a'lavoranti fuor di schiera e disperderli, E più di tutto si
temea de' propri soldati, nimici più dello indugio che del
pericolo. L'andar cauto non è grato, la temerità dà speran-
za: ferite, sangue, morte, tutto contrappesava la cupidigia
del predare. . ,
XXVII. Questo piacque ad Antonio, fece assaltar le
trincee da tutte le parti. Prima si combattè da lontano con
I .....oldato .010. L. Nulian. b •• di cui UD loldlto 1010._
.IL U ••O TBUO WLB STOBIII:., f17
frombole, con saette, ove i flaTe odann col peggio,
essendo i nimici a cavaliere. Pose alle trincee e porte le le-
gioni scompartite, acciò quale si portasse meglio, apparisse,
e se ne accendesse garreggiamento; ci" la tena e la aeUi-
ma pre8IO alla via di Bedriaco: l'ottava e la settima elau-
diana alla trincea destra: la tredicesima fu dall' empito (ra-
portata alla porta bresciana. Posaronsi un poco; in tanto
companero zappe, picconi, falci e scale da' villaggi vicini.
Allora messesi le targhe in capo, fatto serrata testuggine,
vauno sotto le mura. Da ogni banda si combatteva alla r0-
mana. I vitelliani ruotoian loro addosso gran sassi: sgretola-
no, aprono, e con pali e Iance frugano e disfanno la collegata
testuggine delle targhe, e quell' infrangono e macellaDo.
XXVlll. L'assalto allenava, se a' soldati straccbi e sordi
a' conforti de' capitani non era detto, et Colà è Cremona. Il Se
questo fu tratto d' Ormo, come V1l01 Messalla, .() d'Antonio,
come Caio Plinio che ne lo biasima, non discerno: ma egli
fu bene, quantunque sceleratissimo, proporzionato alla fama
e vita di qual s'è l'un di loro. Senza più guardar a ferite,
nè a sangue, già avevan rovinato il riparo, già scotevan le
porte: saIitisi in su le spalle e sopr' alla rifatta testuggine,
aggavignano l armi e braccia a' nimici. Sani con feriti, mo-
ribundi con boccheggianti s' abbanft'ano in ogni.strana auì-
tudìne e immagine di morte.
XXIX. Asprissima battaglia faceano la settima e la
terza, e con l'arco dell' 0180 vi si mise' Antonio con aiuti
fortissimi. Ve4endo i vitelliàni non poter reggere a tanta
serra,' e fuori della testuggine ciocchè di sopra piombava
sbalzare, diedono al manganone la pinta, il quale di sotto
quantine coperse, schiacciò o s1:laragliò, e di sopra si tirò
dietro i merli, la cresta del bastione e una torre congiunta-
gli, intronata da' 8888i.· E mentre i settimani s'aiutavano a
I aggap/pallo, afferrano. Nasce da Bap/gne, cbe .ono le gllndllle dene
flUCi, elette latiDamenle tOlldli•• Onde a,,,,p/par• ... 1. propriamente P/BI/.,.",
.Ile ,avipe, o al collo.
r
I e CDII .rCO dell' 0"0 p/ 1/ m/,o, ..i •• mi.. COli tatte le foru. Diceli
mche col midollo dtll' osso, ed ambedlle .ono modi ..i..i ael popolo.
I a tanla ,erra; a tallt. alrelta, a tanto impelO.
4 /IItroHta da' 'alli, .commo.sa dai colpi de' saui. Cod dice la aesliana,
118 IL UJI1l0 TJ!3I%O IlELJ:E 81I'OBIE.

montare 'cen senate frolte, ii lemmi con ,le 'scuri e spade


spezarou ,la porta. -li. primo a ·ealr,ar dicono lutti gli ;autori
che:fu Gaio "'11lllio il8ldato deDa 'terza. Costui salite su la
tiinoea, Jfattusi far'llargoper forza, :alzò ile mani e grìdèc
CI: D campo è nostro.: » IGli.altrì seguitarone, già per la -pallr&
gittaDdoseDei v.itelliani a ,tetTa. Quantò<è dal campo aDe ma-
ra, 'Jf empiè di morti.
XXX. Rimane:vacì fatica nuova 'e nJ:Ì8:: munalte; torri
mura1e,porte fm!ratis8ime, ,tanti 8Òldati con;1' arme 'in 1DlIIIO,
tanto popolo cremonese tuttodeDa ,par.le loontraria, e l1181Ea
Italia 'ctJnC'orsa in que',di.alla :fiera, Che .dara per -la mOltito.
dine aiuto alla difesa·, e:animo agli .a88aIitori per la preda.
Tosto Antonio manda a ficcar fuoco neDe ameni!l8ime viIIe'Q
palagifueri deDa citià, ile!forse i Cremoneeipor salvar i lor
beni mutasson fede. Empie le più·a}te1case e viCine·.alle'mura
di buon soldati, i quali oacciano i ,difellditOl'icon tra.:vi" fuo-
chi e tegoli.
XXXI. Le legioni rifanDo testug!ini;altri tiran slIBBi.e
dardi: tanto eheì 'vitellilmi'a poce a-poeeeeosaeìeedcas alla
fortuna, di mano m mane lÌ più ·degni,peroiocobè lasciando
sforzar Cremona, monrimaneva ·lorop~ l\JOgG di misericor-
dia; e il vincitore sfogherebbe tutta la rabbia sopra di loro
tribuDi e-eeatnrìoeì, non sopra 'la plebe, c'be non ha Che
perdere. I soldati privati non pensavan -tant' oltre, raéeali
lor basseza sicuri. Sperduti per le vie, nascosti per·le -ease,
noncbiedevano pace eavevan dìsposta la guerra, l'princi-
pali -del eampo levano il 'nomee le immagini di !V'Uellio;
sciolgeno Oecìna, -aneor 'Dé' ferri,·e 'Preganle dite 'flreg'1li per
loro. iJ\ibuftandoli:arricciate'le tronfio, lo impottoD'ano; 8
ohieggono a 11n traclitore tRriti forfisSimi -campioni een le ~a­
grime (ullimodi tutfii mèliJmercè per 1Die,'8 mostrano i
sagri -veli e le bende dWDemura. Avendo Antoni6ftmo fer-
mar l'armi, cavaron fuori leìnsegne e l'-aquile, e dietro ne
veni"a la gente trista, disamnata ,non gli occhi bassi, .e
d'intorno i vincitori prima li svillaneggiavano, 'poi 'aJzaV'llD
e dice bene. Ma al solll0,"1I 'Volpi non intenaendole propriet~ loscane,comsse
intonata. Forluna, che gli Accademici della 'Crusca non gli deUer rellal
t ..rricclR.to" "Uisprnnnte.
IL. LI.Bo; TE1l%O D&1L& nORIe

le .oh: lmJ -.eòendoli porgelT il 'riso· e. ogni viltà patile, si


rimembUl'ODO, questi esser quelli che dianzi a BedrilMlO. si
tempeI'al'ODO BoDa ~illoria. Ma quando velftle Cecina da COD-
solo CHla la pretesfa, littori: inaaDzi e chifaeen flll' largo,
scappati di pacìeasa,'. gli riDfacciaTano l' orgogHo e 181 crn-
deUà, & iGooo al tradimento: taDto ti odiano le brotlnre I
Antonio n riparò col mandarlo guardato a Vespasiano.
XXXlL Intanto la plebe di Cremona ls'a tante spade
ebbe skefare; ftOiY3si al: 8llDgD8, se i capitani pregando
non addoleivaD(J i soldati. Antonio. feEe le parole a talti; ma-
gDifulhe a''rineitori; benigne. a' vinti: di Cremona nOn'si di-
elUat'Ù. L'esercito, oltre aUa naturale agonia! della pDeda,
la voleva sp~Jdare, per oWi anlichi. Credevasi, iCrem&llesi
avere aiutato VitelJi() anehe Della soetM
di OlODe; scliemiio
~ 80110 insolenti i pl~ei .deUa cillà) i uedioesimani Ia-
sciativi a fahllricarel'anfiteatro. Accrebbe odio avervi r r
fatto CeeiDa. .lo Ipetlaeo1o degli lWc&ltellanli; l' 8ssere slata
due velia. se_della guerra; aver porto vÌ!fande all' aereiLo
vite1Jiano in httaglia;. ed esseni ÌI1sino state- 1ICCÌ8e delle
dmme 1I8eite a CClIÙattere per affezioae aKa parla. La &iera
ricca, aggiunta alla eoIoDia.ricea,. tante- più li aeeendey.a aUl
preda. In. AntOllio solo, per lo grado e nome, eMB tnlLi gli
ooclù. voUi; gli aUri capitani non eran guardati. EsseutIo egli
di saugae lamo,. eDUlÌ per lanrsi. neHa stllfa, e lr<watala
poco calda, udill8i,.. c Ben tosto fia risealdata,» eotal IWlUe
Ce' mredere~ Iai aTer- dalo il seguo di meUer fi&eep, ia er.
lWII8ilL che già. udea, e Ili accMtò hlU. l'odio.
XXXllL EotrarolL'\'i a furia quaranlla mila al1llati, e di
b~liou e-.goalateri più numero e più.orudi e più diso.esti.
A m. di spada e dii- y.8rgogna .dava agili età. e digniU.
De' vecahi: 8' yeedlie-7 UDIM disutiJj, facevano slrazi e lÙsa.
AvveneBdosil a matua yol'giae. e. bel déBU\lQ, per strappar-
sigli di ano .. gli sbranavàno, e. alla fine 88D Wlcidevano.

f 8CtJppati di pacien~a~ impazientiti.


I "8"ni., c101idllrio.oreioll&t, .• be Sii aJ1lichi dinGO aach. """,., Comen-
brio.di Inale ..u' Et"uria, A.D. II. nar., pago i&3: ".li a.ari.._ col ~l1sillro, e
coll' agoae d'acquislare si rodoD!, dentro e coasumoaii. • Vedi a 'iuelto lUOllo
la noia ciel Compilalore.
120 li LIBRO TERZO DELLE STOIIL
Portandosi alcuni via danari o doni d'oro, rubati a' tempIi
divini, se più forti di loro incontravano, erano uccisi. Altri
spregìando le robe che davan lor nelle mani, cercavano col
bastonare e tormentare i padroni di far disotterrar le nasco-
ste. E nelle case e ne' templi svaligiati. per piacevoleza glt-
tavan fiaccole. Erano in quello esercito composto di Romani.
allegati, stranieri, di varie Hngue e eostumì, diverse voglie,
diverse leggi e nolla non lecito. Quattro giorni dùrò il sacco
di Cremona; arse ogni cosa sagra e profana; il tempio solo
di Mefite l avanti alle mura fu difeso dal sito o dalla iddia.
XXXIV. Tal fine ebbe Cremona]' anno dugento ottan-
taseì dopo che ella, essendo consoli T. Sempronio e P.'Cor-
nelio,' entrando in Italia Annibale fu edificata per frontiera
oltre al Po contro a' Galli o altra rovina che calasse dall' al-
pio Per molli abìtatori, comodità di fiumi, grasseza e paren-
tadi del paese, crebbe e fiori. Da guerre dì fuori non tocca,
per le civili infelice. Antonio, vergognandosi di tanto male,
essendone ogni di più odiato, bandi che niuno tenesse pri-
gioni Cremonesi. E già erano preda vana, perché tutta Italia
s'era accordata a non voler comperare. Cominciaro ad esser
uccisi. I parenti, vislo ciò, Ii raccattavan segretamente.' li po-
. polo avanzato tornò in Cremona, e furon rifalli tempii e luo-
ghi publici con la borsa de' cittadini, esortandone Vespasiano.
XXXV. Ma per lo fetore dello ammorbato terreno poco
potero dimorar nelle rovine della sepolta città. Tre miglia
pìù.Ià rimettono gli sparsi e spaventati vitelliani ciascuno
sotto sue insegne: le legioni vinte spargono per l'llliria,
affine che, stante ancora la guerra civile, non avessero dop-
pio cuore. Mandano in Brettagna e Spagna corrierie nuove
del seguito; in Gallia, come eduo, Giulio Caleno triwno; in
Germania, come trevirÒ, Alpino Monlano prefetto d'una I
coorte, quasi a Ulostra, perché ambi Corono viteUiani. Chiu-
sero con le guardie i passi dell' alpi, per sospetto che la Ger-
mania non s'armasse per Vitellio.

t M~fi'" diviDila pnllo i RoillaDi (cbe tutte divilliliavlDo, IDCO le più


.chi/'e cose), eri WlI del vellerlla iII 100gbi tetri ed ..alallti peltifera 1m, l' '1aali
eUI pnlieclen. (R. Paston.)
I L'aoDo di R. 536. Vedi T. LivÌD, XXI, 25.
IL l-UaD DazO DELLE STORIE. 121
XXX VI. D quale, avendo spediti alla guerta Cecina e,
poco appresso, Fabio Valente, cacciava i peBSieri col far
buon tempo; non a preveder armi, non a esercitare e llIDIIlonir
soldati e farsi a tutti vedere; ma sotto Il ombre di bei giardi-
ni, alla guisa di pigri animali che, quando il ventre è pieno,
poltriscono, s'era dimenticato ogni cosa passata, presente e
. avvenire, standosi nel bosco della Riccia a marcir d'ozio.
Lo colsero le novelle che Lucilìo Basso l'avea tradito e fattoli
ribellare l'armata di Ravenna. E poco appresso OD dolor
mescolato con allegreza, che altresl Cecina l'avea tradito e
l'esercito incatenatolo. Per l' allegreza il disensato non senti
la picchiata. Torna in Roma baldanzoso, e in pieno parla-
mento n'esalta l'amor de' soldati. Fa legar P. Sabino pre-
fetto de' pretoriani per esser amico di Cecìna: sostituisce
Alleno Varo.
XXXVII. Fece poi pomposa diceria in senato, e da' pa-
dri fu messo in cielo COli finissime adÙlazioni. Contro a-
Cecina prima L.Vitellio disse atroce parere; gli altri, che un
consolo avesse tradito la republica, un capitano lo impera-
dore, un tanto arricchito e onorato, l'amico, facevano gli
sdegnati: dolendosi del danno, non di Vitellio, ma loro.
De' capi flaviani non dissero parola offensiva; gli eserciti in-
colpavan d'errore e poca prudenza: il nominar Vespasiano
sfuggi-vano, e circoscrivevanlo. Rossio Re~lo impetrò da
Vitellio in bafbagrazia 1 il rimanente del consolato di Cecina,
che era un sol di, ridendosi ogn' uno di chi il diede e di chi
il ricevè. L'ultimo d'ottobre fece le parole del prenderlo
e del renderlo. Notavano i pratichi che consolo un sol di fu
anche Caninio Rebilio a tempo di Gaio Cesare dettatore,
quando si sollecitavano i premii della guerra civile: ma far
nuovo consolo, se quel che -sedeva non era prima disfat!o
per legge, non s'era udito unque,
XXXVIII. In quei di si fece gran dire della morte di
Giunio Bleso, seguita, per quanto ritraggo, cosi.Vitellio, am-
malato grne nel giardino dc' Servilii, vide UDa notte in una
torre vicina molti lumi. La ca_one intese essere che Cecina
Tosco convitava molti, tra' quali era il principale Giuni()
• impe/rò: ... iII har6agra.ia: modo plebeo, che vale iII gra./" spee/ale.
Il. ti
--- !22 IL LIBRO TEOZO DELLE STOIKE.

Ille . E l' a pparecch io e l'allea 'a c 'l < ecano e l' all rc co. c
li furoo dipinre maggior cl 'cr . • 'c vi mancò chi dice. 'c:
o e gli Ti, ma Bio o iii cJi tulli fc te.... iano e ciub-
bil Il m tre il principe h m Ic.» Quando quelli che spe-
colano i cuori de' princip cggon Vilcllio tin to bene ,' da
poter Ilare a l scacco." ne la clan la cura a L. Vill.'lIi
che per astio maligno non pote 8 patire di vederlo per la sua
eran fama pas re innanzi a ,macchiato d' ogni bruttura .
Apre la camera dell' imperadore c '01 lìr;liuol di quello in
braccio a lui • ineinoc hia; c domandandoli esso che ciò fu -
' C, « 'on portargli (di ) lacrime e preghi per proprio doolo
o pericolo, ma di uo Iratello Il ulpoti: rider i di Ve [la ia-
no, da tante legioni germani 'he, da lanli va alli pote nti c
fedeli da tanti spazi di terra e m. re tenuto disco to : nella
città, in seno avere il nimieo , che i vanta de' suoi avoli
iunii e antonli, d'esser di schiatta impe riale, e ma trasi
dolce e l rgo n' soldati . a costui ogn ' un vnlgers l , mentre Vi-
tellio a chi li è nimico amico non badando, lira u un
emolo che da tavola r imira i lrava 'li dci principe: esser bene
di 51 cellerata allezrla farlo tri to, c dare a dìvcdoro che
ViteIIio i: vì o c regge: , in oznì caso, ha un ti liuolo. »
.::1:. Dibattutosi Ira l paura Il In oglia , per levar i
il pericolo de l tener Ble o vivo e 'l carico di farlo morire alla
scoperta, si ittò al eleno; il che più i credette , e endolo
andato a vedere con alleureza erandissima oltre a l crudel
vanto datos i (io riferirò le parole proprie ) duvcr pasciuto
gli o chi della morte del uo nimico. Fu in Ble o ollre alla
chiar eza del san gue c gentileza de' costum i, fcde ostinata.
Cecina il tcnlò, e altri capi di quella pari comi nciati a stu c-
ca si fii "iteltìo , ancora in buon se ; cd ci sempre forte ,
s nt , q uie to: i poco de' ubiti onori, Don ch d I prin i-
pa lo curante l che poco n mancò al on parcrne dezuo.
,'L. 111 tanto Fabio ' t III con mandrie d' cunu ihi o
con ubine ca mmi nando più I eutc che la nu rra non ama ,

• tl,,'obcn. f!~aua.i ,sdeSDilto t: iGas rito, La : _ arptra t,u If• • Col .a che Del
primo dej;li 1.nnali , e. -I I!: • Gallo y, dn tol limo, replico te . •
I da l'.'e~ d ..r. A D IClO lo I dCCO, iD G"U' eh. DI..o l'0ln. aorri.D-
u n I.

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... UBlO 'l'BllZO DJUJ BrOm. 123
eIibe avVIS. io estrema diligenza, I che Lueilìo Baiso avea
data r armata di RavtlllWl: e pcMva, s'ei fusse uscito di
p8l11O, I tener Cecina iii. r«vello, o esser a ~mpo a trovarsi
.alla giornata. Né maBCe ehi consigliarlo d'andar 00' suoi
pia jdali per 1l'jgetti, scansata Ravenna, a Ostilia e ere-
mona:altri, .di chiamar i pretorìanì da Roma, e pasear per
forza. Egli ,Ili tratteooc; e, quando era tempo da fare, Ile
lì' endò io eoll8igii.Non prese né l'uno spediente né l'alleo:
teaue via di mezo (che ne' pericoli DOB eiè pep), né a
bastanza 8n'ent1ll'Ò Gè provvide.
o
XLI. Serilllle a Vitelli per ai~o, Vennero tre coorti con
la CBl'aUeria di B.reUagna: troppo n_ero a frodare, e poco
.a sCon:arla passata. a E quantunqlle Valente avesse da pensar
tant~, èbbe infamia d'aver voluto sfogare ogni brutta libi-
dine per le ease delli alloggianti. Avea forza e danari e lus-
suria, mio che aUimo ai parte da chi rovina." Qoandol'aioto
finalmente arrivò, chiarì la fìaeeheza del consiglio; perchè sl
podlì Don potev.anoaUraversar il nilnieo, quando lussero
stati fedelissimi: e fidare non Ile ne poteva, se bene li rite-
.neva un poco di modestia e rinrenza al capitane ; legami,
clle nonteagono più che taatoJl ehi braIU garbugli, G e ha
mandato giù lal'isiel'a. T I pedoni ìnnane] e i cavalli appresso,
llOBpeUalldone, mandò a Rimini, ed ci OOD pochi nell' av-
.e1l6ità llOD. mulati, voltò nell' Umbria; indi in Toscaaat ore,
.ìnteso il caso di <4emona, gli venae noD bassopensiero e,
·se gli rillScin, .(eJribiJe, di dar di piglio 'alle navi, :porre in
&erra 1n qualllDqoe Iuego-della PllO'Vincia Berlloll68e 1 c.biaIDar
le .GaUie, le geati di Germania; e aooendM! ~va guerra.
• ,.i" ut,.,m4 diligeJIaa.. eon gran te.lerità. Lat.:.11 pernicib'''I.n1I.Dciis acce-
pit. .. ·Cosi.4nn. l, 3. Cosi pure il Dati, Lepid , pago tI.: .. tI pio va no.•••
manaò.jg diliSeo.. un <OI1tadiDo • compr... dell. n ..
I .' eifUJII.""'cu.o di pl46.o, le .i fos.. afFrllt.alo.
• .n sfonar la,.pIl8.rata.. a sfonare il passo.
• vi.i. ch. ultimo .i pa~t. eco La ragione ~ percb~ oIFelifltà non' Clun-
bile, l.'J'iù diIli.ile. temperare; .. come be aeuo 101"", iiI>. U, ''l.
I "OlI leIlgOllo più cIre ""to, DQJl . .!alIDO molt ,~Uene1C. Ililll!"dire.
G chi b~ama ga~b"g/i. Lal.: .. avid •• pe~icul'rl"" Sopra, cap. 26.• Più
di tutto si t_ea de' propri soldati, nimici più dell' indugio che del pericolo.•
T ha mandalo giù la vi..ier«, JlOJl ha vergogna; uacc.ialo,impudeate. Lal.:
.. d.d.co~b uC"~O$ •• Già avevano lJ.'adilo Gaiba e Otone, Vedi"'nn. JU, 26.
~ -::-,..,.., - - - - -_. -- -

12.1 IL UBRO TERZO DELLE STORIE.

XLII. Partito Valente, Cornelio Fusco con l'esercito e


con le galee ~irconda quei che tenevan Rimini spaventati;
piglia la pianUra dell' Umbria e la parte della Marca cui ba-
-gna l'A.driatico'; e tra Vespasiano e Vitellio l'apennino di-
yiden tutta l'Italia. FaJ;l.io Valente dalla spiaggia pisana da
fortuna di mare o contNrlo vento fu gittato il Monaco; ove
era vicino Mario Maturo procuratore dell' alpi mariltime,
fedele a Vitellio, ai cui giuramento con tutti i nimici d' in-
torno non avea rinunziato. Fece a Valente accoglienza e lo
distolse dall' entrare senza fondamento ne' Nerbonesi, come
anche ne lo distolse, il vedere gli altri alienati; perché Va-
lerio Paulino procuratore, bravo soldato, in minor fortuna
amico di-Vespasiano, gli aveva fatto fare omaggio da' popoli
vicini', e sommossi al pigliar l'arme quelli che Vitellio cassò:
teneva guardie nella colonia di Fregìus, e aUri passi di quel
mare, e l'autorità di PanIino vi era grande, perché Fregius
era sua patria.
XLIlI. Era stimato, da' pretoriani, de' quali fu già tri-
buno, e i paesani per favorire un de' loro, e' sperandone
grandeza, aderivano a quella fazione. Per tutte queste eose
provvedute, fermate, boeìate maggiori, t e penetrate ne' vol-
tabili animi de' vitelliani; Fabio Valente con quattro alabar-
dieri, .tre amici e tre centurioni, se ne tornò alle navi, data
licenza a Maturo e agli altri di rirnanervi e giurare a lor
posta fedeltà a Vespasiano. Valente era per mare più sicuro,
che per le riviere e città: ma non sapendo che farsi, e ve-
dendo più quello che da' fuggire era che da sperare, fu por-
tato dal temporale alle Stecadi isole di Marsilia, e quivi preso
da galee mandatevi da Paulino.
XLIV. Preso Valente, ogni cosa si voltò al vincitore; e
prima in Ispagna la legione prima aiutrice, nemica a Vi-
tellio per la memoria d'Otone, la quale seco trasse la decima
e la sesta. Le Gallie non si fecer pregare.' Aggiunse la Bret-
tagna a Vespasiano, la grazia che vi acquistò governando
con' tanta- gloria la seconda legione datali da Claudio, non

t 1>ocl"lem"cgio,.t. propagate eon .us.n'ion••


, non 61f'C'" p".c",.•• fnrono ['ronl••
IL LmaO nu:O »...... 8!.OUL UllS
seDia aILerasion dell' altre, I delle quali molti centurioni e sol-
dati tirati iDDanzi da Vitellio, a malincorpo motavan prin-
cipe.
XLV. I Britanni per questa discordia e tanti rumori di
guerra civile si sollevarono, messi 80 da' Venusio,' uomo fe-
roce, nimico del nome romano, e tleramente acceso contro 8
Cartismandua stata soa moglie, di gran sangue, reina.de'Bri-
ganli:' la quale poiché con inganno prese il re Carattaeo, e
parve ne cagionasse il trionfo a Claudio Cesare, crebbe in
poleDza e felice pompa; sprezato Venusio, fece Velloeato
suo scudìere, sno marito e re, e la sua casa mise subita-
mente in eonquasso. li marito aveva il fuor del popolo;
l'adultero, la libidine della reina e la crudeltà. Venusio adun-
que aiutato di fuori, e i Briganti ribeUatisi,.1a condussero al-
l'estremo: ella cbiedeo a' Romani difesa: nostri. uomini e ca-
valli dopo varie hattaglie salvarono la reina: il regno rimase
a Ve.Dusio, la guerra a noi.
XLVI. lo Germania in questo tempo si travagliò per
Degligenza de' capitani e sedizion de' soldati. Per forze di
(uori e disleaItà d'allegati, ebbero a farla male le cose no-
stre.' Questa guerra, perché fo lunga, narreremo disotto,'
con le cagioni e successi. Fecero mOVÙDento ancora i Daci,
gente sempre senza fede; allora senza paura, levatone l'eser-
cito di }lesia. Ma !ltavano a veder i primi successi di questi
imperadori. Visto tutta ardere di guerra l'Italia, e tra sé nì-
micarsi; cacciarono degli alloggiamenti la gente a piede e a
cavano, e impadroniti di qua e di là del Danubio, ordina.
vano anche disfare quelli delle legioni: ma Muciano con la
legion sesta s'oppose, già sapendo la vittoria di Cremona; e
non volendo che il Daco e il Germano ci assalissero da due
bande. Favorinne, come spesso, la fortuna romana, che con.
desse là :Muciano e le forze d'oriente, e ci sbrigò di Cre-
• 110" .e.... ,dura.io" dell'allre.LoIJaD<!n: "110" ."". qlleiql&lJ red...
Ma" d. la pIIrt de. de_ autre.UgioJII••
•1 1'......,0. VediAM. XII,.w. •
I Br/Ialiti. Vedi A"". Xli, 3!, 33.
• e!JlJero a farla male le co.e "odre. Ii tronroDo a mal partito. Lat.:
• prD"- '!IJIlctaroma"a ru••
5 di 10Ito,lib. IV, ii "'n.
~ -=-z-----~
It uno 'fII.~ IInl.1l ITOIIa.:
mona, Fonteo Agrippa, stato un aDDO vieeCOllsolo la A8iai
fu mandato In Mellia, e aggluotovi t'orze lIeU' esercito vitel.-
lianu , he per i tar in pa Il fu prudenza spargerlo P r I
pro lnci I oecuparìo in guerr lIi fuori.
o-f, " II. L'alt e nazioni non i . 13 no. In Pento mos c
uhito r rmi t lino hlavo barbaro, l lo arnrniraalio dci re Po-
I m nc.- U li fu nic I \I l berlo.lliù potente; e l'oich~
t'u ridollo il zno in va lIagnin, non polend sofi"crire il
DUO'O O erno , in nom di il ciiio i f "se ruito in Ponto ,
invilando :111 pr da i più rovinati: ~i capitano <Ii molti-
Indin non dispr zzabile, entrò ubilo in Treblsomla, citt à
molto anti ca D capo del mar ma!:! iore, edhìcata da' Gre 'i.
mmazo vi cinquecento sold: li del re , ~iil nn tri aiuti ; falli
poi iII. dini romani , tenevnno inse ne c armi romane, ma
T ':1 n li enza IicCI\7.. • rse l' nrmata , e corrazava
tutt quel mare, p reh \ lu iiano nv a condotto a ostanti-
nopoli le migliori alce e lulli i soldati. E correvnn quoi
rmrbnri con pi ù di l're io. fabbri nli repente JOr navilì chia-
mnti corner ,strelli dulie bande col ventre largo, inca Irali
nz: I tura di Co o o rame: quando ò mar 1(1"05 o, ng-
iungono tavol di opra eco lido i fiolli, chiodonvi i entro,
c per l' ond . ri oliano, avendo du prue eguali c rerneggio
a Il mano, (Io . Il da oenì hand i uram nte approdare,
:LnU. pio o tal Il iano a p ,Ii Yirdio
Gemino, Idolo di pro a, co' iii ri. Il quale a. alito il
nimico scomposto e band ' lo p r vnuh eza di pr da. lo ripìn c
, navilir fabbri al a furia, rag riun e Anicelo ali rocc
dcI fiume Corbo,' icuro con l'aiulo ciel re de' l'clochezi" COli
cui o o con danari c doni l'oli ·~alo . Il re da prima lo di-
fende on armi mina c Propo lozli poi o p mio o
guer r il barharo ( om nn trnditori ] vend I il:! ni- .'0
• m OIS~ "w"" a r m i. N~n ' u
enlrb re NeJoli.aOfl di G . C.1pponi · ee rreu o I
1*'1''' ••w.ite arIIIi.. La", .4"1111 ......... • '
, Polemon«, ultimo re del P... Io, eblsotto Mertlltt,l' ...... 6a dell' ne eri-
.tiauaf eed~ il _guo a' Romaui.
- delfiume C••be, Lal.: -.fiumI..!. Cohlbl•• Ple<1> Jegtri Coibo o Cobo.
Pliuio,V. 4., '14._ Il Cobo è .Ii S - cÀe "1MB. dal CIU"SO tlCCJt'ft pe' Suaui••
088i chiam•• i Khopl.
• Sedochocl, popoli del Poate,

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D. LDaO TE1lZ0 DEU.B "Ollm.
celo ela persone de' fuggitivi, e fiDi la guen'3 Rnfle. Ve..
llfI88iano ljeto delJa l'ittoria, andandogli, ogni eoea, me' che
JlOn desideraY3, ebbe iD EgiUo avviso del 81Iceedulo a c~
mODa. Tanto più sollecito d'aad8l' in AleseaDdria, per i8t~
gaer ora che }'eeercito di Vi1ellio era, rotto, uehe Boma
COlI la fame, bisopola d'aiuto ineItiero, e metter ihailllieo
in earelltia e diIIlordia, chiudendo le tratte de'vil'eri di ttlUa
l'AJrrica, la. quale li apparecehiua di assallare per ma... e
per terra.
XLIX. Slando il mODdo in tanto trambtasto, l meolre la
fortuna dell' imperio si muta, Antonio Primo dopo ii fatto di
tremoDa lleIl fu cosi. DeUo.~ PU'8'fagli alla guerra aVilr SCMb
,dillfalto, e a~ ogni T8Ili.duo: e fDl'8e la fe1ilOlità 8ICOpelll811l8
• ·Datura avara, nperba, e.gli altri vizi naBellsti. Calpestaq U.
lia eoDl8'lUa presa; teneva lelegioDi per sue; egni suo detto
• fallo tendeva a fasosi grande; e per far licenziosi i soldati·,
rimettat'. nelle legioni ill'ifare i centurioni morti; onde 8NIID
faUi i piùlICaIldo!osi; né i soldatì ·'IltavaDocO' capilani; ma
questi dalla tioleaza lor& eran tirati1 e di lali eose sediziole
e guaslalriei della· milizia f8C88 81Iad&gno, senza temere. di
MaciaJlo che rt. appreSlllva, che era peggio che a.ere·spre-
zato Vespasiaito.
L. Venendone il vemo, e allagando il Po.la piallura.
DlOllIela.gente spedita. Lasciate in Verona le insegne, l'aquile
deDe vioeilrici legioni, feriti, vecclli, e gran parte de' 88Di,
pareDdogli finita, la gnerra, baslar le ooorti e le bande, e delle
legioni il fiore. Unìui ancora la legioD8undiéeSima, atata
prima a vedere, poi aolente di DDD l' 8518rritronta aDa ~
(oria. :B più semila Dalmati di nuoyO s~ilU. Pnppeo Sllv8ftO
staio'lOII801e li Cl'ODIBIldava. Maperchè egli ne sapeva poce,
e 'J tempo da fatti OODtmIl8Va in disconì-; ADDio BasS9 lelJll~
d'ODa legiODe,gli era sempre appI'el!l8O, e sotto colore d'ai-
hidirlo faceva destramente ogni cosa. Chiedendo i soldati del-
l'armata di Ravenna d'esser Jatti dì legioni, se ne scelsero

I I" tan'" t"amb,uto. Legge .. toti,u o,.bi, mutati.",•• .Me.il mediee.


ha ...ul4tùlU, • • incertuza, vl<iJlamlDto, .. od è meglio, peldMrl'ilI... dimula-
meDio è Del verbo .t"lIruèt;_ (.Cort\UI.I·imperiì tnaait•• l
, nonJu co,l nello, non ai coud_ COIl·uguaie iDn_...
U8 IL LIBBO TERZO DELLB' STOIlE.

i migliori e l'armata fu supplita di Dalmati. Questo esercito


si fermò a Fano; stando i capitani sospesi sopra la resoluzione
di tutta l'impresa. Intendevano i pretoriani esser partiti di
Roma; credevano che l'apennino fosse guardato; trovavansi
in paese per la guerra disfallo; spaventavali la, carestia e il
chiedere i soldati insolentemente il clavario (cosi chiamano
una sorte di donativo'}, e non aver provveduto grano né da-
nari; e se nulla si poteva distribuire, era rapito per la furia
e ingordigia.
LI. Trovo in celebrati scrittori aver fatto que' vittoriosi
sl poca stima del buono e onesto, che un-soldatelloa cavallo
,proyò d'aver morto ìn battaglia-un fratello, e ne chiese pre-
mio a' capitani. Non si poteva tale uccisione Per ragione
umana onorare, né per ragion di guerra punire. Dissero che
non v' era di presente da poterlo a sufficienza rimeritare.
Quel che poi si seguisse, non trovo. NeUe prime guerre civili,
quando si combatté al Ianicolo eontro a CiDna, un caso simile
narra Sisenna I d'uq soldato di Pompeo che ammazò il fra-
tello, e riconosciutolo, uccisesè stesso, Cotanto pio. stimolava
i nostri antichi, siccome nelle bontà la gloria, cosi nelle sce-
,lerateze la coscienza. Noi sempre cbe verrà a.proposito, ad-
durremo simili antichi esempi, per iDsegnamento delbene e
per conforto del male. a
LII. Anton~o e gli altri capi risolverono di mandar ca.,.
valli a riconoscere tutta l' Umbria, e dove fusse pia agevele
a passar l'.apennino; da Verona far venire aquile, insegne e
quanti soldati v' era; e di vettovaglia empiere il Po e 'l mare.
Alcuni di essi capi volevano indugiare; perehè Antonio's' era
fallo troppo grande, e Muciano s'aspettava migliore. Al quale
si presta vittoria diede nel cuore;' e se Roma si pigliava senza
lai. non gli parendo aver parte e gloria nella guerra, scriveva
doppio I a Primo e Varo; ora che s'andasse innanzi; ora di-

l Era ua che da comperara,ile ballette alle scarpe: .. quali quo clavi cali-
irarum lolelll"fliBeTldi emereTIlur... Cosi laterpelra l' Orelli.
, Lucio CorDelio SiseoDa, slorico lodato della guerra cirile di Silla. Mori
l'aDUo cii Roma 681.
5 e per corr/orlo del male; cioè, a risloro del male cbe soffriamo.
I diede ".1 cuore; CerI il caore, recò grov. rillaloDe.
a ICriv.v .. do""IO, COD do~piea...
IL LIBRO TIRZO DBLLI STORIB. n9
scorreva de' vantaggi del temporeggiare; per poter dire in
ogni evento, se tristo« lo 'l vietai; » se buono « lo l'ordinaì,»
Scriveva bene aperto a Plozio Grifo, fatto da Vespasiano
nuovo senatere e capo d'una legione, e altri suoi confidenti.
E tutti scrivevano a Muciano (com' e' voleva) della fretta di
Primo e Varo, sinistramente. Egli mandava quelle lettere 'a
Vespasiano, con le quali opero che i fatti d'Antonio caddero
di quella stima che gli pareva di meritarsi.
LUI. Il/che Antonio non poteva tollerare, recandosi 1 da'
mali ofici di Muciano i pericoli suoi; e ne parlava senza ri-
spetto, essendo di lingua troppo libero e Don usato a dichi-
narsì. Scrisse aVespasianocon troppo vanto, scrivendo a prin-
cipe, e con qualche veleno contro a Muciano: « Aver fatto
esso prender l'armi alle legioni di Pannonia; stimolatoi capi
di Mesia a venir via; per la sua costanza, apertesi l' alpi,
preso Italia, racchiusi i Germani aiuti e di Rezia; che le le-
gioni di Vitellio discordanti e sparse fossero'da tempesta di
cavalli e forza di pedoni in un di e una notte sconfitte, que-
sta essere opera bellissima e S03; il caso di Cremona, frutto
di guerra. Maggior danni di rovinate città aver fatto alla re-
pubblica le discordie civili antiche. Esso militar per lo suo
, imperadore con la spada in pugno, e non con lettere e am-
basciate. Né seurare lor gloria a coloro che hanno in questo
mentre accomodata l'Asia. Ma esili la pace di Mesia, egli la
salveza e sieureza d'Italia aver procurato, e convertito a Ve-
spasiano le Galliee le Spagne, potentissima parte del mondo;
, ma ogni fatica più che perduto, se a quei soli si daranno i
premii de'pericoli che nè'pericoli non sono stati. » Mucianori-
seppe ogni C083; ne nacquero gravi rancori. Antonio alla sco-
perta, Mociano con astuzia, e pero più implacabilmente gli
fomentava. '
LIV. )fa Vitellio con l'occultar le nuove delle cose rovi-
nate a Cremona, scioccamente allungava i rimedi più tosto
che i inali. Perché, se gli avesse confessati e consultatone,
ancor v' eran forze e speranze; ma col falso dir bene s'ag-
gravava nel male. In casa sua non sentivi parola di guerra.
Per Roma, perché vietato era, non d'altro si' ragionava; e
• '"c....d." ec., attribllendo a' m,Ii Illlicii di lII11ciaDO i propri pericoli.
130 .n UIlBO TERZO IlIlLLB STORm.

chi non proibito, avrebbe detto la cosa gìusta, ·IameUeva più


atroce; e per accrescerne il grido. i ca pitani nemici menava-
no le spie di Vitellio. prese a veder le forze delvinei.lor eser-
cito, e rimandavanle; e Vitellio le esaminò in segreto, e tutte
le Ieee ueeìdere. Giulio Agreate centurione, difermeza d'ani-
mo meino.revole, predicato che ebbe assai in vano a ViteUio
per accenderlo, l' indusse a mandarlo a chiarirsi -de.lle Ione
nimiche, e di tutto il seguito a Cremona; DOU come spia 80-
greta, ma liberamente di commi~n dell'imperadore, ricerca
Antonio di veder il tutto. Feeegli mostrare dove si combattè,
le reliquie di Cremona e le prese legioni. ~ste lornaa Vi-
tellio, il quale negando esser vero ij riferito ,edieeadol eer-
rottoje Poiché gran testimonanza (diss' egli) Je oe'-bisogDa
dare, né in altro mia vita e morte ti può più Ben'Ìl'e, ie.latì
darò..» E partito si uccise. Alcuni scrivono che Vitellio il Ieee
ammazare: di sua fede e coraggio dicono il medesimo.
LV. Vitellio quasi destato dal sonno, mandò Gilllio Pri-
sco e Alfeno Varo con quattordici coodiprewnBlle e 10Ui i
cavalli a impadronirsi dell' appennìae; e 1lPpretlIlo 1IBlllepn
dell' armala. Tante migliaia d' armlKisoelli a piè Il ftVallo
avrebbero con altro capo potute muover guerra, non che di-
fendersi. L'altre coorti diede a Lucio suo ·fratello per .guardia
di Roma. E senza lasciare alcune degli usati piaceri, caeciato
da diffidenza affrettava di creare i 60D8Qli .permolti aJUÒ:fe.ee
.melte leghe Il donò citJadinanze; levò tributi; eOllC8s80 esen-
zioni; smembrava ia somma l'imperio, senza pensaralfuturo.
.Alla maeca 1 di cotali largheze correva il volgo; i più ·scioc-
chi se li.DOm~aVanCgn daDari. Chi.aveva!iugilgllo, MpeVa,
colali cose non potersì senza danno della republica nè daI',
nè ricevere. Alla per fiDe, seongiurandenelo l' :eaen:ito. «:000
gran seguito di senatori, tratti molti da ambiziooe, pio da
.paura, venne in camplt fiOtto J1Maguia. lIma .latte con-
fuso e preda de' fa.ls.i. ceasiglì, .
LVL Aringando egli (cosa prodigiosàl) gli volò sopea 'I
..c3p8 Wl nngoio di laiW uccelli eae eoperse il sole. Epegie,
cile 410. tora scappò dall' altare, e lKlo~pigliate 'latto J' or4i11e
del sagrìfìcìo , fu ammazato discoste, né deve l'ostie eogllonlii.
I A ila macca• •11. gronda.. e .bb~..d."u.
IL 'LmllO DIZO DBLtB S10118. tU
Ma il prodigio maggiore era Vile1lio: aOD sapea di guerra;
DOD pruder partiti; Ben file, ordinare; spiare; la guerra slria-
gere o aIlonganr. altmi -e <tomandfta; ad ogni ani80 lIlibbi-
va; gli trmnavau le' gambe y sempre era ebbro; lo stare in
campo gli -.oDe a tedio; e .dilo che r armata di Miseno s'era
ribeUata, lemè a Roma: spavenlandolo lempl'e l'ultima per-
COI8a, e niellte pensava. all' '\Ùtima 1'0'-_ Perdhè quando gli.
era a~ole pasSar r apeDDiDo con l'esercito intero e Corte,
e assalire i Dimici, morti di fame e freddo, lo spamaaò;l e
maDdO- alla maza I que' ferocissimi soldati prollti sino a morir
per lui: coatraddicendo i centurioni pratiobissimi, che dcman«
datio8, gli avrebbero detto la ,-erità. :Ma non eran laseiali
dagf iutrinsichi di Vìtellio,. dre gli avevano acconce in modo
l'orecchie, che r utile li pareva aspro, ascoltando solo il pia-
~te e dannoso.
LVIL L'armata dHliseno fu indotta a ribellarsi da Clau-
dio FllTeJltino centurione, che GaIba cOB onta cassò: il quale
DIOlrIftj Jeuere contraffatte di Vespasiano, oll'erenle gran pre-
mio, dandoglisi;a tanto ardir puote nelle disc:ordie civili an-
cora OD' solo. GDvernavala Claudio Apollinare, ne fedel mi-
nistro né valente traditore; e Apinio Tirone," stato pretore,
al1oI'a per lIOI1e a MìBttJrno '8' oII'erse capo de' rìbellaatì; que-
sti ci tUarODO tene privilegiate e colonie. pozuolo era tullo
"oUo a Vespuiano; Capua a Vi1eUio, e le lor gare mescola-
,-aDO tra le guerre civili. ViteUie mandò Claudio Giuliano,
slalo di detta armata ammiraglio piacevole, che addolcisse
4J88' soldati, e con lui una coorte di, guardia di Boma e li ae-
c:o\teUaJlti che erano a. suo governo. Accampatisi a rincontro,
Gialiaao· steSte poco a passar dalla parte di Vespasiano, e
preaercr Terracina, .rte di sito e di mlll1lglia, pio ehe per
10m i8d0stria.
L.VUL A tale aV\1iso,. V"d.eHio l88'ciata parte delle genti in
Nami, «ID' capi pretoriani, mandò L. Vilellio suo fratello con

" ,. ~ Ja cIiIpe_, lò dlulpb.


s lIIIUIdì> "'''' ....... fece !J'ucidore.
S o./fere1lu 1J".n premio, d.ndolJli8i; cioè, ehe oll'eriva gran p.remio all'ar-
lIl2t1I di :MiseDo, quaDdo chi! .l1a .ifo.... ';0)13 ali••ue parli. . .
• 4pin;o Tlrone. V.di IvaJlli,. cap. 78.
132 IL LIBRO TERZO DELLE STORIE.

sei coorti e cinquecento eavàm in Terra di Lavoro contro alla


guerra che ne veniva. Lui sbigottito confortava l'aft'ezion
de' soldati e del popolo, che chiedevan l'arme, ed ei chia-
mava esercito' e legioni quella canaglia l valente in parole.
Consigliato da'liberti (perché gli amici, quanto da pìù, men
fedeli erano), raguna le tribù; Ca giurare chi si fa scriverej
soprabbondaudo il numero, spartì la cura a' consoli. A' sena-
tori pose balzello di schiavi e danari. I cavalieri ofl'erironser-
vigio e danari, e '1'medesimo i libertini: faceanlo per paura;
ed egli lo pigliava per alI'ezione. A molti incresceva , non di
Vitellio, ma del caso e del seggio imperiale. Né mancava egli
di muovere compassione, con volto, parole e ìagrime, con
. larghe promesse e smisurate, come chi ha gran paura. Il ti-
tolo di Cesare, prima rifiutato, accettò per farsene buono
agurio, e perché gli spaventati cosi odono le vanità del po-
polo, come i consigli de' savio'Ma come le imprese con più
impeto che consiglio, nel principio son di fuoco, e poi raf-
freddano, i senatori e' cavalieri lo piantavano a poco a poco,
prima guardando ch' ei non vedesse, poi senza tale rispetto
indifferentemente; talehè Vitello dall' impresa non riuscibile
si tolse gi'li per vergogna.
LIX. Questa paurosa partita di Vitello accrebbe tanto'
favore a parte flavia, quanto fu il terrore d'Italia, quando ei
prese Bevagna, e mostro aver rinovata la guerra. I Sanniti,
Peligni e Marsi co' Capuani rivoltatisi prima di loro facevano
in tutta la guerra a chi me' servire, come per lo nuovo signore
si fa. Ma nel passar l'apennino la croda vernata amisse l'eser-
cito, e quasi disordinò per le grandissime nevi; e vìdesì a
quanto rischio si metteva, se la fortuna non faceva tornare
addietro. Vitellio; la quale spesso a' flavìani giovò, non meno
che la ragione. Risconlroll quivi Pelilio Ceriale, fogtPto, per
la pratica del paese, dalle guardie di VitelHo vestito da vil-
lano. Era parente stretto di Vespasiano e soldato di conto:
pero fu ricevuto tra' capi. Anche Flavio Sabino e Domiziano
si potetter fuggire, scrivono molti, avendo loro Antonio con
vari inganni fatto penetrare messaggi che li mostraron modo
a salvarsi; ma a Sabino infermità tolse forza e animo. Domi-
I cana,l/a. LII.' • vulgru /lP'a"UnI, •
IL LlBIO TERZO DELLB 8TOR~ 133
zilDo avea cuore, ma Vitellio gli crebbe guardia: promisero
foggir &eCO, ma non se ne fidò: e Vitellio per amor de' suoi
parenti' non intendea fargli male.
LX. Vennero i capitani a Carsole,l ove si riposarono a!-
enn giorni, finché l'esercito gll raggiugnesse. Pareva loogo
da poni 'l campo: seoprìva gran paese da potervi condlllT8
le vettovaglie dalle terre grasse addietro, e trattar tradimento
co' Yitelliani, dieci miglia distanti. Questo non voleva il sol-
dato, ma vittoria e non pace, né pur t tutta la gente aspetta-
re, per aver meno compagni alla preda sicura. Antonio gli
raonò a parlamento, ammonendoli: Il che Vitellio aveva an-
, eor delle forze-, poco stabili, con l'aver tempo; terribili, messe
in necessità. I prìaeìpì delle guerre civili lasciansi alla for-
tuna; consiglio e ragione conducono la vittoria. Già s'era rì-
beUata l' armata misena e la bellissima Terra di Lavoro; né a
Vitellio altro rimaso al mondo che quant' é tra Terracina e
Narni. S'era acquistato nel combatter Cremona assai gloria;
Del distruggerla, troppo odio; non agognassero Roma anzi
presa che salva. Utilmaggiore e ornamento eccessivosarebbe
loro il conservare il senato e popol romano senza sangue. »
LXI. Da tali e simiglianti parole rimasero mitigati que-
gli uimi. Comparsero le legioni; e per la fama e terrore del
cresciuto esercito, i soldati di ViteUio vacillavano; a guerra
niuno confortava; molti a passare-di là: gareggiando a donare
,suo' fanti e cavalli al vìneltore; e grato farlosi. Da questi si
: seppe ne' vicini eampi esser Temi pardata da quattrocento
cavalli. Varo mandatovi con gente spedita, pochi ne anima-
zò, che combatterono: molti, gittate in terra l'armi, chiede-
ron mercé; altri rifuggitisi in campo empìevano di spavento,
contando della virtù e numero de' nimici gran miracoli per
iscemarsi vergogna della perduta Temi. Né erano le falte I
de' vitelliani punite, ma ben pagate dall' altra parte, alla
q~e per colmo di perfidia a gara passavano molti tribuni e
centurioni, perché i soldati privati tennero duro' per Vitel·
• C.rlol., oggi Cad,llarto, prello Spoloti.
, rtè p"", La Neotialia • ComiDiaDa rtè per, COD maDilUto .~o... Illac.1
••• 1'"'1 '1l1idem lesione. o~rieballtrlr.• '
• 1'/1111'; l. colpe, lo mmcaD".
t Urtnero d.ro; tODDero forI., fmoDo cootaDti.
u.
tl4 IL LUlao TItOO DELLE IIT••II'

lio, sino a ehe Prisco ,e Alfeno, abbandoaato -ìl campo ti tor-


Dali a Vitellio, fecero che a ninno fD vergogna passare a}-
l'altra parte.
L'XIL In que' giorni Fabio Valenle fu morto prigione in
Urbi_c>t e fatta vedere la sua testa (per torre ogni speranza)
~ soldati Vitelliani che- lo facevano andato in Germania a
mamlar qoa.esercìtì nuovi e vecchi. E vìstol morto, si die-
dero al disperato. All' esercito flaviano non può dirsi quanto,
finito Valente, paresse finita la guerra. Nacque Valente in
Anagni, di famiglia cavalleresca: fu di costumi malvagi,
d'ingegno non malo: faceva il facelo; fil -strìone a' giuochi
giovenali, al tempo di Nerone quasi necessitato, poi fece per
gusto il giullare con pio garbo che onestà. Legato d'una le-
gione, favori Verginio e l; infamò; avendo corrotto Fonteo
Capitone a far tradimento, o per non aver potuto corrom-
perlo, l'ammazò. Tradi GaIba: fu fedele a Vitellio; e la fel-
lonia degli altri lui illustrò.
LXIII. I soldati di VitelIio, perdute le speranze da ogni
banda, volendo passare all'altra parte (anche ciò non fu senza
infamia), scesero nel piano di Narni a bandiere spiegate.
L'esercito flaviano si mise, come per combattere, in ordini
stretti in su la strada; e ricevè in mezo i vitelliani, a' quali
Antonio Primo parlò umanamente, e gli allogòparte a Nami
e parte a Terni: e con essi alcuno delle legioni vincilrici, per
esser loro a ridosso se non stesser quieti. Primo e Varo allora
non mancarono di mandar più volle a offerire a Vitellio sal-:
veza, danari e le delizie di Terra di Lavoro, se egli, posate
l'armi, rimetteva sè e i figliuoli in Vespasiano. Il medesimo
, scrisse Muciano; del che :Vitellio talora fidandosi, parlava
del numero de' servi e del luogo da eleggersi. Tanto era stor-
dito, che se gli altri. non si ricordavano ch' egli era prìncì-
l'e, ei se l'avrebbe dimenticato.
LXIV. Ma i primi di Roma segretamente mettevan su'
Flavìo Sabino prefetto a farsi partecipe di questi vittoria e
fama: « Avere i soldati guardiani di Roma suoi propri: l quei
della notte I no_ gli mancherieno: i loro schiavi, la fortuna
t aver. i ... suoì propri,1 teeerfi per suoi propri. .
I quet della natie; cioè, i loldali detli vigili, cbe rlcnaao lIU1rdiala aolle.
IL UJIIIO· '1BllZO IlEUE 51'DBIB.. w
cJeUa parte, e riulICire ogni cosa a chi vìsee, A Pi'imo e Varg,
IIOJJ eede8se di gloria. À ViJdlio rimanere pochi soldati 8
spaventati dalle male JUIOve pertuUo: il popolo esser leggieri
e~~ (faoead~ egli capo) le medesime adulazioni
a Vespalliall~; Vijellio,sl scaduto, non potersì più reggere,
qUDd'eUll gli alldasse bene; Ila guerra si ricenoscerebbe finita
da ehi pigliasse Roma. Ciò eonvenìre a Sabino per aalvar
!'iJllllerio al fratello; ciò.a VespasiaDo, per far gli altri cedere
a SaINno. II
LXV. Egli, debole per la vecchìaìa, non (li andava di
boeDe gambe.1 Altri credevano in segreto che ,per invidia
tardllll8e lafort8Ba al fratello, clte minor d'età, nello stato
privato, I era avansate da lui in riputazione e rìccheze. E le-
nevasi die SahiDo gli avesse mantenuto il credito, preso in
-pepo sua eua e pederi, oade temeasi che tra loro bollissero
oecalti umtri, beBc.àè salvassero l'apparenza. Altri la pj-
gliaftJlO pià dolcemeDw: che _quest' uomo buon9 abborrìsse le
crudeltà e 'l sangue; però Spe.8lO in casasua trattò con Vitellio
Ili po8IlI' l'arme e far pace. Le condizioni, ii dìsse, fermò
nel teDlpio d'ApmlilMt.wJl due testimoni Clvvio Rufo eSilio
ltaIiocr.· qGelfli eh' eru discosto notavano i visaggi: Vitellio
nvilito 8 abbietto;· iahìn9 Don oltraggioso, e volto a com-
llill8Si eee.
LXVl.E se V,iteWo .age"folmente disponeva i snoì, co-
m'~ s'ablliosciò/l' esercito di Vespasiaao entrava in Roma
senza NJI8'1Ii Ma i più fedeli a Vilellio. più gli dannavano
le condi.ioni di qaeBa pace bmtìa, BOn sicura, il discrezione
del vincitore: « li quale (dicevano) nen -esser tanto superbo
ch' ei patisse che tu vivessi privato, nè i vinti lo patirieno;
I J'itelllo,lllcadulo, no" pole,.1i più reggere; qua"d' ella gli a"rlule
bene, CJU2Dd' anebe la fortuna gli gin..e bene. Ma illaL ha: .lplum J'lIellium
... "..1>".,.11 q. . . . parct8J .,"0 ....e"'ibUl debililtùUm•• ValàiaDi: • Vilel.
lio aeppàre ila.hDolU fortwla lÌ l06tembbe.; tanto Doli. cadente lià <roll._ •
I """ ~i.llmlavJj di buoIU lambe, 11011 ~eveva qW!11e parole <Oli allÌmo
~. . .
I nelle Ilalo privalo, CJU2udo ambedue erlDo in privata roudiziQlle.
, Bi"-I,-U&J> è il poeta <:be.celebrò la >ecouaa guerra Pwl~"'"
J e_' egli ~ •• bbiolcio; l'avvili, mau<ò d'aDimo. Politi: • Se Vile1lia
_ _ CDIi1I1",o1u>&1l1e piegata la volUlltò degli amici, come aveVI gi~ ICCOIllO'
btl la IDa>}' ..ercito ee••
I L U li BO TE 70 n LLE STORIE.
(Id J m i ricordia ti a rrec he rebbe pericolo. ii vecchio, ii
stucco d i beni e dei mali; ma Germanico luo figliuolo , c he
no me . che ' 1310 avrebbe? ffcri sconli dan ari , coric , para-
disi: ma rom Ves pasian o fos in sella, non terrebbe icuro
è, D li . mi ei, n è li e erc it i, in o cbe non vede. se pento
il 100 eme emolo, A rro è lor . apulo, ten er I vivo per lull i i
ca i Val nt e in pri gione ; non che P rimo c Fusco e Mucian o,
prin cipal di quella pa r te, a ve se r licenz a d i far a ltro di le
che ucciderti . •' on la perdon ò Cesare a Pompeo , non Agusto
ad An lonio ; e già più alt i sp iriti di lor o non porta e -pa-
ìano stato cor tig iano di Yit ellio, quando egli era consolo
con Claudio, Che non più tosto muover li (come la censura e
i Ire conso la li di luo padre , lanli onori di tua nobil fam iglia
rice rcherebb ono) a prende re dalla di per azi on ard imenl o? l
soldati ti tcn cono il fermo: ' t' av a nza il Iavor del popolo.
Pe g io no n può avveni rci, che in qu e lo modo illa rci via. ! O
vinli o arresi , morti siamo: è pur meglio co n virili, che con
Istrazi e sche rn i, rend er l'ullimo fialo. )l
L.'VII. Vil elli o era sordo a' forl i cons igli. copp lav agli
il cuore, persi stendo nell' armi, d'uv re a lasciare il vinci tore
più cr udo a sua mo glie e figliu oli, La veechi a madr e poc hi
di prima mori a lempo; che non vid e ro vinata la casa sua:
de l princi pato del Iicl iuolo non ca vè ! altro che pianlo . c no-
me di bontà. A' diciott o di dice mbre, ud ila la ri volta della
legione , e ge n te dales i a , am i, ' usci d i pala gìo ve lil o di
nero in m ezo alla mesta fami glia col flaliolet to 5 in lettighina,
che se mb rava un m ortori o. Il popolo l;li era lusin hevole fuor
• di tempo: i solda ti lieti e in cag ne co."
• 1 J~
. I t,,"e,. ~ ehe li tenesse,
I ti UII,OllO ur.,.".o. li 100 fedeli.
S Bittnd 61i&1~ abbandonarci.
• 11011 cavò. _ Si riferirte lUI madre di Viullio, mi la mlDetDlI di Dome

o proDome che lo dimortri, rl oscu...... Altro... p.rll TlICilÒ di quatl dODII'.


chi.m.l. Sestili., eia dice _ d' 'Dlic. bODlà;Dè lwiDgbe di rO~UD', Dè corUll-
aia_oli di Rami la fecerob.ld...o.. : i mali loli di sua .... &eDU. _(70\'1l.l<Ìui.)
, figlioletto. Germ'Dico.
e iII capuco. _ I soldati DOli .....bbero yoluto l{IIIlIl yilll di riollllli.,
. . ch. Vil.llio n .... resislilO, • rillo dir...: Di qui cruel loro sileo.io miu_
.clcee. Iii ca""lco è modo metuorico prua d.l C'D•• qualldo l' SUNI .lbui
adin.... _ (Fcm>aci.ri.) .

Dg" b Googlc
IL LIIlRO TERZO DBLLB STO_m. t37
LXVIII. Non è quore umano che non fussi intenerito a
redere il romano principe, dianzi padron del mondo, abban-
donato il trono della sua grandeza, per mezo della città e del
popolo, nscirsi dell' imperio. Cosa non veduta, non udita più
unque!Fu Cesare dettatore di repente ucciso; Gaio in 0c-
culto tradito; Nerone I nascose di notte in villa sconosciuta;
Pisone e GaIba caddero quasi in battaglia; ma Vitellio, in suo
parlamento, tra suoi soldati a viflfadelle donne, dopo alcune
parole, e a sua fortuna convenienti: « Che per la pace e ben
publieo cedeva: a~essono almeno di lui mèmoria, e com-
passione de' suoi innocenti, fratello, moglie e piccoli fìgliuo-
li; » e ora a tutti, ora a uno a uno porgendo Germanico, lo
raccomandava; finalmente soll'ocato dal piagnere, si trasse
da canto il pugnale, e lo diede a Cecilio Semplice consolo,
quasi dandogli la podestà sopra la vita e morte de' cittadini.
Recusandolo egli, né consentendolo gli uditori, si parli per
portare Del tempio della Concordia le insegne dell' imperio,
e lomarsene a casa del suo fratello. Raddoppiaron le grida:
Il Non in casa privata: in palagio, » E chinser le strade, da
quella in fuori che va in Via Sagra. Allora egli non sapendo
che farsi, tornò in palagio.
LXIX. Già era sparso che egli renunziava l'imperio; e
Y1a~io Sabino avea scritto ai tribuni che tenessero i soldati
a freno. Comese adunque a Vespasiano tutta la republica fusse
caduta in grembo, i primi senatori, i più de' cavalieri, tutti
j soldati di Roma e la guardia di notte, empieron la casa di
Sabino; ove fo riferito dell' all'eziondel popolo, e come i sol-
dati'germani mìnaceiavano. Ma Sabino era passato tanto 01- .
tre, che non poteva tornare indietro: e eìascuno per paura
di sé, e per non esser da' vitelliani assaliti, sparsi e deboli,
lo spignevano tardo e lento all' arme; ma come in tali casi
avviene, fu .buono ognono a consigliare e pochi a entrar nel
pericolo. Scendendo Sabino con armati, l'alI'rontano dal lago
fondano I valorosissimi vitelliani, i qual, dopo sprovveduta e

. •"q"~ mai.
I Nmoo1l. era fuggito, COllIe parti.- Vitellio, ma di Dotll, e DlICGI_II,
DOD "o11 • "Orano popalo• • (Fornaciari.)
S 11 lago di FQDd.Dio era pres.o il mODte QuiriDale.
1:18 ILI,.IBIlO TERZO, nELLE STOIlIB.

breve scaramueeìa, rimasero al disopra, Sabino spaventato


si ritirò per la più sicura in rocca di Campidoglio co' suoi
8Oldali, e qualohe senatoree eavaììere, Non posso dire i no-
mi, per IL molti che si. fecer di quelli l quando Vespasiano
ebbe vinto. V.i si rinchiusero ìnsino delle donne, e per la più
notabile, Gracilia Verulaua, non per seguitar figliuoli nè pa-
renti, ma la.guerra. L'assedio, de' vitelliani fu sì largo, che
Sabino la nolte per luoghi non guardati vi fece entrare i fi-
gliuoli suoi e Domiziano suo nipote, e uscir un messaggio
a' capi flawani, a chieder soccorso perchè'le cose erano stret-
te. NOIl'vltf":'lIJlella notte romore, e poteva uscirsene, essendo
i 8oldllDi.NUelli,o feroci al combattere, ma alle fatiche, vi-
giliepllW),in\eJlti; e UDa ~ubila vemina pioggia non gli la-
sciavavedere né udire.
LXX. ·La· mattina a di, ìnaansì che si cominciasse a
rompere, mandò Cornelio Marzi9le di primopilo a Vitellio a
lamentarsi:« Che questi non erano de' patti; far le vista 2 di
l8Icia; l'ilDJÌerio per ingannare tante persone illustri; e per-
otié.aJho;ellalrsi egli sceso di ringhiera e avvialo verso casa
i"~m'testa alla piaza a mostrarsi al popolo, e non
vetso~~entino a casa la moglie, come conveniva, volendo
esaerprit'alb e fuggire ogni apparenza dì principe? Tutto il
oontrarie aver fatto; tornatosene inpalagio, ròcca dell' im-
perìejmandato indi masnade a coprir la più calcata contrada
di Roma di morti innocenti; combattere anche Campidoglio.
Esserslatll sempre in toga e un senatore, come ,gli altri;
mentre Vespasiano e Yìtelììocontendono con battaglie di le-
gioni, sforzamenti di città, arrendimenti di soldati. Il fra-
tellopnr di Vespasiano ,quando già Spagna, Germania, Bret-
tagna, erano rivolte, essere stato saldo in fede sino a che
chiamato fu all' accordo. La pace e concordia esser ai vinti
utile; a' vincitori, solamente onorevole. Se si pentiva delle ca-'
pitolazioni, non perseguitasse lui col ferro, eome ratto avea
con poca fede; non il figliuolo di Vespasiano, a 'pena fuor di
fanciullo. Uccidere un vecchio e un giovanetto, che pro? Alle
t che si,fecer dì '1~elll, che diMero d' uun slati tra quelll.the ICcompa-
Inaroao Sabino nella ròcca.
i le vis"'. Co.i la N•• lialll, per le viste.
n LlBIO TERZO MiLB STORIE. 189
legioni moslt:asse il viso: wi dell' imperio combaUesse: il re-
stante sarebbe di chi vincesse. Il Vitellio rispose UmCH'OllO
poche parole; inoolpa,odo il troppo ardire de' soldati; non
averlo potuto tener. la modestia suo: e rimandò Marziale per
un uscio segreto; aeeìè i soldati DOn l'ammazaseero, come
mezano di odiata paee, Egli non potendo più comandale né
proibire, non era più imperadore, ma pietra di scandalo.
L XXL Appena rientrato Marziale in Campidoglio, ec--
coli soldati infuriati senla capo, ciaseuno dassè, correre in
froUe in piaza, a' tempii che le stanno a cavaliere: salire al
monte schierati alle prime porte di.Campidoglio. Già.v'emno
Iogge.a marrittadi chi sale. Gli assediati escOD foora in su
quelle tetta, e con tegoli e sassi ne cacciano i vi telliani , che
altro non aveano che spade, né tempo a mandar per man-
gani o saettame, Lanciano il fuoco nella prima parte deUa
loggia e gli van dietro. E già aveva arso la porta: non potet-
tero entrare perché Sabino la turo, invece dì mnre, con le
statue, splendori delli antichi, di qualunque luogo Ibarbate.
Allora assaliscono per due altre sprovvedute vie: lungo il 00-
scheUo dell' Asilo e pe' cento scaglioni onde si sale a Tarpeo.
Era improvviso l'uno e l'aUro assalto; quello per lo bosooetto
più da vicino, pilÌ fiero e senza riparo: montandosi per li
congiunti edifici alzati per la lunga pace al piano di Campi-
doglio. Qui si dubita se il fuoco fu messo da que' di fuori, o
pur, come si crede più, da que' di drento per discoslarsi i
nimici già alle costole. Parte di quel fuoco s'appiccò alle
logge dinanzi al tempio, la fiamma s'avventò all' aquile di
legname antico che reggevano- il frontespizio, e forono èsca
all' arsìese , cosi seguita a porte -ehìcse, del Campidoglio noa
difeso, non saccheggiato. '
LXXlL Faltodi lutti i fatti (da che Roma é Roma) do'
lentissimo e bruttissimo; non di nimico barbaro, ma quando
ci erano (se meritato 1'àveasimo) pr-opizi gli iddii: cbe qel
seggio di Giove OUiIDO massimo, piantato da' nostri maggiori
con buoni agurii, pegno sicuro del nostro imperio, cui né
Porsena, quando la città si rese, né i Galli, quando la pre-
sero, avrebber potuto contaminare, dal foror de' principi
aprowndasse1 Arse anche prima Campidoglio nella guerra ci-
HO I L LIBRO TER ZO DEL LE STORIE .

vile, ma per in ganno privato. Ora alla scoperta assediato,


alla scoperta abbru ciato: e qual guerra lo cag ionò? qual pre-
gio di tant o male? salvar la patria forse? Gellonne per bolo
i fonda menli il re Ta rquinio Prisco per la gue rra sabina , non
dicevoli allora alle deboli forze di l\oma, ma risuuard è la
speranza della futura grandeza, Alzaronlo Servi o Tullo con
1'aiuto de' collegali , e Tarquinia Superbo , presa Suessa l' o-
mezia, con le spoglie nemiche. Ma la gloria dell' averlo com-
piulo fu serbata a Iìoma libera . Cacciati i re, Orazio l' ulvillo
nel suo consolato secondo lo dedicò con lal magnificenz a, che
poi la smi urata potenza del popol romano lo potè adorn ar e.
non accrescere. QU311rocenl o venticinque anni dapoi, nel
consolalo di L. Scipione e Gaio Norbnno, arse di nuovo , e fu
rifallo sopra la medesima pianta . Sulla vittorio so n'ebbe la
cura , e non lo dedicò (ciò solo alla sua felicit à fu negat o), ma
Lulazio Calulo , il cui nome Ira tante memorie di Cesar e "i
si lesse insino a Vilellio.
LXXII I. Si fallo tempio allera ardeva , con pii! paura
degli assediali che de' vilelliani , forli ne' pericoli e astuti :
liove iq, quelli erano i soldali timidi , il capo dapoco, che
non trovava spedienti da sé, né prendeva que' d'altri; cor-
reva qua e là, alle grida de' nimici. Comandava quel che
aveva vietato, e vielava il comandalo. E, quelche nelle cose
disperale avviene, ogn' un comandava e niuno eseguiva .
All' ultimo gittale giù l'armi, guar dava no dove e come fug-
gire. Entrano con furore i vitellian i, e mettono ogni cosa a
ferro e fuoco e sangue. Pochi di que' soldali che ardiron
combattere, tra' quali Cornelio Marziale, Emilio Pacense,
Casperio Nigro, Didio Sceva , più segnalati , n'andarono in
pezi. Accerchiano Flavio Sabino che era disarmalo e non
fuggiva, e Quinz io Altico consolo che si faceva conoscer per
l' ombra del grado e per li sciocchi bandi mandati nel popolo
e
pieni d'onori di Vespasiano vitupèri di Vitellio. Gli altri
per vari modi scapparono travestiti da schiavi, trafugati da'
loro creati, tra le some nascosti. Alcun i saputo il nome e
contrassegno de' vitelliani, lo davano e chiedevano, e sotto
tale .audacia coperli passavano.
LXXiV. Domiziano alla prima furia si nascose in cella
IL IDRO TERZO DELtB STOIIE. tU
del tempierer! un accorto liberto gli mise la eotta," e mesco-
lato tra la torba de' sacerdoti passò via sconosciuto insino al
Velabro e a casa Cornelio Primo, creatura di 800 padre; il
qual suo padre poi regnando, esso Domiziano rovinata la casa
vi fece un teinpietto con l' aUare a GIOVE COMSU.V4DORB, e 1
suo caso vi scrisse in marmo; e fatto imperadore, sagrò un
gran tempio a GIOVE CUSTODI, con se Ingrèmbogli,a Sabino
e Attico in catena furoò menati a ViteUio che Don fece loro
mal viso né cattive parole, adirandosene quei che pretende-
van ragione d' ammazarli e chiedevano premio di loro ope-
re. Con griaa cominciale da' più vicini l'infima plebe minac-
ciando e adulando insieme, chiedeva Sabino al supplizio.
Cominciando ViteUio in su le scalee del palagio a raccoman-
darlo, il fecerchetare. Allora fu Sabino ferito, lacerato, dica.
pitato, strascinato alle Gemonie il tronco.
LXXV. Tal fine fece quest"uomo, certo da non dìspre-
zare. Trentacinqu'anni militò per la republica, fuori e den-
tro chiaro. Non lo sapresti dir reo nè ingiusto; favellava
troppo: ciò solo gli fu apposto in sette anni che governò la
Mesia e dodici Roma. In quest' ultimo u tenne chi dappoco, .
chi moderato e non sanguigno; ogn' uno, il perno di casa
sua innanzi che Vespasiano russe principe. Odo che a Mu-
ciano questa morte fu cara e buona per la pace, perché co-
noscendosi l' UBO fratello d'imperadore, l'altro nell' imperio
compagno; si sarebbero invidiati. Gridando il popolo c muoia
il consolo, li VilelliQ noi consenti, placato seco, e quasi per
gratitudine. dell' aver Attico [interrogato CI Chi mise fuoco
nel tempio't Il) risposto CI lo fui, Il e con tal confessione o bugia
opportuna, scolpato di sì gran fallo i vitelliani e tiratosi tutto
l'odio.
LXXVI. In que' giorni L. Vitellio pose il campo a Fe-
ronia, per ispiantar Terracina, ove stavan chiusi accoltellanti
e ciurme, che non ardivano uscir fuori delle mura a com-
battere. Guidan, come dicemmo, li accoltellanti Giuliano,
le ciurme Apollinare, non come, capitani, ma licenziosi e
f te"'pieroe. edituo, cUltode del tempio. ,
I gli mlnla cotta. Domisiauo iu cotta/Il lat. b... II"eo ..mlctll••
S COli'" i" ...~"'bo.li. col proprio limuhcro iu pmbo a Gion. .
IL UIIBO TE&ZO DELLE STOIlIIl.

pigri come la lcr gentaglia, non usavano scelte, non mUJ'ill


deboli forli6.eare, di e notte poltrire. per li giardini far rOID-
bazo, a' pìaeerì vagando attendere, non di guerra se DOD a
tavola ragionare. Apinio Tirone uscito fuo.ri pochi di ianaui
a mugnere quelle terre acerbamente, dava più carico che
utile .alla parte.
LXX"II. Uno schiavo di Verginio Capitone fuggi a L
Vitellio; e olferse, avendo compagni, -, dargli d' imbolio l la
.rocca DOn guardata, A. notte scura con gente spedita saglie
il monte in eapo a' nìmìcì. Indi a rovina corre a~li a
Fzi, non a combatlerli. Disarmati, o correnti per l' arme, li
jibatacchia, ehì sonnacchiosi, ehi sbalorditi dal buio, 8p-
,venlo, nimiche trombe e grida. Pochi accoltellanti ~be recar
~,caddero vendicati,gli altri si gittavano a scavezacoUot
alle navi, ov' era il medesimo terrore e scompiglio: meseo-
lativi paesani, cui come gli altri i vitelliani ammazavano.
Nel primo tumulto scamparon sei galee con Apollinare aI&-
.mìraglìo, 1'aUre o furon prese o alfond.arono dalla fola S e
peso di quei che vi si gettavano. Giuliano fu menato, fra-
. stato e scannato dinanzi a L. Vitellio. Fu ehi incolpò Triaria
sua moglie d'avere, cinta di spada, usato superbia e Cl"ll-
deità fra le miserie della sforzata Terracina. Egli ne mandò
al fratello la leUera con l'alloro, e domandandogli se oovea
tornarsene (l wr di domar Terra -di Lavoro- il che fu la
salute non por della parte v~spaaiana, ma della republli:a:
perchè se que' soldati in su la vittoria feroci, per' nauJlll
osUuati, si difYavano a Roma, la battaglia era grossa, e la
rovina della ciUà; percb.è L. Vitellio, benché infame, era in-
dustrioso e assai valeva, non con le virtù., come ~ buoni, ma
co' vizi, come i pessimi.
LXXVIII. Mentre i vitelliani faceV3llO, CflIes~ COS8,
l'esercito di Vespasiano partito da Narni, si slava De' gjorai
di SaturDO in Otricoli o:ùD.so a gittar vìa questo tempo per
aspettar Muciano. Né maocò chi dieesae che ADloaio il fece
ad arte, perché, Vitellio gli açrisse segrel.ameate die, vò-
I offerle__.. dargli d·;mbolu., per-frode. La1.: .furlùn.•
t tllcapuacollo; a eo. .i.oUo, pzecipitO$l&lll!D!&.
5 dali. folA. fU la folla. Cod 'più .otto, cap. SVohperfallA.
, :u. LUIO naza DBLLI l'I'OBI& IU
lcmdo servir lai~ nfaria e4lDlOIo e auo genero eoa rieea dole.
Altri dicevano che ques&o cardo l gli era dato per compiacer
1I0ciano~ aleuai, che ciò fII consiglio di talti i capì, mo-
strar la guerra a Roma e DOn farla; vedendo che Vitel-
lio, piantato da' soldati aig1iori e da tutti gli aiuti, anebo-
be ceduto l'imperio., Ma ogni cosa guastò la fretta e poi
la dappocaggine di sabino, che prese l'armi sconsiderato, e
non seppe difendere da tre coorti Campidoglio, r6eea aiC1Ita
da grandissimi eserciti. Non può dani a uno quella colpa che
fo di tolti: perchè Mociano con le lettere di doe sensi ritar.
dava i Tincitori; Antonio con ubbidire arrovelcio e ìncol-
parue 'gli altri, sé caricò; gli altri capi per creder la guerra
finita, le diedon fine pia ricordevole. Anche Petilio Ceriale
mandato innanzi COD miUe cavalli ad attraversare il piaoo
de' Sabini, e per la via salaria entrar in Roma, molto pe-
nò, finchè la fama dell' usediato Campidoglio fece deetarè
ogn' ODO.
LXXIX. Antonio per la via Oaminia a molte ore di
notte giunse a' Sassi rossi; aiuto tardo. lvi intese di Sabino
morto, Campidoglio arso, Boma In tremito, ogai cote dolo-
re, e che la plebe e schiavi s'armavano per Vilellio. E Pe-
tilio Ceriale co' suoi cavalli fo roUo da' pedoni viteUiani,
~ quali corse addosso, come a viati, non cauto, e trovò ri-
sconlro.' ComhaUes~ poco foor di Roma tra quelle case, orti
e traverse, che note a' vitelliani e non a' nimieì , gl' impau-
rirono: nè tutti i canDi eran d'accordo, perché alcnni delli
arresi a Narni atavano a veder ehi vincesse; Fo preso Tollio
Flaviano capitano d'una compagnia di essi cavalli, gli altri
fuggirono bruttamente, seguitati non oltre Fidene. .
. LXXX. Qoesto successo accrebbe l'alfezione del popolo:
la plebe di Roma prese l'armi: pochi aveano scudo: i più
:lando di piglio a ciò che veniva loro alle mani, chìeggon
baUaglia: Vitellio li ringrazia: comanda che corrino a difender
Roma: raguna il seDa~o: mandano ambasciatori alli eserciti
a persuadere, sotto pretesto della republica, accordo e pace.
Questi ebbero fortuna varia: que' che.ineontraron Petilio Ce-
I quuto c.. ~do, quesle pungenti porole.
a
I tro .. rilconCr.o,# UOtò reliitcau.
144 IL LIBRO TERZO DELLE STORIE.'

riale foron per capitar male, non volendo i soldati udir nulla
di pace. Vi fu ferilo Aroleno Rustico prelore; il che dispiacqoe
(ollre all' aver violato ono ambaseiadore e prelore) per la sua
propria degnilà. Sbaragliossi sua comitiva: illiUore che volle
fargli far largo, fu morto. E se non che la guardia che Peti-
lio diè loro, li difese, l'ambasceria, sagra anche ai barbari,
era dalla rabbia. civile, in so le mora della patria, violata fin
con la morte. Li ambaseiadori ad Anlonio ebbero meglio fare; l ,
per avere, non più modestia i soldati, ,ma più aolon1à il'
capitano.
'LXXXI. Ingerissi Ira li ambasciadori Mosonio Rofo ca-
valiere, filosofo stoico, e sputava senlenze de' beni della pace
e mali della guerra fra le squadre de' soldati. A molli moveva
riso, a' più Ìastidio. Allri lo spignevano o calpestavano; tanto
che da chi ammonito e da chi mìnaceiato , si rimase di quel
filosofare a sproposito. Incontrarono ancoravergiìli veslali
con ona leUera di Vilellio ad Anlonio chiedente sopraUenersi
il combaltere OD giorno solo; ches' acconcerebbe agevolmen-
le ogni cosa. Alle vergini fu dalo licenza onorevole, a Vilel-
lio risposto che Sabino nceìso e Campidoglio arso non pati-
vano accordi.
LXXXII. Nondimeno Anlonio parlò a' soldati di posarsi
a Ponlemolle per l'aUro di entrare in Roma. Qoesla diinora
tentava per mitigare essi soldati accanili per deUa baUaglia,
che al popolo, al senato, a' tempii e looghi sagri avesson rì-
guardo. Ma essi d'ogni indogio sospeUavano, come nimico
della viUoria, e le insegne rilocenli per li colli, benché con
plebaglia dielro non da guerra, parevan loro nimico esercito.
Mossersi verso Roma in Ire parti; una da via Oaminia ovesi
lrovava; altra dalla ripa del Tevere; la tersa pervia salari a
s'accostava a porta collina. La plebe fo sbaragliata da'cavalli.
I soldati vitelliani altresì fecero Ire risconlri: scaramucce fuor
di Roma molle' e varie: e più prospere a' Oaviani, meglio
capitanati, Qoe' soli ebber che fare che voltarono a sinistra
della città alli orti salusliani per vie strette e mollicciche.
Perché i vilelliani sopra le mora degli orli co' sassi e dardi

t ebbero m~"jofare; la fc.cpo moglio, ebbero migliore incoDtro.


IL LmBO TERZO DELLE STORIB.

gli ribattavano, finché vennero verso la sera eaval1i da porta


collina, e circondaronli.
LXXXIIL Appiccossi anche in campo marzio grande
zuffa. Favoriva i Oavianila fortuna e la tante volte acquistata
vittoria: i vitelliani portali dalla disperazione fulminavano:
e cacciati si rattestavano nella città, veggente il popolo, che
quasi a una festa, ora a questi ora a quelli con le grida ap-
plaudeva: quando l'una parte fuggiva, i nascosti per ~e case
o botteghe facevan trar fuora e uccidere, e toccava loro quasi
tutta la preda: perché i soldati attendevano a far carne, e il
popolobottino.Crudele e soza cosa era a veder per tutta la cit-
tà, qui battaglie e ferite, qua stufe e taverne, sangue e cadaveri,
bagascie e lor simili. Quivi era ogni abominazione di libidi-
noso ozio, ogni scelerateza di sforzata città: cacciala pareva
esser dalle furie, e la medesima nelle morbideze notare. Com-
batterono già in Roma con eserciti vittoriosi L. 8illa due volte
e Cinna ODa, con crudeltà non minori: ora con beslialsicurtà
e senza lasciare un menomo de' piaceri; come se alla festa
di quei giorni nuova letizia s' aggiugnesse; si rallegravano
per li mali pubblici, non per affezione alla parte.
LXXXIV. La fatica maggiore fu pigliare il campo di-
feso da' migliori per ultima speranza. Cotanto più studiosa-
mente i vincitori, spezialmente i vecchi soldati, vi piantano
quantunque ingegni mai si trovaro a prese di fortissime cil-
tadi: testuggini, mangani, bastioni, fuochi: quantunque fati-
che e pericoli mai sopportarono, gridavan doversi terminare
in quest' opera. « Esser rendnto la città al senato e popoloro-
mano: i templi alli iddii: il campo, proprio onore de' soldati,
lor patria, lor casa: dovere, non v' entrando subito, star tutta
Dotte in arme. » AU'incontro i vitelliani, benché non pari di
numero e di fortuna, inquietavano la vittoria, turbavano la
pace, imbrodolavano di sangue case e allari, ultimi conforli
de' vinti. 'Molli sopra torri, o difese di mura spirarono, sbar-
rate le porte, si vollò contra a' vincitori tutra la fola, e cad-
dero con le ferite dinanzi, e facce volle al nemico. Tanto
slimaron l'ODore fin sul morire. •
LXXXV. ViteUio quando fu pn:sa Roma, s',uScl di pa-
lagio dalla parte di dietro, e feeesi portar ib .,eggiola a casa-
J' • • : 13
IL LIBRO T.&1l2IO DELLE S'lOilIE.

la moglie l in AvenliDo, per nascondervisì, e la ROtte fuggir-


sene a Terracina al fratello e a' soldati. Ma come era volta-
bile (e II8tura è delli spaventati), dispiacendogli ogni partìto,.
massimamenle 1'n1tiow, tornò in. palagio, rimaso una. spì-
lonca. o essendosi partiti insiDo alli infimi schiavi, G sfog-
gtmdo di riscontrarlo. ArriflCiagli cprel. silenzio i capelli:
lleICa le camarej non. 'ti' è anima nata:1 aascondest il mise-
re, straClCO. e per peeduto, in hlOgn schifo: a Giolio Placido,
tribano di eoorte, nel trae fuore e COD man legate di dietro
e Tesle lIll'acciata fii mena1o· a me9tra. Molli gli dieeano
male; Diuoo' il- piangea:. avelilit privo di: misericordia si 8OZ0
fine. Avventossi a lui 11110 de' soldati di Germania; per ira
o per levarlo klslo da quello scheroo, gli tirò ua colpo 8
colse il tribODO (e forse tiro a lui) e gli tagliò un. orecchio:
e subito fil ammazato. Vilellio, con .le pUllte delle spade era
falto ora alzare il vi.&G· e porgerlo alli sehemì, ora g.,lar le
sue statue eadeatì, o la ringhiera I o il laogo dove fu morlo
Gaiba: finalmente lo rotolarono alle gemonie, dov' era stato
gitlalo il corpo di Sabino. Una sola parola n'usci da animo
grande, quando al lribllllO che lo straziava, disse, « lo por
sono staklloo imperadore. lD' E quivi, raddoppiategli le ferite,
mari. li popolaccio lo perseguilava sciaguralameate morto
come l'aveva favorilo vivo.
LXXXVI. Suo padre fu L. Vitellio:finiva cinqunzeUe
annì, Ebbe CODSolato, sacerdozi, nome e luogo tra' principali,
non per suoi meriti, ma per lo splendore paterno, Ebbe il
priReipato da chi noi conosceva. Pochi acquistarono l'amor
delli eserciti con le virtù, come questi col poltroneggtare, Era
I a casa la moglie, della moglie. Questo fìorentinismo fa qui ridicola am.
61>010gia.
""'m..
l, naia. aessuno, Co.1 Tlt. A.gr••• ~8 •• DOD tIo'r.o... lIIlÌ". nata..
I in luogo :schifo. Dicono cb. fosse il CUlilll n.ella atallAa dol portinaio di
pala..o. (Fornaciari.)
I era fatto alzar.... 1/ vtso. M È da Dotarsi il participio fatto col verbo
ea.ft"tJ. a miniera di paaaivo, con' ia6oilo apptello I~' colla· penoaa in aomia..
tj~o. Ciò l'iù lpellO accade dei partitipj p.lMlo IO potMllO••' Vèi a Corticdli
lib. 2, cap. II, ouerva•• o. (Fornaciari.)
I la rin/f"iera; cioè i rostri, detti ringhl.ra (tronc.mento di arringlai.ra)
, r.",hè di là .i arriltgav •. Vitellio ..1fto all' impero, quando giUn.. in Roma la
• l'rima volta,uri",ò. il Scnato ed il popolo, dicendo l. pr"D'Wl ledi •• (l'ora..iari-.)
IL LIBRO TERZO DELLE STORIE. U7
nondimeno bonario e liberale; che conduce, chi è troppo, a
rovina. ..A.micizle, voleudele mantenere COD largo .tonare.
non con saldeza di costumi, più meritò che non ebbe. Che
Vilellio perdesse, si fece senza dobbio per la republica.' NOn
perciò posson coloro 'che tradirono Yìtellìo a Vespasiano,
mettere a questo -eonto \a lor perfidia, avendo essi fatto il
simile a Gallia. Il sole tramontava, e i magistrati e senatori
per la paura s'erano nscìtìdì Roma, o nascosti per le case
di loro creatore; però non si potè ragunar il senalo. Domi-
ziano, cessato il pericolo, sen andò da' capi della parle: fo
saInlato Cesare, e da molti soldati armali accompagnalo a
casa suo padre.

·1 .i [ec •.•.• per la r~pubblica. fu utile .113 repubhliCJl.


148

IL LIBRO QUARTO DELLE STORIE


DI

GAIO CORNELIO TACITO.

--
SOMMARIO.

I. Crudeltà de' vincitori t1aviani. - II. L. Vitellio s'arrende, e pure ~


UCCi80.-II1. Quetata Campagna, ossequi del senato a Vespasiano.-IV. Onori
di Muciano, d'Antonio, degli altri duci. Trattasi di rifare il Campidoglio: li-
bertà salva Elvidio Prisco. - V. Vita e costumi di costui. - VI. Aspra rissa
traini ed Eprio Marcello._IX. Discordia sulle pubbliche spese.-X. Muso-
nio Rufo contro P. Celere. - XI. Muciano vennto a Roma la da capo, Cal-
purnio Galeriano è ucciso1.con altri tali torfatti. - XII. Claudio Civile comincia
la guerra germanics.-AIV. Primi in armi Batavi e Caninefati. - XV. Ag-
giuntisi i Frigioni, s'occupano i quartieri di verna di due coorti.-XVI. Vinti
i Romani, per arte di Civile. - XVII. Sua fama i Gennani muove ad of-
frir aiuti. Civile tira ad associarsi i Galli. - XVIII. Pigrizia d' Ordeonio
FIacco. I Romani vinti fuggono al campo Vecchio.-XI1. Le coorti batave.
caninefate dirette a Roma sedotte van da Civile, e nell' attacco di Bonna
i
dan rotta a' Romani.- XX . Pure i suoi Civile fa giurare a Vespasiano per
mascberarsi.-XXII. E tosto occupa il campo Veccbio.-XXIV. Ordeonio
Fiacco da sedizione avvilito sostituisce Vocola. Di qua e di là ainti galli.-
XXVI. Erennio Gallo a parte delle cure da Vocola cbiamato, riuscitoli male
l'affare. l è scopato: nuovo tumulto.-XXVIII. I Germani depredano i Galli.
- XXIll.. Varie zuffe tra Germani e Romani. - XXXI. I Galli aiuti udito il
caso di Cremona, lascian Vitellio. Anca Ordeonio Fiacco giura a Vespasiano.-
XXXII. Montàno mandasi a Civile per tirarlo da guerra: questi trae lui por-
tato a novità.-XXXIII. Parte della truppa stacca contro Vocola. Battaglie
a'Germani, poi a'Romani prospere.-XXXV. Vocola mal usa della vittoria.
- XXXVI. Civile prende Gelduba. Romani in discordia: uccidono Ordeonio
Fiacco. Lo stesso nembo Vocola per poco non assorbe.-XXXVII. Magonza
assediata. Treviresi da fidi Lribelli.- XXXVIII. Falsi timori d'Africa in Ro-
ma. - XXXIX. DomiJ:iano Pretore. n poler d'Antonio Primo éonquiso da Mu-
ciano. - XL. Onori resi a Gaiba. Condannalo P. Celere e altri, famose spie.
-XLII. Aquilio Regolo dal fratel Messala difeso l attaccato da Curzio Mano
tano.-XLIII. Eprio Marcello accusato da Elvidio.-XLIV. Per finirla con
tai processi l mettesi il passato in oblio. Pochi e vili alla mazza. - XLV. Sa-
ncsi pel battuto Senatore castigati. Anlbnio Fiamma coudannato per legge del
maltolto.-XLVI. Pretoriani tumultuanti l chela Muciano.-XLVII".nrogati
i cousolati dati da Vilellio: censorie martora a Flavio Sabino.-XLVIII. Uc-
ciso L. Pisoue d'Africa rroconsole.- L. Ofenso e Leptitani in discordia:
Garamanti rotti.-LI. Alali da'Parti offerti, rifiutati aa Vespasiano.-LII.
Sue ire coutro Domiziano, placa Tito.-LIII. L. Vestino incaricato di riedi-:
n LIBRO QUARTO DELLE STORIE. Hg
Beare il Campidoglio. - LIV. La strace di Vitellio add,pia la caerra in Ger-
mania. Si smaschera Civile. Treviresi e Liogoni ribelli a Romani, sotto i duci
C1BSBico, Tntore e Giulio Sahìno. Resto della Gallia indeciso: incerta la stessa
fede delle legiooi. - LIX. Vocola nccisoe giuro dato all' impero callico.-
LX. Legioni oel campo Vecchio assediate, utrette allo ciuro.-LXI. Civile,
ottenute la grazia si taglia la chioma. Indi cresce io autorità Veleda. - LXII.
Mesto silenzio debe legioni callive. Valor della banda Picentina.-LXIII. Co-
1000aagrippioa .r 'Irureoaoi odi 018 io sommo riscbio.-LXVI. Claudio La-o
beooe osò resistere, vioto da Civile l che riceve i Betasii, e i Tuogri. -LXVII.
Lingoni rotti da'Se~nani. GiulioSabino vinto a'appiatta.-LXVIII. Da taote
mOlll8 nemir.he MUClano agitato, con Domiziano a caerra a' accioge. Quattro
l~oni s{'edite, altre fatte veoire.-LXIX. Bilanciano..i Galli; e i più dal-
l'emnlmone delle Provincie atterriti tengoosi fidi a' Romaoi. - LXX. Civile.
CI.... ico. e Cii altri dnci non ben consigliati. nà concordi.-LXXI. Petilio
Ceriale a Macol1Za: dà gran rotta a Valentino dnce nemico a RigOOnlo.-
LXXII. Legioni già viote ammesse nel campo romano.-LXXIII. Ceriale parla
a'Treveri e Lingoni, e li accheta. - LXXV. Atroce hatteclia: i Germani pria
vincitori, aOD vioti per la fermezza di Ceriale•.-LXXlX. Agrippioesi dipar-
. tonsi da'Germani.-LXXX. Mnciano fa uccidere illìglio di Vitellio. Aotooio
Primo viene a Vespasiano: DOn n'è accolto come sperava.-LXXXI. Miracoli
cli Vespuiano in Alesaandria.-LXXXII. Entra al tempio di Serapide.-
LXXXIII. Origine di questo Dio.-LXXXV. Valeotino vioto, Dè tralignante ,
" punito. - LXXXVI. Domiziaoo, dopo tentato indarno Ceriale per farsi dar
esercito e UDpet'O, ioIingesi scioperato e dedito alle lettere•

. ~eni_Ii, "arle mlle Guerre Ci~ili IrQ l'ileI/io I l'elpa,;/Jfto,


"arle
.lo. di B. nccosxm. (di er. 70).- .otto i.1
Funo VISPUll110 AIlG. II.
ClJftIolt TITO VISP1.llUIIO CIS1BB.

I. Morto Vitellio, mancò più tosto la guerra che comin-


ciasse la pace.I vincitori armati per la città con fellonissimo
animo davano addosso a' vinti: eran le vie piene di morti,
le piaze e tempii di sangue , uccisi qualunque presentava
la sorte. Crescendo 1'insolenza, si davano alla cerca, e stra-
scicavaIÌ fuora i nascosti: se vedevano un grande, atante e
giovane. l il tagliavano a pezi, o soldato o cittadino. La qual
crudeltà nell' ira fresca si sfogava col sangue, poseìa passò
in avarizia: frugavano ogni ripostiglio fingendo di Cercare i
vileUiani. Quindi si cominciò a sfondar case, ammazando
chi s'opponeva: la canaglia morta di fame aiutava: i pessimi
schiavi insegnavano i ricchi padroni, e altri n'eran mostrati
da amici. Per totto grida e lamenti e faccia di sforzata città,
, Brllllde.llilllltc c gi,vlllIe. Tali erano le qualilà dilliotive dei loldati ger-
IDaDj.

13"
fIlO IL LlB80 QUA8TO DELLE STOBJE.
talchè la già odiata insolenza de'soldati d'. Otone e di Vitellio
si benediva. I capi della parte fieri accenditori della civile
guerra, Don potevano temperare la vittoria. Conciossiachè
nelle discordie e garbwgli vagliono ìpessìmì. la pace e quiete
vogliono virtù. .
I Il. Domisiano prese di Cesare il nome e la
ritridenza: 1
non ancora vò\lo a negozi, solo con li sverginamenli e adul-
tarii si mostrava figliuol del prìueipe," Il prefetto del pretorlo
era Arrio Varo: Antonio Primo poteva ogni cosa: il qoale
spogliava la casa del principe di danari e schiavi, quasi fus-
sero preda cremonese. Gli altri per lor modestia o ignobiltà,
quasi non si fusser fatti conoscer in guerra, non ebber nulla.
Roma spaurita, e a servire aeconcia, chiedeva che' si ta-
gliasse la via a L. Vitellio che tornava con sua gente da Ter-
racina, e si troncasse questo racimolo di guerra.! E furon
mandati cavalli innanzi alla Riccia: la battaglia ~ delle legioni
si fermò di qua.da Boville.' Non la stette Vitellio a pensare,"
e rimise in mano del vincitore sè e i soldati; i quali per non
minor rabbia che paura scagliarono in terra le infelici armi.
Passavano per Roma in lunga fila in mezo d'armati. Viltà
ne'Ilor visaggi non era: maninconosa flereza." Saldi alli
scherni e alle fischiate del volgo: pochi che ardirono scap-
par per forza, furono eircondali e oppressi; gli altri incarce-
rati. Parola nen usci da loro non degna, e, benchè in av-
versità, salvaron Tirtù e fama. Poscìa L. VileUio fu morto:
vizioso quanto il fratello; nel principato di lui più desto; per
le coi felicitadi non s'alzò quanto per le miserie precipitò.
III. In quesli giorni fu mandato Lucilio Basso con ca-
t la risidenva, il palazzo dci Cesari,
8 In Agricola, c. 7, ha detto • che dallo fortuna dell'adre l'insokn.. 'DTa
usurpava. • .
5 quest» racimolo di gr",rra, queslo piccinl reslo di guerra. Lal.: • re-
liqur belli.•
• la battaglia, la schiera,
5 Bo.i1le. Se ne additano le rM'ine i.. DD luogo l'''"so Albano, deuo le
Fratoceh!e;
6 non la stette•.• a pell~ttre; Don isteue in dubbio) non indugiò. Lat.: .. nec
ounctatus est 'Plltllilu."
, 1JIflninconosa jitr~~a. C~sj la Nestiana. e Lene:. nè occorreva che il
Volpi ci cacciasse UD ma, facendo questo bellissimo suono , ma man;nconos~ J
IL !.DRO QUARTO DELLE STOIIlL

valleria leggiera a quietar jn Terra di Lavoro gli animi de'po-


poli, discordanti tra loro più tosto, che disubbidienti al prin-
cipe. Veduti i soldali, s'accomodarono, e alle colonie minori
fu perdonato. Lalegion terza fu messa in Capuaa svernare;'
le famiglie nobili mal trattate; né ebbero aU'incontro i Ter-
racinesì sassldio aleuno," Tanto è più agevole render l'ingiu-
ria che 'I benefizio, stimandosi aggravio il guiderdone, e 'l
vendicarsi guadagno. Consolaronsidel veder crocifissoquello
schiavo di Verginio Capitone che tradì, come dicemmo,"Ter-
racina, con quegli anelli 4 la dito che Vitellio gli donò. In
Roma il senato decretò a Vespasiano tutti gli onori usati
a' principi, lieto e come sicuro. Perciocchè l'armi civili prese
nelle Gallie e Spagne & (sollevl'li i Germani," poseia l'Illiria')
essendo scorse nell' Egitto, Giudea e Soria," in tutte le pro-
vincie, in tulti gli eserciti, quasi purgato tutto l'universo;
parevano aver posa.Accrebbero l'allegreza sue lettere scritte,
in prima apparenza, come se la guerra durasse; ma in ef-
fetto parlava come principe, con modestia di se, magnifi-
cenza della repuhlica. Il senatorendè il lui csservaaaai fe-
celo consolo con Tito suo figliuolo: Domialano pretore, con
podestà di consolo.
IV. Anche Muciano scrisse al senato, e diede che dire:
({ Se egli era privato, perché fare uficio pubblico? aver po-
tuto tra pochi di quelle cose dire in voce, come senatore: e
quel lacerare i vitelliani fuor di tempo non era zelo: ma quel
vantarsi che avea l'imperio i,n pugno e lo donò a Vespa-
siano, era superbia verso la republica e ingiuria al principe:
ma 1'odio verso lui era nascosto, e l'adulazione scoperta.»
Con molta pompa di parole furono date a Muciano le insegne
f ID puui.iMe d' .ftre '!u..l. cill~ favorilo Vil.llio. Vedi III, 57.
! Sebbene ....i boenIerili .Ile parti lInialHl. Vedi III, 7G.
S come dicemmo. Lib, III, 77•
• con qlleg/i anelli te. riferiscesi a crocifi'Jo" DOD a tradl.. come Carthl,e
credere la Don retta collocazione delle parole. L' anello era il distim ivo de' C3.\';I-
lieri: si volle con questo rendere piil obbrobrioso il SDO supplieio.
~ Nell. Gallie e Spasn., là da Vinnict, qua da G.lb•.
8 i Germani, d. Vitellio.
7 l'Illiria, da Antonio.
e Nell' EgillO per opera di FeliceAlusaDdro, iuGiu'dea, di Vesp.siano, e in
Soria, di Muci:Jno.
.-

{52 IL L1DnO QCAn TO DE LLE STORI E.

trionfali; in verit à , della guerra civile ; ma in nome , della


spedizion ne' Sarm ali. Ad Ant onio Primo le consolari i a
Cornel io Fusco e Arri o Varo le prelorie. Poscia riguar dan do
a gl' iddii, piacque che il Campìdogllo si rifacesse. Ord inale
furon tolle queste cose per sentenza di Valerio Asiatico l
eletto consolo: gli allri le approva vano per cenni di volto o
mano : pochi de' più segnalati o pra tichi nell' adul are, con di-
cerie pensate. Quando loccò a E1vidio Pri 'co , eletto pretore,
pronunziò cose onorevoli a buon prin cipe, niente ad ulalrici ,
esallatissime dal sena to : e quel giorn o gli fu gra n gloria e
pr incipio di suo gran dan no.
V. L'avere nomin ato due volle t questo memorevole uo-
mo , richiede ch' io tocchi alquant o di sua vila , professione
e sor te, Nacque in Terracina , terra municipale, di Chl\'io ca-
pitano di primopilo: mollo giovane impiegò il chiaro ingegno
in filosofia ; non , come i più , per vivere disutile solio questo
nume ampio , ma per governa re la repuhli ca , ben tetra-
gono a' colpi di venlura. S Seuuit è i maestri l che tengono ,
esser beni le sole co e oneste, e mali le brulle . Potenza, no-
biltà e ciocche e fuori del nostro anim o, ne beni ne mali.
Non ancora stalo più che questore, fu da Trasen Pelo fallo
ge nero; ' dal suocero niente appre se , pi ù che esser lihero cit-
ladino. cna tore , mariLo , ,genero, am ico , fu semp re huono
egualm enl e ; sprezalor di riccheze , costante nel giusto, da
paura sicuro.
VI . Apponevangli alcuni troppa voglia di fama; ma la
gloria e l'ultima vesta che lascino anche i lìIosolì. Per la ro-
vin a del suocero fu cacc iato r" rimesso da GaIba, prese ad ac-
cusare Mar cello Eprio , accusatore di Tra sea. Questa ven-
della , dubb ia qual fosse più Ira giusta e gra nde, divise il
senalo; per ch é se Marcello cadeva, sfragellava un mondo di

l Gea u o d i Vilellio.
2 dI'"volte. L . prima nel !iL. Il, 9 1 delle Stori e,
I ben tdragon o a: colpi di .,tnlllra . D ante :
........ nr~n . l:"'io mi lu la
Sta letngoDo . ' colpi di feDtura.
t i ".ne" ,.i; cioa , gli Stoici.
I f allo 8t"tro• • veudcgh .1.10 F anlli. ,u. figlis, Vo.li .lnn . XVI, '8, 35.
I fa cn cc iat«, Vedi Anll. X, , I , 33.

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IL LIBRO QUARTO DELLE STORmo usa
Tei. Contesero prima con minacce e belle dicerie di qua e di
là, poi perché Gaiba non si lasciava intendere e molti sena-
tori ne 'I pregavano, Prisco se ne tolse giù, chi diceva per
moderanza; chi, secondo i cervelli, per deboleza. Il giorno
che in senato si dava l'imperio a Vespasiano fu risoluto
mandargli ambasciadori. Qui fu acerba contesa: Elvidio vo-
leva che li nominassero i magistrati col giuramento, Mar-
cello che !f imborsassero come aveva pronunziato il consolo
eletto.
VII. Ma diceva cosi, acciocché se altri fosse eletto, egli
non paresse lasciato in dietro. Vennero da queste dispute a
dimolte e male parole, « Perché tanta paura (diceva El-
vidio) aver Marcello del giudicio de' magistrati? esso aver
moneta, aver eloquenza da passar molli, se il baco delle
trislizie non lo rodesse. Borsa e sorte non discerner bontadi:
il passare per le filiere delli squittini esser trovato per ri-
prova della vita e fama di ciascheduno: andarne l'utile della
republica, l'onore di Vespasiano, che il senato gli mandi in-
contro sceltissimi uomini, che gli orecchi empiano dell' im-
peradore di santissimi ragionari, Essere stati Trasea, Sorano
e Senzio amici di Vespasiano, non doverseli i loro accusa-
tori, ancorché non punibili, mandare in su gli occhi; Questa
scelta d'uomini che il senato fa, quasi ammonire il principe
di quali fidar si debba o temere. Maggiore stromento non
aver il buono imperio che i buoni amici. A Marcello dover
bastare avere spinto Nerone a disperder cotanti innocenti.
Godessesi i guiderdoni e l'esserne andato netto, e lasciasse
Vespasiano a' migliori. »
VIII. Rispondeva Marcello: « Che qui non si dava con-
tro a lui, ma al consolo che aveva pronunziato secondo gli
antichi che, per levare competenze e nimicizie, facevano gli
ambasciadori per sorte. Non era nato cosa da scambiar gli
antichi ordini, né da rendere l'onore del principe, disonore
d' allrui. A questo complimento era atto ciascuno: guardas-
sesi più tosto ehel' ostinazione d'alcuno non irritasse il prin-
cipe nuovo, sospeso e osservante i volti e le parole di tutti.
I ma..dare i .. II' gli occhi. Politi: • gli accusatori de'quali, quaatllllqae
DOD aia 'l'edicDle di gUligore, non però si dovrehbeno mandare in mostra. •
IL LII:RO QUARTO DELLE STORD.

BicordarsìJn che tempo era nato .e che forma di governo


avessero ordinato i padri e gli avoli: ammirar le cose pas-
sate eseguìtar le presenti: pregar d'.aver buoni imperadori
.e torglìsì chenti sono. Che lasenlenza del senato e non lo
suo aringare I .aIDisse Trasea, avendo Nerone usato sue cru-
deltà per tali mezì, né la sua pratica gli fu men grave che .
agli altri 1'esiglio. Fussefìnalmente Elvidio per costanza,
per forteza un Catone, un Brutoregli essere uno di quel se-
nato che insieme ha servito: gli darebbe bene un buon con-
siglio, di non {are il satrapo " co' principi: non dar il com-
pitGa Vespasiano, vecchio, trionfatore e padre di figliuoli
Don più fanciulli. Però che si come i pessimi imperadori vo-
glion dominar ~nza freno, cosi i '1uantunque ottìmì, che
non si abusi la Iibertà,» Datesi queste punture ,il favore fu
diviso, e vinse il fare gli ambasciadori per tratta, avende
anche i neutrali puntato 3 che si mantenesse -il costume; e
quei di più splendore temuto dell' invidia, se fussero eletti.
IX. Seguitò un' altra contesa de' pretori dell' erario, 4 per-
chè -allora essi lo maneggiavano, dolendosi che il comune
impoveriva, chiedevano regola alle spese, D consolo eleUo,
per la importanza e diffìcaltà della cosa, la rimetteva al prin-
cipe. Elvidio disse che la determinasse il senato. Doman-
dando i consoli de' pareri, Volcazio Tertullino tribuno della
plebe oppose che di tanta cosa non si deliberasse in assenza.
del principe. Elvidìo aacora propose che Campidoglio si ri-
facesse del publico, e Vespasiano porgesse aiuto, Questo pa-
rere fu da' più modesti con silenzio passato, poscìa dimenti-
cato, e fuvvi chi lo ricordò.
X. Allora lIusonio Rufo si levò contro a P, Celere, accu-
sandolo di falsa testimonianza contro a Barea Sorano. Questa
causa pareva che rinovasse l'odio delle passate accuse; mOI
il reo vile e Docente non poteva esser difeso, perché la me-
moria di Bareaera santa. E Gelere che si spacciava per filo-
sofo, gli testimoniò contro, traditore, vìolatore dell' amico,

~ lo suo aringare, Vedi »[nn, XVI, 28.


2 di non fa-e il sat,.npo~ il saccente. .
3 avcndo•..• puntato, essendosi ostinati .
... pretori dell'erario. Vedi Ann:I, 75.
IL LnlBO QUARTO DELLE ll'I'OBI8. flm
di cui- si predicava maeslTO'. La causa fu rimessa al prime
di, aspeftaDdosi che non più Musoni&e ~ CM PÌ'isc:o e
Marceft~ e gfi altri mossi a vendetta .etIÌ5llero in ~ampo.
XI; Essendo le cose iII tale stato, i padri mal d' 8COOI-
do, i Tinti arrabbiati, io vincitori senz" autorità; BOB leggi,
non principe in Roma; y' entrò Muciano e tirò i. se'ogni
cosa subitamente. Abbassò la potenza d'Anlaie e di Varo,
pet' ernceìo contro di loro mal coperto, lfUnatnque se ne
sforzasse nei volto. E la città, fine degli umeri rìpeseatrìee,
a lui si voltò e gittò. Egli solo era il bramato, il corteggiato,
è si aiutava con anda.. con seguito d' armati-, con, l' anda"
ra; t. mutar palagì e giardini; tener arredo, lleDtÙlelle; ogni
cosa da principe, Ital neme in fuori; e ognuao lIttetTi CURia
morte di Calpurni& Galerfuno. Questi fu figliuolo di Gaio ~
soneeI niente tentò, ma il popolo quel gran nome e si bel
giovane ammirava; e taluno in quella città non bene ancor
cbiara e vaga di novità e vanità, facea correr Toce, che sa-
rebbe un di principe. Muciano lo fece eòrre in mezo a' sol-
dati, e per fuggir i' occhio della città, quaranta miglia lon-
tano, nella via appia segargli le vene. Giulio Prisco, prefetto
del pretorìo sotto Vitellio, s'ammazò per la vergogna, non
per necessità. Alfeno Varo S sopravvisse a sua poltroneria e
infamia. Asiatico," che era Iiberto, col supplizio-da schiavo,
pagò il fio di WB mala potenza.
XII. In questi giorni rinfrescando male nuove di Ger-
mania, :Roma non parea che le avesse per male. Disconen
d" eserciti tagliati a pesì , ftBoggiameBti'presi, Game rilk!1-
late, come di cose che non importassero, Le cagioni di que-
sta guerra, e quanta fimnma levasse di geRti straniere e
amiche, narrerò da pmaltO' principio. I Batavi, qeando abi-
tavano oftre Reno, erano parte de'eatti : cacciati daDe parti,
occuparono r estrema Gallia .vOta dii abitatori, e insieme
l'isola posta tra li stagnì, bagnata dall'oceano a fronte e dal
Reno :i fianchi e spa«&:- D8D' aggiu.valÌ'-d'aIta potJena rs-

, """'Z· ..",.OI..... :L.l.: • b1CllU"~·


• PiI""". Vedi AlI"- xv, 48.
• Alfello raro. Vedilopu, 111, 6'1.
.
e Alialico. Vedl.Jtor. H, 57.
n, LiBRO QU4RTO m,LLE STORIE.

maaa né da altrelegbe, danno all' imperio solamente no-


mini e' armi: molto sono esercitati nelle guerre di Germania.
In BritaoDia hanno accresciuto gloria lor fanterie mandate-
vi, rette per costume antico da'più nobili di lor gente. Hanno
buona cavalleria, sl "hne instrutta al nuoto che passano il
Reno a cavallo armati in ordinanza.
XIII. Giulio Paulo e Claudio Civile reali di sangue so-
vrastavano di gran lunga a tutti. Fonteio .Capitone uccise
Paulo per falsa accusa di essersi ribellato, e Civile mandò in
catena il ~erone. Gaiba lo liberò; sotto Vitellio l'esercito di
nuovo il chiedeva al supplizio. Quinci nacquero le loro ire e
speranze ne' nostri mali. Ma Civile più destro cile non so-
gliono i barbari (e' s'appellava Sertorio e Annibale per es-
• ser come loro cieco d'un occhio) temendo di guerra, se dal
popolo romano si, ribellava alla scoperta, s'infinse amico
di Vespasiano e tutto di sua parte. Ebbe certamente ordine
per leUere d'Antonio Primo di divertire gli aiuti inviati a
Vitellio e ritenere le legioni quasi per li tumulti di Germa-
nia. II medesimo di presenza gli avea ordinato Ordeonio
Fiacco per amore che portava a Vespasiano e per zelo della
republica che andava in revìna , rinnovandosi guerra e tante
migliaia d'armali l'Italia inondando.
XIV. Civile adunque risoluto di spiccarsì, ma non si sco-
prire, per far poi secondo gli avvenimenti, cominciò a in-
garbugliare in questa maniera. Per ordine di Vitellio sì seri-
vevano i giovani batavi da portar arme; cosa grave per sè
e aggravata dall' avarizia e libidine de' ministri che scrive-
vano vecchi e non abili, per licenze vendere, e bei donzelli
d'alla statura (cbe molti ve n' ba) per male adoperargli.
Quindi l'odio, e gli autori del sollevamento gli spinsero a non
volere essere scritti. Civile chiama sotto spezie di convito in
un sagro bosco li principali e de' popolari i più animosi, e
quando li vede bene annotlati 1 e allegri, fatto preambolo
della laude e gloria di lor gente, conta le ruberie, gli sforza-
menti e gli altri mali del lor servire. « Non esser tenuti co-
me già per compagni ma per ischiavi, e quanto si starà a
veder v&llire un legato con quel lungo codazo e superbo im-
I bene ",... otlati, riscaldati dalla liceD" della Dolle.
tt, LlBRO QUARTO DELLE STORIE. ill7
perio? a' lor prefetti a'loro centurioni esser dati a mangiare,
e quando son pieni di loro carne e sangue, trovarsi altre gole
all'amate e altre invenzioni da ingoiarli. Doversi scrivere la
gioventù, cioè dir l'ultimo addio, I i figliuoli a' padri, i fra-
telli a' fratelli. Non essere stati mai i Romani in peggior ter-
mine, non avere ne'loro alloggiamenti che vecchi e preda.
Alzasson un poco gli occhi e non si facesson paura di que'
nomi vani dt legioni. Avere essi nerbo di cavalli e uomini,
parenti i Germani, le Gallie bramose del medesimo, hé a'Bo-
mani stessi spiacerebbe questa guerra, perchè perdendo, se
ne farìeno onore con Vespasiano, e vincendo, non se n'arebbe
a render conto. J)
XV. Udito con grande approvanza di tutti, n fece con
loro barbare scongiurazioni obbligare. Mandò a Car lega
co' Caninefati. Questi abitano parte dell' isola, sono della
'medesima origine, lingua e valore: minor numero. Voltò se-
gretamente li brettagni aiuli, ciò sono que' fanti batavl ve-
nuli di Brettagna e poi mandali in Germania, come dissi,
che allora.erano in Maganza. Trà'CanineCali era un Brinio
avvenlato bestione," d'alto legnaggio. Suo padre ci fece molti
danni, e le matte spedizioni di Gaio, sprezè senza pena. Co-
stui, come di sangue ribello, parve il caso: s e lui, alzato in
uno scudo e porlato in su le spalle a loro usanza, fecero ca-
pitano. Incontanente chiamali i Frisii (genie oltre Reno), per
lo vicino oceano assalisce i prossimi alloggiamenti di due
coorti. QU4;slo impeto non fu saputo, nè, se l'avesser saputo,
v' era forze da resistere. Li presero adunque e saccheggia-
rono, poi diedono addosso a'saccomanni e mercatantì romani
sparsi a modo di pace! E 'l medesimo avrien fatto delle ca-
stella, se non, fussero state abbruciate da' nostri per non po-
terle tenere. Insegne, stendàli I e quanti soldati v' erano, si
ridussero nella parte di sopra dell' isola sotto Aquilio di prì-
f Doversi scrtoere la gioventù" cioè c1ir Fultimo addico ES5,cr pros..
sima la leva della gioventù, per cui donano dividersi i figliuoli da'padri ec,
51 4ypentAto bestìone, Lat.: .. stolid~ ll14dacitr. Il Così nel primo ,lrgli
Anml/i" 4grippam ..tolidefarocem. traduce q Agrippa esnre un bestione. "
3 pa,.", il easo; parve adatto" opportune ee, .
.. a modo·di pace, come sogliano nella pace.
5 ste"dàli~ "euilli.
Il•


.:- -:::---- ----::::=.- -- -~:-=---_-:::: -- - --' ~

f
11J8 IL LIBRO QUARTO DELLE STORIE.

ma fila: nome e non forze d'esercito; I avendone tratto Vi-


tellio il fiore e, de' vicìnì contadi Nervi e germani, caricato
d'armi un numero di cerne,
XVI. Civile voltosiall'inganno, biasimò i capitani d'aver
abbandonato le castella: u fermerebbe egli con la coorte sua
il tumulto de' Caninefati; tornassero ne' loro alloggiamenti.»
Seppesi il consiglio frodolente dello shrancare le coorti per-
ché fussero meglio oppressi, e che non Brinio ma Civile go-
vernava, scoprendosi a poco a poco t quegli indizi che i Ger-
mani che si rallegrano della guerra non seppero rilenere.
Fallitogli lo ingannare ,passa alla forza. Ordina di Canine-
fati, Frisii e Batavi tre proprie punte," Schieransi i Romani
all' incontro presso al Renò e con le prue volle al nimico
delle navi quivi approdate, dopo le castella arse. Non s'era
molto combattuto quando i Tungri passaron con le insegne
a Civile. Colti a tal tradigione i soldati nostri e spaventati,
elano ueeisi da' nemici e da' compagni. Nelle navi a~cora
eran traditi. Parte de' vogatorì batavi impedivano gli uflei
de' marinari e de' soldati quasi per-non sapere; si contrap-
pongono' e voltano alla riva nimica le poppe; finalmente
ammazano i governatori è centurioni, se non vogliono quello
che essi; tantoehè tutta quella armata di ventiquattro legni
fu presa o si ribellò.
XVII. Gloriosa allora e poi utile fu quella vittoria: acqui-
state armi e navi onde erano bisognosi,vennero per le Ger-
manie e Gallie in gran fama di ricupera tori di libertà. Man-
darono le Germanie subitamente ambasciadori offerendo aiuti.
Civilé cercava, con presenti e arte congiugnersi con le Gal-
lie, rimandando i capitani prigioni alle lot terre, dando
a' soldati elezione d'andarsene con le spoglie de' Romani o
rimaner con soldo onorato. Segretamente ancora tutte le sol-
levava, ricordando i mali sopportati tanti anni: «Che falsa-
mente cbiamavan pace lor misera servitù: che i Batavi, ben-

• nome e non forse, ee.s avevano piuttosto Dome che Coni di esercito•.
~ La NellljlDa: Il seoprendoci a poco qUf'gli indiai et ...
~ p"nt~.# schiere ordinate a modo di cunei. P,,"'a iD aigni&cllto di branc»,
,1111'"
.fchir.ra eco è vivo ancora presso i montanari tcscani , che dicOD6 ... tI di
I?~core~ per dire "" branco,
IL LIRO QUARTO D&LLB 5TOBIL 139
ehè franchi di tributo, avevan prese l'arme contra a'comunl
padroni: alla prima battaglia li cacciarono e vinsero: che
avverrebbe se le Gallie scotessero il giogo? e che rimanere
a' Romani in Italia? Col sangue degli sia ti pigliarsi li stati,
Non si guardasse alla battaglia di Vindite; perchè i cavalli
batavi sconfissero gli Edui e gli Arverni, e tra aiuti di Ver-
ginio vi -ebbe Belgi. E la Gallia, chi ben guarda, fu fatla
cadei' dalle proprie forse oggi tutte unile e vanlaggiate di
quanto saper di guerra fu mai ne' campi romani. Aver seco
que' vecchi IOldati che poco fa alterrarono le legiol1i di Oto-
ne. Stessons! serve la Soria e l'Asia e l'oriente, uso ad aver
re. Vivere in Gallia molti nati innanzi a'posti tributi. Essersi
cacciato per certo, non ha molto, di Germania la servitù, ta-
gliato a pezi Quintilio Varò, e provocato con guerra non
ViteUio imperadore ma Cesare Aguslo. Che la natura criò
libere insino alle bestie. La virtù è dell' uomo proprio bene;
gl' iddii aiutano i forli. Assalissono ora liberi e freschi gli
straechi e impacciali mentre uno vuole Vespasiano, altri Vi-
temo: esser ìa via aperta contro ambi. »
XVIII. Cosi Civile le Gallie e Germanie adocchiando, era,
se riuscito gli fosse, per farsi re di due gagliardissime e ricchis-
sime nazioni. Ma Ordeonìo Fiacco, da prima ìnfìngendosene,
gli diè campo. Avute le male nuove de' presi alloggiamenti,
disfatte coorti,cacciato dell'isola il nome romano, comanda a
Mummio Luperco legato che governava due legioni in guar-
nigione, che esca contro al nlmico, Luperco prestamenle
melte in campagna i legionari presenti, gli Ubii vicini, i ca-
valli treveri non lontani, e più una compagnia di eaval\i ba-
tavi acconci -più fa 1 segretamente a fuggire in su 'l combat-
tere e tradire i Romani con danno maggiore. Civile in melo
alle guadagnate insegne pèr innanimire i soldati suoi con la
gloria fresca e atterrire i nìmicì con la trista memoria, pose
dietro all' ordinanza sua madre e sorelle e le mogli e figliuo-
lini di lulti, per metter coraggio a vittoria e vergogna di fu-
ga. Le grida de' nostri non furon rigogliose, come il canto
levato si de'loro uomini e urla delle donne. La banda balav.a
si ruggi dal nostro corno sinistro e rivoltoceisi contro. Ma i
l più!a, tempo f•.
, f60 Il. UBBO QUARTO' DEtI.E STORIE.

soldati di legione, benehè in mal 'fe'rmine,si mantenevano


in battaglia. Gli aiuti ubii e treverl bruttamente la diedono a
gambe per quelle pianure; i Germani si si difilarono 1 addosso
a 101'0. Intanto si potero le legiorii ricoverare nelli alloggia-
menti .ppellati li Vecchi.1 Claudio Labeone capitano della
banda "batava competendo con Civile, come spesso fanno i'
compatriotti, fu da lui fatto portar in Frisia, per levare oc-
casione di discordie, o d'averlo a uccidere e dispiacere
il' suoi.
XIX. In questo, tempo le genti caninefate e batave
che andavano a Roma per ordine di Vitellio, furon raggiunte
da' messaggi di Civilè;e subito gonfie di superbia e infero-
cite domandarono pagamento del viaggio, donativo, paga
doppia, più numero di cavalli (cose tutte promesse da Vitel-
lio), IIOD per averle ma per muover cagioni di tumulto. E
Flaceo col troppo conceder non fece altro che ringrandirle
a chiedere le pazte." Fattosi bell'e di Fiacco, s'avviarono
nella Germania bassa per congìugnersi con Civile. Ordeonio
fece consiglio di tribuni e centurioni, s'e' fusse bene farle
ubbidire per forza. Poi per sua fiaccheza naturale, e perché
i ministri temevan forte della fede degli aiuti e della nuova
gente, onde erano rifornite le legioni;risolvè di tenere i sol-
dati dentro alli alloggiamenti. Ripentito e fatto ricredere da'
medesimi che }' aveano, consigliato, scrisse, quasi volesse
seguitarli, ad Erennio Gallo legato della legion prima, allog-
giato in Bonna « che non li lasciasse passare, e che sarebbe
loro alle spalle. » E li avrebber disfatti, se Ordeonio e Gallo
li si eoglievano con lor gente in mezo. Ma Fiacco variò, e
rìscrìsse a Gallo che li lasciasse andare. Onde si suspicò nu-
trire i capi la guerra, e per loro caltivitade non per difetro
de' soldati né per forza de' nemici essere ogni male avve-
nuto e avvenire. '
XX. Appressandosi i Batavi alli alloggiamenti di Bon-

, .l.i difilaronoec, Cosi lo N..1i.DI. Il Volpi, credendo erronea ripelilioDe,


-latae l'UD li.
, appellali li Pecchi. Vedi Annali I, 4:', 68; e più 'UDli,IV, 21,35,
&7, &8,
S .. clliedere le pa&ie; eose pnu, e!oorhilanli, 'e da Don potersi concedete.
---- --
- - -- -

IL LIBRO QUARTO DELLI STORlB. f6t


na, mandaron a dire a Gallo, CI noa aver guerra alcuna
co'Romani, per cui tante volte aveano combattuto: stracchi
per sì lunga e disutile milizia andarsene a casa a riposare:
non impediti, passerebber quieti: dovendo venire all' armi,
teoverebbero la via col ferro. Il Dubitando il legato, fu spinto
da' soldati a tentar la battaglia. Escono delle porte tremila
soldati di legione, alcune compagnie di Belgi fatte in furia,
e una mano di vitelliani esaccomanni poltroni e innanzi al
cimento insolenti, e vogliono i Batavi di minor numero cir-
condare. Essi, che pratichi soldati erano, si ristringono in
pentom,' in fronte, fianchi e spalle forti e sicuri: cosi rom-
pono la sottile ordinanza de' nostri. Fuggendo i B,elgi, la le-
gione fu smossa, e fuggivansene allo steccato e alle porte.
Quivi fu la mortalità: colmaronsi i fos&i di corpora: né s0-
lamente di ferro e ferite, ma di rovina e di loro armi me-
desime morirono molti. Scansata Colonia Agrippina, i vip-
eitori seguitarono il lor viaggio senza fare altro danno,
scusandosi del conflitto di Bonna, che avevano chiesto pace,
e poiché fu negata, pensato al fatto loro.'
XXI. Civile, arrivate le vecchie coorti, diventò capitano
di giusto esercito; ma stando intraddue a e ponderando la
romana potenza, fece a tutti i presenti giurar fedeltà a Ve-
spasiano, e mandò ambasciadori alle due legioni scacciate
nella prima battaglia e ricoverate nel campo vecchio per lo
medesimo giuramento. Risposero « ~.he non volevan consigli
di traditore né di nimici. Vitellio esser lor principe, e per
lui terrebbon fede e armi sino all'ultimo spirito: non Iaces-
se'l fuggitivo batavo l'arbitro delle cose romane, ma aspet-
tasse di'sua fellonia degno gastigo, Il Acceso d'ira di tal ri-
sposta, arma tuUa la gente batava in caccia e 'n .furia, Col-
legasi co'BruUeri co'Tenteri, e levasi la Germania al grido
alla preda.
XXIL Contro a tanto romor di guerra da ogni banda,
Mummio Luperco e Nomisio Rufo legati 'di quelle legioni

4 li ,.'II,.inlo1lo irl puntoni. Lat.: • in. cunet» cony,.elllnlllr• "


: ptlllalo a/fatto loro, pen!lato a' cui proprii; provveduto a se slessi.
a 6I.IIdo ;IIlradd"., non sapendo a che partito appigliarsi. Lal.: • cOII,i1i1
IImbil"·'· ..
1112 Il. WI,UO QU.\R TO UEI.L

fort ilìcan o stecca to e mura, l'O -ìna u o i borgh i presso al ca m-


po , difìcr ti per la lun ga pa ce om e terre , perch è non er o
vis ero a'niruici. i 'on fu avvertito a riporr i -iveri in campo;
la ciaronli rub are , o fu traziato in pochi fil qu ello che sa-
rebbe bastal o m ollo t mpo alla necessit à. Civile, m essusi ne l
mezo de lla battaclia col fiore dc ' suoi Ba ta vi , empi è le 1'1\ '1'
del Runo di Germani Il r far vista ter r ibil e ; nel pia no fa
s orrere i cavalli, o le navi ven ire all' in Ù. Di qua m et te
oldali vecchi , di la altre nazioni con loro in segne inu nu zi
in form dive ( econdo che cia cuna usa) d i lìere di loro
bo. ' h i e for te; mellendo con mo Ira di gue r ra civ ilo e lli
Iraniera, terrore nelli a diali, Do ve a' s uoi cresce va la
p anza il irn delli allo " iame nti fallo per d ue legion i , ('
non v' era ci nq ue mil a annali ; ma mollilu clin e di eente che
servono il ca mpo, concor avi per la 1'011, pace.
• - II I. L'alloc eiam en to era parte in piano , parte snliva
lqu anl o, p rch è Agu lo co n e: o a rido . 0 credeva tener l'
Germ nnio in ce rve llo, né pensò mai ta nta sciagura che quelle
si mor es ero ad aflron tur le no tre legion i; pe rciò n è al si-
tuar n a l for tilic.1ro po e gr an cura, ba . Iand oli forza e ar-
mi. I Bata vi e quei d' olt re Reno, pe r meel io mo strare eia-
cheduna nazione ua virtù , com parsero separa ti o com in -
ciarono a lan ciare. Percotendo in vano lorri o mura sop ra é

I l'O piombando sa i, a alil'ono con gr id:t o impeto lo tec-


cato ; lgono chi con le cal hi . opra alle tcstu gginl de 'lo-
ro ; ono con le sp ade e la rghe precipitati ; con pal i c picche
Irafltt i, e endo feroci ne l princi pio , troppo ardenti nelle cos e
pro . l'c. E allor a, per l'a onia della preda, I ostenevano an co
I avverse . Cimeutarono an che l mac chino a 10 1' OUO\'C n è
sapute usare. I Iug ili o prigioni insegnarono loro ad attar
le narni • guisa di ponte , o con ruot . 0 110 s pignerlo, da po-
terv ì altri tar op ra, e om e da ba lioni comb a ttere, c a ltri
sotto tagt iar le mura. a le l'i tre tratte co' rnan g ni nel di-
ficio mal fatto , lo mandar in fa cio: ordinando ura ticc i e
t voi- per cop ri rs i, v' era n lan ciat e aste ardenti c li stes i
ussal tanti col fuo o a. 'aliti. ispe ra li de lla forza si ci ua ron
; Il' a. l'dio, sape ndo esse r vi da viv e re pe r pochi di, o moll e
• ~~r t: flCf111itt d cI/n (l''' ,I " ~ l'Cf l' 3\ itlil!a delb prc,b .

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IL LIBRO QU U1'O DIlLLB STOllIB. 163


bocche disutili; e speravasi tradimento per la Came e dislealtà
deIli schiavi, o qualche accidente di guerra.
XXIV. Fiacco in questo mezo, inteso l'assedio del cam-
po, vi manda Dillio Vocula legato della legione veotiduesima
col fiore delle legioni, perché egli andasse lungo la rìpa a
grandissime giornate, e spedisce per le Gallie a chiedere
aiuti. Egli pauroso e lento era in odio a' soldali che dicevano
Cuor de' dentì r' « aver egli lasciati uscir i Batavi di Magan-
za, chiuso gli occhi agli andamenti di Civile, e chiamare i
Germani in suo aiuto; non esser tanto cresciuto Vespasiano
per opera d'Antonio Primo e Muciano; alle nimicizie e arme
aperte esser riparo; inganno e .froda nascondersi, però DOn
polersi schifare. Civile mostrar' il viso, ordinar la battaglia;
Ordeonio in camera e nel letto comandar l' utile del nimico;
tante schiere di fortissimi armati reggersi da un vecchio io-
.fermo. Che non più tosto uccider quel traditore e liberar Jor
fortuna e virtli da si Callo malanno? II Riscaldandosi insieme
con questi parlari, gl' infiammò una lettera di Vespasiano,
che Fiacco, non la potendo nascondere, lesse in parlamento,
e mandò prigioni a Vitellio gli apportatori.
XXV. Cosi mitigati gli animi, s'andò a Bonna, allog-
giamento della legion prima. II, loogo accrebbe l'ira; e di
quella sconfitta incolpavano Ordeonio u che gli avea falli
combatter co' Batavi con intenzione che di Maganza verreb-
bero le legioni in aiuto; e per non esser venute gli aveva
traditi e disfalli: che gli altri eserciti né l'imperadore non
sapevano queste cose; che sarebbon corsi i vassalli al riparo
della nascente perfidia. » Ordeonio lesse aWesercito le copie
delle lettere scritte io Gallia, Britannia e Spagna chiedeodo
aiuti, e mise pessima usanza di dar le lettere alli alfieri delle
legioni a legger a' soldati prima che a' capitani. A!lora fece
legare uno de' fastidiosi più ,er mantenersi l' autorità che
per aver peccato quel solo. E mosse r esercito da Benna in
Colonia Agrippina, concorrendovi aiuti di Galli che prima a
loro potere aiutavano i Romaui e pescia avanzandosi i Ger-
mani, molli popoli ci presero l'armi contro, sperando libertà
{
e, dopo questa, dominio. Cresceva la collora de' soldati, e
• fUO,. de'denti, aperlunente.
"
1

t64 IL LIBRO QUARTO DELLE STORIE.

non aveva il legar un solo messo terrore, anzi pere1ò sI cre-


deva co~ui portasse le ambasciate tra FIacco e Civile, e per-
ché non potesse dir questo vero gli apponesse il falso. Vo-
cula salìin su 'I tribunale, e con forte animo il soldato preso
e gridante, comandò menarsi al supplizio. I malvagi impau-
riro Il i buoni stettero a obbedienza. Chiedendo poi tutti Vo-
eula per lor capitano, Fiacco gli lasciò tutto il carico.
XXVI. Ma que' discordi animi s'imbestialivano per più
conti: mancavano le paghe è 'I grano: le Gallie non vole-
vano dar soldati né tributo: il Reno, non più veduto si basso,
Il mal si potea navigare: eravi carestia di viveri: guardie per
tutta la riva per non lasciar passar a guazo i Germani: il
che cagionava più bocche, e meno da mangiare: i semplici
si recavano la mancata acqua a ubbia, l che insino a' fiumi
e l'antiche difese delI'imperio ci ~ abbandonassero. Quello
che nella pace si dice caso o natura, allora si diceva destino
o ira d'Iddio. Entrati in Novesio,! si unirono con la legione
tredìcesima , e il legato Erennio GalIo fu con Vocula compa-
gno al governo. E non s' assicurando d'affrontare il nimico,
posero il campo nel luogo detto Gelduba." Quivi col mettere
in ordinanza, fortificare, bastionare o altri esercizi da guerra
facevan buoni i soldati. E per adescarli a virtù con la preda,
Vocul~ condusse l'esercito ne' vicini villaggi de' Gugerni , 4
collegatisi con Civile, lasciatone parte con Erennio.
- XXVII. Una nave di grano era per sorte arenata non
lungi dal campo: i Germani la tiravano alIa lor proda. Eren-
nio mandò una-coorte per difenderla. Vennervi più Germa-
ni, e a poco a poco cresciuti aiuti si combattè. I Germani
con molta strage de' nostri presero la nave. I vinti (come
s!eran fatto uso) non la davano a Iorc pettroneeìa, I ma a
perfidia del legato. Tiranlo fuori del padiglione, stracciangli
i panni, domandangli a ~uon·di bastone per quanti danari,
. • Ii recaptlno la (fiancata Gcqu. Il "bbia~ Ilimayano la mancanaa del-
l'acqua un cattivo augurio.
t NO"t$;o~ oggi Nellll prl'UO a DD5Ieldorf.
S Geld"ba, oggi Gelb poro IUDgi d. No.elio.
• G"lI'~n;, .bila •• no il paese occupato oggi dai ducali di Gheldria e di
Clevee.
, l vìntì.... no" la. dllPtlrto Il loro poltroneria" nen ]' atltibni'IDo ee,
IL LIBRO, QUA.RTO DELLE STORIE. 168
con qua' compagni avea tradito l'esercito. Tornano a mala-
dire Ordeonio, lui autore, costui ministro del tradimento:
egli per paura della morte minacciata, anch' egli disse averli
traditi. Ordeonio fu legato, e alla venula di Vocola scìolto,
il quale il di seguente ammazò i capi della sedizione. Tanto
diversamente era quello esercito licenzioso e paziente. Senza
dubbio i soldati privati eran fedeli a Vilellio, i grandi vole-
vano Vespasiano. Però or si facevano i mali or si gastiga-
vano; meseolavasi col furore l'ubbidienza, né si potevan fre-
nar qoei che si potevan punire.
XXVI1I. Ma Civile ogni di avanzandosi per grandissimi
aiuti che gli piovevano da tutta Germania, stabilita la lega
con nobilissimi slatichi, comandò ad ogni vicino dare il
guasto alli Ubil e Treveri, e parte passar la Mosa per inte-
nebrare 1 li Menapi I e' Morini e' confini della Gallia. Furon
fatte prede per totto: nelli Uhil crodelissime, per chiamarsi
agrippinensi, a essendo Germani, e rinegar la patria per lo
nome romano. Tagliarono a pezi lor gente nel borgo di Mar-
codoro 6 alloggiale con poca cura per esser discosto alla riva.
Né si stettero essi Ubii di non predar la Germania; prima a
man salva, poi foron còlti in mezo, ed ebbero in lutta questa
guerra più fede che forluna. Battuti gli Ubii, Civile diven-
Ialo maggiore e per li successi più fiero, slrigneva l'assedio
delle legioni cinte di più guardie, perché avviso non pene-
trasse del vegnente soccorso. Lascia la cora degl' ingegni I
e lavorii a' Batavi: a quelli d'oltre Beno chiedenti l'assalto,
commette che vadìno a rompere le trincee, e, essendo ri-
buttati, comanda che ritornino, essendovi gente troppa e
vile il danno: la nolle non fermò la fatica.
XXIX. Portanvi legne inlorno e l'accendono; levansi
da mangiare, e, secondo ch' eron caldi dal vino, corrono a

.. per- btterteb,.",., ee., peri.1J.lordire; o, comedicesi proverhi31ment~, Far


perdere il lume dellii eeehi, 1\ Iot.: .' nt q"ate~ent...
I Menapi, fra la Mosa e la Sehelda, I Mo~inl presso Sttint-Orn'~, B.".
lo~'. Yp~ es.
S Vedi .lnn. XII, !l7.
• Oggi D"e~en o Dnrem , nena Germanio inferiore.
a ing.p!, macchine.

», 4
tO~ IL LIBRO QIJA.RTO DELLE STORlll:.

combaUere all' impazata, tirando a vànvera nel buio,' e i


,Romani a mira nell' oste allumato, e scoprendosi alcuno ap-
parente per addobbamento! o per ardire, te l'imberciavano. s
Civile sen' accorse e fece spegnere i foocbi e ogni cosa con-
fondere d'anni e di tenebre. Quivi pazi strepiti, strani casi:
non si sapeva dove ferire nè come riparare: alle -grida si
correva o frecciava: non valeva virlù ma turbava tolto for-
tuna: cadevano spesso di fortissimi' per mani vilissime.
Ne' Germani 'era imprudenza: i Romani, come pratichi, av-
ventavano bastoni col ferro,' gran sassi, non al vento. Dove
sentivano batter ~e mora 'o appoggiare scale, facevano i nì-
mici con le targate cadere, e segultavanli con lancioUi, molli
saliti in su le mura ferivano con pugnali. Cosi consumata la
notte, a giorno appari nuova foggia di combattere,
XXX. Avevano i Balavi rìzato una torre a duo solai la
quale accostata alla porta preloria, luogo pianissimo, fu co'ta-
voloni e travi battuta, fracassata, con mortalità di chi v' era
sopra. E usciti fuora, fecero l'O' nemici sbaUoti subita e pro-
spera scaramuceia. E da' legionari di più sottiglieza e arte,
si ordinavano altri ingegni. Spaventoso fu uno strumento s0-
speso in bilico l'be, di repente abbassato, tirava su, a'loro
occhi veggentì, UIIO o più de' nemici, e seagliavali, rivoltato
il peso, nel campo," Civile perduta la speranza d' averle per

f ,;,,,.40 ti 1J• • f1.ra (aelllo) .el brdo,,e i Rom.,., 4 m;,.tIntlto.de .11.·

mal.o ee, Potitil "in quella oleurilà aodavano i~ raUo i colpi loro; dove i Ro--
mani nelle schiere de'barbari scoperti dallo splendor de'Cuochi" pigliavan di mira
I più principalio 4.1'ardire o d'aLito.•
» appa,."tl) Ipporu<tnle, cOIpicllO, iDligoe -l'e,. atldobba.entIJ, per lo
di..iu che iDdoll:lva.
S te /';mbe,.citNItlnoJ imhroccavauo , colpivanQ.
.. difO,."is61mi, di quei che fortissimi eraao,
I colf.,....} suerniti di ferro, ferrali. _,
I E manifesto cbe qui si .crenol h macchina deu a 1011."0# deacritta da
Vegtlio (IV, ii), e che f..cevui piaotando dritta un~ tuve iD terra, e IU questa
imperniaodoo o· .llra orUoonule • mebile io Buisa che .bb....ado.i l' aD Clpo,
1'.llro li .1 D.Il'UD. eslremilà pende.. DD ran60 di ferro,. d.lI'altr. uni
fllDe. Calavlli il raafio; anan6avaai il nemico; tiravIsi IU; poi liuDdo l'altro
capo della trave dal Ialo oppostc , veniva il povero diavolo a euere S~lliYeDtato
0.1 carDpo. Mi lODO Dn po' dist ..o nella d..criaion. del toll..o. perehe credo che
quella macchina aLLi.. dato origiae e Dome. qutlliuoco comuoiSlimo, cbe diceai
Far« .//'dtalena. e che pO,lrebbe....r deUo in c.mbip di Fare al tolle.o.
IL LIBRO QUA.RTO DELLE STORII. 18'1
forza, vi si stava ozioso,tentando con ambasciate e promesse
le legioni nella fede.
XXXI. Queste cose seguirono in Germania innanzi alla
giornata di Cremona, saputasi per lettere d'AntObio Primo
e bando di Cecina, e per l'appunto di bocca di Alpino Mon-
tano uno de' prefetti vinti. Quindi nacquero diversità d'ani-
mi; Gli aiuti di Gallia, che non, avevano né amore né odio
aUa parte, subitamente di consiglio de' capi si ribellano da
Vitellio.I soldati vecchi nicehiane;' pure, mossi da Ordeonio
FIacco e stimolati da' trìbunì , gli fecero omaggio, ma con
mal visO e animo, e con l'altre parole I del giuramento spic-
cate, ma a stento o tra i denti, o lasciato quel nome di Ve-
spasiano.
XXXII. Furon lette io parlamento le lettere d'Antonio
a Civile, le quali insospettirono i soldati, quasi scritte a uno
di sua fazione, e ch~ di loro trattano, come di nimici. Que-
ste nuove vennero a Gelduba in campo, e le cose medesime
vi furon dette e fatte, e mandato MontaDo a dire a Civile
che posasse l'armi straniere coperte con la maschera nostra.
Se egli aveva inteso giovare a Vespasiano, bastare il già
fatto. Civile rispose prima con astuzie, poi considerato quanto
Montano era di natura feroce e pronto a novità, dolutoli delle
sue fatiche e pericoli di venticinque annì nel campo romllDo,
( Belli meriti (disse] ora ne ricevo, la morte di mio fratello
c le catene mie e le crudelissime voci di questo esercito che
mi chìamav' al supplizio, delle qòali w cerco giusta ven-
detta. E voi, Treveri, e altre anime schiave che guiderdone
aspettate del vostro tante volle sparso sangue', se non milizia
misgradita," tributi sempiterni, verghe, mannaìe e pazi cer-
velli di padroni? Ecco che io con una sola coorte, e li Can-
ninefati e Batavi, uno spicchio di Gallia,' abbiamo que'vòli
spazi d'alloggiamenti abbattuti, ovvero li slringhiamo con
fame e ferro. Il nostro ardire o ci farà liberi, o, vin'i, saremo
• nicchiarto. A. Palili: .. aodavano rattenuti, u Lat.: .. clllltt.ba"tu.r. ..
, e co" l'ellr. parole "', Inundi: e mentrl ripeUvano ,\ resto della fo,.
nJub del giuramento, le loro parole etlDO 'piua'e.. doè tirate fuori a Joraa ee,
~ mi,gredlle, mllgtadita.
.. 1IJ10 Ipicc/aio di Gn.llillJ cioè, che siamo uno .picchio, te. Lat.: • ,%i~u(J
Calliarltm portio.»
168 IL LIBRO QUARTO DELLE STORIE.

i medesimi. » Cosi l'accese e licenziò, ma disse non facesse


l'ambasciata cosi risentita. Montàno tornò come senza con-
chiusione: l'altre cose che poi scoppiarono dissimulò.
XXXIII. Civile ritenutasi parte delle genti, mandò i
vecchi soldati e il meglio de' Germani contro a Vocula sotto
Giulio Massimo e Claudio Vittore figliuolo di sua sorella. Ra-
piscono in passando gli alloggiamenti d'una banda di cavalli
in Asciburl/;o I si fulminanti, che Vocula non ebbe agio di esor-
tare nè di mettere in battaglia. Solamente in' quella furia
mise nel mezo soldati d'insegne, e d'intorno gli 'aìutì, Li!
cavalleria investi, e le fu risposto da' aimici ben ordinati:
voltò le spalle per tornar a' suoi; e quivi si fece carne, non
battaglia. Gli aiuti Nervii, o codardi o traditori, lasciarono
ignudi i nostri fianchi. Vennesi alle legioni, quali, !i perdute
le insegne, erano uccise dentro allo steccato; ma subitano
aiuto mutò fortuna. Venivan chiamati que' Guasconi già
scelti da GaIba, e appressandosi alli alloggiamenti, adite le
grida della zuffa, assaliscon di dietro i nimici occupati, e li
spaventano' più che il numero non chiedea, credendo chi da
Noveslo, chi da Maganza comparso ogni resto. Questo errore
accrebbe animo a' Romani, e mentre sperano nelle forze al-
trui, ripiglian le 'loro. Tutti i pedoni batavi andarono in rotta;
i cavalieri con le insegne e prigioni della prima battaglia
scamparono. Morinne a quel giorno più de' nostri, e i peggiori;
de' Germani i migliori. '
XXXIV. L'uno e l'altro capitano con pari colpa si fece
il male," e non seppe valersi del bene. Imperocchè se Civile
faceva più grossa oste, non era da cosi pochi circondata, e
disfaceva il campo già fracassato. Nè Vocula la venuta de'ni-
mici spiò, onde subito che asci fuori fu vinto. Poi confidando

I 0tlli A,bl&rg..,1 Reno.


a ql&ali.Così la Nesliana. II Volri: le quali; ma è correzione 5Ua.Però no-
tevole è questo luogo, dove il traduttore, contro alla sentensa de' grammatici,
toglie l'articolo al relativo.
5 Mo,.in"~. Nella NutiaDil invece di mo,.;,," legge1i mentre 0° nella Co...
minianl mentre merìnne, M.a il ment,.e~ di cui non v' ha traccia nel lesto, l' 011,-
biam tolto per un soprappiù, nato dall'a.ere Iella male nel MS. la l'orola
"'mlt'.
m.-
• si fece il maie, meritoss! il male.
IL LlBIlO QUARTO DELLE STOIlD.

poco nella villoria, spese in vano più ~omi, e poi mosse


verso il nimico, che se lo caricava l subito e seguitava, po-
teva con quell' impeto levar l'assedio. Civile in questo mea-
tre tentò gli assediati, come se i Romani fossero distrutti e
i suoi vittoriosi. Portavansia mostra le nostre insegne, sten-
dàli e prigioni: uno de' quali con arditeza nobile, disse ad
alla voce come il fatto andò, e fo subito ucciso da'Germani,
e tanto più creduto. E l'ardere e guastare le ville era segno
che venisse l'esercito vincitore. Vocula fa piantar le insegne
a vista del campo e tirar f0888. e steccato per mettervi le ba-
gaglie, acciò combattessero .pìù spediti. Il che fu loro occa-
sione di gridar battaglia alcapitano: a minacciarlo già erano
soliti. Senia aspettar d' ordinarsì cominciano a comballere
straechi e scomposti, essendosi Civile fallo innanzi, confidato
non meno ne' difetti de' nimici che nella virtù de' sooi. La
fortuna de' Romani fu varia: j più scandolosi erano i più pol-
troni: alcuni per la ricordanza della fresca villorianon usci.
vano del luogo, ferivano il nimico, sé e chi era loro aUato
rincoravano,.e rinnovata la zuffa, le mani sporgevano am as-
sediati , che allora era tempo. Essi vedendo dalle mura il
tutto, escono da tutte le porte. E per ventura a Civile cadde
sotto il cavallo: voce andò per ambi gli eserciti che egli era
ferito o morto: non si direbbe quanto spavento mise a' saoì
c ardire a' nostri. .
XXXV. Ma Vocula in cambio di seguitar i fuggenti,
alzava lo steccato e le torri del campo, come aspettasse al-
tro assedio; e per aver guasto la villoria tante volle, mise
sospetto non falso di volere che la guerra dorasse. Non pa-
tendo i nostri ,più che di falDe, si mandarono a Novesio i
carriaggi delle legioni con la turba disutile, per quindi con-
dor frumenti per terra, essendo del fiume padroni i nimici.
Andarono la prima volla sieuri, non essendo Civile ancor
ben guarito: ma la seconda, quando intese delle compagnie
date per guardia, e che andavano, come in molla pace, radi .
alle insegne. con l'arme in su carri, tutti licenziosi e sparsi;
gl' inveslisce ben ordinato, fallo prima pigliar j ponti e passi
stretti. La battaglia fu lunga e dubbia, e divisa dalla nolle.
t lo cnricava" gli dava addosso.
Il. n.
t70 IL LIBRO QUA.RTO DBLLE STORIE.

Le eeortì se n' aedaron a Gelduba, e rimase il campo in suo


eeeere,l guardato da'soldati lasciativi. Nel ritorno s'andava a
pericolo manifesto, essendo i fmmentieri carichi e pochi.
Vocula chiama al suo eserelto mille scelti delle legioni quinta
e quatterdicesima assediate al campo vecchio; soldati superbi
e crneelat! eo' capitani. Ne venne più numero;' e sbuffavano
per l'esercito e\1e non patirebbero, oltre alla fame, gl' inganni
de'legati: e quei che rimasero si dolevano d'esser lasciati
da quelli. Onde nacque doppio sollevamento: altri richiama-
va.o Vocula, altri non vI volevan tornare.
XXXVI. In tanto Civile àssediò il oampo vecchio. Vo-
cuJa andò a Gelduba e quindi a Novesio.Civile prese Geldu-
ba: poi presso a Novesio combattè con la cavalleria, ed
, \ ebbero il meglio; ma i soldati nostri per le bonacce come per
\ le lempeste s'infiammavano contro i capitani. Arrivate le le-
gioni quinta e quindicesima, tulti ehiegaono donativo, sapendo
che Vitellio aveva mandato danari. Nè Ordeonio tardò a darlo'
a nome di Vespasiano, e fu nutrimento alla sollevazione. Da-
tisì a spendere e sgavazare 3 e far la nolte ragunate, rinnuo-
vano coutro a Ordeonio l'ira. E non avendo nè legato nè
tribuno ardire di ten'erli , perché la nolte cuopre vergogna,
lo tiron " fuor del letto e l'uccidono. L'appiccavano anche
I Vocula,' se·travestito da schiavo, di notte, cheto, non ìscap-
pava. Fermò la furia e tornò 'I timore. Mandano centurioni
,
"
ì con lettere per le comunità delle Gallie a chieder gente e
danari.
l, XXXVII. Sentendo che Civile s'avviclna (come il volgo
seDza capo è precipitoso, pauroso, sconsiderato) piglion l'ar-
me alla peggio, lascianle subito' e fuggonsi. L'avversità ge-
nero discordia, perchè quelli dell' esercito di sopra non con-
corsero. Pure, in campo e per le terre beige vicine, furon ri-
poste le statue di VitelIio, quando egli era già rovinato. Poi

f iII S'ID esser«, qual era innanzi.
• pi~ ",,,,,,,"0, più che no. ne aveva chielti.

l".,urr.•
1'.f1t1~.,..~ ,.vla.are tetessi.ameule; lolluriegsilre. Lal.: • 'ffll.lI in

• Ciro", tirono, tirano. \


5 L· appiccav;,,~ a"che ti. f/octa/a, si apparecchiav:lno a fare il medesimo
.nc;/Je contro VacuI..
IL LORO QU""'O nELLE ITO.... t'71
ripentiti qnei della prima, quarta e dieìottesìma, eeguitaD
Vocula, i. quale fattili ridar giuramento a Vespasiano, li me-
nava a liberare dall' assedìo di Maganza. Ma li assedianti,
cioè mescolati Calli, Usipii e Mattiaci, s'.eran partiti sazi di
preda e non senza sangue. Cosisparsi e sicuri li affronlarono
i nostri. E i Treveri avevano aUe loro Crontiere cortina 8
steccato, l e combattevano co'Germani con molto sangUe,sino
a che non guastarono quante aveano meritato col popol ro-
mano,ribellandosi.
XXXVIII. Presero in questo mentre Vespasiano il se-
oondo consolato e Tito il primo, assenti, essendo Roma me-
sta e piena di molte paU1'8, ancor d'una falsa che l'Mriea
s'era ribellala, macchinando novità L. Pisone, ·che v' era a
governo, uomo di natura quieto: ma perché per lo crudo
vemo. non comparivano nav-i , il popolo che vive di per di,
né altro pubblico pensiero ba che del pane, I temendo che il
lito d'AJfrica non si potesse praticare e fUBler levate le trat-
te, iI credeva; e ne accrescevano la Cama i vitelliani neu an-
cor chiari: ~ ne a'vincitori era discara, le cui cupidigie, in-
gorde nelle guerre anche con li strani, noa s'empìereno mai
per alcuna civile.
XXXIX. Nelle calende di gennaio ileenato ragunatoda .
Giulio Frontino l pretore di Roma deliberò che i legati, gli
esercìtì e i re Cossero lodati e ringraziati. Terzo Giuliauo,
pretore, Cu deposto(perchè piantò la legione che pa88Ò a parte
vespasiana) e rifallo Plozio Grifo. Ormo fatto cavalier roma-
no. Frontino lasciò la pretura e presela Domiziano Celare.
Le lettere. e bandi avevano in cima il suo nome, ma l'au-
torità era di Muciano, se non se Domiziano, spinto da amici
o da se stesso, 88 la pigliava. Ma molto temerà Muciano

• Il,,e''lIno lI11efronUere carun« e 6Ieccalo, trintien e palia..te, polili-


calate.
I n. lI/1ro pnbblico pendero "II c"e del p...e. Gionoal., X, 80:
•••••••llull' t&Jthml ,.., ...... opi".
PaRma CI Ciruruu.
a 11011 III1Cor chi.rl; la cui fede 000 penDeo era certa. 11 tulo ha: .. qrd
sll.diu'" pII,.ti",. no"flrun l'G61,e,.anl ••
t È l'autor. dei qualtro libri De,li Itrlll.. ,.mllli• • del trattllo lugli
AC'luedolli Ji Rom...
t7t IL LIBRO QUA.RTO D.LLB STORIE.

d'Antonio Primo e d'Amo Varo, rinomati per chiare geste e


fresche, amati da'soldati e dal popolo, perché niuna crudeltà
usarono fuor di battaglia. E dicevasi aver AntOnio inanimito
all' imperio Scriboniano Crasso, per lo splendore de'maggiori
sooi e delle immagini del fratello. né gli mancava seguaci,
s'ei voleva'attendere; m'a le cose piane, non che di perico-
lo, non l' avrieno corrotto. Muciano adunque non potendo
revìaare Antonio palesemente, lo celebrò in senato.igl! fece
segreta promessa del governo della Spagna di qua, lasciato
da Cluvio Rufo. Tribunali e prefetture gli otrer} per suo'-ami-
ci: e quando l'ebbe pien dì-speranze e di vento, gli levò le
forzé, mandando in gnarnìglene la Iegion senima sviscerata
di lui, e la terza divota di Varo rimandò in Soria: parte
déll' esercito se n'andava in Germania. Cosi spazate tutto il
fastidio della città,' vi ritornò la sua torma, leggi e ordini di
magistrali.
XL. Lo di che Domiziano entrò in senato disse del-
l'esser-suo padre e fratello assenti e" lui giovane, poche
parole e moderate, nobilmente vestito; e lo spesso arrossare,
non essendo ancor conosciuto, parea modestia. Propose che
si rendessero gli nnori a Gaiba, e Curzio Montano che anche
si -celebrasse la memoria di Plsone, L' un parlito e l'allro
da' padri fu vinto, quello di Pisone non eseguilo. Trassesi
per sorte deputali a far restituire le cose rubate per la guer-
ra, e a ritrovare e rimetter le perdute tavole de'bronzi serìt-
tovi le leggi,I e a correggere il calendario pet le adulazioni
de' tempi imbrattato, e a regolar le pubbliche spese. Quando
si seppe Terzo Giuliano essere rifuggito a Vespasiano, gli fu
renduta la pretura, A Grifo restò il suo grado. Tra Musonio
Rufo e P. Celere fu riassunta la causa, dannato Pubblio e
soddisfatto in quel giorno all' anima di Sorano, con laude
pubblica eprìvata ancora, parendo che avesse qnest'accusa
Musonio con ragione proseguita, e per lo contrario che De-
metrio, & a: che faceva professione di filosofo Cinico, avesse

• lJ1t'&alo r,1I10 ilfad/dlo del/n città .. caer.iaii via tuui i Jommontoriec.


Lllt.: • tKeslo fJ",dqlud tu,.bid,,":'# redit .,.bi ."If/O,.",II ee••
• le,.i"o..1 le I~q;# dov' erane scritte Ie Jesgi.
• Demetri«, Vedi Ann. XVI, 34, 35.
------------- IL LIBRO QUARTO. DELLE' STORIE.

difeso con più saccenteria che onestà un tristo manifesto,


173

che non ebbe animo a dire una parola. Aperta la strada da


vendicarsi delli accusatori, Giunio Maorico domandando a
Cesare che consegnasse i diari de' principi al senato, dove
egli vedrebbe tutte le querele date a tempo'degl' imperadori,
rispose esser cosa da domandarne il principe.
XI.I. Il senato' giurò, cominciando i principali e i ma-
gistrali a gara, poi gli allri che secondo loro ordine n'eran
richiesti; chiamati per testimoni gl' iddii, con queste parole:
« Non essersi per opera loro mai oO'esa la salute d'alcuno,
né aver premio né onor 'ricevnto , per dannaggio de' citta-
dini; »' tremando quei che erano in peccato e sottilmente
travolgendo le parole del giuramento. Il senato approvava
lo scrupolo che n'aveano, ma non lo spergiuro. E questa quasi
censura colse nel vivo Sarioleno Vocula, Nonio Aziano e Ce-
stio Severo, famose spie sotto Nerone; e Vocula di nuovo
sotto Vitellio. Né il senato di minacciarlo con mano ristette,
51 se n'usci.' Pazio AO'ricano ancora ne fu cacciato, per aver
a Nerone additati li due Scribonianì fratelli di singolare
unione e riccheze, per farli morire. Il che Atrricano non ar-
diva confessare c non poteva negare, ma vollatosi a Vibio
Crispo, che lo serrava con le domande, accomunando seco le
colpe che non poteva difendere, mitigò l'odio.
XLII. Nome di grande eloquenza e pietà quel giorno
acquistò Vipsanio Messalla che d'età da essere senatore ardi
aringar per Aquilio Regolo I fratel suo, odiatissimo per aver
distrutto le ramiglie de'Crassi e d'Orfito, e pareva che egli
molto giovane, non per fuggir pericolo, ma aspirando a gran-
deza, avesse volontariamente quell' accusa abbracciato. E
se 'l senato accettava la causa, eran pronti alla vendetta
Sulpizia Pretestata, moglie di Crasso, con quattro figliuoli.
Messalla adunque senza entrar ne' meriti, raceva di se scudo
al fratello, e piegavansi alcuni: quando Curzio. Montano si
vollò a Regolo com'un aspìdo , e venne fino a rlntaeciargll

f 12 le II·K.t'c1 ... fintantor:bè non se ne fu uscito.


I A'l"ilio Regolo. Bellissimo elogio ne ra ,plinio (Ep. I, li), cbiamandolo
il piIÌ n'fondo bipede ch« mat foese, ~he di br.. co e 4clallojeceli a/drla di
'·I.halderie ricclrissimo.

h __
u, LlDRO QUARTO DELLE STORiE.

Ù':I tinto danari dopo la mo rte di Ga lhn a chi ucc ise


l'i sone e dalo Ili m ors o Il I le chio s uo. Cl A queste crudelt à
(d isse) no u ti forz ò mi ca ! 'c ru ne. ne ricovrust i, pe r questo,
tuu one re o salute. Sia lecito, :lIIzi che correre ta ntino di r i-
sc h io , sprofondar il comp agno ; tu non ne correvi veruno;
per ché (un pad re era handitn : i heni dal i a ' l'editori ; no n
uri ancora abile a gli onori ; ' cro ne da te nulla poteva vole-
r e, nulla teme re: assetato del sanzue c in gordo d i prcmii ,
facest i conoscer I' lu ueano tuo non im pieg a lo ili ai in difesa
Il ' alcu no, qualllin Iacesti uccidere qu el ch ia ro uomo i q ua ndo
Il u rpa li di qu ell ' ise q uie nella repub lica le s poglle con solari,
e cento scttantncinque mila fiorini d'oro, e un saccnluz. io c he
né a ndnvi gonflo, e qu elli inno centi figliuoli , illustri ve cchi
e l'a"l;lIanìel'oli d onne mnndasti in perdizione; quando "ri-
da 'Ii. croue' eh a tfatic 3\'a il e le s pie. a rnnndnrle a cas a,
potendo una voce rov inare tullo 'I se na to. Eonfett ùtclo," pa-
dr i coscritt i, qu est ' uomo sl sp ed iti vo ; m unt ene tel o per quc-
s ia dotlriun a Insc e nare a o~ lI i c Iii; l! co me fn da' no s tri
v,' 'c h i Marcello c Cri l'O. sia da' l:io l'a ni im itato Il ceolo.
L' iniquit à infelice ha t rova to sC'!; nito ; ch e fa rù fiorii a e Ior-
Ic? Se 1I0i l'Ì pcrit iam o a toccarlo ora c he e st a to qu estore o
non altro che far emo quan do sarà s ta to pr et ore o cons olo?
Cr ed ei voi c he j 'erone sia l'CI' esser l'ult im o tiranno? ere-
detter lo i rimasi Ilopo T iher io o Gaio: c pm' ne venn e IIn
pc~ siorc. ' o n . i teme di Yespasl a no , d i tal e e t:i e mod .- ti a
r. 1\101 gli uom ini non vivono qu anto li se rn pi. j ' oi s ia mo
f'c!!l;'iorali. o pallri cos cri tti : no n s iam o più 'Il/c l sena to ,:110,
ucciso [crone , voleva a lle li .ie c a ' m in istri d are il s u ppli -
zio anti co, Dnpo u n mal prin 'i flO III di primo III m i-
·Iiore. " ~
: 1.1 Il . Il pa rla r di Monln no piacque ta nto al . Il lo

4 ,rida,di Nerone" rimproverasti l.1 codardia di Nerone.


J: Confettàtelo.l tenetevelo caro. La t. : R Reìinete, patre.. conecripti, d re-
se,.",ate Irominem tam espediti consilìt. ., Confettare bna penona (dice il SII.
vini) è quel che i Ialini dicono colere" obse,."a,.e; farle tutti i piaeeri e servisi,
Itandole attorno.•
S Dopo un mal pri"dpe lo d2 primo è lo migliore.• percha da) nuovo
.per.!oi o~Di hene. Altri (livefnm(Dle; cioè, Il perche , morlo il tu auno, gli animi
~i rialaano;. tentar lihertà ... Ma mCD bene, mi rare.
IL LIBEO QUiETO DEL~ STOSUL t'70'S
che ElYidi«J Prisco sperò di potere abbattere anche Marcello.
E cominciato a benedire Cluvio Rufo, di pari ricea ed elo-
quente, e por nluno avea rovinato ,sotto Nerone; conficcan-
do t Eprio col fallo e con l'esempio, gli accendeva contro
gli animi de' padri•. Del che avvedutosi Marcello, si mosse
come per andarsene e disse: « Noi ce ne andiamo, Prisco,
e ti laseiamo il tuo senato: regna in presenza di Cesare.•'
Vibio Crispo gli andava dietro, ambi crucciosi, con volti di-
versi; MareeUo faceva occhiacei; Crispo ghignava: s,amici
accorsi Ii rimisero a' lor luoghi. Quel giorno fu coasumetc in
gran batÒ8te' e pertinaci odii, tenendo i più e m,igIiori da
una parte, e pochi e potenti dall' altra.
XLIV. L'altro di di senato cominciando Cesare a dire
che si lasciasse il dolore e le collere nate per necessità
de' tempi, Mu~ianocon lunghe parole la prese per li ace0-
satori," e avvertì dolcemenle coloro che le abbandonate ac-
cose contro a Ioro ripigliavano, e quasi pregò a lasciarle. Cosi
j padri, poichè fu dato l~ro sulle maoi, 8 lasciaron la presa,
libertà. Muciano, perché non paresse il giudicio del senato
sprezato, e tutte le cose brulle falle sotto Nerone approvate,
rimandò al coofino due senatori che l'avevan rotto; Ottavio
SagiUa per aver ammazata per martello d'amore Ponzia Po-
sLumia, giaciutasi seco, e non volutolo per marito, e Antistio
Sosiano per sua natura pessima, rovina di moltì., Il senato
per grave decreto li cacciò via, e rificcò nelle medesime isole,
benché altri Iussero ben tornati, Né questo smorzò l'odio
conlro a Muciano, perchè Sosiano e SagiUa, benché fussero
sLaLi rimessi, non eran da esser temuti: la paura era delli
accusatori diabolici, ricchi, esercitati e possenti al nuocere.

4 c01lficcn"do, inealeando,
J: di Ce6S,.e .. Domiziano.
S Ma~••llo.fac.va ocehiacei; C~i'P0 &hignavn. Lat: u ]',la~c.ll,,! ·mi..a.
cibI" ocu/is, C,.ifP'U "enidenl• • Valeriani: • Marcellò con occhi ardenti, Cri•
.spo con rilo maligno••
... bat.olle.. contese.
5 la P"~s.e pe,. li accruafo,.i.. parlò io favore degli accusatori.
• poicllè fil dat» [0,.0 8r,lle. manr, poichè furono contrastati. Lat..: .. post ..
',·"om obviam itnm, JJ Chi si assrarpa ad una cosa, p~'r far ch' e' la lasci ·SIi si d~
sulle mani, Di qui h metafora.
176 IL~IBRO QUARTO DELLE STORI&'

XLV. Addolcì un poco i padri il las~iarlr ~ognoscere


uIlÌl causa I seconde il costume antico. Manlio Patruilo se-
natore si querelò d'essere stato nella colonia sasese dal po-
polo, d'ordine del magistrato, rifr.ustato di pugna,' e per giunta
, falloli intorno cerchio e piagnistéo da 'morto, con vituperi
che toccavano 3 tullò il senato. Udite le parti e cognosciuta la
causa,'1troDO condannati i colpevoli, e per partito del senato
ammoDita la plebe sanese ad aver più cervello. Antonio
Fiamma fu in que' di condannato di mal tolto a'Cirenesi, e
bandito per crudelladi.
XL VI, In quel mentre i soldati pretoriani levaron, quasi
fiamma di sedizione. Volevano i cassi da Vitellio, stati poi
soldati di Vespasiano, riaver il luogo, e li eletti delle legiorii
ad esser pure pretoriani, domandavano le paghe promesse:
Non si potevano i vileIliani mandar via senza molto sangue.'
Entrato Muciano negli alloggiamenti per poter meglio cono-
scere il servito di ciascuno, 5 fece stare i soldati vittoriosi,
con loro arme e insegne, spartiti in fra di loro con piccoli
intervalli; Allora i vitelli ani arresi a Boville, come dicem-
mo, 'e altri cercati per la città e d'intorno, furon quivi con-
dotti quasi ignudi e messi in disparte essi, e se altri sol-
dati Germani e Britanni e d'altri eserciti v'erano; cosa che
fece loro in prima i capelli arricciare, vedendosi rinchiusi,
ignudi e lordi, con, uno esercito al pelo armato 8 e feroce.
Cominciatoli poi a sbrancare una schiera qua e una là, tutti
impaurire, e specialmente i Germani, d'esser cosi separati

•. cognolct,e "na Ct"ua: ~ modo latino, per Tnltare oDa eausa,


I rìfrustato di p"gna, ricercato di pugni. Lat.: .. pu!satlUtl. • Miucolo
che nOD traducent, aombato I
5 tocctlvano, offendevano•
.. Itn.a molto 6a"B"e. Dopo ptlli polera"l, Deicodid Itgue un inciso con
una lacuna, che qui è lasciato affatto. Dice: .. .Ied immenSA pecunia fer ..... q"a
tanta vis Aorninllm retlnend« erat. .. Leggendof,,. perfe,.ebatr"," se n'avrebbe
questo a.enso: • e il tenere tanta gente dieeva,i ebe collane Dna 6nn moneta .•
S Il 6,,.Pito di C;II..IC""o.., quanto tempo ciascuno a't'esse servite. Lat.: -IU-
p,,,dla li"plo,."m. • .
, al p.lo a..mato, armalo &no alla punta d.' capelli" Lat.' • ac;em te!;,
tt a,.mb trncem . • Questo modo noI 't'edo nella Crusca. Evvi a pelo per .".
DrI"to.. ma qui nOD (,.
"II: LIBRO QUA.RTO DELLE ITOBIII. 177
per menarli alla mazae! abbracciavano de' compagni i petti,
gittavansl al collo, chiedevano gli ullimi baci, e di non es-
ser lasciati soli, e patir in pari causa non pari fortona, rac-
comandavansi li Muciano, al principe assente, al cielo, agl'id-
dii; finché Muclano dicendoli obbligati- tutti al medesimo
giuramento, soldati del medesimo imperadore, levò loro Il ti-
mor falso. L' esercito vincitore ancor favoriva con grida le
lor lagrime. Cosi finio quel dI. Pochi di poi, già essendo ras-
sicura ti, Domiziano aringò e otrerse loro terreni: Ricusaronli,
e pregavano milizia e soldo. Eran preghi che lo sforzavano:
però furon ricevuti nel pretorio. Poscia i vecchi o beneme-
. riti licenziati con onore, altri cassati per colpe, or uno or
o

l'altro spicciolati; modo sicurissimo da indebolir le fazioni.


XL VII. lo senato, per bisogno vero o finto, si pose uno
.accatto ~ If un milione e mezo d'oro a' privati. Poppeo Sil-
vano fu deputato a riscuoterlo. Indi a poco svanì il bisogno
o l' intinla. Domiziano per legge annullò i consolati che aveva
dati Vitellio. A Flavio Sabino fo fatto Pesequìe da Censore:
grandi esempi, che la fortuna fa alto e basso.a
XLVIII. In questo tempo fo ammazato L. Pisone vice-
consolo. lo ne dirò la propria verità, ricercando prima di tali
eccessi l'origine e le cagioni. In Alfrica la legione e aiuti te-
notivi per guardar le frontiere dell' imperio obbedivano sotto
o

Agoslo e Tiberio on vìeeconsolo. Gaio Cesare, eervel torbido


e cbe temea di M. Silano che tenea l'Atrrica, gli tolse la
legione e mandovvi un legato. Cosi col dare a due egual ca-
rico e confondere i 1M maneggi, mise e accese h:a loro di-
scordia e male contese. Le quali accrebbero l'autorità
de' legati, o per lo stare nell' ufficio fei'mi, o perché gl' iJ.lre-
riori più cercano sovrastare; e i viceconsoli di più splen-
dore, pensavano più alla salotS' çhe alla potenza.

l per ... eRarll "1/,, "'''lUI, al macello, Lat.: • ItJnq.... m "d _""em delli-
"",.e,,'''''._
I " eeallo; tri!>uto, coutribuaiODe, b.iìelloo
S l.fo"'"nafa al'Q e basso. Lat.: • magna doc"me,,'. inllabililf0,.trl-
"-" snmma'l"t et ima mtscenììe:« Ehbea mente quel d'Orazio, Od. I, 3""', v. i,2:
........... r.let ulta IU"''''"
Mutare, ftt i",i,llnIC .,,,,,.,al de'"
06'",,.. prDlNtrt, eco
---------_.- _ ... _.

178 IL LIBRO QUARTO DELLE STORIE.·

XLIX. Legato della legione .allora era Valerio Festo,


giovane spendìtore., aspirante a gran cose, parente di Vilellio;
però in gran pensiero. Se Pisone tentò di far novità 'o fusse
tentato da lui non si sa, perché niuno fu al segrete, e morto
Pisone, i più in grazia dell' uccidilore davano la colpa al
morto. Certo é che gli All'ricani e i soldati odiavano Vespa-
siano. E certi vitelliani fuggilisi di Roma mellevan su Pisa-
ne, mostrandogli essere lè Gallie non chiare, l la Germania
presta, lui in pericoli, e più sicura la guerra che la pace
sospetta. In tanto Claudio SagiUa capilano della banda petri-
na, avuto buon vento, arrivò prima di Papirio centurione;
mandato da Muciano, e avverti Pisone che questo centurione
veniva con ordine d' ammazarlo; che Galeriano suo cugino
e genero, già era levato dai mondo. Speranza di salute non
aveva che nell' ardire; e questo in due modi: o pigliar l'armi
subitamente, o navigare in Gallia e oll'erirsi capo a' vilelliani
eserciti, Pisone non se ne mosse.. Arriva in porto di Carla-
gine il centurione, e grida ad alla voce: « Buone novelle, Pi-
sane é imperadorè: » al popolo ,corso. alla subita maraviglia
e attoaito disse che il simigliante gridassero. Il volgo credulo
corre in piaza, e chiede di veder Pisone: empie ognicosa
d'allegreza e grida senza intenderne il vero, per volontà
d'adulare. Pisone per l'avviso di Sagilla o per modestia sua
naturale; non usci fuori a lasciarsi vedere. Ma domandò il
centurione che cosa fusse: e poiehè conobbe che egli avea
voluto fargli fare il sacco' per ucciderlo, fece uccider lui,
non tanto per lsperanza di salvar sé, quanto per ira che co-
stui, uno 'delli ammazatori di CIadio Macra legato, con le
mani ancor sanguinose venisse ad ammazar il viceeonsolo.
Di poi agramente ripreso per bando i,carlaginesi, non eser-
citava né pur sob uficio, serratosì in casa per non dar ca-
gione di nuovo movimento. Quando Festa seppe del popolo
sbigottito, del centurione morto quel che era e più, come fa

4 non cAia,.e; • n,d,,,del; • vacillanti Dena rede.


I apea. vo/td'ofa,.glifa,.e 1/ IDCCO J cioè rar]o eadere iD gnve COll'I, ten-
lindo l'animo suo con quelle acclamazioni; per avere. se Pilone avuse .aceoa«
sentito opportunità di Carlo morire vituperosamenlecome traditore. Vedi questi
Il .... Iceeeione Ann. IV, 60. Slor. Il, M.

f,
IL LIDO QlJ.laTO DELLE STO.I&. t79
la fama, mandò gente a cavallo a uccider. Pìeone, Essi fu-
riosamente, non essendo ancor di chiaro, abbatton la porta
sua con le spade ignude, gran' parte di loro noI conoscendo,
perché eran tutti Cartaginesi d'aiuto e Mori..Avvenutisi vi-
cino alla camera ad uno schiavo, il dimandano, chi è, e day' è .
Pisone. Egli. con onorata menzogna disse Il Eccomi, » e fu
morto; come altresi "Pi80De poco appresso, conosciuto da
Bebio Massa, I uno de' procuratori d"Affrica, pèste tin'allora
di tutti i migliori, t e sarà spesso tra le eagionì de' nostri
mali. Festa da Adrumeto, 8 dove attendeva l'effetto, n'andò
aUa legione, e fece pigliarCetronio Pisano, maestro del campo,
per odio privato, ma lo diceva cagnotto di Pisone: e alcuni
soldati e centurioni puni, altri ne premiò; niuno per merito
ma per parere d'aver sopito una guerra.
L. Di poi acconciòle ,differenze tra gli Ofensi • e Lettitani "
che da piccoli rubaccbiamenti di biade e bestiami tra' con-
tadini, eran venuti all'arme e battaghe, Il popolo ofense in-
ferior di numero chiamò i Garamanti, gente indomita e
avveza a rubare tutto di i vicini. Onde i Lettitani ebber che
fare: guasto il paese , si serrarono entro le mura: vennero e
fanti e cavalli e cacciarono i Garamanti e si riebbe la preda,
da quella in fuori che fu venduta per le capanne e catapecchie
lontane. "
LI. Dopo la vittoria di Cremona e l'altre buone nuove
per tutto, molti d'ogni grado, messisi con pari ardire e for-
tuna a navigar di vernò, portarono la morte di Vitellio a Ve-
spasiano. Eranvi gli ambasciatori del re Vologese, e gli oll'er"
sere quarantamila cavalli parli: Lietae onorevol cosa gli fu
r offerta di tanti aiuti e non 'averne bisogno. Lo ringraziò e
disse che mandasse amhasciadorì al senato, e sapesse il tutto
esser quieto. Vespasiano tutto inteso alle cose d'Italia e
Roma, fastidiose novelle ha che Domiziano esce de' termini
dell' elà e del lecito a figliuolo. Laonde a Tito consegna ga-

I Spia ramosa.
, pé.ll~ ... di t,dti i migliori. Lat.! • optimo entqu« ezitio.ru..r. ,.
S CiII. d.II' AlFrica, oggi Hilmilmet.
• Ofenli. IIlOllO ba O..nli",;, ... dilcordiaJ.Eran popoli Aifriranial,ilanli
do,' oggi è TripDli. Cosi i Leputant,
i80 IL LIBRO QUARTO DELLE STORIE.

gliardissima parte dell' esercito per finir del tolto la guerra


di Giudea.
, L11. Dicono che Tito al partire molto pregò suo padre,
« non si-levasse a furia per maligni rapportì ; non si recasse
a noia il figliuolo; non legioni, non armate assicurar l'impe-
rio, quanto il numero de' fìgliuoli: perché gli amici, per
tempo, fortuna, desiderii o errori si perdono, se ne vanno
o ti mancano alcune volle; il sangue proprio non si può se-
parare, massimamente da' principi, delle cui felicità godono
molti; le avversità sono de' congiontissimi: non sarebbero
essi fratelli d'accordo, se dal padre non avessero esempio. D
Vespasiano non cosi mitigato con Domiziano come rallegrato
della bontà di Tito, gli disse che stesse di buon' animo: fa-
cesse ~rande la republica con la guerra e con l'armi: egli
penserebbe alla pace e alla casa. E caricò di grano velocis-
simi legni in mare ancor crudele, per Roma condottasi al
verde l e che all' arrivo non ven' avea che per diece di.
LUI. Fece provveditore a rifare Campidoglio L. Ve-
stino cavaliere, ma d'autorità e fama tra' primi. Gr indovini
da costui ragunatì dissero doversi le vecchie malerie git-
tare in paludi, il tempio rifare sopra la medesima pianta,
nella medesima forma: cosi volere gli iddii. Il ventunesimo di
giugno, giorno sereno, tutto il giro del nuovo tempio fu co-
perto di sagre bende e ghirlande. Entraronvi soldati avenli
nomi di buon' uria, t e rami di felici arbori, S e vergini di
Vesta con- piccoli fanciulli, e fanciulle aventi padre e madre:
l'aspersero d'acqua di ruscelli, fonti e fiumi. Elvidio Prisco
pretore con Plauto Eliano pontefice che diceva le parole,
fecero in quello spazio il sagrificio di verro, pecora e toro,
e poste le interiora sopra un cespuglio, pregò Giove, Giu-
none e Minerva e gli iddii proteltori dell' imperio che vo-
lessero favorir l'opera; e la lor sedia incominciata con
umana pietà, ergere con aiuto divino, toccando le stole
che la pietra a funi legata fasciavano, e gli altri magistrali,

t condollas; al verde, all' estremo. V,aleriani: • Roma da (:I,) di.01lio tra


Ilreltl, che ne' granai v' era frumento appena p~r\1ied dì. .,
Il "oml di .buo,,- Ilr;a; fausti , di huon augurio.
I felici arbori; cioè J scerrali da arbori arati agli dei, come l' alloro ee.
IL Llllao QUARTO DELLE STOan:. 181
sacerdoti, senatori, cavalieri e gran parte del popolo con
allegra forza trainarono un gran sasso nel Condamento e git-
taronvì presenti d'oro e ariento e metalli greggi; avendo
predetto gli aruspiei che l' opera non si contaminasse di oro
o sasso concio per altro usaggio. RiCecesi più alto. Ciò solo
permise la religione: credettesi l che questo mancasse alla ma-
gnifìeenza del tempio vecchio, che di tanta gente doveva
esser capace.
LIV. In - questo tempo la morte di Vitellio uditasi per
le Gallie e Germanie raddoppiò la guerra. Perchè Civile, la-
sciata ogni finzione, alla scoperta Culminava contro al popol
romano, e le vitelliane legioni volevano anzi servire a Core-
stieri che vedere imperadore Vespasiano. Onde i Galli riza-
I"On la cresta,' credendo per lutto i nostri eserciti Carla male,
dicendosi che i Sarmati e Daci assediassero gli alloggiamenti
di Mesia e Pannonia: il simile si fingeva di Britannia: ma
sopra tutto l'arso Campidoglio indicava la fine dell' imperio:
cantando i vani Druidi che i Galli presero già Roma, ma non
Campidoglio, casa di Giove; però rimase l'imperio a Roma:
ora questo CUQCo è segno da cielo-della sua ira e di volere
che li oltramontani abbiano la signoria delle cose umane.
Ed era (ama che i principali Galli mandati da Otone contro
a Vitellio innanzi al partire restasser d'accordo di non man-
care alla libertà, se 'l popolo romano rovinasse per le conti-
Due guerre civili e malori interni.
LV. ViventeOrdeonioFlaeoo non apparlsegnodi congiura:
morto lui, tra CivUe e Classico capitano d'una banda di cavalli
de'Treviri passare ambasciate. Classico, di nobiltà e riccheza
era il primo, nato di sangue reale e d'uomini chiari in pace
e guerra, per li quali si vantava d'esser nimico più tosto che
compagno del popol romano. Mescolaronsiseco Giulio Tutore
treviro, posto da Vi(ellio a guardar la ripa del Reno, e Giu-
lio Sabino lingone che tra l'altre sue vanità si vantava di
80a bastardigia,· e dell'aver la bisavola sua soddisfatto della

I eredeluli. QueitO n.Lo, .01u1o d.l.tuIO • Iltcel...io olltolo, man-


cando aeDo NUliooo, è supplite dal Volpi.
I r;uron 'a creda. Lat.: • sU4tllle,.,,,,t animol.•
I dI "'''' btllltl·rdlg;tI. Lat.: a fnllW stlrpll B'or;tI ;"et:tldebtllur••
IL 16
182 IL LIBRO QU.lRTO DELL,E STORIE.

persona a Giulio Cesare guerreggiante' in Gallia. Questi se-


cretamente tentaron degli altri, e fatti complici i più a pro-
posito, ragunati in Colonia Agrippina' in casa privata, per-
ché il popolo abborriva cotati imprese, trevandovisl nondi-
meno certi Ubii e Tungri, ma il forte Treviri e Lìngoni ,
nOB ebber pacienza a discorrere: ogn' un grida, tl il popol
romano esser cacciato dalle furie delle lor discordie, tagliate
a pezi le legioni, guasta l'Italia, Roma presa più che già
mai ..tutti gli eserciti impacciali in proprie guerre. Chiudendo
i passi dell'alpi, e acquistata la libertà, le Gallie porrebbono
il termine di lor petensa a modo loro. »
LVI. Ogn' uno approvò il dello. Ma del rimanente del·
l'esercito vitelliano dubitavano che dover farsi. Molti censi-
gliavano ammazargli come scandolosi, felloni, ucciditori de'lor
capitani. Vinse che si perdonasse. « Meglio allettarli a' esser
compagni ammazando i legati soli delle legioni; gli altri di
già colpevoli per 'la speranza del perdono se ne terrebber di
patti.' Il Cosi conchiuse la prima dieta, e mandò per le Gal..:
Iie sommovitori alla guerra, e a Vocula mostrarono ubbi-
dienza per opprimerlo men guardato. Né mancò chi ne .l'av-
verlisse, ma non avea forze da rimediare, essendo le legioni
diradale e non fedeli. Trovandosi in mezo a soldati dubbi e
nimici occulti, prese per lo miglioro, infingersi anch' egli, e
giugner loro! con l'arti loro. Vassene in Colonia Agrippina
ove Claudio Labeone (che noi dicemmo a preso e mandalo in
Frisia da Civile perché non praticasse) corrotte le guardie
fuggilosi, gli promise, dandogli forze, andare a'Batavi e ri-
lirar la miglior parte de'popoli a divozione romana. Andovvi
con pochi fanti e cavalli, e nulla vi fece; mise in arme certi
Nervii e Belasii, e più tosto di -furto che con guerra scorreva
ne'Canninefali e Marsaci. Vocula tirato con inganno de'Galli
andò a lrovar j nimici.
LVII. Né dal campo vecchio era mollo lontano' quando
Classico e Tulore, passati innanzi quasi per riconoscere, ca-

4 le Jte t,,.,.ebber di paUij fàdtmrute sarehhrr d'accordo, aceensentireb-


ti' bere.
t e gi"8"e" 10,..0 ee., e (,ombattngli con le loro arti medesime.
) fllC'emmo" al caro 18.
IL LIB.O QUA.TO DELLII STOIlll:. t83
pilolarono co' capi de' Germani: allol'a apertamente si divi-
dono dalle legioni .e di proprio steccato cingono il campo
loro, protestando VocuIa, Q Non affogare i Romani cotanto
Dell' armi civili che insino a'Treveri e Lingoni li deano stra-
pazare. Rimaner loro fedeli vassalli, vittoriosi eserciti, la
(orluna dell' imperio, vendicatori idem.Così prima Sacroviro
e gli Edui;. dianzi Vindice e le Gallie dieder giù, eiasche-
d11DO alle prime battaglie. AspeUassonsi ora i traditori li me-
tlesimi iddii e destini. Meglio i divini Giulio e Agusto aver
conosciuto i loro animi. ~alba e )' esenzion sue àverlì levati
in superbia e falli nimiei ora che il giogo é suave : pigiati,
spogliati, sarebbero tutti amici. » Dopoquesto feroce parlare
non lasciando Classico e Tutore lor tradigione, volta briglia
inverso Novesio, i' Galli si fermano in un piano lontano due
migli~ a svolgere e comperare gli animi de; centurioni e sol-
lIali, perehé.(otli nuova seelerateza) il romano esercito giu-
rasse a' barbari servito, e desse per pegno i legati morti o
prigioni. Vocula (benché da molti consiglialo a fuggire) ani-
mosamente chiamò a parlamento e disse.
L VIII. « lo non vi ho parlato mai si sollecito del caso
vostro e risoluto del mio. Perché io odo volentieri che si
cerca la morte mia, la quale in tali mali aspetto per porto
a uscire d'affanni. Di voi mi vìen .vergogna e piétà, contro
a cui non si ordina battaglia con armi nimiche, che é C9S3
ordinaria e da soldati. Con le vostre mani spera Cla8aioo far
guerra al popo1 romano e trasferire in Gallia l'impero e.la
milizia. O esempi antiehi, se oggi fortuna e virtù ci abban-
donano, ove sete voi? Quante volte hanno voluto le romane
legioni anzi morire che lasciarsi spuntare del Ior luogo '/ l
Quante i collegati nostri lasciato spiantate le lor città, e sé
COli le mogli e figliuoli ardere, solamente per mantener rede.
e fama? Tollerano più che mai fame e assedio le legioni al
eampo vecchio, né le muove terrore o promesse. Noi abbia-
mo anni, uomini e ben muniti alloggiamenti, veltovaglie per·
lunga guerra. Danari freschi del donativo di Vespasiano o
sia di ViteUio; basta cbe viene dal romano imperadore. Se
4 llllciar.i .p,uata..e Jel lor /rl.ogo 1 lasciarsi cacciare eco S"UlI.". ~ pel
yiDccn ani forte ruistlDU, è lulll'fia .ell'-u,so comune.

,
I

181 IL LIBRO QUARTO DELLE STORIE.

voi vincitor i di tan te g uerr e, Iu eut ori clc' nimid a Gclcluba,


a l ca mpo vecc hio, Il fanlll a ltre vo lle , orn ìe rnele cii ve ni re
all e ma ni ; il vergogna : ma c' .' è sta to bastioni , arte da trat-
te nervi si no a che da Ile nostre più vicine pro vin cie 'i con-
corrano aiuti cci ·orcil i. Se io non pia ccio , ci sono a1lri Ie-
lla ti, trihuni, ce nturion i c solda ti fln ulm ente , Non Iute d ire
p l' lullo il m on do s i mostruosa co a che voi sia le cag no tti
oli Civi le c Classic u ad assal ir e lt nli a ; e e Germa ni c Galli
vi co nd ur ran no all e m ura cii 1\0lOa vos trn patrla, omhaue-
re tcl e voi ? mi racca pr iccio a pen sarvi. Faret e per Tutore
tr e viro le se n Iinell e ? Daravvi un ba la vo il seg no alla baua-
g lia ? ìfor nirete le c hie re de'German i! Qu al sa rà Ili lin c di
si b rullo m i fallo? Quando le legi oni rom ane vi verranno
cont ro, diverrete voi cii Irad ilori rilradilori, di fugg il i rifu a -
g ili, c Ira 'I nuovo e vecch io gi ura me nto odi osi ani' iddi i 'l'i
andrei' raggiran do ? O Giove ollimo e zrandls im o , da noi
uttuee ntove n f auni .o n tanti lrionfi onoralo ! o Quirino, pa-
dre di Hom a I io vi pr e go e ad oro ; pescia che a voi non è
pia .iuto m anten er questi a lloggin me nti sot to la cu ra m ia
se nza ma .c hi n , non li lasc iat e alme no da Tutor e e Classico
vitupe rure. E teni at e a' solda ti le mani in npo che nOI1 Ial-
lino,' o tosto si rip enlan o e se nza dannagg io. »
LI:. Vnrlumente fu pr eso qu esto parlare , seco nd o ch e
, '1"' I~\'a spe ra nza o Iemali l.CI. oana. Y oc uln i pa r li risoluto
l' cl' ammnzarsl inna nz i che russe vilm ente stra zial o, m a i Ii-
hcrti e sch iavi l'impedi rono. Class ico .ollecltume nle mandli
a uccid erlo E m ilio Lon g iu o ruggit o i della l e~ion pr ima .
Erennio e l [umis io legali ~ I i ha lò l'al' pri gion i. E a lzale l' in-
segne dell' im pe ri o ro ma no ve nne in ca mpo c non eb he co-
nlg"jn, quantun qu e ad ceni m alo aflare urdi tis imo, di for-
mnr parola , ma le se il gi ura uic nto . E qu ei c he presenti
ura no il d icdono all' imperio gallico," Esalt ò l' ncci llilur c di
YUe'u la ad alli :;nld i , li a llri prem iò sec ondo le co m messe
malvauità. 'ulure c Classico s i spa r ti rono i ca r ich i. Tutore

t '~" ifl h' ,,' $ol ./" tl lt· maH; in rnfM r lt~ Non fi,lllno, L:I rrase- ~ 101 1.1 d.,'
l'flgU;I[I; l;'o ddl.1. Itr~ l:lIJ i(n cristi ana . Il teste h. : te "U,/;tilJf u r imt IU ." ~Jf" 'h;' 'J-
' ;4", J,.,.,...
, il dl.dono 0/1' imp.rlo gallico: iDIoDdi, il gil1,ameDlo,
IL LIBRO QUARTO DELLE STORIE. 181S
con forze grandi circonda gli Agrippinesi, e quanti soldati
erano .in riva di Reno disopra fa giurar il medesimo; e uc-
cide i tribuni di Maganza e caccia via il maestro del campo
che non vollero giurare. Classico manda delli arrenduti i più
scelerati a offerire alli assediati perdono, accomodandosi alle
-cose presenti, aUrimente protestare fame, ferro e tutte le
crudeltà. E confortavanli i mandati a imitar loro.
LX. La fede e la fame, l'onore e l' infamia combatte-
vano gli assediati. Eran mancati i cibi soliti e gli strani.
Giumenti, cavalli, animali sozi e stomachevoli che la fame
fa saporosi, lutti s'erano manicati: finalmente frasche, ster-
l'i, erbe svelte tra' sassi furono esempio di misera soO'e-
renza. Ma cosi bellalaude macchiarono con laida fine, man-
dando a chiedere a Civile la vila. E non prima l' impetra-
rono che giurata I la fedeltà alle Gallie con patto di lasciar
tutto l'avere: e con essi manda gente che ritenga i danari,
ragasì e salmeria, e gli accompagni a irsene svaligiati. Alle
cinque migliaescon loro i Germani addosso: i più bravi in
su 'l luogo, molli furon morti sbandati, gli altri fuggirono
in dietro nel campo, dolendosene Civile e riprendendone i
Germani come rompitori di fede. Non s'afferma se egli
finse o pur non potè ritenere gli efferati. Spogliato il campo
vi ficcan fuoco che arse tutti gli avanzali alla zuffa.
LXI. Civile essendosi quando prese l'armi contro a'
Romani botato alla barbara' di non si tondere sino a ven-
delta, quando ebbe uccise. le legioni si londè sua bionda
e pettinata zazera, e mise, secondo si disse, certi prigioni
per bersagli alle frecce e bolzoni 3 che un suo figlioletto ti-
rava per giuoco. Ma egli nè alcun Batavo non si giurò li-
gio alle GalIie, confidalo nelle forze germane e bisognando
co'Galli combatter la signoria dell'imperio, si sentiva più forle
e più riputato. A Velleda mandò fra i presenti Mumio Luperco
legato d'una legione. Costei era vergine di nazione brutte-
t che giurnt«, che dopo aver giurata.
I ~.flendoll ..•• botato alla bllr.ba,.tI~ avendo all'uso de'barLari fatto voto eco
COli fece .nch~ G. CUaTe dopo la rolla di Colla e SaLino.
J ho/~o"i.l o Lolcioni, sono macchine darompermuraglie, ed ance UDa sorte
di freece rhe in camLio di punta Lanno UD.a capocchia, e si scasliano COD groua
lul..lu: luna roba Don d. an figl/ol_IIO. 11 tulo dice ìaculis.
16'
"!!.

f86 IL LIBRO ~UARTO DELLE STORIE.

ra, signora di grande stato e profetessa , come I Germani


per antico costume credono molle donne esservi, e lé ten-
gono per iddie quando é cresciuta la divozione, come allora
a Velleda che aveva predetto felicità a' Germani e disfaci-
mento delle legioni. Ma Luperco fu ammazato per cammino.
Alcuni centurioni e tribuni nati in Gallia furon salvati come
pegno di confederazione. Gli alloggiamenti de' fanti, cavalli,
e legioni, guasti e arsi, lasciati soli que' di Maganza e Vin-
donissa.
. LXII. Comandato' alla legione tredicesima e suoi aiuti
insieme datisi, andarsene. da Novesio nella colonia de' tre-
viri; e prefisso il di da uscir delli alloggiamenti. Tra tanto
temevano i più codardi d'essere uccisi come quelli al campo
vecchie; j mi~liori,della vergogna e infamia." « come andrie-
no? da chi guidali? alla mercé di cai 3 essi avevan fatti pa-
droni di lor vita e morte. Il Altri non temendo vergogna, si
ptellevano addosso i danari ele cose più care. Allri si ras-
sellavano e eignevano l'arme per andare a comballere.'Venne
l'ora del partire, più dolorosa che non si erano immaginata;
perché dentro alli alloggiamenti non si notava tanto la cosa
brulla, come fuora e di di. Le immagini' degl' imperadori per
terra; le insegne lorde; risplendendo quinci e quindi li sten-
dali gallici. Le file chete come lunghe esequie; dato loro per
capo Claudio Santo, di poco cervello, di spietato viso e cieco
da un occhio. Il male raddoppiò per l'altra legione che la-
sciò gli alloggiamenti di Bonna e mescolossi con questi. Alla
fama delle prese legioni corsi da' campi e casali i popoli che
prima tremavano del nome romano, gongolavano del nuovo
spellacolo. La banda de' cavalli picenlina non potendo sop-
portar le risate del volgo insolente, con tutte le promesse
e minacce di Santo, se n'andò a Maganzaj e per avven-
tura rincontrato Longino che uccise Vocula, il salutarono

f ~omandnto. È comandato.
!I tlella per~a e infamia ~ e- ; cioè, temevano della vergo@'na e infamia,
pensandc , come endrebherc eco
5 alla mercè di CIIi eco Tulto era in arbitrio di coloro ch' essi avevan
fatto fladroni di lor vita e morte. LaL: I l omnin in arbitrio Corwn qllos pit{}! ne-
ctsqne dominos fecis sent.•
IL LIJJBO QVUTO DELLE STOIUE. 187
co' lanciolli; e questo fu principio del loro discolpamenlo.
Le legioni, seguitando il viaggio, si fermano sotto le mura
de' Treviri, .
LXIII. Civile e Classico insuperbili per le prosperilà,
consuUarono di concedere a' loro eserciti il sacco della Co-
10Dia Agrippina. CrudeUà naturale e agonia di preda li vi
traeva; ragìon di guerra non era, ed è ulile a' nuovi stati
l'esser bacialo clemente, Civile ancora si ricordò del bene-
ficio delli Agrippinesi che custodirono con onore il figliuol suo
fallo ivi prigione al principio de' movimenti. Ma le genti oltre
Reno odiavano quella città troppo ricca e cresciuta, né parea
potersi alle g~erre dare altro fine che farla 'risedenza comune
di tutti i Germani, o, spiantata lei, rimanesser anche gli
Ubii disfalli.
LXiV. Laonde i Tenteri , popoli oltre Reno, manda-
roDOal consiglio delli Agrippinesi amhasciadorì, di cui IQ
più feroce cosi comìncìò. Il Ringraziali sieno i nostri e vostri
iddii e MarIe lo sovrano, l,e prode faccia a voi che rienlrali
nel corpo e nome germano, sarete aUa fin pure liberi, Ira noi.
liberi. Avvengachè i Romani ci abbiano insino a oggi chiusi
i fiumi, la lerra e quasi l'aria, perchè noi, non el possiamo
ragunare e parlare, se non se disarmali e come ignudi (vil-
lana cosa ad uomini Dali all' arme) e con guardie e costo. '
Ora affine che l'amicizia eleganza nostra siano eterne, vi
preghiamo a smantellare questa colonia di mura che son
forleze per mantenere schiavi, Anco le fiere tenute in gabbia
perdono lor fiereza. , Tagliate a pezi quanti Romani sono in
su'l vostro. Liberlà e signoria non s'incorporano insieme,
I beni delli uccisi vadano in comune, aéciò niuno ne nasconda,
né separi la sua causa. Sia l'una riva e l'aUra nostra e vo-
stra, come al tempo antico. Natura ha dalo la luce a luUi
gli uomini, così tutti li lerreni a' più valorosi. Ripig.liale
gli ordini e 'I vivere de' maggìerl; levate via le graveze con
le quali i Romani più che con l'armi struggono i soggetti.

, e J/arte lo 10",.';"0. " Presso i Germani venerat..asi in preferenza degli


lItri déi Mtrcurio, come Ir"esi nella Germania di Tarito; ma io tempi di
lutrra, M'arie era il primo. n (n. Pastorc.)
t e COJfo ~ e a prezzu.
188 IL LIBRO QU.lRTO DELLE STORIE.

Cosi netti, intieri e non iscbiavi viverete eguali agli altri o


gli signoreggerete. )l' ,

LXV. Gli Agrippinesi preso tempo li: risolvere, non po- I


fendo accettar le condizioni per paura dell' avvenire nè , I
comportando il presente tempo farsene beffe, apertamente
risposero in questa maniera: ( Per unirei con voi e con li
altri Germani del sangue nostro, noi alla prima occasione
del farci'Iiheri corremmo più volonterosi çhe cauti.' Mettendo
insieme i Romani più eserciti che mai, ci è più sicuro cre-
scere le nostre mura che rovinarle. Se d'Italia o altre Pro-
vincie 80n venuti forestieri in casa nostra, la' guerra gli ha
consumati e se ne sono rifuggiti alle case loro. Di quei che
ci furoncondotti più fa, o sono imparentati con esso noi o
de' loro discesi. Questa è oggi patria. Non vi abbiamo per
tanto iniqui che ci vogliate far uccidere i padri, fratelli e
figliuoli nostri. Le graveze e le gabelle alle mercanzie son
levate. Siano i passi liberi, ma di giorno, e per gente senz'ar-
me, tanto che i nuovi ordini passino in uso. Civile e Vel-
ledà saranno arbitri, e capitoleranno tra noi. » Cosi i Tenteri
addolciti, ambasciadori andaro a Civile e Velleda con pre-
senti, e ottennero quanto vollero gli Agrippinesi, da parlare
o veder Velleda in fuori; non lasciando vedersi per esser con
questa sicuméra I più venerata. Stava: in un' lilla 'torre. Un
suo congiunto eletto portava i consigli e risponsi quasi nun-
zio della dea. '
LXVI. Civile rinforzato della compagnia delli Agrippi-
nesi, deliberò guadagnarsi i popoli 'Vicini, e, se repugnas-
sero, combatterli. Occupa i Sunici, ordina quella gioventù in
compagnie di soldati. Claudio Labeone con gente ragunaticcia
di Betasii, Tungri e Nervii non lo lasciò passar 'più oltre,
confidato nel sito, avendo preso prima di lui il ponte della
Mosa. Combattevasi in quello stretto dubbiosamente, quando
i Germani, passati a nuoto, diedero alle spalle di Labeone:
e Civile, per ardire o convegna, t entrò nell' oste de' Tun-
I COli quest« .f;c"mirtl~ ...ff"ttlazioDe cirimeniou. È vocabolo del Palaffio)
da cica1.Jlfl o commedia.
t per ... conto'tR'Jla.Lal.: .escomposlto;- per eeecrdo , di patto; per con-
>

veneione falla, o seconde l" ordine preso. Anc:he nello Scismtf: A avendo i Pro--'
testauti fallo convegna di prender l'umi. • Ma è voce antiquata.

----.01
IL L1BlIO QU&RTO DELLE STORIE. f89
gri e gridò: a Non abbiamo preso a far guerra noi Batavi
e Trevirl per esser padroni delle genti: gli iddii ci guardino
da tanta arroganza: Coglieteci per compagni: io vengo a ser-
virvi per capitano o soldato, come vorrele voi.'» Mosse i soi-
dali bassi, e mettevan le spade nel fodero, quando Campano
e Giuvenale de' principali Tungri gli si dìedono con tutta
lor gente: Labeone prima che fusse accerchialo fuggI. Civile
ricevette in fede anche i Betasii e' Nervii e li aggiunse a' suoi;
e l'aUre città per si gran fatti ne temevano o lo volevano.
LXVII. Giulio Sabino, fuor de' termini della lega ro-
mana, fa salutarsi Cesare, e con grande e disordinata sua
genia, cavalca con paza furia ne' Sequani, noslri confinanti
e amici, i quali non fuggirono la battaglia. La fortuna i
migliori favori. Rotti i Lingoni, Sabino che con temerità
aveva la battaglia affrettata, con egual paura l'abbandonò;
e per dar voce d'esser morto, arse la villa ove fuggi, e ere-
dettesi che da sé siesso vi s'ammazasse: ma com' ei fece
a vivere nascosto nove anni, ed ebbe fermi amici, e il bello
esempio d'Epponina sua moglie, diremo a suo luogo. l La
vittoria de' Sequani fermò l'impeto della guerra. I popoli
cominciarono a ravvedersi e tener conio dell' onesto e conve-
nutore furon primi quei di Bems, i quali per le Game bandi":
scono dieta per deliberare o pace-o libertà.
.. diremo a "'", IUOBQ• • Questa parte d'iltoria di Tacito s'è perduta; IDI
l' b••upplitaegregiameute il Brolier n.n' Appendice C~onologictl .1 V..pasiano,
1
t'.p_ f6, e l'ha prua, come'ivi si.dire aell"DRoluioDi, dall Amatorio di PIa-
tarco•• (B. p •• tere.) Non nn di"""o.e riferiremo il p'.Io.O f.Uci, confo..-
è .. c~onl.lo d. Simino nell' Ep'ilom. di Dian. C...io, Iib, LXVI, 3: • Ginlio
Sahino, personaggio primario tra i Lingonì , avendo aoch' egli raccollo un eser-
cito, fu appellato Cesare, eeme colai che da Giulio: Cesare spacciu'ui discelo.
Ma .into in più scontri, ruggini in certi campagna, e .i riDebian iD UO arpo1-
ero sotterraneo , cui a"'eva prima messo il fuoco. Laggiù vialt" lette anDi colli
moglie e v'ehtlt: due 6g1iuoli, mentre frattaoto era COri a voee rh' tgli foue morlo._
E .1 cap. iO <!e1l'i.I...o libro, ripiglia cosi il raeeonto r • Quel Sabino Gallo
c:b' el'ali.fallo chiamar Cuan, r cbe via lo , dopo ... er combattute "'aloroumenre,
el'a.i rinchtu.o iD uo sepolcroj fo scoperto, e io Roma eoadouo , e coo elio fII
data a morte la moglie su,. Peponilla (nl!1tOY~).(x, e Plularco EJJo1rOvl'J; il DO$lro,
Epronina) cb..... a10 serbato illeso. No .als. eh••Ila moslrando i figliuoli
a Vespasiaoo, dicesse per mo",ulo. misericordia: Quesli, o Cenre, bo paTtorili
e all.vali nel sepelero , .lIincb~ cr..c il numero d.i supplieanri, Peroccbò
sebbene con "l)1IesU pr.ghi.ra strapp a lui, • I quanti erano preaenti, I. la."
crime, pure DOO ri~cì a.olLeOeR misericordia.•
190 IL LIBRO QUARTO DELLE STORIE.

LXVIII. Ma in Roma queste nuove fatte peggiori trava-


gliavano Muci~no. In Gallo Annio e Petilio Ceriale capitani,
benchè valorosi, eletti da lui, non pareva' da fidar tanta
guerra, nè da lasciare senza capo la città; pericolosa lasfre-
nateza di Domiziano; sospetti, come dicemmo, I Antonio
Primo e Arrio Varo. Questi, come prefetto de' Pretoriani,
aveva le forze e l'armi in mano; e Muciano il cassò e 'l fece
sopra l'abbondanza, per consolarlo e per acquietare Domi-
ziano che lo vedea volentieri. La prefettura diede a Cle-
mente Areti~ imparentato co' Flaviì , e tutto di Domiziano;
dicendo, il padre di lui ~otlo Gaio Cesare aver onorata-
mente esercitato tal carica, esser di famiglia cara a' soldati,
e benché senatore, suìfìcìeate all'uno e all' altro officio. Con
li più risplenden ti della città e molti ambiziosi, si apparec-
çhiano d'andare a questa guerra Domiziano e Muciano; di
due voleri: l'uno per gievaneza e speranza ne faceva furia,
l'altro tratteneva per raffreddare il giovane ohe non pigliasse
ardente e feroce, con mali consiglieri attorno, l'esercito, e.
rovinasse la pace e la guerra. Passaron l' alpi penine e co-
ziane e'parte Monte Graio, le,legioni vittoriose, sesta e ot-
tava, la ventunesima stata vitelIiana, e delle fatte di nuovo
la seconda. Fecersi venir di Brilannia la quattordicesima, e
di Spagna la sesta e la decima. Alla fama adunque del ve-
gnente esercito, gli stati della Gallia per natura inchinati
aDa pace convennero a Rems. Aspettavansi gli ambasciadori
de' Trevirì, fra' quali lo più fiero accenditore alla guerra
Tullio Valentino eondieerla composta vomitò tutti i veleni.
soliti contro a' gran potentati in offesa e odio del popol ro-
mano: uomo turbolento, da scandoli, ciarlatore, che gustava
a-molti.
J.XIX. Ma Giulio Auspice, de' primi di Rems, mo-
slrando la possanza .romana, li beni della pace, le guerre an-
cora da; dappochi pigliarsi, ma farsi con pericolo de'più va-
lorosi, e già avere addosso le legioni; mosse i saggi con la
sua riverenza e con l'ammonirli della fede, li giovani con
la paura e' pericolo. Lodavano il coraggio di Valentino, e
s'attenevano al consiglio d'Auspice. Certo é che.le Gallie ~on
I AI cap. 39.
IL LIBRO QUARTO DELLE' STORI!!. i01
si fidarono de' Treviri e Lingoni, perché ne'romori di· Vin-
dice tennero da Verginio. Diede molta noia il gareggiare delle
provincie: CI chi sarebbe capo della giIerra! donde si pren-
derebbe la potestà? e se l'impresa riuscisse, qual sarebbe la
sedia della signoria? » Non aveano ancor vinto, e già centen-
devano;' chi confederazioni, chi fone o riccheze c chi anti-
chità sue rimproverando. Onde infastiditi delle cose foture
amaron le presenti. Scrissesl a' Treveri in neme delle Gallie,
che, posate l'armi, troverebbero, ripentendosi, interceditori
e perdono. Il medesimo Valentino li tenne duri, e chiuse
gli orecchi del suo popolo, attendendo più a far dicerie, che
a dar ordini alla guerra.
LXX. Però i Treviri, Lingoni e gli altri popoli ribelli,
Don facevan provvedimenti convenevoli a tanta impresa, né
i loro capitani fra loro, s'intendevano. Civile per luoghi strani
de'Belgi cercava pigliare o cacciare Claudio Labeone: Clas-
sico si slava a man giunte,' quasi a godere l'acquistato im-
perio. Tutore non fu sollecito à pigliar la riva disopra di
Germania e metter guardie a' passi dell' alpi: in lanto la le-
gione ventunesima da Vindonissa, e Sestilio Felice co' fanti
d'aiuto per la Rezia, entrarono in Gallia insieme con ca-
valli Singolari,8da Vilellio già chiamati, e poi passati a Ve-
spasiano sotto Giulio Brigantico nato di ona sorella di Ci-
vile, .che, come son per lo più crudeli gli odii de' congìunti,
eta dal zio odiato e l' odiava. Tutore rinforzò l'esercito de"
Treviri di novelli Vangioni,· Caracati, Triboci, e di vecchi
fanti e cavalli, e i legionari corrotti da speranza o domali
da timore; i quali prima uccidono ona coorte mandata in-
Banzi da.Sestilio Felice, poscia accostandosi i capitani e gli
eserciti romani ritornaro c0J;l onesla fuga, tirando sece i Tri-

....Nolldrun lJiclo,.'a~itl". 41i4CO,.tlid eP'"tlt._ Parole di ace.T1Ja,"e a noi ver-


gognosa memoria r
, ,i dflvtl Q ma" Bi,,,,'e~ 0, ecme 'tlice il Boccaccio, colle mnn sotto le
IIse.ile; cioè, ozioso e spenliento. Il Ialo: " leRne olil,m t,.nh",u. "
5 Siligo/a,.;. Era un corpo di milizia che in dignità. veniva dopo la gundi.1
pretoriaD.3I: attendavano l'n. lioil'ra dell' imperatore I e gli si davano a guardare
le froutiere più "icine. Qlleati • equite.l '8Ittgrda,.el ... trovansi ricordati anchp.:
nelle antiche ilcrizioni.
t Pancioni, la cui capitale Borbetemage cbiamasi OSSi Wormr. -
-
192 IL _LIBRO QUARTO DELLB 51'OR18.

boci, Vangioni e Caracati, Tutore in compagnia de' Treviri,


lasciata Maganza, se n'andò a Bingio, I assicuratosi del sito
per aver tagliato il ponte della Nava.! Ma Sestilio, trovato il
guado, l'affrontò, e rimase Tutore ingannato e rotto. I Tr~­
viri se ne .sbigoltirono: j plebei, gittate giù l'armi, si sbara-
gliarono per la campagna: alcuni principali per mostrarsi
primai 3 a non ·voler più guerra, si fuggirogo ne' paesi stati
in fede romana. Le legioni da Novesio e Donna trapassate,
come dicemmo, 4 a'Trevlri,' da se stesse giuraron fede a Ve-
spasiano. Fatte furon queste cose in assenza di Valentino, il
quale dovunque giungeva, infuriando e volendo rivoltare e
guastare ogni cosa, le legioni se n'andarono ne' Medioma-
triei S nostri collegati. Valentino e Tutore rimettono in su l'ar-
me i Treveri, ammazano Erennio e Numisio legati, per tòrsi
speranza di perdono, e con maggiore scelerateza insieme
legarsì. .
LXXI. Questo era lo stato della guerra, qu~ndoPetilio
Ceriale venne a Maganza e fece crescerei le speranze. A·vido
di combattere, più sprezator del nimico che cauto, con fero-
cità di parole infiammava i soldati per combattere subito
ch' ei potesse affrontarlo. Rimanda alle case i giovani co-
mandati 8 per le Gallie, imponendo che dicano « che all'im-
periobastano le legioni; tornino i confederatì alle cure della
pace, tenendo per finita la guerra che era presa dalle destre
romane." » La qual cosa rendè i Galli più ubbidienti, perchè,
riavuta la gioventù, pagarono i tributi più volentieri, e faceali
l'essere spregiati più pronti al servire. Ma Civile e Classico,
inteso che Tutore era rotto, ammazati i 'Treveri ,ogni cosa
in favor a' nimici, con paura e fretta rimettono insieme loro
• Bingio J ciu1. de' Vangioni, oggi Bingen ..
I Napa. 0llgi Nal..
I pr.imai.. primi: yoct :lntiq.uta da·1alcilrli Del cel"clUo p";,,,.;o di Dante.
t dicemmo, al cap. 6!.
, Mediomatricl, la cui clpilale Diyoduro cbhm..i oggi Mola.
a i riovtuti coma.dati pel" le Gn./lie .. cbe aveva coscritti, arruolati Della
Gama. Lal.: • deleetal per GaJliam "abll"•. • Ma comandali è dello qui a
imitazioDe della fIale latina. imperare militel.. • .che è diversa da. d.lectum
/rabere: - questa vale far la leva; quella, comandare c6e lommiJli6trillli
mi/iair.. cFle panno USUe anche non levate di fresco.
, dalle dellre ronlt'II_ .. d,alla romana "irtù•


IL LIBRO QUARTO DBLLE STOIIB. 193
sparsa oste, e per molti.messaggt avvertiseono Valentino che
non arrischi il tutto. Tanto pio volando mandò Cerialea'Me-
diomatrici a spignere per la pio corta contro al nimico le
legioni; e raccozati quanti soldati trova in Maganza con quei
che menò, venne in tre di a Rigodulo 1 dove s'éra piantato
Valentino con gran gente trevera, difeso da' monti, dalla
Mosella, e fattovi fosso e muro. Non per tali fortificamenti
ristette il romano duce di non vi spìgnere la Canteria, met-
ter i cavalli in certa collina, beffandosi del nimico ragnna-
ticcio, non si dal sito aiutato che non pio valore Iusse ne'suoi.
I tiri de'nimici noiarono alquanto il salire. Venuti alle mane,
li pinsero o precipitaron giuso a rovina. E parte de' cavalli
ne' colli pio bassi presero i pio nobili Belgi, tra'quali fu Va-
lentino lor capitano.
LXXII. L'altro di, Ceriale entrò nella colonia de' Tre-
viri, struggendosi i soldati di spiantare quella città. « Questa
esser patria di Classico, questa di Tutore: per la costoro
scelerateza (diceano) rinchiuse e tagliate a pezi le legioni:
ehe proporzione aver con questo il peccato di Cremona, che
si rapi di grembo all'Italia, per aver fatto indugiare i vinci-
tori solo una notte? E questa nel fine di Germania posta,
delle spoglie delli eserciti, del sangue de' capitani trionfante
stare in piede? fussesìIa preda del fisco: bastar loro vedere
il fuoco, la rovina della colonia rubella, in ricompensa di
tanti alloggiamenti sperperati. J) Ceriale, per fuggir biasimo
di avvezar i soldati licenziosi e crudeli, attutò le loro ire; e
ubbidirono, pio modesti nella guerra fatta alli strani, che
nella passata civile. Commosse poi gli animi la miseranda
vista delle legioni fatte venir da' Mediomatrici. Stavano per
lo misfatto manìnconose, con gli occhi in terra: fra loro non
si salutarono, non rispondevano a' confortanti; sofficcavansi
ne' padiglioni, t Cuggian la luce; pio stupidi per la vergogna
che per la paura. Stavano i vittoriosi ancora attoniti, non
ardivan parlare nè pregare; con lagrime e silenzio, per loro

f BJ8odulo, cillà cldJa Galli. Belgiea, pruso la )(a..IIa, oggi Ricol o


RM.
• IOfficctlvtlJl6/ ne' ptldlglion/. Lat.: • tlbditi pe,. tentoriti• • Sofficctlrsi,
licc:usi solto I DascoDdersi.
Il. 17
194 :11 LtBBO QUUTO DELLB STORIB.

chiedevan perdono. Ceriale' gli rineorò, imputando il Bestino


di quanto seguito era per le discordie de' soldati e capitani o
fraude de' nimlcì. «Fnsse quello il di primo di loro soldo e
giuramento: de' peccati passati né l'imperadore ned ei si Ti-
'cordava.1I Cosi Iuronrieevmì 'nel campo medesimo, e fallo
intender per 'le sqnadreohe nluno , 'venendo '8 contesa o pa-
role, rimpruoveri ,né sedizioni né sconfitta al compagno.
, LXXIIl. 'Chiamati poi li Treviri e Lingoni , cosi arin-
gò: « lo non attesi già mai abel parlare: con l'arme ho -mo-
strato la r.omtYDa virtù: ma perché in 'Voi molto possono' le
parole ;. e tenete buono e pio Don quello che è, ma quello
che vi dicono i sediziosi, vìvogììorìeordare alcune cose che
,più a voi, viota la guerra, gioverà l'averle udite che a 'me
l'averle delle. Nel paese vostro e degli altri Galli 'entrarono
i romani capitani e imperadori non' per loro cupidigia, ma
chiamali da' vostri maggiori che si nimicavano a morte. Fa-
't:ellte'venire in aiuto i .Germani, i quliIi a voi, come a Di-
miei, imposero servitù. Quante volle abbiamo combattuto
con -Cimbrl e Tentoni, quanto all'aticato i nostri eserciti,
con qual esito guerreggiato con Germani, -ìl vi sapete. Nè
ci -siamo l'iantaliin 'MI 'I Berro per difendere Italia, ma per-
ché on altro Anomto Don Ili fàceIlse "Te di Gallia. Credete
voi, Civile ei Batavi e le genti oltTe Reno vogliano megUo
m
.a che i lor l'aMati a' vòstTi'f semprehaono i Germani
avolo di valicar in Gàllia la medesima cupidigia, avarizia,
disio di mutar .paese, e,lasoiati lor pantani e diserli, farsi
padroni di qRslo (ertilissimo (elTeno e di voi, -sotto speeie
di libertà e almi bei Domi, sblti sempretn bocca a qualun-
que ha cercato a"rui soggiogare.
LXXIV. '.Dominati, battuti semprefuste sino a -dJre'fl
deste a noi. Noi, beoehè tante 'Volte provocati, vi allJriamo
,11010 aggravato per ragìon di dloriadi quanto è neeessario
a -maatenervi in pace; non si potendo a' popoli manteuer
pace senz' arme, né arme senza soldo, né 9Òldeselml tri-
buti, Nel resto noi siamo Dna cosa medesima: voi coman-
date sovente le nostre legioni, governate queste e altre pro-
vincie. Nulla non vi leniamo diviso né chiuso. ,Godete, ben-
chè lontani, de' principi buoni come noi; i cntdeli s'a"eD-
IL LIIIIlo~l1.Lam DELLE sroars, 11m
tano· al più aecoste. Acconciatevi.,. nome si fa al troppo secco
o;piove80 I e altri, mali di Natura, a .soffrire il lusso o l'avari-
zia de' dominanti. Mentre saranno uomini, saranno difetti.
Ma non. IIODO continui" e. li compensano le virtù degli altri.
Se Si" non Isperaste soUo Tutore e. Classico esser reUi con
piti. giUilizia" potai' tenere eserciti con minore spesa e tributi
per. diecostare i Ger.mani e' Britanni. Peecìocchè cacciati
(gli iddii ne gGalldinq) i Romani,. chi non vede che tutte le
genti del mOAdo s'.azuft'eranno tra loro? Fortuna e militare
llCienaa hanno per oUocento anni si tenacemente questa mac-
china d' ÌD1periD,collegata. che niuno tenterà scommetterla
che sotto llOD eli rimaaga. E peggio ne farete voi I che avete
oro e facoltà;, esche: alla guerra. Amate e riverite la pace e
Roma, la quale~ o vinti o vincitori, nostra patria è. Le pro-
spere con I:al'iverse fortune bilanciate: v' insegnino a non
eI8lD' anzi oontumaci con rovina cbe ubbidienti con. si-
Cur8a »
LX1)V., Colore che temevan gastigo rimaserò per si
ilUo Darlare qmeLi e con isperanza, Impadronitosi l'esercito
vittorioso di Tmviri, Civjle e Classico scrissero a Ceriale:
c:Ve8p88iaDO,. se ben tenuto segreto, esser morto: lloma e
ltaIia per' guerra, ìnteinseca , strutta: Mociano é Domiziano,
nni nomi I18nza fur.ze. Se Ceriale voleva l'imperio delle
G.allief , si. conlBntaN.ano di. starsi ne' confini de' lor paesi; se
CMlÙialtent.; lIè anche.ciò ricusavano. » Egli loro non rispose
e mandò lIapporlatore a Domiziano. I nimici che divisi erano,
oumpmeNtda.OiJlÌ banda. Onde fu biasimato Ceriale d'averli
lasciati congi1Ji'leIlB, potendoli spartiti disfare. L'esercito ro-
JDIlD().' lrioceè e alfollSÒ· il C3l1lJlO, stato prima non, sìeueo. I
Germani. DOB . eran d' accordo,
Ln:viL Ciwile v.oleva aspettar le genti oltre Reno,
e perlo eRi terrore la fiacche fonze romane cadrieno: i Galli
che altro euér càe' preda del vincitore? quel che v' è di
I _41 fa ..LlraPf1D._o. o pip.olo ec., come .i .offrono l. siecità e gli
.equazloni.• 11 sapiente, dicevano gli stoici, s'acconcia a patire ogni cosa, alla
pila .1.... cM lo .atridori.del.vertlo , lo .temper.mento del cielo, i bollori deD.
a&ate; i'morIùe sIi ,altri CIIi••. ($enoe., De C01l$1. 44p. 9.)
s. E ,.,lio .../areUJ .01; il d~nno m'Siiore .. r~ vostro; voi ne soll'rirete
più degli altno
F

196 IL LIBRO QUARTO DÈLLE STORIE.

buono, es er i BeH , tut ti uoi o alla scoperta o col cuore, J)


Tutore affermava, le co e romane crescere col dar tempo a
unir i i loro ese rciti da tante bande. Il E ser pa ala di Brel-
ragna una le ione ; chia malene di Spa gna ; avvicinarsi quelle
d' Balia ; non mica ente nuova , ma spertissima. l German i
che es i aspett ane , non polersi comandare, non reggere ,
ma voler fare a lor modo. A vere i Romani più da duna re ;
con che solo i corr ompono ; e niuno esser sI di posto a com-
battere che di par pregio l non voglia più toslo riposo che
pericoli. 1\la venen do alle mani subitame n te , non aver Ce-
riai allr legioni che il rimasuglio dc" germani eserciti ob-
bligato a'Galli , e l'aver rottu (che mai nol pensarono) quella
can aglia di Valentino, saria l'èsca a far li lornar alla trappo-
la,' e darien o nelle man i, non d'un fan ciullo che più sa scr-
v irsi delle parol e e della lin un che del ferro e dell'armi , ma
di Civile e Cla sico, alla cui vista ricorderiensi quei tant e
vulle falti pri ioni , della paura , fuga , fame e vita chiesta
per dio. 'é te ner dalla loro i T revir i e Lingoni per am ore:
man cata la paura , ripiglicriano l'armi. II Classico approvò
il parere di Tutore, c d' accordo ubito fu e eguilo.
LX . 'VI I. ;'\l cssi gli bii e Lin gon i'nel mezo , nel destro
corno i Batavi , nel sinistro Brulleri c Tent eri, part e ne'mon-
ti , altri tra la Irada e la Iosella , a altarono tanto alla
provveduta, che ' er iale nella ua camera e letto (che quell a
no tte era fuori de uli aìlog ' iament.i) a un' olla se ppe i suoi
esser combafluli c perd ere. seridando i riferenti di tanta
paura , sino li che vide con gli occhi In gran rovina , guast i
..li a llo ~ "iam enl i delle legion i , in fuga i cavalli, pre o il pont e
di l\losella. da cui la cìtt à ò con giunta. Ceria le in tanto Iran -
zcnte franch issim o , con le sue mani pigne" a in dietro i
fuggenti: ilio i disarm ato tra " armi; con ques ta felice le-
merità fallovi ac correre i forli imi , riprese il ponle: lascia -
tovi eletta guardia , tornò al campo . Vcdendov i le squad re
l _li. ,Ii par pregio. "l'rrmio ugu.l e; ..tendo uB" .l. il premio 5i d.ll.
lluo,n ' ome.lell. P' e.
, l' "e" roìt ..... q".lIa canaGlIn d i " al.nllno, ' MI. l'b•• nfarli ' Or-
na,.. alla trappolll.. eli i1l1eUf!rt llht "n Ol'C! temerità. C,m"lfittl, pntl la ,I,) lrhio)
"tm ~ appun tn " r j.r('(u,dit"", ma",,,,, , .. che IJOII 'tuo1 alu e ail;oiGcliare e non
"ha mun d l gent e dove nou cu aleun o rdine di rn ìli eia.

7
IL UBBO QUARTO DÈLLB STOBDì. 19'7
deDe legioni prese a Novesio e Bonna disperse, rari aD' in-
segne, e l'aquile quasi prese; acceso d'ira disse: & Voi non
lasciate FIacco, non Vocola. Qui 'Don é tradimento: non ci
ho fatto altro errore che creder che voi, dimenticato la J.ega
gallica, vi ricordaste del romano sacramento. lo sarè-anno-
verato tra i Nomisii e gli Erennii, acciocché tutti i vostri
legati muoiano per le m~ vostre, o dati a'nimici. Andate a
Vespùiano, anzi a Civile e ClaSsico che sen più vieinl , e
dite come voì avete piantato il vostro capitano nella batta-.
glia. Verranno le legioni, e non lasceranno me ,senza vendetta
né voi senza pena. Il
LXXVllI. Diceva il vero, e da'triboni il maestri del
eampo il medesimo si'rinfacciava. Ristringonsi in compagnie
e frotte, non si potendo distendere in battaglioni, perché il
nimico era sparso qua e là, e le trabacche e le bagaglie im-
pedivano, combattendosi dentro allo steccato. Tutore, Clas-
sico, Civile, ciascuno nel suo posto sUgava i suoi a combat-
tere; i Galli per la libertà, i Batavi per la gloria, i Germani
per la preda. E avevano tutti i vantaggi, sinché la legion
ventunesima, più dell' altre larga, sostenne impeto, eri·
pinse i nimìci, i quali, non senza divino aiuto, motati gli
animi di repente, in su 'I vìneere voltaron le spalle. Dìee-
vano averli spaventati le fanterie rotte nel primo affronto,
che riunendosi in cima del monte, parvero aiuto nuovo. Ma
fo pure loro cattìvìtà , che lascìàrono la vittoria per ìstrap-
parsi la' preda. ceriale, che per tracoranza ebbe a rovinare
il tutto, per francheza d'animo lo racquistò. Seguitò la for-
tuna; 'è gli alloggiamenti nemici lo di medesimo prese e
arse.
LXXIX. Poco posarono i soldati. Gli Agrippinesi doman-
davano aioto, oll'erendo la moglie e sorella di Civile e la
figliuola di Classico, lasciate per pegno della lega: e in tanto
uccisero i Germani sparsi per le case. Però con ragione si
raccomandavano, temendo che i nemici, rifalUsi, non si ac-
cendessero a speranza o a vendetta. Perché Civile veniva
via assai forte: la più ardente sua banda, composta di Cauci
e Frisoni, ancora intera. la quale era a Tolbiaco l tenitorio
• To/biaco, oggi Ziilpicfr.
17'
t18
3l:rippincse; ma ,'oliò a dietro per In uova dell ' s'e re
sta ta d i falla dOlI li A'rrippinc i co i o tI' CI' loro pieno
il ventre, uhh ri a ', addo rmentali rate I porte, filLovi
faoco, a rsili, Ceriale in 'e me li ce r. a Iuria, E Civile
obhc un' nltra puura , n n 1:.1 ) gioo quattordicc ima in ieme
con l' nrrn Il li il nna mole. la ' no i Bat avì dalla part del
ma re.. a l~ WO Prisc I ~ ato cond usse que lla leulone per
ter ra n ' • "ii C T UI " l'i c Il o' popoli li s' arreser o, L'ar-
mnta nssallroao , c le navi in m a gior parte pr sere U aflon-
clara o i Can uinefnti , c ruppero una mo ltl tudine di ' l'vii
mossas ì a uuerra per li Romani. Cla sico uucora ruppe i ca-
volli ma nda,li da Ceriale n' Novesio innanzi, I qual i pìcce li
dnn " la "p si, iulorhi . ano la fama dell: fresca ìttoria.
T. ••'.' . In questi giomi .Inda no fece ammalare il
fìaliaclc di "itellio, oslrando che a stirpare la di cordia con-
vc.ni. spe 'nere i semi: c UDII volle che Anlo nio Primo Io se
dc' co tigian ì di Domiziano, per ee losìa del tanto favore dc'
SI/Idoli c per la sila llltcrigia -ho non pa tiva cz uali non che
SIII fiori. Va nne utonio a Yo pasiano , che 11011 "Ii fa Ic
car zc ch ' ci " 3 ottava nè ma l vi o : tirato tla lilla banda
da ' meriti I ave ndo senza d uhhio la condotta d' ntonio fluita
la Ile l'I' , d311 ' altra, QOII rislava l uciano di scr tve rne 'Ii
ma le . e l!:II ' uno ID nocivo o stoso l' urtava: aveva ad-
dos o tIi 'l'ali peccati chia mava con su arroganza da di co-
sto ID livoa lienza , troppo ricordando i uoi uieriti. Diceva
li Itri po tronì : Cecilia pri gione a rrenduto, Gild e a poco il
)I li o a t • inno cadde (Li collo,' senza perb ùimo trar lo.

t ' .. :1. I n quella state che Ves pasiano in Ales and ria
dimorò, a penando l' et csie " p l' navi gare I si vide miracoli
che il ci lo I: gl ' iddii " a ma van o. Il povero ci co d'Alessan-
• e.J~/~ di eotl«, v ne in di istiml .
! l' n 'Iii. .. Ouo giorni l'rim a del D'I<'" .lellA c. ni.o h (di•• Pl inio) l' i.
rma gli .quiloui c cii aprclloautl prodromi.. Due giorni ,forQ ri("omind ~D o rege-
Iarmente p<" allri flun1nh~ e ai ;lpptUano t luie. · ) tJ le etesie sono (o.. e~
G . sa..... '. 111, 10 7) coni ,..ime ehi nayj .h Alt IIJr io. D un"", T ..
cltc 000 T u o I 'lui ìn1etulll:rt delle etesie. InfAuì dice .. s tato » lI'IUvi.fj1lJ ltÒII.I
die$••~ 0pP ",.l t!Jat u,.,,, do"" , i giorni costauu dei n nl i tlt CIi, ou.... i .;iorui nri
qu ali i \'en tl e.ti~ i. "Viri nlo re::ob rrnrnlC'Ji non eceitauo tuhite tcmp"k, et sou o
orl'o.lom .\1.
6io . 1 14 •• m, "br<,
.i . u one; i ')\l,Ii giurai,.e oodo V'sn'O, rrono d . 6 m' g·
~ LU&O oOllAllTO PELLE .sTOam.

dria, aB6Ii -noto, -4:0~gliato da Sera.pe. i~ !puneipaJe -4i


quella:,geale pie.ua di suMJ:alizionì., .gi.1lafvu alle gioooelroiui.i
Vespasiano, piagnendo il pregò, volerlo alluminare, 1le ~
e g~ ~hi .immoUa.ndegl.i. 4:OIl la sulciliY.a. U. aìtre , rat-
tratto d'aoa ,JllUlo, per 10 .eonsigliG 1JUlà~. di CarIasi~
care daUa pianla .dei 'JIoÌè di CeJat"~ ~l pregò. Egli 'J6 IWI zi-
deva-e maDda..aU vià, E pur queUi .r~PDdoIQ, oHatemeva
d'.esser leàUtD vano, ora j)6f li .iC9llgiuri 10f,Q e per le \WQ
delli adulanti~ eD.l.ran. in ispea.uzll. Fece )'oderea'..medic.i
se.a tal cec.ilà e raJ:trllÙone era rimediD WDano. CollaPooo
«·oàe la luce IWIl era IJB,I'-dula.l.e1eTando~ile ~atle, ~
drehbe; l'-all1lO avea.i mosctU .slgm ·.e;poLrJ,ensi. con medica-
menli sanare. :Ma che Cor.se aveano ~'~dii a /iuesladi...ioa
cura ~61lo Gesar.e. :E cile 'alla Une l'iusceado, iocçherebbe la
gloria a. kU,e lo ilCherao.• que'mìserì , Dell.rWiCeQd9.» Pa-
rendo aduaqae a VeIlPasia,ao alla fQl'lll1lél llUa piaeo ogni casa
e nulla incredi1lUe, cen .lieto "olta, 110B balleodo.ooobi il
popolo, eseguì. La IIlllDOinconl3llenl.e s' adopew, ·e il cieco
vide. ' Dell' uno e deJl'.a1bo <ciba .l.estimoai di veduta .anOOI"
oggi che BOJl peS&QIl& .guadagnare della menzagna!
LXXXII.,Si .aecese il VespasiaJlO maggiol: vuglia -di an-
dare al tempio 8 IDteadere'de' !alli dell' imperio. Entrovv.i
s . , e adoraulo.quello iddi.o. sivWe dietro OD sacelXloJa
de'pincipali d"EgjUo, DQIl\aW Basìlìde , il q.aIe sapeva che
non era in A.leisaBdria. ma low.wo ilarecchi giQ,1;JlaLe e.raa-
late. Domanda per le .str..ade, .S6 egli è a!.aw vedlllo ue!Ja.ci...
tà: &almenle mette .go~ a ,cav.aUoe riavieu che iD quel

I Colltgia,ono .cfrt la l"ce non "a perduta. Lat.t • Medici vari« dis«
"""t. Buic non "t'am vjm [,uniIJiA. .. 11 verho CPJlegill"~ di cui la (4ou$ca
del MaDIU&i cita 'JII"'I10 .010 eJelrlPÌD del DauDoaLi, sigDifica Decretare O',en-
unaia.., nel consulto medice, -
I jl cUco ,vUt. Qui vOl\iOQo a mente le scrofoie c~ UD tempo soleane gua·
n..pr propria loro virtù,. i re crisliaDi.simi.
• cfr. non pp..... og..adty{7la'" d.ll. m....opa. • È uDparaw.o ~.
Tacito, uomo di sì buon senso e.erltere , scrivesse questi miracoli, mostnQdQ
d' anrli pu 'veri, almeno De,MivamOllle. Può dini c~ DOD fece e.llii allro cb.
rilèrire quù che ai diceva". cbe. q& int~~f"'" n"nC quoqu. m.morant: ...il
.a..bbe .tata dal bUOD politico ch' e,Ii era melle re in ridicolo siiatli .miracoli.soUo
Ili occhi di Roma superoUaio... Qua DIo a Doi gli spiegberemo come il oIItlldersi
"sIi oracoli e gli altri prodigii dell' etnico saeerdoaìc .• (IL P"touJ
IL LIBRO QUARTO DELLB STORIE.

punto egli era lontano ottanta miglia. Onde egli intese che
quella fu visione, e il vocabolo Basilide 1 voleva dire che ci
regnerebbe•
.LXXXIII. Dell'origine di questa divozione non parlano
nostri autori. I sacerdoti d'Egitto dicono che al re Tolomeo,"
il primo l\lacedono che fermò le forze d: Egitto , uccrescendo
in AIe sandria , n uovam ente edificata. t mura c tem pi o div o-
zioni, apparve in sog no nn giovano di a ra n bel leza , e sta-
tura ma ggior che uman a, e li (li - e che ma nda sse in Pont e
ìlda tissimi suoi per la sua imma gin e ; ch è buon per quel re-
,,'110; quella ed iu che l' a vesse sa rebbe gra nde e famosa ;
o vidclo entro gr an fiam ma salire al cielo. Sve gliai o dal-
l' ag ùro e miracolo, lo conferi a' acerd oti Egizi che ogliono
intende rsi di lali cose. Ma a pcndo es -i poco ra giona re Ili
Pe nto o di cose di fuori , dimanda Timoteo at cn ie e degli
Eumolpidi , fallu ven ir d' El eu i per prim o acerdote, " che
religione e che dio fus Il quelln. Tiruotc o intese da' pratic hi
in Punto , che vi era la cillà di Sinope e pocu lontano un
tempio per a nticn fama tenuto di Giovo Dlte , ! perché 1111<1
Iìgura di donna "Ii è ap presso, detta da ' più P ro erpina. Ma
a T olomeo (come è natura de' prin cipi) pauroso, poi rassie u-
ruto , più a' piaceri be a religione inteso, c ogn ' alt ra cosa
cura nte , ap par i lo medesimo giovano più terribile, e minac-
ciò di spc rde re lui e il regno , SI!II el no n l' ubbidiva. AlIora
ei mand ò a mbasciadori e presenti a Scidr oternide , 1I11ura re
,le' lnop ìì , 'O ll ord in che ne l nav igare vi itassero Apollinc
Pitio. Eb bero buun vento. L'oracolo rispo o chia ro. Amlnssonu
o riport as ono l' Immag ine di suo pad re e 1I0n di sila sorella .'!

t il ,,ocll601o BIII/lide. derivaDte da litt~lau" re.


I al,e Tolom«•• • Q_ti è Tolomeo I delta Sot". Ma Clemente Ales-
Slndrino ciò attribuisce I Tolomeo Filadelfo •• (R. Paltore.)
5 """,,"me..te ediJiCdll, reeent ....ente edificata da Aleu.Ddro Magno .
.. primo 6ace,.do~e. Lat.: • antiditem cQlrimoni"rlU1l.;' • Gli Eumolpidi
di_ndenti da Eumolpo erano i ..cerdoti di Cerare e presiedevaDo agli arcani sa-
cri&cii, • (R. Pastore.)
• di Giove Dite. • 10 un'antica ilcrizione d' Ancira, ora Angora, yeduta .
dal Tournefort, (Jl'oyage d.. Le"•• t, tomo II, pllg. ""li,) è scritto bolI BAIO
JIIErAAO ZAPAnIAI: cioè,loVi SOLIIlAGIIO SBBAPIDI.- (R; Puto re,)
I Il fallo ÌI raccontate .lquanto diversaDICnte da Plulareo. Vedi l' Opuscolo
D'/side e d'Osi,ide, § XXlIle legg. .
IL LIBRO QUARTO DELLE STORIE•. 201
LXXXIV. Giunti a Sinope, per lo re loro presentano"
spengono e pregano Scidrotemide, il quale tutto confuso, or
vuole ubbidire allo iddio, or teme del popolo che selama, or
mira i presenti e le promesse delli ambaseiadori. Tre anni
dura Tolomeo a osservarlo, pregarlo, mandargli più degni
amhasçìadorì, più navi, più oro. Finalmente appari a Sei-
drotemide un' ombra che molto lo minacciò, se più dimo-
rasse a fare le volontà dello iddio. Seguivano, tardando egli,
varie rovine e malattie e manifesta ira del cielo ogni di
aggravante. Laonde Scidrotemide chiama a parlamento e
dice, quanto ha lo iddio comandato; egli e Tolomeo vedute;
e quanti mali ne vengono. Il popolocontrastava al re, invi-
diava l'Egitto, temeva di se e circondava il tempio. Maggior
miracolo si racconta che lo stesso iddio andasse al lito e
s'imbarcasse da se, e che le navi il terzo di,.(cosa mirabile
a direi) soleato tanto mare, entrassono in Alessandria. Fat-
togli fu tempio secondo la grandeza della città, in luogodetto
Racoti, dove era la cappella antica di Serapide e Isìde, Cosi
si celebra l'origine e trasporto di questo iddio. So bene che
alcuni lo fanno venuto di Seleucia, città di Sona, regnante
Tolomeo terzo. Altri che il medesimo Tolomeo il fe venire
da Menfi, già gloria e sostegno d'Egitto. Molli dicono,
questo essere Eseulapio, perché sana gl' infermi: altri Osi-
ride, antichissimo nume di quelle genti, altri Giove onni-
potente; moltissimi il padre Dite, da certi segnali che il mo-
strano o argomentano.
LXXXV. A Domiziano e Muciano, non ancor presso
aU'a1pi, fu portata la nuova del seguito ne' Treviri. E per
certeza della vittoria, presentato prigione Valentino capitano
de' nimici, non perduto d'animo, e mostrava nel volto il
passato ardire e la flereza. Fu lasciato favellare per chiarir
sua natura: e sentenziato, essendoglinel morire rimproverata
la sua patria presa, rispose Il Perciò andarne volentieri. »
Muciano allora dìè fuori quello che più tempo s'era tenuto
in petto: Il Allora che per grazi~ delli iddii le forze de' ni-
miei erano abbattute, non essere degnità di Domiziano, fì-
Dita quasi la guerra, intervenire nell' altrui gloria. Se si
f pre6enlaoto; raaao il frueale, \' off.rla.
202' IL LIBRO QlJAR'EO DELLR !l'OOBIE.

trattasse dello stato dell' impecio e della salute delle Gallie,


dovrebbe .la persona di Cesare tt'tlvarsì in, campo. Cannine-
fati e Batavi essere imprese: da minor capìtanì, Bìsedesse .
egli' in Lione: mostrasse· dà' .. ieìno-l' imperlaI grandeza e for...
tuna, non intrigato ne'pericoli piccioli, e pronto a provvedere
a' maggiori.» '
DomiziaJro attiD1l8 l"arte, 1 ma 4101 fare.ìl sempliee, mo-
strò osservansa, e'ando8lenea' Lione. Donde si crede che per
segreti messaggt egli tastasse Ceriale, se, essendo quivi,
gli conségnerebbe l' esen:ilò e titolo dell' imperio. Se egli di-
segnò far guerra-con qrreUefotze:al padre, o. fortificarsi con-
tro al' fratello, non si seppe; pereaè Cariale con destreza
salntìfera il trattò da fàuciullo bramoso Q vano. Vedendosi
Domiziano da' -recchi ilpruar.e come giovane,. nou. s' impac-
ciò più de' fatti dell' imperio, belWhè· prima usatì, e menomi.
E s'immerse, quasi semplice e. modesto, nelli studi delle
IeUère e nella poesia, per nallOOndene.il suo animo invi-
diante il fratello, alla cui; nalnra. di~rsa e dolce. poneva no-
me contrario.
I alti,..." l' arte"COD1pr," 1'arti6rio.

_ _o
203

.IL LIBRO QUINTO DELLE STORIE


DI

GAIO CORNELIO 'lfACITO.

IOIIMABl6.

I. Tito dal padre scelto a domar Giodea..Sua troppa -'


accampa-presso
8 1
Gerosolima.- n. Origme de'Giodei. -'III. Religione o "GiP' - IV. 'Paese
e CODIini, balaamo, Libano, Giordllllo, la9&,bil1aiall8O, eampl di ioee, 4nltla
che vaDOO in cenere, fiome Belo.- VIII. Gerosolima capitole: tempio in im-
menso ricco, Giodei m fiore solto gli Assiri, Medi, Persi, Macedooi, e lotto
ill<rl'ropno seettro.-IX. VIIria 'lor- sarte sotto ai ftomaai. -,X. Gawra p-
daica nata .ollo ilpracurator Gessio Floro. CllItio Gallo di Soria leaato spesso
vinto. In un punto tolto occupa"espasiaoo, Iuor che Gerosolima. - XI. Caccia
Tito tra le DUmI i Giadei _Iiae e la cittA -.Ie. Fem.onioni di qlJesta.-
XlI. Duci de'Giudei.-XIIl. ProdisiiBDIÌ l'assedio. - XlV. CariaI., Qmo.
vato l'esercito per la Germania.1 riapre la goerra.- XV. Varie pogne or a
(;iVJle 01' 8 Ceriale fortoaate.-llIX:Va CiVile e n'isola &e'Batavi.-XX. I
romani preridii ùnl8de. - XlI, Sorvi8ll Ceriùe, e OIDflÌa sorte. - XUI. Per
,poco accortezza è qoasi oppresso. - xxur.Fa mostra Civile della naval oste. È
lì Ceriale: correnoovo nschio pél Reno che monda. - Xl\ìV. Legioni in pe-
riglio"CeriaIe e.Ciriie'trattan ,di pace. -llI\'J. CiYilechH.to abb_to,
llillltraaiinchioato ad arrendersi,
AIIIIi di a-a 1ICCCn11'. (di CriIto R.I
l. Nel principio di quest' anno Tilo Cesare eletto dal pa-
(Ire -a tlumar'la 'Giudea, famoso in guerra quando ambi eran
privati., e tanto ,più allora che gli eserciti e i vassalli l'ado-
'R\'8Do:a tJ8ft, ]161' aacor mostrarsi maggiore, eOlDJl8'lÙa
-adorno e prento 'nell' armi, affabile e attrattivo si mescolava
tra'menomi a lavorare e marciare, mantenendo però suo
grado. Bìceveronlo in Giudea tre legioni, quinta, decima,
quindiee8ima, antiche di V~a8jano, La 'Sorta gli diè la do-
dicesima e le venute d'Alessandria ventiduesimae terza. Ac-
compagnavanlo venti coorti d' aiuti, oUo bande di cavalli,
Agrippa e Soemo re, gli "8.Ìati d'Antioco,1 e forte mano
..
« ~pa • 6oemo re,," IIÌldI d'..tlltloeo ec.; cioè, ~I_ rippoti,
re cleJla Traconitide e d'una patù della Giud.. (vedi AIlII.XII, 23; Hor. II, 8i),
Scemo re degli Itorei, di coi fa menaione anche'Dione Cauiu, LlX, 12, e AIItioco
Epifane, re de'C_seDi, ricordato sopra, HL. Il, !!5.
IL LmRO QUINTO DELLE STORIE.

d'Arabi , 3 ' Giudei nimi ci , come dc' vi ini u usanza. Molti di


Iìnrna c d' Italin tras sero al prin cipe , ancor non prov ìsto; '
per guadagnarlosì. Con que la oste entrato nel paese nimico
in bella ordinanza. il lutto riconn ciuto, pre lo a combattere
pre so a Gerosolìma "accampò.
Il. • Ia dO" COl!O 1I0i na rrar l'ultimo fine Ili si famo a
cHlà , convien dirn il prin cipio.' Scr ivono che i Giudei fug-
gili di Candia" si l'o ero nell'ultima l'arie della Libia , quando
Saturno fu da Giove caccialo del re no. Ar zum eut anlo da l
nome , perch é chiamandosi " Ii abitatori d'Ida , famoso munle
in Candia , Idei , voullono che poi con a ggiunla barbara .i
licesseru Gìudei. AUri che, re gnan te J id , . or erchinndo in
Egitto la moltitud ìn 0 110 Gera olimu e Giuda capila ni,
ora ò nell terre ricin . • Iolli (anno i Giudei Eti opi , forzali
da odio Il paura del re C reo Il mut ar paese. Allri s ir i, per
car lia di terreno impadr ouìti i di parlo d'Egitto , ind i abi-
lalo cill à > pae i Il' Ebrei e confina nti a oria. Altri dann o
loro origin e molto chia ra, che i Solimi , en te celebrala da
Omero ,' edificarono lero clima e poserle il nome loro.
III. Conven gono i più be e end o nai a per l' E gill o una
1 bh rt che guastava le corpora, l' oracolo d' Am mone coma nd ò
al re Boceori , chiede nte rim edio, che ncuasse il regno e cac-
cia se in altre terre questa g ntn odiosa alli iddii. CQ-j furon
tutti Iruvali , me- i in ieme c lasciati ne' diser ti ; e non fa-
• IlnCor IlIOn p,.O&l/" o. Lat .t _ ad/lUc _MCIUU";" libero, nOD occupat o d~ 11.
ni , come dit't il Dati, IItL e per a nco ra non aVeva all ri ministri o cùrltg i.1 oi. H
b,
~ clmvi,u dirn« il , ,,ù,clp;o. llll' origine" sui coatumi CI l ui riti rdigio!loi
(lei Giudei, T.l f'ito 113 "p_un malt e fahi li e Q D minore odio. E Ltn gli si rimIlto-
,.,n ebe In .atto potuto .alli" t re a l icure i orscDtì J let ;:; liu K piouostc di rate ata
I re le DOnne del voll;o ruman è. Epl)nre aveVI mì~liori 0rpo rlunltà d'idrui ni
sui Giudei , ehe uon sui L"b"j don. German i., .lo'qu.li, • I".ol.. i.,
f• •1 LeI
rit ratto,
5 I Gi"d,; fUJ(giti di c"ndla. T.cilo ~ .010 • • eeontar qU"I. r.. c la,
\'.,Ii Ortlli , i:::rcurSII' ad lib . r IIldar•
• t. br <ll<c da Qn.era. Il. lIo. uronlo ( lIi.d. VI , __7, Induaioo. de! :ll oul i)
rl1«ftu potei. ":'1' Sollmi : fu ~,lt .
r Cir lo . 101104) suo dir, l. 'I~U C
I['t'Wtl
ilI ... puS....
E nell' Odi..... lib. V, mentre Uli..o dirun... il cono aU'isola de'Fuci,
SiDdai mODti di Solima lo ICOne
Vele«liar per le .11,. onde tnnqaille
Il p.....I. Nell. .. eco IP'"DI.o"n.1

Dg" b Googlc
n UBRO QUINTO DELLÈ STORIE. 208
cendo che piangere, Moisèsolodisse loro, non aspettasson più
aiuto da iddii nè da uomini, poiché da tutti erano abbando-
nati; credesson a lui, dato loro dal cielo, col cui aiuto aveano
scampate le prime miserie. Con tal fede, senza saper dove,
cominciano a camminare. Pativano sopra tutto d'acqua, e già
moribondi stramazavano in terra per tutto. Eccoti un gregge
d'asini salvatichi satoIli entrare in una caverna d' ombroso
bosco. Moisè vedendovi erboso il terreno, li seguitò e trovò
grosse polle d' acqua che li ricriò, e camminarono sei giorni
continui; l il settimo, cacciati gli abitatori, s'impadronirono
di quelle terre e fecervi città e 'I tempio.
IV. Moisè, per comandar quella gente in futuro, trovò
nuovi ordini a tutti altri contrari. Quivi è profano eiocchè a
noi sagre; lecito, lo aborrito. Consagrò in luogo ricondìto una
testa dell' animale che mostrò il cammino e spense la sete,
e nn montone sagrificòquasi in dispregio di Giove Ammone.
Sagrificano anche il boe, che è lo iddio Api delli Egizi. Non
-mangiano porco, per memoria di quella scabbia che gl' in-
fettò, onde questo animale è difettoso. Confessano col molto
ancor digiunare la lunga fame patita, e le rubate biade, col
pane loro azimo. Stanuosì" ogni settimo di, perché in quello
finirono lor fatiche, e allettati dall' infingardaggine, le dedi-
cano ogni settimo anno! Altri dicono, a riverenza di Satur-
no; o per essere useìta loro religione e gente da quelli Idei
cacciati con Salurno; o perché Salurno, de' sette pianeti che
reggono i mortali, si dicà lo più alto e possente, e i più dei
celesti ordini girino ed operino per seuenari,!
V. Questi, bene o male indotti, ordini concedansi all'an-

• 661 Bio.."i conUnui. A relli6care tulta questa aarra.ione ..cdi E",.J. i 7. f


t Sla"".d, riposaasi. BulilioNuma.iaDo:
•••••• ~ • eIÙ /ri,id4 M6INwJ coNIi.
'"ti.
Sed eor /ri,idifU 'frU,ion.
SIptùnll qucrq"' dii, tnrpi damllata "etemo.
T..,..... ,.".ti fIIIOlli, bUIO Dei.
I L,,'ilico, xxv, .lo • L' aaao settimo siavi riposo di sabato pet la terra r
.ini sabate al Sisaote: aoa seminare ia euo il tuo campo, e aoa potar la tua ..i·
.Ina ee••
• Noa ••pendo la ragioae petcb~ .i .crapolosameate ouervaueto il sabato,
aederono i Romani che costoro ciò facessero a onore di Salarno I cui era CODaa·
nato il siotao settimo,
Il. f8
I la /d/ . Il y.leri ani rip rende Il ,'011'0 .l'. et .1. 10 .1 odio.o .eD'O .1 VDC'-
Lo' o '~da del teste, e 1101'0 a ~ r mostrate ebe T dio noa ~ eVI nsiona al u ua
di .itlJ~nre ro si le isllllll.i ui si nJ ; be , nell e quali li. IO ri onol I ui
c~le bu oDl, cc ac h iude c autoril" cl. i t , he {ad Don alLro imporll flui che
fi tt·;, int erpretand o co lÌ l utt o qutalo luo"'o: .. l riti giudaici, ili qualunque modo
s' inlroduetllno, po llon , t n Iter l,ili nt'll. Gitl< a re r ,. :mlirt nl1l ' U n
cbe li ton lagta; ma sembra . l n DO ehe ne Iere [lotti fO 111 piuic e drgli
..Itri pe poll , essendo p ur (011 fl'lulrui .JlIe ahitwlini lo ro e lan to ti ri per n o. ini
.1' . 11re n..ioDi! Eppure la IlIalili. di • elle rat ] d ÌJp re.. lo ri del w!lo p. l rio 01-
I t DDe eb e pre yaleJJuo...
, IAfede di lo_ l'a l-••• •ll" ,l it. i o.
J l' n .rolo Idd io con /~ "'plt", o CO" fd m ent « 6o/a . U iooe eSlSio t
ib, XXXVII, cap. III : .. nno ,t.trucnli dal , es lo JeSli uo nioi qu u i in tuue le
31lre cose C'be rigUU d:aDO la rnanien del V l~uef ma l'f1.ul:ip.all11ente in quet to I
c he non vene rano alcuno dt:gH l Itri iddii, men tre uno 1010 ecu lo mnu vene ra -
sione De adorano, Nep pure ebbero nai e iam mai in GttOl otimli alcun simu1.trro i
e gi udican do qurl loro Dio , inetf. Lile e r,j o di foema " u iLile, DrI cull o relig ioso
C'b é Gli prcsl lDo, superano lutti -U.ltri mOl l.IL F .1LL.t · rouo ill medesimo UII
tempio di m ole Imisu ral e 1.e1l1u ilno. ma pero sroprrlO e R nll alcu D l llo, e g li
delJicno no il fliorno el le eLlam i di Jluroo, Of' fJu le fu le cose che fui raDUO.•
t'e n e seno molle di sin goh ri. 1111 io alteeJ") modo (juesll' cioo .
(Le d:a qual un -
que opera aSi olutame.' t e ai .litro enD. .. - E d ..eJerai tu u e '1uasto capilu lu ,
ebe ben ri scb i~n Ta cit u , e ci r.mf'sl O COOOICfTc! (be con Uo tUDO i Roma ni
e i Gre ci .."er ano form ati dci C'oJtutlli e dclt. nri ione ,I i G IUJci.
IL UBBO QtJll'ITO DRL. 8TOUB. 217
non mortale.· Pero. iDlM'o e!t'tà, BOB ehe ne'klmpii, lIOIl ftdre-
sti una statua. Con queste non aduJano.re, né adoraD& Cesari.
Ma perché-i loro llleerde45 sonnan huti e tambari, ciDtid'el-
lera, .e nel tempio si trofi. &Da vite cf om, peBSlll'ODO alcuni,
essi adorare il Padre Bacco, che domò l' orieDte; ma non tor-
nano' le ciTimonie cii Baetlo gaie e liete, ClOD le giudee,
strane 6' scfrife-.
VI. CoDfinano eta oriete con l'Arabia, damezodi con
l' Kgftfòj dir penante e6B la Fenicia e'l mare;' da setten-
trione emrflr Sofia per lungo tratto.' GlI. 1IORlifti vi son sani
e da fattea: rare pioggie, gJ'81lHlo terreno, biade· come· le no-
stre:'ham, di più, palmeti aUi e vaghi; e 'l balsamo, piccolo
arbore, del quale veIftlto in saeehìo, se intacotri UD> ramo con
ferro, le vene ~eiano;· erolt ievel"lll di un 888e6 o coccio,
versano- liquore' m'edi.einale. n monte Libano è il più atto, e
sì ombroso che a maraviglia iR tanti ardori mantiene la ne-
ve. E quindi ne seatnrisee il fiume Grerdano. Questo non
mette, come gli altri, in mare, ma fende due laghi, e rimansi
nel terz-o di giro ampissimo; del colore del mare; peggior sapo-
re; col pnzo ammorba i vicini; nOI} mosso da vento; non mena
pesci; non v' alia uecello, Bé si sa la eagtone.Cìoeehè vi si getta,
come in su 'l suole regge, e ohi non vi sa notare' come chi sa.
A certa stagione deH' aDBe' spulail bitume, liqllOl' nero che si
raccoglie coa arte, Insegnata, come l'aUre, da sperìenza.
Sprnzanclovi aceto. sspra; si rappigIia e per lo lago nuota.
Con mano ne tirano in 811 la nave un eapo , che vi corre '
~i Ila se e non ferma, sì noI tagliano," quando è carica; nè

t Tadto fa qui in poebe p.,oIe, e ..n.. aeeerger..uebelliss imo elogio della


religione giudaica•.
~ non to,."a1fo; Dn soaO'cODfonni, nea ai acecrdano,
, da ...uentrto... Con la Sorbo per lanlfO tratt«: Lat.: • .. opùmtrion.m •
later. Srri'" longe prosp.ctant;" cioè. gli abitanti di Geru..I• .,me vedono
lonlallO la Siria dallà parle di setto"l<ion e, 1\ Durnouf ..rba }' artificio latino
tradu""ndo:.leupu,nl'i"" """a....tt dan .. l. loi.. lain .u. c61. d. la Srri""•

v_ •. le l'me gIIiacc'a"". I:.at.: .. pap.nt l'''''''';'' • s. III adoperi'l I.rro le


""'DO .big.uiscoao. IO
5 e chi non vi la notare; cìoe, e regge ancora chi non vi la notare eome ee,
8 sI nol tagliano, sinlantochè noI tagliaDD. Ma 'lui li buOBO ricorrere al
DII;, cbe più chiaraml!llt. tr~D" cosi questo periodo: .. 1\ liquore è ... ro.di sua
nalura,. bagnandolo coll' acete si coogela e va • gana per lo lago. Allora 'luei
208 IL LmRO QUINTO DELLE. STORIE.

ferro né rame il taglia: fugge il sangue e panno mestruato.


Cosi scrivono gli antichi. Ma i pratichi del paese dicono che
il notante grassume (: 011 mano tirano in terra , dal 'cui vapore
e forza del ole seccato, lo spel lino CU li ace Ile o couii ,
come legni o S.1S i.
Y J I. 0 11 luugi '. pianura . dicono già ferlil e e da grosse
cillll popolata, poi per saette arsa: I vederscno i vestigi; c la
ter ra apparente rlnrsa " aver perduto l'um orc Iruttiticantc;
percioc h è "e nulla vi na ce o si "emina , viene erba, o sino
al fiore ;3 o vizo c come cenere, quel che pure 'i condu cesse.
Come io credo .he fuoco da ielo ardesse que le citt à, cosi
stimo che il puzo del lago infet ti la terr a e l'aria d'intorno
e le biade , e pomi d' ammorbala terra e ar ia ingenerali mar -
cisca no. 1" 1 mare della Giudea scende il fiume Belo, nella
cui foce i cava l'cna che mescolata COli snlnltr o i fonde in
vet ro : il ' l'cio' c piccolo , In cava influita.
VIII. Gran parte della Giudea consiste in borgora : hanno
qualche terra, Ca po della gelile e Ierosolima con Ire cerch i
d i mura ; dopo il prim o il il palagio: nel pi ù intimo il un lem-
pio di riccheza iufln ìta a cui • accostano soli i iudei: alle
porte v' ent ano solo i sacerdoti, Ientre l' oriente fu deuli
Assiri, Per i c Medi, i Giudei furono i più vili fra tutti i
suggelti: I pescia che lo vinsero o i Maceùon i , il re Anli oco 7
che I.. nuo cura di n ecosli.,lo , pr.,ooe colle mani un upo , lo linno .un. su-
perior parte della na.., e il rimanenle che è nel lago, len.. l'ainlo di niuno e per
le 110.. 0 laglie in nave e li raccoglie in m.... , e non resta 6no a ehe tu lo tagli
o rompa.•
I per saett« a~sa. Accenna a Sodoma e Gomorra. Vodi Cew... XIX, SI.
t la te,.ra apparente riars«, L1.t.: .'pecie tO""idam,,_ all'aspetto rilrll,
doè, che a .01 'federla li giudica rii..a. Secondo la Crase del NOllro polrebbe ere-
dersi riar.. alla lola super6de.
I vien erba o litro alfior.; cio~, il (rutto Don viene I matQrit~, o le ml-
lura divenla come cenere. Vedi Gioselro, ClUr. Cilld., IV, 8.
I il Breia, il margine, il lido.
S sllgletli. Tulle l' ediaioni banno s.rldetti, che non potendo.i riferire ad
Assiri, Persi ee., non li sa a ehi vada. Inoltre il testo ha rI..pecUssi•• pars
servitnllllm; donde Il maniColloche quel sIIrld.1I1 Il pretto enore lipogralieo in
cambio di suggelli. Però non mi lon Callo scrupolo di porre addirittura qutlla
comzione nel testo,
I lo pin,t,.o; cioè, l'oriente.
7 il re AnI/oca; cioe , Anlioeo IV Epifane, proCanatore de\lempio di Geo-
rUlalomlne. Vodi MaCCllb. l, 21.
IL LIBRO QtJIlllTO IIELLB STORIB. !OD
fece forza dì levar via la superstizione, mettervi i costumi
greci, e forbire la soza gente; ma non potette per la guerra
de' Parti, essendosi gli Arsaci in quel tempo rìbellati, I Giu-
dei, aDora che f Macedoni eran deboli, i Parti non ancor
grandi, e i Romani discosto, da se stessi s'imposero i re; i
quali dal volgo voUabile cacciati, ripresero il dominio con
l'armi, e attendendo a cacciar cittadini, rovinar città, uc-
cider fratelli, mogli, padri, e fare l'aUre cose che sogliono i
re, nutrivano la superstizione, puntellando lor potenza con
; la riverenza del sacerdozio.
IX. Gneo Pompeo fu il primo romano che gli domò; e
per ragion di vittoria entrò nel tempio. E divolgossi ehe
ne'luoghi seeretì Don era nè divina immagine né altra cosa.
Smantellò la città, salvò il tempio. Essendo poscìa l'oriente
per la guerra civile tra noi toccato a Marcantonio, Pacoro re
de' Parti s' impadronì della Giudea. P. Ventidio l'uccise, e
rlneaecìò i Partì oltre l'Eufrate. Gaio Sosio soggiogò i Giu-
dei. Erode ne fu fallo re da Antonio, e da Agusto vincitore,
confermato.' Morto Erode, un Simone, senza aspettar ordine
di Cesare, si chiamò re. QuinlilioVaro I che reggeva la Soria,
il puni; e li figliuoli d'Erode in terzo S governarono quella
gente già doma. Solto Tiberio quietarono. Comandali poi da
Gaio Cesare di metter nel tempio la sua immagine," presero
aneo l'armi; e per la morte di lui le posarono. Claudio es-
sendo i re morti o condotti al basso, diede la provincia di
Giudea a governo di cavalieri romani o liberli, tra' quali
Antonio Felice con ogni crudeltà e libidine esercitò la pode-
stà reale; ma con animo servile: avendo presa per moglie
DrusiUa, nipote di Cleopatra e d'Antonio; di cui Felice ve-
niva ad esser bisgenero, e Claudio nipote.
X. Ebbero i Giudei pacienza sino a GessioFloro proecu-
ratore. Solto lui nacque guerra: e per sepìrla Cestio Gallo
I con/n'mdto_ Il testo dire .n_it;. IO Ili fII .ccresciuto. IO Iof.lli GioselFo f
Flnio, G.er. Gi"d. I, 20, dice che IO Don pur Ili aeerebbe d'DD' IIroD lIillDl.
tDlti Ili ODori che neva, m. ooeoTO il regno, d.Ddolli il p.ese ropitOllIi d. C1eo-
p.tra, e, Il difDori, Glbaro, Ippo e S.mlril. IO
, Q,ullti/jo Y _; Qael medelimo cbe De toccò da ArmiDiq.
J i" terao, divi.. la lIeDle in Ire porlioni, quanti erano i S,lilloli 4'Eroc!e.
,'.1_ i"''''IIBllle. Vedi ,,111"_ XII, 54.
18'
IL UJIDO QVJNTO D&UE STODI'B.

le8alo in SOfia fece varie baUaglie fJ molle infelici. Venuta


l' Gra sua, Q per fasudio mortcsi, Vespasiano da Nerone man-
datovi, 00ll la forluna I fE\PoULazioJW e gran ministri in .due
Iìla!e viDll8 e p.se laeampagaa e luILe le eittàjeccetto Ge-
ru&a1emme. Il terzo .aDQO ,inleso alla guerra ckvile~ lasciò'
&4are j ~i. Pacifìcata Italia, riprese i pensieri delle cose
di .fuQfi, non sipotendo dar pace che i Giudei soli non gli
avesser cedutoje anche gli parve utile per ogni caso, essendo
principe nuovo, tener Tilo all'esercilo.
XI. Accampatisi adunque sotto lerusalemme, come di-
cemmo, presentò la baUaglia: i Giudei si misero in ordinanza
sotto le mura, per seguitar vittoria o avere ritirata, Affron-
tali da' cavalli e fanti leggieri, dspo battaglia dubbia cedero-
no. E falle molle scaramucce ne' seguenti giorni sempre al
disotto dinanzi alle porle, vi furon ripìntì. I Romani delibe-
,raron l' assaìto , sdegnando averli per fame; e chiedevano i
pericoli, chi p~r virtù, chi per ferocità o agonia di premii.
A Tito stavano in su gli occhi Roma, la grandeza, i piaceri,
tanto rattenutìgìì, quanto si penava a pigliar la città, forte
per lo sito, essendo in monte; e per le fortificazioni fattevi,
bastevoli quando fusse in piano. Avendovi due alli colli I ri-
pidissimi cinli di mura, con risalli da ferir di dentro per
fianco gli scalatori; e ne' due ripidissimi colli erano torri: le
piantate, in costa, di sessanta piedi; in fondo, di cento ven-
ti; in vista mirabile, che da lontano pareano eguali. Altre
mura entro cingono il palagio con la mirabile torre ~ntonià,
così della da Erode in onore di Marcantonio.
XII. Evviil tempio a modo di rocca, con mura proprie
di più forteza e disegno, circondato di loggia, sua nobile di-
'fesa. Fontana vìva," monti forati, vivai, citerne; tutte cose
da reggere ad ogni lungo assedio; avendo li edificatori anti-

t drle alti colli; l'uno delto SiOD, o ciu. di D.vid; r altro Aera, cbe fu
jl punto eminente della città, fiDCbè non fu abassato accioccbè non soverchiassc
il tempie, il qual•• orgeva sopra UD torao colle detto il Mori.. Aucb. ,1\ T.sso,
Ger, I:
Gerus.J....ona oIDo ..m8 poot.
D' impari alteul.
li Fon"' p/p.' il Sii... cb. pK dunami forlll'va due .tapi, -cio. la pi-
•• iD. di Solom Ja fiociD. del &100.
~ UBIlQ QVlN.TQ DELLE STO\lJ,Jl. .211

velato guerre aasai per li wro st.rav.apnti costumi; e Pom-


peo 8pugDater.e, mostJ:aLo quanto dovean temere e provve-
clere. E Claudio avaro vendè lor-e la licenza del fortificarsi;
0Dòe fecero iii pace ripari da guerra; e cresciuti in gran ge-
nia t dalle rovine dell' altre città, e là rifuggitisi tutti i più
proter'Vi; pel'ciQ __o l.urOO1emi. Tre capitani erano di tre
est'lI'eiti. SimoDe guardava le Dllll'aam,pisaime; Giovanni detto
IJal'giora,' il corpo della città: Eleazaro Il templo. Questi era
ferie di iliop; ~oei di numero e d'anni: ma tra essi segui-
VlIItO Ullfe, inguwi, iRcendi, e arse gran quantità di grano.
GiofaBBi .mandò seaLe, sotto spezie di far sagrillzio, a ne-
eidere E1~ e li &DOi: prese il tempio. Così la città fu di-
'fisa in due fazioai: . . IlPpressandosi i Romani il timor di
.faori gli unì. _
XIII. Apparsero prodigii (che quella gente superstiziosa,
DOD religiosa, coa orazioni o sagrifici non purga), nel cielo
eserciti combattenti; armi luccicanti, tutto il tempio di ha-
leni allumò; le sae porte subiW .spalancò; adissi voce sopra
umaoa dìee, «FuggirSi gl' iddii;» e grande strepito di fug-
genti. I quali segni più non faceano paura, persuasi da ri-
scontro di ~e scritture che in quel tempo risorgerebbe
l' orieDte; e di Giudea verrebbero i padroni del mondo, che
acceDOavaDO Vespasiano e Tito. S Ma il popolazo , secondo
uman de8io, a se appropriava cosi alto destino: nè al vero li
voltavano le 8ner.sità. Secentomila troviamo il numero d'ogni
età e sesso delli assediàti: armati i potenti, e molli più,· per
pari OSliDaZiooe di donne e uomini. E dovendo mutar luo-
go, più temevan del viWl'e che del morire. Contro a .si fatta
t creecìiuì iIr gran genia. Lat.: " magna eonluvie... alleti. ..
I Clo.anni de!!o Bargiora: Bargiora, <ioe, figlio di Giora,fu 8i",,* e
DOD GiO'"DDi, _ d o ril'lriace GiOlelfo, te.timonio più autorevole,
I che 4cce7lnaVtlno l'''Paliano e Tito .... Tacito accenna le predizioni
de' profeli ehrei e le a,pplico a Vespasiano e Tito, con ehe ragione se] ,. egli ..010.
Più 'iluperevole e che la ;,l...a interpretaeioue dia a quelle Gio••ffoFII.io, n.ll.
1,,4. l'I, &. n, 8. Che DOI1 fa l' adula.ione I lo .todio d'ac'luiotor la ll"Uia de' pa-
tell"'.• armati i
(1l..~.)
piJlenti, 8 molli pil'e eco Intendi:" Don solo avevano preso le
armi i poNti';.. cioè, quegli che avevano fOrle da ciò, ma ancora coloro cbe Don
le a.e,"no. 'Onde gli armati erano più di qu.gli cbe pot cvano le armi; e ciò per
la o.tioacioDe cbe eta uiluale sì negli uomini come Delle donne
212 n. .UBRO QUINTO DELLE STORIE.

città e gente, non valendo impelo e assalti; risolvelte Tito


Cesare osteggiare con cavalieri e vinee. Alle legioni divise
le cariche, e fermò il combattere, sifosser presti quantun-
que ordigni 1 mai trovaro antichi e moderni da prender
città.
XIV. Ma Civile, dopo la rotta ne'Treviri, rifatto in Ger-
mania esercito, si fermò a Campoveechìo, luogo sicuro e da
crescer animo a' barbari per le passate prosperitadi, Ceriale
gli tenne dietro, rafforzato dalle legioni seconda, sedicesima
e quattordicesima. I fanti e cavalli chiamati, dopo la vitto-
ria, sollecitarono. Né l'uno né l'altro capitano era tardo; ma
gl'impediva la gran pianura acquidosa, e Civile, con certa
pescaia fatta attraverso al Reno, vi volgeva l'acqua, e quelli
allagava. Cosi era il luogo di guado non sicuro, e svantag-
gioso per noi; perché i Romani son gravi d'arme, e nuotano
con paura; i Germani armati leggieri, allevati in su l'acqua,
alti di corpo.
XV. Punti adunque da'Batavi, i più feroci de'nostri at-
taecaron battaglia e impauriro, affogando nell' alle paludi ar-
mi e cavalli. I Germani pratichi ne'fondi, a quelli assalivano
non la fronte, ma i fianchi e le spalle, e combattevasi non
come a piede alle mani, ma come in nave qua e là ondeg-
giando; e trovandosi luogo fermo s'aggrappavano con tutte
le forze feriti con sani, chi notar sapea con chi non sapea,
per affogarsi. Ma e' si -fece più romore che male, perché i
Germani non s'ardirono a uscir dell' acqua e tornaronsi alli
alloggiamenti. La riuscita di questa battaglia innanimi l'uno
e l'altro capitano a sollecitare l'ultima prova per cagion di-
verse. Civile per seguitar la fortuna: Ceriale per iscancellar
la vergogna. L'orgoglio nelle bonacce t tirò i Germani, l'onore
i Romani. La notte passarono i barbari in canti e grida, i
nostri con ira e minacce.
XVI. La dimane Ceriale ordina in fronte li t;avalli e
fanti d'aiuto; appresso le legioni. Seco ritiene il fiore a tuttì
i bisogni. Civilè si presenta non in distesa ordinanza ma in
I Ilfouer prutì qlCa"t""q.e ordiB"i, fiD!aD!O <be DOD fo.sero preste
~ulDte mai macchine 'inventarono antichi e moderni ee,
I L' orgoglio ".ti. bo"acce, "orsoslio delle pro'p.ril~.
IL uno QUINTO BELLE STORIL 213
più punte.' I Batavi e Cugerni I a destra; gli oltrerenani a si-
nistra lungo il fiume. I capitani esortarono i soldati, noo
tutti in aringo, ma a qualuuque s'avvenieno ricordavano,
Ceriale, l'antica gloria romana, le vecchie e nuove vittorie'
« Spiautassono per sempre quel nimico perfido, poltrone,
v'into: gastigo- doverglisi, non battaglia. Pochi con molti
dianzi aver combattuto e sbaragliato il forte de' Germani.
Quello avanzaticcio portare fuga in cuore, ferite a tergo.»
Spronava ciaeeuna legione coi suoi proprii vanti, dicendo
a' quattordieesimani, domatori della Britannia: a' sestani ,
elettori di Gaiba imperadore: a' secondani, futuri consagra-
tori in questa prima battaglia di nuove insegne e aquila.
Passato allo esercito germano, lo pregava a man giunte, ri-
coverassono col sangue nimico la riva loro, il loro campo.
Tutli levarono lieto grido, parte struggendosi, per la lunga
pace di battagliare, parte stracchi della guerra, disiando pa-
ce, premio e riposo.
XVII. Né Civile schierò i suoi tacendo. _ Quel luogo
(diceva) esser testimonio di lor virtù, calcare i Germani e
Batavi vestigie di lor gloria, ceneri e ossa di legioni, ovun-
que volgasi il Romano non vedere che sue cateue, morti e
orrori. Non si perder d'animo per la dubbia giornata ne'Tre-
viri: la vittoria nocque ai Germani, che, lasciate l'armi,
s' empieron le mani di preda: ogni cosa poi esser sueceduta
lor bene, e mille a' nemici. Avere egli, quanto accorto capi-
tano poteva, provveduto: condottili a combattere in paludi
ove son pratichi, a' nimici contrarie, nel cospetto e col fa-
vore del Reno e delli iddii germani. Ricordassersi di lor pa-
tria, padri e famiglie. Sarebbe quel giorno o glorioso intra
: gli antichi o vìtnperesc neDi avvenire. » Approvato col per-
enotersì l'arnie e danzare (cosi usano)ll sno detto, incomin-
ciano la battaglia con sassi e palle e altri tiri, per attrarre
nelle paludi i soldati nostrì: e quei le schiravano.
XVIII. Consumati i tiri e rinfocata la zutra, i nimici più
furiosi con loro alte persone e luughe aste fediscono a da di-
• I.. più pu..te, co~ i.cbiere ordiaale I eunei, Lat.: • C"..t!fl._,
I C"C t r .. t, Il W alckeaocr Bli colloc. Ira il Reao e la ScbeMa.
• fe d i l C01l0 I feriscono.
se08W1 i' lJM'rolllauti BllJldatf, sdrueçillaliti; e. UDa &etia di
Bra«eri dalla ~etta peselIia ciel Reno venne a DUOtol e sllUmo.
pigliò, e mmpe.-a 1 le ~ti fY aiuto, ma le legiOlÙ IIOst_ero
la nrie:a: I« ferotità de' ai ..ici ealè, e s'aggagJiè la. .....
glia. Un BalaTG ~gitosj. Cuiale.li 1II0strÒ dr' ei rompe.,
rehM! 81.. spalle il niJBic8', matldaJlllo CllWlrlIi al fiae della
palude, OTe illaftno è' IRldo, coa 1IIa181 ~ia de'Cagemi.
Due bandll'lII1IDdatm col faggite. gli eiaser.o SplO"lVedati.
Udito. il grWe~ le.legioai ClIfiC8ron la fronte-. e· fllg~ i
Germaai al a.e-. E Tinenasi la ~tra ~.di, se le UlIVi
romane et'8.D sonecite a &eg1Iilarli. hmIIò anche i cavalli una
gtaD pioggia e .. 8Op,.uatanette.
XIX. L'attro di si 1Il3lldò la qut._dieelliJllla, Iegieae-
netta JIY<mDCia di sopra a A.im. Gallo; 8> Ceriùt rifornl
l'e&eftikJ COlI la decima venuta di Spaglla~ A. Cirile 'ftlIlDer&
aiuti da' Cauci-Non per m.ardi ciifemrer-eun l'armi la.ciUà
de' Batavi. Sgombrò quanto potè, il resto ar&l!!', e ritil'lJll8Ì Del.-
l'isola, sapende DOB" v' eBIlM aavi da far poDIe~ in allrw ma-
niera DOD esser pe!' entrarvi i 'Romani; anzi rol'inè l'ar.gine
fattovi da Druso Gennaniclo, e levò al Retto gf impedimenti!
al suo rovinoso COI1l6' in GaJtiSj e c08L lo letto del quasi seeee
fiume faceva parere terra' ferma che appìeeasse l'isola COJl<
la Germania. PasSlll'OllO il :Rerro mche Tutore e Ctassìeo e
cento tredici -seaaterì treviri, tra' qaali fu Alpino Montano,
mandato, come dieemmo, da Antonio Primo in Gallia COlf
D. Alpino suo fratello e 31m elle, con presenti e cOlllpassiOlle~
ragunavano aillti.di quelle geati arritchievoli.
XX. E l'imlIsevi tanto da guerreggiare che Civile as-
saltò i presidii n811m, spartiti in quattro borgm, cioè la leg.ioD
decima in Arenaeo, 2 la seoonda in Batavoduro, 3 e i faoti e'
c8'Yalli in Grinne " e Vada," B li' se, a Ve.raee., Dar. Eli SU8
sorella, a Classico e a Tutore ai8egnò a ciascuno la sua
schiera, con, isperanza, non ehe tlJtto' 81i: riuseisse, ma per-
t e rompeva, e avrebbe rouo,
'- I Armllco. olleuni enoloDO .ia Ae,.th o bt" pra..o lIerw.-, aelPUola
de' ialavi: altri, Arn/uim.
3 Blltuotlf'ro. L'Ukerl lo poni P"'5IO Billmb"r,.
" Grtnne, presso Drnten, Ma 1100 è oer10..
S f/«da. La credono H'amen.
IL UlUlO IlI'IL'lTO »ELLE .&TORII. ;ti~

eèè Bel :&e~r malie .cD8e ne verrebbe beR fatta .quakuna,


e potrebbe Ceciale, DQIl tr"PP" camo, per v.ui anÌ&i ~
e là IlCOnazaale, dar loro Delle maui. I deplltati csatn alla
deeima legiooe, ~aea4G per .diilk.ile assaltare g.Ii alloggia-
'menti, BCompigMarono li asciti a far Jegue; ocdso il ,mae-
stro del c.ampo,eUMtue otWai eeBturiooi e poohi illWdati. gli
,aUd .&Ì dile!16f8 Be' r;,ari. In tauto aRa. III&IW AH Germani
in Bata"ùwo lIrigava «li taglial'eull pente comiDcialo CGD
dubbia battaglia; la divise la notte.
XII. CM più pel"icolo assaIi,reoo, Cime Vada, e Clas-
.fico GrUme, Bèsi potea resistere essendovi DWl"li i .migIWri;
.va ~ altri BriguUco capitano di cavalli, fedele, come di-
eeBIID9,I a' Remai e nimW:o a Ci~ile, matemg ILio. CelÙ1e
een baona llIIo3JMI òi cav.alli ~r,se, e rivoltò la feduua. I
Germani No giltarea nel filUDe. Ciorile Bel ral.l.e8edi fa -ee-
lleseNW e saetlMQ: lasciò il cavallo .epallllè a Da9w.
e CQIÌ
.j &aJV1r9ll0 gli altri Gennaai: Tutore e Clasllico in barcll.•
.ie. Nè a~ allera l' armata romana li ·hovò (CQllle Iu co-
. .ndaU.) iD -queUa far.i8ae, per eada.rdia e aver io .altro la
a-ma sparsa. V.eramente Ceri.aJe era llU1lUo Jlel riiolvere,
e D.n dava WDlp6 aIl~ es~ ma dove l' ar~ .5lIACAva, lo
iaeeva conti evoli rispleBdere la fortuna. P-erò egli e l'.-er-
cito facevaao a tidàltza llU li or4iBi della miliria. E pechi
giomi aplW'eBSO, d' esser preso periò per~~ e w.ìme.
~XD. Tomanoo per aa~ da riredei" il campo • .si
faceva a Nevesi9 e BoRDa. per i8l'emarvj le legioni.senza
lilcHa .rlli.ama Bé .sent_lla, accwtiseBei GermaDi, gli
tesero insidie: una notte scura, ~ per ... fiwne, ~"lft9
nello :8teceaw seaza oi&acolo. Uccisi i primi, tagtiaroo con
....ia le Ceni alle . . ., e fa iluelle ~ impasteiati li
stooclleggia'Vano.' "-Itri SOltJllpigIial'OB l'armata; gittavaDo
rampiOOD:i, firavlUl le peppe. Prima cheti ]W far l' inganoo,.
pei 4i IriùA ri*,,~v.uo 11 cielo per .3Uerrire. Svegliati i
&8BJ.ai a SII8Il di Ietite. eeeeaao liell' armi, corron« per le
vie, pochi in coraza, molti spada e cappa. Il capitano son-
I CD_dicunmDJ lib.lV, 70. vodi aocbe U, 22. _
I in qrulle pelli {mpastoiati Ii stocchegKial'ano, Lat.t «suismet eo,.U..
U.l'.~I.s I~uchl.b.at•• UlUlo blltr e Orellil"5lJe tMlDrlis inveee di e.~iis.
.

216 IL LIBRO QUINTO DELLE STORIE.

naechioso e mezo ignudo si salvò per errore de' nimici che


presero la capitana col grande stendale, credendo lui essere.'
Ma Ceriale quella notte era giaciuto (cosi si crede) con Clau-
dia Sacrata ubiese. Le guardie scusavano loro catti...itade con
vergogna del capitano, quasi avesse imposto "silenzio per'
rion esser desto: perciò tralasciati i cenni e le voci, an-
ch' essi essersi addormentati. A di alto i nimici sen' andaro
per la Luppia con le prese navi, facendo della capitana offerta
a Velleda.
XXIII. Civile s'invanl di far anch' egli mostra di sue
navi, armò quante barche vi erano a un remo·o due: pro-
vide forza di batelIi,t armamento per trenta o quaranta f0-
ste: le barchette prese: vele fatte di sopravveste scriziate di
bei colori, a veder vaghe. Per luogo scelse quella larguta
come un mare, ove il Reno, con la Mosa in corpo, si tuffi!.
nell' oceano. Ordinò quest' armata, oltre alla vanità naturale
di quella gente, per impedir con tale spauracchio le vetto-
vaglie che venieno di Gallia.. Ceriale più tosto maraviglian-
dosi che temendone, mise in battaglia la sua: minore di nu-
mero, ma di remeggio, governo e grandeza di navi supe-
riore. Venute ad incontrarsi questa a seconda, quella a vela,
si fiutarono co' primi tiri, I e Civile non' ardi altro, e riti-
rossi oltre Reno. Ceriale saccheggiò e guastò l'isola de' Ba-
tavi e salvò (con arte nota de' capitani) i beni di Civile. n
fiu91e nello scorcio dell' autunno d'assai pioggie ingrossato
coperse la bassa e paludosa Isola in forma di stagno. NaVi
non v' era né da vivere, e giù per la corrente del fiume se
n'andavano gli alloggiamenti.
XXIV. Civile si vantò poi che polendosi allora (e i
Germani il volevano) disfare le legioni, egli con inganno
ne gli distolse. Riscontro n'è ch' ei s'arrese pochi di poi,
avendo Ceriale per segreti messaggi offerto a' Batavi pace,
a Civile perdono, e confortato Velleda e suoi divoti a scam-
biare, a 'grand' uopo loro, la fortuna della guerra, per tante

( c,.,dendo lui 016.,." eredendo cb'oSli fo..o iD quella.


I P,.oPpifle {o.... di ball,lli. Fof'a4 da1latiDO • PU • ad ....10 di molt;'
tudiae.
I "fintaro"o co' primi ìtri, Lat.:. 16,dlll4 t.lor"". lacm.•
IL UlUlO. QUINTO DELLB STORI\!- 217
rovine contraria, ad un bel merito col popolo romano. • A.
cagion di Civile essere stati ammazati i Treviri, accesi gli
usn, spatriati i Batavì: e trattone che' ferite, fughe, pianti.
Lui essere scacciato, sbandlto, grave a chiunque il raeeetta,
Avere i Germani peccato d'avanzo a passare il Reno tante
volle. Non armeggiassero più; perché loro essere e colpe
lroverieno iddii e vendetta. Il'
XXV. Mescolava con minacce promesse. E già bale-
nandeIa fede delli oltrerenani, dicevano tra loro i Batavi
del popolo, • non doversi cercare maggior rovina: non p0-
tere una sola nazione trarre di servitù tutto il mondo. Le
uccise legioni e arse che aver fatto se non chiamarne più e
più forti? Se essi avevano guerreggiato per Vespasiano, ecco
ch' ei dominava il tutto: se la voleano col popol romano, I
quanta parte delI'uman genere esser i Batavi? Dare i Reti,
i Norici e allri raccomandati tanti tributi, essi non altro che
virtù e uomini: poco meno che godere libertà; e dovendo
patir padroni, esser pure più onorevoli i romani imperadori
che le femmine de' Germani.• I grandi diceano, Cl la rabbia
di Civile aver loro indossate l'armi, fatto riparo alle scia-
.gure di casa sua 'la rovina di questa gente. Allora essersi
crucciali gl' iddii co' Batavi, che s'assediavano le legioni,
",' ammazavano i legati, si pigliava guerra necessaria a uno,
pestifera a tutti, Essere spacciati, non cominciando ad aprir
gli occhi, e col ponire il reo capo, mostrar pentimento.»
XXVI. Non fo nascosta a Civile questa disposizione e
pensò prerenirla ; straceo di tanti affanni e anco sperando
salvar la vita (ove gli animi grandi si perdono molte volte)
domandò abboccamento. Taglìossi il ponte a Vaale;1 i capi-
I perci,è loro e.Uere , colpe !roveri.no Iddii e v""della. Co.1 lo Neali.Dl
e la ComiDiaDo,.e DOD che il Volpi pODO Ullr. iD cor.ivo como sospetto. Ma o
...11'DD modo o DOll' altro qut,'le parole DOD daDno senso, Il teste ba: .1/ qltid
lIllra moliall,",", IlIdo/"u.rlam et clJpam, MlIc"ltio"em et deosfor« ... Ond.
parrebbe da raccoDcian co.l: IO percbè 'luiDdi inSillriO o colpa, 'lllinci IrovorieDo
idd;; o vendono. IO
I l' la voleano col popolo romano, .e poi avo•• oro volllto provocon eelle
armi il popolo roma.. o. Volerla con alcuno è modo fnquoDto nel popolo, o si-
snifica Voler m/lcMa o 6MBa con alclIno. .
I a Vaal e, Lesso. Valaalil, IO eeetro i misliori ehe baDDO IO Nda/ia.,.
ch'è iDcttlo ae .io il filune Yee.l, ramO orieDtale c1ellllDo, o il V.clat.
IL 19
218 IL' LIBRO QUlNTÒ DELLE STORIE.
tani vennero alle teste,' e Civile cosi cominciò: «Se io mi
scusassi con esso il legato di Vitellio, non meriterei né per-
dono del fallo mio né lede alle parole: trattammo da nimici
tutte le cose tra noi: ei cominciò, io rinforzai. Vespasiano ho
io sempre osservato; e quando egli era privato, noi eravamo
detti amici. Antonio Primo il sa, che mi chiamò per lettere
a tener che le germaniche legioni e la gioventù gallica non
passassero l'alpi. In Germania quelle armi mossi che egli lon-
tano e Ordeéuìo Placco presente mi ordinarono. Quelle che
Muciano in Siria, Aponio in Mesia, Flaviano in Pannonia.....
• IISlinero 411/1. t~e~ o come dicono "i FnDtelì tlb-G-f1il; I quatlr'occhi.
I Flapia... in Pann.nia. 11 Brotier, tndotto da R. Putore,coll supplisce
la tronel orazione di Ci.ile: • Flniano in PannoDia, Tiberio Alessandro in
Egitto•.Con pari studio Bat..i, CanDintCati, le vtterane coorti a iDdotta di Vt-
spa"mo mi.i io eampo, Se vi fu poi ostilità, 000 so $t a ragione o a torto. Vor-
rei i torbidi tempi anli imputarne che dubbia eolpa, Molte vi ha certo riprove Dè
obliate ehe ntlle stes.t guerre inclinai sempre alla pa"" e fa.orii i Romani: DÒ
mancherà ila me cbe tra RomaDit Bat..i Cerma e fedel .nunaa si rinnovi, Esortai
un .di .lgiurlllDeDto; ora eutr compiaceiomi ecneìlìstor di pace.•
219

LA GERMANIA

GAIO CORNELIO Tj\ClTO.

SOMMARIO.

I. Sito delll Germanil.-II. Abitanti indifl8ni; chi gli autori. donde


il Bome. Ercole. -III. TI barito; l'ara d' Ulisse.-IV. Germani pvi; lor
peraona. - V. Nalara del suolo e non dà oro nà argento, nà l' hanno in pre-
ftÌo.-VI. Armi, avaneril, fanteril e diseiplinl militarede'Germani.-VII.
Re, duci, sacerdoli.- VIII. Comele femmine sieno l'alenti e tenule in conio.
Velleda; Aurinia.-IX. L. divinità, i sacrificii; nessun simulacro.-X. Au-
apicii, sorti: lr..agi dei cavalli. eH uno sehiavo. - XI. Consiglirubblici e ra-
pnate.-XI . Accllle, pene l e eome si fllCeil fPuslisil.-XII . Giovani in
punlo d'asta e scndo fan seguito a' eapi: sono valenti e nominali. - XIV. In
guerra 88nono eon fede e ardore:-XV. In plce, eaeela e eeic. Ulliciide'ca-
i.- XVI. Città DÌllna; boJopte case, grotte I riparare il freddo e riporre
r.e ricelte.-XVII. n veslire.-XVIII. Matrimoni e eome severi: Il dole Il
dà il marito. - XII. Pudicizia; pena dell' adulterio; monogamia: tlgli 'Juanti
De V8Jll101!o.-XI. Edn_.ione: lDeceMÌoni.-IXI. Eredità delle ninucizie:·
..~iazione dell' omicidio: ospitalità. - XXII. Lavande, mense baralTe de' bria-
ehi: eollluite ne'eonviti.-XXIII. Bevande, cibi.-XXIV. speltaeoli, giuochi
di 8Orla.-XXV. Sèni, liberli.-XXVI. Non ll8l1rll: egricoltura :stagioni.
XlVIII. Costami partieolari a eiUCUB popolo. I Galli, lJÌà forti, paa8atiin
Germania, Elvezi, Boi. Araviaci, Osi, razze iguole. Treveri, Nervii, V8JI8ÌOni,
Triboei, Nemeti, Vbii, aangue germano. - XXIX. Balavi vengon da' Catti.
Mattiaci. Terreni addecimati. - XXI-XXXI. OriflÌne do'Calli, lor feglJÌa e di-
sciplina militar~; 'foli; sproni al valore.-XXXII. Usipii,Tenteri valenli nella
eavallerie.- XAXIII. Quel de' Bralleri occupato di Camavi e Angri.. ri.-
XXXIV. o.llJiIrini. C8B1mri. Friai.-XXXV. Cauci e loro Datarl.-XXXVI.
Cheraaci e F08i mti da'CaUi.-XXXVII. Cimbri, cillà pieeola ma gloriosa.
Rolta de' Romani. Germani lrionfati e Don vinti. - XXXVlll. Nwnero e co-
stami de'Svm. - XXXIX. BelilJÌooe e 'filtime nmane de' Sennooi.-XL. Lan-
sobardi. Bendigni. Avioni. Angli. Va'fÌDi. Endosi. Suardoni. Nuiloni·Nerti.
-XLI. ErmondUri.-XLll. Narisci. Marcomanni. Quadi.-XLlIl. Manigni.
Golini. Osi. Burii. Ligii. Ani. Elveconi. Manimi. Elisii. Naarnli j Alci loro dio.
Goloni. Rugii. Lemovii.-XLIV. Suioni prodi nelle navi.-XLV. Mare pigro.
Eslii, devoti a Cibele; raecolgono l'ambra. A' Siloni comanda una donna.-
XLVI. Peucini. Venadi, Fenni , Germani o Sarmali? poveri e feroci. Elusii,
~~. . ,
Seri... Taeilo quello libro l ' _ di R_ 851. (di G. er. 98.)
220 LA. GERMANUo

I. Dividono lulla la Germania da' Galli, Reli e Panno-


nii il Reno c'I Danubio fiumi i c da' ar mali e Daci lo rnon-
ta"n c,· o III paura reciproca. Circonda lo rimanente con
larghi golll l'oceano, ampie isole, genti c recni scoperti dal-
l'ul tima guerra. 11 Reno nasce nella ripida cima dell' all'i
rezlo, ' torcendo alquanto a ponente, entra nel setlenlriouule
oceano, Il Danubio cala dal non ardito giogo del monto
Abnoba, c trova molli popoli, sino' con ei bocche sgorga
nel mar rnaggiore: la seulmana" inghiottlscon paludi.
Il. Credo i Germani es er natii del paese: niente me-
scolati per arriv o o raccetto di fore Iieri: perché li sciami
che mulavan paese, non andavnn per terra giamai in ar-
male; e rade navi oggi flutauu" quel di misurato c, per cu i
dire, a noi contrario oceano. E chi, po posto anche il l'eri-
colo d t~1I0 pavcntevole e non conosciuto mare , lascerebbe
l' j in o l'Alfriea o l' Jtalln per la Germania, pile c brullo, di
cruda ari , incollo e spinccrolc a vedere, c non c è pa-
Iria? I Canlono 6 loro anti chi versi ( no' l)uali solo scrivono
le lo memorie ) che lo iddio Tulstonc, nato della lerra , c
Manllo suo li"lillolo. produssero quclln genie. l\Iallllo obb Ire
1ì ~l iu oli, da' quali furon dcIIi "l' Ingevoni in su 'I mare, e c;li
Ermiuoni vicini , lstivoni gli altri. Alcuni, per licenza d' nn-
tichit à, fanno, quello iddio aver più figliuoli , c da quei no-
minar i pii! genti, Mar i , Gambrivll, Svevi , Vandali, veri
nomi e anti chi, Germania esser ocabol nuovo e aggiunto;
perchè i primi che, pa sato il Reno, caccial'ono i Galli, si
di ero or Tun ri or Germani, dal vincitore, per la paura:
posr.ia si trovaron que l' altro di Germani. Ilnecontano ancora
che Ira loro fu ' reole, il più forte di tutti gli uomlnl.
Il I. Entr no in lmttaglìa , cantando versi con tuono cla
es i dello bardilo: secondo il quale gli animi accendono o
s bi olliscono i c quindi agurano l'esilu .Mla hall:l"lia , . li-
mando quello, non conserte di oci ma di virt ù. E tudiann
I {< m ont agn<. 1 monti . rpnii,
• ,l/ltO# ain r:he; ft d,m re • •
, 1.'1 4~tl/t """tJ" 11 $Uli r"iI L() ~t'a .
... fi'lCtt"O~ .IU ncercsndc , traseorreudn,
e .c non 6' d patria, le non li. SU;! l':llri.J.
• Citnluno ee.; i 10m antithi poemi Iurflllllu l'c.
LA GEIlIlANU. 221
in ,far soono. aspro, accostandosi alla bocca lo scudo, per-
ch~ la :voce, ripercossa, sia pili grossa e orrenda. Alconi ere-
dono che Ulisse, dopo quel suo lungo e favoloso scorrere,
traportato in questo oceano, venisse 'nelle terre di- Germa-
nia, li piantasse in ripa di Reno, Asehelborg; da lu.i detto
ti<lll.miP'l'/J~; e già vi si trovasse un altare, con8a8rato a Ulis-
se di Laerte; e sepultore con lettere greche ancor veder-
visi ne' confini di Germania e Rezia. lo tali cose non affer-
mo e non niego: ciascheduno ne giudichi a senno suo.
IV. E men vo con quei che tengono, I i Germani, per
niooo matrimonio forestiero imbastarditi, aver mantenuta
loro schiatta propria, sincera, a nìuna- altra nazione somi-
gliante: pero sono tutti, benchè in tanto numero, d'una
stampa:' occhi fieri, cilestri, pelo rosso, corpi graodi; atti a
uno sforzo, non a lunghe fatiche a lavorii a sete a caldo:
assueffatti a freddo e fame da queleìelo e da quella terra. I
V. La qoale, da pochi looghi infuora, è tutta selve or-
ride o palodi: verso Gallia, umida; verso Norìeoo Pannonia,
ventosa; ove si semioa, fertile: arbori da frutte non vi faono:
bestiame minoto assai,' è la riccheza loro sola e grata. Ariento
e oro non banno; se per ira o grazia degl' iddii, non so. Non
dico che non ve ne sia vena alcuna; perchè chi l' ha cer-
cato' ma poco se ne curano, o l'usano. Adoperano i vasi
d' ariento donati a' loro ambaseiadori o principi, alle mede-
sime cOse che quei di terra: se bene vìcìno! per lo traffico
pregiano l'oro e l'ariento, e conoscano & e pigliano le m0-
nete nostre d'alcune stampe:" ma, fra terra, s'usa il baratto
. t me.."O co.. quei cAe te..",..o, •• guo l' opiniooe di coloro che tengoDo ee,
, 60"0 tr.tti... ti' ....a 6tampa, h.nDo tutti UDa mede.ima foggia.
I da qUllI c/eh> e d. q..ella te~1'4 eco Valeri.Di: _DOD egualmeute dUrlDO
fstichee stenti; Dè sete • coldo .opportauo, I freddo. f.m. dal cielo. dii terren~
Illuefalti••
• be6Uame m/ .... to aI6a/. Omette molte, co••• 11 po.tillitore dell' e,.mplare
1IIuti.no di G. C.ppoui .upplisce cosi: _ be.tiame miiluto ....i, ma per lo più
piccolo; il gro ••o senll CO'Da; 1'aveme ....i è 11 ricchlUl loro ec.. E il
V.1eriaui: _ ahhondevo1e di be.tiame, m. piccolo per lo più: nè i huoi vi h'DDO'
pure .plendor di membri o di corni. Del Dumero .i compiacciono; e quale .ODO
le 101. e più gradite ricche..e••
, 6e bae ,,/c/1IO, aebbene i popoli viciDi.
I C07l06ca1l0. Co.1 la NestiaDI.
, le m01lete 1I06t~e d' alcune6tampt. oIcllll. monete di Dostro cODio.
~9'
LA GBBIIUNU.

delle merci semplici antico. Amano i coni reeehì lungamente


DOti, della sega, e carretta.' e più l'ariento che l'oro; non
perché e'piaccia lor più, ma perchèçal pagare le merci varie
e vili, son più commodi gli ari enti;
Vii. Del ferro ancora non hanno dovizia; però usano po-
che spade, o spiedi. Portano aste oggi picche' con poco e
stretto ferro, ma si trafiggenti e destre, che con esse com-
battono presso e lontano, seeondoil bisogno: a cavallo, ba-
sta loro scudo e asta: a piedi, tirano freecie, parecchi a per
uno, lontanissimo, ignudi o in farsetto.' Non premono in
ornamenti;' li scudi soli vergano di color gai: pochi hanno
coraza; uno o due, elmo o celata. Cavalli non belli, non cor-
ridori né di maneggio, come i nostri. Sproaanlìinaansi, o
a destra: vanno insieme si stretti, che nìuno rimane addi~
tro. La forza lòr principale é a piede; però combattono me-
scolati; con atta preporsìone, cavalli 8 fanti velocissimi, scelti
di tutta la 'gioveBtù, messi innanzi alla battaglia, cento per
cantone, tra loro nomati Centi; fatto nome di degnità quel
che era di numero. Ordinansi a punte} Lasciare il luogo in
battaglia, purché vi si torni, stimano arte e non paura. Por-
tan via i, corpi de' loro, mentre" la vittoria dubbia. Chi la- è

scia lo scudo, é il più vituperato; a sagrifieio, in consigliò,


non può comparire; e molti se ne sono impiccati.
VII. Fanno re i più nobili; capitani i più valenti:, non
banno i re podestà infinita né libera; e i capitani governano
più con l'esempio dell' esser pronti, andar ìnaanz], farsi ve-
dere e ammirare, che con il comando. Non é lecito gastì-
.gare , legare, battere, salvo a'sacerdoti; non per pena o
imperio di capitano, ma q,uasi eomaudatì da Dio, il quale
t i c-ni•••• d.U" "''', , c",.,.et",; .ioò le _ote oh. Nf'rilJlODO nel conio
la sega. la carretta; eh••i chiamavano $.,,.ati,' bigati.
I pkcJ,•• Coù la N.ltiana,. be... Il Volpi, S"altando,p;uo/e.
I l'liNee"'. Il poltillatore dell'_mpL 1lI.llitlno di G. Capponi mal ....
~ODcia ,. oclal.. '
6 N ,.,.. ......., i .. o....a...... ti. Lat.: • N.tu cult," iut41U.... p,..mer.
III .... " ...,a'ò quanto _",,...i impo,,"' ... a; "....... c prcna_.
5 a.plUite. Lat.: • pe,. C1Ule08.. .
Omentre" anche mentre ee, Nella Neatiana e Comiuitaa, nCHI ",e"t,.~; se
non eh. il Volpi mette il .. o.. in coroivo, per indi.... cIoeò 101petto. Noi l'ah-
biamo tolto a1liritlur. , pnohè il ~Ito .ì ripu811a.
LA GlUlIUNU. 223
credoDo stia sopra a' combattenti; e S08 immagini, da'bo-
echi tratte, pertaDo iD battaglia. E lo maggiore .prooe a virtù
si è che Don fanno lor ponte G frotte a CUO;1 ma cilleuna
di proprie famiglie e parenti, co' cari pegni aec:anto, per udire
Iefemioe stridere, e' figliaoliDi piagnere, testimoni saRti&-
simi a ei88CbedUOO e Iodatori grandillllimi. Porgono le ferite
alle madri e mogli, Dè quelle si spaventano di contarle e 1OCl-
ciarle. Porlaeo cibi a' cOlDhatteDti e gl' i,ocoraglPano.
VIll. Leggesi di aleu_ schiere già piegate e rimesse
Su da donne, co' preghi, co' petti, col mostrar che cosa sia
l'udare schiavo, a essi molto pio insopportabile per amor
delle donne loro. Onde cIIi tra gli stalichi dalle eittàpatteg-
gianti riceve fanciulle nobili, sta più sicuro. In esse credono
esser qualche diviDità e proVTedenza: tengen conto di lor
consigli e risponsi. VedelBlDO sotto Vespasiano Velleda te-
IMIta iddea da melti. E AuriDia e pio altre, furon già ado-
rate, non per adulazione, ma per iddee.
IX. Adorano SOV1'a gli altri iddii Mercurio, a cui hanno
per bene in certi giorni sacrificare uomini. Con animali
concedutì placano Ercole e Marte. Parte de' Svevi sacrifi-
cano anche a Iside. Non ho trovato onde e perché pren-
dessero questa religione, portatavi di fuori, come mostra
la nave che tengono per figura. Rinchiudere dentro a mura
81'iddii, o figurarli uomini, par loro discordarsi dalle gran-
dese celesti. Sagraoo boschetti, foreste, ove appellano per
Domi divinì quella iacomprensìbilità che, ado/ano.
X. -Ubbiet e sorti osservano pio che altri uomini. Le
sorti gittano grossolanamente. Tagliano una vermena di fruì-
tìfero arbore in pezuoli; fannoci lor caratteri; spargonli a
caso sopra una veste bianca. Cercandosi di cosa pubblica, un
sacerdote della città; se di privata, il padre della famiglia,
fatta orazione alli iddii, e gli occhi alzati al cielo, tira in alto
que' pezuoli, tre volte ciascuno, e giudica secondo che ven-
I .. o..Ì 'a...o /or prua" o froll' a ca.o. Lat.: .'nOR Ca,,., ••c forlalla
co",lo6atio 1111"• • • lIal CwtUllltjtU;it• • v.leriaDi: • DOQ • 'f'mtura Dè pu
acc:ouo fortuito formi oli a Iquadre od a eunei••
J l/bb/e. Ubbia è lupef5Liziolo se050 di relilliooe,ooo seOZl qa•.Ic:he arcaoo
ribrello versela cosa che tÙseOIO risveslia. Qui però lta selllf'lieemeole pernlla
OllUVallZIzeliSiou, e tnduee illaLiDo alUpic/a.
224
gono i caraUeri. Se la cosa non si dee fare, quel giorno pia
non se ne cerea; se maisl, ci vuole la conferma degli Aguri,
sapendo, come noi, -le voci e voli degli uecellì interpretare.
Il proprio di questa gente è pigliare indovinamento e consi-
glio da certi cavalli bianchi, nutriti dal publico in sagri b0-
schì o selve, non usati a servigio mortale: un sacerdote gli
attacca a UD carro sagrato. Il re o principe della città gli va
dietro, e osservano gli annitriri e gli slìutrari;l e a questi
hanno più fede che ad altro indovinamento, non solamente
il popolo ma i nobili e i sacerdoti. Questi si credono avere'
dalli iddiì il miD1jllerio, quelli- il segreto. Un altro modo
hanno d'antivedere chi vincerà le gran guerre. Mettono a
combattere un prigione, in qualeunqae modofaUo, de'nimici
col più valente di loro con l'arme di sua patria; ciascuno
che vince mostra che vìnceraano i suoi.
XI. Le cose importanti deliberano tutti; le piccole il
principale, intervenendo ancora a quelle che 'toccano alla
plebe. Ragunansi, se strasordinario I non v'è, a luna nuova
o piena, credendoli giorni felicissimi a ogni negozio princi-
piare. Non dicono a tanti di, come noi, ma alle tante notti.
Cosi soscrivono, cnsl citano; parendo loro che la notte sia
guida del di. L'essèr liberi cagiona questo disordine, che
non tattì insieme all'ora ordinata; a consumano a ragunarsi
due o tre di. Quando vi son lutti, seggono armati. I sacer-
doti che hanno balia di corregerli, impongon silenzio. Il re
o principale, secondo sua età, nobilità, splendor di milizia o
facondia, aringa, e può più persuadere che comandare. Se il
detto non piace, sbutrano;• se piace, percuotonsì l'aste: modo
orrevolissimo è con l'armi lodare.
XIL Puossl anche in consiglio accusare, e di cose ca-
pitali. Le )lene sono secondo i peceatì. I traditori e fuggitivi
impiccano ad arbori: pollroni, vili e del corpo nefandi, atra--
gano nella mota o paludi, gettandovi sopra graticci, perchè
I gli a....ttririe ,li ,b'!ffari. Lat.: _ lai....i/a' ac/remill". -
I '/rtJIordi..aria, straordinario. Cosi spello ancbe il Macbiavelli.
I a/l' Ora ord/nala, sottintendi'i ra/f"..ano, ebe dee trarsi dal membretto
el>e segue. Il pOltillatore dell'esemplare Neati.lno di G. Capponi auppllic:e, COlI-
Vengono.
• ,buffano. Lat.: -/r.mi,. .IÙJ'U"I."""'.•
U GERMANU. 221)
dicono, le sceleraleze dover vedersi punire; i fetori, nascono
dersi,' Le peccata minori puniscono in tanti cavalli I o bestia-
mi. Vanno mezi al comune, e mesi al danneggialo, o a' suoi.
In questi consigli eleggono persone principali a render ra-
gione per li villaggi e contadi," ciascheduno con eento della
plebe per lorò' aiuto e consiglio.
XIII. Né publica né privata cosa fanno se non armali:
arme non piglia, se non chi approvalo dalla città. Allora
è

nello stesso consiglio uno de' grandi, o il padre o parenle,


adorna il giovane di scudo ed asta, che sono lor loga e pri-
mo civile onore: prima stato membro della sua casa, al-
è

lora della republica. Gran nobiltà o meriti de'maggiori fanno


è

esser de' grandi ancora i giovanetli, i quali co'più robusti, e


mollo prima approvati, acconlansi ,I né si vergognano d'es-
ser veduti far codazo a un allro, e più e meno addietro,
come vuole il principale, e dell'andargli più appresse gareg-
giano: ed ei d'averne più, e più valorosi che tutti gli allri;
e spargasene il nome' non pure nella nazione, ma nel-
l'allre cillà. Quesla, la gloria, questa
è la forteza , orna-
è

mento nella pace, e sicureza nella guerra. Questi sono per le


ambascerie desiderati, di presenti onorali , e Spe880 le guerre
stesse Scacciano con la fama.
XIV. III battaglia vergogna al principale esser vinlo
è

di virlù;-a' compagni, non pareggiarlo. Chi di battaglia esce


vivo, dove il principal suo sia morto, in tutta sua vita vi-
è

luperoso e infame. Lui difendere, guardare, a lui prodeze


attribuire, giurano principalmenle. Combattono,essi principali
per la vittoria, i compagni per lo principale. Se la città mar-
cisce in ozio per lunga pace, i giovanetti nobili chieggono
d'andare ov' guerra. Gente che non ama riposo, ne' peri-
è

coli si fa più conoscere: e gran compagnia senza forza e


guerra non si mantiene, Perché il principale dona a chi ca-
t l/dori. "a.co"dersl. Lat,' • flagllla ab.co"dl.•
I iII tanti ca9alli; cioè, multando i rei in tanti te.
a per Il pllla,,1 e co,,"'dl. Lal.' • per pago. plco.q"" • Credo non over
lroppo .rbitrato correggendo co&!. in.ece di plllaggi e co.."'di"i, come li legge
ia tutte le llampe.
• accont4nd, .i accompaSDano.
, e 'parsa,."e il "ome, e che di ciò Iparga.i il Dome, ee,
L.l GERM.lNU.

vallo da guerra, a chi asta tinta di sangue vinlo, e in vece


di soldo, gran tavola, se bene alla grossa.E questa liberalità
esce dalle gnerre e prede. Non li faresli arar la terra per
aspettare un anno: pio tosto sfidare i nimici e procacciarsi
ferite; anzi par cosa pìgra e vile l'acquistar col sudore'qnel
che si puote col sangue.
XV. Quando nsn sono alla guerra, attendono qualche
poco alla caccia: ma il pio del tempo si stanno a mangiare
e poltrire: lasciando la casa e facoltà governare alle donne,
a' vecchi, a' più deboli; essi fortissimi battaglieri: maravi-
gliosa contrarietà di nature, tanto amare r ozio e odiar la
quiete i medesimi uomiai-I A questi principali per loro onore
e bisogno, i particolari delle città proprie danno spontanea-
mente la decima deIli armenti e ricolte. I particolari e il
poblico delle genti vicine presentano (di che fanno estre-
ma alIegreza) nobili cavalli, loro addobbi, magnifiehe armi
e collane; è noi abbiamo loro insegnato pigl1are danari.
XVI. Assai noto è che i Germani non abitano in città;
né pur vogliono case a mnro comune. Una 1JOi, -nna qua,
presso a quel fonte, in quel campo, in quel bosco,' secondo
aggrada. Fanno lor villaggi non al modo nostro con le case
conginnte; ma ciascuna ha sua piazoola intorno per sieu-
reza del fuoco, o per non sapere edificare: non 'hanno mat-
toni nè tegoli, non Ie~nami piallati o intagliati per belleza o
diletto. Impiastrano alcun luogo di terra si amnata che lustra,
e par dipinto a colori. Fanno stanze sotterra coperte sopra
di molto Iitame, ove si riparano dal gran freddo, e ripon-
gono le biade; e, venendo i. nimiei, saccheggiano i luoghi
aperti, e queste, o non le trovano, o rimangon cèltì per averne
a cercare.
XVII. Vanno tutti in saiorne' con fibbie, o, mancan-
done, appuntano con spine; il resto ignudi, e stanno intorno
al focolare tutto di a scaldarsi. I molto ricchi si conoscono

I III '1".1 bDICD è volato dal testo, e aniUllto dal Volpi.


, Vallllo CIIIU illlal....... Lat.:. T.Cllm.... Dmllibullagra..... La laltN"'"
o Ialo è uuoluugo veste di grosso panno, ch' ebbe origine e uome dal lago mi.
litare in UIO preslo i Romani, che lo ai sonappoaevano alle armi, e affibbia-
Vlnselo dinanzi, eOIDe il .appotto de' nostri soldati.

, -_.-. __ .~._-----
U GEIUUNU. 227
al vestire, non di roba larga, che sventoli, come i Sarmati
e Parti, ma assettata che mostra ogni membro. Portano ano
ohe pelli di fiere: i vicini al Reno poco le curano, i lontani
le cercano, perché non hanno traffico, né cose forestiere.
Scelgono le pelle delle lor bestie, e vannole indanaiando di
squamme I di pesci dell' oceano là ollre,'da noi non cono-
sciuto.
XVIII. Gli uomini vestono come le donne; se non che
queste portano veli di lino vergati di rosso, e non fanno ma-
niche, ma ignude mostrano le hraccia e'l petto; quantunque
delle mogli mollo sìano scrupolosi, né vi loderesti tanto d'al-
tro costume. Perché soli questi harbari si contentano d'una
moglie, se non qualche nobilissimo, che, non per libidine,
ma per esser bramato da molle. Non dà la dote la moglie al
marito, ma il marito a lei Jn tante donora a pìacimento
de' padri o parenti; non ornamenti, non borie: nn paio di
buoi, un cavallo imbrigliato, scudo, picca e spada. In queste
la riceve il marito; cosi ella porta a lui qsalche arme. Questè
credono essere i legami, i sacramenti, gl'iddii delle noze. ;E
perché ella non si creda nOD avere a pensare a virtù né a
cui di guerra, la prima sera le fatta la predica, « che ella
è

entra compagna alle fatiche, a' pericoli: in casa e in balla-


glia il medellimo dover patire e ardire: ciò significare lo pa-
lafreno guernito, i buoi aggiogati, le armi donate. Seco dover
vivere, seco morire. E le cose che ella trova, salvare a' suoi
figliuoli intere, e degne d'esser rendute alle nuore e nipoti.»
XIX. Vivono adunque ben guardate e pudiche; non a
spettacoli, non a conviti invitate o corrotte. Né donne né
uominì hanno squisiteza di lettere, Seguono in tanle genti
pochissimi adullerii. La pena è .eoncedula subito al marito.
Tagliale i capelli; trala I di casa ignuda in presenza de'pa-
renti, e scopata per ogni villaggio. Né anche a fanciulla si
perdona, roUo onestades per bellà, età, rìeeheza non trove-
rebbe marito. Perché là non si ride de' vizi,e non si dice:

, "47IItol.'"4.".'.,,do dilq'Ulm....,biliouand9, tempestcnde, {"d.".i.'.


nle .pugere di macchio piccolee tonde come un danaio.
I ',.la,la trae.
228 LA. GERMA.NIA..

« Il temporale il dà. »I Ancor meglio fanno quelle cittadi ove


non si marita che vergini. Cosi la moglie una sola speranza
e amore pone a un solo marito che diviene suo corpo e
anima, e sicuro che altri ella non brami, e lui ami come suo,
non marito, ma maritagglo." Bacchiare" i figliuoli nati, per
non ne aver tanti " è tenuto scelerateza. E quivi vagliono i
costumi buoni più che altrove le buone leggi.
XX. In ogni casa ignudi e sporchi, crescono in questi (a
noi maravigliosi) corpi e membra. Ogni madre de'suoi figliuoli
è balia. Allievansi tra 'l medesimo bestiame, in su la mede-
sima terra, i padroni che i servi: l'età gli fa separare, e la
virtù conoscere. Tardi cominciano i giovanastri a generare
e metter barba: le femmine alsì" mantengono giovaneza, e
crescono di persona quanto i maschi: appaiansi robusti e fat-
tìcci, e tali vengono i figliuoli. Stimano i nipoti di sorella
non meno che si facciano gli stessi padri. Anzi questa con-
giunzione di sangue pare ad alcuni più certa e santa; e son
presi per ostaggi più volentieri, perchè stringono più gli ani-
mi, e obligano più famiglie. Redano e succedano nondimeno
a ciascuno i propri figliuoli, i più prossimi, I ciò sono fratelli,
zii paterni e materni. Quanti più parenti e congiunti ha il
vecchio, tanto più è grato; e chi non ha,' è tenuto a vile.
XXI. Bisogna pigliare cosi le inimicizie come l'amicizie
del Padre e del parente. E non durano eterne; un omicidio
si rappattuma con tanto numero d'armento o gregge, e tutta
la casata se ne contenta, con grande util publico, essendo
• ,non Il dlcc: • 1llcmporalc il dà; • cioè, eosl permettono i tempi. Il
hl. ba: • nec corrumpere et corrnmpì Itrc"llun vocetur... PaUli:" nè del
eorromper altrui il dell' e•• er corretto .i dà eolpa al viver del secolo.•
I non martt«, ma marilogBlo. Politi: • pigliando eod On marilo .01".
come un sol eorpo un •• ola 'fila, seua pe....re o de.iderar più oltre, eome ino.·
morate, Don del marito, ma del.matrimonio.•
I Bacchiar., uceidere a I,. eehiate, Valeriani: • Limitare il numero de' lì.
Bliooli, o alcuno uecideme d.' loprauuati,.i repot. leen.rateua••
• allI, altrtll.
I i p'opriJiglillOli, i pl;' prOlliml. V'ba qui ona forte omiuiooe. Il p<>-
stillalore dell'esemplare Nnli.no di G. Capponi supplisce eod: • Redano e .oe-
cedono nondimeno a ciascuno i propri 6S1iuoli, seDI'alcuD testamento, e Don
y'ellendo figliuoli, i più pJonimi."
e non"a. li po.lillalore dell' esempIan Ne.li.no di G. Capponi eorregB.
d" non n. "a. Ma dubito che il V.vlnuti .eri ....e ciii lIon,,' "a•

....
LA GEJlIlANU.. 229
le nimicizie negli stlili liberi troppopcricolose.Non è gente
tantovaga 'di mangiare insieme ,e rìcevere forestierl. Ten-
gono cosa brulla chi negasse a qualsìsìa l'alloggiar 8000: gli
da, secondo il potere, di quel che v' è. Quando non ve n'è
più, lo mena senza invito a casa un altro, che gli tratta
ambidue con pari umanità, eonoscansi <!'no; chè al debito
verso al foresliere ciò non importa. Se nel partire chieggono
. alcuna cosa, s'osa darla, e con pari sieurtà chiedersi l'uno
all' altro. Cari hanno i presenli; ma. non vogliono per questi
restare obbligati né obbligare.
, XXII; Mangiano co' forestieri festevolmente. Levansì da
dormire mollo lardi, e lavansi con acqua per lo più calda,
essendovi quasi sempre verno; e vanno a mangiare ciascuno
in sua seggiola e deschetto, e spesso armali: poi alle Iaecen-
de. Consumare. il di e la notte beendo, non biasimo; oh- è

briaeansi, e dannosi. non cattive parole, ma ferite emoru,


Del fare paci private, parentadi, lor principi, e della paeee
della guerra consultano a tavola: come I quivi più che mai
l'animo apra i concetti piccoli,' e si riscaldi a'graudì, Astati
non sono, né scallrili: hanno ancor oggi in su la lingua quello
che nel coraggio; S perché il luogo é libero. L'allro giorno,
vista la mente di tulti, ne ritrallano a digiuno, avula eon-
siderazione all' un tempo e all' altro. Consultano, quando
non sanno fingere; risolvono, quando non possono errare.
XXIlI. Fanno bevanda 'd~ orzo o di grano, a similitu-
dine di vino, e del vino compraao i vicini, al Reno. Man-
giano. cose naturali, pomi salvatichi, caeciagionefresca, o
lallerappreso. Senza apparecchi, senza condimenti si sfa-
mano. Nella sele sono meno temperanti. Lasciandosi imbria-
care e tracannare quanto vogliono, si vinceranno col vino
più che. con l'armi. ,
XXIV. Un solo spettacolo fanno, e tulti il medesimo. Tra
molto menar di picche e spade, si lanciano esaltano giovani
ignudi, in cui ha fallo l'esercizio maestria; e, questa é la

• come I stantechè.
. 'picco/i. Il testo dice limplicel, randiùi, Icbielli, non involti io alcuna
&imulazÌ1tne o dissimulaaiane, 1>-
5 ".i coraggio j nel cuore, nella mente..
II•. 20
260 LA GERMANIA.

belleza. Il premio di tanta arditeza il piacere delIi spetta-


è

tori. Ti .maravlglierestì copie sobrii trattino il giuoco Per


cosa grave; o perdano o vincano, si pungono si rottamente,
che quando n'è ilo ogni resto, mettono per ultima pòsta la
libertà; e chi la perde s'arreca a essere schiavo, e lasciasi,
benché più giovane e robusto, legare El vendere. E tanta be-
stialità (essi dicen fede) osservano in cosa malvagia. Ven-
dono si fatti schiavi, per levarsi dinanzi la vincita vergognosa.
XXV. Gli altri schiavi non servono, come i nostri, alle
bisogne della famiglia; ciascuno tiene casa da 8e: il padrone
si fa dare, come a lavoratore, tanto grano, carne e panno:
quello schiavo non é tenuto ad altro: i servìgì di casa fanno
la moglie e'figliuoli. Bastonano, incatenano, angariano i servi
di rado. Uccìdongli, non per -gasti go e severità, ma per fu-
rore e ira, come un nimico; ma non gne ne va nulla. I I libe-
rati' 80n poco meglio che schiavi: rade volte hanno grado
alcuno in casa; nella città non mai, se non sotto principe; a
perché quìvì essi cavalcano • i cittadini ben nobili; ma dove
i liberali son da meno che i nobili, é segnale che vi 'è libertà.
XXVI. Non conoscono interessi né usure; che é più che
averle vietate. Ogni villaggio piglia scambievolmente tanti
terreni quantopossono i suoi coltivare, spartendoli secondo
qualità. 1 La campagna grande agevola lo spartire: seminano
ogn' anno maggese nuovo, I e loro soverchia terreno: perché
non gareggia la fatica loro con la fertilità e ampieza de' cam-
pi, con il pìantarvì anche pomterì, chiuder pratora, e giar-
dini annaffiare: frumenti solìvogllono dalla terra; però lo
stesso anno loro vuel meno stagioni. Verno, primavera e
state vi sononomate e Intese; d'autunno né nome né frutto
vi ha.
XXVII. In essequie niuna premura: solamente con cerla

. C non gne nf! "41 nulla, fanno ciò impunemente.


t I liberali , i liherti. _
I. le prlllclpe, eccello che tra '1uei popoli che sono sotto governo
1101110110
n"31e. .. .
• cal/n/ctlno] sovrastano, soperchiano,
a lecondo 'l"alltà, secondo il grado delle persone. .
6 .. em;nQ~O ogn' an"o maggese nuovor qUilnluD1ue ogni anno mulino eam-
l'i, semiaando nuovo terreno, pure loro ae avanza.
LA, GERMANI,'" 231
spezie di legne ardono 'ieorpi de' segnalati.Nè vèStinè odori
gillanp in su la eatastas le sue armi, e a qualcuno il cavallo.
Il sepolcro fanno di cespugli. Le gravi arche e memorìe di
grande opera e dura, Iuggano,' quasi infrangano i defunti.
Lasciano tosto i piagnistèi, e tardi il dolore e la maninconia.
Alle donne è onesto piagnere i defunli:agli uomini ricor-
darsene..
XXVIII. Queste cose abbiamo inteso deU' origine e co-
stumi di tutti i Germani, il}generale: ora dirò lor leghe e co-
slomi diferensiati; e quai Germani passarono in Gallia. Dice
il divino Giul~o, re degli autori, che i Galli furon già molto
possenti; onde ancora è da credere che passassero in Ger-
mania. E quanlo poco fiume impediva li più forti occupare," .
e cangiare -sedia ancor comune, e tra niune potenze divisa t
Tennero adunque il didentro alla Ercinia, Reno é MeJlo,fiu'" .
mi, gli Elvezi; e il difuori i Boii : gente gallica ambi. a Il.nome
di Boiemi vi mantiene ancora l'antìea memoria; se ben mu-
tati gli abìtaìori, M~ se gli Aravisci passarono dagli Osi, Da-
zion germana, in Pannonia, o gli Olli dagli Aravisci in Ger-
mania, è Incerto; tenendo ancora la medcstmafavellavIeggt
e costumij.perchè già vivevano, l'una e l'altra riva, con la
medesima povertà, libertà, beni il mali..I Treviri e Nervii
molto si pregiano d'esser originali di Germania, e per que-
sto glorioso sangue non somigliare i Galli di corpo nè di .
fìaccheza. La -riva del.Reno abitano senza dubbio germani
popoli, Vangioni, Triboci, Nemeli, Ubii; e questi se bene hanno
meritato d'essere colonia romana, e più volentieri si chia-
mano da chi la fondò, Agrippinesi; non perciò arrossano di
loro origine. Già passarono di qua dal Reno, e, trovati fedeli,
furon posti in su la riva, per lo passo chiudere, e non aprire."
XXIX.. I Batavi tutte queste genti avanzano in virtù:
abitano l'isola vicini alla ripa del Reno: erano Catti, e per
j fi,gg«n<i, fuggono.

I Imp'dlf'll li più forti occrtpare ee., era otUcolo ai più forli ùi occu-
pore eco
3 A. Politir • Tra la selva Ereinia, adunque, e ic!ue 6umi Reno e :Meno,
hanDoaJ)itafo S" Elvezj;- e pi~ addentro i Boii; l' UDa e l'altra n.a.ioncde'Galli."
-4 per lo pa$,$O claillden, e non aprire. Lal.: Cf,d ar&er~n'J noli ~d Cluto-
direnl!,r. • A. Polhi: • perchè Iaguardasserc , pcrcbè funer 8uardati.•
232 , LA GERMANI!.

le discordie di casariliralisi quivi divennero parle del no-


stro imperio, e si mantengono tale .onore co' bei privilegi
antlchi. Da' balzelli e accatti 1 - non è loro cavato il sangue,
né gli occhi dalIi esatìorì.! Sono esenti da deèime e prestan-
zonì.S Serbansi solamente a' bisogni della guerra, quasi capo ,
pale armi.' Nel medesimo grado sono i Malliaci, essendosi
falla la grandeza del popol romano oltre al Reno, e alli an-
tìchì lermini dell'imperio, riverire. Cosivivono, con la stanza
e confini, nella lor riva; ma con la mente e cuore, con esso
noi, io .tutto simili a'Balavi; se non che quella terra e quel-:
l'aria li ci fa ancor più devoli. Tra i Germani non conto;
Ile ben posli oltre al Reno e Danubio, quei che lavorano i
terreni _addecimati, a In6mi Galli, cacciali dalla fame, presero
quel paese senza certo padrone: allargali e afforzati, li' te-
niamo per un ricello e parle di provincia dell' imperio. -
XXX. Di là da quesli con la selva Ercinia cominciano,
e con lei frniscono i Calli: non si piano paese e paludoso '
come l'allra Germania, essendovi colline che, continuale,
alquanlo diradano. Hanno i corpi più duri: membra raccolte:
viso bizarro, e più vigor d'animo: buon disoorso e (per Ger-
mani), e accorteza in dare i carichi a chi sa, ubbidire a chi
gli ha a riveder le file, 7 conoscer l'occasioni, frenar gI'im-
peti,i1 giorno ordinare, la nolle fortiflcarejdubbìa la for-
tuna; certa la virtù reputare, e, quel cbe di rado avviene e
per mero saper di guerra,far più fondamenlo nel capilano
che nell' esercilo. -Tutlala forza è negli uomini a piedi, i
quali, ollre all'armi, caricano di ferramenti e provvisìonì, Gli
allri paiono andare solamenle a combatlere; i Calli alla

t accatti J tributi.
1-80 gli occhi dall/elallori. Lat.: .. n.e p"blican,u allerit. N
S preltanaoni; prestazioni, balselli•
• q,ulIi cappate armi, com. armi elette da warsi all' opporlunità. C"p-
pare, pigliar. a scelta,
S ~1"ren; addecìma ti. Lat.: • t1ecrunal~" agros; • terreni tolti al nemico;
dislribuili .11. legioni, e settopoati ali. decima.
I buon discorso J mente aggiuslata, Luon senno.
7 "bbiJir. a chi gli ha Il riveder le file. II lat. ha: • prrrpon.re el.elo$,
audir« pr«pO.litol, noss« ordine... .. Va1eriani: • eleggersi buoni cspi , ubbi-
dire asli eletti, osservare gli ordini. If
LA GIBJI.lNU. 233
guerra.·Di rado scorrere, e a caso venire a battaglia, t per-
chè il propriodelli a cavallo t è presto vincere, presto ce-
dere. La velocità s' accasia a paura, la tarditàa fermeza.
XXXI. Quel che negli altri popoli di Germania usa 8010
.qualche gran bravo, i Catti tutti osservano per magnjlnimo
boto.; tosto che san fatti uomini, di lasciars! creseere barba
e capelli, si abbiano a ammazato un nimico. Allora sopra
quel sangue e quelle spoglie, si tondono e scuopron la 'fronte,
e tengonsi d'aver soddisfatto all' obbligo dell' esser nati ,e
.degnìdella palria e de' genilori.. I codardi si stanno nella
loro squallideza. I. più valorosi portano di più un anello di
ferro (cosa vergognosa a quella nazjoae) quasi per catena,
sino a che con l'uccidere un nimico non si disciolgono. Piace
a' più de' Catti tal porlalura. 4 E gìà canuli san guardali e
mostrati eziandio a' nimici. Questi cominciano le battaglie;
questì 80n sempre la prima schiera, di slrano aspetto; nè
anche in pace rasserenano punto la· faccia. Nienle banno
Bé fanno; dove. vanno, ivi mangiano; ·di quel d'altri san
prodighi; il loro disprezano; tanto che per vecchieza più
non possano s1 dura virtù.
XXXII. Dopo i Catti, il Reno, già in canal proprio e
degno' di esser confine,lrova gli Usipii e i Tenleri. Questi
non meno che i Catti a piede,. altra all' altro pregio d'arme,
san lodati a cavallo. Così furono allevati, e segultaeo. Que-.
sii sono gli, scherzi di lor fanciulli,. i giuochi de' giovani, I)
continovanò i vecchi. lcavalli 80n parledella famiglia,e ra-.
gione di redilà che viene, non al .figliuolo maggiore, ma al
più feroce e guerriero.
XXXIII. Dopo i Tenterl ne venivano i Brutteri: or di-
consi esserue.atatl cacciali e distrulli da' Caniavì e Angri7
,vari, di volontà de' vicini per troppo orgoglio e per dolceza
di .preda; o ci hannogl' iddii favorilo di far 'morire· altr' a
sessantamìla, non di ferro romano; e quello chepiù magni-

• Di.rada scorrere, e« c.... eco .Rare le scorrerie e le improvyue Latta.


glit. • ValeriaDj.
t dtl/i a cavallo, de' cavall.ssrri.
1.1'1 abbiano, sintanto ch'e"non ahbiano,
• portalura; abito, roSSia di veslire.
20'
234 LA GERIlI!NU••

Ileo-è, gli han falli spettacolo e diletto a' nostri occhi. Deh
rìmangae nelle genti dari, se non" amore a noi, rabbia tra
toro; poiché la discordia de' nemici )0 maggiore aiuto che
è

a minaccianti fati dell' imperio possa porgerela fortuna.


XXXIV. "Dietro a' Camavie Angrivari sono i Dulgi-
bini, Casuari, e altri non cosi ricordati. Dinanzi i Frigioni,
deUi maggiori e minori, per loro forze diverse. Vanno se-
condo "il Reno insino all' oceano." Hanno dismisurati laghi,
navigati dati' armate romane: e tentammo da quella banda

o per esserei stato, o per volergli i.


l'oceano. E fama che ancor vi siano le colonne" d'Ercole,
è

mondo attribuire ogni


cosa gloriosa. Druso Germanico)' ardi, ma l'oceano non ha
lasciato scoprìrne più oltre di lui né d'Ercole. Niuno poi
l' ha tentato; essendo più"riverenza e santità credere i fatti
degl' iddii che saperli. "
XXXV. Insino 8 qui abbiamo veduto la Germania da
ponente. Da seUentrione ella fa un grande arco. Prima vi
sono i Cauci, benché elia cominci da'Frigioni, e tenga parte
del Iito. Tutte le delte genti costeggia, sino a che ne' Calli
entra, i quali si grande spazio non por pigliano, ma riém-
plono; nobilissimo popolo intra i Germani: mantengono la
lor grandezà con l'esser giusti, non avidi, non insolenti;
quieti e ritirati; non accatton brighe di guerra, non rubano
né saccheggiano, e, quel che segno di Ior virtù e forze,
è

nen sovrastanno agli altri per via d'ingiurie. Hanno tutta-


via tutti pronte l'armi, e, se bisogna, gli esercili; e, ben-
.chè in pace, la medesima riputazione.
XXXVI. Allato a' Cauci e Catti sono i Cherusci, la-
sciati stare e marcire in pace lunga, soverchia e gioconda
più .ehe sicura; perché la cerviaallato allione come può ri-
posare? I come si viene alle mani, i buoni e belli sono i più
potenti: però i Cherusci che" già avevano questo nome, or
son detti dappochie stolti, e la fortuna de'Calli che gli hanno
vinti passata in savieza. La rovina de' Cherusci cadde ad-
è

dosso a' Fosi lor confinanti, minori di loro nelle cose pro-
spere, e compagni uguali nell' avverse.
• 'a ce-vin aHat o al lione come PllÒ ripOJarc~ Lal.: .lnter impetentes
et ,,;alitlos/niso qniesca s, ti .
LA GRIlIlANH.. 23lS
XXXVII. Seguono nel medesime golfo in su l'oceano
i Cimbri: èvvì oggi la ciltà piccola, il nome grande. Vi -sono
ancora levestigie de' campi posti in su l' una e l'altra riva,
i cui spazi oggi mostrano .lor gran gente' ed eserciti. I Secen-
quarant' anni aveva la città nostra la prima volta che s' udì-
ron l'armi de' Cìmbrì , nel consolato di Cecilio Mètello e
Papirio Carbone, dal quale ìnsino al secondo di Traiano ! im-
peradore sono da dugentodieci anni: e tanto si pena' avin-
cere la Germania. In. questo si lungo tempo son seguiti di
qua e di là molti danni. Non si spesso ci hanno dato da pen-
sare,iSanniti, Cartaginesi,le Spagne, i' Galli, né pure i
Parti; perché la libertà de' Germani-è piò ostinata, che quel
reame. B che altro che la morte di Crasso ci può rinfaecìar
l'oriente all'incontro. del morto Pacoro, e a Ventidio sotto-
messo?3 I Germani hanno al popolo romano rotti, o presi
Carbone, Cassio, Aurelio'Scauro, Servilio Cepìone e M, Man-
lio, con cinque consolari esercili; allo stesso Cesare tollo
Varo con tre legioni: E non gli hanno senza costo abbattuti,
Gaio Mario, in Italia , il divino 'Giulio in Gallia, Druso, Ne-
rone e Germanico ne' 101: paesi; e le gran bravate di Gaio
Cesare si convertirono in riso. Non si fece altro, sino a che
.con l'occasione delle nostre discordie e dell' armi civili, '
espugnate le nostre guarnigioni, aspirarono anche alla Gal-
Ija; e quindi cacciati, ne'seguenti tempi furono trionfali, imzi
che vinti.
XXXVIII. Diremo ora de' Svevi che nonsono, come i,
Catti e Tenteri, un popol solo, ma tengono di, Germania la
maggior parte, divisi in più nazioni e nomi, sotto il nome
cenerale de' Svevi. Al rivoltarsìI capelli voglion esser co-
gnoseiuti dagli allri Germani e dalli schiavi. Usanlo .altre
nazioni, pochi e giovani j' o per imitarli, come avviene; o
" elercil.l. L'Orelli Don accetta l'emendazione I:zercilll" del Lipsio;' ma
logg. Inlla r,de di tutti i codici. tam magoi .,,,iI,u fidem; • colle quali parole
Taci!o "uol.ignificar. tbe l'ampio giro del campo da essi beeupaio' rende credi-
bile il gran numero di quella geDIe cbe dicev..i uscite in '. .mi, '
/J,aI4,toltdo ili T,.oialto, ehe è l'anno di Roma 85f, di G..ù Crislo 98. '
Donde raeecgliesi ehe Tacilo in dello anno stesse scrivendo questo libro.
s . a "',nlidio 4ortome414;cioò, rorien!e,,,inlo da P. Ventidio B... Q.
• (haltlo ,,,lt,., ..aoio..i, pochi .. gioY"lti: Ira le altre nazioni tale uso è di
pochi e 8;"vani.
236 LA GERMANIA.

perchè e',sica lor parenti; ma i .Svevì, benché canuti, si


fanno' la zazera, e spesso i capelli orridi -si legano in su 'I
eocuzolo.! I signori gli tengono più ornati e ritti ,non per
fare all' amore, ma per più, spaventare i nimici.
XXXIX. Antichissimi e nobilissimi di tuUi j Svevi si
fanno i Sennonì , e lo provano con la religione. In di solenne',
in una selva,
D'antichi agùri 'e santità tremenda ,I

convengono gli ambasciadori di tuUi i-popoli di quel sangue,


e ammazano in pubIlco un uomo, principio d'orrendo e bar-
bato sagriflcio, Niuno vi enlra '8(' non legato, per più rive-
renza eumillà, e per mostrare la potestà dello iddio. A chi
cadessi non è lecito rizarsi, ma vassene per terra carpone.
Tutto serve a mostrare che quindi abbia origine quella gente;
quivi sia lo iddio regnalore, cui tullo soggiace e ubbidisce.
E confermalo la fortuna de' Sennoni che cento villaggi abi-
tano. e per si gran corpo si tengono il capo de' Svevi.
XL. Per lo contrario i Langobardi -nobilita l'esser po-
chi ,perchè essendo in mezo a molti e potentissimi popoli,
, non con l' .osservanze si fanno sicuri, ma coi cimento Il con
le ballaglie. Son poi Reudigni, Avioni. Angli, Varini, Eu-
dosi, Suardoni e Nuitoni fortificati da seive e fiumi. Nè v' è
da notare in alcuno, se non che in comune adorano Erto,
cioè la madre lerra, la quale' credono che s'impacci degli
all'ari umani, e sia porlala a' popoli.3 Nel Casto," isola del-
4 dfanno la .aaern, e 'P'SSD i capelli orridi si leR~no in su' l cocusolo. Il
festoba:. ,uq"e ad canttiem Aororentl!m ctlpillll,m retro leq,,,ìntllP'".. ile 8~~ in'
ipto 60/0 fJ.e,.ti~ religtlnt.Queato luogo non assai chiaro è 'Yariamellte iaterpre-
tato. Il Louandre traduce: • Les SQèves t lors méme que Ieurs cheveux ODt bian-
chi, le. ramenent , tout héris~és, dc la partie postérieure de la nuque, et les ratta-
chent souvent aD sommet de la té"e. " E il Burncufe I l Ils sui veDI. avee la main
cette cb...J.... tombaete etnéglig.e, ils voatla cherchu derrie ... !eur lett, pour
la. ramener au sommet et l'y attacher....
l' D' antichi tlsù,.i eco Poicbe a Tacito fuggì un benis.simo esametro Art-
guriis patrnm et prisca formidine sac"am {e circa venti gliene contano ,nena
su. pro •• , m. non belli. p.... come questo), anche .i1 No.tro h. voluto fare uu
bel Verso.
s e sia portatfl 'Q" popoli. Valeriani: • e vùiti le nazioni ••
& Nel Casto ee. La lelle,a dd testo di.. : .. In ulÌ~ i.ol. dell' oeeano è il
Losco di Casto. "
c LA GERMANIA. 237
l'oceano, è un bosco, ove sta riposto un carro coperto di
drappo, cui può toeeare solo un sacerdote, il quale conosce
quando v' è venuta la deaj e a quella, tirata da due vacche,'
con' gran devozione va dietro. Fassi festa e giubilo dove ella
si degna passare-o fermare: di guerra o ferro non si ragìo-
aa; allora Solamente si conosce e s'ama la pace eia quiete.
Quando ella è sazia della conversazfòne de' mortali, il sa-
cerdote la rimette nel tempio. n carro e la coperta (e, Se lo
vuoi credere, la stessa dea) son lavati in un lago secreto da
cui i sergenti incontinente SOno inghiottiti. Nasceee Intorno
terrore e santa ignoranza di quel che si veggano quei soli
che deon morire. .
XLI. Questa parte de' Svevi nella Germania pio s'in-
terna. Più vicina (per descrivere ora il Danubio, come ho
fatto il Reno) la città delli Ermonduri, a' Romani fedeJe,e
perciò soli questi Germani trafflcano oltre 'I Reno per tutto, c
nella spleudidissima colonia di Rada. Per tutto passanò senza
guardia, e noi col mostrar solamente l' armi . all' altre nazio-
ni, abbiamo loro aperta la strada a godere de' medesimi beni
che non ci pensavano.
XLII. Nasce nelli Ermonduri il fiume Albi, già famoso,
.ora a pena si nomina. Alli Ermondurl seguitanc i Narisci.
posci& i Marcomanie Quadi. Quelli hanno gran nomi e
forze, e abitazione acqnistatasr con virtù, caccialonei B~ii.
Né i Narisci e Quadi tralignano; e questa é di Germania .
quasi la fronte, dove il Danubio la seconda. I M,ucomani e
Quadi hanno avuto re' di Ior genti insino a' nostri tempi
del nobil sangue di Maraboduo e Tudro. Ora sopportano re
. forestieri. La forza di essi depende dallapolenza romana:
aiutiamoli di rado. con anni, spesso con danari.
XLIII. Di dièlro a questi sono, e non meno forli, i Ma1"'
slgni , Gotini, Osii, Burii. I Marsigni e i Burli parlano e vi-
vono come i Svevi. Gotìnì; alla lingua gallica, e gli Osi, aUa
pannonica, mostrano che ·non .son Ger.mani. Oltre ai pagar,
come forestieri, tributi a' Sannali ea'Quadi, i Gotini, che è
peggio, cavano il ferro ie tutti questi abitano poco piano, ma
gioghi e boschi. Perché la Svevia é divisa da un' alpe conti-
norata, oltra la quale vivono molte genie. I Ligiì gran nome
238 LA. GIiRIlIANlA.

spandono per le città. Basti' nominare le pio poderose; Arii


Elvec~ni, Mallimi, Elisii, Naarvali. Questi mostrano un bo-
liCO d'antica divozione guidata da un sacerdote vestito da
donna. Ma i Romani tengono quivi esser Castore e Polluce
Il nome di quella deità è Alcis. Non vi ha immagine, non
segnale d' altra religione; due _come fratelli e giovani vi soao-
adorali. ,G,Iì Arii, oltre-al superar di forze li raccontati po-
poli, son crudeli, etI'erali per natura, e aggiungonvi arie.
Vanno con li scudi neri in battaglia, corpi tinti, dt.notte
scura; e come tanti nuovi diavoli fanno spirilare il nimico: •
per che gli occhi sono in tutte le battaglie i primi vinti, Di
là da' Ligi sono i Goloni, sollo regno un poco più rigido che
- l'allre genti germane; non però privati ancora affatto di
libertà. All' uscir dell' oceano sono i Rugii e i Lemovii, o
tutti portano lor. propri scudì tondi, spade carie, è ubbidì-
sconoa're, -
XLIV, In su 'I proprio oceano sane le citìà de' SuioID,
oltre a molli uomini e armi, possenti anco in mare. Le navi
senza vele con due prue possono sempre dinanzi abbordare:
i remi non sono dalle bande ordinati, ma rioCusi, come s'usa
in certi flumi, da volgerli per ogni verso. Pregiano le ric-
cheze: però uno li comanda senza eccezione o privilegi. Non
posson portar 'armi comunemenle, come gli altri Germani;
ma slanno serrate e custodile da' servi: perché _l' oceano 'i
difende da' subiti assalti de' aìmicì, e l'arme in mano a' sol..
dati in tempo di pace si converte agevolmenle in licenza. E
dìvero, il dar arme in custodia ad uomo nobile e gentile, nè
anche libertino, non è utile alre. '
')l LV. Doppo.ì Suìonl è allro mare pigro e quasi fermo; ,
oltre al qual si crede non esser, più ,_ terra, per quesla ra-
gione che -l' uUimo splendore del sole che si corica vi 'dura
sino a che si leva tanto chiaro che abbacina le slelle: I ag-
gìugnevì l'immaginazione, che si senta il suono che egli
rende 'neU'allulfarsi, e mostrì visi d' ìddii e razi in eapo. Più
oltre è vera fama, che non operi la Nalura. Ora il destro
t àbbacin~-l. etelle, soverchia e rea de men vivo )0 opleadore delle .tellé.
- I 11 tuto h•• lIebelal. • Ma . tlhhtlci"a,.tJ~ 'laodo· all' origine del· vocabolo, ,.or- .
rebbe dire, acciecaaffaUo; l. ra oparire..
LA: GEBIIUNIA. 239
lito del mar Svevo bagnagli Estil: tengon leggi e costumi di
Svevi; Iìngna pio simile a Britanno. Adorano la madre de-
gl' iddii: portano figure di cignalì per insegna <li lor' religio-
ne, e queste servon loro per armi esièureza anche tra' ni-.
miei. Rade volte usan ferro, ma bastone. Per ricòrre grano
e altri frutti , lavorano eon più pacienza che altri Germani.
E nel mare per le prode e rèf1ussi pesca110 l'ambra, che
chiamano gleso;: senza cercare né sapere, come barbari,
come si generi, né sua virtù; anzi un tempo stette tra le
mondiglieche approdano,sino a che le nostre pompe la fe-
cion eonoscere. Essi non l'adoperano; rozala ricolgono e
.: vendono; e del prezo si maravigliano. È· umore che cola da
arbori: tàl volta animali di terra e uccelli vi s'impaniano: la
materia rassoda, e vedili là entro. SI come adunque in le-
vante sono arbori che sudahoIneensl e balslmo, cosi credo
io che in ponente ve ne sìeno che, da'razi del sole percossi,
stillano quest' umore, e ne caschi nel mar vicino e alle prode
lo mandino le tempeste. L'ambra, se vi accosti il. fuoco,
arde come facellina, nutrlsce fìamma olorosa e grassa, e strug-
gesi come pece o ragia. Dopo i Suioni ne vengono i Sitoni,
simili in tutto, se non che vi signoreggia una femmina;
tanlotraIìgnano non pure dalla libertà, ma nella servitù. Qui
finisce la Svevia.
. XLVI. i Peucini, Venedì e Fennì, non so se Germani
sono o S31'IJlali: benché i Peucini, che altri dicono Bastarni,
siano nel parlare, rìsedere , vestire, abitare, i medesimi che
i Germ~ni;JD3 di tutti la feccia e viltà. I nobili imparentàtì
co' Sarmati vi hanno introdotto il vestir laido. Da loro molto
ritraggono ìVenedì, Vanno rubando per quanti boschi e
monti ha tra i Peucinì e Fennì, Questi nondimeno passano più
per Germani, perché fanno case, portauo scudo e premono!
in esser corridori; diversi in tutto questo da i Sarmati , i
quali vivono in su carri e a cavallo. I Fennf hanno gran fe-
racità, brutta povertà, non armi, non cavalli, non casa;
pascon'erba, vestonpelli, dormono in terra. Le frecce d'ossa
aguzate ; perché non hanno ferro, sono la loro speranza. E
quel ehe pigliano, sfama uomini e donne, che insieme cae-
.j premo"", mellono,Sran,}. imllorl.n...
240 LA GKRMANI.\.

ciano. l bambini .non riparano da piogge e fìere, se non sotto


alcuni rami d'arbori .intrecciati. Qui giovani, ,qni vecchi sì
tìcoverano, e sa lor buono più che ammazarsi dì fatica
ne' campi, fabbricare, roba. loro o d' altri, con paure e spe-
ranze trattare. Cosi stando sicuri/dagli uomini, sicuri dagl'id-
dii,tirano im.grau punto;' ch' e' IOD liberi infino dal desi-
derio. Dell' altre cose favolose o nop chiare 'li me, come, che
gli Elusii è gli Ossioni abbian ,vifii d'uomini e corpi e. mèm-
bra di fiere, mi rapporto.!. ' .
,
~ rirano.. . "n.gr:n" punt«, ~on~e~uoDo cosa f.lifficilissima: La metaror.a è tolta
dalliTo dei dadi •
. I mi rappor'tD. ,non 'pr~rujsco ;lCUl1 siuùttio,

e
tU

VITA DI GIULIO AGRICOLA


DI

GAIO CORNELIO TACITO.

SO:lfMARIO.'

I. L'aDtica _ _ di Nri'l'ere la ma da' _ai aomiDi, - n. lotto mal-


nai priDcipi pericolosa, - III. sotto Traiuo è, ÌD ODore d'Agricola, ri.,resa
da Tacito, ehe DOD promette eloquenzs ma arretto. - IV. Stirpe, edDCU10De 1
.todi di Agricola. - V. Primi slipeDdi iD BritaJmia. - VI. Toglie dODDa; è
'atto questore, trihoo, pretore, e prefetto a ricoDoeeere i doDi de' temrli. -
VII. Nella gnerra ottODiaoa perde la madre e parte del patrimoDio.- VI I. Sta
pu:VespaaiaDo; comlllda la n legiODe ÌD BritaDDia: promo'l'eodo l'allnti fama,
malu. la SIl8. - IX. TOI'D8to e fatto de' patrùi, gO'l'8r08 l' AquitaDia: coDlOle,
dà la figlia a Tacito. Ha il comaodo della BritoDia. - X. Descriziooe della
BritaDDia. T~e ~~ : •mare pigro ..:-: XI. Origine, fOlllia, sacri&ciil. lio-
goa, COltomi del Bri&anoi.- XII. M.1Wa1 so"eroo, rade asaemblee: clUDa,
suolo, miniere , perle.-XIII. Iodole de''f1Dli, spedlliooi de'Cesari ÌD Britao-
Dia. -XIV. Gesta de'proeoo80li.- XV. BiIcoaaa della BritaDDia,-XVI. d.
stata da BoDdicea, da PaoliDo _ p r _ : .caiDi da . . - sii succedono.-
XVII. Ceriale e FroDtioo riaLnoo la fort.a, riaceDdo. questi i Siluri, quegli
i Briguti; ABricol.a gli Ordovici e Mo08: aoggi0r. totta la pronDcia.-
XIX. XX. Colla modestia, pradeDA,~,giD6ti&ia la liaoe a di'l'OIÌoDe.-
XXI. Ammorbida gli animi colle arti e eo'riaceri.- XXII. XXIU. Nuo.. ~
dizioDe scoopre DUovi popoli. IDgenuità d Agricola Del mettere altrDi a
della sua sloria. - XXIV. Disegno d'oceupare l' Ibernia. - XXV-XXVI. Bi-
farla
eoooseoDIÌ i p.-i di là da Bedotria. I Caledooii, rihaltati da Agricola, faDDo
graD lega. UDa muo d' Uaipii per mirabil caao costeggia la BrituDia. Muore
il figliuolo d'Agricola. - XXIX. Galllaco eccita i BritaOID alla riscOlaa.-
XXX.-XXXII. Sae parole.- XXXill. XXXIV. Parole d'Agrieola a' Bomaoi.-
XXXV.-xxxvn. Gran baltag\ia. - XXXVIII. Vittoria de' BomaDi. -
XXXIX. Demiziaoo mostra rallegnni della nttoria, ma in fODdo D'ha aschio.-
XL. NOIIdimeDo d_eta sii ODOri ad Apcol.a; il .pale toroato n'fe modesto
l
e a ili. - XLI. Pericolo daali accDl81lIì e dai lodatori. - XLI . Si scua dal-
l' udu pl'OCOD8Ole. - XLIO. Muore DOD IllJlZll _petto di 'l'8leDo, datogli da
Domiziaoo.-XLIV. Sua età, foggia, ODOri, ricchezze.-XLV. Morto a
tempo per Doo "edere le atroeità di DoIIIiziuo. - XLVI. LlIlÌlDto dello seri-
'leDte J • eouforto Della 'firiìa; fama di ApieoIa DOD periton.

I. L'antica usanza deDo scrivere alli avvenire i fatti e


costumi de' famosi uomini Don è ancora dalla. età nostra,
benché de' suoi non curante, dismessa; ogni volta che un' ee-
ceDente e nobilvirtù ha vinto e trasceso quel difetto comune
~ ~
212 VITA DI GIULIO AGRICOLA.

ad ogni città grande e piccola, del non conoscer il buono, o


invidiarlo. Ma i passati avevano del far cose memorevoli più
voglia e potere; e gli scrittori eron trombe della virtù per
mera boutade, e non per prezo di favori o grandeza. Né
parve a molti prosunzione ma fidanza ne'lor costumi, lo
scrivere la vita propria; né Rutilie e Sca1ll'o fur biasimati, e
meno creduti: sì è vero che le virtù si stimano ottimamente
in que' tempi che le producono agevolmente. Ma a me ora,
se io ho voluto scrivere d' un uomo morto, è bisognato chie-
der licenza; quale non averei domandata, se io non avessi
avuto per fine di far maggiormente apparire l la crudeltà di
qae'tempi, ~ !Or nimicillia con le nrtà.
IL Noi leggiamo che l'avere Aruleno Rustico lodato
Trasea Pelo, ed EroollÌo Senecione Elvidio Prisco, costò loro
la vita; e anche contro agli scritti di que' chiarissimi ingegni
fu incrudelito, e fattone fare dal magistrato de' Tre nel eo-
mizio e foro un falò,' per affogare in quel Cumo forse la voce
-del popol romano, la libertà del senato, e quel che sa tutto 'l
mondo. B furon eaceìatì i filosofi e sbandita ogn' arte boena,
.pereaè non si vedesse più fiore d'onestà. Grande specchio di
-palieaza eertamenLe fummo .aoì, e vedemmo il colmo de"a
'servitù, come i nostri antichi della libertà; toltoci per le spie
il poterei favellare e udire. Anche la memoria ne sarebbe
ila, se lo sdimenticare fusse in poter nostro, come il tacere.
III. Ora pure ripigliamo aaìmo, Ma quantunque Nerva
Cesare, al primo nascere di questo beatissimo secolo, accop-
piasse due cose prima contrarie, principato e libertà; eNerva
Traìaao agevoli ogni dl più l'imperio; e nei siamo, non pure
in speranza, ma in possesso di pubblica sicurezza; nondi-
meno all' umana infel'milà sono naturalmente più tardi i ri-
medi che i mali; e come i corpi crescono a poco li. POC?' e
I di fu .lJggior.....u a",anre ~C. Tnduee Glldo la 00"_ lerioae
• nt incursat"r.. l4uta S _ d In/uta w'uti6Ds , ,..._.. Ila il _
D.itle. e Orelli legge molto meglio: • qua". non p.tilS'''' incrua"'rul la".
8feva et•• tioè:. Non mi sarebbe stato biso;nD di chiedere scusa, la irll'ece di
lodare delle 'rirtù, avessi tolto a in veire contro questi tempi sciagurati e a np-
pnsetltarnl i yid. cnn nori eolMi.• E la lIasi-" • 'P'esta <be ."...... DIIprirao
tlalle Storie-: .. ofllrectllUo, et lWor prollis aurib.., flc'ipiM1Itar. »
_ I unfa/ò. un. sr.n baldori a, Co.i anche Ann. XV, 38.
"TÀ DI .leLlO AGIIC&Ll. !~3

maoiòn 81Ibito, con gr ÌDgegIli e ~li stadi è più agevole spe-


gnere che riclliamare. Pare anche doìee l'inBngardia; e
l'ozio, elle da ~illla si biasima, poi s'ama. Che diremo del-
r eseer iD qaindici anni (gran parte della vita mortale) merli
molti per uri cl8Ì; i pi1i spiritosi, per crudeltà del Prin9-
pe? Pochi sopraviyiamo non pgre agli altrì., ma a Boi ~
Bimi, si pQò dire; poiché con perdita di taati anni, e i nfi•.
~i, siamo stati mutoli, e ratti vecchi i giovani, e decrepiti
i Teechi. Tuttavia non mi parrà fatica di fare,! benché COD I
roza Toce e scordata, mellHlria della pa88llta servitù e testi-
monianza de' beni presenti. Per ora dedico quèsto libro al-
l'oDOre d'Agricola ... suocero; il che sarà, come pio oRcio"
lodato o Be'UIlIIto.
IV. Gneo Giulio Agrioola naeque in l'riol4' Colonia an-
-tioa e chiara; r U1IO e r altro a1'0l08uo fa procuratore cesa-
reo, nobiltà equestre. Giulio Grecino suo padre fa &eDatore 7
ehial'o dic:ilore e &IOlOfo; per le quali "rirtà si gnadagaò l'ira
-di Gaio Cesare, che gl' impose che accusasse Sìlauo: rieUllÙ,
e fo morto. Giulia Procilla fu sua madre, donDa castissima 7
acUo la cui piacevole .edllCuione pilS8Ò la sua prima elà pea
·&alte le nobili arti. Bih'a8le1o dagli errori gionnili, oltre aUa
aua Datura hU0D8 e sìneera, l' 8l6r avoto, mollo taero, per
. a ataasa e 8lloola )(arsilia, di geBtileza greca e panimo-
-Dia paesana oUilll88lenle compoata. Ricordomi ch' ei 80leva
dire che Della prima giovineza s'ingolfava nella filosofia, ol-
tre al couceduto a romano e senatore, se la prudente madre
DOB ritiran quell' alto spirito, e pio innamorato che cauto
della faccia bellissima dell' eccelsa gloria:- la ragione poi e
l'eta lo mitigarono, e, quel ch' è difficilissimo, la bramosia
di sapere OGB la sapiellza raft'renò'
V. Fece chiari i principii dena sua milizia in Britannia

• non mi plI,,.àjatictI di fare... memoria ee, Piuttolto: • Don mi riacre-


.... d'av.. falto memoria ec•• (&ompo'"i••• ee.), penhè accelma a&li 411nali •
alle SltJrle.
, in FrEoli. Qlli il Davalluti è indoUo in errore dal acme latino Forum-
Ju/II, ehe è comllne.l al Friuli cbe a Frojlll, città della Gallia narLollese, fon.
alata lÙ G. Cuare, tra Manilia e 1'Iio.. , e che veramente fII patria d'AgJi..la. Il
PoIiti.noll mancò d' appllllta.. I11'1oltro quelto l'eccalo, per far cllipello a' Fi~
fOlltini. Vedi Lettere di Adr. Politi. Vell.i6!4, pago 364.
VITA. DI GI1JLIO "GlICOL!.

a Svetonio Paolino, capitano diligente e m.derato, che l'ebbe


per degno d'esser provato in sua camerata,' Nè vo))e Agri-
cela che l'inesperienza sua e il titolo del tribanato gli servis-
sero licenziosamente,' come a'que' giovaBi che fanno della
milizia un postribulo, per darsi oziosamente buon tempo, e
andar a spasso; ma a riconoscere il paese, farsi conoscer
. d3n' esercito, imparar da' pratichi, seguitar i migliori, nulla
cercare per burbanza, nè ricusar per paara; star insieme
ansioso, e desto. Non fu mai la Britannia in maggior trava-
gli e pericoli. Soldati vecchi ammazati, colonie arse, sorpresi
esereitie prima si combattè per salvarsi, poi per vincere: e
tutto (se ben passò per consiglio e comando del generale, e
sua fa la gloria della ricovrata provincia) aecrebbe arte,
sperlensa e stimoli al giovane, e ardore di gloria; male a
proposito in quei tempi che il salire era rovinare,' e perico-
losa non meno la gran fama che la rea.
VI. Tomossene a Roma per ottenere i magistrati. Tolse
per moglie Domizia Decidiana di gran sangue: e tal paren-
tado gli fu splendore e scala a salire. Vissero in maravigliosa
concordia, gareggiando del pari d'amore e di fede; se non
che la lealtà tanto è più lodevole nella moglie che nel mari-
to, quanto in lei la misleaJtà è più biasimevole. Fu tratto te-
soriere" in Asia, quando Salvio Tiziano viceconsolo. Nè lo
Indusse. la provincia ricca a peccare, nè il viceconsole in-
gordissimo a tenersi ambo il sacco.' Ebbevi una figliuola,
per ristoro e conforto d'un maschio campatogli poco. Tra la
tesoreria lasciata, e 'l tribunato della plebe preso e tenuto
• '" elle,. provato in .flUI camerata. Lat.: .. q"em cOPltllbe,.,do e~'~m~.
ret;. cioè, a fine di conoaeerlo più da vicino, e provarlo nei negoai, gla ~'è
ricetto nel ano aleaaocontubemio o !endo, come i dnci romani aoleono fare de'g'o-
VIDiDobilie di.peronu,i quali IeneODo,diremmo noi, come ,.lut,.II" di e,.mpo.
I gli lepvÌls,ro lic'n~io.lam,,,teJcioè, a pretesto di licema; DOD facendo,
éollo acwo di Don sapere; e volendoai del privilegio di tribuno per ouenere fre-
quenti congedi, e.onda.. a 'pouo. •
• I" quei t.mpi ehe il .all,.••,.a ,.o"i"a,.e. Il laL ba: • temp?,.,b,,,:
q,db,.. aini.t"a '''P .minente. int.,.prelalio;. cioè, • Dei quali i fott. egrog.
de' grandi nomini ai tiravano al peggio .•
• tesorier«, questore. Più lotto tesoreri« per questur«, .
S a t."erii ambo il IlIceo. Sarà, le vuoi, alquaDto b.... '1ueato locuo'ODt
ma ninn' .ltq potrebbe più acolpit.m,nte rendere il latino, qua"t.llb.t taci ,.
tll&' redemp'urul el,et mutullm di.lslmtllatiolle". mali.
VITA DI GIULIO .&GllICOL.&.

un anno, niente operò. sapendo che al tempo di Nerone fu


savieza lo starsì, Fatto pretore, tenne il medesimo stile e si-
lenzio, non avendo la giuridizione.'Ne' vani onori de1ll spet-
tacoli spese a misura di quelli' e di suo avere, con più garbo
che strazio.' Deputato da Galba a rinvenire i doni de' tempii,a
si diligente fu che la republica non patl che degl' imbolati da
Nerone.·
VII. Nel seguente anno fu Percosso gravemente l'animo
e Ia casa sua dall' armata d' Otone, la quale saccheggiando
da nemica Ventimiglia in Liguria, uccise la madre d'Agri-
cola dimorante ne' suoi beni, i quali con gran parte di suo
avere predò, e per ciò l'uccise. Andato Agricola a farle le
dovute essequie, li giunse nuova che Vespasiano si faceva
imperadore; e salrìtamente si gettò li. sua parte. Governava
il nuovo principato e la città Muciano, essendo Domiziano
molto giovane, che dalla fortuna del padre l'insolenza sola
usurpava, Quegli mandò Agricola a levar gente, e trovatolo
nello a e valoroso, gli diede a governo la legione ventesima,
ch' aveva tardato a giurare, aizata (si dicea) dall'antecessore
a sollevarer" troppo fiera, e da far paura eziandio a' legati
consolari. Né bastava il legato pretorio (o per suo difetto o

I'P"" Il mi,urll di '1u./li ce. Il lat., • Ludol... modo ,.alionll al'l'"


..bUlldanci... dwdl;_ che TuoI dire, • ael dare gli spellaeoli eco Ii DÙllIlÒ eoUa
cODvcaiea.. e eollUDe facoltà._ Il testo di Baillere Orelli legge. m,dio ,.aciollil,_
e iale'Preta,. Iudol publie.. eum ami rebuI, ' l - ad IlI.. nl .. 110110,.11 perti.
Deal, d,...ril (exi.timavit) babeadol cl pODcadol iD m,dio ,.aliollil IIcqtU IIb,m-
dan.Uw~ ut inter rtltioftem~ que pIane spernit inanil, et «lJ1ll1d«''''tlnI..-qu"
eadem osteatat, media via ia.oderel, longe (remot..,) .. 1_",,111, p,.op,.io,.fII"'''••
, COli più gll,.bo c1I"leralio: DOD Ò propriameate l'uli long. Il l_""ill,
illlfam.. p,.op,.io,.; ehe vuoI dire, che quaDto più alloalaaava.i dal vaao e usato
.preeamealo, taato maggiore .lima ae raeeoglieva, eoaolcendo tulli eb'e'leuova
il mc"o tra la profulioae e la strett.....
a i dOlll d,' c.mpil, rubati da Ncroae e veaduli qua'e lì.
I III ".pu6liclI nOli palI c1I. d'Brtm6011l11 da N.,.on •• Il testo ha: • di.
ligenCi'llmll cOll'l'lllilioJtefetil, li' c..IUI all.,.I'u lac,.il'gium " ..pabllclI
'l'14m N.,.Ollil ""I/IIOC.• eereò dilÌ8"'temeDte ia quali maDifossero pencallli
i doai rubati dal priDeipc, ma aOD mos" aeeUIl di saerilegio (peeealo tullo di
Ncroue) ai po.....ori, i quali uOD avevauo polulo ricwarll dal priacipc. Co.i Ip"
aliò '1....1. iaquiaiaioDl d' Olluiodiolili e pca a, Tale ci pare il "D'O di '1....10
luogo, Doa bea eélto dal D... alati.
I netto.. onesto.
D Il loll.va,." a .0Devarli.
VITA DI GIULIO AGRICOLA.

de' soldati) a tenerla.Egli dunque datoli per scambio e eor-


reggitore, volle per modestia rarissima dimostrar d'averla
trovata buona anzi che fatta.
VIli. Governava allora la Britannia Vezio Bolano, pìù
dolce che non vuoi provincia feroce, Agricola, che sapeva
accomodarsi e accompagnar l'utile con 'l'onesto, temperò
suo ardore. Vennevi legato Petilio Ceriale, e le virtù ebber
campo a farsi conoscere. Prima gli accomunò le fatiche e i
pericoli, poi anche la gloria. Con parte dell' esercito molle
volte il provò, e, riuscito, gli diè maggior cariche. Né Agri-
-cola si pregiò mai di sue geste , attribuendone, come mini-
stro, al capitano ogni successo: cosi co 'l valoroso ubbidire e
modesto parlare , fu senza invidia, e non senza gloria,
IX. Tornato dal carico del,Ia legione, il divino Vespa-
siano il Cece patrizio. Indi il mandò a regger la provincia
d'Aquitania, dignità di principale splendore, e scala al de-
stinatogli consolato. Credesi per molli, i soldati non esser
d'ingegno sottill, perché alla guerra, ove s'adopran le ma-
ni, non sottìglieza di corte, e vi si fa ragione alla grossa:
è

ma Agricola per natnral prudenza era ancora nella pace fa-


cile e giusto. Scompartiva i tempi de' negozi e de'-riposi': in
consiglio o magistrato era grave, attento, severo, e per lo
più,clemente; altrove non teneva maestà; non era burbero,
arrogante, né avaro: né la doleeza (che rarissimo) gli sce-
è

mò l'autorità, né larigideza l'amore. Si farie' torto alle


virtù di tant' uomo a dire ch'ei fu leale e netto, perché insin
nell' acquistarsi fama (ove spesso si lascian vincere .anche i
buoni) s'astenne d'usar arte, o far mostra di sue virtù. Lon-
tano dal prendere gare co' suo' colleghi, o contese co' fiscali;
non vedendo onore nel lirarle,' e troppa vergogna nel rima-
ner calpestato. Fu in quel governo tenuto men di tre anni.
e chiamato aU' aspettativa del consolato, dandogli ogn' uno
la Britannia, non ch' ei ne fìatàsse," ma perch' ei ne pareva
capace. La voce del popolo non erra sempre; elegge talora .

• nel tlrarle o fine; nel volerne v.-derIl 6ae; nel Vlncerle, MI dabito che
h.: .. et vincer« in~lori"m et atteri .Iortlitlrun Il''''
]a lezione sia guasta. Il lat.
bU"abatl&r. "'
ti ne fiatalle J ne facesse parola.
,VITA DI GIULIO AGRICOLA..

Fatto consolo, sposò a me giovane la sua figliuola sin allora


di graud' aspettazioue; e finilo il consolato, la mi diè; e fu
eletto generale in Britannia; e da vantaggio, pontefìce.
X. Scriverò, dopo molti, il sito e i popeli della Britan-
mìa, non per mestrar più ingegno né diligenza, ma perchè
'allora la 'prima volta fu vinta; ood' io dirò il vero di quelle
èose ehe gli antichi, 'non le sapendo, accredilaron con l'elo-
quenza. La BritaDDia (la maggior isola che noi sappiamo)
nella sua positura di terra e cielo, cammina per levante op-
posta-alla Germania, per ponente alla Spagna, a merigge
-ha la Gallia quasi su gli oeehi, a settentrione è battuta da
,immenso mare senza più terra. Livio, degli antichi, e Fabio
Rustico, de' moderni serittori faeondìssimi, la fanno simile
a una scure o lunga targa; tal' è dalla Caledonia in qua, e
.per ciò fu cosi credula universalmente tutta. Ma lo smisurato
spazio che di là si sporge lungo .il mare si va ristrignendo a
guisa d'un coniò, il quale l'armata romana allora girò iu-
tornò per quell' nltìmo,' e seoperse la Britannia esser isola,
e insieme le noove isole dette Orcade , e le prese. E di Tile,
nella neve e gielo ancor sotterrata, ebbe vista. Quel mare
dieono esser tardo e al remo grave, nè mollo per venti gon-
fiare. Credo. che le poche terre e monti gli levin cagione e
materia di tempeste; e la continua profondità di cosi ampio
mare gli ritardi l'agitazione. La natura dell' oceano e del
flusSo e reflusso non appartiene a quest' opera, e da molti è
scritta. Aggiognero solo che non ci è luogo dove il mare più
signoreggi. Egli porta e riporta innanzi e indietre gran parte
de' fiumi: né ondeggia solamente dentro alle sae sponde, ma
le cavalca e allaga, e' tra' colli si ficca e tra' monti, come in
casa sua.
XI. Che gente prima abitasse la Britannia, se quivi nata
o navigatavi, aon Si sa; come cose di barbari. Le corpora
diverse argomentano varie nazioni; i le gran membra e 'l pelo
TOSSO di quei della Caledonia, esser Germani! La (:èra bron-
...
~'

I per qaetr II1tl",o lalo.


S "a~ioni~ origini,
5 esser Germani,,; cioh, argomentano o porgono argomento a credere
cbe sieno d' origime g.........i...
VITA DI GIULIO ~GIUCOU.

zina e 'I pelo ricciuto de' Siluri, posti a dirimpetto a Spagna,


esser antichi Iberi tragbettativi e accasatil'isi. I Yicini a' Gal-
li, gli somigliano anche, o che la forza della natura ancor
duri, o che quel sito del cielo, benché in terre diverse; ab-
bia infQrmati quei corpi. Ma in unìversaìe é da credere che
i Galli occupassero quel paese vìeìno, Veggonsi le lor cose
~sagre prese dalla medesima superstizione. La lingua poco
!diyersa; i pericoli prendono con pari audacia; e presi, gli
fuggono con pari codardia. Pure i Britanni hanno più del
feroce; come non fatti ancor morbidi da lunga pace. Perché
noi troviamo, anco i Galli essere stati famosi guerrieri; per-
duta poi con la libertà la virtù, l" entro l'ozio e la yiltà; il
che è avvenuto a quei Britanni già soggiogati: gli aUri si
mantengono come gli antichi Galli'
XII. Prevagllono nella fanteria: alcune nazioni combat-
tono in carrette. Guidale il più degno; i suoi combattono.
Già erano sotto i re, ora seguitano i capi di parte. Nulla
contro a queste fortissime genti ci giova, quanto il fare cia-
scuna per se. Rade volte s'uniscono due o tre cìttà a difesa
comune; e mentre combattono splccìolati, sono Yinti tutti.
L'aria per le spesse piogge e nebbie l" è torbida: freddi non
aspri. I giorni più lunghi de' nostri: la notte non buia: corta
nell' estremo dell' isola, e dalla sera ali' aurora, quasi un me-
-desimo albore. Affermano, nelle notti serene vedervìsi il
chiaror del sole, e che egli non si corica né leva, ma co-
steggia; perchè l'ombra di quell' ultime pianure è tanto bas-
sa, che fa alzar poco le tenebre, e il buio della notte non
arriva alle stelle, Non ulivi nè l'ili, o altro solito ne' paesi
più caldi: biade assai: vengon su presto per lo molto umidore
della terta; e tardi malurano, per quello dell' aria. Produce
oro, arienlo e metalli, premio d'averla vìnta, e quell'Oceano
genera perle, ma torbidicce e livide; dicono, per non saper-
le, come nel mar Rosso, spiccar vive da' sassi, ma ricorle
alle prode. lo credo che a quelle mancherà la natura più
presto che a noi l' avarìsìa.
XIII. Essi Britanni son pronti a dare all'imperio solda-
ti, tributi, e fare ogni obbligo con le buone: le ingiurie non
sopporlano: domali all' ubbidire, ma non all' essere schìavì.
l1TA DI G~IO AGaICOLA.
TI divo Giulio, ehe fu il primo romano che in BritaDnia en-
trasse con esercito) 88 bea con felice battaglia spaventò gli
abitanti e prese la ripa, si può dire che a' successori la mo-
strasse, non consegnasse. Vennero le guerre civili, e volta-
rono i grandi l'armi contro alla republica; e pur lungo tempo
ancora t in pace fu sdimenticata Britannia. Il che Agosto
chiamava consiglio, Tiberio precetto. Gaio Cesare trattò d'en-
tram, ma ristette, come furioso, voltabile;' e chiaritosi
de' grandi e vani sforzi contro a' Germani. Claudio ne fece
impresa, e vi mandò legioni e aiuti. B Vespasiano (che fu
principio di sua vicina .grandeza) vi domò nazioni, prese re,
e a bastanza vi s'illustrò.
XIV. Primo governatore, stato consolo, vi andò Aulo
Planzio, poi Ostorio Scapula, guerrieri ambo valorosi, e a
poco a poco fu fatta vassaUaggio la parte di qua della Britan-
nìa, e postoleaddosso una colonia di soldati recchì, e donate
alcune città al re Cogiduno, statoci fedelissimo sino a' nostri
tempi, aD'usanza antica e ricevuta dal popolo romano di
adoperare ancora i re per strumenti a mantenerci i servi.
Venne Didio Gallo, e mantenne gli acquisti d'altri:, di più
fe' certe poche ròcche 8 per parer d'aver fatto pur qualche
cosa. Veranio lo scambiò; e mori in quell' anno.
XV. Svetonio Paolino in due anni felicemente soggiogò
nazioni, e lasciatevi guardie s'assicurò d'assalire Mona iso-
la, che porgeva forze ai ribelli, e diè loro, mostrate le spalle,
occasione (rimasi per lo legato assente senza paura) di rìan-
dar tra loro i mali della servitu. Contavansi le ingiurie rice-
vute, ,comentavanle accendendosi. « Non servìre la lor pa-
cienza, che a mostrarsi di spalle forti da caricarle di mag-
gior soma. Già aver avuto un padron solo, addossarsene ora
f e ",... lan80 tempo ""CO,... : o il l'a,. o l' IIneo,." ridoDda. Che P"" lia
errore di stampa iDvece di l'e.., DOD eredo; perch~ questa preposiliODe, qui DOD
DeCellaria,il DauD.ati l'anebbe taciuu. For.. acris.. prima e 1'_ 1""BO t.mpo
i .. pllee fa. Idimerdi&tda; poi cornase _ l""p umpo ""CO"4 in p.c, te; e i
primi edilori eliaaUeDli portaroDo DeUa alampa ambecllle le parole. vecli CliO si.
mile ...Ile Sto,.'e. lib. III, e. 3 iD liDe.
I fariolo, IIoltllbile. Lat.: .llelolll in8enio, mobllil,...,.,t.ntlll.-
8 di l'i;' fe' ce,.te poe"e ,.6«"e. Polili: • aveDdo faUo al.uDe poche foro
t ...e al'l'llllto più addentro•• Lat,: • "","il IIdmodlUll C41Ullil iII ult,,.io,./I
p,.omotil•• •
:viTA. DI "IULIO .lGll'lCOLA.

due; illegatò contro al sangue, il procurator OOBtro alta ro-


ba, d'aecordo o no me quei &iano, tanto se n'essere per
loro martori.' Scannargli l'uDO 00' soldati, co' centurioni;
l'altro con l'avanie e oltr;tggi, rubaTe e svergognar ogni
eosa. In ballagtia ehi ti spoglia, esser più Corte: oggi epi
. sciaguralo che non vide mai guerra, volar le case, rapire i
lfigIiuoli, metterli- Belle bsade, eome genle da patire ~i
cosa, Cuor ehe lDOI'ir per la patria. Quanti esser peehì i IJDI~
dati sbarcati, se si eontauero i Britanni'l Le Germauie avw
pure scagliato via simil giogo, e &OD difese da fiume,.e non
da oceano. Combattere essi per la patria, peI' li padri, madri,
mogli e figliuoli; quei per l'avarizia e lussuria. Rimand&.
remmoli con le trombe ilei sacco ,t come quel divo Giulio,
purché volessimo somigliare i nostri maggiori con la virtù,
né ci sbigottisse una rotta o due. AggiugDel'e le diSfJruie
ostinazione e impeto. Increscere de' Britamli ancora agI' i~
dii, che tengono il capitano assente, e l'esercito coROnato
in allr' isola. Già siamo condotti a deliberare; che il più è

difficile; ora è più pericoloso l'esserci colli, che il dar den-


tro. »8
XVI. Puntisi per si fatti parlari, presero tutti quanti la
guerra sollo Voadica, femmina di sangue reale (che non guln'~
dano alsesso di ehi comandi), e dato addosso a' soldati sparsi
per le castella, e prese le forteze, assalirono l'islessa colo-
nia, nido di lor servitù: né sorte verona di erudeltà ne' bar-
bari ," lasciò l~ ira e la vittoria. E se Paolino, saputo tal mo-
vimento, tosto non soeeorrera, Britanllia era ita: la quale
alla prima battaglia torDÒ al giogo, ritenendo l'anDii per la
colpa propria,8 e per la tema particolare del capitano, iMo-
l. tanto se n" esser« per loro martori; essere un' istessa cosa; tornare al
medesimo, quanto o'loro dSllai. Il 101. bw:. (II""" dl,cor'rii."" pr"7"',"orum,
teqrle c01lcortliam .r"biectl$ e.itio.ram ••
t con le trombe Jlel .IaccoJ a lIlaD v. .te; IIDal IWI aul. otlea1lto.
S il dar dentro, il metter mo"o all' imp....'"
• n,,' barbari, .olito "ursi d.' b..bori.
r
5 ritenendo armi, ritenendo i più le or"... f::8I'i] p••lillo'......011' .......
plare Nesti.ao di G. Capponi; e COli vuole ollell.-i l _•• ,.,,_i6.<1 ,,,.,,,,, l'I...
rf.l'l'''' _
6 p~ la e.lpa ,..-opr;n, l''' la cOlO<i.... sclelbpropna 0011'"' .... l8Ddoun
Callito alla fede.
VIU DI GIULIO A.GILICOU,..

.1eBta 00' perdenti, e, helw:bé Del resto ottimo, delle oll'eie


propEie vudicativo. Però ebbe per iscamltio Petronìo Turpi-
liano, come più placaltile e agllvore a perdonare a i ripenliti,
i peceati DOIl fatti a tempo suo. li quale quetò la provincia,
e IIenza .aVei' tentato allro, la consegnò a Trebellio MBssimo.
Co&Wi (rillido e nuovo De' man~ggi di guerra, la tenne COlI
certa piacevoleza; e cosi impararono ancbe i barbari a pie-
garsi a' vizi Jusinghevoli, e le gwln'e civili. sopraggiunte
ecIia&uoDO le BIle daJlil~ini.l )la gli diè da fare la dìscor-'
dia, perché i sekìati, aneli .a DOlI posar mai, si fecero Ii-
c:eJ1ziDsi aeIl' ozio.' Tr~belJio fuggito e nasceso , &campò. daJla
lor furia; 1UeDne il grado con indegnità e per mercé; quasi.
eapitolata al capitano la vita, all' esercito la licenza. Qaeato
abbattimento fu senza saague. Tenne la BritaDDia Vezio B0-
lano con la medesima pigrizia co' ~ei, e iuolenza de' sol-
dati, e nìua ordiae di milizia, dorati le guerre civili: ma
senza falli senz' odio, s'acquistò am.ere in vece d'autorità..
XVIL Ma poiché Vespasiano (u padrone, col resto' del
mondo, deI1a BcitaDnia; vi ebbe Fan capitani e buoai eser-
citi. Shaldanairo i nimici, e gli atterrì Petilio Ceriale, assa-
lendo ìnccutaneate il paese de'Briganti, lo più popolato della
provincia. Molte batiaglie fece, e di sangaìnose , e gran parte
già n' avea presa con la fama I o con la guerra, E quantun-
que lasciasse ad altro successore poca Iaccellda. e gloria, Giu-
lio Frootino valoroso resse bene, al possibile, quel carico,
e domò con l'anai i Siluri, gente forte e guerriera, ov' ebbe
a c<aDbatJere COD le diJlicultà de' Juog.il4 01lre alla. virtù
de' nìmici•.
XVIIL In La' termiui e successi di guerra trovò Agri-
cola la Britannia. giuntovi a mesa state, quando i soldati
peDBaVaDO al riposo, 6 i nimiCÌ all' eecasìoae, Poco avanti

.. ecli.J.I"rDno le sile 4appocagini. Non .' eeclissa se non ciò che rispl~D.
de, però qui, o è uu' irom., o uu' improprietà. lIh illttiuo ba • '"' er p ....tns
411"W- ............. "rorbuit ;1IAa" 1.!f'I1ti1Jl em:_tt......J • cioè, le guerre
ciyili sceppia\l iu.tpIIIl1IlIICUo, porsuo plomi»il pretasto al IUO DJIIl fir all1la.
Perchè, diceva,.Doa voglio che 1'impero abbia due guerre addosso, la civile e la
barbarica.
:I _ ltll_J cioè, ""I grido delle ntl-' 1\ lat.: • tlat ,,;cla>-lil ",.,
b.llo••
2112 TITA DI GIUUO AGRICOLA.

suo arrivo, la città d' Ordovieo tagliò a pezi quasi tutta una
banda di cavalli alloggiata in quei confini. Questo principio
inanimi la provincia. Tutti voievan la gnerra; chi seguitar
l' esempio, chi intender l'animo del nuovo legato. Agricola,
benché finita la state, sparsi i soldati per le' luogora, fallo
pensiero di svemani; COI8 lunghe e contrarie a cominciar
guerra; e molli lodassero più tosto l' asaieurare le cose s0-
spette; delibero farsi incontro al pericolo, e con le legioni e
pochi aiuti, perché gli Ordovici non ardivano campeggiare;
messosi innanzi a tutti per dare agli allri unimo, ordinò la
battaglia. Quasi tutti gli uccise. E sapendo che la loria i
dee seguitare, e che i primi successi si tirerehbon dietro
ogni cosa, risolve di pigliar l'isola di ooa, Iasciata d. Pau-
lino per la ribellione di tutta la Britannia, come dicemmo.
Mancandovi nav\lii(come nelle dubhieze avviene ) l' ing " no
.e la costanza del capitano fece passare , t lasciata o ni baga-
glia, un fiore d'aiuti che sapevano i guadi e, nolando, ree-
gere a loro usanza sé, arme e cavallo cou tanta presteza,
che i nimici aspettantisi armala, navi c mare, Irabiliali fa-
cevano ogni cosa agevole e vinta a chi u rreg iava ' i fat-
tamente. Cosi data d'accordo l'isola, divenne J ri ula fa-
moso e grande, come coluiche volle di prima giunta spendere
in fatiche e pericoli quel tempo che gli allri ogliouo in iiri-
monie e burbanze. Né per prosperità invanito, qu Ila appel-
lavà impresa o vittoria, ma aver tenuto i rintì in cervello:
nè pure le lettere d'avviso d'alloro inghi I nd ù, ma fece la
sua gloria maggiore col non la mostrare ; con iderando i a
quanta intendeva chi ne taceva cotanta.
XIX. Informato degli animi della provincia, e veduto
per altrui sperienze, che armi non bastano dove ingiurie
si fanno; delibero troncare le cagioni delle guerre, e riformo
prima 'se e la sua casa: fatica a molli maggiore che regger
la provincia. A schiavi né a liberti cose publiche non com-
metteva: soldati non accettò per amicizie nè per preghi di
centurioni; ma i migliori' stimava i 'più fedeli. Voleva tutte
le cose sapere, non tutte correggere; scusava i peccati leg-
fJieri; i gravi gravemente puniva; né anche sempre: ma
.. f~ce ptUI4,.e~ trovù il modo che pu,U&lro..

b Goog\c
'VITA DI GIULIO AGRICOLi. !l3
spesso si cooteotava del ripentire. Gli ufiei e maneggi dava
a gente da non errare, I anziché poi punire. Alleggeri le re-
sco88ioni de' grani, e altri tributi; tolto via quelle che più
sCottavano, inventate per mera baratteria. Perché i pove-
retti erano; per istrazio, costr~tti a perder tempo intorno a
que' magazini serrati, e a comprare e rivender grani: e le
città eran comandate a portargli da' prossimi alloggiamenti
in luoghi lontani e aspri; sin che quello che sana stato co-
modo a tutti, risultasse in utilità di pochi.
XX. Avendo per lo primo uno rimediato a questi di-
sordini, f~ benedire per mille volte la pace, la quale, per
tracuranza o sopporto di governatori passati, spaventava più
che la guerra. Venuta la state, ragunò l'esercito, lodò i sol-
dati venuti in ordinanza; gli altri garrl, Sceglieva esso i
luoghi dell'accampare, tastava i guadi, riconosceva i bosclÌi,
e nOB lasciava mài riposare il nimico con le scorrerie e
prede; e deppe il terrore, usando clemenza, allettava la pace.
Per Je quali cose
molte città, le quali fino a quel di non ave-
van voluto cedere, posata la collera, diedero statiehì, E vi
pose guardie e forteze con tanta ragione e cura, che niun,a '
parte, per aTanti nuova nella Britannia, rimase non tentata.
XXI. Lo sequente verno sicol18umò in peuieri utili,
pet' avvezare con cose piacevoli alla quiete e all' ozio quegli
uomini seh:aggi e rozi, però bellicosi: gli esortava in privato,
aiotava in publico a edificar tempii, magistrati, abituri. Lo-
dava i pronti, gWriva i lenti; in cotal guisa gli servivano
di sprone i garregiamenti d'onore. Faceva insegnar belle let-
tere a' figliuoli de'nobili, anteponendoli nell' ingegno a'Fran-
zesi, per iJÌvogliarli all'eloquenza della' lingua romana, poco
anzi abborrita. QJlÌndi piacque il vestire alla nostra foggia, e
a poco a poco con l'uso de',bagni, stravizi e ritrovi,· cad-
dero nelle lusinghe de' vizi; chiamandosi da' non pratichi
civiltà, ciò ch' era spezie di vassallaggio.
XXII. TI terzo anno di questa impresa, dato il guasto
sino alla palude Tau, scoprì nuove genti; di che spaurito il
nimico, non avendo animo d'attaccar quell' esereìto, ben-
« da 1I0Plerrare, incapace d~ enare.
• ritrovi. brigate di 1011.110.
n.
VITA. DI GIUUO A.GRlCOLA.;

ohè malconoio dai temporale, gli diede agio di, forli6ca~


Osservavano gl'iD'endenli~ nìuao aver preso qneglio ipesti~
niuno forte, CaUo da Agricola, esser mai slalo abbandonata,
nè p-eso a forzanè per accordo: spesseseruvan», rilllre-
llCati ogB' aano di g;,nte, per r~gere a IUDgo assedio. Pa&:-
&andosi il :vemo saDZa paura~ eìaseano guardava il ~, i
riimiei nulla approdasdo, l (soliti per lo più a risarcire i danni
della alale 00Il gli accidenti del vemo) rotti allora ìaognì
stagione, si dìsperavaao. Nè Aglicola si fe' maibeDo de'fatti
d'altri': Cl centurione o capitano l'ebbe sempre fedel testi-
monio de' fatti suoi. Fu da alcuni tenuto rotto I nelle bra.
vate, come piacevol coi RoDi, co.si terribil conlro·i malvagi.
Ha d6p6, nulla di collera gli l'estava~ né era pericolo ch' ei
ti stesse piiI grosso: 3 stimando aver.piti del buono l'offende-.
re, che r odiare. '
XXIII. La quarta state fini nell' impossellSllrsi di quanto
s'era tra800rso; e se al valor .degìiesercìtì e alla gloria del
'fIome remano fosse bastato, erasi Bella stessa Britannia tro-
~ato il tine. Parchè Gioia e Bodolria, paludi vaste, faUe da
oJlllOsta marea, sen divise da poca terra; e in ~el tempo,
come anoo .j pm vicini sbarcJ1i,eranoben guardate da' no-
stri, fatto ritirue il ,nimioo, come in altra isola.
XXIV. Nel qvioto anno, imbarcatosi al primo b1l&R
tempO,· eon spesse e felice battaglie soggiogògenti fino a
qnelgiomo 11011 conosciute, e armò quella parte di Britannìa
che guarda l' lhernia, più per qualche speranza, che per
p8U1's.Perchè, posta l' l1lemia fra la BIjtanDÌa e la Spagna.
eomoda al mar di Franeia, farebbe di begli acoooeiG a que--
sta pò&sente parted'-ÌJnIletiO. È piccola in ragguagli" deIJ,
BritaRDia; ma avanza l'isole del aostro mare. L'aria, il
I nr./la approdando, non ottenendo vernn vantaggio.
.1 rotto" esorbitante _ brapttte .. ripreasioni.
:5 ti stesse più grosso; ti tenesse più oltre il broncio; 1Ì.si .lDostrasae sde-
gnato,
• imbarcatost al primo bnon tempo. Il testo ba: .nape prima tMugres-
SUI" cic)è .. nap;bus '"m primr"m ec.," varcate calle Davi, allora per la prima
volta, quel golfo (Corae di Clota), Non manca peraltro cbi, <QI Nostro, interpreta
quel prima nave per ••simili (le mare apertl'm est.." ovvero Il primo t.mporll
ntw;gationis aperta,»
5 farebbe di beCli acconci, reeberebbemclte <QlDottil:"
Vlt'A. DI GIULIO AGBICOL.L !l1S/J

terreno e gli abitatori somigHan q1Iei di Britmmia: i suoi


perti e gli siarelli, mercè de' traffichi e del commerzio, SOD
eoneseìat]. Agrieolll, raoeettato un di qne' signoroUi, scac-
ciato di casa 80a, lo tratte..-eva sott'ombra d'amicòia, aspet-
tando qualche oecaaiene. Spe88G ~ seatii dire elle, COB una,
sola legione e poehi aiuti, si potria pigliare e tenet' l' Iber-
nia; che faria· baon gillOllO l per soggiogare i Britanr», se da
per tutto si vedesser l'armi romane, e fosse lor toUa qaasi
d'in su gli occhi la libertà.
X~V. NeI· principio del sesto anno, temendosi di solle-
vamento universale di qaelle genti e del vi3!gio mal sìcur«
dal nimico, riconobbe prima le Clittà grosse, di la da Bedo-
tria, con l' armata, elle: fatta per aver più forze lo seguiva
con bella mostra, guerreggiandosi per mare' e per terra in
un tempo. Spesso, ne' medesimi alloggiamenti, fantappiedi, S
cavalieri e soldati. di mare alla' rinfusa, sue prove e pericoli,
tutti allegrI ag~ranclivaRo. Ora '\lenendo in' pal'agelnecon bra.-
vura soldatescà le voragini delle selve e delle lIloMagneron.
i temporali e le tempeste; da una parle la lena t\1rma e
r inimico, daD' altra l' oeeane superato. La visla deU' armata
(come i prigioni dìssero) spa:yentò anche i BritaDai, come
se, aperto quel ripostiglIo di mare, fosse levato r ollimo ri-
eevero ~ vinti. l' Caledonii voltilli all' arme, cmr gl'3Doe ap-
parecchio e pill Alma, come avviea .nelle cose aoove, aseai--
tati i forti, milA!lt'&enore, come fa chi a&-oota. I più ~roDi,
per parer san, ~nsjglia"ano a tornare addietro, e uscir di
Bodotria, primli eh' esseme discacciati. Fra tanto' Agricola,
ititeso che 'l ni~, soperWr8 di gente ti' di pratica di quei
luoghi, f aU«eeherebbe da più. binde, per non essercl'llto in
mel!6, marcii; '8m}1l' egli eon l' esoNik>is, tre squadlOni.
XXVI. Ciò sapotesi da' Dimici, mutato penslero , a88ll1-
tàta dr.notte con tutt' il g1'081ro la nona legione', ~ più debole
t faria bu()~ riUDCO ~ sarebbe molto opportuna.
I fantappiedi è lo stesso che fanti. Veramente la Nestiana ponefanti Il
pi~dl; ma indu<emi a seri....lo in DDa sola parola, Il il penlare che il Davanzati
avrebbe altrimrnti detto jhntl a risparmio d' UDa parola l e Il ancora il, ...<1&",·"'"
ci sona fin c..ati di Fantappiè o Fantepptedì,
5 assaltat« con tlltl'il grosso la nona legione. Lat.: • .. nl."',.1110 ...
"onana teglonem adgro$$f. ~ ,
256 nTA DI 6U1LIO A.6BlCOLA.

di tutte, entran per forza, tagliate a pezi tra 'I SODDD e la


paura le sentìnelle.. Già negli stessi alloggiamenti si 'combat-
teva, quando Agricola avvertito dalle spie del viaggio del
nimico, messost su la traccia, comanda ch'i più 'Veloci de'ca-
valieri e pedoni gli assaltìno dalle spalle; quindi a poco da
tutti si levi un grido. Vidersi su 'l far dell' alba l'insegne.
Allora spaventati i Britanni da doppio male, i Romani rife-
cer cuore, e sicuri già della vita, combattendo per l'onore,
di buona voglia spinsero avanti. Fiera fu la battaglia in SI1
l'entrar delle porte, finché l'inimico fu rotto; gareggiando
gli eserciti; questi, per mostrare d'aver 8OOC0I'80; quegli,
per non parer d'averne avuto bisogno. E ~ paludi e selve
non nascondevano i fuggitivi, erasi in quella sola battaglia
fallo del resto. t
XXVII. Per ìa fama di cotal fatto, inferocito l'esercito,
si vantava passar per tutto: «doversi, combattendo del con-
tinuo, entrar nella Caledonia: »cosi ehi poco anzi faceva
dell' accorto e del savio, dopo il fatto, bravando, si millan-
tava. Pessima condizion delle guerre, che ciascuno si fa au-
tore delle vittorie, ma delle rotte si dà la colpa a un solo.
I Britanni tenendosi vinti non per valore, ma per caso e
astuzia del capitano, nulla di loro alterigia scemando, non
restavan per questo d'armare la gioventù; mogli e figliuoli
mettevano in salvo. con lor diete e sacrifizi si collegavano
con le cìttà: cosiaizati gli animi, ambo gli eserciti si partirono.
XXVIIL La medesima state, una coorte d'Usipii arro-
lata nelle Germanie, e traghettata in Britannia, fece una
grande e memoranda scelerateza. Ammazato il centurione
e que' soldati che, per esempio e per guida, erano stati fram-
messi nelle squadre, s'imbarcarono su tre navi, sforzatine
i nocchieri: UDO de' quali ,parlitosi, ammazano gli altri due,
per sospetti; non essendo ancora la cesa ben chiara, eran
guardati con maraviglia.' Quindi a poco trabalzati or qua or

• ttr'"i•••• f~tlo del rodo. Far del rest» è modo vivo ael popolo, e 4i.
snillca pnocarai Inehe qnel po' di danaro re_tato in tllca; e, per metafora, arri-
-ehiare Glni cosa, • dar fondo a tuuc, 11 lat. ha: • debellalum loret;. llreI>-
hai .pacciata Il suena. ,
I Or~1I ,"ard~ti .011 "",ra"',1w. 11 101. ha: ••11mir..."Z,,,,, pro ..eAoblUlo
là, I veDuti iD più luoShi alle mani coi Britanni, che difen-
devano il proprio, spesso vincitori e talor perdenti, vennero
finalmente a tale sterminio, che si mangiavano fra loro,
prima i più deboli, e poi i tratti per sorte. Cosi aggiratisi
per la Britannia, perdute le navi, per non saperle guidare;
tenuti per corsali, furon soprappresi, prima da' Svevi, e pòi
da' Frisi, n sapersi di già si gran caso, ne fe' riconoscere
alcuni che, bazarrati I da' mereatantl, in questi -scambia-
. menu di padroni, furon condotti alle nostre spiagge.
I XXIX. Nel principio della state, Agricola ebbe in casa
'un gran colpo per la morte d' un suo figliuolo d'un anno.
Ciò comportò non già con affettazione d'ambiziosa costanza,
come il più degli uomini forti, né meno con piagnistei da
donne; e la guerra gli servi per conforto. Mandata per tanto
innanzi l'armala, acciò, saccheggiati diversi luoghi, met-
tesse grande e vario spavento, con i' esercito in. punto, ac-
cresciuto de' più forti Britanni, provati per lunga pace, ar-
rivò al monte Granpio, preso già dal nimico. Perché i
Britanni niente atterriti per la passata rotta, veggendo in
,viso o la vendetta o ia schiavitudine; accortisi finalmente
.doversi il comun pericolo scacciare con la. concordia; con
ambascerie e con patti avevan tratto a loro il forte d'ogni
'citlà. Già erano sopra trentamila soldati, concorrendovi per
ancora tutta la gioventù, e vecchi rubizi e prosperosi, chiari -
e graduati nella milizia.I Quando Galgaco,.il primo tra quei
. capitani e per valore e per nascita, a quella moltitudine ra-
ganata, e chiedente battaglia, dìcesì, avere cosi plJrlato.
XXX. CI Qualunque volta io considero le cagioni della
guerra, e le nostre necessità, credo certo il giorno d'oggi e
Ia vostra' unione dover essere a tutta Britannia principio di
t.,.J. o,aeeoDdo Dlille.. Orelli, • pr ....A.bll.tar J. che il Polili Indac.'e: • come
pa mincoloftlDO trllportlti dal mare.• " forll il 1'Ioslrole.... pr.b.b_ t ' .
n postallaloft dell'e_p\' NelliaDO di G. CappoDieomlllle di lao Siudiaio: aD
Suidali come per miracolo. •
I Qairrdlll ,0.0 tr-6l1l..u or qws or 1•• 11 tulO di Tacilo ~ 'lui conotlo,
ed il NOllro Induce. lecoDdo il raccoDci_Dlo d.l Reaaao.
I bll.rrIlU, Lanllali, preli ia cambia.
I .....AI rr<bi., eco n poslillalore dell' esemplare NUliaDo di G. Cappoai
COrftlllle di lao capo: • 'recchi robulli e prosperoli. cbiari io guerra e adorni di
lor proclene. •
~.
l'ru DI GIULIIl AGRICOLI:.

libertà.. Niuno di voi ba provato servitù; altra terra: non ci


.ha ove fuggire;: nè il mare è sicuro, eopeastandocì l'armatll
roìnana, sl che il combattere e l'anni, gloria de' valorosi,
sono anche sicureza de' timidi. Le passate battaglie fatte
con varia fortuna co' Romani si fondavano nelle nostre forze
e soccorsi r perchè noi, come di tutta Brilannia uobìlìseìmì,
per ciò serbali in questo suo ullimo rìcetto , non vedevamo
liti schiavi, non violava i nostri occhi presenza di padroni.
Noi ullimi abitatori della terra e mantenilori della libertà,
ci difendiamo in questo angolo di Brìtannìa.! Oggi è ape l'Io,
e pensasi che oltrelà (come d'ogni nòvilà non saputa av-
viene) siano mirabilie; 2 ma e'oon ci è altro che onde, e sassi;
e, quel ch'è peggio, i Bomaal , la cui superbia per osservanza
o modestia non fuggiresti; ladroni del mondo, cui non rima-
nendo più terra a disertare, rifrustano 8 il mare. Se trovano
nìmìco ricco, sono avari; se povero, ambiziosi. Levante e
ponente non gli empierebbe; soli essi di pari bramano rlc-
cheza e povertà. Con falsinota! chiamano imperio il rubare,'
scannare e rapire; e pace, il desolare,
XXXI. » Natlll'a ha voluto che ciascheduno i figliuoli e
parenti suoi abbia carissimi; questi ci son fitti nelle minzie,
e dileguati a servire. Mogli e serelìe, quando 'IlOn le stonano
da nimici, le vituperano come ospiti e amici. Tolgono i beni
per li tributi, le grasce per r abbondanza: 4 straziano i corpi
in far legne. ne' boschi, strade ne' fanghi, con bastonate e
oltraggi. Gli 8chiavi nati a servire son da' padroni venduli .
una volla, e pasciuti. Beitannìa sua schiavitodine ogni di
compra, ogni di pasce. E come tra li schiavi il nuovo e soro"
è beffato da' suoi compagni ancora; eosì noi-a tale schiavitu-
dìne del mondo nuovi e non pomI) bUODi, siamo cercati di

I ti difendiamo in questo ....golo di Brilan";a. Non h ••• 1I0. Il teste h.,


" No.1 terrartem ac libe,.tati~ estrUlt06 reCè'8l" lple Ile "1f"I~fam.;1I A"'FIe
diem diifendit." Quel fC defendit fama .. è lo atessO'chè • fu-cee "01 afamtr.l.
ci tiene ocono.ciuti... Noi ultimi della tur. e deU. libertà ba scampato fi'n qui
dall' esser conosciuti quello slel50 angolo e ripoatislio.•
, mirabìlte, cose mirabili: è pu< oggi ke'{lmlt...el popolo.
3. rifrusta"., "In ricercando, spiando.
• per l'abbondan.a. per )'...,noDll.
G SO,.0.1 Inesperto. Ma nel lesto non v' è.
VITA DI GIUUO AGRICOLA.

spegnere, non avendo più campi nè cave nè porti da farvici'


lavorare. Non piace a' padroni cotanta virtù e ferocia ne'sng-
getti; e questo esser lontani e riposti, quanto sicuri tanto ci
fa sospetti. Non potendo adunque sperar perdono, destatevi
oggimai, tanto cui la vita quanto cui la gloria è carissima.
Pòtettero i Briganti guidati da una donna ardere una colo-
nia, sforzare un campo, ed avevano il giogo bello e scosso,
se la prosperità non li facea trascurati; e noi non manomessi
nè domi, non portereno! in' palma di mano IaIìbertà , per
mostrar al primo all'ronlo, che foggia d'uomini s'è serbato
la Calidonia?
XXXII. » Credete voi ch' i Romani siano nella guerra
cosi valenti come nella pace insolenti? Nostre voglie divise'
gli fanno chiari: degli emiri de' nimici fa sua gloria il loro
esercito, di genti diversissime appiccalo insieme con la cera
d'un po' di fortuna t che, mutata, lo sbanderà; se già non vi
credete che quei Germani e Galli, e molti (che io mi vergo-
gno a dirlo) Britanni, che messono il sangue proprio per far'
signoreggiare stranieri, a e pnr sono stati più tempo nimici
che schiavi, siano con essi di fede e d'amore incollati e con-
fitti. Paura e spavento li tiene Insieme; che come n'escono,
v' entra l'odio. Abbiamo noi al vincere 'luUi gli stimoli. I
Romani non hanno le mogli che gli accendano; non i padri
che li fuggenti svergognino: la maggior parte non hanno pa-
tria, o non è questa. Son poche compagnie, econtemplano

. I portereno; porterem~.-Po~tarein palma di ;"ano è modo proverbiol. cbe


SiSbi&c:a Am",.e e ulfe,. CiII-a . ._ COla: e eon filO, il !fastro h. creduto tradarre
queate parol. chel'lllolUi noi ,!ello, .econdo la congettura dcii' Acldollo, -/il••,..
tatem non in prte6entia latar;';. le quali VOgliOD dire: • noi pronti ad ottenere
la lihertà non pel momento, come Cecero i Briganti;ma in perpetuo.,. Ma il testo
BlIitter e OreUi legge: • Iìberìatem J'lOn in panitenliam l(l~r"rl; • elce, ebe non
.iamo nel caso di doverci pentire (come furono i Briganti) ci' over conquistato la
libertà. -
• appiccatoInneme con ["cera d'i;n po' tlI fOrltma. uniti dtholmente'dane
pro.perità.
3 eh. mUlono I1langr.e proprio per far 'I/poreggiare Itro_rerl. Lan.
gnido, La lettera del testo dice con più forz.: • che prestarono il .ongne a stra-
aiera tiranoide; " .. dominationi alien« sangrunem c(lmmO'dante8. tf Muser
Bernarclo in '1"..ta parlaI a dormiglia più del dovere.
260 VITA. DI GIULIO AGRICOLA.

stupidi questo nuovo cielo, fallici dagl' iddii quasi incappar


nella ragna. Non vi spaventi la lor vana apparenza, nè ab-
bagli lo tanto oro e ariento, che non fiede nè para.' Quando
saremo alle mani, daremo ne' nostri Britanni, reeherannosì
le mani al petto; I rimembrerannosi i Galli della primiera
libertade; pianterannoll, I come dianzi gli Vsipii,gli altri Ger-
mani, né ci fìa più da temere: le furteze vote: colonie piene
di vecchi: ciità mal contente,. e peggio d'accordo tra chi
malvolentieri ubbidisce, e chi iniquamente comanda: qui è
il eapìtanc, qua l' esercito, colà i tributi, le cave e gli altri
martori da schiavi: lo cui eterno confermamento, o la subita
vendetla sta in questo campo. Nell' entrare in battaglia sov-
vengavi de' vostri passati, e degli avvenire. Il
XXXIII. Da si fatto parlare dispostissimi, levarono al-
l'usanza barbara scordate grida e canti e soffiamenti. 4 Già
le schiere, folgorando l'armi e correndo qua e là i più ardi-
ti, si mettevano in batlaglia: quando Agricola parve i suoi,
benchè lieti e a pena tenuti alle mosse, cosi rinfiammare.
Cl Questo è l'otlavo anno, compagni miei, che voi continuate
a vincere la Britannia con la virtù e fortuna del romano im-
perio, e con la vostra fede e opera. In tante imprese e bat-
taglie è bisognato e forteza contro a' nimiei, e pacienza e
fatiche, quasi contro all' istessa natura;nè ho potuto doler-
mi di voi né voi di me. Valicati i termini, io de' capitani,
voi degli eserciti antecedenti, possediamo non per voce o
fama, ma col campo e con l'armi l'estrema Britannia; ab-
biamola noi scoperta e vinta: quando voi fatigavate tanto
per quelle paludi e manti e fiumi, io sentiva dire a i più va-
lorosi: « Deh quando ci fia dato il nimìco'iquando il combat-
teremo? » Ecco lui ora frugato e fatto sbucare delle tane;
contenti siete; potete usare la virtù, e ogni cosa è piana a' vit-
• "è pua, nò direade.
I dore"'o "è no6lri Bri"''''';, recAtranllo.; l. ",ani al pello; c'inconl....
remo nl'Dostri Briuaai cbe &e'V ono ora aeH'esercito nemieo , j qualiaiptntirau-
DO et. Uht.: • apol.ce.t 11Ulm CIU"II"'~-. rieonolceraDDo cbe J. loro CIUI è
'l"U1I, aOD gw-quella de' Romani.
I plan'tra...oli, co", ..... gli .llri Germani gli aLbaodoaeraano, __
diaaai gli abbaadonarono Bli U.ipii.
• .IoJfiamertti, fremiti.
VIU DI GlUUO A.GRlCOli. 261
torios.i e contraria ai vinti; conelosìa che l'esser tanto cam-
minati, usciti di tanti boschi, sfangali di. tante paludi, l che
paion belle cose e prospere,' vi tomerebbono, se fuggiste,
pericolosissiine. E perchè noì non abbiamo nè pratica de' luo-
ghi né dovizia di vivère; mani e armi,' in queste ogni cosa.
lo per me risolvei alla prima, che spalle non salvìno" eser-
cito né capitano. Meglio è morir onorato che viver con ver-
gogna; ma la vita e Ponore vanno insieme; e quando si
morisse in questo fine della terra e della natura, por sarìe,
. glorioso.
XXXIV. » Se aoìevesslmo a fare con gente nuova e
,non assaggiata, io con esempio d'altri eserciti vi farei cuore,
Ora ricordatevi chi siete voi, e domandate i vostri occhi chi
son costoro. Son coloro che l'anno passato coperti dalla notte
assalsero quella legione, e voi con le grida gli seembuìaste,
Son quei, sapete, dalle buone calcagna sovra tutti i Britanni,
però scampati tanto tempo, Come del bosco si cacciano i
generosi animali con la forza; il i vili fuggono al' romor solo
de'cacciatori; cosi sono i Britanni feroci stati uccisi più fa;'
ora ci rimane la bruzaglia! codarda, che pur v' ha dato nelle
mani in quest'ultimo cantuccio, tremante, arrestata per mo-
strarvì, non il viso, ma ii luogo d'una vostra bella vittoria.
Saldate il conto dell' imprese," suggellale con queslo giorno
il cinquantesimo anno, giustificale la republica, che questo
esercito non ha fallo della guerra bollega, né dalo cagione
di ribella re. »
XXXV. Mentr' ei diceva, sfavillava l' ardor de' soldati,
e finilo ch' egli ebbe, scoppiò un tuono d' allegreza, e corsero
a furia all' afl'ronlo cosi ordinati. La fanteria d'aiuti, ch'erano,

I 1/."I,lIi di """. pa[,.di, usciti dii flDgOdi liDI. paludi.


, .A. pa"" 6.11• • 010 • pr'lpore. U tello dice: • quute C018 lono ltate
belle • oDOrnoli pn noi andando a..nli C'. f ...",•• "...••d..1i61U ••6il)} ma
...... unbbao tali t mai pericololi..imo t tol'lllDdo in diollo e dlDdoci alla fllla••
I . . .i e .,.",,; cioè J abbiamoio 'Ycce t mani e armi te•
".11
'II,
• cA. IptJll.
I pi;'
IlIl..,,,. ee., che la fugl Don labi eco
molto tempo nmli..
• 6rUU,nll, bordaglia t marmaglia t gentllllia J branco di lIeDte "i1..
, IlIidllle Il """ dell' imprOl', dale compimeDIO ali. imprell!. LIl.'
• Trlllld8l" CUnI tzp.dili."ib,U.•
VITA DI GIULIO AGI\ICOLA.

ottomila, nel mezo; tremila cavalli ne' corni; le legioni si ri-


masero rasente agli alloggiamenti, a maggior gloria del ca-
pitano, s' ei vinceva senza sangue romano, e Per soccorrere
chi piegasse. l Britanni si posero alti per mostra e terrore:
i primi nel piano, gli altri su per l'erta ristretti, come se
e
stessero l'un sopra l'altro, di mano in mano: carrettieri ca-
valieri lo piano empievano di scorrerie e fracassa. Agricola
dubilando, i nimici di maggior numero non lo battessero a
un tempo dalla fronte e da' fianchi, allargò le file, se ben
faceva meno serrata battaglia. Molti volevon chiamare le le-
gioni;. egli come pronto allo sperare e forte alle burrasche,
scavalcò, e si pose dinanzi all' insegne.
XXXVI. Cominciossi a combattere da lontano. I Britanni
arditi e pratichi, con le spade .grandì e brocchieri piccoli
schifavano o paravano i tiri nostri, e a noi mandavano gran
pioggia de' loro. Quando Agricola mise animo a tre coorti
batave e due tungre di venire alle mani con le spade, arme
appuntata, e loro antica e destra; dove i nimici con piccoli
scudi e spade lunghe e spuntate non 'potevano nelle baruffe
maneggiarsi, e allo stretto combattere. I Batavi adunque stoc-
cheggiando, sfregiando, con le punte delli scudi ferendo;
rotti quei del piano, si spinsero verso i colli; l'altre coorti,
mescolatesì fra loro o per gara o per furia ammazavano i più
appresso, e molti ne lasciavan mezi morti o salvi per correre'
alla vittoria. In questo la cavalleria fuggi, e i carrettieri en-
trarono nella zutra de' fanti: e benché recassero nuovo spa-
vento, per la strettesa delle schiere e aspreza del luogo, non
potevano agitarsi. Nè pareva mica battaglia a. cavallo, per-
chè que' che stavan ritti, eran traportati da' corpi de' cavalli,
e spesso i carri vagabondi e i cavalli spauriti e senza freno,
urtavano or per fianco or di fronte, secondo che li guidava
lo spavento.
XXXVIJ. Que' Britanni che in cima de' colli si stavano
aman giunte; ridendo del nostro poco numero, calavano a
poco a poco, e le spalle cìgnevano de'vincitori. Quando Agri-
cola, che mai non temè d'altro, oppose loro quattro bande di
cavalli serbate a' subiti bisogni. obe quelli con tanto. più fo-
rore calali, con tanto più forle riscontro ribattè e fugò. Cosi
VITA DI GIULIO -AQRICOU.

l' avviso de' Britann'i tornò loro in danno; e comandò il ca-


pitano a' cavaDi combattenti iB fronte, dte tenesser dietro
a' fuggenti. VeÌlesfi in quella largura spettacolo grande e
atroce; segmtare, fedire, pigliare, e i presi, l'inoontrandone
aitri, ueeidere, Frotte di nimìel, quali (dove g4i dettava l'ani-
mo) davanti a pochi, armate fuggire, quali senr:aarme av-
venturarsi alla morte; era 1a terra eoperta (f' armi, corpi,
membl"a e sangue; e ne' vimi talvolta ira e virtlI. APJlI'ell6ati
a' boschi, fatto testa, aeeernhiavll.flo ~ primi seguitanti, seorsi
a vàlontà e non pratic'bi de'luoghi. E Be A~icola, che era
per totto, non avesse -fatto attorniare-il-paese dalle piti brave
e spedite eeorti, e fatto afle stretteze de' passi smontare parte
della cavalleria, e il restante scorrere per i boschi DleD folti,
si riceveva qualche danno, per troppa assicuranza, VedutitÌi
di nuovo seguitare da ordinate schiere, si missono in fIIga,
non a squadre, come prilD8., mà senza guardarsi. in 'Visol'un
l'aKro, spìceiolatì, e stìlggentisi per vie 'strane, fii dileguaro-
no. La notte, e r essereasì, pose fine atta eaceia, I Itimiei
morti forooo (fa diecimila: i nost..i treeenquarantaj tra'quali
Aulo Attico colonnello d' UDa coorte ,trasportato !tra" nimici
per ardorgloveeìle, e ferecia del cavallo.
XXXVIII. La notte a' vincitori per il giubilo e -per la
preda fa lieta. I BritanJli sparsi con mescolato piolo d'uo-
mini e donne strasoieaV81t9 i feriti, -chiaJII8V:mo i -llIJIi, ab-'
bandonavan le case, appiceàVanvi fuoco per ira. AcquaUa-
vansì, uscivan foOt'i , eonlliglia van8Ìinsie;ne ; poi disunivansi :
facevali la vista de" 101' cari pegni Ilbigottire; spesso iDfllriare.
E seppesi che aloum, 101' mogli e figliuoli ucei!lel1O, per pietà.
n di segueDte seeperse me' 1 la vit4oria. Era per tatto orribi!
silenzio, ne"(l6J)i' tiiU1lO': vedeT8Dsi-da lontano le case ardere:
i mandati per tutto a riconoscere, per eaperenovelle, Don
trovorone aoima 'Data:- smarrissi la traceia della ler foga. E
poicM non s' erBB Vi~i Timetter ill8ieme iD Juo8" vemno, e
la guerra, finita -la -&tate, Don si poteTa allargare; rì4asse
l'esercito negli Otetti; eve presi ostaggi, comandò all'alJl-
.. m.'" tutglio.
I ne· colli, AJcune eàizioni bannc ca.ntl iDvece ai colles.
.. ,""m..."g". DhIDDO. COli Stor.ll1,'llli: -1IOD v'è mim.'.t._.
VITA DI GIULIO AGRICOLA.

miraglio che girasse la Britannia; e lo provvide dii poter


farlo; e già ne tremavano. ,Eglia passo'lento per dare a' nuovi
popoli, dimorando, terrore, condusse le genti a piè ed a ca-
vallo alle stanze. E l'armata nel medesimo tempo tutta salva,
con felice aura e fama rientrò nel porto di Trutule, onde
parti, avendo costeggiato tutto quel lido.
XXXIX. Questi successi, per lettere d'Agricola, niente
aggranditi, furono intesi da Domiziano con fronte lieta, ma
cuore amaro; sapendo egli quanto fu riso dianzi del suo falso
trionfo de' Germani, ove menò gente comperata, rasa e ve-
stita da prigioni: ma ora si celebrava, con gran fama, gran
. vittoria e vera di tante migliaia di nimici uccisi. Parevagli da
temer più che d'altro, che un privato avesse maggior rino-
mo del principe: in vano aver posto silenzio agli studi del
foro e allo splendor dell' arti civili; se altri s'usurpa poi la'
gloria dell' armi: tutte l'altre cose potersi più agevolmente
in qualche modo passare; ma l'esser buon capitano, è virtù
propria dell' imperadore. Dibattendosi in tali pensieri, e, quel
ch' era segno d'atrocità, tra se rugumandoli, elesse di te-
nersi l'odio in se, tanto che l'ardor della fama e favor dell'
esercito, tenendo Agricola ancor la Brittannia, raffreddaasero,
XL. Fecegli adunque in senato deliberare gli onori trion-
fali, la statua illustre, e eiò che in vece di trionfo si dà, con
gran-parole d'onore; e fecel credere destinato al governo di
Soria, uso darsi ai maggiori personaggi, essendovi morto At-
tilio RutTo stato consolo. Credettesi per molti che Domiziano
(fosse vero o favola di chi conosceva la sua natura) ne man-
dasse ad Agricola la patente per un ,suo liberto fidatissimo,
con ordine, trovandol partito, di non la dare; onde riscon-
tratolo nello stretto dell' oceano, senza far motto, se ne tor-
nasse a Domiziano. In tanto Agricola al successore lasciò
la provincia quieta e sicura. Per fuggir la pompa di molti
riscontri, e abbracciate di parenti e amici, entrò di nntte in
Roma; di notte in palagio, come gli fu imposto. Fu raccolto
con freddo bacio senza parlare, e lasciato tra la turba de' cor-
tigiani. Egli per temperare con altre virtù il nome di soldato,
agli oziosi grave, si diè tutto alla tranquillità e riposo: col
vestir modesto, parlar umano, aver seco un amico o due.
VITA DI GIULIO AG.ICOLA. 261
Onde molti cbe misurano gli uomini dall'apparenza, vedendo
Agricola si rimesso, e squadrandolo, non rinvenivano in cbe
stesse tanto gran (ama.
XLI. In que' di fu molte volte assente accusato a Domi-
ziano; assente assoluto. Le cagioni erano, non alcun suo pee-
eato, non querela di persona da lui offesa; ma il principe ni-
mico a virtn, la gloria di tant' uomo, e cbi la lodava; sorte
pessima di nimici. E ben bisognava ricordare t Agricola alle
seguenti avversità di tanti eserciti perduti in Mesia, Dacia,
Germania, Pannonia per temerità o viltà de' capitani. Tante
coorti valorose, sforzate e prese, e etatisi per perdere, non i
confini e le ripe, ma le legioni, gli alloggiamenti e la pos-
sessione dell' imperio. Continuando dunque danni sopra danni;
e ogn' anno sendo segnalato per mòrtalità e sconfitte, tutto '1
popolo a una t chiedeva per capitano Agricola, paragonando
quel vigore, quella saldeza e sperienza con quelle dappocag-
gini e codardie. Con queste voci del popolo i liberti buoni,
per amore e fedeltà, i pessimi per malignità e invidia, tem-
pestavano gli orecchi a Domiziano, inclinato a' peggiori. Cosi
non meno le proprie virtù che l'altrui cattività precipitavano
Agricola nella sua stessa gloria.
XLII. S'avvicinava la tratta de' viceconsoli d'Asia e
d'All'rica, e la fresca morte di Civica somministrava ad Agri-·
cola consiglio; ed esempio a Domiziano: Certi ehe sapevano
l'animo del principe domandarono Agricola s' ei v' andrebbe,
e prima con arte gli lodarono l'ozio e riposo, indi s'offer-
sero a farne sue scuse, all' ultimo spaventandolo, gli spiana-
rono· che attendesse ad altro, e lo menarono al principe: il
quale con sembiante finto e altiero, quasi capace ~ delle scuse,
cbinò il capo: se ne lasciò ringraziar; né di si odiosa grazia
arrossò. n salario solito de' viceconsoli, e da lui ad aUri dato,
ad Agricola ritenne; o per ìsdegno ch' ei noi chiedesse, o per l
non parere Il' aver da lui comperato il vietatogli. Chi oll'en- l

l E b,n b'.D/JftIIPtl ~iCD~da~' eco Intendi: le anersiià ehe dipoi aenddno


!etero si che D01I.i potu•• tacere delle impre.. florio.. di Agricola.
,I,. ""a; UDauimemenle, a UDI 'Voce.
I ,/1 spiallarono" 81i dissero ebiaro e Detto.
4 rnpar. ee., p<nu •• o dell. giwl.u. delle .cu se.
Il. $l
~66 vru DJ GWLIO AGRICOLA.
.
de, odia e DOn dimentica. I E. noadimuo, D ~ faailel
PU' natura, all; ira, quanto più coperla,. tanto piIl &eDaee, era.
temperato dalla moderanza e prudenza d'AgEioola, elle.DOD:
sLgÌDo.au la.riputaziDD&e.1a. vita clll conkaalargli pu Tana
libertà di parlare •.lmllari. chi.uon.ammira.S8 BOn.Ie.C!OieV.
tale, cile anche sotto mali prine.ipi ROBsen. 8Si&l'8 uomiDi
grandi, e che 1'0SS8II'Ùa. e la. IDDdeslia(.qpando sieo ooagiUDte;
COD' ind1IilI:ia. e '<lalore) arri\l3DO a. quaL mimo, dov.e molti. per
via di prellipizi, e di mar.ir S8llza pro"àao.c.esea!D drillUllOf-
taIaJlsi. '
XLW•. Il fine della, \Ùta. sua Ca.lagrimevole. a noi .. da-
lente agli. amici,. ne senza~oia. agli st.rani e DOD. conoseaJl1.i.
Il. vulgo e il pepolo,. WiciaI.i i. saoi affari, lUldQ a casa a v,e..
derlo,.e perla, piaZ6'e cerchi Be fa.v~, B niuno-dalla owrle.
d' Airicola si r.all8g~, o toato ,la si S8oJiclò. Il dirsi. oh.' egli.
era morLo di. veleno,. De. faceva pw.. imu1escue: BOD, gotIiO.
dilllo di chiaro; ma, molto". in tutta la sua. malaLlia, &p8i168g-'
giarono i messaggi dal priDcipe fuDr del solito" i libllru. plà.-
m4 i medici intimi di, ve.a.irlD a ~sitare. o llpiare. Bona, ~
teaoero l' olLimo giorno la, gòste, a. riferire ogni momeplA dal
suo transito; che se gli fusse dolul.o" non l' lU'etebbe. CQSÌ·
subiio voluto· upere.,llane .neadìmeao di. v~ e fil aDimo
addolorato ;.libero fPà. dall' odio, 6. cODl'endo. meglio. l' aIJe.,
greza che la. paura. Ben.si. vjde, IeUo il tas6amenl.o d.' Agri..-
cola, (che IG luci{), t.QD.I' QUima IDOlIJje, B, piissima figliaola'
caare.de}, Domiziaao, rallegWlni di qpesto onor falLogli.,4I del.
buon giudìaio.; aNendolo sL le ad11lMioni aececaìo; ch: ei noo.
vedeva che il buon ~ nllD iD&Li.1a.isce., U8da" sa. DOJl iL
mal prinoipe.
XLIV.',Naoque Agricola neUerzo CDDIlDlalo di GaiQJC~
sare a' tredici. di Ano: lBOri cr aani CÌDlP,Jansei a' v.eJW..
trè- d' agoato, eI&eIldo consoliCollega e P.r'" Fil di cQl{lO-
chi'} VDJasae sapere, più proporUoDal.o ehe. grande; faccia.
ardita e graziosissima; buono l'avresti detto, e grande desì-
deralo~ Visse quanto alla. gloria, bellehè. to1toci nel buono
I di offmtle. odi. e ..o.. tllme ../ic•. n po.tmatore dell' esemplare Nestiano '
di G. Capponi corrtgge: • Naturalmente chi offilDde odia•• Il lat, ha: • Pro»
,,.ium Auman.i j"Icllil eJt od,isse q"cm l«.re,.is••
'"RU "DI GIULIO AOBIl:OI.A. 261
deR' età , 'tempo 'bmgtìi!lrime-, .,mebè ebbe ' il lldImo '\te' 'Veri'
'beBi, c'he -còna ilrt900 II'llIIa ",irtli, oltre alli onerl del censo-
'late .e.6é1 trionfo. tE 'liIle.gti-poteva-far pitila fortull8f<Sover-
-diie Ticlltleze 'non curava, 'orrEl'Rlli :te 1l"eTll; 'e 'può dirsi
'bBllte, pO~ lha' 'JM1lUt9 'l8l11lilml 'la'figliuola -e ta '-Dl'O~ vive,
'Ia 'ilignlt'Ìl'''Oft idtaoo&ta,1R 'flllDa 1ioiUa,1 'plrrertti 'e gti. amici ,
sat ali. P rchè , ~ Lene , li mlD ~:e -eonllol'lo a Teder la,
bra ala tue di questo felicissim o ,.iia 'Jui'{e&me diceva) aga-
rato s alo c im pcrudore l'r.!Ìa1lo ; gnm eonfOt'to déft' avae-
ciala morte Itli fu lo sfu ggire quel!' 1iltimo tempo tli lDomi-
7.iano, he nza mett r tempoìn mezne '8elI%8respiro, ad '
n lralln, qua i in un 01 colpo spense ll ta -repdbliea . .
"LV. on vide A ~Ti c ola la -giustizr.l'3sselfml,a, emte d'ar-
m i il enn tn , Il m aeell o d i tanti. strfi 'COnso!i, gli -esigli e Ie -
fu;; le lli Innle nohili•sime donne. Per ancora, il' una prova
• ula i n1:1 8 Caro elio; , nen fuori Ili 'fl:oeca d'Alba S
schiam ZllV a e lino. assa"lJJebio" già 'e ra accusato.
j 'oi l'o ci Incarcerammo Elvi'ftio di 'nostra mano. Fummo
p tlnlori di ' tiri 'o c Rusl ieo, e ci 'imbratta m mo del san-
gue Innocente di Senccione. Nerone almeno -settra sse gli 'oe-
eh i dali • leritadi ; 1 enmand è , non 'vagheggiò. Ma sollo
Domiziano il ruardare e l' esser ~u:rrdato era -gran parte deUe
miserie . tu esp ira vi, i nolava 111 'libro de'mal contenti,
c basi va 8 Il re la p<l\litlCTcl di'tanti 'Uomini quel viso era-
l! le r o 0 , ond eopr in rgogna. Beato te; Agric~la, che
vivesti i ' Ii . ro , mori li l a tempojabbraeciastiIa morle,
come contano quni ch' udi rono ituoì ultimi .dettì , .oon farle·
.uore c lieto quanto a le ; q uasi scolpandone il principe. Ma
a mc e alla figliuola lua , oltre all'acerbeza dell' aTer per-
dut o un tanto pndre , scoppia il cuore che non ci sia toccato
ad a i tor nella tua malaltia , aiutarti mancante, sasiarcì .
d'abbracciare, baciare, affissarci nel tuo volto. Averemmo
4 ~~n se, n postillatore ckll' esemplare Nestia"o di G. Capponi corregge :
• "annò. •
I Ca,.. Meaio; spia: famoS14
S non f,.o~i d i R occa d' Alba.lnle"di: C'lullo Mesnlino (per6do Iavorito)
OOD :l'te'" paanc:o fattò sentire le inique accuse nella Curia dessa, ma sclameate
"ella villa Alb.n., dovo Domieiano Ipe..o adunava il le".to.
• Maua Bebi», Vodi lo Slo~i •• IV, 50.

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·268 VlT4 DI GIULIO 4GRICOLi.

raccolti pure precetti e déìtì da slamparli ne' nostri animi.


Questo è il dolore, il coltello al nostro cuore. Già quattro anni
prima, per esser tu stato assente, sei morto a noi. Senza
dubbio, o ottimo padre', per la presenza della moglietua ama-
tissima, ti soverehìarono tuUe le cose al farti onore; ma tu
se' stato riposto con queste meno lagrime; e pure alcuna
. cosa desiderasti vedere al chiuder degli occhi tuoi.
xtVI. Se lé sante anime sono in alcun luogo; se gli spi-
riti magni (come i savi vogliono) non muoiono insieme col
corpo, riposati in pace; e ritira noi famiglia tua dal vano
desiderio e donnesco pianto al contemplar le tue virtù; per
le quali non convien piangere né percuotersi; ma adornarti
più tosto di maraviglie e laudi che durino1e, se natura tante
forze può darci, imitarti. Questo è l' onor vero e la pietà
de' congiuntìssìmi. Cosi a' tuo'fìgìluola e moglie imporrei ve-
nerar la memoria del padre e del marito; rivolgersi per .la
mente tutti suoifatti; abbracciar la sua fama, e la figura del-
l'animo, più che del corpo. Non dico che delle immagini di
marmo e bronzo si manchi; ma perché come gli umani vol-
ti, cosi i loro ritratti si corrompono, l'effigie della mente è
eterna, né con altra materia od arte straniera l'assempre-
rai 1 né manterrai, che de' tuoi propri costumi. Ciò che noi
abbiamo in Agricola amato e ammirato, rimane e durerà ne-
gli animi degli uomini in eternò, per la memoria de' fatti.
Saranno molti antichi, quasi senia gloria e nome dimenti-
cati. Agricola verrà narrato e conto a gli avvenire.
4 I- Q$sempre,.ai.. copieni, ritrarrai,
269

DELLA PERDUTA ELOQUENZA


DIALOGO

DI GAIO CORNELlO TACITO.

SOMMARIO. l

- I. L'autore di questo dialogo, domaDdatoIOYeDte da GiOito Fabio I perchò


fOlSe COli seaduto lo atudio dell' eloquema, piuttosto che recare iDuaul1 Ja-pro-
pria opiDiODe, propoueai di ripetere i ngiODamati che da giOYlDetto udi sopn
ciò da UOmilll eIOC(lleutiaaimi.- II-III. SoDO questi Curiazio Matemo, d'on-
tore poeta I M. Apro e Giulio Secoudo, lumi allora del i'bro, i quali DOU li _ o
dar pace cbe Matemo, lasciate le call1e) ora lÌ.. tutto io compor trasedie, che
dlDDo Del 0110 ~ peteati. -IV. Questi rilpeDde di colti",re la poesia CODIe
pià eceelleute e JliÌJ opta dell' eloquema.
V-VII. Quindi nasce diaputa qual di queete due eose lÌa da pià, ae l'on-
toria o lal'oetica. Apro mette iDcielo l'eloqueDla l come quella che apporta utile z
diletto e decoro, - VIU. testimoDi .MarcenoEpno e cnlpo Vihlo.-IX-X. Pei
cODtrariO i poeti nOD digoitè, 000 decoro; diletto breve, rode naa, iDfruttuosa,
accattate 000 ilpendio e rompicapi di recite: eostretti a iDlelnni Il .,oglioao
cautare Dulia di degoo: i medioeri da DiDDO i buoni da poehi aoo coDosciuti:
aoggetti a offendere 000 ma degli ontori. Perciò Matemo. DatO fatto per la
sublime eloqueDla, luci il 'teDto de' teatri, tomi alle callle a alle ODorate pU-
goe del 16ro.
XI-XIII. Molto riacaldatOlÌ Arro iD queeto dire, Matemo c:eD pacato 1Or-
riao rìspoude: rià licureua e glona veDir dana poetiea, ebe dalle faliche del
fòro e dagli schiamuzi e codUli de' lilipati : piacer pià PlP'ct Dellaqueta aura
de' boschi che Del fòro, do.,e mercede groudaDte ..ope ti di l' eroqueDll ,
I> trovala io eti di ferro !non d'oro come la poesia) e fatta arme dalla malYlpti
• umana: bello e fraoquillo 'ti.,ere quel de' poeti; erflDDOIo quel desii oratori,
"temeuli I8IIIpre o temuti.
: - XIV. Soprameo.nella dispute Vipeuio Meaala tutto iDratuatode' tempi
.e oratori aolichi, e scbifo de' modemi.- XV-XVII. Di ebe Apro, pigliaudola
pel IUO secolo, vuoi cbe deliDllcui COD precisioae, quali lieDO da chiamare or.
tori autichi: fone IOlameute lJlisse e Nestore e Menenio Af"Ìppa; onero aDeo
DemOlteDe e lperide, diltauti DOD l'iÌJ di 400 aDDi da nOI; oppure Cicerooe,
Cesare, Celio) Calvo, Bmto AlÌDio e Meaala , 000 più che quauto Ill'eti d'DD
uomo, passati?- XVIII. Vuoi pei cbe.le forme del dire li muliDo eol mutar
dei tempi e delle orecchie, e cbe li. un. malignità il lodar lempre le COle .,eo-
chie con futidio delle Dlle.,e._ XIX-XX. Cusio Senro Il detto da molti ter-
mine dell' autichità, come primo a torcere dal baOD medo aotico , nOD gii per
non lapere, ma perchll COli gli piacque. UD tempo _re usati lDOghi eaordi
e narruiODÌ, iDgegnOle partiziooi, filOl06the OItentuioDi: on .,oleni pià
sai-a e poetico colorito: trovarsi iD Calvo ataoao, iD Celio, io Ceaare, iD

• L' Ibbiam trodollo d,l l'liDo dell' Orel1l.


2'70 DELLA PERDUTA ELOQUENZA.
Asimo, . in Cor~ino ed i~ Ci C<'t')n ~ IDI.hi , ~.i d<II' ft n tic~lit' , ~'o r boli 1,I.e ~ ri I
~081ruttl moaehi, concetti arr"rr••• •
rh • lo no rom !li • r ronre, bi Imi.
lalori .-IIflI. Di cbe si ronchiu.le e et s iUllici ,"0' 3 Erud l7ÌO quelli bo
geltano i moderni relori sotto 3 ' pIedI degli oratori antichi. Loda infine l' inije-
fPlo e l'eccellenza oraloria di Mesula l Malerno e Secondo, esortandoli .a fare
onore al seeele colla loro eloquenza, che congiODge cib che di bnono h8llll0 Cli
anti chi colla lieta splcndidezza dei moderni.
XXIV. Allora IIflltel1lo merte Messala, ehe , l_ate le lodi dtgtì anti.
ehi che non Il' hanno bisogno, mantenga piuttosts la promessa di apiegare le
cagioni perchè tanlo quella elà ai fosse allontanata dalla costoro eloqueDZl. -
XXV. Ed cgli piglia 108to a definire quali sieno da chiamare antichi: più forme
Ilei dire essere .tale in un i.l esso secolo l e partieolari averle avote Calvo!
Ib iuio e gli altri : l'essersi Ira loro hurlati non è vmo degli oratori ma degli
uomini : la gravità finalmente, la cultora oralor ia e l'impeto degli antichi do-
versi a pezza preferire alla lascivia delle farole, alla leggerezza delle seotenze
• Id comp'" li.. nzi_, ~é i JIIIIIllonJi 1\ r.no belli. ,
XXVIl-XXIL Aa08l'1l • petiJiooe di Materno , Messala 9Ìette a ~Cfl1re
le cagioui della aonoUa .loqullUSll, e per prieoe l'''ne l' inet'lia de' giovam, la
....liSIDU di seaitori, l'ipo dii maestri e I. oblivieM de! _hmte. • n-
~ : i lì,li _ . più. ad_rei Dei IJNIDbo cklle madri, o dalle buooe avo-
le, m. darti a lP"'che f81lt8IClIe , a Iflbiavi, cIt. gti empiollo d' oClli bruttura
oli viDo • cii oovellacc:e.- XXX...x1UU . 11101'0 iuA"0 l\lIII formarsi più
rome un tempo con aevera di.cipli1ll 1 _ ........UM e6mpito, con quoti-
oIi.n8 meditan e CMl opi maniera d, lI&ili ttadi j ma cacci.rsi in testa a' fan-
llÌulleUi e.' f1ionoi .eiocchene , e _e "e null. 0<ll:'0I'r0II0 aHa vit.: l'antica
.Io..,..• .rii>oecare dal "per le .m- t1IMe. _II. afti, 111IT1I' 'JIOfalo l'ora-
!ore ...,... opi m.leria dire con be1leu., onMmeotO, nrietl e.eIa pllftade-
" : poi atllnri. ali IhqeeBti del .-.10,. be.ti de' bQocehi -eeiiiec!liaaimi
cM' re10ri , .. en ~ "" Il .Ii fl":cmmati.. \ M di leggi, Ili .li 1I011Dh.
XXXlV-XX};V . ' piocvnJ oln telll (" . lllsten>o ! .iMle _ _la 11 un' .ltra
capone della .erret! l'\"' I"on a i '\0 la l' _cino ltuplllda degli anfichi 8 .
il pessimo de' moderni oratori: allora i giovani , bene educati in cna, e pt' ••
par_ faori COlI ottiai alw:Ii, -.1_ _ • dal padre o da '!Ualehe parente
p r - an ontore più flDllllO: e lui IlfPlinno Ila' ciudm, oel 16m, nelle
...,cieai, e _paranDo. _batl8l'e Don nella _oIa J !Il1I 1m1 campo stesso :
III' or. ..cono guitti di _ , • noDO .imbobeocllll'O e ••eiopenTe nelle
....01. da' retori celle ..alone celle OCIItIrooer,u;"I\ che !I01l sapresti dire Be

I.
illoooto, o gli .cIi, o i oendi-,01i llllriiaa piA a mm gI'ÌDr:egtft. .
[Qui il dilcono di Benala re,ta tronco: ".,. ~ tlt1p& mfrarre a
p«itWe .otm.l/. congMsgendcl alle ifttmoe eDg'ÌOIIi dello corrotta do-
{lII8Ma '" oel<lrrnl, e1re ,Oft. quee"'. J .
nlVI-XUVlL c) Pià 1ega. • 1kria .. dire . _ mito tl'i ontori
antichi. FaDcIi _ , da TÌDcue a.ra di ~or.0le , eoocioni di magistrati,
aec_ di rei polenti, deslioeateIlimicizie di famÌ1Jl~ l fazioni di margiorenti 8
penw oootiolle iN pIeIooa • -..lo. /!I) Di pii: ~ prenrii portare allora
l' el..,_; Ueil...... aAIi oneri j favore 4t.' ClIpi e da' magistrati l'"viaciali;
autonlà preseo i p.an i. fama tra 'I popolo; C1iaaWe di nUiom j :preture;
HOAlail.-lXIVIU-AL.1I bcba 'h r.nmo •
_88htdioe mi iMdm eli-
_ . pià favernele • oratori: t. _ ..... f..a, ll81I e! p.llmO aena MI-
,;oDe O i. CIDOIlleria trau.te: libero il temI'" de\ l1ire e del prerogare j In·
IIlÌto l . . . .i, favore di popolo ~le j rei _aliti e djfesi dar concOrso
di latta I. eittà; .d.nanu pa'ID ..aati, e "'*
dirino poIeDtìllrimo di attleelre
cbiuuque . - XL-XLI. Nè per cib ~lat.roo crede lodevole quesla vigorosa elo-
quenza, perchè educata dalla liceDZl, che gli .telti càia..1IDO Iibenà, • com-

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DELLA PDOOn JlI.OQUBU.l. 2'11
p8gn~ di .Ndià~ • IU~-.mto di .p.opole .r~. MI ..I. tice à,' . . . ha
nta m cinà dlscordevoli • lacuulìll con fazionI, Dd potere aver luogo Delle
tranquille, dove nOD occorrono !u{Jgbe dicene in senlto o din8D2i al popolo·
molto meno ÌIl una repuhllliea io,," cWhlDll BOB gJf imperiti e la meltitn~
. dine;.,1 il più aavio, e 110 sol•. Meglie Boa dare eecasioo. al m~e ehe nn.
dicarlo; e se ci rosse una città dove niuno peccaue, tra booni e innocenti cit-
tadini sarebbe ÌDutile l'oratore, come tnr sani il medico. Però DOD è di do-
lere che era IlÌeno ...dwti gli erateri, ma bisopa unre i beai del proprio
temp. senza detrarre a lJ11e' de.gli altri.
XLII. Sciogliesi il conoquio (cbe fingesi tenuto l'a. di R. 828, di Cr. n.)

I. Tu mi domandi spesso, Qiusto Fabio,! onde sia che,


essendo i passati seceli fioriti d'ingegni e gloria di grandi
oratori, noi ne abbiamo perduto insino al nome, chiamandoli
avvocati, dottori, proearatorì , e- per ogn' altro vocabolo. lo
non ardirei mpondere di mia testa a si grave qnistione ,
convenendo dire o che non ei siano pilÌ quelli ingegni, se
noi non possiamo arrircn4ij o che noi siamo di poco giudi-
zio, se non ce ne C1Ile. DirGlti quanto io molto giovane t da
uomini, secondo i nostri tempi, facondissimi, di tal materia
udii già disputare: ove nonf ingegno, ma la memoria aft'a-
ticberò, riferendo le cose da quelli eccellentissimi sottilmente
pensate e gravemente dette, tra ~ diverse, ma ben ragio-
nate;lI tenendo l'ordine della disputa,' e Ombreggiando Pani-
mo e l' rngegno di ciascheduno. Non essendo maacato chi,
presa la parte eontraria, molto dannasse e beffasSe l'antica,
appello alta moderna elequenza.
Il. ngiomodi poi che Curiazio' Materno lesse il suo
Catone, parendo ehe -egli avesse in quella tragedia oft'eso gli

• Gh"to Pahto. L. P3bio Giasto, Imito di PJiJrio il gtonllO. Vedi


Eplll.l, ii; VII, li.
I r>U>iID giov...e. PObeJIllol. D.scit. di TRito tr. l' S06 e r S67, dovette
avere '1uaDdo serisse questo dialogo (che fili' aDDO SllS) poco più di vOIlt'IDDÌ.
I t,.. d dlpe,.I., m. ben ,."gio...te. La lettera del t.sto dice: riferendo
CÙI<!llllO diverse ClIDIO o le meete.ime,.1JII!>rohahili: • diperllÌl pei.ndem, led
prob.bilel•• M. lJ1101to l\IIlgo _ ~ ADO,e Il Davaanti l'eee be... 1·1"";1111 'JOOI
"et e.,dem.
r
I tmmrlo ordPrt. rlttil. rli8fCh: limi, "n..... ..... n. " ...",m... u.
'Lat.: • tfld_ ,,_.,.t, tl8r1 ,,'"" P'II'ffo.. ITHu•• Togli"""o h meta"ra daicom-
Lanenti, lISa Il pa1"Oll __ 1a tipii..", le 80..10ftSOlavi e gti uniti.
n
, C",.i.no. Velpi lo poae !Il _Iiooo, ._ ftrOft, per.h. il SIlO telto
diee • • CC_fi1UJ .,e ael s..,p tlt COf"r'ftfom PDIIe • più aeeunhlllOJlte••
Ma dee dir Cllridlru; perchè eoallelfll_ i testi migliori.
272 DBLLA PBRDUTA BLOQUENZA.
animi de' potenti a non lodar se non Catone, l fattosene gran
dire per la città, vennero a trovarlo M. Apro e Giulio Se-
condo, celebratissimi avvocati, i quali io non solamente
ne' giudizi studiosamente udiva, ma in casa e fuori accom-
pagnava, e raccoglieva con avideza e ardor giovenile ogni
Iordisputa e raro -detto, insino alle favole: I se ben molti
per astio diceano che Secondo parlava a stento; e Apro,
più per ingegno e forza di natura che per lettere e dottrina,
Passava per eloquente. Perché a Secondo non mancava un
.parlare puro, breve e assai corrente; e Apro, non poco ad-;
dottrinato, più tosto le lettere non adoperava che non sa-
perle: parendogli, la industria e fatica del suo mero ingegno,
senz' aiuti d'altre arti aver maggior loda. Entrati adunque
in camera di Materno, che sedeva con quel medesimo libro
in mano che egli lo di avanti neva letto; Secondo gli disse:
Hl. Rivedi tu, o Materno, cotesto Catone tuo per rì-
derti dell' appuntature de' maligni, o pure per mutarvi qual-
cosa, e mandarlo fuori, non migliorato, ma più sicuro'!
Rispose egli: Tu lo potrai leggere, e giudicare di queste
cose udite; • e se nulla mancasse in Catone, supplirà Tieste,
che io già ho formato in fantasia. Però sollecitava io di pub-
blicare quella tragedia per tutrarmi tutto in questa.
Càvanti tanto il euore,' disse Apro, queste tragedie,
ehe, lasciate l' avvocherie e' pensieri che Importano, tu non.
attenda ad altro, dianzi a Medea e ora a Tieste'! e tante cause
abbandoni d'amici, clièntoli, comunità e città che ti chia-
mano, e a pena le spediresti, a non ti caricare de'nuovi
componimenti di Domizio e Catone, mescolando con greche
favole, nome e storie romane.
IV. E Materno: Tu mi gridi, e n'arei dìspìaeere, s'io

I .. no .. loda,..o .. on Ca"'.o: piultollo: • dillll!uliuDdo le IteliO e luUo


iovisCl!rlDdoli io CaloDe.- Lal ... "'.q...m... 'fU oblit,"•.t••tÙnt Caton,m
eo,tta..ot. • .
I la~o/e• • Fab.I.., _ 10110 i cicaleccidel do_tico CODYerure.
t e 8iudieare di qtH,to eo.e "dito. lllello dice: • Tu lesserai (lllorc1lè
urà pobblicllo il libro) quello che Malemo ha credulo <ounuieDte alla IWI di-
lJ1lÌtà, • vi ricouo.-ai precisamtDte Sli ltelli liberi co_ui c1le tu udisli uella
recita; •• Lo,.. quid M.. eernru .ibi deblU,.it. cl a8rt4,ee, '1"'" .rldi,ti.-
t CIz"tl7ltl t.nto il ca!,,·. ec.: sei tu il iDDamorato di codeste tue tragedie cc.
DELt!. PERDUTA ELOQUENZA. 273
non avessi fatto callo 1 con l'averne noi tanto conteso, Per-
ché né tu fai altro che m~ngiar poeti;' né io sono avvocato
s1 negligente, come tu mi fai, poiché difendo tutto di la poe-
sia contra di te. P~r beato,a che noi abbiamo dato in un giu-
dice, il quale non mi lascerà più far versi, o, secondo che io
desidero, mi comanderà che, mandate sane le grette muse
litigatrici: ove io ho sudato davanzo, mi eonsagrì a questa
più santa ed eroica eloquenza.
V. lo non aspetterò, disse Secondo, che Apro m'alle-
ghi a sospetto;' ma fllro come sogliono i giudici buoni e mo-
desti, che non accettano quelle cause ove hanno a una delle
parti maggiorealI'ezione e manifesta. Chi non sa che il mag-
giore amico che io abbia, e con cui sia vivuto più insieme,
è Saleio Basso, il migliore uomo del mondo, e ottimo poeta?
e ora, se la poesia è rea, non veggo altro uomo di lui
più reo.
Stia JlW' sicuro, .disse Apro, e Saleio Basso e ogBi poeta
Don atto a lite; che io, poiché a questa ho trovato si buon
giudice, come te, Secondo, non voglio che Materno cerchi
d'altri; e riprenderollo solamente" che essendo nato a fa-
conda e virile eloquenza, da potersì fare amici, obbligarsi
, nazioni e provincie abbracciare, si lasci perdere uno studio
" che immaginar non si può lo più utile per la roba, magni-
fico per la dignità, famoso alla città, splendeute per lo ri-
Domo per tutto l'imperio e tutte le genti: perché se tutti i
nostri consigli e fatti deono riguardare il bene della vita,
qual' arte è più sicura che sempre difendere amici, aiutare
strsnieri, salvare pericolanti, impaurire invidianti e nimici,

I .·io"MI AP••lif.lto e.llo, l'io DO" ci ayeui fatto il callo; fatto l' DID.
I ...."giA,. poIIU. Il Nutl. il Volpi ma"'/fBla~ 1'0'11; ma con manif.sto
. enon, percbè illltlao dice"AIfiI4~' 'ti",.q..1 peet«•. " E ~A"gia~., nel senso di
lcc_~" ,,11"p'~A~', .ope~chIA~' .. "O CO" pa~ol., è del popolo. d.na Crulca,
e Dlato un' altra volta aDcbe dal Dovannti, A ..". XV, SO; dove" F"'P.lIdl.•.
ad Inlurto mlJlo..,im el,di. lrmee: • i potenti... manciano i minori. .-
I p,.,. beato; io seno pur bealo, lielo, contento. È lo It... O cbe B.".. 1"~
.... eh. eco Lat~ "L"'lo~ mAgi. ec." .
• ......d.le 1411', maDdate iD ",alora le grelte muse del fòro, o gli aridi
sludi della giurisprudenll.
5 m'All.ghi A 'Olp.IIe, mi ricu,i come sospetto giudi.e.
DBLLA PEIlDm'A ·ELOQUENZa.

stando A8JDpftl tu in -nna quasi pellpetua poteoza e Podestà?1


che quando gli.aItrui aftari 80D peesso che l'o.viDati, ha forza
.di lloDe\'arli:J1 ma-se a tepl'oprio ,qualche sinistro amBlle,'Dè
eorau. .e:d&ga si . . d_de nè imbrooca 'in bllttagtiu,~.me
lo !Illudo1li'arme delta Itaa' liloqlleDr.l in giudizio, in 'senato,
dImlnti al principe. oCJae ' * 0 che la sua eloquenza&foderò 8
poee fa EpEio Man:ello.contro allO il:a de'<padri'!11 qualtuUo
pronto e minacciante fece svanire quella fondata veramente
ma 'DOD -esereltata 'sapieol:a d' Elvidio e l'oza ia fJ1Ieste con-
tele. Nell' utiIDà nsn .mi distendo, pensaado che a questa il
JIÙO Materllo ~sentirL
VI. E passo ,al piaoere che si tne .de1I' tlloqaeoaa, ;non
qulche volla, ma opi di,a ogn' ora. E qual-più dolcec053.
è a -un ,libero aaiBweDObile e :nato piaosi eJDesli, .dleà

'1lederl.i ~ la casa.piella di splendidissimi ,uomini'! e sa-


pere esser ciò non per cavarli danari o per redarli • o :iDaflll-
t1'arqualahe u8cio, ma ,aohiettamenteper ,amor taò"/ Anzi
'Que' facoltosi o senla redavenire spesso a OD giowoe e 'flO-
vero a ftCOOIIlaaàaEgli iIè e amici? .PUOllS· egli &yor lIIIIi da
quantnnque ricoheze e potenza tanto piacere quantD è ve-
dere attempati e lVeCChi ,in gran favore allaeiltà \oUa, I '0IlD-
ftlssarsi manchevoli di questa otlima ,cosa, 89Ilendo.di tuf1e
l'aUre abbondantissimi? E quanti. togatì teco eseollOtl t'ac-
oompagnanol che beHa.vista f8lUlO,fuoril quant'ODore t'è
fatto ne' magistrati I che allegreza è rizani e :ffll'lllarsi fra
tmti che ti gurdaB9 e taccloBO I il PQpDlo rBgllDal'si le a-
oondarti, _averle in qualonque aft'eUo tu ·10 tiri dicendol
Ho, deUo,de',pialleri ordiul'Ì che ogn' ignorante li Wlde; :aHra
f pot...... .. pod.dà. Que'IO elogio dell'eloquenoa è tnllo foggiato ID quel
di Cice~.e De Or.d, a.
I eh.. q"..ndo /fii .lI....i aff«,; , •• pre... o·t1fJBlrOf'i_fi Ife. StflIIe'1a men
!luoDalelione .rab",prope fl"eltl.;bru••lior_ ,.....ndiJ>,fJf;.,. I tati mOIiiori
.h...... Nh.., proqe fl-Ii.""I;IIl~.'1*'.f""'• ...........1dire :,IA... i«ù
el'Dtilità.daIl'~ a, ..1I_....lIocoaeti.._I.leconda. puoi vedlrleDd ri-
fugio".ell. cii".. ch'ella pzuu"lli IlIri.,_""pni.i,tcaUa,del,t.... puicoloac•
.J (/'oderlÌ. ,Q_lo tnlHlo ple'O dalla 'Iplda. Ila Olll deIr iniaiOlle, che
'IDi Don ,'addice. Meglio, aderendo allalMlo, "l'f"lU.
' . l( per 'NIlar4i. o ,per d~llIIÌre tuo .erede. L', u....uare, 1'laUmenii era

un'arie molto in voga 6n da'tempi d'Orazio. Vedi Sat. D.


I "li"
citlli ...u.. ~Be.col Pileo ,,,,fIffIIù,. IDI i.codid bonno .orbil.•
»ILU PlWUlUT& BLOQwtl!lU~ 27ll
cosa iOB ~. «ha gusta, il ~ diaUollll iD sé dal sue 4im..
PercIlè 88 egli vieDe COD diceria. computa, ella. ba Q1l' DOn.
so olle-"";w. peso e nerbo, 8 tale. è,ilpiaeere;.' 8B egJ.i dice
euempore,! non, pDÒ fare eh' a' IWll !Il puiU alquanto; e se
e' n'esco: a beae" qJJeIl' ave&' temuto sIi aACresce il dilefto.
Ma di quell' esserci arrischiati al dire improvviso ci giota
masaimam_te; percllè r ingegno c.me il campo. con lavo-
rio 8 ama ti' il aatovi, per natura; che il &eminatovi.
YII. lo pel me qllel gìorno clla. mi fu. messo il r~oD8
a 1loIJe. di 010,· o ehe io D1I9Ve 1I9Dl8 e: n.ato iD pocG f&rore-
vol eiUà,' faUo fui queawre.,.lI'Waìw,. preloore" DOB. sentii. ai-
legrel8. egU81e- a q~ giol'Bi. ne' quali CGD lploata mia peea ,
VeDa di, dire ID! è &eecato, e: tocca, o a fu I&B r,eo. asaowere
o in' qualche call1l8 diIumoIi a' Cenloo felicemente. arlDgaJ'e" o
dinuW a"pànc:ipi" i Iore stessi libelli e. proouratDri d.i.feJr
dere· 8, libeI'aIlto. AUora mi par essere pili che trìhuae. & ~
tOI'8 e:eoasol., e _darmene in oielo;.cQ8a che DODo mi vieaa
da allr4 6 Dà per tellamenti Dà per CaNon.. Qual fama e laadeo
di qualsiNep.ar..&ei paote aggoa~ alla, sloria da' 4iai&ori
illustri DOB pIlE& lIIlpresso gli uomini. ltavagliati\li.7 ma an.-
eeea appresao a' giovani e.Qonzalli 8 dilnwoa iDdole. ed,llif8I:-
... ttJ.. ~ il ,ma-J ci~. il IK- che pro.i.è lIpIIe a1la Jflvi~o oIla
fona ddla. tD& medilata or&&io. .
S .. e,li dice e,,'empo.e. U testo ha: .4lpe nopa", et recenee ... ca.am
nO" dne allqaa IrepldllCiono' animi attulerl'. Ip4a 40llidludo e""""md"
epenl"", et lenocUraturPOlaplaU•• Nè qui è propo.ilod·e1oquea.a improvviSI,
dc&,p DI'ab -,..wc. oIIeUP."- Vuol.4in: .. l'olat.."" ... fDari COD
ua' ona-. d'_ g _ lIIIO." o ICIÌlla, aIlDra aUor.,.e pllrlÌÒ.ù ~ile:; '1m
SIlO :peritauiaiD1ala b _ rilUOi&a,,,re_piùgJalo.jJ pi...ra.-c...... 1*'_"
u» accurale elabo.ala era frequeDte a' lempi di Tacilo.
S Il CAmpo con z-u... apiq., CDa uat'-i1.!apa...,..... chllè .era-
.-....ea-poo1alrmali...
• Il .obone a b.lkd'o Voael.tnllivnl,.. m<HJo,llUl, iL,,",," ola.JU~.
ouia la to!a 1aIidl la.pootetanr dii _t.... .
I ".e. p.~eiu.it..,-.ia ewitaIA MUrÌl.Jlfa.. rtIbi/i,. vuòl dire
;D _ ..... lIlfet. .... dilla a.Ilia, che.aoUo V..,..w.o, lft.Wa,
• poco favore. .
, eos« che non mL ....... tl6al1ri. QI&i il·te$ è GGmlUO.... il.NQI~O De
l.... ~}>.j8J......_,eha può.
, "omiJd"'aBliIlIÙIi~ OHIfI"d...~•• ·OULIILdieoDa u"",lni'
d·"do"e.
8'a~lPop_i e donulU. Il taato: ....' diaocçup,ati. l' giovani:. _4pJul pa-
c....., adoU4Uaee••• lIIa·fone leno,_ apud jUPClJu ••
276 DBLL& PEBDUU ELOQlIENZA.

tazione' di cui i nomi, più che di questi; pongonoi padri a'lor


figliuoli? Quando questi passano, questo volgo e popoloigno-
rante che altro fa che correre in giubbone,l Dominarli e mo-
strarli a dito? I forestieri che gli hanno sentiti Domare nelle
lor terre e città, Don prima giunti in Roma, cercano di ve-
derlì e conoscerli.
VIII. Vo' morire se I questo Marcello Eprio, di cui poco \
fa ho parlato, e Crispo Vibio (per non allegar mortì)! non
sono in capo del mondoque' medesìmì" che in Capua e Ver-
celli ove si dicono nati: e per altro che S per esser ricchi di
milioni sette e mezo d'oro per uno, se ben si posson credere
guadagnati con eloquenza. II cui sagro nume e la forza ce-
leste a quanta fortuna abbia esaltato i gran dicitori, ce ne ba
esempi di tutti i secoli. Ma quai più belli de' due nominati,
che noi veggiamo co' nostri occhi? Già rinvolti nel fango e
nella miseria, né per bontà coppe d'oro, 8 e l'uno anche mal
fatto; esser ora (tanta é l'utilità: del ben dire) i più potenti
di Roma: furono, mentre vollero, i primi anocali: ora, di
Cesare i più intimi, girano e governano il mondo;' e da lui
sono amati con una cotal riverenza. Perché Vespasiano, ve-
nerando vecchio, e a cui si può dire il vero, é ben capace 8
che egli può accumulare e donare agli altri cari suoi, ma da
Marcello e Crispo ,gli é forza ricevere quello eh' ei non può
dare," Le minori cose che questi abbiano tra le cotante, sono

f ch. alb'ofach. CO~NI~.i1l gl1lbbo"•. Che co....oglia dire .el .. mellu


Bernardo. Ma dubito ci .il del gUI.tO, e ebe debba leggetli: • quelto ..olgo ignDo
rante e popolo in giubbone (pOpallU ""'lcat,.,) che altro fa che nominarli e mDo
strarli a dito?
I P o· mo~i~e le eco:Modo di eoergica alfermuiouI.
5 p'~ non a/l.ga~ morti, LI lettera del testo dice•• lmperocchè più "00 ,
Ientieri allego esempi nuovi e recenLi, cbe lontaoi e obliati. • I
• non .rono q"r:m'de8imi~ nOD baDIlO quella medesima fama.
, e pet' all~o che ee., e noo percbè egli son rieebì ec.; cioè: questa fama
noo ..ieo loro dalle riccbelle,lDI dall' elo'lUlDIl,lIbbeoe egli le abbiaDOaccumo-
late con elSl.
8 "j, p'~ bontà copp' d' er«, DÒ per bontà egregi.
7 giren« e BoJ'ernllno il mondo ~ fanDo e di.flDIlO ogni cosa a 101 IUlDO.
Lat.: .·aB""tf'~lJIItqu,c,,,,cta;. dII greco llt'l's,v 'flpllV 'lfllttTllt.
8 è b.n capace; è ben persuaso; iotende beue; ben sa.
, eh' et 1Ion p"ò dar«. Va troppo per le corte, Don ..nll qnalcbe confusionI.
L~ Iettera del teste dit:e: .VuI"lISiano.•.. heb sa, Sli allri sol1eyani su ciò cbeda
271
le immagini , i titoli e le statue, che si stimano al pari delle
riccheze, le qualipili agevolmente udirai vituperare che ve-
ni~ a (astidio. Di. qaesti onori adunque e ornameoti e fa-
coltà vediamo piene le case di coloro che da giovanetti si
diedero alle èanse e allo studm del ben parlare.
IX. I versi e le canzoni ove Materno vuoi consumarsi
la TUa(perché qnineì naeque il nostro ragionare).non danno
a' loro autori onor né utile; un po' di piacernzo e lode vane
seua pro. Quel eh' io ho dello e dirò, non li gusta, o Ma-
terno: ma di quel saggio parlare del tuo Agamennone o la-
sone , chi se ne rifà? 1 chi ne torna a casa con la sentenza
in favore, e te n' ha obbligo? Chi cava di casa o salata o
corteggia Saleio, nostro poeta singolare, o vuo' dire divino
spirito? se a lui, o sooamico o parente, verrà un bisogno,
ricorrerà a Secondo o a te, Materno, ma non come poeta
che tu. se', né perché tu facci versi per lui. A Basso nascono
questi iD casa, belli e galanti; ma il fine loro é che quando
egli ha tutto un anno, tuUo il di e parte delle Dotti pestato
e fantasticato un libro, gli bisogna trovare e pregare chi si
degni d' odirlo leggere, appiccarne i cartelli; e gli costa'qual
cosa in aecattaee I stanza, pararla, condorvi seggiole' e ta-
vola. E recitato che gli éi quand' ella gli vada bene, tutta
qneDe. lode dora un di o doe, come erba segata o fiore che
non allega: non se ne fa un amico, un divoto, on obbligato
per sempre, ma un 00 I on l ' lodar vano, brillamento' che
,vola.·Facemmo le meraviglie di quella liberalità di Vespa-
siano che donò a Basso poco fa dodicimila cinqoecento fio-
rini d'oro.' E fu bello meritar di ricever doni dal principe
per ingegno j ma qoanto più bello se bìsogno hai, ser-
è ,

lui hau ricevuto, e ehe fu loro facile di .eeumular da .ò e di colmarne gli altri,
Marcello poi e Criapo aver portalo aUa lua Imiciaia ciò cbe non riceverono nè
pote..u ri_m dal principe, • .
t citi le ne ,.ifa 7 a chi reca utile?
I accII,,,,,.e. J1 Volpi lIoCella,.., cou ..... uife.to errore. Eppure I. Nestiaul,
da lui t.uto .~ergogu.t., dice beue.

o.
t cond"",i leglfÌ01e. pigliarle • uolo•
• ,.11 Ou! I Lat.: • clamorem pagum et l'oees inaJle.t.•
• dodici mila eco Lat.: • qUingtnta sestertia r » cinquecentomila sesteni,
che gli computano. un 88,466 lire.
Il. 2.
278 DBLLA PERDUTA ELOQUENZA.
l'ire a te, adoperar l'ingegno tuo per te; donare a te? 01·
tre a ciò a' poeli conviene, volendo far cosa che da veder
sia, lasciare la eonversasìone degli amici, i piaceri della
città, abbandonare ogo' altra faccenda e ritirarsi, come essi
dicono, in boschi solitari ed ermi.
X. Né ne veagono in quel credito e nome (per cui solo
faticano) che gli oratori: perché i poeti mediocri niun guata,
ei buoni, pochi. Qoando e's' é recitato la più bella cosa del
mondo, il grido non ne arriva alle pendìci della città, non
che per l'universo. Chi é quegli che venoto a Roma di Spa-
gna.o d'Asia, per non dire delle France maremme, t cerehì
di Saleio Basso? e se pure lo riscontra, guarda e passa,-.
come vedesse ima dipintnra o statua, Non per queslo, cui la
natura non avesse fallo oratore, negherò io ilfar versi, se
in ciò si eompiace o ne spera gloria: anzi questa parte d'elo-
qnenza, come egn' altra, stimo sagra e veneranda. Né soIa-
mente la vostra tragedia terribile, e 'l tuono eroico; ma
le gioconde ode, le lascive elegie; i giambi amari, gli epi-
grammi piacevoli, e qnalunque altra spezie sia di bello par-
lare, a tutte l'altre studiose arti antipongo, Ma io m'·acca-
piglio teco, a O Materno, che avendoti la natura piantato in
su la rècca dell' eloquenza, lo la pigli malej" hai conseguito
il meglio e ti attieni al peggiore. Sì come se tu fussi nato in
Grecia, dov' é onorevole esercitar le arti ancora giocose, e
gl' iddii ti avesser fatto nerboruto e forte come Nicostrato,
io non patirei che que' braccioni nali a combattere si per-
dessino in fare a' sassi o al maglio;& eosì ora dall'accademie
e dalle scene ti rìchiamo a' giudizi, alle cause, alle vere bat-
taglie; massimamente perché tu .non puoi anche dire, come
molti sogliono, cbe il poeta offenda meno che l'oratore. Per-
ché la bellissima forza tua naturale sì li riscalda che tu or-
• France maremme: modo proverbiale per .iggi6eare pa ..e molto IODlaDO.
, ~uariJa e passa: ci fa ricordare poco a proposito del verso di Dante,
clove quella Cra.. esprime noncuran.. e di'pregio. Ma qui si vuoi ,igDi6care ben
altre,
I m· accapiglio teco. Lat.: • tecum mihi reI est.•
I l'' la pigli male; tu erri, tu cfai iD Callo.
a fare •.•. al maglio. Il maglio è UDO strumento da ribatter la pana: qui
.pieg:. approssimativamente il giuoco del elisco. _
DRLLl PERDUTA ELOQUENZA. 179
fendi l'imperadore, e per bocea, nQD di qualche omicciatto,I
ma di Catone. Né ti scusa il dire, «.1'offendere é l'arte mia;
io son fedele al ctiéntolo; e m'è uscito di bocca nella foga
del dire;» e' pare che tu abbia, a posta per più offendere,
introdotto si grave persona; perché le .sue Si;lDO sentenze
approvate e lodate a una voce da tutti. Non dire adunque,
C( lo mi voglio riposare, viver sicuro;» poiché tu ti Liri ad-

dosso avversario maggior di te. A noi altri basterà difendere


le controversie private e de' nostri tempi r e se nel darle
bene ad intendere I bisognasse per lo amico ch' è in peri-
colo oll'!lndere li .orecchi di più potenti, sia la fede lodata,
e scusata la libertà. .
XI. Avendo Apro cosi parlato con la viveza solita e viso
pronto, Materno rimesso e sorridente rispose: lo mi sono
acconcio a biasimare gli oratori non meno che Apro li lodi;
il quale aspettava io, che, finito di lodar quelli, desse ad-
dosso a' poeti, e i loro versi conciasse male: con bel modo
gli accomoda, dicendo che chi non è atto alle cause, faccia
versi. Ma io che nelle cause qualche cosa, vaglio, e Corse
posso, còminciai anche nelle tragedie a Carmi conoscere,
quando io In Nerone' abbattei queli' arte insolente e della

I pe,. boee.. 11011 di "Wllela. o",leeiattocc. L.Jett... del testo dice' .. per
.more non di qualcbe amiee (o cliente), m..... di C.lone." A quelto periodo le-
guono nel teltO alcune parole cb. il Da..n•• ti b. lalclato di Ir.dum, percbè il
Liplio·. qualcun altro I. 100pettano inlnu•• Non COllI' Orem ••1lri. Sono qne-
Ile: • s,"tio ""id ""po"deri "o66it: "i ..e iIB,"til'" "ii ....... S,'I, "wc i.
iPlillludito,il1 ".«cip". laudJJ.rl# tt mo:r omn;IIm le~mo"ihllllerr;•• Apro,
dopo aver mOltrato • M.terno cb. l'offendere DOn è in lui scusato dalla neees-
.ità o dalfervore, ma relo più g.... dalla elesione, loggiunge: " So cb. cOla mi
li può mpGllder.: .be qnelte ItOCC.t. riportano Innde appro...ione, quelle
.ono lodate.lapra tutto n.lle accademie, e dipoi ..n per la hoeea di tutti..... Sia
pure, logginng. Apro; ma bilogna anebe eonfessare cbe d. questi pl.usi vengono
.ll'autore di gr.n pericoli e mole.tie. NOli di,.. ad...."". ee...
I • le . .I da,.l. b.... ad int••d ere. Non pare che .•bbia colto il .ero 10.
."'p,....
Diee il !elto: • iII "lIiblU (coBtro.eraiia) ,11 li " .. a..do ...etll. lit ,
cioè, • nelle quali coouoveraie"lpr.D1uteci dalla neculità di do.er difendere i rei
(. DOlI U09ale dan. elaiODO per odio de' poteuti, come nelle tragedie), Il alcu.n.
'IIolta aiaaa COltreW di cdlèndero,può ....... appro••ta la fede nOlt;. .erlo ileIioalo
• aauata la libertàdel pari ..
• "Wllldo io bi N,,.o ,cioè nella tragedia intitolata N.roae.-llIa q_
.to In"lo è aeltuto latino guOIto e di.perato I DÒ è del DOltro iltitDlo l'.. porre
le dilIicoltà, 6n qui non ..inte , che offre.
280 DELLA PERDUTA 8LOQUBNZA.

sacra poesia guastatrice; e oggi, se fiore ho di sapere e nome,


vien più da' versi che dalli aringhi: e voglio oggimai rim~­
nermene; perchè que' codazi, reverenze e corteggi a me
sono come i bronzi e le immagini entratemi in casa aneor
contro a mia voglia. Meglio 'si difende altrui , la roba e la
vita con l'innocenza che con l'eloquenza; e io al sicuro non
parlerò mai in senato, se non isforzalo dall' altrui pericolo.
XII. I boschi e le selve che ~pro schifava, danno tanto
piacere a me, che io traggo da i versi questo frutto , oltre
alli altri grandissimi, che mentre li compongo non m'è rollo
il capo dal piatitore; non m'è fatto all' ùscio mula di me':'
dico; l non veggo le lagrime e vesti lorde de' rei: ma ricrio
l'animo in quelle ombre innocenti e sagre. Qui nacque la
prima eloquenza, qui abitò, e bella e comodasi- mostrò a' mor-
tall, e in quei casti e puri pelli entrò; cosi gli oracoli favel-
lavano. Questa avara eloquenza d'oggi di è trovata da' mali
costumi per mignatta, e, come dicevi tu Apro, per ìspin-
garda." Ma quel felice secolo e d'oro, come noi diciamo, non
avea dieitori con peccatoj! abbondava di furori divini e poeti
che cantavano le cose ben fatte e non difendevano le mali-
gne. Nè mai fu chi avesse più verace gloria nè pìù alto onore
appresso agl' iddii, di cui si dicevan riferire i risponsi e stare
alle mense; e d'intorno a quei re, d'iddii generati e sagrì,
tra' quali non trovo essere stato niuno avvocato, ma Orfeo
e Lino, e, se profondo miri, lo stesso Apolline. E se queste
ti sembrassero'troppo composte favole, tu mi concedi; Apro,
che Omero non ha lasciato minor grido di sè che Demostene,
nè in più stretti termini è racchiusa la fama d'Euripide e di
Sofoele che d' lperide o Lisia. E troverai oggi più, che vor-
rebbono esser Virgilio che Cicerone. Nè ci ha libro di Asi-

• '10ft m'èfatto .ll'u,cio "'-"'/4 di ",edico; cioè, Don ho alcuno che mi


•• petti .11'uscio. An. mulo del medico tocca ad a.pello", laagamenle .11'uscio
dell' infenno, finebò il padrone non abbia fallo la visita. Di qui il. proverbio.
I per ""palla e.... per ilpingarda; cioè per suecLiore il lingue o ......
suere le bor...... e per-nso di orme da dire addosse • difende..i. 1\ le.to bo: .1.-
crOltlt fluilU et I4ngulnartlil e/oquenlitlt fU'''' ncenl et ",: malil morlblU
"4t"', atqlJe~ rd tt' diceb41 .Ap.,.~ in Iocum' ~li "~p~,.tlU .•
I non avea dlcllorl con peccalo. L. lellera deltuto dice: • eri po.ero di
oratori e di peccati. •
DELLA PBIDUTA BLOQUEl'lZA. 281
nio né di MessaJla di tanto nome, di quanto é la Medea
d'Ovidio o il Tieste di Vario.
XIII. E non ch'io tema d'antipor la forlUDa e il beato
. commerzio de' poeti all' inquieta e ansiosa vita: de' dicilori
con tutti lor consolati buscati da' lor combattimenti e peri-
coli~ io amo pio quel sicuro e dolce eremo di Virgilio, dov'ei
pur fu e conto al popol romano e grato ad Agusto: le pistole
.del quale ne fanno fede, e lo stesso popolo che, sentiti in
teatro i suoi versi, tutto si levò in piedi e feceli riverenza
come se fusse Agusto. Né tu, Pomponio Secondo, a' tempi
nostri cedi né di degnità né di fama a Domizio Afro. Perché
Crìspoe MarceUo che tu mi dàì per esempli, che cosa banno
nel presente stato da curarsene? il temere, o esser temuti?
e tutto di da' cliéotoli affaticati, e quelli di sè minori sde-
gnare'! o legarsi a quella adulazione che non li lascia parer
mai a bastanza, a' padroni, schiavi, né a noi, liberi? che
gran potenza é questa loro? tanta ne si segfìono avere i li-
berti. Tengan por me le dolci muse, come dille Virgilio,'
tra quelle sagre ombre e fontane, fuori di sollecite eure e
nicistà di far cose tuUo di contra stomaco: libero da corte
fallace, t e vacillante fama. Non mi rompa il sonno strepito
di salutanti né messaggìe ansante, né faccia.io testamento
per assicurare il futuro non certo, S né abbia pio che io non
possa lasciare a oui vorrò; quando verrà l' ora mia, sia io
,messo in sepoltura con viso non mesto né adirato, ma lieto
'e incoronato, né si faccia per me pitaffi né storie.·
XIV. Non avila a pena finito Materno, alterato e qriasi
in estasi, quando Vipsanio MessaJla entrò in quella camera,
e vedendo tutti stare attenti, pensò che trattassoD qualche
gran negozio e disse: «Guasto io forse?»

, c.me dice J'irgili., Gtor. Il,476:


III• ..,;, '-4-'_. _ I I....
,,«/plat.

I da c.rlofallace. Ille4lo: • dall' iDsaDO e lubrico fòro••


, il fUlt,,"o .... certo, Per ulicurano agli eredi almeDo DDa ponioDe ciel
palrimoDio, che. DOD IDda"e lutto al fiICO, 10levID0 chiarone enode aDche l'im-
peralore. Coli fece pure Agricola.
« pit'!fIi nil storte» .ggiungi, co.. liccllaa d,l,ennlo.
282 DELLA PERDOTA ELOQOENZA.
No no, disse Secondo, cosi ci fosttil giunto prima, che ti
sarebbe. gustato on diligente persuadere del nostro Apro a
Materno, che attenda con tutto il suo-Ingegno e studio alle
cause, e la risposta di Materno a pro de' suoì versi lieta e,
come conveniva per li poeti difendere, ardita, e più da poeta
, che dicitore. '
'Avrebbemi dato, diss'egli, piacere infinito l'udìrglij e
or mi piace che voi, ottimi uomini e aringatori de' tempi no-
stri, esercitiate i vostri ingegni, non tuttavia I nelle liti e nello
studio del ben dire, ma in simili dispute di più, che nutri-
scon l'ingegno e 'l sapere, e gioeondissima dilettllllza dilet-
tere apportano a voi disputanti e a ehi v'ode. Là onde io
veggo te, Secondo, per aver composto la vita di GiulioAsia-
tico e dato speranza d'altri libri simili, esser piaciuto non
meno di Apro che non s'é partito ancor mai dalle liti, e quando
gli avanza tempo il consuma più tosto al modo de' nuovi ret-
toricl che de' dicitori antichi.
XV~ AIÌora Apro: Ancor seguiti tu, Messalla, di ammi,.
rare le cose vecchie e antiche ,e riderti e spregiare gli studi
dè' nostri tempi? lmperocchè io t'ho udito più volte, dimen-
ticandoti dell' eloquenza toa e di tuo fratello, a affermare 'che
oggi non ci ha un oratore: forse con più arditezà, perché to-
gliendo a te e lui quella gloria che gli altri vi danilo, non
hai potuto parer maligno.
E 10ralTermo, disse, e non credo che Secondo né Ma-
terno né tu la intendiate allramente, se ben talora disputate
in contrario. E vorrei che qualcuno di voi per grazia cercasse
e mi dicesse le cagioni, che non ritrovo io, di questa infinita
differenza de' tempi, e quello che alcuni quieta, a me aeere-
sce la duhitanza , che io la veggo anche tra i Greci, e pià lon-
tani esser da Eschine e Demostene questo Niceta sacerdote,"
o se altro aringator di scuola mette a romore Efeso e Metelli-
no, che Afro o AlTricano o voi non siate da Cicerone o Asinio.

Cftufùl fOlsi tu,


"duvl., Don solamente..
J 1I0n
a di t"ofr4ullo. H. Aquilio Regolo, di eul vedi Storo IV, 4S,
• :Nir:eta .lacerdote fu di Smirae, e retore e lofistafamosQJ de' cui scritti
abbiamo qualcbe fummento in Seneca.
DELLA. PERDUTA. ELOQUENZA.. 183
XVI.. Gran quistlone hai mossa, disse Secondo, e degna
d'esser trattata; ma chi la può sciogliere meglio di te che.sei
sì dotlo e ingegnoso, e di più ci hai pensato?
lo aprirò, disse Messalla, i miei pensieri, caso che pro-
melliate d'aiutarmi.
lo prometlo per due, disse Matèrno. Secondo e io tipi-
glie remo quelle parti che tu avrai, non lasciate, ma lasciate-
ci. Perché Apro il dì contrario parere, come tu dicesli poco
fa. E vedete ora com' ei si rassetta nell' elmo l per abbattere
quesla nostra concordia in lodare gli antichi.
Ben sapete, disse Apro, che io non patirò che il nostro
secolo per questa.setta che voi gli fate eontro,' si condanni,
senza ragione udita, e difesa. M,:a prima facciamo a inten-
derci: chi chiamate voi antichi? gli oratori di qual età? Per-
chè quando io odo.dire antichr, mi sovvengono Ulisse e Ne-
store, che furono anni milledngento fa in circa; e voi parlate
di Demostene e Iperide che scpravìssero a Filippo e Ales-
sandro. Onde apparisce che dall' età di Demostene a questa
ci corre quattrocento anni o poeo più, che alla frale vita no-
stra posson parere spazio lungo; ma alla ootura de' secoli, e
all' eterno, é un batter di ciglia. a Perchè se il grande e vero
anno degli anni, come scrive Cicerone nell'Drteaalo, é
quando torna la medesimà positura del cielo e delle stelle,
per dover poi ritornare ogn' altri dodicimila ottocento cin-
quantaquallro anni; il vostro Demoatene, che voi fate antì-
eo, viene a essere. stato quasi nel mese che siamo noi di que-
st' anno grande. ,
XVII. Ma passiamo alli oratori latini, de' quali non credo
diciate che il maggior sia Menenio Agrippa, che può parere
antico; ma Cicerone e Cesare e Celio e Bruto e Asinio e Mes-
salla, i quali non veggo .che possiate dir più antichi che mo-
I n r,..,itta nolr.lmo, .i prepari; medita llU arllomeati I coolUtarci.
, per '1".'111 ,.,111 CM..ot I1l1 /alo conlro] cioè, per ~ta eoaBiura.
I ~ ..... ballv di cil1lla. Diate, Pur,. XI, i06:
•••• miIP lIlII1? .. ~ pillcorlo
8puio allJ eteTDO C1be u mlner di dllia
A! em:bio elle pill t.rdi iD cielo. oolto.
Cosi mllo Scllm'" • Lui •• mia, quaato posso io ,ioere' .eDI· aDDi' ehe spatio
sono all' eterno' " cioè, rispettoall'eternità.
284 DELL& PEBDUT& ELOQUENZA..

derni; perché Cicerone fu morto, come scrive Tirone suo li:-


berto, alli sette di dicembre l'anno che furono consoli Irzio
e Pansa ,' a' quali Agusto fece, per iscambi, sé e Q. Pedìo,
Regnò poi einquanzei anni; Tiberio vehtitré; presso a quat-
tro Gaio; ventotto tra Claudio e Nerone; uno tra GaIba, Otone
e. Vitellio; e già é il sesto che Vespasiano conforta la repu-
blica di principato felice: cosi dalla mortedi Cicerone insino
a oggi sono centoventi anni; l'età d'un uomo. Perché io in
Britailnia ho veduto un vecchio che diceva essersi trovato,
. quando Cesare assali la Britannia, a combattere per non la-
sciarlovi entrare. Or se costui che s'oppose a Cesare, fusse
per prigionia o altro capitato a Roma', potrebbe aver udito
. Cesare e Cicerone, e anche oggi esservi a veder noi. Udisti
nell' ultima mancia data al popolo molti vecchi dire averla
avuta da Agusto più d'una volta; quelli adunque potettero
udire Corvino e Asinio, quasi all' nltimo. Non dite di due se-
coli, né antichi, questi oratori, che possono essere stati ambi
da' medesimi orecchi uditi e quasi accoppiati.
XVIII. Ho voluto pigliare questo passo Ìnnanzi I per
mostrare che se gli oratori hanno dato a' tempi fama e glo-
ria, ella posta nel mezo e più vicina a noi che a Sergio GaIba,
è

a Gaio Carbone, o altri che noi potremmo ben dire antichi:


essendo orridi, non pettinati, rozi e' sconsertati, a che cosi
non gli avesse imitati Calvo vostro o Celio o esso Cicerone.
E cominciando a dar dentro gagliardo e ardito, • avvertisco
prima che co' tempi 'si cangiano anche le foggie e maniere
del dire. Gaio Gracco era più pieno e copioso del vecchio
Catone: Crasso più ornato e pulito di Gracco: più di loro Ci-
cerone distinto, piacevole e allo: più dilui umano' e dolce e
scelto ~orvino. Non cerco chi si sia il maggiore; bastivi aver
provato, la eloquenza non avere nn sol 'volto; ma trovarsene
in quelli ancora che voi appellate antichi più spezie: né quello

t l"anno chefilNno conloli ec.; cioè, l'a. di R. 7ft,e anati G. Cristo 43.
I Ho "ol,do piglia,.e q...do pauoinnanai, ho \'011.10 premettere quesle
t:ose. ' I

I $co"'e"tQti~ sconcertati, 'eD&' erdìee., scomposti.


• E cominciando a dar dentro te'O) a entrare di proposito e con foru nella
materia del mio ragionare.
DBLLA PBRDUTA ELOQUBNZA. 286
che é diyerso, subito esser peggiore: e la malignitade umana
sempre le cose antiche mettere in cielo, e le presenti farle
afa. l Chi dubita che non vi avesse ammiratori d'Appio Cieco
più che di Catone? beò si sa che anche Cicerone fu appun-
tato. per enfiato o gonfio, longo, compiacentesi oltre modo,
soverchio e pocoattico. Avete letto lettere di Calvoe di Broto
a Cicerone, al qoale si vede che parve Calvodi poco sangue
, e tipore, Bruto -dìspetteso t e spezato. E Oìeeroae a Calvo,
sciolto e snervato, e a Bruto, per osar le sue parole, fiacco
e dilombato. Tutti, s'io t' ho a dire il vero, mi pare che di-
can bene: diciascono dirò appresso, e ance non la voglio
con totti.'
XIX. Gli ammiratori dell' antichità soglion farla termi-
nare in Cassio Severo, che fo, dicono, il primo che tòrse
da quella via diritta del dire antico, non per mancllllzad'in-
gegno o lettere, ma in prova;· vedendo, come io diceva
poco fa, che qoest'altri tempi, altri orecchi, chiedevano, altro
modo di favellare. Pativa questo ignorante popoloe rozo qoelle
longherie, e pareva valente chi durava tutto un di a dire.
Proemi lunghì, narrazioni da lontano, mille sacciute divisioni
e argomenti, e tutte quelle seccheze d'Ermagora e d'·Apol-
lodoro parevano il secento: I e chi avea fiato di filosofia, •
e metteale in qualche luogo accattato nella soa diceria, n'an-
dava in cielo per la nuova cosa. ADzi di essi dicitori poehis-
simi aveano imparato rettoriea, non che filosofia. Ma ora che
tolte queste cose sono sparse, e niono viene in qoesla seena
che non l'abbia, se non apprese, studiate, bisogna per vie
noove e sqoisite piacere, e non infastidire i moderni giodici
d'àotorità e podestà, 1 e. non soggetti a rigori di legge; né
I farle "fa, fl.tidio. Sulla fiI•••d ...gerll ••mmirnion. dell' .nticbilà
..edi Or..io, Ep/II•.JI, 'I.
l I d/'!'ellQlo. IlI.lino dÌ<'e • OtiOl,."". tralcunlo.
I 11011 la "o/fllo COli tsuu, Par. che .bbi. 1.110. 1I0e ... Ilal eu... "tI/"ordl
"or~tI..... oli; • m. dice. IIU11e, • cioè, or. p.rlo di loro in gener.le.
• lIIa la pro...., conliglill.mente.
• pe,.ft1I1"O Il.r,ceIUo ~ parevano QDI gna COli.
• o e!al a"oafi,,1Qdlfilolojia, cbi sapevi null. nuUI di 6101061; chi \' ,"n.
_os.ta, dice il tello: • tH qui« odora"u pAl/olopMa... "ldorol'Ar••
, ti' autQrlllÌ e podo,t,;; cioè, .... nli .!!i0rilà • poc1eltà,. che lenl.nadno
--.lo 'IMIII, non aecondo_ il dirillo • le leggi. -
286 DELLi PERDUTA_ELOQUENZA.
pigliano le giornate,' ma le danno; e quando non viene al
punlo, o dice borra I il dicitore, te lo garriscono e sollecitano.
XX. Chi può sentire oggi fare scuse dell' infermo corpo
suo,come Corvino in quasi tulti ~ proemi? Chi aspetterebbe per
giudicar contro a Verre cinque libri? Chi leggerebbe que'fa-
sci d'aDegazione, che sopra-dell' eccezione e formula per
M. TuUio o Aulo Cecina? a Vede il giudice d' oggidì dove ehi
dice vuoi battere e (non essendo da filatessa d/ argomentì "
o belle sentenze o descrizioni vagheinvilato e guasto) si sde-
gna col ciarladore. E quei che ne' giudizi vengono per udire,
hanno fatto l'orecchio al dir lieto e vago, di maniera che a
quel maninconico e scompigliato antico farebbono le fischiate,
come a chi volesse in ìscena contratTare i gesti di Roscio o
di Turpione Ambivio. I giovani ancora che vengon su, e gli
oratori seguitano per imparare, vogliono oltre all' udire por-
tarne anche qualche bel passo nolevole: -e mostransi e seri-
vonsi per le coloniee provincie, quando .tra loroqualche ar-
guta e breve sentenza sfolgora, o qualche bello- o squisito
poetico luogo lampeggia: volendosi oggi nell' oratore ancora
gli ornamenti poetici, non vieti come quei d'Azio e Pacuvio,
ma tratti dal borsellino d'Orazio, a Virgilio e Lucano. Più
bella e ornata è adunque l' età de'nostri oratori che ubbidi-
sce-a lali orecchi e giudizi. Nè perchè il nostro dire entri nelli
orecchi de' giudici con dolceza, si è egli meno efficace; per-
chè chi cJirà i tempii de' tempi nostri più deboli per non es-
ser murati di roaì-mattonie bistorti tegoli, ma di puliti marmi
e rilucente oro?
X XI. 14;l vi dirò il vero; a certi antichi non possotener

I n;' p;gliano l. giornal., Dè soff,oDo cbe li. loro ....gnato il aio,oo dagli
oratori, ma ]0 asaegnaDo.
• I 1I0n vien« al pWltO, O dic. borra; DOD vieDe .1 pllDID d.lla quiltioDe,. Ii
perde iD V'D' parole.
I ".A,slo C,ci"" (.ggiUD,e il Volpi) l.ggiamo 1 M. Don occorre; cbè f.cil-
meDteli 10UinteDde.ADcheil postillatore dell'es.mplare Nelli.no, Don intendendo
quelt'eUiui, cancella. con poco giudizio, il elle •
• filate"a d~ argomenti. Lat.: .. c"rsu argltmentorllm.• Filatelsa o fil..
streeea Ii dic., per modo basi o e dispregiativo, UDa Ieri. o lequela di eese o di
",riMI D••
5 dal bor6ellino d'Or'a.io. Lat.: • e:t' sacrario. ..
DBLLA PBRDUTA BLOQUBNZA. 287
le risa, a certi altri il senno: né sono un del popolo..••• J Canu-
to, Aride, Furnio, e Toranlo, e a qualonque 'altri della medesima
infermeria t quest' ossa e questo tìsìenme piacesse. Delle .en-
tùna che Call'O lasciò, apena me ne piace una o doe dice-
riuze; e veggo che io bo de'compagni. Contro ad A!linio ci
Druso, chi è che lo legga? I L'accuse contro a Vatinio son
bene lette e copiate, massimamente la seconda, ornata di pa-
role e sentenze, e accomodata a gli orecchi de' giud1ci: per-
ehé ìu vegga che Calvo eonoseeva il buono, e avrebbe voluto
essere più alto e ornato, ma gli mancò l'ingegno e le forze.
DeRe orazioni di Celio che diciamo? Piacciono, se non tuUe,
parte, vedendovisi la puliteza e alleza di questi tempi. Ma
quelle parole roze, que' concetti scanditi' sanno dell' antico,
e niuno credo che sia s\ all' antica che lodi Celio dove egli
è antico. Scusiamo Gaio Cesàre se egli per li gran pensieri
e affari non fece nella eloquenza quanto chiedeva r ingegno
suo divino. E Bruto lasciamo alla sua filosofia; perchè gli
stessi Illloi aDimiralori lo confessano nelle dicerie minore della
!loafama. Non legge la difesa di' Cesare di Decio Sannite, nè
di Bruto del re Deiotaro, nè gli altri di simll nerbo I e tipore,
se non chi anche ammira i versi loro messi nelle librerie, e
di Cicerone non migliori, ma più avventurali per essersi men
saputi. Asinio ancora, benchè nato ne'tempi più qua, mi pare
che studiasse co' Menenii e Apii; Pare' Pacovio ed Azio m'a-
niati, 8 non pure nelle Tragedie, ma nelle sue eraaìoni; si
duro e secco é. Ma lo 'disteso parlare, come il nostro corpo,
è bello, se non vi gonfiano le veni, non vi annoveri l' ossa:
ma sangue buono e temperato riempie le membra, entra
tra'moscoli, cuopre i nervi, e dà colore e grazia. Di Corvino
I w, del popolo. un uomo volgare cbe non .'intenda di nulla. - Que'to
luogo è Del testo scenciameate guuto e mutilo.
I del/.. ",edulm.. 1>'/e"",.,.I'" che abbia ò1 gUito gua.to e infermo come
....toro.
S clri è clr. lo le"a 1 cbi è cbe legga le sue ora.iODi contro Aoinio (al1ri
A.ioto) e Druso'
.. IcondiU, UDII- condimento t lenza sapore, .cioccbi.
• nerbo: per antifrui. Lat.: • ei' dem le1ltitudinil.•
8 Pac...io ed Ado mania ti, ,t i"imi. Non so perehe ò1 Volpi mella in
eor~j.o q'DtHO mani.tl t quasi rC:sse p:r.ro!a sospetta. E sì che i)·DaV31J&ati 1'un
1,iù volt••
288 DELLA PEBDUT& ELOQUBNZ.t..

non mi ,dolgo, perché da lui non restò di .arrìvare I a questo


lieto candore De' tempi nostrì , se le forze dell' animo e del-
l'ingegno rìspondeano al giudicio.
XXII. Vengo a Cicerone che sostenne co' suoi eguali
questa medesima pugna che io vasco. Essi ammiravano gli
antichi, esso anteponeva l'eloquenza de' tempi suoi; né in
altro avanzò gli oratori di quell' età maggiormente che nel
giudicio. Fu il primo a parlare regolato; primo a scerre l~
parole e a comporle con arte; tentò leggiadrie, trovò sen-
tenze in quelle orazioni che egli compose nell' ultimo che il
giudizio e la pratica gli avevan fatto conoscere il migliore;
perché l'altre non mancano di difetti antichi. Proemi deboli,
narrazioni Junghe: finisce e non conclude: s'altera tardi, si
riscalda di rado: pochi concetti termina ottimamente e con
certo splendore. Non ne cavi, non ne riporti; é quasi muro
forte e durevole,ma senza intonaco e lustro. Ma .lo voglio
che il mio dìcìtor sia come un ricco e buon padre di fami-
glia, che non abbia solamente casa e tetto da riparare acqua
e vento; ma da diletlare, da pascere anche l'occhio: non
masserìaìe ordinarie per le necessità, ma d'oro e d' ariento,
e gloìe da pigliare spesso in mano e vagheggiare; e l'altre
logore o racconcie mulare; non usi parola arrugginita, non
capitoli a uso d'annali, senza capo né coda: fugga le buffo-
nerie da scoreggia, I le clausole tutte a un modo.
XXIII. Nonmi vuo' ridere di quella ruota di fortuna o
giwtUia petTinaI o di quello esse. vidlatur a ogni poco pian-
talo quasi per sentenza; e basta. Dispiacemidi Cicerone aver
detto tante cose, e molte n' ho lasciate delle quali sole que-
sti oratori che Ili dicono antichi fanno gran sugumerar' niuno
nomino; basta accennarli. Voi avete in su gli occhi quei che
leggon Lucilio e Lucrezio, per Orazio e Virgilio; che schi-
fano il dire del tuo Aufidio Basso o di Servilio Nonìauo, per
Sisenna o Varrone; che gli scritti de' retlorici nostri hanno

.. da li" non reltò di 4r,.ifla,.e~ dal canto suo fece quanto potè per ani ..
• are eco
I buffon.~i. da Ico~.KBia • • eiecehe e degue di fru.ta.
a tP,uti'ia v.~~inà. Vedi Cic. in Pilon.10; e in P.,.". Accru. I, .~, no.
• fanno Fan l''·6,,mera,, gran pompa.
nELLA PEaDUTA ELOQUENZA. 289
in fastidio e odio, e ammirane que' di Calvo, con fI1IeUe an-
tiche cantafavole 1 innanzi a'giudici che non l'attendono, non
gli ode il popolo, a pena li patisce la parte; si sono mesti,
sciatti, smunti e sani per dieta. I Non dicono i medici quel
corpo sano che ha l'animo amitto: non basta non esser ma-
lato: vuolsi esser forte, lieto e pronto: chi sano, e non al-
è

tro, mezzo infermo. Illustrate voi eloquentissimi lo secol


è

nostro di bellissima maniera di dire, come- potete e fate.


Perçhè io veggo te, Messalla, imitare tutte l'antiche leggia-
drie. E voi, Materno e Secondo, condite la gravità di si vago
ripulimento, si belle scelte cose invenite, si bene ordinate,
e componete con tanta copia se la causa richiede, e bre-
vità se la concede; con si spianati concetti, espressi alfetti
e libertà temperata, che di voi si dirà ne' secoli avvenire,
quantunque invidia o malignità s'opponesse.
XXIV. Avendo cosi detto Apro, disse Materno: Che vi
paredella forza e ardore del nostro Apro? con che torrente
e flnpeto difend' egli lo nostro secolo? con quanta e varia co-
pia ha tartassato gli antichi? con quanto non pure ingegno o
spirito, ma sapere e arte li ferisce con l'armi accattate da
loro? Non perciò dei tu, Messalla, ritirarti dalla promessa,
perché noi non cerchiamo chi difenda gli antichi: e niuno
di noi, henehé ora lodati, agguagliamoa quelli, benché assa-
liti da Iqlro. Ned io l'intendo cosi: 3 ma per antico e da' filo-
sofi celebrato costume s' é presa la parte del dir contra. E
dicci non le lodi degli antichi, la cui fama vola a bastanza,
ma le cagioni onde noi abbiamo tanto perduto della loro elo-
quenza in centoventi anni, calcolato dalla morte di Cicerone
a oggi.
XXV. Allorll Messalla: Seguirò, come imposto m' hai,
o Materno, poco essendoda contradire ad Apro, che dovette
esser il primo a dire, che non bene si dicono antichi quelli
che furon cent' anni fa; chiamili antichi o maggiori o con

f con quelle anticlle cantafavole. Lat.: • mo re prisc« fab .. lantes••


S SIIIt; p~r dieta. Lat.: • santtatem non firmìuue sed ieiunio conse-
f),,,,ntll."••
3Ned io l'intendo cosi. Correggi: .Ned egli l'intende'cosi•• Lat.: • ..le
ne ip.le qlddem ila senti t.,.
Il. 25
290 nELLA ~EaDorA ELOQUENZA.
altro vocabole, non fa easor' il punto è, che I'eloqaenza di
que' tempi fu più eccellente. Né anche gli nego essere state
molte maniere di dire in que' tempi medesimi, non che in
diversi. Ma come si tiene tra gli oratori attici il primo De-
mostene, poi Eschine, Iperide, Lisia e Lìcurgo, e questa
ogn' un tiene la migliore età degli oratori; cosi tra noi Cice-
rone passò innanzl a tutti de' suoi tempi: e Calvo, Asinio,
Cesare, Celio. e Bruto a tutti de' tempi prima e poi. E con-
venendo in questo genere, non importa che sìeno diversi di
specie. Calvo stretto, Asinio numeroso, Cesare splendido,
Celio amaro, Bruto grave, Cicerone veramente pieno e po-
deroso: e tutti hauno un' eloquenza sana egualmente, talchè
a premerli, v' ingegni diversi, giudizio e pens~ri somi-
è

glianti. E se l' un l' altro si punsero, e sonci di maligne let-


tere loro, questo non è difetto d'oratori, ma d'uomini. Per-
ché io credo che Calvo, Asinio e Cicerone stesso s' odias-
sono; astìassono e petissono tutte le pasaìoni umane: Bruto
solo scoprisse il giudicio e nobile animo suo ingenuamente:
e doveva invidiare Cicerone colui che mi pare non invidiasse
Cesare?
XXVI. Quanto a Sergio Gaiba e Gaio Lelio e altri antichi
che Apro non fina di tribolare, io non li difendo né dico che
alla nascente e non ancor cresciuta eloquenza loro non man-
casse qualcosa; ma che se forme alcune di dire ili dovessero
eleggere dopo la perfettissima, io terrei anzi 1'impeto di
Gracco e la matureza di Crasso, che i ricci di Mecenate e i
tempellì" di Gallione; tanto é meglio il dicitore in toga roza
a bardosso," che in cotta lasciva da meretrice. Né da oratore
né da uomo questa foggia che molli accusatori de' nostri
è

tempi usano di parole giocose, concetti deboli e storti da com-


medianti; e molti (che é vergogna) si gloriano che gli scritti
loro si cantino e ballino. Onde nato quel travolto, ma spesso
è

.. nonfa ca.lo,# noa rileva, non importa,


I t t.mpelli. Tempollo è il tocco della campana t.mpolllltil o percoa.a.
Il. qui per t.mpelli vuoI aigDilicare quolle frasi suona oli che empiouo le orecchie
e DOD dicOD Dulia.
I III bardOIIO .. o • bhdollO, dicesi del ca't'a]care aeala seDa: qui è iD JeD.JO
ùadato, • vale all« P'Bgio.
DBLLA PBIIDUTA BLOQllB!lZA. 291
dettato, c Che i nostri oratori parlano sciocco, e gli strioni
baDano saporito. li l Negare Don saprei ehe Cassio Severo, il
qual solo Apro nostro ardi nominare, agguagliato a quei che
poi vennero, non si possa chiamare oratore: benché la mag-
gior parte dell' opere sue abbia più sforzo che sangue. Per-
chè egli non tieDe conto d'ordine nelle cose, né d'onestà e
modestia Delle parole, adopera le sue armi scomposto, e per
troppa voglia di Cerireinciampa, non Ca colpo ma rissa. Non-
dimeno, come di88i, lIIIp8ra molto e per varietà di dottrina
e per gentil piacevoleza e per Corze gagliarde i saecedoti a
lui, ninno de' quali ha nomìaato e quasi messo in campo Apro:
e iò aspettava, che scartato Asinio e Celio e Calvo, ei ci pro-
daeesse altra Crolta di campioni, ehi a petto a Cicerone, chi
a Cesare, chi ad altro: ora gli è bastato nominare quegli an-
tichi che non gli piacciono, e di quei valenti dopo loro non
s' è ardito lodarne alCUDO particolare, per non o8'endere,
credo io, troppi, nominandODepoehi. Perché qaale è di que-
sli novelli che non si teaga da meno, se non di Cicerone,
- al certo di Gabinianof l
XXVIL Né io mi periterò nominarli, per lDèglio mo-
strare con gli esempi per quali scaglioni scesa sia l' elo-
quenza.
Vieni, di888Materno, al punto della promessa: non oe-
corre provàrci che gli antichi ne sapevan più: io ileo certo;
ma dicci le cagioni.•_S prima che Apro l' oll'endesse biasi-
mando i tuoi maggiori.
La disputa d'Apro non m' ha dato noia, nè- a voi la

I I IIo.rn o,.ato,.1 parla 110 Idocco ee, 1'f00 puIIIi bue esPreua 1'lIIlitai
di questo motto proverbio le. Per mOltr,re l, iRfemmiDi!a• mimie, el0'll1Cllza di.
«vaDO ebe Ili oratori cODcionavaDO t~"t ..tlme ...te o, come direbbesi 08Si, lenti-
m.lltolm.IIIe, lo che è proprio do' balleriDi; • porchè quali COllero eompeDI.li
del furto fatto loro d.gli oratori, dice"l,i cb' e' baU.....DO oloq....lemealo. ilIo-
Ilo ba: allt o,.,do"'1 'lO,"'; tenere dicere l AlllrioJlel dilerte laltar, 4iCtl~.,
tur,»
I q_lo è di ,,'_II II_lIl clt. IIoa .. Ing" da ...... 0••e 11011 dI Cico-
,.tnfO, "I corIo <Ii Gabi1lÙlao' Cedooo il primo 1u"ll0.a GabioiaDo (rolon allora
Camoso) • fioe di poterlÌ impuDemeDte preferire a CiceroDO. Cosi oggi (dice
l' Orelli) cjuelli ehe dispregi.no Coreeille e R.cioe, souo poi taDto modesti da
conteDt,r,; del aeeoDdoluOllO dopo Vitto. BDgO.
I ma dicci le cagio..i.... V' ha heuDa uolluto.
292 DELLA PERDUTA ELOQUENZA.
dee dare, se udirete qualche cosa forse che non vi gusti; po-
tendo ciascheduno in simili ragionari dir libero quel ch' ei
sente.
Seguita, disse Materno, e deDi antichi favella con libertà
anlica, la quale abbiamo più perduta che l'eloquenza.
XX VIII. Messalla disse: Non sono scure, lo sapete
me' di me, tu e Secondo e anche Apro, le cagioni di che
voi mi domandate, e tutti la intendiamo a un modo. Chi non
sa, l'eloquenza e l'altre buone arti esser mancate dell' antica
gloria, non per mancanza d' ingegui, ma per essere la gio-
ventù infingarda, i padri negligenti, i maestri ignoranti, gli
'antichi modi perduti? mali prima in Roma nati, poi per Ita-
lia sparsi, or vanno per le provincie benché de' nostri noi
sappiamo più ragionare. lo di Roma parlerò e de'difetti pro-
pri e casalinghi de' nostri figliuoli, com' e' nascono e poi cre-
scono con l'età; ma prima voglio alquanto toccare della se-
verità e regola de'nostri antichi nell'allevare e ammaestrare
i figliuoli. Primieramente ciascuna madre il figliuol suo ca-
stamente nato allattava; non in porcile di balia pagata, ma
in suo collo e seno; la cui prima lode era governar bene la
casa e attendere a' figliuoli. Davasi carico ad una parente at-
tempata, d'ottimi e provati costumi, che niuno della fami-
glia dicesse né facesse, presente lei, cosa brutta né disonesta;
e che non pure gli studi Ilpensieri de'fanciulli ma gli scherzi
e le ricreazioni ancora temperava con santità e modestia.
Cosi troviamo Cornelia madre de' Gracchi, Aurelia di Ce-
sare, Azia d'Agusto averli allevati e falli principi. Questo
severo ammaestrare teneva che la natura di quelli non si
torcesse per male vie, ma pura e netta pigliasse le buone
arti; e cui a milizia o a legge o ad eloquenza inchinasse,
a quella tutto si desse, qnella tutta s'ingoiasse. l
XXIX. Oggìdì, come il figliuolo è nato, si raccomanda
a una servaccia greca, e uno o dueschiavacci, che loro fa-
vole e pazie imprimono nella tenera cera di que' nobili ani-
mi. Niuno di tutta la casa guarda quel che si dica o faccia,
presente il padroncino, né gli stessi padre o madre gli av-
velano a bontà o modeslia, ma scorretti; onde a pocoa poco
,I 4"ingo;a44e. Lat.:. h"m:ir.'(t...
DELLA PEBDUTA ELOQUEllZA. 293
v' entra la sfacciateza e il fondere il suo I e quel d'altri. In
corpo alla madre pare a me che nasconoi vizi propri di que-
sta città. Zanni, t scherme, be' cavalli che, tenendo l'animo
tutto preso, che luogo vi lasciano alle buone arti 't in casa
non si parla mai d'altro: entra nelle scuole; tu non odi al-
tro in bocca de' giovanetti, né i maestri alli uditori contare
altre favole; accattando essi gli scolari non per insegnare e
giovare agl'ingegni, ma per uccellare agl'inchini e alle adu-
lazioni. Passano gli scolari i primi principii di leggierie" al
vedere gli autori, rivolgere l'antichità, aver notizia delle
cose, degli uomini e de' tempi, non attendono quanto biso-
gna. Vogllon solamentè quei che chiamano rettorici, i quali
quando in questa città venissero, e COme nessun conto ne
tenessero i nostri maggiori, dirò appresso.
XXX. Ora mi convien dire di quelli oratori che hanno,
come s'intende e vede ne' libri loro, durato infinita fatica,
pensatoci sempre, esercitatosi con ogni studio. Il Bruto di
Cicerone, come voi sapete, nell'ultima parte (perché la prima
conta degli oratori antichi) dice come cominciò, sali, e quasi
fu allevata, la sua eloquenza. In Roma da Q. Mucio udllegge
civile: da Filone aceademico e da Dione stoico bevve tutta
la filosofia. In Acaia e in Asia andò poscia per imparare an-
cora ogni varietà di scienze. Leggi Cicerone e vedraivi geo-
metria, musica, gramatica; e ehe non v' é't seppe le sottì-
glieze della laica, le utilità dell' etica, i moti e le cagioni
della fisica. Cosi amici ottimi, cosi è, ehe dalla mente
è ,

pregna d'ogni erudizione, arte e scienza, esce e sgorga fiume


maraviglioso d'eloquenza. Non la forza e l'arte oratoria,
è

come l'altre, ristretta in brevi termini: oratore é colui che


sopra ogni cosa proposta può dire vago e adorno, a persua-

• fond.... il su», naDt.:


Biacwa • ""do la .... roeultote.

I ZIl"Jli~ btrioni.
I PalIano gli Ico/arl eco Veramente il testo dice: Mi passo de'primi ele-
menti degli scolari, dove anch' essi poco sudano , nò spendono il tempo cbe li
vorrebbe a 't'edere gli autori) rivolgere l' anticbità ee. " Transe» p,.ima diseen»
ti,,?, elemenca~ Haqrdbru et ip$il partlm ll1borat",. ~ nec in auctortbu» cogno-
.ceJIdll.... 101/1 o'per.- 101"",/1"•••
25'
294 ~EL~A PERDUTA ELOQUENZA.

dere atto een degnìtà della cosa, utilità de' .tempi, piacere
deIIi udienti.
XXXI. Queste cose volevan que' vecchi, .alle quali ere-
devano necessario, non chiacchierare nelle scuole, nècon
vani e ogn' altra cosa che veri puntigli;' la lingua e la voce
.adoperare; ma i loropeLti empìere di facoltà da potere dispu-
we del bene ti del male, del brullo e dell'onesto, del giu&to
\.11 non giusto, che llonb la materia dell' oratore; trattandosi,
rne' giudizi, dell' equità; nelle deliberazioni, dell' onesto; e
; ? mescolandosi le più volte: ove non può esser copioso, vario

e ornato, chì non sa. la aa.t.ura UlJlB.Da, la forza delle virtù,


la pravità dei vizi, e quali cose non sieno vizi o virtù.
.Sorge da questi f~Dti, che meglio saprà l'ira del giudice
accendere o spegnere, cm sa qbel che sia ira: a mise-
rìeordia moovere, chi sa. quel che sia e come si -generì
misericordia. In q~ste arti pratico l'oratore, o parli a.nì-
miei o amici; a pieni d'invidia o manìncenia o timore;
terrà le briglie I de' loro animi, e, secondo che chie-
derà la natura di ciascheduno, ad ogni mano li volterà, S se
avrà tuLli a ordine li fornimenti. Lo stretto parlare e raccolto,
che viene a meea spada" e conchìude, da alcuni è creduto
piti: con questi gioverà l' esser loico, Ad altri piace più il fa-
vellare lungo e piano e nalurale; al muover questi accatte-
remo qualchacosa da' perìpatetlci; darannocì luoghi atti e
proD1i a ogni disputa: gli accade:D')Ìci, forza a combattete; &

• l'"ntigli, controversie•
.. le bl'/glte. Lesge-:ltorbe.... r ~lm ....nu. cb. lonole~. d.lcnoll'.
I ad o,ni mGlloU ~oll'I'4. Il test o dic •• a.dhibebit mlJnl4m 01 temp'I'abit
orationem;" cioè, .. e secondo che chiederà la natura di ciascheduno, adoprerà la
mano e governerà il discorso, se .vlà eco • La metafon è tolta 'o dal coochio o
òana nave, dove o l'auriga o il noccbiero adopra la mano' e governI secondo la
natura o de' venti o de' cavalli.
.. eh» J'iene a me_a spada~ cbe stringe da vicino.
I fOl'.a a combattere. QuellO lnoso ..elI. NeRi .... si legge così: a almuo-
..or qne.ti occetlenmo qnalehe CO" da'Poripatetici. DaraDDoci Iuegbi alli, e pronti
a ogDi dispula gli Accademici: gli Sloìci forza a combattere ec•• Così pure ancbe
il Volpi nella eorniniana ; se non che innanzi a gli Stoici pone un asterisehio •
mostrarl.'l1a parola sospetta: ed iq, vero Del testo Don v' è, e lIoì" l'abbiamo tolta.
,Av"'t'ertasiancora che il Davaoaati ba letto" nlllt"abim",1 aliq"id a Peripateti-
ciI: hi aptos cc._ Laddove altri Ieasoco r Il mùtuabimnr ti Peripateucis aptol
JlELL.l PERDUTA ELOQUE.\'\Z.l. 291
Platone, alteaa; Senofonte, grazia. Potrà anchè dall'Epicuro
e da Metrodoro qualche onesta sclamazione a proposito pi-
gliare l'oratore: chè non formiamo noi un filosofo; non una
città stoica, l ma uno non t1l.UO dato a una professione, ma
ornato di tane. Perciò gli oratori antichi apprendevano legge,
gramatìea, musica e geometria'; perché iu. moUe cause oc-
corre saperne: e delle leggi quasi in tutte.
X,XXII. Nè m.i si risponda, Cl: e' basta informarsi di quel
caso quando bisogna: » prima perché allramente ci servono
le cose proprie che }'accattate; e gran differenza è dal pos-
.sedere quel che tu di', all'esserti imboccato: poi perché il sa-
pere molte cose 'ci fa onore ancora ove non lo cercavi; e dove
non credevi si mostra eccellente; e conoscelo non solo il dotto
e saggio udilore,ma il popolo,che colui dice aver bene studiato,
aver tutti i termìni,"esser vero oratore: quale confermoche mai
non fu né può essere, se non chi é come il soldalo in guerra
In tuUe l'armi esercitato, cosi in giudizio di l.uUe le scienze
armato. Cosa si trascurata da'dicitori di questi tempi, che
nelle dicerie loro si .trova la feccia del favellare, e brutti e
vergognosi difetti: non sanno le leggi, non i decreti del
senato; ridonsi della giustizia della città, spaventansì della
filosofia, de' precetti de' savi: entro a pochi concelli e brevi
sentenze imprigionano l'eloquenza, come scacciata del regno
suo; e quella che già di tuUe l'arti padrona empieva di bel-
lissima compagnia li noslri petti, ora smozicata e tronca,
senza arredo, senza onore,sto per dire,senza libertà, 6' im-
paracchia 8 quasi una delle sporchissime arti. Questa adun-
que stimo io la cagion prima e principale del nostro tanto di-
acoslamento dall' eloquenza delli antichi. Che più be' testimoni
.De volete voi di Demostene appresso a' Greci, che fu, come
dicono le memorie, uditore studìosìssìmo di Platone? e di C,i-

el in. omnem di4putation.em parato" ;am locos : dabrtnt Academici pugnllci..


tatem,. Plato nlììtndìnem eco •
• I ... <li". toic--
HolDII, LeSse: • •
coclici, •• foieoram ,"-CC"'.•
c"'''at_p II!tr.io -.Jo eJ&.1
-

J IIve,. tuut i termini: dicesi anche aver tutti i numeri, per Don mancare
d'alcun buon requisito. Il lat. ha: • per omnes ero,,'lentla! nUmerOI isse]". per
tutti i gradi.
I '·impllr..çchi«• • 'impara poco t male.
296 DELLA PJnDUTAELOQUENZA.

cerone, t che disse queste parole: lt Ciocchè io ho d'eloquen-


za, l' ho non dalle scuole de' retori, ma da' passeggi accade-
mici?» Altre cagioni ce ne sono, e grandi e gravi, che toc-
cano a dire a voi, perché l'uficio mio finito; e non pia-
è

ciuto (all' usanza mia) a molli, che se m'avessero udito, so


certo che m' avrebber dato di sciocco a volere che l'oratore
sia di necessità legista e filosofo.
XXXIII. Finilo no (disse Materno), ma cominciato,
pare a me, e fattone UD po' di schizo. Dello hai che cose gli
oratori antichi imparavano, e quanta differenza sia dalla no-
stra pigrizia e poco sapere, a que' loro studi grandissimi e
utilissimi, quello che sapevano essi, e noi no: ora rimane a
dirci con quali esercizi i giovani principianti nutrivano e as-
sodavano i loro ingegni; perché né tu mi negherai, e ne' co-
storo volti leggo, che arte e scienza senza mettere in allo e
pratica non fanno eloquenza.
Avendo Apro e Secondo accennato il medesimo, Mes-
salla quasi da capo rifattosi disse: Veduti i semi dell' elo-
quenza degli antichi, cioè le scienze e arti che solevano ap-
prendere; dirò ora come l'esercitavano. Se bene assai l' eser-
cita chi l'apprende, perché apprendere non si può senza
specolare: lo specolare fa scienza, e questa dà forza all' elo-
quenza: ove si vede che l'apprendere quello che tu di'li dire,
e il dire quel che tu hai appreso, vanno insieme; ma chi non
lo intendesse, e separasse dalla pratica la scienza, conceda
che l'animo pieno di scienza verrà più a ordine I alle prove
oratorie.
XXXIV. Quando adunque i nostri maggiori indirizavano
un giovane alle cause e all' eloquenza, già in casa pieno di
costumi e studi onesti; il padre o parenti lo raccomandavano
al principale oratore della città. Questo seguitava, osservava,
udiva ne' magistrati, nelli aringhì , e trovavasi alle dispute
e contese, e imparava, per dir cosi, a battagliare. Gran pra-
tica, fermeza e giudizio n' acquistava il giovane in quel co-
spetto, dove ogni cosa vana o falsa il giudice riprova, l'av-
versario rinfaccia, l'avvocato dispregia. Empievasi adunque
l Cicerone. Vedi De O,.. III, -13.
~ pi,ì « o:J;"e~ più preparato.
DELLA PERDUTA ELOQUENZA. 297
d'eloquenza verace subitamente; e benché seguìtassono un
solo maestro, conoscevano tutti gli altri avvocati in molte -
cause e giudizi, e dal popolo diversissimo che gli udiva, in-
tendevano quel che piaceva' o dispiaceva in ciascuno. E
cosi non mancava né maestri ottimi, elettissimi, che mostra-
van la faccia, e non l'impronta, dell'eloquenza, né avversari
ed emoli, che si tiravano con esso le spade di filo e non di
marra, I e l'udienze sempre piene d'amici e nimici, che non
lascìavan passare cosa male o ben detta;' acquistandosi, come
sapete, fama d'eloquenza grande da durare non meno, anzi
più, nelle cause che non ci stringono, a dove ella veniva
più rigogliosa: e sotto tali insegnamenti lo giovane discepolo
aiutante, e li giudizi seguitante, dirozato e avvezzo àlle
spese altrui, ogni di imparando le leggi, vedendo in viso i
giudici, udendo gli aringatori, e quel che il popolo ne senti-
va, poteva da se solo subito trattare ogni causa. L. Crasso di
diciannove anni accusò Gaio Carbone; Cesare di ventuno,
Dolabella; Asinio Pollione di altanti, • Catone; e Calvo di
poco più, Vatinio. Noi oggi leggiamo quelle orazioni con
maravìglìa,
XXXV. Ma oggi i nostri giovanetti vanno a questi ret-
torici zanneschi, 5 stati e non piaciuti poco innanzi a Cicerone
affermante che da M. Crasso e Domizio censori furon co-
mandali a serrare le loro scuole presuntuose. 6 Vanno, dico,
a queste scuole, ove non so quel che si nnoca più agl' inge-
gni, il luogo, i condiscepoli o la dottrina. Nel luogo non é
riverenza, non v' entra se non ignoranza, i discepoli niente
v' imparano, perché i fanciulli, tra i fanciulli, e i giovanetti
I c... esso le spade di filo • ... .. di marra. Il testo ha: -ferro ..o.. r..-
diblt$ dimicantes). colla spadanon colle bacchette. - Spada dr marra. dicesi. la
.pada senu filo, O impnntata d'una palla per uso del giuoco di scherma.
, mal. o b... detta: luppliace la mancanu delleato che ha lolamente:
• ."ee bene.•
5 nèlle eans« che nora cl6tringollo. Non rende il latino .tl"ratruoam nOli
nli.ru In tliperli.r "wsellil.r.•.. '1sam suts]» • da durare Don meno ne'nggi de-
81i a.,• .,ersari che de'.uoi: • c'be è quanto dire , che i nemici. atelli IIrln costretti,
loro malgrado, a riconoscere l'e_llenza di sI ratto onlore•
• all4 ..U. allreltanti.
5 rdloriel .arl7re.rchl~ buffoni da scena.
e sC1U1le presUlllaose. Vedi De Or. nr, 2., 9•.
298 DELLA PERDUTA ELOQUENZA.
tra' giovanetti con pari sieurtà dicono e odono. Esercitansi a
rovescio; perché le materie de' rettorici sono o persuadere o
contendere: quello lasciano a' fancìullì per cosa più leggieri,
e che voglia men prudenza: il contendere, a' più maturi; e
che storpiate cose vi dicono per mia Cede, e da non crederei
Tale ancora riesce la loro stampita, t Onde nasce che de' pre-
mii a chi ammaza il tiranno, dello sposare la sverginata o
morire, del rimediare al morbo, dell' usare col figliuolo, e
sì fatte cose da scuola, rade volte o non mai, con parole pre-
gnanti I si trattano in giudizio vero. In giudizio non potevasi
dir cesa bassa o. vile..••• 3
XXXVI. La grande eloquenza è nutrita dalla materia,
come la fiamma: levasi per agitare, chiarisce per ardere.'
Cosi crebbe nelli antichi della nostra città l'eloquenza, nella
quale se bene anche gli odierni oratori hanno profittatoquanto
era possibile in questa cosi composta, quieta e beata repub-
blica, pure s'arrotavano altcamenti in quelle eonfusìonì e li-
cenze non da uno moderate, quando tanto valeva un parla-
dore, quanto poteva persuadere al popolo errante. Nasceyane
il Care ogni di legge, gridare ~ Popolo popolo; » stare i magi-
strati quasi le notti intere in ringhiera; l'accuse e nimistà
de' potenti, -le gran famiglie in parti, e lo conlinoyo combat-
tere il senato con la plebe: cose che rovinavano la republica,
ma affinavano e arricchivano l'eloquenza. Perché chi più
valeva nel dire era di più magistrati, poteva più do' colleghi,
aveva più Cavore da' grandi, più credito co' padri, più nome
. nella plebe; e di raccomandati ancora di strane nazioni ab-
bondava: riverivali chi andava in governo, OSBe"avaii chi
ne tornava: pareva che li chiamassero le preture, i consolati:
privati non erano senza podestà, perché reggevano col con-
siglio e con l'autorità il senato e il popolo. E teneano per
certano, B che senza eloquenza non si poteese avere né man-
6I'''"plla., ~lltnlaiòn.. detto per modo diapregiativo.
l
parolo "ro",".'i. Lat.: • i"ge..ublU ""rbU•.•
S Qui v' ha UDa forte lacuna Del testo laliDo.
I per agitaro. iateadi: coll'essere agitata, cioè, dai· polOllti 1lIitti. Cosi
pure per ardere, intenùi ardendo. Ben traduce il Lo_..... : .a. brille Oli
brillant. ì

5 certen«, certo.
DELLA PBRDUTl ELOQUENZA. 299
tenere luogo rilevato né da vedere nella città. Né é maravi-
glia; poiché di peso eran portati al popolo;in senato non ba-
slava dir breve il suo parere, ma conveniva confermarlo con
bel dire e ingegnoso: in voce difendere l'accuse; in voce, e
non in carta, far le fedi pubbliche, Cosi era di somma utilità,
necessità, comodità l'eloquenza, e bella cosa e gloriosal'esser
tenuto dicitore, e per contrario brutta il parer mutolo o senza
lingua. E la vergogna non meno che l'utile gli stimolava a
non essere nel numero de' clièntoli, ma delli avvocati; a non
isviare la bottega aperta da'lor maggiori: l a non essere a'ma-
gistrati scorti per dappochi o rimandatine.
XXXVII. Nelli antichi armari, che ora spolvera Mucia-
no, sono (non so se l'avete vedute) undici filze d' atti I e tre
di lettere, che mostrano Gn, Pompeo e M. Crasso esser va-
lutinon pure per forze a armi, ma per ingegno e parlare.
Lentuli, Metelli, Lucu1li, Curioni e altra mano di grandi
avere a questi studi molto atteso; e che niuno in que' tempi
venne in grandeza senza eloquenza. Accrescevala lo splen-
dore delle materie e la Importanza delle cause; 8 essendo gran
diJl'erenza d'avere a parlar d'un froda, d'uno statuto, d'Un
contrabbando, o d'onori comperati, sudditi rubati, cittadini
uccisi; i quali mali si come meglio è non patire, onde siamo
ora felici, cosi quando se ne dee trattare, gran materia por-
gono all' eloquenza. Cresce con largheza delle cose la forza
dell' ingegno, né può chiaramente e illustremente parlare chi
tlimile materia non ha. Non é grande, credo io, Demostene
per l'accuse date a' suoi tutori, né Cicerone per le difese di
P. Quinzio e di Licinio Archia: Catilina, Milone, Verre e
Anlooio il circondano di tanta fama, non perché alla repn-
blicamettesse conta patire mali ciUadini per dar larga materia
agli oratori; ma perché questa facoltà, di che noi trattiamo,
non regna (vi dico) se non ne'lempi torbidi. Chi non sa che

I If"'..roe" lHlu.,.. ",.l4 4a'ltD .. ......i/Jl"; cioè. che le ocIerea..


ereditate dai lIiori DOD p......eroad all'i. LaL: • Ile t.-adil4l .. ",,"orill... ""
uullMdiJlu lId di/U t.-...IVRt. •
I ti' .Ui. Lellle •. 111:"'.......• e aoa • a,"""rum••
• la ;"porlAllu deUe calUe, Legge .,pl.lIdo.. ... ..um: • allri, • Ipl......
reorrun;. cioè la chiaWI3 e nomiu30la de'rei, quali un Verre, UD Calili.ua te.
300 DELLA PERDUTA ELOQUENZA.
la santa pace è meglio che la guerra rovinosa? non dimeno
la guerra fa buon soldati l e non la pace: cosi avviene alI'elo-
quenzà: quanto più combatte e più colpi dà e riceve, mag-
giore è l'avversario, la pugna più aspra; tanto più alto, e~
celso, nobilitato diviene da quelle male azioni, e in bocca
agli uomini che per natura non vogliono le cose piane. l
XXXVIIL Passo alla forma e usanza deigiudicii, la qual
trova ora meglio la verità; quanto quell' antico fòro esercitava
più l'eloquenza, che non voltava oriuolo, S non perivano
istanze, 3 non era limitato modo nè numero d'avvocati.·
Gn. Pompeo nel terzo consolato fu il primo che rìstrìnse. i ter-
mini, 'e quasi frenò l'eloquenza: imperò si faceva ogni cosa
nel Ièro secondo le leggi, avanti a' giudici, i quali aver fatto
molte più faccende si vede dal magistrato de'Cento che oggi è il
primo, e allora era si oscurato, che avanti a quello non si legge
causa agitata da Cicerone, Cesare, Bruto, Celio, Calvo, né
da niun dicitor grande, se non queUe d'Asinio per gli eredi
d' Urbinia da lui recitate a mezo l'imperio d' Agusto, quando
'la lunga pace, il continuo ozio del popolo, la tranquillità del
senato, e gli ordini del grandissimo principe avevan fatto essa
eloquenza, come tutte l', altre cose, appassire.
XXXIX. Cosa debole e da ridere parrà forse quel che
io dirò: e perciò che si rida la dirò io. Quanta gretteza ere-
diamo noi avere arrecato all' eloquenza questo parlare a' giu-
dici quasi da motteggio in queste nostre vesticciuole misere
fasciati e rìstreuìt quanta forza levata al dire queste udienze

• non vogliono le cose pia .... Tnduce seeoado la comaioDe del. ReDmo
••d lem,.", Yloltnt. _
I non volla.,4 o,-iuolo I non assegnaY:I il tempo agli oratori.La fraseaccenna
all'uso dell' 9riuolo a polvere. Lat.: • nemo in tra paucissima« hora« perorare
cO/feballlr. • . .
5 "on perivano ist«.... ecoL. lettera del testo dice: • erano liberi gli ag-
giora.meDti o proroghe .•
• ..e
"um.rO d' tWvo"., li. Aggiungi nò di giornI. PliDio, Epi.l. Il, 6:
• E noi .ialn più •• ggi de' DO.trl '. .cchi? Noi più gituti delle leggi mede.ime che
eencedcn taDte ore , tanti giorDi, tante proroghe? .tupi4i ...i e t.rdi come luma-
che? .i.m forse più. .chieui nel dir., più pre.ti .ll' int.ader., più retti Del giudi-
cate, Doi che precipitiamo le causecon manco elepsidre , che Don enDO i giorni,
COD cui .ol••••i ••porle? (trad. di P. 1>-, Para.il).
DELLA PBRDUTA BLOQUBNZA. lei
piccole, questi studi l dove si trattano oggi mai tutte le cause?
Perché si come i nobili cavalli si COnoscono al correre pes gli
spaziosi prati, cosi se gli oratori non veggono da poter quasi
liberi e sciolli correre il lor campo, debole e fiacca ne di-
viene r eloquenza. Ecci anche rotto il filo e ordine tanto stu-
diato; perché il giudice spesso, quando vuoi cominciare, ' li
domande:; e dal suo domandare conviene che 8' incominci.
Molte volte l'avvocato non vuole che le prove e testimoni
parlfno: quei se ne vanno, e rimansi quasi in solìtudiner dove
il dicitore vuoI grida e plauso, e quasi un certo teatro; come
toccava agli antichi oratori avere ogni dì, quando tanta gente
e nobiltà calcava le corli; a quaudo i raccomandati, 4 le
tribù, gli ambasciadori delle città, le parli d'Italia I venivano
a favorire; quando il popolo romauo molte volte stimava in-
teresse suo quello che si giudicasse. Alle cause e difese di
Gaio Cornelio, M. Scanro , T. Milone, l•. Bèslia, p. Vatinio
corse tuUa Roma, e potette tanta passione di popolosvegliare
e accendere ogni freddissimo dicitore. Onde per quelle dice-
rie, più che per alcune altre, si pregiano i loro autori.
XL Gli aringhi continui; l'esser lecito dar addossoa'po-
tenti; la gloria di farglisi nlmicì, fino a P. Scìpione, Silla e
Pompeio; il metterli, come fa l'invidia, anche in commedia,
quanto ardore accendevano agli ingegui I che fiaccola erano
agli oratori! Non parliamo noi di cosa quieta, piana, e che
ami modestia e bontà: questa grande e notabile eloqueuza è

allieva della licenza, che gli sciocchi chiamavano libertà,


compagna di tumulti, aizatrlce allo sfrenato popolo, senza
osservanza, senza servitù, disubbidiente, temeraria, arro-
gante, che nelle bene ordinate città non nasce. Qualeoratore
leggiamo noi di Sparta o Creta, severissime di .eostumi e
leggi? Ne' Macedoni, Persi.e altri d'uno imperio contenti ~
non troviamo eloquenza. Alcuni Rodiani, moltissimi Ateniesi

• qlUllli Itutlf, Qui Itutl/O è I. Ilanla dove li Ila • ILlldiare.


I qUllndo "III>/ cominciare. LeSSe: .. QlUlndo indl'ia.] .. ma è fona leg•.
lere .. QlIOmodo, .. ecme allri,. vòler cbe corra quel che dice dopo.
I le corU, i tribunali•
• i ,."ccomllrld'lti. Lat.: • clicnte/e.•
5 le parli d'Italia. L,;gge .. ""rlel Ila iiI'; .. a1lri, .. parI Ila li•. ..
~ ~
302 DELLA PERDUTA ELOQUBNZA.
sono stati oratori: appresso a'quali poteva ogni cosa il popolo,
ogni cosa gl' imperiti, tutti, per cosi dire, il tutto. Roma no-
stra ancora mentre errò, mentre nelle parti, contese e di-
scordie si disertò, non ebbe pace ne' tribunali, concordia in
senato, moderanza nel giudicare, riverenza a' superiori, or-
dinè De' magistrati; produsse, senza dubbio, più robusta elo-
quenza, come il campo sodo alcune erbe piti rigogliose. Ma
l'eloquenza de' Gracchi non ricompensò la republica delle
pattuite lor 'leggi: e Cicerone guadagnò dell' ottima forma
data all' eloquenza pessima fine.
XLI. E che il nostro fèro I manchi de' buoni ordini, onde
abbondavano gli oratori antichi, è la citta non li riduca, lo
mostra il non esser chiamali noì avvocati, se non da chi ha
fatto qualche male o patito. Qual terra fatta cittadina ricorre
a Roma, se non travagliata da vicino popolo, o da discordia
di casa? qua' vassalli difendiamo, se non gravati e spogliati?
E pur me' sarebbe non avere da richiamarsi, 'che ottenerne
sentenza. Ma se una citta si trovasse di tutti buoni, superchio
vi fòra, tra innocenti, oratore, come tra' sani, medico. E co-
me poco serve medico, e poco profitta la dove i corpi sono
molto sani e forti; cosi minor conto e romore fanno degli
oratori gli uomini buoni che ubbidiscono a un signore. Che
bisogna sciloma I in senato, se i migliori alla prima accon-
sentono? Che aringare al popolo, se le cose publiche non de-
liberano molti stolti, ma un sapientissimo? Che fare imprese
d'àccuse, dove si poco e rado si pecca? Crediatemi, amici
ottimi e quanto è mestieri eloquentissimi, che se voi foste
nati in que' primi secoli, e questi che noi ammiriamo, ne' pre-
senti, e qualche iddio li vi avesse fatti repente scambiare,

l E cT,e il "o$I~Of6~o ec, In q....to periodo pare storta la mente di Tarito.


Ecco il letto: • sta quoq,.s tT140d IKpe,.e6t anUqrd6 oratorihll6.. fo,.1Im ilO"
emendatCII nec "'qll.e ad vot"m eompo.litte elvitati« argllmentllm est: q1dl
t"/'" "01 adVoc4t "bi a,,' noce". Clld miser t » n Così pure il fòro, cbe-è ciò cbe
d4antico resta agli. oratori, mostra ebe la città aoo è eorretta e ordinata qUinto
li yombbe: impercioccbè chi ci piglia per avyocati .se Don i colpevoli e i. miseri? •
Ciò dice Tacito percbè nel foro JUbaVaDli per appareDu certi ordini antichi.
I .ciloma. Varchi, Ercol, .. Fare UDa predica o"yero UDO ,ciloma o ciloma
ad alcuno, è parlargli lungamente, o per avyertirlo d'alcuno errore, o persuaderJo
a dover dire o non clire, fare o nOD fare itlcubl cosa.»
DELLA PERDUTA ELOQUENZA. 303
voi avreste la loro eloquenza sovrana; ed essi la vostra tem-
perata. Ora poiché niuno non può in un tempo medesimo
conseguire gran fama e gran quiete, goda ciascheduno i
beni del secol 8QO, senza dir male dell' altrui•
. XLII. Materno fini, e Messalla soggiunses lo avrei che
contradire e aggiugnere, se il giorno non fussì finito. Farassi,
disse Materno, altra volla a tua posta; e se in qualcosa non
mi fussi cosi ben lasciato intendere, la riandremo. E rizatosi
abbracciò Apro e disseglì: Noi ti vogliamoaccusare, io a'poe-
ti, e Messalla agli antichi. E io voi, diss' egli, a' rettorici e
maestri di scuola. Risero; e partìmmoel,

- -............e---
--'.- .
DELLO )SCISMA D' INGmLTERRA.
307

AVVERTTh'lENTO.

Come accennai nell'Avvertimento alvolume primo,seguo


nello Scisma l'edizione romana, uscita, vivente l' autore, per
Guglielmo Facciotto; senz'altro cambiamento che della divi-
sione in libri e paragrafi, e dell' aggiunta de' sommarii a cia-
scun libro. Niuna delle molte, e talvolta belIe varianti che
porge 1'edizione veneta di Bartolommeo Gamba ho accolto nel
testo; perchè l'autografo Marciano, ond' essa è tratta, ha
tutta l'aria di prima dettatura, e voleva peròrispettarsi il giu-
dizio dell' autore. Invece le ho notate fedelmente in piè di
pagina, acc:ò gli studiosi possanc fare utili confronti. Meglio
sarebbe stato veder da me stesso quel prezioso manoscritto,
perchèsulIafede del Gamba non è da dormire; manon n'ebbi
agio, Troverai qui la dedicatoria del Davanzati a Gio. Bardi,
da tuUi omessa, e prima dai Massi e Landi, che vi sostituì-
rono quella al granduca Ferdinando Il, che leggerai qui ap-
presso. Non parvemi da tralasciare la elegante prefazione del
Volpi, premessa alla stampa Cominiana. Nelle note ho fatto
poco più che riferire alcune testimonianze di altri storici ,
massime del Pallavicino e del Bartoli, elegantissimi. Spesso
ho recato il testodelSanderoa illustrazione sìdellecosecome
dellaelocuzione: e alcuni tratti dellostorico latino molto im-
portanti; omessi dal Nostro, ho tradotti come bo saputo il
meglio, Molte più note poteansi fare facilmente; manon l'ho
stimato utile all'intento-di questa edizione.

r
-
300

ALL' ILLUSTRISSIIIO SIGNORE

IL SIGNOR GIOVANNI BARDI CONTE DI VERNIO


LUol~teD.CDt.e poeralo dell'UDa e dell'altra guudia di N. S.

I~ IIimo, illustri#imo sig. Giovanni, che al mondo si farebbe


grandi#imo giovamento, poi che lo .vita nostra è breve e questa infi-
nità di libri va.sempre Cl't8Cendo e ridioonsi le cose medesime il più
delle volte, se di ciascheduno autore si traesse il troppo e 'l vano, e si
riducesse illiuovo e 'l buono a.una quarillillata swtanaa. Il che-que-
sta nostra lingua fiorentina propria saprebbe troppo ben fare per lo
suo ~atural brevità, dutreaa e gentileaa. Della qual cosa mi è venuta
voglia,per gloria di lei, di (are questo poco 'di cimento nello I icismtJ
d'Inghilterra (sino fIlla morte dellG rcina Maria, per 1101' entrare
ne' fatti. della vivente); il quale mando a v. s. illustrisrimtJ, pregan-
dola, per lo nostra grande amici:r.ia e per lo suo per(ello giudi:r.io,
che me ne dica il parer suo. Nostro Signore Iddio lo conservi.

Di Firen:r.e, il di primo d'aprile f600.

Dj v. s. illwtrissillla

servitore affe:r.ionatissimo
BERNARDO DAVANZUI BoSTICHì'.

• nello scisma. Nel foglio primitivo (poi strappato e perciò rarissimo)


dell' edi.ione de' Ma..i e Landi si lesse ".11.. 4ci4ma. M. qui lesuOIi la Itompa
orisinol, del Focciotto. V,di nel primo volume I. Bibliolfrafi...

-
310

AL SERENISSIMO FERDINANDO SECONDO


GRANDUCA DI TOSCA!I'A.

---
SereniIBimo Granduca.

Abbiamo prtID ardimento di o_are 001 nome di Y. A. S. le


pruenti Oper~tll del8ig. Bernardo Davanuti. da 110' .tllmpate: .a-
pendo con quanta benignilà ell4 abbia gradito 14 TraduaioRIl di Tacito
del medmmo Autore; I e aperiamo che aiaper (arIa ancora di que-
ne, poichè il dono, per 14 vitlacità e proprietà loro, non è del tutto
indegno di Y. A, S.• Il l'umile devolione de' donatori egualmente è
bramOlla che biIognoIa di oorinblime protelione; e pregandb a Y. A. S.
ogni (elicità, le facciamo umiliarima riverenu.
Di Y. A. S.

umilia. Il dll'otill. IIlrvitori e vagalli


A"ADOR MASSI, E LORElIZO LA xnr,

t Qui certamente aeeennaai alla edizioae del Nesli, falla ]' anno 21'"anti', seb.
1>f"" oli. fa... dedicala al principe Loopoldo, che 01>1.0 col granduca comuoi Ili
studi o SIi ooori dolio lette re.

. -"
3H

PREFAZIONE DEL VOLPI


PREIIESS,\ ALL' EDIZIONE COIIINIA!IA.

A TUTTI GLI AMATORI DELLA STORIA,


E DELLA TOSCANA FAVELLA.

Desldsrando noi, quanto il consentono le picciole nostre Iorze,


dI promuovere di giorno in giorno, presso l'italiana giovenLù di fe-
licissimo ingegno dotata. gli studi di tutte l'ottime discipline, ma in
particolare della sana e purgata eloquenza, cbe tanto serve alla re-
ligione e alla repubblica; non cessiamo di rinnovare col mezzo delle
stampe gli scritti di que' famosi, che in altri secoli e l'antìra latina,
e la moderna toscana lingua coltivando, non solamente il nome loro
chiarissimo ed immortale rendeLtero, ma di pobili e sicuri esempi
altresì la posterità più lontana provvidero. Uno di costoro fu senza
dubbio Bernardo Davanzatl BoSLlCD1, gentiluomo fiorentino, che
tra' migliori toscani scrittori viene dagli uomini dotLi a gran ragione
annoverato; il quale dilettandosi, fuor d'ogni credere, dello stile di
Cornelio Tacito e di Sallustio Crispo, nervoso, spedito, e più di sensi
cbe di parole ripieno, diedesi ad imitargli con tal riuscìta , cbe per
opera di lui si conosce, quanto possa, come negli altri, anche in
questo genere il toscano parlare, e in ìspezle il fiorentino: la qual
maniera di scrivere fu da pocbi o prima o dopo tentata; essendosi
presso che tutti rivolti a procacciarsi l' ubertà e la dovizia di Marco
Tul1io. Spicca, egli è vero, principalmente l'ingegno e l'arte del
Davanzatì nella sua rilaravigliosa traduzione del mentovato Cornelio
Tacito; ma non lascia perciò di meritar somma lode anche nello
Scisma d'Inghilterra, da lui descritto, e rappresentato con que'vivi
e forti colori, cbe soli vagliono a far comprendere l'atrocità del suc-
cesso, e senza pompa di vane declamazioni, destano, quasi di sop-
piatto, l'abborrimento e l'orrore. Questa breve, ma stìmabilissima,
Storia, già divenuta assai rara', vi presentiamo per ora, studiosi
let\ori; dalla quale non ci è paruto bene il disgiugnere l'altre Ope-
"elle del medesimo Autore, d'egual prezzo, e forse di non minore
utilità;'osservandosi in tutte maturità di giudizio, scelta d'erudizio-
ne, perizia non ordinaria de' pubblici e de' privati affari, profondità
312 PREFAZIONB ALL' BDiZIONI! COIiINUIU.

di pensieri, e la più squisita proprietà del materno idioma. Il mag-


gior vantaggio che speriamo di Titrarre dall'Industria e diligenza
nostra posta nella nuova impressione dl- questo Libro. sarà la cer-
tezza di aver fatto cosa' grata a voi. benignI lettori, e di qualche
profitto alle applicazioni vostre; il qual fine cl abbiamo sempre in
questa nostra faticosa carriera sopra tutU gli altri Oniumani proposto.
VivelA! felici.

-
313

AI LETTORI UMANISSIMI. t

, Ne' primi cinque Libri di Cornelio Tacito feci una spe-


rienza, I che la lingua fiorentina può dire i medesimi con-
cetti di quello scrittore brevissimo più brevemente. Ora sic-
come altrui giova di ben fare, ne ho tentata un' altra nello
Scisma del Sandero S (sino alla morte della reìna Maria' per
non entrare ne'fatti della vivente lj cioè, se questo scrittore
latino rivestito di questa nostra lingua, pura e breve, che
nuUa patisce snperchio, levatone le sclamazioni 8 i discorsi,
con la semplice narrazione fosse più grato. Giudicate voi
quanto mi sia riuscito, e scusatemi se la carita della mia
lingua mi traportasse.

l Questo .....ertimento fu pubblicato la prilba volta da Bartolommeo Gamb.


nen. su. edizione dello Sctem«, seeondo la lezione dell' .utografo esistente nella
MareiaDla
I Mostrano queste parole, cbe quando il Davanllti pose mano al preSlnte
lavoro Don aveva per anco compiuto il volgarilsamento di Tacito.
, J?era _t sineer« Aidoria IchismaU. Anglicani" de eiU$ orlgi". IIC
P~0lf'"""': t~ibru lib~i.
fideliter- cO"'Cripta "b R. D. Nicolao S""dlro
A"glo, Doct. Theologo; ""cta p'~ Ed""rd..m Ri.hto""m. N""c po.tre-
mum .ApP~"dic~ es R. P. Petri Ribadeneiro: libri« .. IIl'cta et caltiglltiul
edita. Colrmitr AgrippintZ" ap"d Petrum H~n".inBiltm .. • ub eign» cunìculì ,
41""0 M. DCXX VIII. Questa edizione, più completa delle altre, è quella che
abbiamo tenuto dinanzi. L. prima è del 1585 parimente di Colonia; la seconda ~
di Roma, 1586, ripetuta in Ingolsiad, 1588. 11 Sanders o Saunders, nato a Cbarle-
wooo l'anDo 1527, e morto in Irlanda l' anno 158\!, !esse, da giovant, ragion cano-
Dica Della uaiveraità di Oxford, con molta riputaeìone, Scoppiato lo scisma, presa
'Volontario esilio, e riliroasi a Roma, dove si ordinò, tra' gesuiti, sacerdote e lau-
reossi. Seguì, come segretario, il cardinale Osio al concilio di Trenlo: poi l' ac-
compagnò in Polonia; e nel rìtoreo fu fatto professore in Lovanio, dove compose
iD otto libri, De vilibili monarchia Ecclesu», Pio V lo richiamò a Roma, e
Gregorio XIII lo mandò nunzio in hpagn., poi in Irlanda. Lasciò inedit.la sto-
Tia Schilm/dil Anglicani. Delle Coseda lui descritte fu testimonio] però la sua
Storia,prima di veni.. all, luce, per cnra del Risbton, girò manoscritta per nalia e '
Spagna, e fu letta avidamente; e il nostro Davaasati deve aver condotto il suo la-
. ...oro sopra una c;li queste copie manoscritte. Vol1e5i impugnare la vencità del ge-
.aita coll' A"tl.and.~o, stampato a Cambridge nel t59i!; ma fu dilèso da Le
Gr.nd, Bi6toir. dII Ilìvorce, Ancbe gli storici moderni, e sopra tutto il dottor
Ling,rd, mostraao di farne gran conto.

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111

DELLO SCISMA D'INGHILTERRA


LIBRO PRIMO. i

-
REGNO D'ARRIGO 'VIn.

-
SOMMARIO.

I. Arrigo d' Arrigo VB re d'Inghilterra, fueiuDo Impalmasl, eoIIee-


deDte il papa, a Caterina TedOYB d'Arturo fnrtel 8110. - n.
Su_duto n~1 ......
1"0, pùblicate la dispensa, 80Ienneggiate le none, avuti 6gliuoli. -ID. In-
dole buona in Catarina, rea in Arrige. Maria, figliuola, mandata principesaa
a' Brettoni: spesa da molti ambita t al Delfino ,Prom_. Vuolseo, abbietto,
iirato tu fino a cardinale dal re nOlato di Catenna, e sobbiDato'al repudio da
lui che, a ciò, mette in ballo il confessore. - IV. I teologhtudiano il caso:
il re t. perduto della Bolena t finge Toler pigliare la sorella del re di Fran-
cia: l'ambasciatore sel crede, e fa in parlameuto gnn diceria sul doversi
Idorre le prime nOlle. TI popolo ne lo maledice. - V. Vuolseo spinge Arrigo
• pigliarla per Roma, eon!J'O al Borbone, per obbligani il papa e il re di
f'rancia. È spedito a ciò con danari e commimoui circa il parentado colla dn-
cb_a d'Alanson. Ma tra 'fia riceve ordine, che di panmtado non 6ati.-
SporcMie di eaBa bolena e del re. - VI. Ancora delle eporeizie. Fonna e ee-
atumi di Anna: brutta· fama laseiate in Francia: BUe arti ad attanagliare Ar-
rigo. Seopreai aua figliuola, ed r! s' ineooeiaa Tolerla per mOllie. - VD. Gran
testimoniame cIella diaooestll di Anna j e il re, dnro.- VII . Lega da Vuol-
Beo eoncbi_ tra Arrigo e Fran_ c:outro Cesare. Ambmone BUa delusa. Re
di Francia liberato. Divorzio a' buoni odioso. Anche Vuolseo ci va di male
gambe, e perchè. Serittttre dr! teologi pro e OOIItra. Veseo'fiparlano riserbato;
TommlllOMoroalla libera, eoDtr' alla vogliadel re. -IX. Dispetto di MariaBolena
imhroncita. Arrigo combattuto. Vuolseo ineerte. Ambasciatori 'a tentare il pa-
pa.- X. I teologi di Roma sentemia'no contro II. divorzio. Gli ambasciatori
88 ne dolgono: il papa dà li riTeder la eaesa ad altri oardinali. Alcuni confenna
DO: altri,vogliono cbe diansi in Inghilterra giudici al re, per una prova. Ciò entra
al papa. Campeggio e VaoIseo scelti. - XI. La regina, saputo dei giudici, si

« Nclle precedenti edi&ioni questa .toria'non be diTisione alenna 1M di libri


alt di paragra&, traDDe in quella di V~nuia, per c~r. di Bartulommeo Gambe,
il quale la diTiae in tre libri, comprendendo nill' alluDo la continueaioae del Bi-
&tono, riatretta, e imiluioDl del nena..ti, d. Gl ..Mb/Jtllta GlI."..., l1htla',,-
IlO • •.,;, per comodo dei lettori eni .. male di IIOD tro... mai tra .. ia alam 'fipOlo,
abbiamo ~lto qae11a dmaioae di libri (lasciato l'ultimo), ed abbiamo I({giaato
I das"""o 1111 sOlllmario per perlgrafi aumenti. Di che speriamo che gli studiosi
d s.pranno grado.
;316 DELLO SCISMA D'INGHILTERRA

dnole col papa e con Cesare. Questi fa gravi rimostraDZe a ROlIla rei ano am-
basciatore. Il papa conoscesi aggirato dal re, e scrive 8 Campeggto che trae-
cheggi.- XII. Arrivo di Campeggio in Inghilterra: i buoni se ne contristano,
e perchè. Dolore della regina: sne fiere e nobili parole a Campeggio. Ipocrisia
d'Arrigo. Monastero insinuato a Caterina, e respinto.- XIII. Tresche cl' Ar··
rigo e della Bolena più aperta e sfrontata. Arrigo sollecita di fona la caosa del
divonio. Enormi domande al papa, e minacce. I legati lasciansi vincere a gin-
dicar la causa. La regina, citata, dà eccezione ai giudici, e si af,pella a Roma.
- XIV. Si prosegue la causa. Argomenti addotti a invalidare a dispensa.-
XV; Confutati dai savi della regina. - XVI. Altre ohiezioni disciolta. DI)-
cnmenti per la validità. Chi stesse eer la regina. - XVII. Virtù del Rof-
fense: ano libro per Caterina. Altri Iibri di altri, e auffragiode' teologi. Il
Ridleo nota la panialità de' legati. Il re nrge. Franche parole di cam'/ieg-
gioo Dnchi e baroni insolenti. - XVIII. Il rapa revoca a sè la causa. re
sene fingecentento, sperando inane arti.-X X. Ma cadnto di aperanza mostra
i denti a Vnolseo; lo spoglia di sue diguità; lo confìna in vi1la.- XX. Manda
Cramnero a Roma per suo avvocato, e fa scrivere a quanti dottoricclù e
teologastri più pnò. CostaDZa del Polo.- XXI. I più dotti e onesti uomini
d'Europa scrivono a difesa del matrimonio. Furberia d' Era8lO0. Turpe
consiglio di Melantone.- XXII. Nuove molestie al papa dal re. Vuolseo pri-
glorre: mnore. - XXIII. Con che arti Cramnero ai avesse l'arcivescovado di
Conturbia. - XXIV. Arrigo, colto il destro de' progre..i di Solimano, aizza
i! re di Francia contro a Carlo, e fa paura al papa; ma per poco, e perchè.
- XXV. Beni al clero inbolati: rottura manifesta con Roma. Il re Il8pO della
chiesa. TommaooMoro ritiratosi : Caterina cacciata: la Bolena reina.- XXVI. Lu-
tersni da lei protetti: Cromvel, pessimo arnese, inalzato. - XXVII. Frati ca-
lunniali e derisi: - XXVIII. da Tommuo Moro difesi. - XXIX. Giuramento
al clero richiesto. Fischero ingannato, ne piange. - XXX. Cramoero fa la
commedia di scomunicare il re, se non ripudia Caterina. Nozze e incorona-
zione della Bolena.- XXXI. Sdegso de' popoli e principi cristiani. Il para a
Marsilia. Insolenze degli ambasciatori d'Arrigo verso di lui, rresente e np~
vante re Francesco. Sentenza del papa: imperversamento de re. Nasce Li...
betta. Infìerito contro Caterina e suoi amici: Maria rimandata. Il Ro{{ense e
il Moro prigioni. - XXXII. Stati generali: sciama saneito : Maria esclosa) Li-
sabette chiamata al regno. Nome del papa raso e perseguito. Il re vicario di
Cristo. Sne nuove fogge da garhare alla Bolena. XXXIII. Lo Scisma odioso a
Francia; non piaciuto, per la causa, nemmeno agli eretici. Integrità e c0-
stanza del Polo l che scrive contro al re, e n' è colla famiglia perseguitato.-
XXXIV. Martino immane di più santi e dotti frati. - XXXV. Virtù e dottrina
di Tommaso Moro. Martirio del Boffense: suo elogio. - XXXVI. Il Moro ten- _
tato invano, disamiuato, condannato, dicapitato. - XXXVII. Arrigo, citato
a Roma, più imperveraa: rapisce e diserta i monasteri. - XXXVIII. Pali-
menti e morte di Caterina, suo elogio. - XXXIX. Il re infastidito della BI)-
Jena: scoperta incestuosa, adultera, dicapitata. - XL. Piglia la Giana Sei.
mera, Casa bolena schiacciata. Cromvelo vicario di papa Arrigo. Sinodo e nuovi
canoni, spelacchiati tra tutte le resie. - XLI. Armi commosse: vendette e
8anf:Ue. Muore di farlo la Giana. - XLII. Vani tentativi del papa per ridurre
Arrigo alla fede. I cardinal Polo spedito a ciò nelle Fiandre. Cercato a morte
da Arrigo: acampato: madre, fratelli, amici dicapitati a vendetta. -
XLIII. Strano di Franeescani," Martirio orribile del Foresto, confessore di
Caterina. Guerra. a' aantuari,e a'aanti.. San Tommll8o di Conturbia citato da
papa Arrifo, e acanenillato. - XLIV. Il papa forzato a dar fuori finalmente la
scomunica. Confiscati monasteri: ordini mendicanti cacciati: Cromvelo a8
n' ingraSS8.- XLV. Stati generali. Frati tentati ututamente da Arrigo inva-
no.-XLVI. Vendette di aangoe. Oriiinc dci monastero di Glasronia: aue
..
LIBRO PRIMO. 311
nech_~ e benelcenza. Martirio d~ll' abale Vaitingo.- nVII. R.lisiosi ater-
minati affatto d'Inghilterra. Ordine nuovo da Dio snscitato a difesa della f.de
per Ignazio di Loiola : sue elogio.~ XLVIII. Matrimonio d'Arrigo con Anna
di Clev.. : malaugurato per Cromvelo sebbene ne er_e. - XLIX. Cat~
lici di gran conto amitti, martoriati. Immanità di Cromvelo.- L. Arri~o a' an-
noi. Il' AIIINI, • perehè. Si volta a Caterina Avartla. Gran tracollo d, Crom-
velo: _ _to come fellone ribaldo. - LI. Arrigo ripndia Anna: piglia
l'Avarda e contraddice a una saa legge reeente.- LII. Continuano le pene-
emioni aa' cattolici, ed anco sngli eretici non rieonoac:enti il papato d'Arrigo.
Dieta di Ratiabona. Arrigo vorrebbe qnasi rappattmnani col fapa, ma senza
disfare il fatto. - LUI. L'Avarda adultera ammazzata co' SUOI bertoni. Leggc
sulle mogli reali. Piglia la Parra, sesta moglie.- LIV. Gran guerre di re-
Franeeaeo e alleati i de' protestanti in Genoania j del Turco in Ungheria, Ita-
lia e Spagua' tutti contro Cesare, soecors« d. Arrigo, che colto il deatro,
si fa re d'Irlanda, già de' papi, poi pa888ta in Arrigo lÌ per concessioae
.postolica, ora in Arrigo VIUI papa da lè. - LV. Guerra da Arrigo dicbia
rata a Francia e Scozia. Infienace so cattolici: rastrella ciò cbe reata di sacri
arredi preziosi: balzelli odiosi moltiplicati: graffia dove può, e brucia sem-
pre. - LVI. Mala fine di totti gli adolatori felloni d'Arrigo. e, i più, ;er-
e088i da lni &teaao. - LVII. Ammala a morte: rimordeai j vuoi rìeonciliarsi
colla cbieaa cattolica, non paò: fa riaprir ebiete, fa Iimesine. Moore. Sua na-
tura: suoi fatti: ano teatamento.

I. Arturo figliuolo d'Arrigo settimo re d'Inghilterra il


di 14 di novembre 11101 sposò Caterina di Ferdinando e Lisa-
betta 1 cattolici re di Spagna: i quali per consiglio de' me-
dici tennero la prima notte una matrona in camera, che non
li lasciasse consumar il matrimonio; per esser Arturo a pena
entrato! ne'quindici anni con lunga infermità, onde mori di-
poi cinque mesi;8 e Caterina fu sposata ad Arrigo fratel
d'Arturo d'anni dodici, fatto prima studiar da giureconsulti
e teologi, che ciò si potea. E papa Giulio secondo, per lo
ben pubblico di fermar' tra cotali regni la pace, li dispensò
dalla legge positiva di santa chiesa, che non vuole che mo-
glie si pigli stata d' un suo fratello: avvengacbè la ragion
divina no'} vieti, quando sia morto senza figliuoli. Anzi
( Il Ll6.betla •• d'llibella•• G. (Con quella inisiale distinsuemno lem-
pre le nrienti delle edioioae del Gamb••) Il testo del Saudero dice ElIaabet"ot;
la Itamp. del F.cciotto, Li••bett.; le .ILre, ora 1••beli. ora Li••beU4: e seb-
bene queste sieao due diverse forme d' DD ilteuo aomeI pore Il.....i mal.
quelli diaformità, • polreb~ reeor confwione. Sal fallo poi, confroat. il Gaie-
dardiai, lib. XVIII, cap. li; e il PeU••iciao, lib. Il, •• p. io, D. i. S.
J .. ,,,,11. CIItr.tO: • entrato .ppella.• G.
5 o"de mo,.l dipoi ec.: • deU. "naie, di pai cinque me.i, mori. MaDCeta
Arluro, Caterinl fn .po.at••d Anillo fratellodi lui, d' aaai dodici. • G •
• difermar: • di confermar.• G.
318 DEI-LO SCISMA I)' INGHILTERRA

Giuda patriarca comandò a Onan suo secondo genito, che


sposasse Tamar, moglie stata del primo, defunto sellza iì-
gliuoli, per seseitare il seme al fratel suo; il che comanda
ancora la legge mosaìea sotto pena d' infamia. l
Il. 'L'anno U04 Lisabetta in ISp3.gBa, e Y lHI1l8 flJ09
Arrigo settimo in Inghilterra, morirono. Arrigo ottavo' en-
trato ne' diciotto anni, recitata la dispeBSl:, e in pieno ees-
siglio de' più savì esaminato il caso, celebrò con Caterina le
noze, pubblicate a di S di giugno 1!JO'). Il di~ di BaR Gio-
vanni seguente" furono incoronati ambi in san Benedetto" di
Loadra. Naequero di lero, tre maschi e due femmine; gli al-
tri ebbero" poca vita: Maria sola rimase, nata in Grenvìeo?
il dì 18 febbraio tISUS.
HL Erano' Arrigo e Caterina diferentissimi DOli tanto di
età, non avendo ella più di lui che cinque anni,quanto di vita; 8

{ ti' "'f.mia. _Qunta lena ai lron r.Bio_ Del n._. XXY, Ii;.d
è beD illustrata do Giovoani Seldeno, c. XIV delle IUCc...ioni ad Lege« El,,"o-
rum... (Nola d.II'edio. Livornese.) - Qualche dubbio su questa dispen .. nacque
.io di questo tempo: .. F .. dubitalo (dice il Pallavicino lib, n, eap, ili, n.3)
prima in t.mpo d' .A.leuanliro VI, • plli di GiWio Il, I l l'impedimeuto pomui
torre dal pOIll.fìc.... Ma poi 08m dubbio du.guoSii dopo oner. dioamiaa
d.lla co... ' .
I Arrigo .tt<wo• .. En belto d.lla persona, geuerolD d'iDdol.,. ICCODOO ad
0Bl'ì SlIIrmo<>. civile .......io. I .uni .additi abbogli:aft doli. oplAlDdld., ""
incerte, promeue di sua giovineua, lupp05UO in lui pià viltù ch. iD. verità DOD
Iv.va: mentre i suoi viai (sebbene forse fin d'allora diseernìbili od occhio operi-
mentatD), DOD ..omdo peraeec o bastanza oviluppoti, non appariVino nè de.ta-
_o tiD!or.... Liusard, St.r. d" lnglo. ...1. l'L Citiamo la tradlloioAe di Dome-
nico Groll,ori. Rom., Salviw:ci, 1831.
5 Il dI: ~.'I dI.» G.
• gu ... t e, Non intender. il 4 giugno; m. (com. pone anch. il Lingud)
il U, B O di 13D Gio..mba....... U lot. ha:. <Ife... '''''art.... I.I«:IICOJ.
che il Nostro ha tolto com••inonimo di postrldle ei.u didl.'
I iii lall' B,".tI.Uo; eioè, -alla batl. cii Whtminoter.
e g/t altrt ebb.ro ec.: .. i mllchi ebbero... G.
? uta ili GI'Cnlrico; ....1 vesclo lIDO oli Gr .... wieh,. dice il Banoli.
• lIon tanto... ' 1 _ et. PHre!>b. cii primo lretto .. 01.... dire, che enDO
diJM.. utillimi non ."""'enteell.... _)di etl, mo aDelledi .. in. Me il .....o ~,
cb. d'età enno differonti nOD tanto, oioè pooo di6enotl, laddo'f. di ..ila er&DO
dif!'erentillimi. I1latino del Sandoro ho: .. FIJi. IlIte,. 8 ... rio_' et Chato,.l-
••"'. tum .liq_ "a4i«, tu", 10"B' -.lor _ _ dtHintilHado. S.perabat

mtll« annil.•
1fI'' '.,......
lIIa ~ir.......tat., ad .."mnt...... ,o: ntOribru v.,.o a"'pliu4 '1_
LIBBO PItIIRl. 319
in lei IllntilllJima, l in lui ~olTettil8ima.1 Arrigo diede Ma-
ria in custedia di Margherita, I figiitlok del fratello del re
Aànardo lfR11o,~ e diclliareUa prineipessa de' Brettoni
,VualIi,G grado propm dM re SlJClceditnro, e ma.IoIla a flUel
.go,... Qlìesti BrettOlli oeeuparoD già l'isola, e la dissero!
Brettagna, e neor tengono la Ior lingua, da mnll ah m-
tesa. Tatti i YieinipriIlcipi e re aspiranDO ad aver per moglie
:Muia;laA:ope qaimo re di Scosia, Carlo qaiDto imperadore:
PrcmeesclJ fa di Francia per UDO de' sei ~oli, o per sé,
Jl8NDdIl troppo t~; T e fu promesllll al delfino: tanto
erllBoi prioeipi eem, il mammlllllio d'Arrigo e eateritia
essere stato legittiao: poiché per mese della sua prole, che
non essendo legittima non saecedieora, qwelregno cerea"f3DO. 8
COIIIiIleiè la santimonia di caterina a venir a lI'8ia ad Arri-
go: i cortigial1i Ha' aeecesero, e Mll!8imameJtte' Tommaso
~ i" lei lalù,iMll• • Alu." di meua DlII.te 1* aui.tere a' Meri ulIiti
de' religio.i: l. mattina alle cinque vestiva.i a fretta , perdeado , come .olea dire,
queste poco eli tempo. Portava sette , come IOftiaria , l' ohilo di .... Ftoaeeoeo.
Tutti i veJIerdi e sabali digiuDava, e, le vigilie della MadoDDI. iD plDe e lequa'
.,ai r.eIdl e veneDll .i a. GOlJllUIi_a opi tIcJmeUu. dice.. l' ufi·
aiaolo dIllIa V..gia..: aei ore "fiDi IltllliDa .1Ilva iD .hiua. a ..._ f .... n.i
leggete vite di, ....ti. poi teman chiesa liDo a ore eli cena, .he pislian par-
ehia.iIIIa: pttgan HlDPft iii g hio a:ùla nllda teIn.. (SIDlim:t. Bi".
8c1U4".• .htfl./ib. l.)
I ire l .. 4DO~.....ti E. /p'. r'8i"","rtrillll, _ d,_, i"'.~
.... """, .,.calli".., l~.. W."..., ltII: qtar_ ..... • toi """'8"/";' Elio
...b.tm BI",.,.. , B'''ltitjiiJaa, ",",,"II/cII_tl.. dao .....~,"pit... (Sand.-
ral, op. cit.) Lo .tea... ooDruma il LiaSaftl. Que.to liglie, DomiDalo Enrico
FilIrOY, fu molto amalo dal re, .iI quaJe.olI.. ad aftslo faUo dDCa di JtiehmoDd,
eeate eli NOltiDgham, ammiraglio d' IDghilterra, IIlItode delle froDli..e 'COI-
_ i . laogotecate li' IrlaDda, si c:ncle che lo av"" desi8...10 '00 _sao re Del
l'ODO, a daDDO della prole legittima. Ma gli mollÌ la. .Ià di ili aui.
, M"~Bh.~ita. Madre del cardiDale BegiDaWo. Palc1.
• 4t1ofllJ~do~ .. AdeaNo. • Q.
" 11_11.. 1JWl!1i uaIl'ln"'''liDgua g.......w.•• igllifieò 4~""i8~/, e COD
qué.10 Dome ehiamaronsi gli AogloIIS.oDi, che ?'DDero ••nnapporai. quella
prima immigraaioDe. Oggi Qpaese de' Vualli ed Uvallia chiamali prirscipalo di
Galles, e l' esserD, principe è • litolo che tanto impnna- DIlla ~aD Bretlagua,
• quanto Della FraDcia quel di delfiDo... (PIa!lniciDe, lià.ll, cap. ili, Do i.)
• Il I..· di_o ...... cI& J.ome. ru.dlla. ,., G.
2 '""" .,.•.I .. fi<~II,llC.:,.llleppO \Meu IJ1<IIlli: 6ualmODlll fu
~o_.a G.
8 non succedev«, 914.el reeno ec.: le Don poteva regnare, a quel regno aspi-
l'M'aDO.. Q..
320 DBLLO BCllIBA D' ll'lGBILTJlBU

Vuolseo,l ambizioso uomo, audace, e di natura simile al re;


alla reina contrario e noioso. Onde cercava sempre occa-
sione di lui lusingare, e con lei urtare.' Costui, di sangue
vile, venne in corte 8 cappellano del re: divenne limosiniero:
il re· gli donò l'entrate del vescovado di Tornai: I fu fatto l va-
scovo di Lincolno e di Dunelmo e di Untinton, e areìve-
scovo d' Eborace," e gran cancelliere e cardinale finalmente, 8
e legato de latere," e dal re di Francia e da Carlo quinto
imperadore, provvisionato e pasciuto. Oltre alle badie ric-
chissime che per tutto il mondo si procacciò, IO quel che più
importa, aveva in pugno il re e 'I regno, e tutto governava: Il
e, come tutto ciò fosse niente, faceva ogni sforzo per esser
papa. Carlo quinto conosciuto questo cervello, cominciò,
per servirsene,a osservarlo:llscriverli di sua mano, e sottescri-
versi, « Vostro figliuolo e parente, Carlo: » e promettergli,
se gl' inducesse il suo re a far lega perpetua seco contro al
re di Francia, che alla morte di Lione il farebbe papa. Vool-
Beo lo servi ottimamente. Ma veduto poi, che Carlo fece far

l P',wùeo. To."ni.. o Wobey Dac'l"" iD Ips ..icb, e p...... a per 6glio


cl' UDbeccaio. Ebbe iDgogDO prontc , auo a' Dego,i, gaio e geutìle. Soll...o..i o
poco il poco mercè di Gio"t';aDDi Nanfan, cappellano regio, e del Vtlco't'O di Wia.
ebester, Riwcìlo. deslnmenle in una difficile incombenza alla corte imperiale,
eDtrò si fattamente Dello grazia d' EDriCO VII, cbe D'ebbe il decaDato di LiDcolD.
Nè meno piacque ad'EDnco VJlI, ehe focelo suo complgDo e cODfideDte, oude
-.eDDe iD graD cODsidoraziollO. Vedi PollnieiDo, lib. J1, cop. :15, D. So Mo quinto
poi più alto ..Iso, tanto più scoDcia fu la SDI caduta.
i I COJ! Id ltrta",: • e lei urtare, ,. G. Lat.: • lotde,.e.•
I ve"fte i" corte» • entrò in corte•• G.
I Il re : • poi il re•• G.
5 Toro"i, TODrDay, To...."cu"" cODqUÌJhta -da EDrico il :19 seUem.
bre uta, nella guerra COD FraDcia e Scozia.
I fu fatto: • poi fu faUo•• G.
7 di Lincolno e di D,,,,.lmo ee.e • di LiucolDo, di Duoolmia, di UOtitOD,
arei 't'esCO'f'O d' Eboraee, gran cancelliere eco • G. I moderai nomi di queste città
sono Lineoln, Durham , Huntillgton, Yorch.
8 Da Leone X.
U Da Clemente VIl.
'0 si p,.OCtlCC;ò: .. buscò • ., G.
Il e tatto gopernaPIl. Nel testo G., se.... cODgiun,ioDe. - Dlce il BeraiDO,
e b' egli era .. tanto più ben veduto dal sno re, qoanto più il JUO n ncODolce",.
iD lui aUitudiuo adoguata al reggimeDto del regao•• (Stor. tUll' Eru., ..oL IV,
~ap. 4.)
4S O$se,..,arlo . .. pi:tgginlo.... G. Lal.: .. observuntt« colere capii••
321
papa Adriano, l né di lui, morto Adriano, tenne conto, l e
doppo la presa del re a Pavia, gli .serìveva di rado e d'altra
mano, e soltoscriveasi Cl: Carlo, • senz'altro; allora infuriato,
e Cremendo contra di lui, passò all' altra banda, e dièsi tutto
al re cristianissimo; e considero, avendo il re a noia la rei-
na,· ed ella l'ambizion di lui,' ch' egli potrebbe far cosa
utile a sé, grata al re, perniziosa a lei, e molestissima a
Carlo, se il matrimonio di sua zia' col re dìsfacesse," Chiamò
a sé Giovanni Longlando vescovo di Lincolno, confessore
del re, e Calto suo preambolo, gli disse molte ragioni, per le
quali non gli pareva che. Caterina pètesse esser moglie del
re. Il vescovo, non avendo ardire di.contraddirgli, e sapendo
che il re l'arebbe caro, disse: Cl: Cosa sì grande non la può
muovere se non voi al re.• AveBdola mossa," il re disse:
li. Guardate che ciò non sia un disputare il già giudicato.• Tre
giorni poi Vuolseo condusse al re il conCessoro, il qual disse:
« Vostra maestà lo Caccia vedere e studiare. li) Non gli di-
spiacque: e Vuolseo inCerl:8 li. Margherita sorella del di re
Francia sarebbe moglie molto per voi. 8 » - Cl: Di questo par-
Jeren poi, disse il re; non iscoprite niente per onor mio in-
nanzi ai tempo: IO » come colui che sapeva qual donna, ripu-
diando Caterina, volea."
IV. Un anno intero Cece segretamente studiare da' leo-

t A drl"no. Adriaao vr.


l IIè di /ai, ",orto Adriano, I.nn. COlli.: • aè, morlo Adriaao, di ILri
tenae conto.• G•• Qaesti rispettosi e filiali ulIicii di Carlo dunrono, liachè
darò ia Carlo il timore de' suoi nemici, e cessaroao, quoado egli vittorioso del.
l' .sercito • ddlo persoao del re Fraucesco di Fraucio, si ricouobbe luperiore ad
osai altro, e reso a Intti formibabile... BeruIUO,op. citoibid.
S e eo".id.rò, ""...do il r• ....Di" '" rei .... : .. coalidenado, ptT avere
il re eco • G•
• r ..mbl&lo" di lui; cioè, di Vuol..o, noa del re, come parrebbe cli
)lrimo traue, .
" 5 di.l". .ia:- • dell. lUi sia.• G.
6 Aauo i&SS.
, A ....dòl.. mOI''': • e aveadola mosSI... G.
8 • PJJ411.e mf.rl. Nell'cdi&. G. maaca la congiauzioae.
, I .. r.bb. mOBli. molto p.r "oi: • llrebbe molto il proposito vOltro... G.
lO Non Ilcoprlte ..I.nt. p.r onor mio i"",,"&i ..l t.mpo: • 1(oa ilcoprile
h con innanzi al tempo per ODor mio.• G.
Il,I''P''''' '1,,01tiou..... "ol ...:. ben .apeva qual doaal~. volto pialia ..i•• G.
322 DELLO SCISMA D'INOmLTEB.B.A

logi questa eausa, considerar la dispensa; i punti e'laoghi


che pareano impugnarla: massimamente il Levitico a 18 e
il Deuteronomio a 26; e non trovando ragion baste'iole, parve
al re e altri di levar&elle da peBSiero. l Ma l' importOD~a I di
Voolseo, il fastidio di CateriDa, lo etroggimento d'Anna Bo-
lena io Cacevano ad ogai menoma occasione ripensarvi. Ed
essendovi ambasciadori di Francia, cile cbìedevane la prin-
cipessa Maria per lo doca d'Orliens in veoe del dalììas , 3
tra' quali" era il vescovo di Tarbia j 6 il re impose a Vuolseo,
che,come da sè, conferisse al vescovo questo nuovo dubbio
del matrimonio, e che, potendosene liberare, Arrigo toP-
rebbe per moglie la sorella del re di Franeìa, Voolaoo il Ce-
ce, e eoggionse: Cl NiollO inghilese ne poò ragionare, perché
qoalsuddito ardirebbe scoprire al llllO re tanta macchia'! Voi,
per l'interesse del re vostro e beneficio comone, l'areste a
proporre. » La cosa gli entrò, 6 e nel consìglìo regio, presente
il re, il vescovo disse: 'Cl Per la pace di questi due l'~gni d'1D-
ghilterra e Francia B' è trattato il parentado della principessa
Maria col duca d' Orliens, Ma e' ci sarebbe on' altra cosa in-
finitamente migliore, se io la posso proporre: anzi posso,
trattando con persone ,non por cristiane ma ottime e pru.-
dentissime, che per lo bene universale DOD. risguardano a
cosa particolare. 7 Qoanto sarebbe più. utile gli uomini, che i
fanciulli; i capi de' regni, che i minori principi; le stesse
persone reali, che i figli loro far noze insieme? Noi abbiamo
la sorella del re cristianissimo duchessa d'Alansone 8 d'età
perfetta, e le manca solo un marito 9 che illustri, e non oscu-

4 e altri di l.v4J' ....e d. p"".ie,..: ..., agli altri dilevau.... il peuliero•• G


I, l' impo,.'UIIIla4: • la importunità.• G.
5 dalj;',o. Sopra, delfino. Ma qui ha voluto forse fuggire la çUofODia delle
due .maqe de concorrenti.
.. tra~ quali '" intra quali. ., G. ~
5 Turbia , Tarbe., città di Francia nella GUSeOgDL U velCO'YO di Tarbe.
indi a poco Cucardinal•.
6 La cos« gli enrrÒ. L.. t.I ..." .. ... e TIlf'biUl.i &ooo..rea .,...eio. •
, a cosa putiCDlarB': •• cosa alcuaa'Plrticob.re.. G.
8 dllcbessa d'Alanso... 1'Jbrgherita, ducheua d' A1eD~oal •• DOn Re-
Dati figliuola di LuÌlli Xll. c:ome racconta il Guieoiarcliao.. PlllaViei.nO, Iib, II,
c.p. 15, n. 6.
» e. I. mnn&a 6i11o'UII: nzarUow·.. cile altro Don&&.peUa,cbe un marito, NO G.
323
ri, quel suo reale splelldore. Se in Ingbiterra ce ne ha UIIO
principale senza mogliere, anzi di tulti il primo;' ellà non
congiugnere qUesta real coppia per' gran bene dell' un re-
gno e dell' altro? La maestà taa, o Arrigo re potentissimo,
se· il "ero geardi e DOB l'apparenza, a giudizio DOn pur mio
ma di tutti i più scienziati, .non è legata in matrimOllie ~ ma
sciolta: lIVYengachè Caterina, nobilissima e sanlis6ima, per
essere stata donna del fratel tuo, non può esser tua, nò ti è
lecito tenerla, secondo il vangelo: I al quale io so di eertano,"
che gl' Inghilesi tuoi credono come noi, e.Ia iDtendoDO:·
ma DOn l' oserebbono dire senza licenza: l'altre nazioni di
fllori ne hanno sempre parlato liberamente, G e doltosi che la
tua giovaneza sia stata iDg3Dnata da' savì tuoi. 6 Ora a le
sta lo d.iliberarti 7 dalle non vere noze di Caterina; e quelle
della soreDa del cristianissimo celebrare, e stabilire 8 tra
questi due pokmlissimi regni eterna pace. La tua ,prudenza
ci penserà; a me basta avere cosa utilissima e onestissima
con cristiana libertà messa in campo. » v Arrigo se ne mostrò

• II1Jl... mog/Iue, .7IaI di t"'li i/primD: ••mi. di lulti il primo, len ••


moslier••• G•
. I 18Cortdo il 111m g,bJ. llIML: \lI.
I di . _ 0 : •._ .• c;r.
I come noi lerve all' antecedente e alleguenle membretto. Ma I' cdi•• G •
• credono come noi , e come nol la iDteadono.•
Sparlato Iibe,.amente. Ciò faceva giuOOQ all'oraloll!: non.import. poi, le
12011eft v.oro•.
6 iJJg41l• •" d.'_. _ I : .d.'luo; mali cOlUigliui ingannlla. • G.
7 lo dilibe,.a,.ti: • lo aprigarli. • G.

,_.ft
8 c.& ......." MiJblil,.e I • celebraDdo IUbilire. • G.
in .II1II1'" Per cODDlCue il mod8 leDnto dall' Aulore nel riltrin-
gue illllO oritIiuale, nOD..rà dilCuo raii:ontare quello discorso col testo la-
tiDa,clIe qu.iriP0rbaUlO Z • T. .~ tlUl 6e,.enit44~ Henric« rea: potentissime,
quertl""1ItI,.1. clUUanomi.o, li 71071 quod .ppo,..t 4ed q"Qd ye,."m elt 4Pec-
CMar# c ,..,Uaram .,i"calo~ non IJI~ IJJlJtum &ed pene omnill", docti,fajmo-
rAIII iu.dicio# libertJ ut,t &olatll. QrUJmqlUlm Bnim Chat.nrina t t,un nobi»
1;''''0 tJIm 6IJncti6.J;mlJf"..",intJ.# 'f#istat, tamen cllmfratri6 trli 1&:r0,. prilU
fu...." ,atu IIdml~,.{710>1p o 4 _ q_ tur« UIl:o,.e"fratris tui, q'U"7I tibi
lutI>.,.t1 ~. Ef,""ll"uum 71071 licet, 1uzbetU et ,.etinea41 Equidem 71071'
dllllUo A.glo., q<ù tu« inlpulo lub.Ullt, hoc idem Eya7l/feli"m colere qlU>d
"tu eo/ina..., et 1"'Opt""•• Id.m eti4m nobu."m 4enti,.e, lieet idpalam profi-
,..1 .0. alMl. ..t, doneo t". ..,.... it<u liblfr4m in hac carua .i4 fecerit di_
e...di pot.datem. N 14m e"'t.,.; nationellib.,.ilU de hil nuptii'lOmp." locu~
.-at. vel.menter .tlam dolent.., ",giam adolucentiam t"am ab aliorum;
DELLO &CISIIA D'.INGBlLTERU

nuovo e alterato; l ma come di cosa toccante l'onore e l'ani-


ma, prese tempo a risolvere. Il. vescovo, per esser primo a
dare al re 'si lieta novella e non aspettata, volò' in. Francia.
n popolo inghilese, saputo ciò, maladiva l'ambaseiadore, e
vituperava il re di tal proposito da ogn'uno stimato suo tro-
vamento.
V. In questo tempo venne la nuova che Borbone, ben-
ché mortovi,I aveva preso, arso e saccheggiato Roma, e papa
Clemente settimo assediato in castel sant' Agnolo,· e preso. 5
Vuolseo con questa occasione stimolava Il re a soccorrer il
pontefice, mostrarsi quel difenditor della fede, che da papa
Lione poco innanzi per sè 6 e suoi deseendenli ebbe titolo,
per lo libro composto contra Lutero: obbllgarsi con questo
solo il papa in sempitemo, e farlosi giudice favorevole nella
causa del ripudio: e schiavo' il re di Francia e i suoi figliuo-
li, prigioni di Cesare; i quali potrebbe per questa via libera-
quihUl fidthat CO.6ilii$~ in harte fr"udem esse i1ldactan~. Nanc~ li verllm
est. nemìnem pOlle jratr;, lui ,u:orem snmere, hahet tUII l,r,nUal 1IIDdllm
[0"'4 optimll1ll" qllo d le ab hi, qrdhU4 iam implica,,,,. n"ptUI, qrUJmprimrmt
-eSUllt, et Ch,.i,tian;lsinti r'gilloror. tn {oetUli Claatil.,.'rr«al6u"'pta, pacem
'lnt.r hll!c nohilillima r.gna firmam atqu.• •deo p.rp.'uam ItabilÙlt. At d.
IdI qùidem ,.ehlll tu« p,.udenti4 matll";"" COR;~h;t, mila, Itdil lil, ,.em
nOli minll' "U[em qlUJ1II hon.,tam" Ch,.ilti"". libe,."" iII mediam pro'''' .
li,le. Il
• alterato: .. eruciato... G.
I volò: .. D'andò volando •• G.
S h.nch. morlovi: • Lencbè .i mori..... G. V.di Gaicciarelilli,lib. XVIII, '
CII" 3. Qu.1 eervel billlno del C.Hilli pr.t.lIde d'aver PIO ueeìso il BorbOlle
';col .uo arcbibu,o. Vedi Pila, in, !, cap. 33.
, Illledillto in callei ee.e • 'in castel sant' Angiol0 lS.ediato•• G.
5 • prOlo. Alino!li!7 • pitno di Itrocilsimi,. già per più secoli DOD nditi
Iccidenti: niutazione di stati; cattività di principi; IIccbi .p.vento.ia,Uui di
città; carestia liraDd. eliv.llO"IlIi.; peste qua.i per tutta l'Italia llTaDdis.ima:
pieno oliDi co.. di mort., di fUll". di rapiD•.• Guic:ciardiDi, lib. XVIII, c. t. I
I ch •.•... poco lnnllnl/ p.r I." ec.r • cb•...•• poco fa per lo libro coDtra L... :
tero .critto, llii fu donato il titolo p.r .0 • per li .uoi disceDd.Dti•• G. - Dalle
Boli. apparisce cb. il detto titolo fu dato al d solamente, DOD a' .uoi 'lICcu.ori,
ai T'ali lo trasmi.. il parlam.nto cOD deereto del !W. Vedi LiDll"rd, iD Dota.
Il libro poi del re ba q....ta intitol..ioD.: • AII.rtio l'pr-m lacrllm...tor ...
adv.rlru Martinum Luth.rrlm edit« ah lnvlctlllimo .AnBli", et Fraacllll
roB••t domino H/h.rn/II! H.nrlcool"lnomlnll'PIII.• L'.diaioDediLoDdr.
è del !lill! : poi altre De faroD fau •. Lutero rispose con tnboccIJevolvdeDO.Vedi
Palla'iciDo, lih. Il, cap.!, D. 7,9, iO. '
, Il .Jcl'inflo: • e Icbia9i .• G.
LIBRO PRIMO. 32lS
re. Queste ragioni mossero il re. a mandar in Francia questo
cardinale con due aitri ambasciadorì, con trecentomila I du-
cati e con segrete eommessìoni a lui solo, sopra il divorzio
di Caterina, e matrimonio della duchessa d'Alanson, e trarre
i figliuoli delle mani di Cesare.t Andava lieto e pomposo' il
cardinale, quando ebtie in Cales lettere dal re (già risoluto,
potendosi sgabeUare di Caterina;" di voler che la moglie sua
fosse Anna Boìena)" che del nuovo matrimonio nulla trattas-
se; ma de gli altri capi.' Vuolseo, che non per altro aveva
stretto il divorzio che per condurre quel matrimonio e ob-
bligarsi il cristianissimo, forte se ne sdegnò. Sapeva bene
che Arrigo amava Anna focoeamente," ma pensava che,
come già la madre e la sorella, la volesse per amica 8 e non
per moglie; essendo nata della moglie del cavalier' Tommaso
Boleno già due auni stato in Francia ambasciadore, spintovi
daf re sotto spezie di onorario, per godersi a suo agio la
moglie vacua. Tornato il cavalier a casa e trovatovi questa
criatura, mosse alla moglie libello di ripudio nell'arcivesco-
vado di Conturbia. Arrigo per lo marehesew di Dorchestre gli
mandò dicendo, che non facesse lite con sua mogliere, ma
perdonandole, la ricovrasse in sua grazia. Egli benché do-
vesse temer del re, non l'ubbidl,lt se non quando ellaehìe-

t con treceniomila: Il e con trecenlomila:., G.


S • lrarr. i fig/illOli delle mani di Celtl,,.e: • e sopra la liberazione dei
figliuoli.. G.
S • pompo'o: • COD superba pompa.• G. - (;OD seguilO di irol> cavalli,
dicoDo il Sandero e il Gaicciardini, I, XVIII, c. 4. Ave.. portato seco 300 mila
:1
lcudi .. per le spese cecorrenti , e per pn!slarDe n! di Francia, bisognando••
• potendoli "Babellare eco LaL: .. si Chat.rintlnJ reìcere PO$$tt.•
S Bolena. Nella slampa del FacciollO legge si alcuna volta Bolcina, cbe,
per vero, sarebbe piO. vicino all' ortografia originale Boleyn.
S ma d. gli altr! capi: • ma sì degli altri capi.• G •
., ama'va .411114 fOCOIlI.mente: .. amava Anna e DemoriVI•• Go- Lat... ml»
.ere limare .4nntlm••
8 III volell. pe,.' amica: • Sii dovesse essere amica .• G. _
9 e.sendo nata della moglie del cavalie,. ec.: • ADDa era figliuola della
moglie del cavalier eco • G.
IO ..1,.,.igoper lo ma,.cI,ese ec.: • Ella ne avvisò Arrigo, il quale, per lo
marchese di Dorcbutre, • Tommllo maDdò dicendo, che DOD ~ce..e lite colla
lGa moglie re , ma, .perdonatole, in lua graua la rico't'ra..e•• G.
Il non l'ulJbidl: • DOD llb~idì •• G.
11. 28
326 DELLO SCISMA. D'INGHILTERRA

dente perdono inginocch.iata gli disse, cheil re per sua' infi-


nita sollecitudine, e non altri, l'avea mgenerata. Cosi egli
dal re di nuovo e dal marchese e altri grandi pregato, si
rappiastrò, l e Anna allevò per figliuola.' Aveva Tommaso di
questa sua moglie8 una figliuola grandicella, la quale il re
inell' andare alla madre adoccbiò, e tirollasi in corte e in
.camera;' e domandando ana volta Francesco Eriano nalo
de' Bolenì, di lutti li sceleratissimi cortigiani, onde era la
corte piena, il più fine, « chi si giacesse con la madre e poi
con la figlia, che peccato farebbe? Il rispose, «iI.medesimo
cbe a mangiarsi prima la gallina, e poi la pellastra, » Disfa-
eendosi il re per le risa," disse: « Ben se'tu mio vicario dal-
l'inferno e» (già era costui per lo suo miscredere detto vicario
dell' inferno del re); onde cosi pescia ognuno il cbiamò.
VI. Il re esBenOO6i tenuta la madre 7 e l'una figlia detta
Maria Bolena, ancbe a quest' altra, detta AnDa, voltò l· ap-
petito. Ebbe gran persona, 8 capelli neri, viso lungo, color
gialliccio, quasi di sparso fiele, un sopraddenti di sopra, 9
nella destra le spuntava il sesto dito, sotto il mento alquanto
gozo, ebe per coprirlo, essa e le sue damigelle cbe prima
scollaecìate n'andavano ,vestirono accollato: il resto del
corpo proporzionato e bello: bocca grazieeisaima: nel cian-
ciare, sonare, danzare, ogni di fogge e gale mutare, esem-

• Il r1IppUufr'Ò: • Ii rappÌllllrò eolla -glie. • G. Il lat •• • asori .oll.i-


liatus .•
I per .fiwli"ol•• Il 50bdM0 racconta 'JUl'lto fatto All1a fede di Guglielmo
Il.1lt.Uo, cb. fu g1udic. nella ClUla, e n. fece memorie ••Ile vita. da lui lCriua
di Tomm,"o Moro. M. il Ling.~d l' b. per fevoll, udendo cb• .a Polo (che _
t.mente non avrehbe mlneato) non DO r. parola.
• di q....,.. ,,,.. moglie: • cI.U. d.tta aDO 1BCIIl1ie•• G.
I e in .IImer.. ec.: .enoi in camera. La famiglia del re \UU. era di p..aim.
g.nl., giucatori, pulbn;'ri, ruffiani, paròlliti, apo.giuri, beatemmiatori, ladri
od eretici l e trl gli lItri port.va il vate ... CIValiae P'rlDcelCo BriaIlo, nato
de' Boleni, a cui una volta il re di•••• eco• G.
5 Disfll.endo8i Il r~ p.r le ",.. : • Sll.n.. ~ il re cleIla rìae•• G.
I tI.lflnfirno, • ii sUnremo •• G.
7 eSlentiosi lenutll la madr• . ..sendoai d""'lue tanata prima la _
<ire•• G.
I EbbI 1f"4" per...n. ec.: • Costei ellhe md. penoal•• G.
9 Iln soprlltl"enli di ,opr"': .el14 ti........ eco • an doIIte di 10pn 1l1li,.,
Della mano dulra ee•• G.
I,IBBO PIWIO. 327
pio e maraviglia era:,l nell' animo piena d' ambiziGae, !laper- .
bia, invidia e lussuria. Di quindici anni si lasciò sverginare
dal coppiere, e poscia dal cappellaao di Tommalll Boleno.'
Fu mandata in Francia, e teliluta con reale spesa ~ in casa Wl
nobile uomo, poi n'andò in palaao del re, e per le sue diso-
nestà la chiamavano i Francesi la chinea inghìlese, e poi
mula del re di Francia. ~ Era luterana; ma l'ambiliooe e la
pratica del re la sforzavano a-udir la messa.5 Tornata in :JnghiJ.:
• ma;'aplBUa '~a r .... rni~i. eri di tlIlt. la corte. • G.-' F. riIovv... inl
di quelli S.mproni. di S;illu.tio. Ca/iL XXV: • Pull.re, lalfa~. el-B""eitu
quam necesse est probtl!; multa alia qua indrumenta i'lZllrire SI"d. Sed ei
cariora semper omnìa quam dee," atque pndicitìa /llil; pècllnla! an fama .
noi"'" pa~c.ret, IIall<lfaciÙl d.Cg,,_•• 1.. lJid'....Ic ",c'''", Id ."Plu
pell:~.t "i~08 qua .. ".u~.tll~. • "-
i Vedi l' on.rvazione del Colombo • questo luogo, riferita ...1 voI. I, •
pago XLV in nota, e confronta il testo latino qui appresso, dove si vede ch- ivi
pure li l'isl<5S1 brachilogi., della quale ill'f~" è ripreso, e cbe, se non erro, è
dell' istuoa ..-n cIoe quou.a di Dull:
puiu6 • lacrilllR .....-laIilDB.
• e '",,,,ta c... . . .. st>UA'U•• • 1 iD casa uDl>obile I>Omo _ ft.le
SpeSI telluta.• G. .
I e poi mula del re di Frnncia s • e poi la mula , quando divenne cosa del
re di Fri1ncia. " G. n Il Padre (J' Or!eans gesuita credè mal fo'oàati questi racconta,
~bo dilFamano collle.impudic. ADDa BeIen••• (Noti dell' edia. Livoc......) -And."
il Lingard Bloslnai ••• ai ritenuto ilei cftdero a tutle Il iIlfamie che correvano
di lei.
5 " udir la messa. Avr~ caro il lellore di confrontare • questo luogo il
testo la LiDo:-. ,F,," Alffta Bolerta proceriore corpo1"Ì.f statura, CJJPillo lJigro~
facie oblonga" colore s,,,bjlaIJo,, quasi icterico morbo laborare.t- cai den.
annI in snperìore gingillo pallJ"lam prominehat..l i" destra 1R41i" seatu«
apNcehfltrv diSii.'" sab nunlo eli/UTl·sa1Jcrascehat t''''gidum auçi.o qllid,
cuiuG deformitatis tegenda! call1a, tam tps«, qlJam ad iII,,,, inait4tionem
reliqutl! regia! aneilltl!, colli el pectoriIIMp,ri4r., q~ GJ'lle n/uI" ,eltahant,
0".,.;,-. c""e~'UlI: ""'iq.a c0'1'D~i8 prOpO~tiD plllch~i4,. "idebat~, .. =im"
9snlUtas in tabits , infacetiis ; in saitandi et Jidihas hidendi periti", denique
in vestitn , quem quotidie et no~am escogitiwit se e/esaati.$simlUtl gusit,
Ol1mil4m aalieoram ia Ba re ~emplar et Ipecll.lum. QUDd IIVO ad m,ntil
ìmagìnem attinebat , .l'lena fidt .tuperhiIM I ambttiollil, ilWidile_ W4uri12.
Cum qrtindecim elset anno"um..l ~ .. OD qui ThomlM Boleno"., po.CuJil~ etqu«
etiam ab "ltero q"i .idem ......llof"U, .... depo,.ui paNtI, m •• i" Oal.
lillO mittiflll', ubi ~e8iD ..,mplu, "O" 10f1S. Il Brinoo, Apud "obi/un q....dam
fii,.,.,.. .d'lCtIla, pau/o poIt "d pAlatium ~"Bi. G4lU"~_ •• coatuUt. Ibì tam
impudico "izil. '" vu/go .. G"llio appeJlar.t4r D,,_. __ EqII4,4ll/I{J.
ca"a. CUllI ""tem.t i" ,..gi. G"Ui,,~um f"",ili,,~it.al. tIIU~t4 UNlt. c.pt"
e.t vDca~i Mllia R.Bi".·H"'~e.i eti"m !lIt~_ fUldi~a"'4t,"''''~eliBi"
.. /fitti dI8c~'p"~et. N.c lam." "lol.mniblll.M;.u.,.".. c.,lwlicl> ,.ilM""....ti.
328 DELLO SCISIIU. D' lNGmLTERU

terra e messa in palazo, di leggieri attinse 1 che il re s'era


recata a noia la reina: che Vuolseo mulinava per disfarla:
che il re di lei spasimava: che egli mutava spesso amori,
avendo veduto sua madre t e sorella esserli cadute di grazia,
e cosi pensò che a lei avverrebbe: onde quanto piùil re la
sollecitava, tanto più contegnosa e schifìltosa gli si mostra-
va, giurando non esser mai per dar a persona, che suo ma-
rito non fosse, la sua verginitade: ragionare,· carolare e
scherzare seco, 8 diceva essere gentileza; del resto, Dio la ne
guardasse. Con tali arti fio innuzoli 4 di maniera, che al pos-
tutto diliberò rifiutar Caterina, e questa pura verginella
prendere per mogliere. La qual cosa quando'in Francia s'in-
tese, si diceva per tutto, che il re d'Inghilterra toglieva per
moglie5 la mula del re dì Francia. Tommaso Boleno, che al-
lora in Francia era ambasciadore, sentendo questa cosa,
senza licenza 8 chiedere, volò in Inghilterra per dìseoprire in
tempo al re tutto il fatto, 7 e non, ci rovinar sotto, se da altri
lo risapesse," Per mezo del cameriere U Arrigo di Noresavuta
subita udienza dal re, lO da capo gli contò, come la donna sua,
stando egli in Francia, acquistò Anna Bolena: e l'arebbe
rimandata, 11 se il re non vi si fusseframmesso, e queUa detto
tutto aperto,1I Anna esser figliuola del re: «Taci, bestia,
. ~ss' egli, 18 chi della moglie tua la ingenerasse,'non t'appor-
ab8Ii"ebdt, ql&ia regi8 CO"8lUtl&l10, et ambitiOlli, i",Utt&tlll raUo III ab fil..
ezlorqlUbat ••
I attinIe: • comprese. • Ga
t avendo ved,"o "". madre ee.s .....ndo ..eduto, oltre .11' altre donne,
lua madre e la sorella, eco • G.
s Icfler-Jla,-e 6e(;0 : • Ic:bernr con lui. • G.
• lo inn ....oU. [n" ....olire vale, far ..enir l'uuolo o la fresol•• Lat.' • r ...
c,m irrelcabat.•
5 toglieva per moglie: ••po G•
• 8e"tendo que8ta C08a, I.n lic a eco , • lentendo che il re Anna r....
cosamente amava, e la voleva l'eial, .e.Dla licenzI, le.... G.
7 t,dto ilfatto: • tutta la bilogn ••• G.
8 IO da altri lo ri8ape88e: • quando d••Itri la rioapesse•• G.
8 Per me.o d,l cam',.",.~ eco • E iDC:ontrato.i Del cameriere.• G.
lO avuta ...bita udien... ~c.: .10 pregò che, di lua lubit. venut., col re lo
aeusaut, e legreta udienll impetnale. A..ut. subit.· udienll eco• G.
Il l'ar.6b. rimandala : • ripudi.t. }' arebb.... G.
II 1atto ap.rto r ...pertamente. G.
Il diII" egli: • dii" Il n ... G.
LIBRO PRIMO •

.resli a çento; l ma mia moglie sarà a ogni modo; tornati alla


tua ambasceria, e non ne fiatare: li e ridendo, lo lasciò gì-
nocéhione. Per colorare la subita venuta di Tommaso fu
8parso che egli avea portato il ritratto della duchessa d'Alan-
80n. Tommaso e la moglie veduto che il re pur voleva sposar
Anna, puesero ogni studio e fatica in cnstodirla ottimamente,
per non si perder per alcuno errore tanta speranza.
VII. Gli uomini di tutto 'I regno savi, onesti, scienziati,
e di buona coscienza e fama, del divorzio di Caterina e di
tali nuove noze non si potean dar pace. II consiglio del re
per debito di suo uficio l'avverti, «non facesse un tanto
errore: non disputando, come laici, del iure divino; I ma chia-
rendo lui con pruove grandissime, oltre al dire popolare,
della vita di lei infame e soza: » e presentògli una fede di
Tommaso Vuiato,3 il primo della corte, 4 fatta a esso consi-
glio spontaneamente per suo scarico, se al re lo dicesse al-
tri, come egli s'era con Anna Bolena giaciuto.": H re, stato
alquanto sopra di sé, rispose: li: Voi mi dite queste cose per
amore e riverenza; ma tutte sono trovati di scimuniti; e chè
ardisco giurare che Anna é purissima vergiBe.» Vuiato,
·dispiacendogli non esser creduto, disse al consiglio: li: lo, se
il re vuole, la li farò di luogo nascoso vedere gittarmisi al
collo; » perché forte lo amava. Carlo Brandon duca di Soll'olc
portò l'ambasciata. II re rispose: « VuiatQ mostra d'essere
un ruffiano audace e sospettoso: non, io non voglio vedere
questi spettacoli:7 li ad Anna tutto contò, e cacciollo di cortei
• "." e'app.,.,...el a eent», Qui, per ..i".... , il latino nOD c'è • nulla:
• certtlU7la/ii eli: teqUD tuam ".0,.'111 comp ..ell.runt.•
I non dllpr"'nulo~ Come IllÌci, del iru-.: • Don yolendo, come laici, ea-
tnre... el ginre.• G. .
J r.iae., Wiat. Lat.' " rialtU••
• Il prim. d.lla eorte» ~ de' primi dell. corte•• G.
, IPaci"eo. Qui ..gue nella G. 'lu..to .pcriodo, " 1\ sen.to, andatosene al
re, S'i disse: Esser ufficio suo procurare DOD 1010 la ...ita, ma aeeera l'ODOre. e la
rama del re; Anna Bolen.....re non solo d' inr.mi•• ma di sracci.te brullnre
macchialiuima, nè con"enire a .na ma.. t~ torla pcr moglie. E lflIÌ"i l. co"r..-
.ion di Vuiato gli spiegò. Il re .t.to alqu.nto eco •
e eutte so". er• .,ati di .ciml",lti. LaL' " om.ia iUa .... a ••blll••/b".
c·"ficta• "
7 ••". io "." .,.gli• .,.d.".
eco • Cotali .pauIColi non m'aggradaDo.
più! .d Anna ogni COI' contò•• G.
a..
28'
a 2&

3SO DELLO SCl8lIU D' IIIIGHILTERRA

che fa poi la Bua salule; perché sarebbe, qòanclo seoperti


farno i vitupèri di lei, capitato male een gli altri berto.i.
VIU. TUMsOO in Praneia eonchiase , dal matl'i8Jlrio che
più desiderava iii fuori, ogni cosa fetieemente. CI( Trà Anigo
e FrafJeesoo I lega perpetua: facessero a spese tOBJllUlni guern.
a Cesare in Italia, imo a ebe tibems8e il pontetiee; e CO'D
patti onesti reDdeSl!l8 a Frneesco i figliooli: Latreeh per
Franeeseo, Casale I per Arrigo fD.ero- i genera.li: pagasse
Arrigo trentada8milascudi il melle.· » ID 8U 'l partire fa da
Francesco presentato riccamente; e di cOD!liglio flUO spedì al
pontefice il protonotario Gambero in dlligeuza 4 a fargli in-
tendere quaeto avea eperato per lui, I e cltiedet'gli per neem-
pensa ehe lo facesse suo vicario generale e della chiesa, in
Francia, in Inghilterra e in Germania: almeno siDO alla li-
berazione di esso pontafice. La qual domanda il re FranoeBeo
favori in palese, lIIa in segreto impedl: I D6 al ~ pe-
teTa piacere; ma gli conTenne dissimulare, 'a'llto me fosse
tornato io libertà. Il che segui per eemandamentodt Cesare
H settimo mese di sua prigionia. Tornato cile fu Voolieo di
Francia, il re li disse, che col pontefice .sollecitasse la 8ua
causa del divorzio: e vedendelcì andare di male gab.be; 7 gti

t Tra 4rrifo e Fr••ctl'c. ee•• Che tn ~SO e'fiDe"''''


faue lega.. G.
t .. Vuolle ancora Eberaeense che in campo andasse per il '00 re il cava-
Iiere Casale, al quale " indirizzassero i trentaduemila ducati che pagava eiaseun
mese, peTe"eT certo vi Io"e il numero inlero degli Alemanni•• Guicciudini,
l ••• oil.
318 agoslo t527. Vedi Guicciardini , lib. XVIII, c•••
• iII dili6.n1a. Lat.: • citato curen, ,.
5 q"an lo apea operaie per ["I: • quanto per lui a,," operate .• G.
ti Guicciardini, loc, eit:
7 vedendolci andare di ma/e gambe. • Tornato il cardinale di FraIJM,
.. Enrico gli palesò la Cerma sua risoluzione di sponre AilDI Boleyn. n ministro
.. &euti tale annuncio con nmnrarico e sbirottimeato. La disparit!a -delIlZleimea-
.. lo, il pericolo d'enere scavalcato da un emula famiglia, la perdita dell' amislà
.. eli Fra_a, cbl- egli ClIVei eereate di sirnnrri col promettere 1. eercna .d lilla
• f9ÌDcipena Croacese,e le nuoye difficollà clIe rotai risolazione apporterebl>e
• all' alFa.. clel.... onio, furono llllti pelMlerlcbe ingombrarono la mente sua.
• Inginocchiatosi dinanai al re, il supplicò di yolere abbandODare lIa mae8Do clre
• 'eoprireloloeln di disonor.: .... rienrdnole di qual ltmpen ei fosse, C9S0 bo,a
.. tosto ogni oppolÌ&ione, ai rese fautore d'una risolusione cb' egli nati pote'o•
.. ;rape4i u l e eo' IUoi 1U5o!.rgaentì Ir'tvigi si f:rticb d'espiare il delitto d'ay.er
.. onto di contrariare al piadQ1t!Dto del sue S'O"nno.• Lingard,
LlBRO 1'1I1MO. 331
disse risentito:« Sé tn vuoi ch' io lasci Caterina, t perchè non
vuoi ch' io prenda una nostrale, anzi che forestiera? » Vuol-
BeO, -che replica non avea, dolente oltre a misura," gli pro-
mise usarci ogni diligenza: S ,e a lui e Anna fece nel palagio
SIIo d'Eborace convito splendido.' Di ta:! divorzio ~ per tutto si
ragionava: soli quei e che speravano di crescerne, .tal novità
<fiatavano: gli amadoridel vero e dell' onesto la causa 7 della
rema, -già quasi abbandonata dagli uomini, difendevano.,
Libri in pro, libri in contro del matrimonio d,i Caterina si
componevano: 8 essendone letto ano di que' contrari in casa
Vaolseo al re, presenti molti vescovi, tutti parlarono rìser-
bato , « che il matrimonio di Caterina già fatto antico poteva'
per quelle ragioni' aver qualche scrupolo. ) Non era grosso il
re lO da non intendere, che questa era causa disperata; e gli
empi Il e ignoranti la favorivano, e i buoni e dotti r abhorri-
vano. Fattosi adunque venire Tommaso Moro, da lui ben co-
nosciuto, d'ingegno, dottrina e bontà singolarissimo, l i il do-
mandò, « chente a lui paresse 13 iI matrimonio di Caterina?»
Bìspose tutto chiaro e libero, « ch' ei non si poteva a niun'
pattodìsfare.o n re ne rimase crucciato: ma per tentare
ogni cosa, gli promise gran doni, s'egli lo voler suo appro-
vasse; l ' e commisegli che col dottor Foxio rettor dello stadio
di Conturbia, che più caldamente di tutti aiutava il divor-
zio, ne disputasse: ma egli, non che mutarsi, più che mai
I le tu vuoi ch' io Lasci Caterina: .. s'io debbo, come tu vuoi,luciar C.t-
terini . ., G.
, li .1t1'l6 Il ",1'''...... oltre ..islft'a•• G-.
S gli p,.o",ise ,,,,a"ci eco • Nondimeno J innngendoli, promise farci osai
opera; e al re e Anna ec, " G. ,- ,
.. Iplendido: .. solennissimo, N G.
!5 DI tal divo,..i.lo: Il Di questo divorzio. " G.
e soli qnei : .. 50,]0 quei. n G.
'l la CalUa: .. la causa giustissima. " G .
• si componevano. Uho ne compose il re stesso , dove (forse co' mateelalì
somministrati da altri) cercò avvalorare 'il suo caso con ogni arg omentc ed auto-
rità che la sua leuura e scaltrezza sapesse 5uggerirg1i. Vedi Lingard,
9 ptr quelle ..agioni: .. per le ra6ioni addotte. " G •
•0 Non era gro,so il re: .. Non era il re' sì grosso... G. L:at.: « llebes. "
.. ti gli empi: .. e che gli empii. " G. -
4' bontà. singolarissimo: I l sincerità singolarissima . .,. G.
t3 ohente a lut paresse: Il che gli paresse. " G.
U r eglt lo voler suo "pproVnsse: volendosi al voler 5110 accomodare.» G.
H
332 DELLO SClSIU. D' INGMLTBBB.l
,
confortò I il re a tenersi la donna sua. t D re non ne gli p8l'16
più; 8 di lui' pure" sovra tutti servendosi negli altri all'ari; 6
usava dire, (( che stimarebbe più il consenso di lui, I che di
mezo il regno. Il ,
IX. Nacque di que' di un bel caso." Maria Bolena veden-
dosi da Anna sua minor sorella scavallata, e da lei e dal re
disprezata, n'andò alla reina e dissele: ce State di buona vo-
glia, che il re, se bene spasima di mia sorella, non la può 7
tòrre per moglie; perché la chiesa per sua legge non vuole, 8
che uomo tolga colei, con la- cui sorella si sia giacinto,
come il re meco: che no 'l negherà, e rall'accerogliele sempre
al sozo cane: U egli adunque non potendo aver lei, non rifiu-
terà voi. Il La reina la ringraziò: e soggiunse, « che di quanto
da dire e da fare fosse, si consiglierebbe co' savio » Era com-
battuto IO il re dalla paura non tanto delle leggi divine, quanto
diCarlo imperadore, conoscendo lo sdegno ch' egli avrebbe
del rifiutamento di sua zia: e gl' Inghilesi del lasciar il com-
merzio antico, utile e sicuro di casa Borgogna, per la nuova
e dubbia amicizia franzese. Vedeva Caterina per le sue virtù
da tuttì i buoni amata e ammirata: Anna, tenuta meretrice:
Vuolseo, in cui avearimesso tutto il governo, non più, co-
me solea, il rifiuto Il sollecitare: dovere finalmente nel gran
di del giudizio d'ogni suo fallo e dello a Dio ragion rende-
re; da' quali pensieri I l s\ era giorno e notte combattuto; che.
a lui privato di sonno e di consiglio, d'amici non sicuro, di
nimici certo, e dalla propria coscienza condannato, la vita
era noiosa. Ma non potendo avere Anna 18 se non per moglie:
Iconforìò s a esortò. " G.
Ila dOJl1Ia 6l1,.: .. la moglie IDI • • G.
8 non ne gli pa~lò l'ii'. : • non SM ne parlò più. _ G.
• pure: .. nondimeDo•• G.
8 di lui: • di Tomma.o Moro.• G.
8 Nacqru... u" bel Calo. Lal.: _ p.~b.lle arcidit._
7 non la può: .. e'non la può.• G.
8 -.011 vuol« r a vietI .• G.
U ~affacc.~ogli.l....mp~e al 601<0 ca".: • raffaccerogliele al lono cane
meDln arò vita.• G.
IO Era com/Jattuto: .. Era ritenuto. ti G.
ti ,.lJirdo: .. ri6utameDlo... G.
Iti dtl" quelt perl,ie,.,: .. da questi pensieri. • G
ti non potendo Qyere An",.: .. non potendo avere Anna mai... G.
LIBBOPBDlO. 333
dicendogli l alcuni che il matrimonio di Caterina non era le-
gittimo: parendogli che il papa,~ per lo grande obbligo, non
gli dovesse mancare; anzi con l'autorità sua placare i vicini
principi e i suoi soggetti; vinto dalla ooncupiscenza, si
ostinò di rifiutar Caterina, e di prendere Anna: e di Cesare,
travagliato-allora da Franzesi, Vineziani e Fiorentini, non si
curare. E forse il papa, se Dio non l'avesse, per la sedia di
Pietro ch' ei tiene, aiutato, arebbe compiaciuto al re. Non
minore era l'ansietà di Voolseo: or gli piaceva, che Arrigo
)' imperadore sprezasse: or gli doleva che Anna al sommo
grado salisse: or dubitava. non il re senza lui altri modi al
suo rifiuto cercasse: ora sperava che l'animo da costei pur
una volta levasse, e alle noze della sorella del cristianìsslmo
si disponesse. Ma per non perdere la potenza, a che che ne-
potesse avvenire, fece violenza a sé, per soddisfare al re, e
insieme risolverono di mandare al papa Stefano Gardinero,
solennissimo in giure, uomo già di Vuolseo, or segretario
del re, e con lui Francesco Briano. Costoro, per esser al
papa più grati, trattaron per lo viaggio co' Vineziani da
parte del re, che alla chiesa rendessero Ravenna: il che al-
lora ·non vollero.' Giunti a Viterbo, dove il papa uscito di
Castello s'era ricoverato, e seeo di sua liberazione rallegra-
tisi, due cose gli proposero:I li: Che sua santità entrasse nella
lega che si faceva tra Inghilterra e Francia contra Cesare: e
dichiarasse I nullo il matrimonio seguito tra Arrigo e Cateri-
na, ottima e nobilissima, ma stata moglie del fratel suo: però
il diceano da Giulio secondo dispensato contro alla natura 6-
al giure 7 divino, per inganno e senz' autorità: e che tal di-
chiarazione 8 poteano far i vescovi d'Inghilterra: nondimeno,

I dlc""dogli: • e dicendogli.• G.
I par'"dogli ch. il pllpa: • e pareudosli che Clemente•• G.
a Ma p,r "0" p.rd,r. III pol""." 'c• • Ma, che che ue doy.... nunire.
TiDtO dalle yoslie di dominare, re.. osui yiolen.... G. .
• Il ch•• ller« non vollero: ••1 che .llor. DOD diedero orecchio•• G.
I du, Co,e gli propoeero : • due c•• i Sii propo.ero•• G.
I • dichi",a".: • e che dichiarali... G.
, contro lilla ""/11ra • al glur,: • eeatro .1 siure•• G.
8 , clr. 1111 dichiara.lon. eco • L. qual dichi.r..ioue sehbene potea larai
da'Ttlcovj; aendimeno te ... G. -
~u
- DELLO SCliHJ. .D' 1NGIIILTERRJ.

acciocché Cesare non la .dicesse l fatta a compiacema del re,


la rimetteva al tribunale supremo ecclesiastico. Passerebbe
senza difficoUà, per .esser Caterina tanto santa; e far vita si
austera, che volentieri si scioglierebbe, per chiudersi in mll-
nìstero. Né potrebbe 2 questo caso avere migliori giudici che
Campeggio e Vuolseo: questi è S in Inghilterra della causa
informatissimo; l'altro vi fu legato di Lioa decimo, e delle
cose dell'isola scìentissimo.~ Aggiunsero, che questo benelìcio
sarebbe al re tanto caro, che a sua santità pagherebbe quat-
tro mila fanti per difenderla dalle forze di Cesare, o di ehi
altri lal dichiarazione offendesse. Il papa ringrazìè il re 6
loro: disse la cagione, perché non poteva allora enlrar nella
lega: a: del divorzio tratterebbe con suoi cardinali e teologi,
e, potendosi fare, arebbe grande allegreza di mostrarsi
grato a tanto principe, acui per lo dettissìmo I libro de' sette
Sagramenti composto, per la sedia·apostolica ultimamenle di-
fesa, per la persona saa di mano de' nemici tratta, egli, e
tutta la chiesa sarebser sempre obbligatissimi. »
X. I cardinali e.teologì, vedntii fondamenti delIi am-
basciadori, risposero un:itamenle: 6 « Quel matrimollio esser
valido e fermo, e da niuna ragione divina vietato. li prime
precetto del Levitico, 7 Non discoprire le vergogne della cognata
Ula, non potere intendersi contrario al' secondo del Deetero-
nomìc, 8 Prendila per moglie, morendo senza figliuoli il {rattl
tuo, ma limitato, o derogato. Giovambatisla aver detto bene
a Erode, che non gli era lecito tenere la moglie del fratel
SUO,9 perché vivea, e n'avea una figliuola: ma Arturo fra-

! la dicesse l te la credesse. ., G.
I Nè potrebbe: • Non potrebbe. n G.
I Campeggio e V""lseo : questi è et: ... CamP"llS. e Voobeo, eanliDali elet-
tiuimi; l' UDO è eco .. G~
I .. Godeva ... 0 ia q_I_le rendite del velCOV<ldo SarÌ5buieaae. n p.I.
l.vicini, Iib. Il, c. 1li.
5 dottissimo. Coalla "lampi del Facciotto e qUllUa del G. Le à1tre, ubitu-
riamente', devotissimo..
6 unitamente: Il d'accordo•• Go.
7 Leeitico, cap. xvur,
8 Deuteronomio.. cap. :XXV.
g dellralel ma. Mare. VI•

.
LUlRO PIWIO.

tel d'Arrigo era morto, e senza figli1loli. l Adunque Don . do-


versi dar giudici in causa si chiara, né in Inghillena, dove
il re potrebbe ogni cosa'; né due cardinali I a lnì obbligatissi-
mi. :J Stefano tOI'DÒ' al papa, e disse, IX essere in Roma altri
teologi di contrario parere. Ma quando il matrimonio non
fosse "fietato per la ragioo divina, il re mostrerebbe che Giu-
lio l' ba male dispensato della positiva: maravigliarsi, ehe a
taDto re, tanto meritevole, si neghino i giudici, che si danno
a' privati: aspettare più benigna risposta da sua santità. »'-
c lo faro, disse il papa, nguì cosa a me possibile per lo re.
ma qui si tratta non di cosa umana, ma d'un Sagramento
ordinato daCrìsto, che io non posso alterare, nè quelli, che
Iddio ha ccngianti, diSgi1Ignere: 4 traUasi di disfare OD ma-
trimonio fatto con auUorità del mio antecessore, durato ven-
t'anni, avutone figliuoli: Tanne l'onore di Caterina reina, e
di CarIG imperadore: potranne nascer qualche gran gnerra:
l' uftk:io mio è levar gli Beandoli dalla chiesa d'Iddio. ]l Cosi
detto, diede-a rivedere questa caasa ad altri cardinali e teo-
logi. Ak1Ini di essi dicevano, che questa era lite da decidersi
in Roma, dove ciascheduno arebbe 5 il conto suo, e non in
Ioghilterra, dove oglli cosa andrebbe a modo del re. Altri le
cose sagre con le ragioni di stato discorrendo, dicevano, cper
le nuove resìe di Germania, per la tiepideza de' principi
verso la cattolica fede, per la vìveza cf Arrigo in difenderla,
doversi con lui procedere dolcemente: massimamente es-
sendo, come si diceva, Caterina disposta alla religìone." Pa-
rea strano, che al re si negassero que' giudici, atti più tosto
Dell' agitar la lite a ritirarlo, se fosse alquanto scorso: che
poter nuocere il provare' Il papa esser a tempo sempre a
ripigliarsi la causa. ]l Piacquegli 7 questo secondo parere per
troppa voglia di compiacere al re, e troppo credere, 8 che
, Vedi PalllYicillo, Iib. n, Cip. H •• Il • .f.. ,
I n~ dae ellrdu."/i) cioè, al! doveni dar siadiei dae cmJiaoti_
J Steftmo "'.... ò: _ SIefIDO, !TUla quula rirpOtla , torBÒ•• G.
• <li'8i..,nere. IIltt; XIX.
8 eia.ch.dano ",..bb.: _ cilsrbed"DO wdrtbbe. _ G.
8 di,poda "/I,, ,.elf,lon. I .. di.p... t•• sinelle i" "",,,..tero. - G.
, Piaeque,M: _ Pilcque • Clemente.• G .
• e mppo ered.,.. ee.: _ _ peuaaade e"or in t .. tto Calao ebe C2teflDa li
Tale..e far mon'au, e COli (...oao diti per lliadlci ec.- ~.
336 DELLO SCISMA. D ING1lILTEBBA.

Caterina si volesse far monaca, e diede per giudieì della


causa i due cardinali, Campeggio vescovo e Vuolseo prete.
XI. Alla reina non fu detlo delli ambasciadori andali a
Roma. Come n'ebbe sentore, I scrisse ai papa, non volesse,
rimettendo questa causa in Inghilterra, fare il re giudice di
sé medesimo: e l'imperadore avvisò de' pessimi uffici di
Vuolseo, e della impresa del re: t pregandolo non l'abbando-
nasse, poiché l'odio a lui portato 'le faceva tanli nimici.
L' ambasciador di Cesare si lamentò 8 col pontefice de gli uo-
mini venuli senza 4 saputa della reina a trattar la sua causa,
e de' giudici dalile senza -udirla: 8 pensasse, quali scandoli
nasceranno, e quando Cesare difenderà la sua zia dalle ingiu-
rie d'Arrigo: come le cose d'Inghilterra passeranno, quando
i rei 7 per fomentare la libidine del re saranno esaltali, e i
timorali d'Iddio per difendere la reina, scacciatì. n papa,
vedendosi dal re aggirare, spedisce quattro persone per di-
verse vie in diligenza a Campeggio, e per 'sue lettere gli
comanda, che faccia quel viaggio adagio qoanto più può:
giunto in Inghilterra s'ingegni di riconciliar il re con la rei-
na: 8 non potendo, la persuada U a entrar in munistero: né an-
che questo potendo, niuna sentenza dea di repudio senza sua
nuova espressa commessione. E da Viterbo IO gli scrisse, che
sporrebbe la persona sua per amor del re a ogni pericolo:
ma qui. non si poteva alla voglia di lui., senza ingiustizia e
pubblico scandolo soddisfare. 11
I Come n· ebbe sentore» .. :Macome a' ebbe seatere. ,. G.
t della Imprua del re: • dello intento del re.• G.
• 6i lcmenlò: ti li dolse .... G.
, venuti 'tlnaa: .. venuti a Roma lenza. ,. G .
.& le"aa IIdi,./II: ff senza prima udirla.,. G.
6 nalce"QlInO : .. ne naseeranno. " G.
7 q"ando I rei: • quand'l i trilli.• G.
8 • Il cbe dimostra che il pontefice non deliderava di nndiea..i eentre Ce-
• I.re, come hanno scritto alcuni di qu.gli utorici che, ignorando gli arcani del
• ... ro, raccontano il più credibile al volgo; il quale li persuade in tuui gli nUo
• mini que' sensi bassi e volgari cb. prova in sè-Jtuso•• (Pallavicini, lib. Il,
•• U, n. iO.) A.ceenna al Giovio, lib.1I7.
, la persuada: • lei persuada.• G.
lO E da Pllerbo: • E por altre Iettere da Viterbo•• G.
Il .10 so che il Guiceiardino, seguito poscia da molti, e specialmente dal
• Soa•• (Paole Sarpl), riferisce: cbe al Camp'ni fu consegna~ uni bolla on
LIno paUlo. 33'7
XII. Alli 8 d'ottobre 1lS28 Campeggio fu in Londra, e
da Vuolseo introdotto al re, gli ofl'erse, come a liberatore di
Roma, da parte del papa, de' cardinali, di tutto il clericato t
e del popolo romano ogni opera, ogni amore. Foxio per lo re
gli rispose, e li due eardinali I col re ritirati, ebbero lungo ra-
gionamento. Tutto il regno della venuta di Campeggio si.con-
tristò, come venuto 'per disgiugnere il re dalla sua moglie
santissima: ella di e notte piangeva. Campeggio per segreti
messaggi la cousolava; in ultimo la confortò, I per viver al-
meno sicuramente, a prender alcuna religione. Rispose ar-
dita, che sempre difenderebbe il suo matrimonio, già dalla
chiesa remana legittimo giudicato, né accettava per giudice
lui strappato" con bugie dal re, anzi che mandato! dal papa:
a cui Campeggio scrisse l'animo della reina, la fretta che il
• ditbianv..i nnllo qnel matrimonio; a fine ebe ..gretamentela mostr.lI' al n
• per tenerlo .oddi.fittol ma non .. ne vales.. fin .d esprelso toDIandamenlo
• del pap.: la '1aol boli. poi dell' anno tli29. per ordinuione rec.t. al C.m-
• peggi d. DD mello inviato .pposta, fos.. d. lui Lruti.ta ton indesnlli.ne
• d' Enrit•• M. queste raeeoato n.n merita fede ne per autoritla ne per 10M.
• Li.n.a di veritla.N.n per .utorità; pertbe il Guittiardin., che ne fu il primo
• .uton, e nel quale ....bbe men lDDSi dal prob.Lile la cont d' DD tale .....
• tana, si mostra potbillimo infonn.t. di tuUo quest. f.u L. dillomi.
• glianza dal vero poi è manifesti per molti capi; primieramente, dovendoli pro-
• nunzilr la lentenzi in DOme de'Je8ati, come li conveniva al p.pa far ana
• boli. per deciai.ne! Secondariamente, c:ome potea '1nllt. bolla pretede.. l.
• teuitnn del pr_so, e l'udienu dell'.ltr. p.rte, ..n......r per 'iU'slo ri..
• petto ed inSiwta. nulla' Terumente, nOn .i tonseguiv. meglio lo steli.
• fine imponendo .1 t.rdin.l C.mpeggi in una privat. istruaione, da mo.trarsi
• .1 re, cbe in lal modo ..nten.ia..e' In qu.rlo luoge , I. natur. t.utissim. di
• Clemente Don rende credibile, tb' egli .. nll necessitla.' inc!nce......gn... e
• m.ndare DD. bolla di tal m.ment., ratend.l. veder al re: il quale, • pee
• artifitio o per violen.. , poteva ottenere d' ..eri. in m.no, . . .nir suLit. al
• fine di.1 deslderato disegno, ton infinit. tonfa.i.ne ed infami. del P'P" Fin.l.
• mente io ritrovo, tbe tra'l Camplsgi, dopo la SUI parI.... d. quella lega-
• sìcne , e 'l re ArriBa torrevan lette . . .m.rnoli e c.nfidenti d' a1lra moterie:
• il che non sarebbe ....nut. se il re per quella t.gi.ne si r.s .. ton lui .de-
• goat ••• (PallaviciD., liL. Il, c. ili, n. i 7.) Qu.ut. a quest. qu.. tione , e
quant. ad o1tn eommilli.ni ebe ai pretend.n. date dal p.p••l Campegsi., vedi
.h,e dòtle e eritiebe aote p.sle dal Gregori.na Storia del Lingnd d.lui trad.Uo;
1'..... p.S· -.., r altra. U'" e segr. del val. VI, edi•• di Rom., t83t.
• cimcif;;j'. eIMrie.to.• G.
I U ti... cud;'aii: e Ii due t.rdinali soli .• t;•
• i~~,j" .10 ...rtò.• G.
, • #àl.~lol • lui più 1••1. str.ppat••• G.
, ;';""'• ....,..,. : • cbe mandat••• G.
U.
3038 DELLO SCISMA. D'INGHILTERRA.

, re faceva della spedizione, la intenzion di Vuolseo,' scritto per


primo giudice, che il matrimonio si disfacesse: ordinassegli
quanto prima quanto avesse a fare. TI pontefice tratlenne la
cosa sino alli 28 di maggio 1529. Il re, vedendo i popoli fre-
mere, che si gran donna per una bagascia si' strapuasse,
chiamati i nobili e la plebe alli 10 di novembre, giurò, che
per ìsernpolo di coscienza, non per amor d'altra doana, fa-
eea questa lite:qoaIe esser più santa, 'qual più nobile deHa sua
moglie? non dispiacergli altro, che l'essere st3ta moglie di
suo fratello. Coloro che l'udivan giurare, non poteaao ma-
raviglìarsì a bastanza, come egli non ne avesse vergogna, e
credesse dar ad intendere che tra tanti adoltèri e svergjna-
menti' alloggiasse cotale scrupolo. Campeggio disseal re, che
lasciasse terminar questa cosa per via di eoaeordla: e gli
piacque. Andarono i cardinali • alla reina per disporla a pren-
dere alcuno abito di religione: e preambolando, ' come il
pontefice gli avea mandati a conoscere, se il 800 maritaggio
col re era valido o no; ella gI' interroppe, e disse: «Voi venite
a fare una eosa ch' è faUa 8 non solamente nel senato di
due re prudentissimi, ma nel concistoro di Roma, da papa
Giulio confermata, T per congiunzione di vent' anni incatena-
ta, col frutto di cinque figliuoli confitta, col giudizio e giu-
bilo di tutta cristianità ribadita. Ma io questa miseria 8 rieo-
nosco da te, Vuolseo, che tanto in odio mi hai, perché non
potei unque 9 sopportare l'ambizione e la libidine tua: e per-
J la i"",,do. di ",,,,,16tJ(): • che Vuolaeo, .<ritto per primo siudice. al
\1lUO inten~va che il matrimoDio da fare Sii parene.• G.
I qual. 866e,. piM6a,da: • quale COla uler più laDta•• G•
• Ir.. , ...," adalÙ,.i • 6 .....,;"am•• I': .. tn taDti adultèri, tanti nergi...-
_DlI, UHf lui Il baODa aDima che li fauo .crapol di mogl~ Sii eluse taDta
aoil •• G. .
• A.da,.o.o I cdr"tli.ali: .. Di.WI voloDtà aDdaroDO i cardiaali.. G.
I p,.""mbold.do: .. preambolaDdo uli... G.
I a fa... ""a CO" cla'è/di•. Cosi le .tampe del Fawotto e del Mas.i"
LaDdi. L,L: • ,._ '''q.il ac""" agtli6J • cioè: .. voi venitl! , por di DUovOiD
questioDe DDI cosa che Sià è .tata giudicata .• Però male corre'le il Volpi Della
lUa CorniDiaa: "'Di "."i"
\llttl! l' .ililioDi pedilleque.
a diifa,.. eco E qll,l.ta .CODcUUUil fu abLoccata d.
'
, co"fo,.mata: ...trafatta •• G.
a quella mtseria r • quelta miJeria mia... G.
il ""'1"': _mai. .. G.
LURO PRIIiO. 339
cbè Cesare, nipote mio, non degnò cercare di farti papa. »
e
Vedutala si alterata, t poi dirotta nel pianto, parve da
levarlesi dinanzi,' e fare il rimanente per via di messaggi.
XIII. Festeggiando Arrigo per lo suo natale, con giuo-
chi, conviti e spettacoli, dove erano i cardinali invitati,e
Anna carezata, veggente il popolo, Vuolseo lo ammoni, che
per onor suo,! almeno pendente la lite, la lasciasse stare a
casa il padre. A fatica per tutta quaresima il consentl: pas-
sata quella, ordinò a Tòmmaso Boleno, già fatto barone e
signore di Roccaforte, che rimenasse Anna segretamente a
palazo: e lei richiamò con lettera amorosa. Ella dicea non
voler tornare a chi l'avea 'cacciata: nè mai potè la madre
persuaderla; ma dicendole il padre che l'ira de' principi è
ambasciatrice della morte, e che ella, non volendo rovinar
sè e la sua casa, v' andasse: 3 « Su andiamo, diss' ella; ma
s'eì mi dà nell' unghie, lo concero 'ben' io, • com' eì merita. »
Il re, per acquetarla, con più magnificenza che mai la rice-
vette, senza riguardo al suo onore.! E veduto, che tutti i teo-
logi e canonisti s'accordavano, che il matrimonio di Cate-
rina non valesse senza dispensa del pontefice, che può le
leggi ecclesiastiche allargare; allo annullare quella di Giulio'
tutto si diè, e al Gardinero e Briano a Roma commise, « che
senzaniuno riguardo a danari, ogni gran cosa promettes-
sero a que' cardinaH e teologi, che gli potesser giovare: » e
domandò al papa tre cose: due per li ambasctadori, che di-
chiarasse la dispensa di Giulio 7 surrettizia e nulla, e dispen-
sasse Maria, fìgliuola sua e di Caterina, maritarsi al duca di
Richmond, pur suo figliuol naturale, per fermate la succes-
sione al reame; non si, facendo scrupolo di congiugnere il
fratello con la sorella, dispensante il pontefice: questa seeon-
da domanda apparisce per lettere del papa a Campeggio. La
terza scrisse di man sua al pontefice, di potere sposare Anna
I Il all'l'ala: " al dal dolore all.rala. " G.
I per Ono,. 1'4D: • per)' onor IDa•• G.
5,,* andtulC: • qUinto prima y' audalle•• G•
• lo COftce~ beta lo: " beo io lo cODcerò." G.
5 lerr~a riguardo ai ISO onOre: • seDza tener conto dell' onor 'DO • G •
• 9,ulla di 61 ..110: " la di.peDaa di Giulio. " G.
, di 6111110: " di papa Giulio... G.
3-10 DELLO SCISMA D'INGHILTERRA

Bolena, non ostante che avesse conosciuta Maria Bolena sua


sorella, la ecclesiastica legge con l'autorità sua apostolica
moderando. Il Gaetano lo riferisce, e Polo l'accerta, e ag-
giugne, che l'impetrò per quando prima fosse chiarita nulla
la dispensa di Giulio. A chiarirla, rispose Clemente, che bì-
sognava vederne l'originale dispensa, e farebbe opera che
l'imperadore,l che l'aveva, la mandasse a Roma, o in In-
ghilterra a' legati suoi. Replicavano gli ambasciaderì del re,
che se Carlo dentro a due mesi ~on la producesse, sua san-
tità l' annullasse, Questa domanda, per lo tempo breve, e per
la novità, parve a' cardinali di Monte e Santi Quattro, ve-
scovo Simonetta, e a' teologi deputati, impertinente. Onde il
pontefice disse loro, che ne scriverebbe a Cesare, e l'areb-
be senza strepitìj" e scrisse molto infastidito al Campeggio,
ch' ei non doveva lasciar venire a Roma le domande, che
s'avevano a risolvere in Inghilterra: né dare appicco veruno 3
alle cose, che-il papa non può mai concedere. Si dolse in piè
della lettera il segretario Giovambatista Sanga, che gli am-
basciadori del re, riscaldati nel dire, avessero alla sedia apo-
stolica minacciato gran mali, se il re non era compiaciuto:
come se il papa debba (diceva egli), per quanto vale tutto il
mondo, mancare di suo ufìcìo, e non sia lo mal consiglio del
re per tornare a lui pessimo, se per saziar sua libidine' darà
libello di repndio, come nel suo regno alla moglie, così fuori
alla sedia apostolica, radice e madre della chiesa di Cristo.
Onde si argomenta, che gli ambasciadori sapevano che il re
lascierebbe prima e la moglie e la Fede, che Anna. G Egli da
loro avvisato, G che il papa niente concedeva libero; e odo-
rando, che Cesare per accordo fatto in Barzalona rendeva alla
Chiesa quanto le avea tolto l'esercito di Borbone; e temendo
della pace che si trattava a Cambrai, poco appresso con-
chiusa generale tra Cesare, Francia e gli altri principi cri-
Iche l' imperadore: n che l' ambasciador dell' imperadore ... G.
I .tn&a "repiti: • senza tanti rigoTi... G.
I da,.e appicco l'erltno .. • dare uno appicco .• G. .
• .e pero ,a&ia,. "ta libidine ec.: • quando voglia, persaziar lua libidine,
~ar libello eco .. G.
I ch_ Anna: .. che gli abbraeeiari di ADDa ... G.
I Egli da loro a•• isato r n Il re dunque dagli ambascialori ...iulo... G.
LIBRO PRIMO. 3H
stìanl, per la quale il papa gli verrebbe meno obbligato, l'Im
peradore pìù potente, e ilre di Francia, riavuti i figliuoli, non
arebbe bisogno di lui; e cosi ogn' uno mancandogIi; e non
potendo sicuramente rimandarne Caterina, e Anna prende-
re; per consiglio di Vuolseo e de' savì, Campeggio affrontò:
e lui, sé scontorcente e giustamente scusante per non ve-
der ancor la dispensa di Giulio, e dal pontefice essergli proi-
bito il trattar plù della causa senea nuovo ordine; nondi-
meno con lusinghe, presenti, importuneza, e cenni 1 di la-
sciarvi la vita, finalmente alli 2:1 di maggio t/l29 in Londra,
nel refettorio de' Domenichini pinse in tribunale' con Vuol-
seo a giudicarla," Lette furono le commessioni del pontefice,
e chiamati per nome il re Arrigo, e per lui due procuratori,
e la reina:' ella dinanzi a loro si protestò, che non erano
suoi giudici I competenti, ma era il pontefice: non le fu am-
messo, I se ella non mostrava della delegazion loro rìvoca-:
mento. Nella seconda udienza la reina diede un solenne
scritto, che appellava 'per lo disavvantaggio del luogo, es-
sendo ella nata in Ispagna, e quivi forestiera, dove l'avver-
sario suo era re: e per li giudici sospettissimi, essendo al re
uno vassallo, ambi obbligati: Vuolseo per due vescovadi ,
Eborace e Vuintinton, e molte badie: Campeggio per lo ve-
scovado di Sarisburg. Non per altro giurava appellarsl.t I'ap-
pello in grazia del re non s'ammetteva, né la sentenza del
repudio si dava. Onde il re non soddisfatto, compari in per-
sona, e disse pubblicamente, non per odio contro alla reina,
ma per discarico di coscienza, spinto da grandissimi teologi,
avere impetrato dal pontefice questi giudici per levare ogni
sospettoj" se bene Vuolseo solo, come legato de 'latere , dovea
I • ce,,";: Il e minacce... G.
, pln•• III t~lbunal.: ••i ro .olire io tribonole •• G.
, Il giudicar/": •• giudicare la clun.• G.
t c./a reina : .. e poi la reiD~ • • G.
I ."41"0 ,,,,oi girldici: • erano essi luoi giadici. ., ç.
e 11011 l. fluI"''''.''o ee, -' • ODO le 1m_stIO l'appello, se 0111 Don mo-
Itllll', dolll deloguioo loro, opo.tolici rivocuiono•• G.
, Non per altro giurava eco • Giurava &nalmeDte i saeramenti , nOD per
altro opponorsi ee.• G.
8 p.~ l ••are opi .0.peIl0 ec., • per ruggire ,o'peuo, boochè a Vnolsco
lol~, come legato de Iatere J . ' o.petlavo decidere.• G.
!Il.
DELLO SCISMA. D' INGHILTEBB.\

decidere questa causa, e protestò che se ne starebbe a ogni


loro sentenza. La reina faceva a' giudici Corza dell' appello,
e negandolo essi, ella che sedeva a sinistra del re, si levò,
e a lui a destra inginocchiatasi supplicò, che per esser egli
ìrr suo regno, lasciasse lei forestiera Car questa lite in Roma
dinanzi al padre comune di tutti i cristiani, e giudice J da lui
già approvato. II re si rizò, e sguardatola con benignissimi
occhi, disse, che cosi si Cacesse; non potendo il popolo, che
i loro volti e gesti notava, tener le lagrime. ElIa se n'usci
Cuore, e richiamata immantinente da parte del re e de' giu-
dici, disse: «lo ubbidirò al re, a' giudici no. » Ma i suoi procu-
ratori l'avvertiI:ono, che pur quelli ubbidiva, tornando; e si
pregiudicava." Con tale scusa, rìmandatone al re il messag-
giere, a si tornò in castello Bainardo, onde venuta era, e a
tutto il suo consiglio disse: Il oggi la. prima volla' che io per
è

non nuocere alla mia causa, non ho ubbidito al mio marito,


ma come il vegga, [nginocchìatami a lui, ne chiederò per-
donanza. »
XIV. Arrigo, che non aveva negato alla reina, sola-
mente per non parer villano, sollecitava i legati a senten-
ziare, e annullare la dispensa. Funne prodotta la copia, e
diceano i procuratori del re, non aver quella validato le noze
Il' Arrigo con Caterina per più ragioni:
1. Concede il far le noze, ma dello sponsalizio già fatto
non parla, è le cose contrarie al giure canonico non si deono
allargare.
2. Non sa, che Arrigo allora Cosse di dodici anni, non
abile a generare.
3.. Quando abile Cu, protestò, che a niunpatto non vo-
lea Caterina•
.4. Dice, a fine di tener in pace Ferdinando e Isabella re
di Spagna con Arrigo settimo d'Inghilterra. Ma né. Arrigo
ottavo fancìullo pensò a tal pace, né Lisahetta né Arrigo set-
timo, quando si celebraron le noze, viveaoo.
Il. La. supplica al papa fu in nome di Caterina e del fan-
I ~ Bi.dice: ~ ed Inche giudice •• G.
I l Ì p"~giudicapa: " pregiudic.....110 appello •• G.
• di "c Il mC44Qrri.,.,: .. ilm!ll1ggiere del re... G.
LlBIO .lWIo.

eìullo, che mai a' padri loro DOn 118 diedono commeuioae,
e ogni false esposto l'aia il .opplicate.
6. AveiefiDalmente qaeste DOze due impedimeoti: pa-
rentela (avendo Caterina consumato matrimOllio COD Artoro)
e giustizia di mantenere l'onestà pobblica, e bastare esser
contrane, quado DOD. &1_ consumato: ma Giolio dilpensa.
la parentela, e non l' onelltà. .
XV. A queste ragieoi, senza pregiudizio dell' appello, i savì
della rema, per non parer di cedere, risposere prestamente.
1. Che qoando il papa volle potersi le noze fare, Tolle
anco potersi fare lo spoosalizio. Altrimenti sarebbe gra.
vanità ceecedere OD ine, e i mezi da conseguirlo negare.
II g,ioviMtto re non potendo menare allora Ia .moglie, la
sposò. Domin, Ile aaebe l'aaello fu mal dato, perc1lè ,la
dispeDl& DOn ilpeeifiea ~'ei si dea, ma solamente che il
matrimollio si contragga: o P,Jr s'intende per nl!ce8Jaria
consegueDJla eoneedutol'accessOrio col principale' I E quando
l'anello. che è matrimoDiÒ promesso, ftlSle mal dato, DOn
.necerebbe amatrimoDio consamato, che pui stare senza
qoello, e la' soprabboDdanza I Doa vizia l'essenza. Anzi se a
qoesto callO uesse pensato chi compilò i eaneeì , arebbe or-
dinato, che ciasebedono prenlleBle la moglie del fratel 800
morto, dove laDto ben pobblico ne cWve88e succedere.
I. L'età d'Arrigo .on fII espressa, percllé non fo neees-
sarìa, non essendo contraria alle leggi, né poteva il pontefice.
supplire al difello di natura, La
parentela si fo etpre888, perché
le noze impediva. Né aneo si poò dire l'età, di-dodici anai non
abile a generare. dicendo 8BD Girolamo, cile Salomone e Acaz
generarono d' uadìeì e di dodici,' Né arebbe, per tale età • non
I In!elldi, È lloTto il =dere doe gli .ponuli forono mal eeetraui , .01 per.
ebi la di.pen.a non fa menUone di eui, m. diee .ol.mente ehe .i pOllono eele.
I.nn le nosle, forse l' .e,,"orio non .egDl il prineil'ale'
S e Itllo".."bbo.~.. r • perà>è I•••pr.Jobooda••••• G. .
I Il' ...liiel • di udiel•• L' i"'f"'"tor GioIltioiaDO, ....1 tomo!! dello ••
hm_ie.i, .ta~ elsa i .....mi, termÌD.ti dodici.ooi, .i Siudicbino lUi' nel
m.m-iD. Talmnuo B.rtolÙlo. medico ...1ebnto, eonobbe in Lioao QDI .en.
IpOl.ta di dieci anni, ebe di dodioifo madre. Lo.Sb_io, nelle _ O,._.io,,',
con di.e..; esempi .""erta, ebe eIconi muohi INnDO potato . . . ptoll di dodici
Inni. Vedi B" ..,Ia. Cent"". V. H. XVI l (!IDI. dell'eoIiliOllll Lioorn".)
• " ... 'fIle etoi: • per I. frioolo '1..liù degli ....i•• C#.
344 DELLO SClSK.l D' INGBILTEBB.l

espressa, il papa, della pace pubblica conservadore t ritardato


una dispensa per lieve causa aprivate persone, non 'che
questa per la pace di tanti regni a si gran principi, i quali
Iddio esalta sopra le leggi. '
3. Disse Arrigo una volta, senza saputa di Caterina,
che non la voleva; l se poi la volse e tolse e tenne e n'ebbe
cinque figliuoli, che vale quella parola f ~ .
4. Il Ianciulìo , dicono'essi, non pensò mai alla pace per
cui fatta fu.la dispensa, perché capace nO/1 n'era. Pure era
d'uccidere,', e meritar morte.. perché non era di desìderio S sl
santo? Ma se non egli, il padre suo vi pensò per lui; sicco-
me per lui- nel battesimo disse, Credo. Viveano, se non le
persone di Lisabetta e d'Arrigo settimo, i loro regni e po-
poli, a cui si giovava r" ma quando la dispensa s'ottenne, vi-
veano dette persone, e Ferdinando re cattolico ancora ; e
le grazie dal di della data, non dell'esecuzione, hanno vigore.
3. Che la grazia non vaglia, perché i padri non ebber
procura a supplicare, è cavillo: perché se il' papa non si
curo di vederìa, non fu necessaria: le grazie vagliono ancor
non richieste: i padri procurano il bene de' figliuoli per,
legge di natura, senza mandato: e i fìglìnolì, che per la me-
desima legge sempre dinanzi a' padri piangono e chieggono
ogni aìuto, qual più chiara procura ne possono fare? adun-
que in.quelle parole della dispensa, «Da. parte vostra ci lÌ do-
mandato, » non è falsità. '
IJ. L'ultima ragione, che parea forte, I erano i due impe-
dimenti; l'esser, per lo contratto e forse consumato matri-
monio, cognata; .e la pubblica onestà; narrati nella stessa
supplica. Or se il papa per la supplica n'ebbe conteza, e volle
e potette con la dispensa disimpedirli, non sono più impedi-

I Di.i. A""~o", cA. DODl.. p.l ........ _Diue&nigo:••cbe DOD l. "olna


°
per moglie: se poi la toloe lo !eDDe, lo D'ebbe eiuque figliuoli; che ....1e più. la
parola'prinll, o lo.di lui fallo pubJ,lico posleriore, p....10 iD ugr.meDlo di Cri~
Ilo; cODfermltodall' ellere .lati iD.ieme llDli anni, lo d. al bella prole l • G.
I ero. d· uccid,,.., .. era del far male.• G.
I nOli ero,. Ili de.iderio: .. D.on di desiderio.• G.
.. III cui l i gio""lIa 0° • Il cui li risuardavi .•
I pareafort.: _ parea più forte •• G.
LIBIlO PUMO.

menti. Che Caterina con Arturo_carnalmente l si congiugnes-


se, cinque conietturelle adduceano.« Erano ambi fuori di
fanciulleza: levati dall'allegreza del vino e delle vivande, a
meza notte insieme si coricarono: s'amavano: erano con-
sorti legittimi: la dimane Arturo chiedèo da bere, per avere
quella notte (cosi disse) cavalcato la Spagna, t regione molto
calda. Il Con pii!. saldeza rìspondeasl per la reina: « Che Ar-
rigo, per la malsania, tenne in quella camera una matrona
per non Iasciarli congiugnere: a la reina, che 'I sapea bene,
fece a Giovanni Tolearno notaio pubblico, presenti molti
vescovi e altri 'testimoni, rogare con suo giuramento, ch'era
rimasa vedova vergine. Disse in giudizio pubblicamente al
re, ch'egli sapea bene averla vergine avuta. Cosa di tanto'
pregiudizio non negata, si presume accettata. Il Aggiungiamoci
noi , • che ReginaldoPolo nel suo libro • indirizato al re Arrigo
ottavo vivente, dice, e ne chiama Cesare pur vivente per te-
stimonio, che esso Arrigo a esso Cesare, quando ad ogn'al-
tra cosa che al repudio pensava, confessò aver avuto Cate-
rina ancor vergine.
XVI. Lessero gli agenti del re una lettera del cardinal
Adriano, che già riscoteva l'entrate del papa in Inghilterra,
I CII,.,.alm,.,. U : .,veramente.• G.
I capalcalo la Sparna. Lat.: ••• Illa noCe. I. callda Hupa.'arum
".«fo•• p.r.".I."'."'fail••. -
I cA. Arrl,o, per la ,.allanla, ten...... • cbe Arrigo tenDe... per nOli
blciarli cODgiugntre,per la infermità e malunia di Arturo: che la reiDaeco - G.
• COla di ta.'o ec.: • e cola di tanto eco - G.
5 Agri_B,.",oclnol: • AilgiaDlliamo 1I0i._ G.
e .el lUO libro. È CJUellò intitolato Pro Ecclul.. •ud"'''. difendo••
Iìbrì qualmor ad Hen,.lcum Ylll .Angli.. re,em. Il Polo, il cui Dome è rin-
rito 6n dagli Ituli protutanti, fu per UDtità e dottrina il più' valido 10ltegno
deIla Chiola cattolica, ia quelti tempi di lciogura. Nacque l'onDa ltellO cbe
Carlo V, cioè del i&OO, da Riccardo Polo cugino del re A"igo, duca di SofFolk ,
" da Margberita, conteala ..riaberieale, dooDa di uDgne tegale. Ebbe la prima
edacuioD letteraria noIle lCOOle de'cmoliDi in Loadra, donde pallò a O.ford,
della cui chio.. fu poi decaDO. A t9 aDDÌ recolli aIlo l!udi.. di PorigiJ. quiDdi a
queDo di Padova, don li Itriose in amicida col Bembo, col CantariDi, col Ca-
nfFa e col Priuli ehe aoa l'abbaadoaò mai più fincbè 9ille. Dopo ciDque aani
ncbiamato in patria, 'foDe prima ..iaitar Roma, comado appualo l'aaao del
Iliubbileo. Arrigo e la Balena 'foleado farne Itromeato delIeloro ..oglie, ritirolli
di aao"O in Padova, don Icrille il libro di cui lopra è fitta meazioDe; e di là
iadiri ..ollo al re , a cui aoa leppe ia altro modo mOltrare afFetto ...ro che col
dirgli liberameate la ..eritò.
346 DELLO SCIS1lLl D'INGHILTERRA

che diceva aver udito dire a papa Giulio, l che non credeva
poter dispensar il matrimonio d'Arrigo con Caterina. Quelli
della reina ne produssero un'altra di esso papa, che ad Ar-
rigo settimo sopra tale proposito rispondeva: CI Noi non ab-
biamo mai negato né dubitato, come alcuni hanno detto, di
dispensarvi: ma risposto, I che volevamo tempo maturo e
consiglio, a per ciò fare con più onore di santa Chiesa e delle
parti. » Per la reina erano i più dotti e migliori uomini d'In-
ghilterra; Guglielmo Vuarano arcivescovo di Conturbia;
cinque vescovi, Cuthberto Tonstallo di Londra allora, e poi
di Dunelmia, Niccolò Vuesto eliense, Giovanni Clerco ba-
tonense, Giovanni Fishero rotrense, Arrigo Standicio asa-
fense;' e quattro teologi, Abelo, Fetherston, Povello e Ridleo.
XVII. Il Rotrense, lume della cristianità, esempio di
santità, sale della terra, dottore della Chiesa, presentò a' le-
gati un dottissimo libro in difesa dèl matrimonio d'Arrigo e
Caterina, con gravissimo parlare ammonendoli, « Non cer-
cassero Il nodo nel giunco, 5 né di travolgere le Scritture 8 di-
vine, o le leggi, già troppo in questa causa ventilate: av-
vertissero molto e molto, quanti mali questo separamento
apporterebbe; odii tra Carlo e 'Arrigo, parteggiamenti di
principi loro aderenti, guerre' forestiere 7 e civili, discordie
nella Fede, resie, scisme, sette ìntìaìte. lo, diss'egli, per
la fatica 8 e diligenza. mia in questo negozio ardisco dire, e
in questo libro lo provo con le Scritture sante, e col sangue
lo sosterrò, che podestà in terra non è che basti a scìorre
l udilo dire Il papa Giulio: • udito papa Giulio dire•• G.
I ma ,.llpollo: • no veramente i ma risposto ee... G.
8 tempo mllturo e consiglio ee.r • ~mpo maturo per ciò fare con maturo
consiglio, con più ODOTe eco • G•
• IIstif8nSe, d'A.ah o IIDt' A.aph. Eùens«, di Ely Della cODtia di CalD-
l>ridge; bllto"ense, di Bath nel Somer.et; roffen.e, di Rochester,
B il nodo nel gì"lIco:. nel giunco il nodo .• G.-Proverbio TerenliaDo e
plaut;llo: vedi Andrill V, "', 38, node.... in scirp« qUairil: e Dei Me ..ecmin,
i, 22, Allcbe EIlDio :
(I...,., ili Idrpo lOIitl ,//Od _ .. _ ....

8 le Scritture: .la chiara verità delle Scritture,. G.


, guerre {ore.tier. ee,r • guerre DOD pure forestiere, e quello che P"Gllio
è t civili, ma discordie eco ee... G.
8 per III fllticlI: • per la graD fatica •• G.
LIBRO PRIMO. 347
questo matrimonio che Iddio ha legato. Il Quando il famoso
teologo, santo uomo, degno vescovo, canuto vecchio, forni
di parlare, quattro nell' una e nell' altra ragione ammaestrati
presentarono un altro libro compilato da loro. Altri tre t ne
furono presentati composti da i tre detti vescovi, Clerco,
Vuestoe Cuthberlo I (questi era per lo re, insieme con Tom-
masoMoro,ambasciadore a Cambrai); e altri quattro dali detti
quattro teologi, tutti in favore .del matrimonio. a E Ridleo,
santo uomo e libero, disse: « Signori legati, la cosa non va
del pari: voi avete fatto dare il giuramento della calunnia,
e di non dire né fare cosa che non sia conforme alle leggi
di Dio e della Chiesa,. a' procuratori della reina solamente:
fatei dare altresi a quelli del re; e io voglio metter il éoUo a
tagliare, se non confessano, che la veri ti lÌ dal nostro. Il Con-
fessaronlo col tacere : e Vuolseo ebbe molto per male tanta
Iibertà, Egli e Campe~gio si guardavano in viso, non sa-
pendo che farsi: tanto era ogni cosa chiara per Calerina. E
pure il re attendeva a soUecitarela sua sentenza. ~ Campeggio
finalmente JlIIrlò risentito,', Non essere un mese che questa
causa cominciò: avere e880 nella ruola di Roma molti anni
giudicato, DÒ mai veduto tal fretta in alcuna causa leggiera,
non che si grave e grande e scandolosa: se già il rompere
il sagramento, disfare un matrimonio 'di vent'anni, far ba-
stardi i figliuoli d'un re, offendere un potentìssìmç impera-
ilore, metter guerra tra' cristiani, disprezare la dispensa del
papa, non sono cose leggieri; a essere risoluto di nOD fulmi-
nare. Il Fu questo parlare 7 del Campeggio da chi benedetto,
da altri, che bramavano crescere per le novità, maladetlo.
Vuolseo la iDleDdevacome Campeggio, ma fingeva d'affret-
f .tltrl Ir. I • Dipoi altri tre. " G.
I c"u,b.rlo, • G1Itbtrtoa. " G.
a IUllll_favor. d.l _1r1_IIU1' • tatti iD favolll eW. .... trimoDÌD. di.
cendo che la acieDn (comjJSi • ...1.....) loro data, •• p.....o uoer cOliforme al
V...p1o • alle ....le Scrittllre. B Ridleo eco " G.
• III IlIlI "ente...": • l••entensa iD 600 f.YOfe. G.
I "..,./i rl..,.tilo r.• parlò •• di&o. " G.
a co.., "Blier; ee.r • COI8 \essitr. l uoere rischio di UD .ol.r flllmiD... t.

l.1I1o poUw " ..caro, qUII". prll!prop_ ., prircipiti


7 qUtlllo fHlrlilrc, • '1l1UtOlibero pulare. " G.
/IN"
'1ueota ....teDn." G. LaL:. dbi q:ad.... cOIl.IiI..... .... iD ra 10111 Bravi,
ÙlCad.,.,. "
....
348 DELLO SCISMA D' I/IGIIILTEIUlA

tare.! Il re, vedendosi da Campeggio condotto alli 30 di lu-


glio, I e ragionarsi delle ferie usate a Roma fino a ottobre,
mandò due duchi, Brandon di Soll'olc e Havardo di Norfolc,
con gran baronia a dir , da parte sua e loro, a' giudici in tribu-
nale, « che non tenessero più al re la coscienza gravata, e
spedìsserlo oggimai.» Vuolseo, che dovea prima parlare, spa-
ventato tacette: Campeggio giurava, li che la corte di Roma,
di cui egli era membro, dal fine di luglio alli" di ottobre
non giudicava: e ogni atto di quel tempo sarebbe nullo. Se
il re avesse pazienza, a gli riuscirebbe ogni cosa. » Replicando
i duchi, « Pronunziate oggi o domane; » e rispondendo Cam-
peggio, « Non esser possibile; » Brandon per adulare il re,
o per furia, battè le mani in su la tavola forte, e disse: « Per
la santa messa, nè legato nè cardinal non portò mai bene in
Inghilterra. »
XVIII. Il papa accettò l'appello della reina:· a VUOI800
e Campeggio ogni ordine rivocò; a Pagolo Capizucca, mae-
stro del sacro palazo, commise, che, intesa la causa, ci-
tate le parti,' informasse. Questo decreto fu in Roma pub-
blicato, e in Bruggìa, Tornai, e altre chiese di Fiandra vicine,
e mandato alla reina, che lo intimasse al re, e a'Iegatì. Ella
per Tommaso Moro I fece dire al re, « che l'aveva, 6 e se egli
voleva che si adoperasse il cursore, o no. »Rispose, li alla
sua persona no; a' legati facciasi l'ordinario. Il giudicio di

I "'aJf~."a~e: • d'lfrrettare la _teD.... G.


I alli 30 di 1..,110: • al Sue di luglio.• G.
I s. il ~e a"II" ec.: • Non dubitava, se il re ave••e pnien.., che nOD gli
riolane ogni eO'I.• G .
• cltat. le pa~tI, In/o~m..... : • e citate le parti, informa••e per un tal
dI.. G. VediPaUaviciDo, Sto~ia d.l Cone/llo di Trento.lib.III,cap. ii, n. 0.6.
I Tomma.o Mo~o• • La regina.i dOVei ben fidare della couggio.a ... i-

• nvole .n.
• .teDia delgnD "Dcciiier Tommuo, che .i era dichiaralo a viao aperto favo-
unLl lede, e aoa -era nit ambilioso nè a~ido del danuo,IAsi spres-
• "Dte del futo • delle ricehe_, e Degl'impieghi .eppe CODaernre. la .ua prio-
• miera inlegrità. Vedi Ja J1'ita .<ritta dal.no nipote, iD principio.• (Nota del-
l' ediaioneLivorneae.)
8 che l'a"."a • che avea taldec:nto•• G. lIlat. ha: • Thomam Mo~..m
ad ~.8.m 1.,a"li. qui dic.nt Papam le,ato~u". mandata ....Iwi•••• 1,-.....-
q..e n".m .t ~elfi"am ad clUUam I" Rota Ip.i•• pd~ p~oc_ato~e• •""'. di-
('end.m ..,OC_.,., id .e maledtui "". liplfic.,.c.l a' ,ci,.d u""una Mnc ,.~

.
'poi".,. ,,'ato~.m a..t et...modi P/Wl/CIUII p~,.co"em "lIncla~1 ",II,t. nle n'••
LIBRO PRIMO. 349
Roma, èome luogo comune piacergli. » E tosto, t aspettando
che a'legati venisse rinovata la commissione, Donsì curo I che
nn uomo 8UO con parecchi della reina, e due notai a' legati,
che dodici miglia fuori di Londra ìnsieme villeggiavano, lo
intimasse,.a e dicesse, «che ii re voleva, che questa causa 81
spedisse a Roma. »
XIX. In tanto, Campeggio ebbe lettere dal papa, che a
Roma se ne ternasse in pèste. Quanto il re, perduta ogni
speranza, se n'infocasse, non si può dire: e dando la colpa
tutta a Vuolseo, primo inventore del divorzio, mostrò gran
segni d'averlo in odio. I'grandì , che lui governante il tutto,'
invidiavano, faUo consiglio, mandaron al re soscrìtte da loro
di molte sae scellerateze, e di seoneie e di laide. n re l'ebbe
care :1 e fece alli 6 di settembre cercar le valigie di Campeg- .
gio, che imbarcava, per pigliar le lettere e scritture di Vuo....
seo; e non ve n'ebbe.' Egli, non sapendo queste cose contra
di lui, andò a trovar il re in una villa presso a 8!lnt'Albano,
e di questo giudizio di Roma molto discorse con lui, e 8UO
consiglio. Stefano Gardinero segretario, che aveva negoziato
questo divorzio in Roma, e credeasi suotrovato, vedendolo
ÌB rovina, pregò Vuolseo che, presente il re e 'I consìglìo ,
chiarisse chi furo i primi aproporlo. « lo 8010 fui, e non
me ne pento, e sarei di bel nuovo, » rìspos'egìì, per grattare
gli orecchi 7 al re. Non passò guari , che il duca di Norfoic per
ordine del re lo ritenne, e forzò a rinunziare, prima la can-
celleria; data a Tomm880 8 Moro, uomo sìngelare, per lirarlo'
I E lodo ee, Lat.: • H~c qDidem ,.e41 dleeh'd, .p,,,"h" ".~o... l'et'
. _••a.elo. IIpad p"p"m br ...1 ejfeCla,.,U'Il, atlegalo,.,U'Il mudll'" ,.eno"a-
,.... "". al".. ea de c"aea, ..Inae InlqtJO animo Id qrllJdagehllla,. l.... c lalit..
I .0••1 ClU'ò. 000 gl' importò;l..ciò ehe aDda.se QDO ec.
I lo inlllllall'J cioè, il elecreto. La G. ha: • iltQllO iDtimas.ero •• ciii..
l' DOIDO del re, che il re .oleva cb. que.ta caDla.i .pedi... io Roma••
• IDi go"'''''''''''' tl tutu», In"ldll,,"no, • lo iD.idi ••allo•• G.
I Il r« r ehh. CII,.. : • Jl re dille che l'ebbe care•• G.
• IIq. l" JI" .bb.: • Don De troTò •• G.
, ".,."..,/l",.e gli o,.eccAl.c. Lat.:. qaod ",ddemITo/...i "e,.h"m4,.,.i_
h. . "'gli. d41.... .... n.mo ipo,."bllt•• Dopo que.IO periodo, la G. aglliuD.
ge: • VedeDdolÌpoi, Del .ole. f..eUargli teDer la porti, .' a••ide cb'esli era ia
i1i.,...i•••
I dllill Il Tommrr.o: • qual, di,de a Tommalo•• G.
• l'e,. 1/,.",./0: • l'n tirarlo dal sue•• G.
Il. 50
8110 DELLO SCliIU. D'INGHILTERRA

COB questo ODOre e utile: poi il vescovadD 1 di VaiD.l.iaton, da"


a Gardinero: appressogll tolse il re quel superbo palazQ cla~
si avea edificato in LOJI.CÙ:l, eon tu.l.tD il preziQiQ arredo: I
finalmente di tutti i lIlIoOi beni dismisuraU spogliato fa, e CGaoo
finalo S nella villa di Aaerien,. e poi mandato Bellasua clWlaa
eboracense.
XX. li re BDndimerw dimora' in ~l p8lll1.ato,. oode:Vuol-
seo gastìga, e sé st.eSllG COManDa. Manda persollaigi a Boma
a dUeBdere qaesta cassa, e tra gli. alU'i Tomm3liQ Crawme-
ro, fatto poi veSCl)'Vo di Conturbia.. Fa SCl'ivere a' feolO!li e
legìstì di tutta Fraacìa, che il 8lIO matrimonio con Catuioa
non sia valido, per intenebrare etI' suoi .corrotti (vedeadosi
veJÙl' contro la Ilenteau.) la ~erità chiarita da laJW. ~ri. I
Avevane dalo la cura a RegillalOO Polo, 6 che al1oA~v.a
con grossa pl'9'VviBioDe a studio iB Parìgi ; il quale 1Mlr la
clùareza 7 delllaDgoe, .doltriaa e hoRla, ci lmdava a rilelllo:
gU fu dato uno del parlamento per solleeììatere; Doa giovò:'!
e per lettere fece sue scuse, g Il re me questa cara a. Gugliel-
mo Langes 10 fl'BllZese: il quale avendo i danari 4el re, piÌl clle
la fama sua. cui, quali dottoriecw e l.eDlogastri potè. c6JB4l8o'
rò. Pietro Ferdiuaado VelleOVO di Brasil, elle aDora ia Parig.i
f P'" il ve8••vado ec.: • po.cil il vucoudò di VÌDlinton donollo I Gardi.
nero.• G.
I co.. '''/10 tI "..H'HO _~ed.: • con tuttA!lo ricche•••• p......... 1WlÌIIo

.1
_~era piao.• G. - n iiapN dice .~le, ..... qooeupaluaoo fll.liau&o
Vo!W> al u.
5 fUI e confinato! R fu confinato. '" G.
• dUaora: • perlinl_1a dimorI•• G.
• dd tonti 8i .. ceri s .. dI laD.lÌcollegi di doUiuimi uamiDi•• Go.
• Po/.o: • Polo illgllilo Go
, Il qlUlI. per la chi ua I • nel quale uomo guqgiluno lo spl..,dore
,a,l ulISlll1a clettriDl e la I>oDLà.. però andawloai egli I rilt.n.tD.atIIi IlnUa ope-

I.
rando, gli fu dato ee, .. Go.
non ,ioVQ : • Dè aadIe 'Plfuo gÌDYò. • G.
, f.ce 8,.. 8C.1U •• Ka od........ che ClIn.,. parl.au.: .. Certo, -.. CIUU
.. favorita da un re sì autorevole lì ricco, dovea trovar fautGri. Delle ICUOII: e De
• tro .... , ma pau/En.aLi cIse fl.".. i; e DomlDellll al prDnti qlllDJ.o speua'url per-
• c1Iè dI Fima, nell' isleuD tuo regno, fu ribuLtata, e i dife...... i nUfO&Illti.t
• nè I . .ebbe t",YaLo ,oltagno in VUUD luogo, IeDal LUI Ieuau ~5ll- Sa
.. questo t'è bisognalo fare iD casa tua, lasciati considerare che luà Ew:tà...
Poi"" Iib. III D. U.to ...
~o Ltln8el: • Langer. lI;t G.
I.IBIlO ...,. 381
c

«I, BDBeI'ITeod. lo .mtt. cl'Amro Gomes sopra qweetomabi-


.tom.,dice:. Certi teelogi per 1lIb0l' degli ogelotti I hanno
"1IM'Vito al dia'folo, e fa'forito il re COIItro alsoo ge'dire; ~ e io
ne ~ etf miei ecchi. »Pietre Leid.. Ill'lIda l teologi
di Cd1enia, etIe 110ft aeoettarMl dnari dal 're, 08DJe oerral-
1ri, per quest. eonto, sm."f9 GionnBi Coetoo 8. Rteoi81'do
Jl.eriSlltDe l~eee, Jl8t'tigiaBO del re, che, t_lite con gnm
'1Inaile di seri",,", e r~ BCriTere DeMi IltQ<H gel'DRlDÌ I per le
ft, come in l'nnicia e Ualia, rispese eeme BalllllDl:«Se vOi
m'empie!lle 'la casa d'ariente e d'OI'O, ,si Mn cootlwnrrei
-da parola d'IMi. '1IIW:.;}) e che (Jtton, OOIlSi~ere del re,
che sollecitò que' cf A.bullg e di ~ a pruft~ il di-
~o, feee tosto in Brussetle fine pe88illla: e pochi di me
qwei dottori che preMIali serill8er& in faver del repedio,
eraDO Tivi. Un oerto Cnco antora fece per dauari seTivere
inaJtre Dazioai: lII01l t-e gti studi di Parigi, Orliens, Angiò,
TfIIosa, Bargies, PadO'fa .f) Dolegna infettò questa peste. Di
maniera dleRegituddo Polo, che tlItto sapea, stnpìsce chè
B re gittll888 "la tante te9oro per pubbliearsi I d'essere stato
TeDt"anni conoubinario. Sleidano ancora, che celebra Anna
per'e8Mlr Interall8.,lICJI'm, che Arrigo oe~ò di quel divorzio
approvazione (secondo che si credette) per moneta. Dello stu-
dio di Conlurbia soscrìssero molti Don principali. Di quel
",'08sooio, i doUi non vi ìaseìavano" meller il sigillo: ma fu
detto, che il re 7 cruccialo guasterebbe il più beH. studio del
D!0ndo. Fu avertito, che tutta Inghilterra· sarebbe dal suo,
f ... gellllll. ErlDO DDI mOlletl di gnll eerse iD Illgbilteru. U lot.: • co...
,.,."" mrurerl6ru d la~tili<nr. rmp",....... tItt:",._1. 'iaq...,.". lIi"lmlt••
L.. rieorc!lt llIdo. Bb.knpelft litI ~a •• tIl Y._bs. Il, 7 t • ·.... 1Ia iD la-
• 8hiltml DDI meaeta d'oro, che ree>l'imprDlltl d' _ fD!Iolel mi qui~ un-
» meDte un aD8iolo celeste.•
I'0""'0 alI" I",,"""," _""I quefto. ftll\l tlllì lIttAo ,eci •• G.
• p .....oIIff:'.di~ ... i.. o..
• ". r."'fUMO• • 11 4.dw-U Itri'd Btllu l'lna... " - _ ...... a~~"
., ... ~I. . . . p"'" 1"'''''''''''.
lar _ _ DII• •I Dft ,.Ii••, ".l bolli qtrid'•
..,[ mali p~"'"...... _ , led qrsltlqaJ4 Do...",_ tIllRrll, Me lo-
'1'"-.• ~ . eep. ~:U'f. .
• ."... ~I"."'i l • prIIni .. r.-. •
'G. _ 'Yril 1h Ehtrm.1lL. nl.'
• IaNfa._,. 1•• ci_Oo • G.
, ctoell re ..., .dIo Il egti IIOll ~i ..._ , it ft~•• G.
• 'ulla rnghi/t"... r • ,.ua l' IlIfliriIl'err.... G.
81$2 DELLO SCIS• • D'INOBILTERBA

Urandovi Reginaldo Polo, tornato di quei di da Parigi; gio-


vane di famosa dottrina, e sègnito di tutta la nobiltà. Frati, I
parenti e amici il tentarono, oll'erendogli il veseovado ebo-
racense, o di Vuintinton, a sua scelta, di trentamila scadi
l'ano:' e poi l'avvertirono, che peasasse a dare al re, che
tanto l'amava, qualclle soddisfazione. Egli a Dio raceoman-
datosi, parendogli aver trovato certo temperamento, lo volle
al re dire; e non potéo formar parola; onde si voltò a spla-
nargli il vero con somma amillà; ala quale ritenne il re irato,
che più volte mise la mano in su l'arme,' che non l'uccise:
e Polo, allora di trent' anni, con buona grazia, e con la me-
desima provvisione del re, andò'a Padova. I
XXI. In favor di questo matrimonio scrissero in Inghil-
terra, Giovanni vescovo roll'ense, Giovanni Olimanno bri-
stoliense, Abelo prete, e li detti 5 sette legisti: in Ispagna,
Francesco Roias, Alfonso Verves, Alfonso di Castro e Se-
pulveda: in Portogallo, Alvaro Gomes: in Germania, Gio-
vanni Cocleo. Erasmo Roterodamo, astuto al solito, volteg-
giò: 7 in Fiandra, Lodovico da Scora, Eguinario Barone, due
Franceschi, Duareno e Connano: in Italia, il Gaetano car-
dinale, e Lodovieo conte di Nugolara veronese: e molli altri

J F,.,.tI. Cr.telli ciel polo.


I l' W10" • l' lino d'enlnll•• G•
• eOR 10m. . . _Iltà eco I • con ogni amiltà, I. quale operò che il te into,
più yolte ee•• G.
• r"...... : • 'I r"gna1e•• G.
I a"dò " Pado"". Ciò oll ... ne per intereusione di poleati .mici cile
pllurono il n. Ed è noteyole ciò che .ggillnge il Ci.conio (Qi6l. Po"tlff. ee..
'\'01.111, pag. 611) I • {.IIIU "'..... Iubi"de ut (tu) Pol_ Ilbl e.rilli_
I.mper ""'.lllft. neqUl le ".q"'''' ill_ odio ""bere fH'11••b etili ..Ir_
te". ""..bilil6Ì"""qUl I.,"'i"","
• e li delli. Vedi c'p. n.
7 ..olu,glò." Fu ",r.meate molto .timobile per 10.111 dottrin. teologica
• Era.mo di Rolterdom l m. le opete cbe iD 'l"UIO gOl1tre pubblicò, '0110 state
" .oggette. gillSteceDsllre, e molte. Poten egli comp.rir Iettento iDaigael e
" meril.....Dte Arrigo VIU COD altri .0.....oDi distiDti lo couiderò tlle, e l'ebbe
" iDsnDc!e .tim., ...",o che ei DOlI cODOSctYO .IC1lDO tn i gnndi, cbe l' OD~
" rasse lIDtOe tonlo l' .81..... Vedi l' Epi.t. i68. NOlI è .dllDque menriglia sa
" 'JlItsto celebntissimo .crillon .i dimoslrò C...oteYo1c alle bram•• ""timeuli
" del re Arrigo•• (NOli dell' ed. Liy.) - Lo Spondono dicedi lui: • ... laill_-
"... cctAolle.1 ,,'d...,.
q_". ...r. ù ••." Cormi 'Dllo incert. Cede <li IDi'f'lUto
molto: " Aov!hlpo, 'PIXOf"ç&<. " BpIXop.o, ~OV!l"plç&<.
-,IBRO ~al.o. ·313
altrove: e va UDa pia~Ql$ attorno di Filippo Melantooe, che
persuade il re a tener Caterina per moglie, e Anna per
c.oncubina. ,
xxu n re, e molti grandi Inghiles! scrìsseroal papa,
.« che) Importando I al regno lasciare unfigliuol maschìo, ere-
",de , spedisse quea~ causa, per poter.torre un'altra moglie••
Rispose, « che la spedirebbe, ma non poteva promettergli
maschio di aeesuna, li) Del mese di settembre il re, per ìspa-
ventare, bandi che DiUDO inghilese né iberniese. s' impae-
ciasse più con la corte di Roma, senza sna licenza. E uden-
dp che Vuolseo in Eborace viveva in pompe e conviti, e
chiedevagli la aua ricca mitria piena di gioie, per: metterlasì
il giorno della resta, lo fece dal conte Arrigo di Northomber-
landa farprigione, I e mandar a Londra, ma egli per viaggio,
in Laneastro, alli28 di novembre'morl di rabbìa,» si av~elenò.·
! I.,.rl...do, .• imporuDdo moko •• G. '
I far pr/glolte. Imputato di l ... m"I~, rispose: Volea.. il eielo ebe o....
·rossi reo piultolto di le.. ma.. ~ di.ioa; cbè ptT piacere al re, mi 1000 fatto 01-
mico del re o di Dio. Nell'&r/co 1'11/ di Sbakelpeare, il e..dio.le 1\11 paato di
abbaodoario la corte iIIlcia. 'Cromwell1llla ItapeDda ed e1~to laioDO .aIIa
falJaQa dell' amaaa Foadeo.. o .ui periioli dell' a",bilioae} o coocbiude coa '1"0-
:.to parole r • O Cromwell, Cromwell, se o.eili lenito il mio Dio 101 collo metà
• del aelo oade bo stnitò il mio re, ei ODa mi o.rebbe rWlo mia .èccl>iun
. " eap91to aado al farore <le' miei aemici. "
I AlIDO -1.530.
• o ai a....elettò: .0 .e1eao." G. Anoi mbrl Ù\fraoto dalle lciagare,. piea<>
di peatImelIto. B lODO risorolalDOl>te storiche qaute parole di Shoka.peare: .' A
• picl:o!egiornate e81iarri.ò • Leicelter, o alloggiò ael DIOoo.tero,cIo.. il re....
• reado padre obbate, coa tutti i laoi religioli, lo ricevè oaore.oJmeJlte. Il car-'
• dUralo gl' iDdiriuò que'le porolo: O mio baoa padre, ua veècbio bottato.dalle
• tempeale dello corte .ieae per ripolare iD meno o .01 le IDe memb.. al!'at§eote.
,. Accord.temi per cori~ ua poco di ten.. Plli li DIÌIo • Jetbi, o pelliora. taate,
'" che la leno DOtte alleotto,· come avei predetto, peatito, gemeado e medilaDdo-
• sempre, .... al moado le digaità, l' auim ••1 cielo, e ai ocWormenril adio
'" pace•• - Il Liagard, meatre aOD toce de' Fui difetti di q....t' aomo, aoa
laleia di aotarne le virtù. Fu .01/t6 e de.tro (esli dico) n.ll. lCieJt.. di .tato:
ardente per la atI~Uo1te dello coroao ÌDglese, sta.. fa..i, più che, taaM>,
colCÌUlaa de.. me..i. Zelò la dilcipliaa del clero e la o.sen.a•• dei, coaDDÌ. Lo-
dato della .quità 1Ie'.noi giaclilii, sebbeae linemeale .,,"to nel si-. Ves1iò-
aulill pace deHo snadi famiglie, M .o!frl fo..o .iolato il diritto de' ponri.
Arrigo aoa r1lppel. . .rgogaò, IOaoa dopo che lo ai fa !e.oto. da tOrlto. Pr....
mOllO !e ~ttere:-foadò colle8i e 1IIli. ...i~, o qae1Ia di Ooford ~. là deLi.
triee cIo1lo 'DI gna<le.... Seppe ogui stpto delle corti .tnaiere; o Itllllib _
l'a,. eqai1ibrare la potea.. di Fraacio • ADitria. Sarebbe ItOtO snade aoìtto,eoa
_o'ambiaioae e più .pirito IIcerdotale.
30'
DELLO SCISMA: Il' INGÌIILTERRA: '

~ " , ' 1I 1. ~ori ne' m il imi giorn i ugli Imo Uvarnno, l


arei e covo di Conturbia, gran favorito re del!:1 reina. 11 re
pens è, i uran sacerdozto ~ dare a chi aiutasse la ua libidine.
Tommaso Dall'no , credulo padre di t nna, lo chiede per Cram-
n ro, pretnzuol 6UO he li Iliceva la messa. A n na fece la
supplica j fu elello , si veramente , che se il papa confermasi e
il matrimonio, euli pronunzia se in contrario: enza spedirn • S
le bolle, e ....iurare ubbidienza al papa (non e . elido i ancora
il r disunilo ) 4 non pol va es er unto ; il val ente uomo fece
recare a nn notaio COli testimoni e lgilli, ({ che giurerebbe G
con animo di non esser 'are ft cosa alcuna contro al re: » e ben
poteasi dir di lui c del re. Qual ~ ua i u a, 1 Inl coltello, Fu ereti-
co, al tem po della rcina ari a ar so: Il si libidinoso, ch e ,
tor nando di Germania , rubò una o tessa: menavalasi dietro
co l arcive c ov o ;~ c, morto rrigo, la spo ò.
, "," IV , Era in quc lo tempo Carlo imperador intrigato
in gu rra terribile in Germania: ove Solimauo, inte e le di-
scordie cristian e , spezt almen te per In reli alon , s'accosta va
con du entomila nli e trecent omila eavalli , c già per l' n-
..heria, }lesia , ustria fallo avca più di tr ent amila chiavi : e
trcma\'u tutta Europa, se Carlo non gli mostrava il viso ben
pr estn munte: e Clem enle v -gli mandò il cardinale Ip polito
de' Medi ci Iq suo nip ote con buono aiuto. Arri go con Anna Do-
I UVQ~Q. o. Vi J ~ODro rme e1 W ;"s''' e sareLù. lo ...,ri,..~ "',,,,r,,oo; co. l
c um· 1'1 I("nt to "'·"oln o e noa ClflOlz co.
t 4 aC t ,..tf (JA' O I '" Ltotfìlio. • Go.
S "rm%a lp~Jl,..".ce . ; ~i~ : E poichè .(I reJtcnlbl1 V ' l'ln 8t.nt~ so tto
l'tllJ'h{Ji,n l~ di Roma, CTah1Il" O non pott ~ f1!lIert' t.Jfl1insto lC!nll" ;unu: eco.
l't'rb il , alrntuomo e . - L' ..cfil. G. dopo ", eontrvrto r l'(llu· uer e Anrura uon
. ' -Cri il re dicLin llto rilH!lIo dC!lIa ellin rcmaua , I~n pedi rn e • •
• anco ra il ret J I.tttnlt o : Il an r ora dieonito G.
l{ , III,-"r"bbtt: " gtl lfl\rel.I.ttJ IOf'lt o. .. G .
O \tc!'et i il Lin~rd J iJ 'J UJ1c ti Ca lOT lJ che Y081inno s illi lifieare a mntro
ru le cliffirili t"Gngiuoture io cui fU{JlO Illl , ri pOll,jr r tt ameute, dJt! i illram uli
n 11' umlnO t"ORl onio ceucrc:ùlu'TO tI' :lVtrr on3 vel lina le ••oLeSle i pr()fn in .co n.
ft ll riziuni C! prnlolt , ignote 11 . r~ r1e I CDi li gu'3nuoo.
'1 QlM'/ ~"'"i"a ee , f Oflo rr o yu l .iJle ehe sis "ifin llnjformi~ d' alfetto di
PCnslcTO lo due: in,)i idui lra let e \.-nll~ga ti pn ndproet intnr si.
, çns ) arti.., COllO; 'lUi ti petto alla llfOptiil disn ilà di Ul rd • • eoyo .
, Cl~"..", . • e papa lWl. ute. .. G.
III Ipp r.tlr..o de' 'JJe~lici. F iglin n.ltunle di Ginlboo Ile' Ml!tlici deciso
hnJl vuu iu,...1 FU ll . fII quell o l rpohto. E 1... i "c'llliaLo il uuutC di 'nasDi-

....,
LIBRO PllDlO. 3!llS
Ba, seoDoaci1rta, pmo tI mare, e abboccossi, tra Cales e Bo-
logna,ciJl Te di Francia, Bdegnlltissfmò" con Carlo, per la ta-
glia dislftie!lta postagli Dell'aceordo di Cambrai per riavere i
figliuoli; mostrandogli che questoera'il tempo di vendicarsì.s
en. tanti \rlIvagIi assalirlo, Non vi era dimcultà, se non che
ti pontefice in questo tempo troppo dlspìacerebbee risolve-
-roDO iIi rermllTlo'con là paura, il mandarono due cardinali,
TOl'IWl'D e Landes,1Ia minacelarìo da parte dell' uno ,e dell' al-
tre, se egli s'attTaversasse lilla loro volontà. Ma Francesco
commise loro in segreto, che, quanto a lui, procedessono con
dolceza, e gfi pròponesaeno il parentado, che poi segui, di
Caterina di Lorenzo de' Medici giovane, con Arrigò duca
d'Orlierill, suo secondo fìgllnolo. E Arrigo, in
dispetto del
papa,efunolllVa Francesco a por decime alle 'chiese, ea la~
'sclarlo sposare Anna qtJiVÌ solennemente. Ma la nuova non
aspettata c!i So'imano rìtirato , 4 e Cesare in lfalia venuto, Ii
levò da pensiero, e Prancesco men pronto rendè alle giran-
dole d'Anigo;· .
XXV. n qual~ 1ot'nato in Inghilterra pensò d'impadro-
nirsi ancora di tutto il ehericato. E avendo poco innanzi i
legati'del papa, per la podestà che avevano (che allora co-
mincìò li. dirsi forestiera), centro alla voglia dèl re prevaricato"
analegge -detta In' inghllese 1hl premunire, 'i fece pronunzlgre

.. fico, resse lo stato di Firenze, dopo che fil dichiarato papa Giulio de'Medici,
• chiamalo Clemente VII. [Vedi SegDÌ, rita tIt Niccolò Capponi,pag.iO.} Ippo-
• 1tlofa""",merato come persoaa ,aslica I di,poco giudicio (pag. ti); ma ciò
• 1IOD oStallt<si aC'luiub molta autorità è grazia appresso ogni ,geale. ~ (Noti
den' edi•. Livornese.) ,
, ,a stlegrrÌlti..lma » • "pe.. ~olo sd'~"'lissìrrio .• G.
t f'endicarsi: " vendic3ni di Carlo ... G.
,'I 'Lanrlu: llPall.~i.ino" Tarbes, ,
" di Solimano ritirato: '" che Solimano .' era ritirato... G.
Il alk giNtndole ti' Arrigo. Lal.: .. ad Henrici constlt« .eq".nda••
••ai 'Pannioino ,StorIa del Concilio dI Trent., Iih. In, capo ii, D.' 3.
• pt"tvrtricato': • prevuicata.•-G.
1 legge.•. De(p~m"nlre, Qutlta ,legge, pn"hli<:ala sotto Riccar,do Il, vi...
ta~, I pena di cotlfiscà e d,i carcere, ~gli e~c1esialtid di èsereitare nel regno l'an-
toritla delewata da, pontefice, rispetto a eoll•• ioai di' beoefici,. lra.lozioni ed
altro, .ea.. lieen.. del re. Giovò di ridestare questa legge, q....;' obliata , •
fine di coglimdn 'fa'llo i leg.h, i quali, sapendo cl' emr VtJ1UU di cons....o del
". bon avevano pens2lo a premunirai d'uDa formale facoltà,
3118 DELio -scISMA D' 1K6BlLTlaaA

i beni de' cherici di tutto il regno ricaduti al fìsco reale. Sup-


pli~aroQo tutti d'essere dal delìtto c9Dlmes80, con qualtrocen-
tomila scudi di pena, proseiolti da 8~ ma~là, per la podestà
somma che avea nel clero, come nell'altro popolo del regno
suo. Con la qual c.lausula I i dollori investirono il re del titolo
di supremo capo della ehìesa anglìeana, E già ileI popolo si
spargea, il papa non vi aver più che fare, e il re aver legit-
timamenteCalerina repudiata: le quali novità i savi eonsìde-
rando , e tempesta antivedendo, si ritiravano dalla corte. e
da'magistrati. tommaso Moro, tra gli àltri in' ogni virtù ec-
cellentissimo, stato tre anni gran cancelliere, domandò licen-
za,dicendosi vecchio, e occupato nello 'scrivere contra gli
eretici: e non durò fatica, perché il re, volendo chi facesse
a soo modo, rifece Tommaso Audleo, morto di fame,l e do-
nolli la chiesa e convento delto. di Cristo, centutta-I'entrata;
e que' monaci per gli altri conventi di quell' ordine, dilltribul.
TI papa, udite queste cose, il folle a amore d'Anigo, e che egli
sposerebbe Anna ben tosto, a' preteriti ammonimenti aggiunse
un breve, che, sotto pena di scomunica, nella causa del ma-
trimonio, pendente la lite, nulla innovasse. Tanto più se n'ac-
cese. E fece in segreto,innanzi di, da un prete Orlando' c~
leb,ar lo sponsalizio ,e la messa. Dipoi tenendo Anna pubbli-
camente come moglie, Caterina se n'andò di palagio a Cim-
balton, villa iJl Belfort di cattiva aria, con tre damigelle e
pochi serventi, a .

I Co. l.. 'I_l cltIfUul.. eco • Coo qoesto clounda, foUo.i mettue Id .rte.
i dottori ee.• G. - Il elere , I.eodo I copi un C'lII1ono iD Caotulm e lID Uio
iD Ehoroce, ,,"COYi ..aduli, mo.t,o••i troppo debole e maleaccorto, 001 la•
. . . .i iD'ÌDuaro quella fonaoll. cIelIl 'l""le oou .icIe o aoa li brigò di ..dero le
_.esuease.
J ",ort. dlf..",.•• Llt.: .11."" ....
",.dlocrl#fort"'II! et 1141d. t"B.m._
. • Il folle: • e Il folle•• G.
• riti mI prete O~ltt.do. Questo p,ete, come aarra il Soadero, CII iDsoo-
Doto d. aao .roccioto ....O.OSOI del ,e, il qule lo a..iearò d' o"n ottenetl la
hcllla poati8cil delllitonìo.• Sia bene che qui sia Iella. di.K il p~ .• LI bolli
.' ~ certo (,oB'lliunK Arriso) mo noa 'lui; e pe' ...., chiuso iD luogo eon '"-
puto da altri che do .me, Doa è onulo che lì I ori bruciata· .... n' ~ea lUori I
pilllinll•• Il prete, flCIDdo i luoi COliti ebe i re Don mentono; 'Ii .olae all' al-
tare t e cominciò la melil. . ,
. s. pochi .e~v."ti, Qui il n....n..ti la.cil 'CIba 1110111 lIia.uui~DI ~"":
Il i ao". pr~Tllit cbe nel matrimonio di Catl'rina aGa tsilte1'IDO i due impedi-
c
. LIB.O P."O. 81r1
XXVI. Alla nuova reina correva per grazie ogn'uno,.1
come avviene. Luterani t spezialmente, i quali favoleggiavano
de' frali; maladivano a il papa, 13 la gran riccheza della Chiesa.
Unodi questi, detto Tommaso Cromuel, a lei gratissimo, ma-
ligno, crudele, avarissimo uomo, fu aggiunto per teno a
Crammero arcivescovo, e Audleo eaneelliere, per guidare
con questo .triumvirato ogni cosa a suo modo; fu falto capo
dell'archivio, primo segretario, cavalier a spron d'oro, conte
d'Essezia, gran cancelliere, custode del sigillo, auditore delle
civili, e vicario dello spiriluale: la republica tutta, come già
a Vuolseo, gli fu data in mano. l
XXVII. Vedendo gli eretici il re poco amico del papa,
e da Anna di resia infèltato, spargevano nel volgo, e per le
corti de'principi, scritture maldicenti de'preti e frati. Una ne
fu porta al re intitolata, li: Supplica de'poveri mendicanti, li>
la quàle:, narrata, e con pungenle reltorica esaggerata la gran
mollitudine e miseria de' mendici veri, diceva, esserne ca-
gione certi mendici' grassi e grossi e oziosi, che col pigola-
menti di .lIinità e di pubbliea oaeltà" d,' quali il re IIIOatreyui Il meticaloao.
ma .he beae eliltnlao .olla Boleaa, per •• gioae dell' useni melcolato .011. IDI-
dre e .on••orell. di Ie.i. B '1Dl1ado il faUo della madre aoa li. YerD, è yero par
tempre che, iD q"II&o hruUo _gOlio, il re ap..tan il mOlceriao e iagollan il
_Do.
I co,.,...,. P'" gr-tuie 01'" IAlO: • coneva ognUDo per B"aie.• G.
I Lllbr"td: • e Lulerani .• G.
• ",.ltldiptnlO: • laeen'YaDo.• G.
• L'romwell ..irte come Wolsey, lao p.troao, da abietta fortua.: prima
.oldato, poi mereaol. iII Vea•• ia, Tornato ia laghillen., Itudiò I.ggi. Wolse)'
te ae yala. ael discierre i moaulOri een....igli p.r la foaduioa. da' 11IOi .0Uegil
doy, fece daalro e troyò gra.ia appo il c.rdiaale. Ebbe aaimo m.ligao. An...v :
dice il Liagl,d, imparalo da Ma.bin.m, che noio e nrtù aOD loa ehe aoml
tlOnti per balocco de' .ollegiali, ma dutili ••hi yuolaollenral aelle corti I A
leatir lui, l'iagegao d'aa graa politi.o Ita aello ICOrgere aUraYl!fIO quel nlo,
oade il priaeipe 11101 .oprire le lue yoglie" ael tfOy.re i ......i più lpediti di
ulisfa.le, aeaaa olFeadere .pertameatel. mor.l•• 1. reUgioDO. Caduto i1luo P'"
troao, lIIÒ tOlto quelta perfida dOllrioa, per aoa cadere een lui, .ome l'odio
pubblico gli delideran. Preaeatolli al re, • prima ......at. l. titabaau e d.I-
l.... de'p ti miDiltri, palpò destremeate la IlI.fo.ola p...ioa. per la Boleua,
e couchiu be aoa poteadoli omai oltea.r auDa d.l papa, .r. tempo di naÌft
.lle rotte, e di far d. I~. Più giocoado aOQ potenao ....re ad Arrigo queate pa•
• ole: però prese ad amare quel per&do, e lo li pOlI DalIUO printo C9D'islio. Di
qui la laa fortuaa •
• melldici: • m.aditlmi. _ G.
1118 DELLO SlBIlA. JY Dd1LTEBBA.
re,S splnntare, e liUti 'lIriifiJ:i, aTenmo ingezata la .metà
de~ d'Inghilterra: e -prepn _ ma8Ilti,« che,come-ne.
rieodi Cristo inlliml, e' p.<ke .de' peTeri, per aiaericordia.
p8l"~ag1isollevuse, diI1ri~a ogni sorte di lIDBÙli
la ... parte de'beDi:i daericid'~DelIuDoia.metll,
• 'BOn so_la dageldesiJna parte di tuffi _~ eltri: ta.:iaIse 11
ioni un per ceDto di "'.0
mmnOiGlID'flUltllDOV. _ con6-
1IC8llIe,' ,el' li aHri Buhic:are. E ~ 4ftll'ao col
sudenl del T01toe, ce. . OOIIIMlda la GeJlllli: altrimenti, lbs-
_o" gastigali. »
XXVIII. Tommaso Moro nsp.se con .n dotto il pI"O:-
du'e iIIn;' e prima ex 'lQepene DOlte &audi e hngie delli
eretiri: pI'fJdiBIe i mali,mediante mo,
a~ 'YÌPJOW ..
false 'CaI.Die -date:' mostrò, l'entrate ele'cheDei .0Il esser
&aDt&; apendersi iD 'Culto dmno, lavorii, _DliBe, pie apere;
~ vero -tesoro deHa povertà in ~ 'JDOno.
~ llell' al-
tro. It NilHlO eretie. gli HPpe replicare.
XXIX. l\aguaJtd&si ii filati, parve al re di faraga.are
l'ubbidienza ancora nelle cose spirituali, fin allora prestata
al pontefice, da tutto il clero: e che, per esser cosa pare
molto nuova,' la proponesse uno dì molla autorità, e Cosse
Giovanni Fisllero vescovo rollèDoll8, attisiimo a e9lld&rla: •
ricusando, rovinarlo, come Anna cercava, $ per la detta BIla
costante difesa del matrimonio di Caterina, fatta di1l3.nzì
a' legati: per la quale Anna gli fece avvelenar Ja peutola': non
",Ile la mattina' mangiare; ne morirono i serTeDti: IO Ric-
cardo I\lseo cuoco il conCessò, e ne fu giustiziato. n Bofl'en-
sa, lldila la volontà del re, e DOn gli essendo da lni 4DUJlell6O
t - de eol ptpl_ • • cbe li ehieMoo pnlati, èal;, dIftlNi, ........ .eoJ
.Itri DOGli, ebe col pigolare ee.• G.
• I..etnle'. "lICine•• G.
• . . c_filCa"e et••• -ne contoetR, per 81i1Iltri_ _.., '. Ii t...tlI-
gm ... _ G•
..fo-- • lino... G.
-. lì'~o. illtitolato • l-i"ellrRt ,.",... ....._ '" "...,..... _
• 4are r • c!llte "llii .emi,.i .ti Dio •• 'G.
" 'Jl- """to " r _ par tRIppe moko aa,,".• G.
• . . - ,A""a C....,o r • il cb. A..... _ V I I •• 0..
I la mattilla : • quella matti Da•• G.
lO ne morirono i serventt « .. i fauti luvi .... nterirauo.• Q..
scusa né dimora, ma deUo, a: che faceva 1 per chiarirsi~ se il
clero l'odiava; e che per levare scrupolo! giUJa8SOllOl cowli-
zionatamenle, se, é in qll.anto la parola d'Iddio lo coucedtlu&:
e COIUIiderato quanto rovìaosa tempesta aar.ehbe a' clLeriti
l'ira del re disprezatoj" e che col tempo e con lo sfogo,.' ~&­
sto folle a.JDIJCe verrebbe a noia. e che ne.n gli maw:heriau
i rimostranJi, che questa ubsìdìensa si dne al polltelìca: »
stretto dalla necessììà, cedendo al tempo, avellOOD.e i dJMt
vescovi Cl"~o e l.eio 5 "(lUi la maggior parta, psauae
gli altri più forti con quella clausula cavi.UoBa. a.liur. .: Ili
dw. poi. pianse amaramente.
xxx. Sciallo dal pontefice, e legato al re, iD cotal ~
il yeSCOl'Q di Conturbia, in un villaggio detto DWlStal, yiciD&
ad Ampti!, dove Caterina era, più volte la citò, e aspeLtQ ia
vano quindici dI.: e poi con viso. barbero comandò al re.
« non tenesse più la moglie del fratel suo, altramente per
dovere di suo ufìcìo lo lIOOIDUllicherebbe: » (dicenti i hJtera-
ni, Cl ve' come ei parla libero al suo signorel benedetta sia
questa nosìra, libertà del Vangelo I ») e ieDteJuw., Cl essere
An:igo per giare divino fol".zato 8 taseiar Caterina, e poter
prendere altra moglie: che già menata l' avea, r come detto » è,

Avvisane il re Ili Francia: e cinque mesi indugia a far.e le


ooze pabhllehe, il sahbatCl'7 uDio, a' dì seUe d'aprile 8 1133.
Ani 2 di giugnO' seguente fu incoronata' Anna .Bolena con la
maggior pompa che reiaa mai.
XXX I A&duooo-'°.le BOVeBe, e eiascllll.O si 8111pHl dolle.I,1
Carlo quinto, allora ÌD Itatia, Pl"eKò il pont~fice a fltme risen-
timento. Egli andando a Marsilia a trovare il re Francesco,
• eIotJfu_~. w ciò fatteU•• G.
S lerupolo: _ CliDÌ ser .. pale. • G •
• dilprft4lD: • dispus.u•• G.
• • CAB lo ifogo: • uogata la lihidillL. G.
l Ld. I • Leio eli Ehorate •• G.
• c1Je,;à ....o.ta /' ""e4: • Arriao P1 mmdaU l' •.,..... Go.
, il ulIhtJlo I • ciò. l .. il .....10. • G.
, IletU aY"j{e~ • ""dici 'pri~ • Go bea'" il laL.: • p/dir: idll4
","m,.•
e flline.roao.ta. VeeliPalla.,iciDO. I. III:' c. i4, Do 7.
iO .bo d,.,.oJIIJ r • Il' .DdarODo. • G.
ti Ilolfa per dol,e lo ahbiam .,edulo aache Del voJa.ri...mento di T.Cllo. '
360 DELLO SèISIIA. D'INGHILTERRA.

d'Arrigo amicissimo, pensò trattarne con lui.' Quivi gli am-


basciadori d'Arrigo ne parlarono I in camera del papa, pre-
sente il re, con tanta arroganza, insino a protestargli di
chiamarlo a concilio, ch'ei si penll d'averlo tanto sofferto: e
a Francesco ne venne vergogna, e disse loro, « che non vo-
leva difendere tal disubbidienza contra le leggi a divine: nel-
l'altre cose sarebbe sempre ad Arrigo buon fratello." » Le
quali parole sono esaltate da Polo. 8peditosi di Francia il
pontefice, e maritata al duca d' Orliens la detta nipote, a tornò
in Italia: dove riveduta, e bene esaminala la causa d'Arrigo
e Calerina, poco prima ch'ei morisse, pronunziò Caterina
mal discacciata, e Anna mal presa: e condannò di scomunica8
maggiore Arrigo, se per tutto il vegnenle seltembre non
ayesse costei discacciata, e Caterina rimessa. 'Esso recatosì
tal sentenza a grand' Ingiuria," bandl,« che Caterina non si
... "atta,.,... COli lui: • seeo trallarDe•• G.
I n. ptlrlarono: • gli parlarcno... G.
S contra I. l,ggi: • cootra la .eligioDe e le leggi.,_ G.
a bllonfrat.llo... .diii, in r.b,.. omnib ... ,.fratr/' animam H.nr/co
t,..
l',,:_lIit,,,.,,,,,,,, led i. ii6 qwe COn ,.,ll,iollem fie,.nat" Mec velli crdqlUlm
alloc;arl. _ Vedi aocbe il Pallavicioo, iu, 111, cap. -14, D. 6, 8.
I la d.tta nipote r .. la della sua nipote. _ G.
8 condannò di scam .. nica ec, BerDioo, Sloria d.lr Eresi., vol. IV, cap. 4.
_ lnitatala IOllèreD" del pODte6cedall' aperto dispreuo cbe EDrico dimostra..
.. alle apostoliche ceDsure, p....to il tempo prescrillo al ravvedimeDto, ed io-
• 'Vano aspettato il ritorno del corriere, che Giovanni Bellay vescovo di Parigi,
_ diIDDraDte allora iD Roma per commùsioae del re fraDcose, come mediatore di
_ quelto grlade affare, aveva spedito ad EDrico, rappresealaadogli cbe il poa-
• teSce Don poteva più Dè.con giwliaia DàCOIl ripLludont differir la lutell&&
• fiDale iD contumacia contro di lui , quando egli per lo IUIIO corriere non mln-
_ dllse o procura 1> lettera COD cui li souepeaes.. al foro del papa; e fiDalmeDte
• trapunto OBni termine noa che di ragione, ma aiaadio di conveaieDla e di
_ panialità, fiDalmeDte giudicaDdo Clemente deboleua d'iotelletto lo aperar
• suggezione, e di petto 1'ular procrlstiBlzioae, nel concistoro sut'enuò, che
• il matrimonio fra Enrico e Caterinaeu valido e fermo, e condannò il re alla
• OllenlD.I di euo, replicando le censure fUlmiaate con dic:hiansione di essen
_ il re d. {acl<> già in esse iocorso. _ Due giorai dopo anivò iD Roma il cor-
riere spedito dal re COD maadati amplissimi di sottomissioDe. ODde ClemeDte fu
acculato di loverebia precipitazioDe iDquesto afFare. Ma vedi il PallaviciDo, lib.III,
cap. iO, D. ! e .egg.; e il Liogard (iD Dota), cbe difeDdono molto bene il papa
da quelta aeeusa.
, • grarstl' Irsgi_ia• • DicODO cbe fu combattuto per qualcbe tempo dagli
- affetti della religione e della riput..iene per l'uDa banda, e da quei dell' amore
• e dell' alteriRi. per l' ahra, Ma questi cbe occupavaDo i due appetiti della p.-rte
LIBRO PRIMO. 361
chiamasse più reina, né moglie d'Arrigo, ma vedova d;Artu-
ro. » Rimandolle (essendo Anna gravida) come privata e
bastarda la comune figliuola Maria, già di 17 anni, princi-
pessa di Uvallia, e dichiarata erede del regno, e famiglia le
diè che spiasse e riferisse chi veniva e andava, ogni parola.
atto e consiglio: incarcerava per cagioni accattate gli amici
di lei. Fra Giovanni Foresta, confessoro, perché sgridò Ugo
Latimero, che sparlava del papa; Tommaso Abelo, Adovardo
Povello e Riccardo Fetesthon, preti teologi, che dltesero Ca-
terina dinanzi a'legati, incarcero, sotto spezie d'aver con
una monaca; che tosto si dirà, trattato contra il divorzio; e
poi con altri molti li fece morire questo novello Erode, per
la sua saltatriee: la quale partorì una figliuola (che poi si
disse, per li molli santi uomini per eagìon sua morti, I figliuola
del sangue) la vilia I della Madonna di settembre 1633, meno
di cinque mesi doppo lo sponsalizio, quando di necessità era •
pregna o d'Arrigo o d'altri:' il che era dubbio per li molti ama-
dori, che Anna poi confessò, e fece secocapitar male. Onde
la reina Maria, che da sua madre e amici sapea grandi se-
greti, non tenne mai Lisabetta per sorella; che cosi fu detta
a battesimo, celebrato in Grenvico in voltabile punto, 8 poiché
l'undecimo mese ne furon cacciati i cordiglièri, 1 e messivi
coreggianti: I e quei rimessivipoi da Maria: indi da Lìsabetta
fatto del convento stanze aggiunte al palazo. Una monaca

.. iDr.riOft, prn.lsero ad ogni rispetto dena superiore.• Pan ..ieìne, loe. cito
L'edizione del G. varia cOli: • H .•. eoatei Don dilcaccillse e CatenDI restituil-
se. Arrigo recato'Yi tallentenla eco •
t eo... r,..a monaca .. che lodo li dirà ee.r • con UDa moDICI trallato di
div,onio', e poi altri molli, cbe 10lto li dirà, rece morire ee•• G.
I pe~ li ",olU. .1111/1,."",1111 ec.: • per li molli ammlumtnlÌ••" G. "
I pillll: • 'riflilia... G.
• q"lIndo di n.c.uilà '~II: • 'l"ando già era di n",... il~ .• G. .
•• 'Passò per Dna d'Arrigo; e per me certamente il IiI, non ostante che
.. ,,' abbia in qualche numero ist orici, appresso i quali segreto d'impenetrahile
.. oscurità è il rinvenire cui ella fosse ..eramentc figliuola; a eagione de' tanti
• amadori che Anna sua madre li trae..a in came'n .• BartoH, Sto,.i!l d- In,hil-
ler~lI, lib. I, c. {.
e in IIollabile p"nto: .. in mal punto. " G.
7 I cordllfll.~I: • i Irati cordiglieri•• G. :- Fra li Francescani dell' o... r-
l'an_a.
I cortggillnl/: i frati Agostioiani.
IL SI
362 D l! LI. O SCISIIA D'INGHILTERRA

tenuta santa , I del la la beata vercine canziana diceva: che


Arrigo non era più re, e sendosi partito da Dio, e che lIlaria
di Calerinn , stimata bastarda, di ragione regnerebb e. Per
lali parole fu condannata a morto con due benedittini , due
cord igtleri c due preti, che credeva no che lo Spirito santu
par lns e in Ici. Il Roffen, e e il 1\Ioro, che t'c nminarono , dis-
sero , non aver saputo cono cerla spiritata , com' i diceva.
Onde al re ,. nnero iu sospetto d'intcnderla ome Ici , e mI
fu il I offen. accu alo: il , uo prete c ' I notaio, e due laici
incar cerati . Cho quella profetas , si vide , quando il regno
loccò il laria innanz i a Lisnbetta, Lo stesso iiorno che l' un-
cilla del Signore andava n morire, i grandi fnron fatti con-
~ . ar con iuramonto dinanzi li Crammero arcive scovo o
Audleo cancelliere: Cl esser le seconde noze le ' illime; L i a-
h Ila, v ra crede del reano: Morill, bastarda esclusa. » 11 l\of-
l'un c, il Moro o alcuni altri, .he non vollon giurare, furou
presi. Gli zoceolant l che ne' pergami Il cerchi gridavano, 60-
stentavano! il matrimo nio di Caterina (spezialmente El tone c
Paitone, iran predlcator ì}, furon cacciali de'con venti, o si tro-
varono in carcere più di dugento.
. . :n. Vedendo il re nun piacere a tulli la sua volon-
là , dilil arò stnbilirln per legge: chiamò li tali a parlamento
il di 3 di novembre 11131 , upendo wervi molti 'vi cerali,
Crammero e "cio ve covi, Gard inero segretario, an one e
altri da lui falli grandi. Il Iìofleuse era in carcere : a Tun-
stalle Dunelmcnse scrisse, che non vi veni se: av va in puuno
la nobilt à nuova l'alla da lui, e luterana : due duchi di èguito
grande, Ca rlo Brandon di Soìfolc, suo cognato, Ili vita IICS i-
m a; e Tnmmaso Avvardo di Norfolc, rran oldato , cattolico,
ma troppo servirlore al re. Il quale lenne poi ernpre in ca r-
cere, c il onte di Surrel, uo lìgliuolo, dlcaplt ò, E a terr ore
• Una l'IIonaca tenuta santa ec.:" Una suora ~i.!iabelta tenuta santa e detta
laheala eco N G~-È questa Elisabetta Barlon, nativa di Aldington in Kent, sulla
quale ecco il giudiaio di Tommaso Moro: .. In buona fede, non trovavo DuIJa
• Delle sue.. parole che meritaJle riguardo o stima. Percbè vedendo che parte di
• elle cadevano iD rima, ed anche, sallo Iddio" assai rossamente , per qualche
• buoa. leDI O c:be vi li scorgeva, UDa femmina semplicissima polea benissimo a
.. mio credere averle dette di suo proprio nDno.• Vedi Liogard, in nota.
I .,.idayano" .ro6tentavano: .. gridavaDo e soslenevan8. " G.
LIBRO PRIMO. 363
degli altri citò il barone Dacres, I cattolico e potente, d'animo
contrario, a giustificarsi d'una querela capitale. Con tali stru-
menti, arti e minacce, il re qoanto volle, da quel consiglio
delli stati ebbe," Maria fu dichiarata bastarda, e non capace
del regno: Lisabetta, erede: al pontefice romano ogni podestà
in Inghilterra e Irlanda in perpetuo levata: chi desse onore o
autorità alla sedia apostolica, di maestà offesadannato: il re,
solo e sommo vicario di Cristo in terra dichiarato, con auto-
rità pienissima di riformar la chiesa, i beneficii dare, tutte
le annate, spoglie, decime, e sussidi tirare. Sotto pena delIa
vita non si dicesse più papa, ma vescovo di Roma: si radesse
dalle carte questo vocabolo: scrivesse ogn' uno dinanzi a' suoi
libri, eziandio di dottori Santi, che teneva ogni parola, sen-
tenza o ragione, inferente che il vescovo di Roma sia da più
che gli altri, per dannata e rasa: 3 a lui, né suoi agenti, niono
scrivesse, né tenesse pratica. Onde non si poteva mandar let-
tere né ricevere, né parlare; dormendo, come scrive Erasmo,
lo scarpione sotto ogni lastra. II re fece alIe tanie " aggiu-
gnere « Dall'imperio del vescovo romano libera 1108 Domine.»
Alli 6 di maggio bandi, che i cortigiani suoi non andassero
in zazera e rasi," come a imitazione e riverenza de' sacerdoti
soleano i gravi uomini andare; esso, come nuovo capo del1a
chiesa, e per parer più sguardevole e giovane, e piacere al1a
moglie, si fece tondere, e galante vestì.
:XXXIII. Di questo ribel1amento dal papa mandò amba-
sciadori al re di Francia, che non li volle udire: andarono in
Germania a' principi luterani, a' quali piacque la ribellione,
ma non la cagtone." Perciò si crede, che Arrigo non si di-
.)

f D4cre6: • Dacrio... G.
, co,..igli» delli .t.ti ebbe: .. eonsiglio ebbe... G.
, per dannata e rtua'; cioè, teneva per dannata, e intende'n che dovesse
esser rasa ogni parola, leDtenza o ragione che e.primene la superiorità del ve-
6CO\lO di Roma. -
.. tante, litanie ..
!I in &a&era e rtui: • lasi e in zazzera... G.
a ma non la cagior:re: .. ma la cagione aborrirono ....-G. Pallavicino, lib III,
e. 15, D. 4: .. Diè CODto di quest" azione a "ari principi cattolici éd eretici: i se-
" condi approvarono il fatto; ma Gli uni e gli altri detestarono la cagione. J pro-
364 DELLO SCISMA D' INGI(ILTERRA

chiarasse luterano, l se ben Lutero gli si raccomandò; e si


rìdisse." Calvinoscrisse 3 contro a questo primato ecclesiastico
di Arrigo: il quale lo fece predicare,' e volumi scrivere:
mandò 'gli alti del parlamento a Padova a Polo, ricercando-
lo, che anch' egli come allievo e parente suo amorevole ne
scrivesse. Egli in quattro mesi i quattro libri elegantissimi
Dell' uniowe della Chiesa scrisse al re, tutti contrari al suo vo-
lere: onde l'odiò, sbandi, perseguitò, uccisegli la madre, il
fratello, il zio,' e tutta la sua casa aftlisse. , .
XXXIV. Vedendo essere in grandissima fede di santità
i frati certosini, brigidini & e zoccolanti, alli 29 d'aprile 1535
fece pigliare cinque santi uomini certosini, che tre eran prio-
ri, e Giovanni Ogtone di Londra, Buberto Lorenzi di Be-
varIa, Agostino Vebster d' Essam; e loro leggere i nuovi
ordinamenti delli stati, e comandare chegiurassono, il re
essere il capo supremo della chiesa. Ricordando essi la di-
vina legge: « Che legge, o nOR legge? disse Cromuelo: giu-
rate chiaro, pieno, affermativo.» Risposero; « La chiesa catto-
lica non insegnò mai tal cosa, che noi sappìamo.s-c-eNon mi
curo di chiesa, disse Cromuelo: volete voi giurare, o no? i l -
I! Non ardiremmo, risposero i martorelli," per piacere al re,
offendere Iddio. » Furon rimessi secondo gli ordini del regno
a'dodici: non trovavano 8 in essi cagion di morte, e non gli,

'. lell"nli avrehbon desiderllo che dichiarasse d'abbracciar la lor sella, MI esli
" Don volla mai farlo iD sua "ila: anzi suhito dopo la sottrazione dell' ubbidienza
..al papa fece bruciar molti eretici: Ò Id irato co' lutenni, percbè essi ripro:va-
• rana quelli rodi ce dalla quale richiedevano CJueato fruIto; O 651012elladottrina
• di quel1ihro ch'egli aveva scritto in coqfutazione della loro; o intento a Don
..alterar il IUD regno, con lasciarlo Della religione antiea ...
• l,de~an.: a )Dlerano pubblicamente•• G.
! si ~id;sse; cio~, delle cose scritte contro Arrigo IlIorcb~ questi pubblicò
il suo libro de' lette sacramenti.
5 scrisse : .. scrisse appresso •• G •
• il quale]» l,ce ec.: " il quale, Don trovando sèguito di fuori, a' suoi co-
mandò predicare e (arne volumi,. e mosse molli; chi pu amore, come, Sansool!.,
Tosso, Morisone ed altri critici; chi per timore, come Garùinero 't: Tonstallo
veseovi di Vintiutou e di Duaelme, Mandò, eco .. G.
5 b~;g;d;ni, deHI regolo di ..DIa Brigida.
~ che tre e"an priori, Manca nella G.
'J i mertorellì r .. i martiri. • G.
'non t,.OYayano: ,. i quali noo trovavano.• G.
LIBRO PRIMO. 365
assolvevano, per paura 1 del re. Cromuelo I comandò loro da
pàrte del re, che a pena della vita gli condannassero ìmman-
tenente: cosi fecero; e furon menati a morire nel loro abito,
non digradati: e con loro, per quarto, fra Riginaldo, brigi-
dino della badia di Sìon, gran maestro in divinità, greco ed
ebraico raro in que' tempi. Essendogli detto, Il gli stati vo-
gliono che tu dica, si o no, o via vadi alla giustizia; » rispo-
se, « questo è ben giudizio mondano: datemi spazio tre di a
prepararmi: » non fu udito; e disse, « io credo vedere i beni
del Signore nella terra de' viventi: » per la via esortava a,
pregare Iddio per lo re, che non si guastasse come Salomone
per amor di donna. Prete Giovanni Hailes fu il quinte mar-
tire. Furonoqueste giustiziefatte aHi quattro di maggio, fuori di
Londra: e, a maggior terrore dì-tutti, alla porta de' certosini i
quarti del priore confitti; e mandati due laici a svolgere i
giovani ad ubbidire al re: ma tenendoli i vecchi; tre di loro,
Unfrido Midelmoro, GuglielmoExmeu e Bastiano Nudegato,
furon fatti stare undici di ritti e fermi con catene a collo,
braccia e gambe: e alli 1.1 di giugno Portati in ceste per
Londra, alle forche impiccati, tagliato il canapo subìtamen-
te ,strappate loro le vergogne dal manigoldo, e gittate in
su 'l fuoco, 'sparati vivi, il cuore e le interiora tratte, le teste
tagliate, squartati, lessati i quarti, e per mostra al popolo in
vari luoghi confitti. Giovanni Rocestrio e Iacopo Valvero
ebbero grazia di essere impiccati solamente: in Eborace
dieci altri certosini, Riccardo Bero, Tommaso Greneo, Gio-
vanni Davis, Tommaso Gionsone, Guglielmo Grenuodo,
Tommaso Serìvano, Bnberto Salteo, Gualtieri Persono, Tom-
maso Bedingo, e Guglielmo Orno morìron di stenti) e fetore
in orribili carceri tra ladroni; e Cromuelo di loro morte si
dolce si battèo l'anca. De' francescani Arrigo n'aIDisse non
pochi: ma non altri, che li detti due giustiziò, per ~on v'es-
ser guadagno; avendogli già tutti cacciati de' loro conventi: o
per amore di Tommaso Urisleo, potente appresso al re; e
poi cancelliere, che gli amavave dava speranza di ridurli.
• .pe,. par,,.a : • per l'ira .• G. '
, C~om".lo. La stampa del Faeeiotto sempre C~/lm"elo. Non l'bo aceet-
t.to, perchè troppo,lontano d.lI' ortografia originale C~omw.ll.
~r
366 DELLO SCISM& D'INGHILTERR&

Tutti gli occhi eran volti nel Boffense e nel Moro, incarce-
rati, primai lumi d'Inghilterra.
XXXV. Moro era laico, gratissimo all' universale: non
produsse Inghilterra per molti secoli uomo si grande: nato
nobile in Londra: dottissimo in grèco e lalino: pratico in
magistrati e ambascerie 40 anni: ebbe due mogli, molti
figliuoli: non curò arricchire: non 'accrebbe cento ducali
d'entrata al suo patrimonio: arse d'amore della giustizia e
della religione, e di scawiared'Inghillerra le nuove resie di
Germania. In quella miseria non faceva segno di dolore:
come faceto di natura, gli altri rallegrava. Diceva, « che il
peccato noi cacciò del paradiso, e incarcerò in questo mon-
do: la morte ce ne trae, e mena all' esamina.» Dubitando
Arrigo, se tanto nemico al suo adulterio dovesse lasciar vi-
vere, o spegnere con tanta sua infamia tanta luce; intese,
che papa Pagolo terzo' aveva faUo cardinale il Rolfense, il
quale non darebbe mai contro al papa, né a sé: I onde deli-
berò uccidere prima costui, per veder se il Moro s' arren-
desse. Alli 22 di giugno' 1lS31J il più dotto e santo uomo d'In-
ghilterra, decrepito e cardinale, fu menato in disamina; in-
di, per non accettare che Arrigo fosse capo della chiesa, alla
morte. Quando ei vide il palco, gittò via il bastone, col quale
andava, e disse, l( orsù, piedi, fate questi pochi passi da
voi: » detto il Te Deum, mise il collo sotto la mannaia. Il
capo si tenne in sul ponte di Londra, infilzato in una lancia:
e tosto levossi, perché il dìceaao parer sempre più veneran-
do, e.fìerire. Fecelo Arrigo a settimo vescovo roft'ense: e lo
diede per consigliere e confessoro a Margherita madre
d' Arrigo ottavo; delli stadi e collegi, ond' uscita questa è

eccellenza di lettere divine e umane, fu autore. Volle Arrigo


l .. , a l'
r • e a sè... G••
J di ,Iag..o t • gi"lloo.• G.
5 F.e,io Arri,. ec.: • Fu consigliere e confessoredella madre d'Arrigo
Mttimo, da 1Isifallo nscov\> rolfeosel e lo diede per coosigliere e coofellore a
Margherita madre d'Aerigo VIII ... G. Il tesIo latino ha: • O,....i,.". ""im "ir-
""",,, Blorlll~ etiam Hertrlci lepUml ',mp.,.ibIU1 il4 celebril e,ztitit~ mC
Ier-eraillim. p,.incipi Ma,.garil«1 B'1Irici ma"';, dildillime _ conIi/iiI et
eo"f'llIo..lb... /a.rlt, 'id.mq'''' auelor aC 4,,,, ."'plillillla eoll.,ia in A e«-
d.mia Call14brIBie,,1i (crcilU lIIIive.. sitati» poste« carlceliarilu etillm fidI)
cOllderef. .,
LIBRO PRIMO. 367
ottavo dargli il veseovado maggiore, ma egli lo ricusò, per
aver a render ragione di minor gregge. Domandato se avea
cercalo o saputo di esser cardinale, disse, l( non aver mai
procurato onori: tanlo meno ora decrepito, in carcere, in
bocca alla morte. » Consigliò,t aitò e difese quel libro famoso,
che Arrigo mandò fuori, De' se'te Sagramenti conlra Lutero,
Del Sacerdozio, del Sacrifizio, de' Sagramenti, la Gerarchia,
ogni parte deUa religione, e contro alli eretici illustrissima-
mente scrisse e predicò: trentatrè anni resse il vescovado:'
quindici mesi la carcere lollerò: quando v' entrò, sergenti
andare a spogliargli la casa, e avvenutisi ad una cassetta di
ferro, la ruppero, e vi trovare in vece di gioie o moneta,
cilicio e disciplina.
XXXVI. Moro avvisalo del martirio del Rotrense, ne
pregò anch' egli Iddio. Vennero in vano molli personaggi a
confortarlo che ubbidisse al re: alla moglie, che dirollamenle
piangea, disse, Il Luisa mia, quanto posso io vivere? venl'an-
ni? che spazio son eglino all' elerno? 3 tu se' mala mercalan-
tessa, se vuoi ch' io gli baralli a quello. » Levalogli da' leg-
gere e scrivere, serrò la fineslra: la sua guaTdiagli domandò,
Il perchè?»~ rispose, Il non bisogn'egli, perdute le merci,
serrar la.bottega? • Scrisse in carcere, due libri elegantissi-
mi, della Coneelazlone, in ìnghilese, e della,Passion di Cri-
sto, in Ialino.& In capo a H mesi domandato in esamina, che
gli .paeessedeììa nuova legge, che il re sia capo della chiesa,
e non più il papa, essendo seguita G mentre era .in carcere,
rispose, Il non saperne niente. 7» Audleo cancelliere, e il duca
di Norfolc, che sedeano i primi, dissero, Il bene; tu la sai
ora; che di? • rispose, « io 80n vostro carceralo, cioè nimi-
co, B e non pià membro della vostra republica, né hoehe fare

I Co~lgl;ò I • co....ò.• G.
I Il Hlcoo.do: • il Brosse IUO1• . . - 1... G.
I 10ft .,11"0 .11' .lfIr..o: • lODO .U'""'01 .. G.
• perdo 1 • percb~ 1111••1 buio! .. G.
5 I.. iIIII.. o. NOD lo fiDI, e rolLò a quelle p.rol. ciel uDselo • El Ini«c-
""'" m..... I.. hl""', J1orch~ fu preso e colldollo a morire. ,
B 811endo ••"dla : do '1De.L1 falla. .. G.
7 .. on 10p.,...... t... IfI: • 000 sapere .....ci Iflllli cotale. .. G•.
a cioè nlmlco: • come Dimito ... G.
368 DELLO SCISM.\ D'INGHILTERRA.

delle vostre! leggi. » A cui il cancelliere, u già la èontraddici,


dacché taci;» Ed ei, u chi tace suole acconsentire. » -
u adunque, diss'ei, acconsenti alla legge?»- uCome poss'io,
disse, s'io non l'ho letta? »Fn rimesso a'dodici del criminale,
e condannato a morte. Allora il Moro, cerlo del martirio, dis-
se non più riserbalo, ma chiaro:' u lo ho studialo questo
punlo sett' anni, se la podestà del papa era di giore divino
o positivo, e trovalola comandala da Dio, così la tengo e
credo, e per lei morrò. )1 - u Adonq,oe, disse il cancelliere,
ti fai tu più dotto, e migliore di tolli gli altri vescovi, leo-
logi, nobili, senalori, dei concilio, delli stati, e di totto il re-
gno? » Rispose: «Per uno de' vescovi, 8 io ne ho cento, e
canonizali: per la' nobiltà vostra, io ho quella de' martiri e
confessori: pèr un solo vostro concilio (Dio sachenle), tulli i
celebrali da mille anni in qoa: e per questo piccolo regno,
ho Francia, Spagna, Italia e tolti gl' imperi cristiani.» Non
parve, presente il popolo,' da lasciarlo più dire: e alli lS di 10-
glio fo dicapitato. 8
f d.ll. podre: • di YOltre. • G.
S mll chiaro. Sandero: " In hune modlUII respondit. Morru~ rd neqrce
fidem Jlegaret~ n'q'" mortis pericrclo teme.,..eltJle~fferret. Quamq"am enim
elld matyrii c'''pientislim''.~t.am'n certo 6C;'II8 hoc USI dOJlIUII Dei; da.
bi"'". perO ("t '.p. dictitabal) "trum De". "ae , ..", gralia do..alur".
e••et, eam .,..espolld'IIdi moderationem ten"iI.•
5 de' V'ICOV;: " de'Tostri ve..covi e teologi... G.
• No .. parve, pr..... I. 1/ p"polo ee.e • Non parve bene lastiarlo dir più,
pre....t. il ~10• • G.
r"
8 dieapUato. NOD so percbè il DanD..li ,bbi, .ome..o il belli.~imo e
tenero episodio della figli. del-Moro, ""001'10 pure dal Sandero, Proveremmi
I ristringerlo iD questa nota .• Tornando dal giudizio, gli fu incontro Mar-
gheril'.ua figliuola, bene islruita d, lui nel greco. Dell'liDo, e all, quale molle
lettere acriue da}carcere. Era con·lei la moslie di Giov.anni Arrisio, stato segretario
del Moro: la quale volendogli pure dire addio , e temendo Don a.er tempo, meu ,
lr' egli na ,bbraccillo colla figlia, presegli il capo e baeiollo e al ehe vollllo.i il
Moro, dilae: • l'OD. è bel garbo; mapur di Cuore.• Rimesso in earcere , non fece
che pregare. ccasolare in Dio l, .'nl' anima su,. 11di av,nli il .uppl;'io, tro-
9110 UB po' di foglio, ",ri... col carbone ,lI, figli,: Marg4.ri'" mia , mi fa .... o
troppo indaglare; ma dopo dOntlJ"'lpe~t) che 1I0Jl .rarò pi4 moi.llo adalc"Jlt)..
'fI"'C"è l", ~a" duid ... io di",ori..e ,di veder« il mio Dio doma ..i, elaeè la f •.
"" di la. TommlllO e l~otlA"aidi lan Pietr-o.Quello ,iomolle Il Dio piaccia l
la..bb« ",011D P'" "' •• (San T.ommuo di CaDlorbery ebbe il martirio d, Enrico Il,
'*
per la dife.a clelIa chiesa). E fu ..,udilo.11 ~"~lio, menato al palco, non poteva
••lin, e voltoli I un vicino, • .FalllDli, dil~.~, quella po'di carilà; aitami
LIBRO PRIMO. 369
XXXVII. Papa Pagolo terzo, udendo le sconeie cose
che faceva Arrigo in Inghilterra, per farlo ravvedere, mandò
fuori una bolla in di 30 d'agosto tlS3lS, dove,·narrato l'auto-
rità sua Suprema e tutte le dette cose misfatte, citò a venire
a Roma a giustificarsi lui o suo procuratore, dentro a 90
giorni, e 60 li suoi seguaci in persona, l a pena di scomunica,
privazion del regno, e di tutti i beni, e d'interdetto,.e sino
a dieci altri pregìudicì tremendi. Avanti al fi~e de' termini,
per nuovi romori nati in Inghilterra, al papa e altri principi
venne speranza cbe Arrigo s'ammenderebbe. Onde tenne
molti anni sospesa l'esecuzione della sentenza in vano; per-
ché egli fece sempre peggior" e, avendo uccisi gli uomini
d'Iddio, lo stigò il diavolo a spogliare i conventi: a dicendoli
pieni di rabbie, di lussurie, d'ignoranza, d'ambizione e di
scandolì; e scopriènsi l'un l'altro; e davati in commende a
uomini di conto. Pubblicò del mese d'ottobre, che voleva
come capo della chiesa visitare i conventi suoi: e mandò
Leio secolare, dottorelloin legge, con questi ordini; cioè, di-
saminare 4 frali e monache: notare i peccati: rimandarne l'età

m~atu IU: dello Iceadere poi lalcia rue a me•• Fiaite le lue preci e detto al
popolo ehe moriva per la fede, e recitato UD mise,.e,.e, .,eane il carDe6ce ebe ,
cbiestogli perdoao, troacò quel ..alo capo. Quella maluaa la Margberilo, per
tempislimo, era per le cbiese di Loadra prega ado e raceado limosiue. Quaado
ebbe fiaito Il danaro; • Me.cbiaa a me (dille alla ra"le) . cbe bo dimeaticoto un
Iensuolc per iavolgere il corpo del padre mio.• Ella sape.. come il eèrpc del
Roflòa .. rn gittala ;gDudo, e cbe DiuDO alerebbe, per paDra, prestar quel ....iKio
al padre: Recalasi a uaa bottega viciaa, per tòrre 8 ered...u il drappo; pertando
la mano aU. tasca, come per dire., Don bo qui danari,. ce De trnvò quello appunto
che era necessario. Di che riconforhta come d'inaspettato prodijio, eorse il ren-
dere il pietesc ufficio al padre; aò alcune alò diltur.barla ••
.. Inpe"lona: .iD'persona,e, maDeando,,, G..
I 8emp~e peggio: • tuttavia peggio .• G.
i,.
I a 8polf/ja~e i convenIi. Bartoli, Sto~ia ti' l''ghilte~~a lib.I, c. L'Dai-
• .....al riguardo, dice egli, (Giovanni Stow nel/a pref; alla Cro•• ) ODde il
• parlamento.' indusle" a ecnsentìre al re Arrigo la podestà d'alienare i moai-
.. lteTi, fu, percioccbè la real camera ne arricchirebbe in perpetuo..... che ne
• •• gul? Occupate dal re quante era tutto il COli guade avere de' mODllcì e
.. d'ogni altra maniera relisiosi, biaolnaron più le!8'i del parlamento a ordinare
.. .contribuzioni ,dazii e gabelle, che da cinquecento anni addietro: e non molto
• apprelso fu necessario consentirgli altri IllIlidi ; e pRII graDdi preltl.Dle' e
mori iadebitato.• - Vedi a..ati il cap. L V. .
.. eioè.l dilamina"" La G. seua cioè..
370 DELLO SCIS~A D'INGHILTERRA

minori di anni 2.4; I alle maggiori l'uscita concedere; a' frati


usciti dare toga da prete e otto scudi: alle monache, vestito
seeolarer? tutte le reliquie, e il sagro arredo consegnarea'ca-
marlinghi, Il dl di san Biagio in parlamento de' tre stati si
vinse, che i conventi da settecento ducati a in qua d'entrata
(perché i più ricchi ebber favori) fossero incamerati. Furon
316, l'etltrata 120 mila: 4 il mobile .400 mila, senza quello
che furarono i ministri: al secolo tornarono oltre a diecimila.
Facciasi ragione-a quanto ascesero tutti i monasteri del re-
gno, che, tre anni dipoi, Arrigo tutti spiantò. Riscotendo
con rigsre questi primi tesori, alcune provincie presero
l'armi.
XXXVIII. Stava Caterina in grandissima agonia per
cotali impietà, per le spie tenutele in casa, per la sentenza
udita, che Foresto suo confessore 5 fosse appiccato, e subito
vivo arso. Ebbero comodità. dì confortarsi per lettere lagri-
mevoli:6 ma egli fu due anni soprattenuto, e i giorni di lei
4 di anni Si. La G. agsiuoge a al ..colo••
I ••colar,: .. secolaruco.• G.
S dllcati: ., .cudi... G.
• no mi/a: a tso migliaia di Icudi.• G.
I Fon,III,GO cont. .....o: a il dolio Forelto .occoiante .no COO&UOIe.a G.
B per teu.... l'B"imiOl1ot;. I~ D.vanuli cb. avrebbe potuto, eia par JlUO,
tradur quelte !ellen' si belle e Il pieIO"~ mette al COlO me di farlo non Lene. Ecco
I. leller. cIollo' regio•. - a Padre mio ven.rando, voi cbe 10)et. consigliar. 01-
• trui t IIOD potete uaer' dubbio MI ciò che vi cODvenga fare iII codelta luena che
... vi.io dala per la can.. di Crioto. Voi b.n sapete cbe, luperoti codesti brevi do.
a lori, 'vi OlpetlO .terno .ere.de. Sarebbe 1I0llo il perd.rla per un po' di lriLo-
• baioDl. Felice ""Di., paclre mio, ab. meglio d' oga' .ltro npete ciò, e che .i ~
• dato 'aire eolÌ beae la ... i.la b.vagliol•. Bea è lDeJCilioa la figlia YOltn, a eui
a . . . . . . nel mlggio, bi50gno il vostro conforlO. Ma voglio aprir.vi, COID' è il
.. mio lolito, il cuore e j)''t'o\o mio: io duidero ,le a Dio piaccil, morir eOD..oi
.. o prima di yoi, a COito di ~IDDque tormento i taoto ro.' è lra.~ il mondo,
.. leDza quelli de' quali Don è degao. MA forse bo parlllO d. seioeca, Se Dio vuoI
• COli, andate pure iDoloai, audate eonggioumeDte e .pianltemi il cammino, e
.. heneditemi percb' io lia degba de' YOltri ..ali dolori. Alpeu.erò, e voi m' al-
a terrei. "'"lIgior gralio. Voi si Dobile,ll.dollo, lì pio lia da fandullonell. re-
.. B0la dell'ulIlile Francesco, yoi nOD avet.e bùogoo ch'io .. 'uorli. Pure,per-
M cb.... porlicolare gteaia di Dio, poler patire per lui, non mi Ilarò di prqore.
M percbè poaaio'" dura.. 'io'1ono fine. Addio, padn IDio v....rand.... ricordivi
a di m. eel mOl1do, ci poi sellÌpn iaDanoi a Dio. a
JI F orello riopo.. :
• SiBDora e figlia mia carissima. La yostn lettera, eonsegoatami da Tom-
a IDUO vOllro, mi ba conaolalo e dato cuore grandem ...te, mentre ..pollo nel
LIBRO PRIMO. 371
abbreviati; la quale nella villa di Cimbalton, per l'aria pes-
sìma, d'aIDizione o veleno, mori alli 2 di gennaio 1lS3lS, di.
sua vita cinquanta, di sua venuta di Spagna trentatrè. Fu
seppellita in Petroborg, Città vicina, con poca onoranza.
Donna. mirabile per santità, prudenza, forte animo: non
volle mai per ingiurie, scacciamenti o pericoli andare in mu-
nistero,,né in Fiandra nè Spagna, chiamata da Carlo;' per
non pregiudicare al matrimonio I infelice. Perchè (diceva ellaI
Arrigo settimo uccise Adoardo Plantagineta, figliuolo del.
duca di Chi~renza, e nipole d'Adoardo quarto, fratello di
esso duca, e fratello della madre di Reginaldo Polo, senz'a1-
tra ragione, che d'assicurare lo stato a' suoi figliuoli, e in-
durre Ferdinando re di Spagna, di lei padre, a maritarla ad
Arturo. Usava dire, « che amerebbe fortuna temperata: anzi
rea, che troppo prospera: perchè a' miseri manca rade volte
consolazione, alli avventurati, quasi sempre cervello. » Av-
vicinandosi alla morte, scrisse al re, che gli perdonava ogni
offesa: raccomandavagli la comune figliuola Maria: desse
a' suoi ministri e damigelle certi riconoscimenti: e che altro
che di vederlo non bramavano gli occhi suoi. l) Fece la let-
tera presentare da Eustachio Capuccio, 3 ambasciador di
Cesare, al re: imponendogli, che i riconoscimenti fussero
ricordati, o fatti da Cesare. 4 Arrigo non tenne le lagrime: e

- doloro cbe il mio corpo .ia seppellito. Percbi .ebbene .0 cbe i beni e i mali di
" qul8giù Don lODO da eontar niente verso hl futura gloria che, ben combatteD-
" do, ri.eleraui in Doi; purela I.oave carità delle volle parole .tnto ehe f. beae
_. 011'onimo mio, tri.t,a alcuna volla .ino Ilio morte , por liman' delll prop<ii
., indegnità e iafennena ; e che la riaba. Dio .i rimeriti di quella cariti t e al-
• tend.te sempJ;l o pregarmi foru do lui io quo) pos.o ehe i yici..... Se ciò faco
_ ciate Co.o che lo farete), oon yj prooda .oll.dtudioo okuoo della mia COIUO'O



di que.ti apaaracclli da fanciulli. oolla cauu di Dio. Ho 6.
no'tormenli ebe mi .on preparati, Non sarebbe do q....ti clpelli bioncbi il farsi
InDi, o da .li porto
queste laae ] predieandc altrui il di.pr...o del mODdo e le yil. citI cielo. Di voi
" poi, sigDora e figlia mia, .i... o e morto Don mi dimeDti~herò mai. PrlBherò la
• misencordi.l divina che .i consoli ed aiuLi secondo la misura de' vOltri ~olori.
.. Voi fate similmente, e mal5imequaudo sarò in quel punto. Dicono cbe ci h
• IO!itre Biorni; però 'f i mando per testamento il mio Roa.rrio.•
I da Carlo: _ da Carlo 5UO nipote•• G.
I al ntatrimonio: • al matrimonio suo.• G.
5 Capaccio: Chopuys.
a flUsero rlcordali, ofalti da Cesare. Non è <biaro: il lat. b.. _ dilUII
l
"

372 DELLO SCISMA D' INGHILTEB.BA

mandò Eustachio a salutarla; ma era morta. Tutta la corte


si vesti a bruno: tutti i principi forestieri le fecero pompose
esequie con orazioni e libri in sue laudì , e maladizioni d'Ar-
rigo e suoi consìglierl.!
XXXIX. Anna sola vesti di giallo, sè e le sue dame,
per allegreza della spenta emola. Ma il giusto Iddio ne le diè
altra peggiore, che la rovinò: conciossiachè in capo a qoattro
mesi il re, di lei sazio, s'invaghi d'una Gìana Seimera, I sua
damigella. Anna, venuto il tempo, partorio nn pezo di car-
J}e;~ e al re che 'I goardava, disse, Il ecco il bel frutto del
ventre mio conturbato, poscìachè io ti vidi tenere in collo la
Giana tua: p e dubitando di non dover di lui più generare,
e por volendo esser madre di re, pensò di giacersi con Bo-
leno suo fratello, non sospelto, 4 e perchè casa bolena regnasse
da ogni banda: ma nè anche di lui ingravidando, Noresio,
Uveslon e Bruerton nobili, e Marco ,uo mosico si tirò in
camera. Non potèo al re occultarsi tanta disonestà. il primo
di maggio 1536 in Grenvico, a una festa, vide Anna gittare
dalla finestra uno sciugatoio a uno de' suoi amadori tutto su-,
dato i! e senza far motto, con tre soli a furia sÌ parti, e giunto
a sera in Londra, cinque miglia lontana, entrò nel palagio
di Westmonaster; il che inteso, ella dubitò: B e la dimane
andandosene per Tamigi a Londra, i sergenti la presero: e

adi,tnsit, ,d si Ht",.iCI&8.1 '1lIod pete!Jatlt,. prO faw,"/is PIO" facer,'.l E,uta.


chi'''' c",.II.,.et Id fI,l Cw,ar prwstll,.et ip,t.l "et Henrtcnm o!ficii/,.edderet
mernOrem••
l Sb.k•• pean, nell'E",ico 1/11T, uou t.mè di far suonare le'lodi di questa
illustre inf.lic. 'alla pr•••n.a della stessa Elisabetta, '
" Glana S~ime"lJ: Giov,anaa Seymour, figlia d'un cavaliered'Wiltshire,
Iella, gentile.d all.gra; loolaoa ugualm.ote dalla spagnolesca gra.it~ diCat.rin.,
cbe dalla fraocese l.gger.... di Anoa. - V.di Liogard.
5 lP pe-a di ca,.ne.le al "e ec.:. UD peZIO di carnea.eaza forma: entralo il
r. a vederlc , ella di...: .. G.
, nOli sospetto: • per lor via sospetto " G.
5 Il primo di maggio (t536) fu fatto a Greenwicb un torneo, do •• lord
Rochford, fratello di Anna, corse la lancia, e sir Enrico Noris tenue il campo.
In uno de8h intervalJi, la regina, o casualmente o a studio, lascio cadere dal suo
hillcoDe un fall.oleLlo,che andò a'piedi d'uno de'combattenti. Egli il raccolse,
e con euo asciugoni il sudore. Ciò UOD isfugSÌ all' occhio geloso del re.- Vedi
Lingard, '
B il ch« inl ..o, ella dl&bitÌ>: • il eh. com' elio seppe, duhitò ... G.
373
pochi giorni dipoi esaminata da' dodici, ehe uno era Tom-
maso Boleno, tenuto suo padre, fu condannata d'adulterio e
d'incesto, e dicollatal alli 9 di maggio,' avendo goduto cinque
mesi non interi il titolo di reina.
XL. Il re sposò Giana Seimera l'altro giorno. Tom-
maso Boleno mori di dolore. Giorgio fratello, e gli altri adul-
teri furono il terzo giorno dicapìtati, Alli 8 di giugno chiamò
li stati e il sinodo: e comandò,· Il ehe tutto il fatto in favor
di Lisabelta d'Anna' contra Maria si stornasse, e riformasse
la Fede, da Anna confusa.& Il Per confermarsi l'autorità nella
chiesa, fece suo vicario generale Tommaso Cromuelo con
particolare sigillo, e presidente del sinodo, benchè laico
idiota, il quale fece fare molli ordinì, ft Che il Paternostro,
Avemaria,' Credo, Comandamentì, e simili divozioni si do-
vesser dire in volgare: comporre un Iibrelto di sei articoli,
con gravissime pene a chi non li osservasse, o credesse:
Il 1. Che nel sagramento 8 deU'eucaristia si transustanzia.
2. Basta una specie. 3. I sacerdoti non si maritino. 4. Boli di
castità, e vedovile vila s'osservino. /S. Le messe essere di
giure divino: in privato buone e necessarie. 6. La confessione
ascoltata, necessaria. Il Ma le membra senza il vero capo
non possono operare. Questi articoli non v~lseFO a levar

• ditolllllil. Lingord, dopo ..or n.rnlo molt. import.nti p.rtiool.ril~ in.


torno .n•••duta cii qDO.l.donn., conobiud. e • n.ll. p.rticol.rità .udd.llAo rend..i
hl punque manifelto, cbe la condottadi A.nna eraalata imprudeote;ch' era diaceaa

• Clall' allO suo gndo J per farai compagni de'suoi lervi; e che ave•• 3.u10 I nebe
D l. debol.... di d.re oreeebi .U. lor dichia...ioni d' .more. M. se .U•• i .rn-
D .ta ... qni, o.i .bb.ndon.....n'impulso del licen.iose desiderio, Il qllesta

• unii. quisliont, cbe mai non ~i potrà Iciogliere. I ricordi del auo proceno e con-
• .,.indmenlo SODO peri li , forlt per opera di quelli cbe ne rilpettarono la memo-
• Ti.: e il DOllro giudicioè tenuto .ospeso tra le cODtradiuorie rappreaea'uD&e:
• de,Ii .mici" llemici 'lIoi•• (Trad. del Gr.,ori.)
I tllli 9 di mllggio: • •lli diciannoee di mISgio•• G. - e ben., per·
cbè Uht. ha:. decimoqlUlrto calenÌlas iUllital.•
a B comandò: __ comodo.• .G.
• Lilllb,utI ti" Autl: • Lillbetta &glillol. dell. Bolen•.• G.
• dtl Altlttl coltflUtI: • Ayendo Ann. il f.llo eonfuso, D G.
I ",olli o,.dini: • certi ordiDi J Il lra gli altri•• G.
, AI'Bmll,.ita ec.: • )' A..emaril, il Credo, i ComaDdamenti.• G.
8 che Itel IlIgrllmtlSlo: • cbl il ngrom.nlo deU. Ell<llrisli., il 1..... 11·
ItanwmeDto è.• G.
JJ.
374 IIELLO SCISMA D'INGHILTERRA

via le resie ne'laici e chierici e vescovi penetrate. Lo viea-


l'io generale, lo stes o Arrigo teneva, conlro a' suoi stessi ar-
ticoli, molte rcsie Ili Lulero e di Zuìuglio: non essere il papa
sommo pastore; non selle , ma tre i sacramenti ordinali da
Cristo , battesimo, cucal'i tia e penitenza: gli altri, aggiunti: I
nel Cunone , in luogo del nome del pontefice, il soo meuevae
tutte le preci per lo pontefice levava: la confessione neces-
saria , ma non da Dio ordinala, leneva: la soddi ' (azione I e
il purgatorio abboliva : ali' ordinare i vescovi diede nuova
forma : onccdcttc a' fra ti non sacerdoti la moglie: a' minori
di 24 ann i, lo sfra tarsi : spogliava le hiese di tutte le coso
di valuta: e in somma di tutte le selle della religione ne rap-
pelava una a suo modo,
XLI, I popoli callolici di Laneastro , Norlum herlancla ,
Curnhria , Dunetme , Ehoraee dispera ti, si misero in armo
più di cinquantamila , col nome di Giesti in rnezo a 1111 ca-
lice ? con l' ostia e alle cinque piaghe nelle baudiere , rno-
strando di voler combattere per la sua fede. I duchi di Nor-
folc e di Solfolc gl' Incontrarono minacciosi: il di della batta-
glia parlamentarono. e giurando il re di correggere o ni
cosa di che si doleano , e perdona re a lulli, si quietarono.
Sollevalisi poi altri per le medesime cagioni, e di questi c-
di quelli dicapilò dal marzo al giugno, due baroni, Dars ìo c '
Ussio: dieci nobili cavalieri. Huberlo contestabile , Tomrnnso
Perc io , Fran ce co Iligoto, Stefano Amelton, Tommaso GiI-
bio , Ticcolò Mllsgrn\'io, Guglielmo Lorneleso , Niccolò Tem-
pestio o Giovanni Bulmaro , con la moglie ua: ei ubhati ,
Fonlnno , Cervìo , Riverlo, Iìarlin go, Sa010, Vualio : il prior
Berlingrone , Buberto Ascho," capo di tulti: cinque saccrdotì
di Lancaslr o• • sette laici. DUI1 ubati impiccò, e varia strage
das ai frati fece. cl qual tempo , forse per divina vend ei-
la, gli mori quel fi ~liuol natura le nato di Llsahelta Dlunla
tanto amalo, c fallo duca di Iìicmundin e di Sornerseto, pro-
- .

I aggi'''Jti'' • aggiunti e minori.• G.


I in m ...
....11. bandiere.• G.
~ un c~licc: • .ill m.llo .11. cia'lae piI._, e colice elIlIl' 0Iti •

S Alche: • Aschio .• G.
LlBBO PRIMO. 378
vincia posta Illevante: I nella quale, perehè s'era per le nuove
graveze e per lo troppo caro risentita, e in altre ancora, rece
crudo scempio: 8 in Londra, di Tommaso Fizgarreto, oOQte
di Gbildar' in Ibernia, con cinque suoi zii, fiero a spettacolo.
Nacquegli alli 10 d'ottobre 1837 Adoàrdo di Giana Seimera,
trattole di corpo per forza da' eeruslchi, onde ella mori. a
XLII. Papa Pagolo terzo vedendo Arrigo aver gasU-
gato Anna, pietra dello scandolo, e dichiarato di non voler
seguitar Lutero, e tanti popoli sollevati abborrir questo sci-
sma, e per le morti di Caterina e di Giana lui sciolto ;sti-
mandolo ravveduto, soprattenne vie più l'eseouzione della
sentenza. E di parere dello imperadore e del re ai Francia,
mandò Reginaldo Polo, ratto poco prima cardinale, 8UO le-
gato' in Fiandra, per trattare di luogo vicino, a lor nome, di
ridarlo à fede cattolica.e Giunto a Parigi, accompagnato da

I " le••,,": ...1I·occideote•• ~. Il Ibto DO" .ccen .. a .. ulla .11. po.i.iooe


........ oli SO""fU'JJ"J m. nraJlle ..te 'lliut. proviacla è .lSlla costl-ulcDoo
tale cieli'fDlIbillerr••
I eMUlar: • Childaria•• G.
~ fiero: • piatoso.• G.
, 084' .II• • • rl. Domaod.to Arriso d.' cenDiè:bi, eai ,.ole'H .huc, ..
la IINIlIlif o il &Slio' I1IlSlio, riapoae l percbè di mosli ..o....e bo Clre.tia......-
che il Darloliraccontache ella fII .. ueeisa :III maDO di cerulicbi, i quali, per ria-
• , . _ l'iaMlice p.rto, poicb4 DO" bastò lo abarnrl., poco ...... cbo ..... la
.. 'parno..o, o..d'ella .p •• imò e fu morta•• Slori. dell·I",hUler,., lib. l.
~ ..... 1.,.,10.P,II.vieiDo, lib, IV, cap........ 4.• Nè per nrità.i .taDcna
• il po..tellce cii procurn. la pa.. clei cattolici. la coo"r1io... dCIii eretici, A.
• 'luc.to IlDO ana mad.to .al pri..cipio dello ."DO (1637) par comporre i di_-
• dùù dell' l"sbilterra Ria-'do Polo, 1ÌIl1DO oli''3io lIIIllue per IIIIdre, e n ....
• rabile per ....a virtà 'lUl.i eroica: il 'lUil...elapdo di CClPII'IIUro alla .ci.ma
• d' Arriso, e.asi ritirato i.. Padova avila printae"ludio.a, povero di facoltà,
• _ ricca d' oSIli dottl'iDL Il pODte&ce poi da qlIC1I' 01llÙln l'ani aoIlento po-
• cbi -.i prima impeo,.vu-te al fll1l"ra dalla p4IIpO.a I e ....11. preMali ciro
• co.ta .... rlputol1o i.tr_lo accODcio per <I.. iD....ati. 11 prilllo, • più d..ide.
• nlo,.i e'a di sud.,.,ar l' a..imo d' BIlrico. uaendo _nto il riapelto i.. lai
• .1 dalll nra .1 dalla fal•• moSlio per la morte d' ame..due, ed 'Ili .corpvui
• aaiaoliio per Ili altimi ••oi editti .....co da·luteraD" 11 MCo..do ialollto, on
• il primo DOD .orli..., era di coaforlaro ..ella costaoll i cattoli"; di quel nome, •
e "f.do c.llolice, Noa ba _"""lo lo Sloidl"o 111' u/&cio.ao, .P....._
oli odiola l......... dal Po14, ••paeCliaado .. _lui aUto maadato dal papa a r_
com .... uereito ch. lOtto ,li ordi..i ciel...odo""" &atallo del Polo, ai acca.l....
al resoo, me..tre Eorico, occupato a 'luict... le iDt••tia. di.cordi•••OD polefl
dif...darai dai lIOD1ici di fuori. v.di appreuo la IlOta 8 della paS.•epaDte.
376 DELLO SCISMA D' mGHILTEBBA

Gio. MaUeo I vescovo di Verona, di singolar prudenza e pra-


tica, e da i più eccellenti uomini d'Italia, fu ricevuto a grande
onore. Come il seppe Arri go, ved endo che Polo in Fiandra
gli gua ter ch bo ogni disegno I sp'e di Francesco Driano in
grandissima dili genza al ro di Francia, chicdeudo gf la per-
sona di Polo, se nuu volevn romper l'amicizia.' 11 re, per
quella non rompere, " venendogli ad IlOpO ' per In uerra Ira
lui c Cesare in crudelita , e da ultra banda si brutta co. li non
fare, fece dire Il Polo, che prestamente e n' andas. c, amando
snlvarsi.! La dimane and ò li Camhrai ne' confini tra Francia
c Fiandra on grandissimi pericoli, per la uuorra rotta . Quivi
seppe como Arri go l'avea bandito ribello con ta glia di scudi
cinquantamila n chi l'uccid e e ," ed era tra' oldat ì in mag-
gior perlculo. " MII Averarao ca rd inale della Marca, capo al-
lora dc' senatori della Fiandra , lo chiamò c accolse sicura-
mente iII Liege, suo vcscovado. " Arri go a' se na lori olTe ri di
lasciare i Franzesi, quattromila fanti pagnti , c depo sitare
allora dicci paghe , se gli duvan l'olu: il qunlo , quando l:iò
intese dal card inale. disse : « lo ho un pezo de sideralo uscire
di cotanti affanni: Arrigo , che lanto il procaccia, altro non
cercn , che paglia re uno stracco , che ' e no vuole ire a 101-
to. • JI pontcflce lo richiamò Il Roma con guardia di oldali
• G io. Jl1 n l(~(J Gi l,nli J che cbl (l;a1 hviciu() Ù (1C'lIlO Il (1' 3ninm li mie;Ii::IIh .
liuimo :tl P olo. t i
'J $r. ne n veievu ,.o",t ,rr·l' am ici&ln . f!all n i<'iuu. tili.IV , c..i , l1. 7: I l AY1'i..
.. u tJllot.j chr ••ieeo m' rsli J ' era Indo tto ~ ulpt.l t:tr ogni n s ' one d i Di.) r l""•
.. trebl.. indurre altrui o violor lo rogiou delle geuti ...
5 per Q"el1a non rompere l .. per Doa la rompere•• G•
• ad uopi>: .. O molto uopo ... G.
I amlUldo la1"a,..1 r .• le ama"a sal'urai•• G.
6 III cl,; r r1ccideIIB• • E pure,51 eome ho ..eduto io medesimo, le commi,~
• •iofli del 11010 erano cOIÌ mansuete, cbe ai fu ..iciao a mostrarle autentiche 'f)li
• Ites.i ministri inglesi, mandati in FraDcil contra di lui: i quali quanto il per-
.. nguill'f'anO per necessità, tanto il compati'uno per umIDità.• Palla"ieiDo,
li\>. IV, e. 4, n. 7.
l 7 p.,.ic%. Cioeouio, Bid. Ponti/o .t Ca,.d., "01. IV, pog. 6Sll: .. Nel:
d'/Flere, qui 8p' tant'e m,rcedil 'a"'"m Ice/tU aggrederenc",·.ln"hU Jlam.
q ... IUllt, q,d id aud.,..nt, ital/ n.m". t"'1 .t ngli duo; ",.0 qaib,u ip..
(,.a,.o-el.m.nlilll 111<.m'plo) intl'''''llit: cwnq... /f'"aUam P,.o /tillIl oblinUiI~
...t, do/uit l, id.m p"o anglll imp.tra... .. on -poll';II., qui ad tr/,..m" da_
JlGtI 'Wlt.•
8 IUO l"lcol'ado. P8Ilo~ieiuo, lib. IV, e. 7, D. ~.
LlBIlO palllO. 377
eonlra il rurore di Arrigo: e il cardinal di Lìege, per lo ca-
rezamento,l fece legato generale in Fiandra. Arrigo non
avendo potato aver Polo, fece pigliar 8'ua madre Margherila
eontessa di Sariaburg , naia di Giorgio duca di Chiarenza ,
rralello d'Adoardo quarto: e senlenziala a morle, per aver
avato lellere dal figliuolo, e' portato in seno la figura delle
cinque piaghe, insegna de'lOlIevali, la dicollò alli 28 di mag-
gio tlUt. La senlenza comprese anco1'1l Gerlruda marchesana
d'Oxònio, Riginaldo Polo cardinale, Adriano Forleseudo ca-
valierell ipron d'oro, e Tommaso Dingleo gerosolimilano.
Quesli due {uron dicollati alli tO di laglio. Preli e similmente
dannati rurono, come avversi a' decreli del re, il figliuol
maggiore di Margherita, Arrigo Polo signor di Monlacalo,
Arrigo CaleDéo marchese d' Oxonio , conte di Devonia, ni-
pote di figliaola d'Adoardo quarto, e Adoardo Nevello cava-
Iierede' conti di Va"ico e di Sarisbarga, e dicollali: e dae
preti impiccati. In qaeste tempo mori Carlo duca di Ghel-
dria, ~an eallolico: succedè' Guglielmo principe di Cleves,
occulto eretico, e sospettante non Cesare gli togliesse lo
sialo, pero collegato segrelamenle eon Francesco re di Fran-
cia, e cO"Germani prinoipi nimici di Cesare, e desiderava
rare il medesimo con Arrigo, e dargli Anna sua sorella per
moglie: il che 'non dispiaceva ad Arrigo, che n'era stimo-
Ilio da Cromaelo, e di collegarsia co' delti principi eretici
nella diela di Smalcald: rinfocolandolo ogni di più conlro
a'.oallolici, amici del papa e di Cesare.
XLIII. Essendo ad~nqde in car.cere Y101li zoecolanti ,
tenati vivi per favore, come dicemmo, del consigliere Uri-
sleo,• e stando forti nella fede eattelìea, ne fece di alcani vari
strazi, per esempio:' in Londra Anlonio Brorbie,' dottissimo
in greco ed ebraico, slrangolare col cordiglio sao: Tommaso
Belchiamo, dOttissimo.giovane, morir di fame: Tommaso
Corto, nobilissimo, di fastidio, In altre carceri del regno, per
" p.r lo .lJr....", ... Io: • per .",rlo •• _ ..10•• G.
I , ••cedè: • ID.CII".• G.
• • di .01l"lJrd: • e colltlla..i.• G.
• del co.Ii,/lerl Url,I•• r • di T - . o UrialeocoDI;,lierede1re.• G.
! per ...",pio r • ad u""pio.• G.
I Brorbi.: • Drorbeo.• G.
878 DELLO SCI8M~ D' lllGBILTERU

fare meno romore, ne mandò ·trentadlie accoppiati con le


manette. n Foresta stato eonfessoro , e dilettillllimo di Cate-
rina, l il più di tulti fiero contraditteee delprimalo del re j
con piil solenne martirIo 8Ildò iD cielo alli U. di glu3D01.38
tra due forche con due catene appiceato per le braccia, e
arso 'rivo a fuoco lento solto a' piedi, COD fischiate. motti j
atti e canzoni d'ignOlliinia, e con un santo di Jeguo.' çhe
fl!ceva miracoli. A Niccolò Careo, Il1O consìglere, capo
dell' ordine di Ma Giorgio e cavalier gerrettiero, dignità
grande S in Inghilterra, e a LioRardo Grai~ vicerèd'lbenlia,
feee tagliar la testa.' Giovanni lamberto zuing1iMo, con-
dannato a morte da Cràtnmero arcifttlOove. appellè IÙ re
come capo dena chiesa: fu rimesso a Cromae'lo vicario, e la
sentenza ·confermata ed eBesolfa, beri che eretiro foe8e. Le

angeli commoventi r MqUa della Piscina, I.


sanle imagini, reliquie e Inem.orie de' martiri, ehe sono gli
cd miracoli le
infermità nostre sanantl , e div• •i, offarle e fabbriche
~randissime oagioBaftU, te.ò, guastò, '8Chanù. quasi idola-
.rie; e gli argenti, lasci, doni e ricc_e di quelle si prese:
deHe quali dlYon,mi famoaè "en' avea DioIte iD Inghilterra,
Valsingamo, Ipsakl9, VigMDia, V'ddeBOn, Conturbia, e aUre:
ma tre prineipali, di BaDt' AlbaDo ~ primo JDUtire dell' isola
BOUO Dioclezi8llO nel 300, del re Edmcmdo DlGIPIo da' pagaai
nen' 8?t, e di 93n Tommaso di Conblmia arCiYel!lCflYO, mar-
tirizato 8OItoArrigo seCODdo nel1171. A questa si difilò,8, 8i
per odio di quel santo che avea clifeIo. 7 contro a quel re Pau-
torità della sedia apostolica, Il perchè nel suo tempio era.
tanto oro, argento, gioie e &acro arredo, che il eamarlinlfO
,del re confessò averlo tirato veDiti 81'C1116 CIlÌ'ra. CoDsiderisi 8
t di Cal,r-;na: • a Caterina•• G .
• e COli rm 1=10 ee.r • e COli 1111. It~... di "fIIIO eIoe l....... troppoeonwe
• pepol. a' au-li. Oltn.~ ,mi di DiII ia_liI/I. .... 0 lIe',uoi • ".' "liti.
• NicecMò 'c...
(O.
5 grande: • gralldi .• G~
I la Iuta: • le test.... G.
S della Piectn«, 10allll. V. .
8 Il dlfilò l .. pOIe l'occhio... G•
., ,ch _ tifi•• ec. r .. eIoe)ll1' .Imil cesio. di ar'lI. lo cbien morl ,
e ,I percblo ec... G . . .
8 ConI/der/II. • Facciali r.,ioa••• G.
LIBRO PIlUlO. 379
quanto di tQlti gli .altri pii luoghi rapì! Questo santo, per
taDti miraeoli ilhJstralo, e più di 400 anni prima canonìzato,
seanonizò: cilò tù suo trillu~ a meglio difendersi: condannò
per ribello; e del calendario de' santi rase il nome suo.t
XLIV. Papa PagGIo terzo , udite queste cose nuove I
. d'Arrigo, il primo di gennaio llSi8 gittò la sospesa scomu-
Dica, e eopiUDse, «avere sperato, che egli si ravvedesse;
ma, vedulol peggiora lo e imbeslialo in tante enormeze, es-
serDeCfllSario queito puzoleBte membro tagliare. D e fu pub-
blicala iD JJruggia, Tornai, Doncherch, (erre dell' impera-
dore; Bologna, Diepa 3 di Francia, Ca~stYe, An4reipoli di
Scozia, permettenti i .loro principi. Del Illese di novembre
Arrig., per con8tlli.. di Cremuelo· 8UO vìcarìo, confiscò lutto
il reslo de' DlQ_leri: eaceiò via qual~ro ordini mendicanti:
e la eme811 di NAlo Agostino, con ero che l" era, al consi-
gliante donò; che ne Ilominciò IIn sçerbo' palagioj.ma non
pi.cqoe a Dio oh,'l 6niMe.
XLV. A,Ui '18 di maggio gli 8lati ve.anero a parlamento,
e stabilirono, ehe il re di tutti i munìsterì di'frati e mona-
che a sua .volontà djspoDell8e, e tuUi i loro beni coufìseasse;
le donne di quattro lQUD,isteri in Londra furon tutte a un
tempo lMlacc:iate: I e DOn si poleva fiatare. Due preti, Un loro
f8JllilUo e UD rra~e, che 1\M)"oneggiarono di questa podestà

• ti no. . .,10. Pallavicil>o, Iib. IV, •. 7. D.ll••artoli, Start" d' I...gllil-


I,,.,..,J Jib. 1 t cap.i·, .. Pose i denti uelle sacre Oasi dell' arei....eseevo e martire
• 'ID Tommaso.•• Sia da tnceDJeJl.IDta e più aUDi prima ucciso..• Nè ri"13ndò
• fa, da eepo la ...... e cita,lo o clife.tleni IDDIOzi 01 nllo ..llIIiJlale, reo di Ieo.
• ..a.. t~. P" lo "Olr"'l'orai ebe ViveDdo ave. fluo .11.
iDgiust· le.gi d' A:r-
• ri«o Il. E non comparito il santo. nclvuc9vO personalmenle a Icolpaneue,
• condaneòllo iD. contumacia ribello; e Icaaoniau,tolo e tattol trarre I mio di
• euaeSee· d'elitra I. gmrde IftO cieli'oro iD ehe Il pela';a, De I.DI••aiò I. Oli'
IO Il ftlClC'lll •• ce..,-ilI9fPte, •. 11 PJmIOIi. aD' ..mOl'\' iD~liqlabil \t.orCHI")a
• IM..,ieu itl. CaDterbury aCliwI.i<ollo al 'SCO, eanclteue v'Dt~i delle mo,-
• Sior aarra; t."uo vllellamento sacro, d'oro e d' argeQto, e. Dobili5limo arre-
• .lo•• - V.di UDa miouta e stupe»da c!escrisiooedel tempio, delle lUI reli'f'llo
• w..ra- rlcck_ ul ColloquIo. d' BnIIDll, iDtitolalll P,,.,,,.;..,,Uo r,/i-
,lo.t. ,rBo. .
". • cOle "'lOpe: .. nuove cose•• G.
I Bolop"_ /)iJJp4: _ BolpsÌla I
• • "p.rbo: • luperbiuimo•• U.
Il.·. (00 •

5 Icacclate: e eaeeiate. " G.


380 DBLLO SCISIlA. D' 11'l0tllLTBaU

sacra del re, furono impiccati, e sqaartati.l'er f8l'8i signore


ancor dell' anime, formò a' nome di tutti i regolari una sup-
plica, che diceva: Il La lnee del vangelo di Cristo, 'mercé
deli, maestà vostra nuovamente apparita, ci mostra, che noi
viviamo in questi chiostri privati della spirituale libertà,
solto la legge, nonsotto la grazia, e per conseguenza in pec-
cato mortale. Preghiamola con ogni umiltà e caldeza, che
liberi le nostre anime da tanto pericolo di dannazione, con
darci licenza d'uscire di questa servitli empia del monaehi-
smo, per potere con libertà di spirito servire a Dio. E noi,
per segno di gratitudine, di buona volontà cediamo, e con-
segniamo tutti i conventi, con tutti i beni, ragioni e aaìoaì.,
da noi sino a ora possednli iniquamente, alIa maestà. vostra,
coi appartengono veramente. Il A ogni convento ne faron
mandate copie a far con' belle parole soscri'ere e sigillare.
Ma non riuscendo, si venne alla fona.
XLVI. Alli 14 di novembre, RiccardoVuitingo di Gla-
seonia e Ugo Ferindon di Rèdingo, abati di san BenedeUo,
e due preti, Ruggo e Oniono: e al primo di dicembre, Gio-
l'anni Reco abate di Colcestre, per non aver voluto 8OSCi-i-
vere, I ebbero la corona del marLirio. Del Vuitingo I narrerò il
fatto appunto, perché bene si conosca il fine avaro del re,
e quel che delle rìeoheze facleno' i monaci, Glasconia é un
luogo d'Inghilterra a ponente: il quale a Giuseppe d'Arima-
tia, seppellitor di Cristo, cacciato di Giadea, solto Nerone
imperadore, venuto con molti compagni in Brìtaanìa , fu
dalo dal re Arvirago, per farri .nn pleeiol tempio allo Iddio
del cielo, l'anno di Cristo cinquanta: cosi racconta Gilda
Britanno, dello il Saggio, che scrisse mille cento anni fa: e
lotti gli annali il confermano.Il re Lucio, baUezato,aeerebbe
il luogo: e Ina principe de'Veatangli, che fa il primo a dare
entrate del regno al romano pontefice, intorno al 740 un
convento magnifico vi .edificò. I re seguenti l'ornarono di
riceheze ampi88ime, e privilegi" chiaD),8ndolo la pl'lma,lerra
de'Santi, Erane abate Vuitingo, quasi decrepito, .d' ottima
f nOlI "fior ",,/,.kJ lo.crl...r. r • oelo nn y.IOI. 101 ilIpplicl •• leri'ere.• G.
I Del r ..itinlfo: • DeI dello Vuili.go•• G.
• {«cimo: • CacevaD.o.• G.
LIBRO PRIMO. 381'
vita e governo. Spesava 1 da cento monaci, che fuori anda-
vano rade volte, e da trecento scolari nobili, in istanze in
disparte, e molti ancora per li studi: raccettava tutti i vian- '
danti, che tal volta erano 1100 cavalli:' a' poveri, che vi con-
correvano, dava ogni mercoledi e venerdì gran limosine. E
così gli altri conventi ricchi dispensavano loro entrate al-
l'avvenante. Vuitingo adunque, laseìatosì intendere, che
non soserìverebhe mai quella supplica, chiamato dal re,
venne a Londra con 120 cavalli, secondo sua dignità, e con
un cavaliere datogli per guardia e spia, in vista di tratteni-.
tore, Non voleva il re parere di forzare alcuno a.soscrivere.
Ma gli fece cercar le scritture: e trovatovi un suo trattato,
come il divorzio non potea farsi, gli fu mostrato, e rabbuf-
fatolne alquanto, detto , « che a casa se ne tornasse con meno
cavalli, e il re gli manderebbe dicendo sua volontà. Il Giuotll
a Vuelle, cinque miglia presso a6lasconia, fu chiamato
dentro a quel senato, e salendo a sedere a al suo luogo, • ti-
rato gìù, e dettogli che si difendesse di ribellione•. Voltatosì
stupefatto a al cavaliere disse:« Che è ciò? perché si fa?» Ri,-
lIposegli nell' orecchio: « Neente: per un poco di spauracchio:
Don dubìtasee.» Ivi fu a sentenziato, e rimandato in G1aseo-
Dia: pre,s~o alle mura gli venne un prete a confessarlo ivi
in lettica, dicendo che doveva morire in quell'ora: non
valsero preghi nè lagrime: fu tratto 7 di lettica, strascinato
sopr' un graticcio in cima del monte, che soprastà al muni-
stero, impiccato nel suo abito.
XLVII. La morte de' tre abati insegnò ubbidire al re, il .
quale.tutti i beni di chiesa si prese, e distribuì alla nobiltà,
vendè, barattò, forzando' eziaodio i cattolici a comperarne,
perchè loro fosse giuoco forza difenderli: comandò che i pre-

t spe.""": • Natri.... G.
, c"",,/lI: •• c....lIo.• G.
5 .. aodo,.,,: • per sed.r•.• G •
• ..l au<> l'"'Bo: • al luogo ouo•• G.
S "olt"toai atupofidto: .otapefauo voltatooi•• G.
8 i"; fi" • qaivi fu•• G. .
, fu tr"tlo : • fa opiDto•• G.
8 ,,"nde, b"r"Uò,/ora",ndo 'c.: • nDdè , ceDll, barattò, • altri cODtralli
fece, fornodo ee•• G.
382 DELLO SCl.1lA D' INOBILTEBB&

dicatori CO' popoli si rallegrassero della cacciata di quelli


importuni, e dello scosso giogo del papa: tutti i conventi,
non perdonando a memorie, magnifieenze, librerie, spiantò,
dicendo, doversi a' corbi (aociò non vi tornino) guastare i
nidi. Ma il. grande Iddio, perché il seme d'Abel ucciso da
Caino eonlinovasse, cioè la professione della vita perfetta,
da Lutero bestemmiata, da Arrige estinta, spirò l'anno flUO
Ignazio Loiola con pochi compagni a nuovo ordine di reli-
gione, che aggiunse alli tre boli, il quarto di andare, quando
i superiori comandino, per tutto il mondo, eziandio aecat-
tando, a sparger la fede cattolica, nè fatiea né stento né
martirio ricusando, e chiamaronsl la Compagnia di Gesù. Ma-
ravigliosa cosa è a dire, in quanto breve tempo sia in ogni
terra uscito il suono di questi uomini d'Iddio: e quanto ab-
bino I fatto in pro della vera fede di Cristo con la sanlità,
con la dottrina, eon.Plndustrla e col sangne,
XL VIII. Alli S di gennaio fu condotta in Inghilterra
con grandissìma pompa Anna sorella del duca di Cleves,
data,' nella dieta di Francoforte di quest'anno, e di Smalcald
due anni prima, per moglie ad Arrigo: il quale, in simili
cose furioso, il terso di tece le noze in Grenvieo; le quaH
pareano di grande aiuto a' protestanti, felicità a Cromuelc,
che ne fu arehìtetto.! utilissime al duca j il quale, collegate
co' prineìpì Germani, con Arrigo e col re di Franeia, la oul
nipote GiovaDBa, nata della reina di Navarra sila sorella, area
sposata, confidava difendere a dispetto di Cesare la Gheldria,
poco fa' occupata. Ogni cosa.! come piacque a Dio, passò al
contrario. Cesare soggiogò i protestanti, Arrigo s'ani con
Cesare, il duca noa ebbe la sJlOIll., e quasi perdute la Ghel-
dria e Giulia,' s'ebbe a raccomandare a Cesare j è Cromuelo
ci rovinò. E perché da più alto cadesse, come volle Iddio,
Arrigo lui fece conte d'Essexìa s dipositarje geBerale: il

• abbino: .. abbiaDO•• G.
I data .•. por mORiio: .. ob.. f..... per...lia <ba. • Go
S archilalt<> r .. arcbiteUore.• G •
• poco fa r .. poco' prima.• G.
l, O,It' cOla: • MaQIDiec.... G.
6 Gi.dla: il dIXato di Giulie .. ; J,.ilacrlm.
LIBRO PRIMO. 383
figliuolo barone: e cinqoe giorni dipoi si fece parlamento in
Londra, dove Cromuelo era il tutte ,' e fece' dalli stati vince-
re, che si stimasse il valsenle d'ogn'Qno,e se ne desse al re
. qoaranta per cento; cosa non mai, udita (e non era ancor
l'anno, ch'egli avea svaligiato le chiese); e che l'ordine de'ca-
valieri di Rodi. nell' isola onico, si spegnesse, e il fisco
pigliasse i beni; onde Guglielmò-VQe&1on, loro gran mastro,
se ne mori di dolore.
XLIX. Furono presi Voilson dottore e Sansone vescovo
di Cieestre, per aver fallo limosina a certi prigioni che
aveano negato a l'autorità del re nella Chiesa. Riccardo Far-
mero ricehi98imo cìttadino di Londra fu condannato per lo
medesiDlo ia taUi i beni, e carcere perpetua. Giovanni Ne-
vello cavaliere a &pron d'oro, perchè cattolico era, e grali~
simo all'universale, fu messo a sospetto, e mentre giocava
col re, Cromuelo, così convenuto, lo invitò a cena; quindi
fu incarcerato, e a ghiado morto. Ad un nobile uomo, asso-
Jato di pena della vita, assente Cromuelo per la gotta, ve-
noto a ringraziarlo, 'disse: Il RingraziaDe i miei talloni, che
s'io v'era, tu sentivi altro suono, scìagurato, Il E perchè
molli altri non gli scappasser dell'unghie, fece fare una leg-
ge, che di maestà danneggiata si potesse condannare qua-
lunque assente, e non udito da' dodici. Bello fu che' egli
appannò nella sua ragna.
L. Anna di Cleves venne a noia ad Arrigo per molle
cagioni. La prima fu, che all'oltima dieta di Smalcald egli
mandò ambasciadori a chiedere approvazione della religione
anglicana riformata, e non l'ollenne: quelsoperbissimo a ani-
mo se ne sdegnò. La seconda fu, che Cesare pa88Ò di Spagna
in Fiandra per la Francia sicuro e carezato: eIl Guantesì
tumultuanti gastìgò , e mise il doca di Cleves in gran sini-
stro e lerrere: e Anigo ia pensiero di rappattumarsl con

I era il ""ID: • tra il DU"'lioriago , 11 gano cii lotti. G.


, (eee... vincara: .. Cece.•• decretare... G.
5 a..,aftO "eIIlUl: .. Degato n'e'VaDO• • 0:.
I Ball.lu d. eco : • Bdlo fa che il mal cODliglio al cOlllillialort prima
Co reo t ch' tlli Ipplaoò odll 101 rete•• G.
• qual ,upc~bt,';m.: • oodt 'lotI loperbiuiDlO•• G.
384 DELLO SCISMA D' INGmLTEBBA

Carlo. La terza, maggior 'di tutte, che, per esser Anna tede-
sca, non saper la lingua né i modi di Inghilterra, non di-
lettava né attraeva il re. Onde egli pose l'occhio a una Cate-
rina Avarda, I e deliberò torla per moglié; e Anna uccidere,
o rimandare; ma prima gastigare Cromuelo promovitore; e
con Roberto Trogmortone suo nìmico I cercando sue macca-
telle," sovvenne, che avendo i protestanti nella. prima dieta
di Smalcald fatto convegna di prender l'armi contro a Ce-
sare, e Arrigo' promesso di sottoscriverla, e poi variate le
cose, promessoa Cesare di no '1fare; di nuovosupplicandolne
l protestanti, ed ei dicendo non voler a Cesare mancare di
fede; Eromuelo, o per segreta commessìon d'Arrigo che te-
mea di Cesare e gli era caro vederlo impicciato co'Tedeschi,
o per quei gratuirsi, la sottoscrisse in nome d'Arrigo: Ce-
sare gli sene dolse,e la scrittura mandò: il re vergognan-
dosi, disse, « Cromuelo averlo' fatto senza sua saputa. Il E
senza dargli le difese, forse perché ei non gli squadernasse
in giudizio le commessioni di questa cosa e dell' altre, alli 3
di luglio, in Eborace, in consiglio del re avendo Cromuelo
mosso certo ragionamento, Tommaso Avardo duca di Nor-
fole gran marisciallo, zio di Caterina, che il re volea spo-
sare, interrompendolo disse:'« Di questo parlerem poi, ora
bisogna trattar di te, scelerato traditore, che hai rovinato
questo regno: vienne in carcere i » e toccollo con l'usata
bacchetta: ei non mori e non rimase vivo: e per necessità
seguitatolo, fu in su la porta corampopolo consegnato al bar-
gello; e per querela d'Arrigo, da'tre stati, il decimo di, per
quattro cose, eretico, fellone (che comprende ladronecci,
omicidi e altre lordure), traditore e barattiere, condannato e
dleoìlato r" in compagnia, per più vitupero, di Gualtieri, ba-

I ,Ap",.d". CIleriDI 6glil di IDrd EdmoDdo HOWlrdDOD .ve. DDlI., dite il


LiDgard, di quelle grandiose forme e di '1uen. digDilà ch' Enrico ave.. fino al.
Iora ricercate. Ma la sua figura, comeche piccola, era nondimeno regolare:quanto
.111 belle,,", voDi.. generalmente riputata superiore ad ogni altra , e per una no-
tevole oDoftvoleua, nitiduza e pudico contegno, prese il cuore del re.
t SIIO ,dmico: .. ed alLri di Cromuelo nemici. Il G.
3 sue maccatelle : Il qualche $UO peccato... G.
• everl»» Il avere ciò. ., G.
8 djcol/alo. Fu il l'rimo condannato per UDI lesse fatta d. lui stesse,
LIBRO PRIMO. 3SIJ
rone d'Ungerford, eondannato di nefandeza.lbeni si vendero
all'incauto :a' servidori disse il re: « cercatevi di miglior
padrone, »11 popolo diceva ogn'un la sua. « È possibile, che
costui, fatto si grande e padrone dello spirituale, in meno
di tre mesi diventasse si gran rìbalde? I Buon per noi che il
re ce l'ha scapezato. È meglio essere del revicariodell'infer-
no,' poìchè Francesco Briano, che tal titolo ha, 3 ii in grazìa;
e Cromuelo; vicario del cielo, e mandato in inferno,·» Ve-
demmo Pempio sopra i cedri del Libano esaltato; passammo
oltre, e più non era.
. LI; Morto Cromuelo, il re mandò dicendo alla sua mo-
glie Anna' (si come ella contava poi alla reina Maria) esser
bene, che il loro matrimonio si disfacesse • per. giuste cagioni
dègnedi rigore," massimamente essendo eretica; ma per
amor suo 7 e de' principi germani trovasseci 8 qualche onesto
colore risoluta e presta. Ella che 'l cenoscea," venne l'altro di
in senato, e confessò d'avere innanzi alle noze del re con-
tratto altro matrimonio clandestino: cosa falsissima. lO Gli stati
disfecero il parentado, dichiarando Arrigo libero di tòrre la
quinta moglie: l'ottavo giorno tolse Caterina Avarda, .nata
di fratello del duca di Norfòic, contra alla legge sua propria
(che è bello sentire) passala in que' di nel consiglio, «che
doppo un matrimonio contratto per parole di presenza, con-
traendosene altro per simili parole, e di più consumandosi;
questo compiuto, e non quel contratto, Il valesse: contro alla

I Il gran ribaldò' _ argun ribaIdof Tal sia di lui•• G.


I delr /nferno: _ di ninferno•• G.
I wl tu« ha : _ tal titolo aoea, come dicemmo•• G •
• iII irtfer-no: • in ninferno.• G.
lJ il loro matrimonio li di'faceSI•. Tra le Grazioni raccoltedal SanloYino
Te n' b'a una che fingesi della da Anna din.nai al re, a 5ne di rimuooerlo da que-
ata'risolulione. Vol. l, pagg. bi-70, edi•. di Lione i8"i.
. 8 cailoni degne di rIgore: • c'gio~i degne ond' egli polrebbe contra di
lei procedere.con rigore. • G.
, per amor lUO: • ri'pello a lei•• G.
8 t,.ovluleci: .. trOVllStli•• G.
g cA.·1 canascee : • che bene 'I cbnolc"•• G. .
ID. co'a/a/lillima: • c••• falsis.ima, secoade che roi affermò Maria•• G.
Il qlUl contrailo: • quello contratto, _ G.
1/. 33
386 DELLO SCISMA D'INGHILTERRA

ragioD eomane, che vuole, 1 clteil conlel1tir faccia il matrì-


monio, e non il conslWlare. E pure questo legislatore contra
di sè, il matrimonio d'Anna consentito, e già sette mesi
corapìnto, disfece, con volontà solamente di lei per paura
mentita.
LII. Erasi Arrigo spalata ta. casa di Boleni,' di Cro-
muel0, e degli altri eretiei: liberato da ADna, e da' principi
tedeschi: )nelùnava all'amicizia di Cesare: aveva' moglie di
famiglia assai cattòlica;e nondimeno, per non parered'aver
erralo, o d'accettare consigli, o per tener l' impe~o eeclesia-
stieo, s'.ostinò a per8el!uitare' i eatèelie], E alli 30 di laglio
lreteologi, Tommaso Abel(), .Adoardo Povello, e 1\iccarcfu
Feterstone, che già difesero taterina,e era Don confessa-
vano ponteflee il re, con tre eretici z8iDgllani, DorM, Ghe-
rardo e Girolamo, acroppiati per più dispregio, un catto-
lìeo e un eretieo per graticcio, furono slraseinati· pèr lo
piaze al supplizio maggiore. Vederidoli un eortigianobistìe-
darsi e aborrirsì, e udendo che morivano gli uni per difen-
dere, gli altri per' coDkastare la rede cattolica:« In fede
buona,disse, io voglie da ora ianaozi credere 'come il re,
cioè in nulla. Il Per dare qualche sesto a1Ia religione, gl'impe-
riali fecero·dieta in Ratlsbona, presente Carlo: dove il papa
mandè il cardinal ContaTeno, e il re d'Inghilterra Arrigo
Cnevetto, e Stefano GaMinelO ambasciadori, vedeooOl!i
molto dispiaces:ea'cattolici een l'adierire a' protestanti, e poco
gradire a questi con l'accettare il nuovo vangelo fredda-
mente: e rimordealo la coscienza (che gli antichi disser va-
lere per mille pruove)a ripigliare con Cesare, e col ponte-
fice la fede cattolica. Ma perché volea farlo, salvo l' QDOre
della sua maestà,ciò era non confessare pùbblicamenlc il
sue peccato, non, farne penitenza, non rendere beni di chie-
sa, cose contro a' canoni e, alla saìute ' dell'anima, niente
si fèo.·
t cfre l'M/a, cfre ec.: • cbe il 'coDseDlir faccia il matrimonìo , e DOD il con-
iUm;ale• • G.
I di Bole"l: • d.i Boleni. • G.
5 .. perleguilare: .iD p'''''llllÌlare•• G.
• Itdau: • sal.aaione. " G.
5 fio: • feee, "G. .
LUIBO PBUlO. 387
LUI. Caterina Avarda non U100ra due anni slatamoglie
del re, da lui stesso d'adulterio accusata e convinta, fu uc-
cisa con Tommaso Culpepero e Francesco Dirramo, amadori
suoi prima che il re la togliesse. Onde il. consiglio, perché
più Don s'errasse, fece una legge, « che quando il re pren-
derà IlDa moglie per vergine, che non sia,.né al re sr mani-
festino ella e gli sverginatori, si panìseano tutti di maestà
offesa. J) Prese la sesta moglie, Caterina Parra, I vedova del
buon Latìmero, sorella del conte d'Essexia, poi marchese
di Nortanton, beata peI' ciò che il re prima che per eretica
(come si dice ch'ei volea) l'uccidesse, mori.
LlV. ~a qoe&t'anno tlII2 la éristianità in grandis-
sime gaerre. Franeeseo re di Francia coDegatosi con Cri-
sterno-re di Dania, Gustavo di Svezia e Iacopo di Scosla,
assaltò Cesare con cinque eserciti. I protestanti in Germania
Jilresero l'armi. Soliman Turee gran gente mandò d' ..l(f.rica
a' daenìd'Halia e Spagna e in persona avea preso Ruda con
tutta Ungheria: minacciava l'Austria, la Transilvania e l'al-
Ire regioni d'intorno:' tutto i mondo parea unito contro a
Cesare; AITigo prese il tempo," e offerseglisi, e fnvolenlierl
accettato. Alli 23 di gennaio si pubblicò re di tutta Irlanda,
con dispiacere del re di Francia, e più dì Scozia, che una
parte vi pretendea. QII3Ur:oeenlo anni sen'erano i re d'Inghil-
terra, concedendolo i papi, chiamati signori solamente. Per-
ciocchè l'anno 1160 AdrinDo papa quarto iaghilese, avendo,
prima che papa fosse, con la sua santa vita e dottrina con-
nrtito alla fede di çristo due regni, NorVegia e Svezia,·con-
verti ancora Irlaada: tutta diè8i 3 al romano pontefìce : né
altro signor supremo avea sino al detto anno riconosciuto.
Ma i molti snoì tiranneHi straggeadola, parve a' popoli, per
viver in pace, d'ubbidire a uno: ciò fu Arrigo secondo, re
d'Inghilterra (che poi martiti7.Ò san Tormnaso di Contur-
bia) entralo allora in Irlanda con grosso esercito, il quale
insieme .eo'vescovi e grandi dell'Isela ~upplicarono ad Adria-

I Par.a. CaleriDo Porr, ~cIo... dd lor Lalimer.


S prese il tempo: • 1..1.equello wupo .• G.
Stati" di'li: _ che lu!ta cli. ..i. _ G.
388 DELLO SCISMA D'INGHILTERRA

no, « che per pace! di quella «: regola della religione, per le


continue guerricciuole pestifere scapestrata, spezialmente
ne'matrimoni, avendone già Arrigo presi alcuni luoghi con
l'armi sue e de' suoi capitani, Ruberto Fiz e Riccardo conte
di Chepston, I lo investisse di tutta Ibernia.» Il pontefice ol-
tre alle dette ragioni, per essergli s1 lontano regno di 'più
spesa che utile, gli. esaudì, sì veramente che Arrigo e tutti
i re futuri, lo tenessero e riconoscessero come donato dalla
sedia apostolica, e governasserlo in' certi modi. La qual .do-
nagìone passò per due diete di Dublino e Caselle, e dichia-
rato fu con giuramento, Il il re d'Inghilterra esser signore
d'Ibernia per autorità apostolica. » Non osservando i re se-
guenti le condizioni, e i popoli trangugiandosi, S e spezial-
mente Adoardo secondo, che cacciato ne fu:· essi ricorsero a
papa Giovanni ventiduesimo, franzese, intorno all'anno 1320;
il quale ammonì Adoardo, che osservasse i capitoli, e ne li
mandò copia. Male adunque gli osservò Arrigo, che senza
riconoscer Ibernia da santa Chiesa, se ne fece re.
LV. Arrogatosi questo nuovo titolo, bandì la guerra a
Francia e Scozia: rinnovò il perséguito de' cattolici, martì-
rizando all'entrar di 'marzo, per averlo negato snccessor di
Piero, Gardinero tedesco, segretario del vescovo di Vintin-
ton, e Lareo parrocchiano ghelsense, e prete Giovanni ir-
landese, cappellano del Moro, e un altro detto Asbeo. E non
ancor pieno I di tanti danari e gioie e vasi 'e croci e calici e
paramentì d'oro e d' ariento, 'e tanta suppellettile e preziosa e
stabili ,e lasci e ragioni e azioni di tanti luoghi "pii, e d'in-
torno a mille munisteri, oltre alle annate, legnami, ferra..
menti, piombo, sassi che ne cavò e vendè, e di tante 'grave-
ze, poste più che tuttigli altri re insieme da cinquecento anni
in qua, come mostrano i l,ibri pubblici,'senza fare una gra-
zia, una limosina; onde per le città crebbero l'un ven~ i
I pc~ pace » a per la pace. N G.
i Chcp.ton l • ChtpltoeS. ~ G.
• t,.angUgia"d08i .. • maltrattando.• G.
• che cacciato nc fu l • che per lo malllovemo eaeciato De fIL • G.
5 E nOn ancor pt«...o 0<': • E l' ......riai••ccrebbe iD infinito ••neDI. che
DOD ancor pieno eco • G.
D • tanta ."pp.lleIlUc l • •ltr. suppellettile • G.
LIBRO PRIMO. 389
mendici: fece tutla la monela del regno, a lega d'undici on-
cie d'ariento fine per libbra, porlar in seeea , e la rendeva
ribattula a lega di onciesei, e quattro, e dua finalmente,-e
dieci oncie vi avea di mondiglia. Oltre al detto non più udito
balzello de'quaranla per cento, pnose l'anno del suo re-
gnare 34 uno accatto, e l'anno seguente un' amorevoleza
(così li hattezò) che fussero secondo lo slato di ciascuno ono-
revoli. Ma i cavalocchi I a lor volontà le ponieno, e riseo-
tienocrudelmente: e guai a chi replicava. Bìceardo Rede,
senator di Londra, perché disse I troppo è, »fu mandato,
a ciò inettissimo, alla guerra di Scozia, dove fu preso. E
Guglielmo Boc, cavaliere e senatore" per simil cosa fu in-
carcerato. Andando ad assediar Bolognain Francia con gran
tesoro, per accrescerlo, alzò il pregio delle monele d'oro e
d'ariento: riscosse agramente quanlamonela potè,' accattò,
rastrellò, e la ribattè peggiorata di nuovo il quarto ; e per la
buona, la trisla rende, E trovandosi utile questa, taecola,
sempre, mentre, visse, peggiorò la moneta. A tutto nondi-
meno dava fondo, e, sempre slava abbruciato. Verificando
appunto a il detto d'Isaia: Ecco l'argenlo luo .' è convertilo in
mondiglia: i principi tuoi .ono infedeli, e compagni di /adroni.
LVI. Per miracolo divino, tutti gli adulatori d'Arrigo,
e ministri iniqui, da lui, per cui peccarono, furono gastigati.
Cacciòdellacorte,' e mise in carcere a vita Tommaso Avardo
duca di Norfolc, invecchiato ne' suoi servigi di guerre e di
negozi, che avea procurato il divorzio, il condannare il Rof-
fense e il Moro: e dicapitò Arrigo suo primo figliuolo, conte
di Surrei, di singulari virtù: non per colpe loro, ma stigato
daUi eretici, per levarsi dinanzi cattolici lanto potenti: e
Tommasoprimogenito di esso conte fu da Maria ristaurato,
e da Lisabetta ucciso; e il figliuolo e 'l fratello stette in car-
cere.' La progenie di Soll'olc tutta fu spenta, come si dirà. E
I I CII.lIlocchi: -Ili uuuotj•• G. LIl.: _ elJtllctorel••
I potè: _ poteo •• G.
I appati lo : • a capello.• G•
• Cllcclò del/II corte ec.e - Tommaso Avardo duca di Norfok, ia"ecchi.lo
ne' suoi lenigi di guene e di negozi, e che avea proeunlo iI divorzio. il condili-
nare il Rofl'eDu e il Moro J cacciò della corte e mise iD carcere a .ila .• G.
a ,'eUe in CArcer,: • teDuti iD carcere.• G.
33·
390 DELLO SCISMA D' INGIIlLTERU

detto è come capitaron male Vuo1seo cardinale, eagion mo-


,

vente: Anna Bolena, eagion finale: Graio, Careo e Utton,


consiglieri: Tommaso e Giorgio Boleni, patteeipanti: Nores,
Bruetton, Vuesto, Smeton, aiutanti; e Cromoelo, ministro l
maggiore. Crammero solo, vescovo di Conturbia, che sen-
tenziò, l. la divina Providenza serbò ad esser da Maria,
figliuola di Caterina, per traditore dello stato e per ereti-
co, arso.
LVII. Essendo Arrigo caduto in malattia disperata, co-
minciò con alcuni vescovi a ragionare, che modo ci sarebbe
a riconciliarsi con la sedia apostolica, e, mediante lei, con
gli altri principi cristiani. O severa giustizia d'Iddio a chi
sciente pecca, o nel peccato dorme profondol' La preterita
sua crudeltà non lasciava dirglisi il vero: on vescovo te-
mendo di non esser tentato, rispose,« Voi sapete più di
tntti gli uomini: avete cacciato il pontefice per divino cODsi-
glio e delli stati; perché temere? » Il ve800VO Gardinero gli
disse in disparte, Cl che per cosa si grave ragunasse gli sta-:
ti:e se non v' era tempo, lasciasse scritta la mente sua:'
a
bastare Dio la volontà, quando l'effetto è impedito.• Par-
tito il vescovo, circondò il re la turba de' parassiti, che, per
non perdere i beni di chiesa che tenevano, se al papa ~n­
desse l'ubbidienza, lo persuasero a levarsi tal rispetto del-
l'animo. Fece nondimeno il lerzo di gennaio, venticinque-
simo avanti sua morle,la chiesa de'zoccolanti aprire, spazare,
dirvi messe, curar l'anime: e il vescovo di Rochester, limosi-
niere del re, laudando in pergamo la sua pielà e largheza,
mostrò la carta d'una donagione di mille ducati d'entrala
alla città di Londra in sussidio de'poveri della parrocchia di
san Francesco, e dello spedale di san Bartolommeo , che gli
é a canto, e di due altre parrocchie, di san Niccolò e santo
Eduino: con condizione che, di queste tre chiese, una se ne
facesse, intitolata« La chiesà di Cristo fondata dal re aArrigo
ottavo. » Questa gran restituzlone di tanti maltoJti fece Arri-
go iD IU '1 morire: che fu il dì 28 di gennaio 1~.f6 in Loadra,
f m;lIi,lf,.o: • Ilromento.• G.
t .",,,'ens;ò .. • senteDziò del divorzio. ~ G.
I f."~~'~ d.1 re,~.: • dal re Arrigo VIII fondata •• G.
LlBllO P1lJ1I6. 891
quando Lutero morìfn Germania, e due meli dipoi I Fran-
cesco re di Francia. Amò le Illttel'e, favorigli lICienliàti: il
sagramento delf altare alloro, e, prese, in una specie: Mrebbe
cattolico stato, se non era I libidìnose e prodigo: ogni donna,
che punto beUa f088e, voleva: era di sottile ingegno, grave'
giudicio: spesso ebbro. Ad Adoardo sostituì Maria nata di Ca-
terina, e non Lisabelta; segnale di qUaltenea legittima. Per
la dannosa gola, di bellissimo giovane ,si grasso e sconcio
uomo divenne, che non entrava per le porte, né BBli.va a le
scale. Visse anni clnquanzeir 18 smogliato, 26 senz' altra
moglie che Caterina: negli alteì dodici n'ebbe sei: due ne
dicollò: la terza nel parto sbarrò: due fte rimandd: la sesta
non fu a tempo a uccidere. Avanti al repudio non fu sangui-
DOSO: pochi plebei e due soli nobili fece morire, Edmondo
Polo conte di Soft'ok, per ordine del padre moriente, come
sediziosò; e Adoardo Buchingamio, per compiacer a Vuolseo
cardinale, suo nimico. Doppo il ripudio e lo scisma, il ma-
eello de' nobili cittadini non ha novero: trovanti DWati ne'li-
bri tre relne o quuttlO: due principesse: cardinali due; e uno
condannato: duchi, marchesi, conti e loro figliuoli, dodici:
baroni e cavalieri; diciotto: abati e priori, trediei: Crati e
preti, settanzette: altri nobili e plebei, infiniti. Nota Il car-
dinal Polo, « che di Arrigo i più intimi erano al pericolo più
"icini,» come si vede in Vuolseo, Comptono, Noresio, Cro-
muelo, Boleni, Avardi e altri mollissimi. Regnò :f7 anni, ,
mesi, 6 giorni: '2t cattolico, lS ambiguo, gli altri seìsmatìcns
Per consiglio delli stati fece testameator lasciò eredi prima
Adoardo nato di Gìaaa Seimera: nel seeeedo luogo Maria di
Caterina: nel terzo Lisabetta di An'na Bolena: nel quarto,
cui toceasse per legge comune, Sediei tul~i lasciò al figliuolo
di nove anni con egual podestà, quasi ottimati, ehe loedacag..
sero nella fede cattolica, fuorché rendere al papa le chiavi,'
I "". ..ui dipoi: • due _ i doppo.• G.
• •• "0" era: . . . DOD COSia stalo•• G.
I Il• •ali~,,: ••è .. Iir polo.... G.
I IcU."'ico. ~edi p.n•• iciao , Iii>. 111, cap. ili, o.li. 6. 7•
• l. c'i.... : • I. chie.... G. 11 Dartoli ltae dal libro d'Arriso ... i Ielle
....ramenli uo bellratlo luUa polouà pootifici., cb.. 000 è i.opportuoo a IjU<Ile
luogo. ÌI Malcolo, dic' egli, come nGa. ItDtiue riprenc!trai, per non dire amen-
392 DELLO SCISMA D' lNGRIL'Ì'EBIlA

e tenessero d'eresie t netto il regno. Di sepolcro nobile


non l'onorarono essi,né Maria, per lo suo scisma: né
Adoardo né Lisabetta, come inumani. Polo lo li protestò t in
vita con l'esempio del superbo Assur in·Esaia.a Alcuni po-
tenti produssero altro testamento falso, dove Arrigo lasciava
il regno, doppo i suoi figliuoli, non a Margherita, prima-
figliuola cf Arrigo settimo, moglie di Jacopo re di Scozia,
cui toccava per le leggi di esso regno, ma a Maria, seconda
figliuola di esso Arrigo settimo, moglie fu di Lodovìco ! re

.. tirai, da se medesimo, che pur Del suo libro de' ucnmenti contra Lutero,
• provando la mooarchi. dell. chies. univers.le co.tiluita nel rom.no pontefice,
• e dettone che avanti di ribell.rle quel ..dizioso .posCata un' parte della Ger-
., mania, l'Europa l'A.ia l'America, quanto avei di cristianità il mondo, ricono-
.. 'ceva suo capo e monarca il sommo pontefice e la chìesa romani; nè la Imistl-
• rata 10nUDan•• de'luoghi, e l'erme solitudioi, e 'I terribilissimo oceano che li
• vedeao d...utì , logliev. l' .oimo e la pietà .' fedeli, sI che fin dalle Indie; fin
.. da capo al mondo, per attraverso mille disagi e pericoli, Don veniue.-o a sei-
• lometter le teste, e professare ubbidienaa e suggezione alla santa lede di Roma,
... come I madre t- mUltra di tutti i fedeli: lnfèrisce e concbiudeappunto cosi: -
• Dunque se un' taola poleslà e sì ampiamente difFusa, non l'ebbe il pootefice
" per commessione di Dio Dè per consentimento degli uomini, ma egli a .iva
" fOTia la si è usurpata, dicami Lutero, se il può, quando s'accinse il papa il
• nn. sì graode impfes. di suggeuarsi e di possedere il mondo' I priDcipìi di
.. UDa lÌ l~rmiData potensa Don p OSiODO essere occulti, massimamente le ciò è
.. avvenuto da poco in qua (come presume Lutero) e li memoria di poco men che
.. gli avoli nostri. E a' ei vorràdire questa esser cosa d'uDa o al più due età,
N apriamo le iSlorie, ed egli sopra else ce ne appunti il millesimo. Ma s'eli. è di
.. così antica origine, che la memoria del quando 5' incominciasse le li' è dìle-
• guaU e perduta, diari luogo .1 dispor di lutte le leggi, le quali vogliono che
" j diritti la cui dUTazione e possesso oltrepassa di tanto il raccordare degli uo-
.. mini che Don se ne può rinvenire il principio, s'abbuno per legittimamente
• fond.ti: e coosentimento di tutte le geDti è vieure il muovere quel che lunga-
" mente è durato immobile. Per certo chi rivolgerà gli aDDali, vi troverà le più
.. delle' chiese del cristianesimo, incontanente da che il mondo fu in pace, avere
"' ubbidito la chiesa romani. - Così egli, mentre sano di mente, ebbe vivi e
• vOSghianti in eapo i due lumi dell. ragione e della fede••
. ~ d· eresie r .. di resie. ,. G.
I lo li P,OIUIÒ, gliel protestè.
5 /.. Esala, cap. XIV, f3 e segg.:. E pur tn dicevi Del cuor tuo, io salirò
• in cielo, io inna)aerò il mio trono sopra le stelle di Dio ee••. Pur sei stato ca-
• 1.10 nell' inferno, nel foodo della fo.... Quelli che ti v~ranoo,li riguarderaano
• e ti ccusidererauno , dicendo: e eostui quell' uomo cbe facea tremar la terra,
• che scroJbn i regni' ec.... Tu non sarai aggiunto coa coloro nella seppol•
.. lura; percioecbè tu bai guasta )a lal terra, tu bai ucciso il tao popolo eco•
a ,.oglio/,. di Lodovico: • e moslie prima di Lodovico ... G.
LIBRO PRIMe. 393
di Francia I e poi di Carlo Brandone duea di Sofl'olc, e alla
sua stirpe: con disegno, 'come poi si vide, che, se Odoardo
mancasse, succedesse qual folJS6 maggiore di quella stirpe, e
non d'Arrigo' ottava,'
I • nOli ti' Arrigo Ollilvo: _ e DOD le6SliDO!e d'Arriso ottno•• G.-Ecco
il .i,lnllo'cbt De Ca il Dartoli•• Gio".ae, 011'" ad 0SDi comparuioDt, bel10 Del
• sarbo dtl10 ..ila e Dell' om.bilil~ e st•• ia del ..olto: c.".liere, in prod....
• d' ilrmi t iD ayvenenaa I maniere SeDlili, UDa mnaYiglia al suo tempo: prin-
cipe, per .alor d'animo, di gran cuore il Brandi imprese j t; d' usualmeDteIraD
• senno per Datura, e prudenu d' Icquiato~ amlD\e della virtù iD cui che si fosse;
mnuDenlo", de' lellerati, letterato .Dcb' 'Sli a di sublime iDsesno: 6n.lm.nte,
• '" di più p.rti d. '" egli 1010, cbe piÌl .ltri insieme da' luoi massiori : a ciò
• ID IlDa IDf!bilteria, aVY'I&1 a coatata. più di q_SU che ODorano la coroni.
• reale ritt~ t Ddol a I dII: " Ii ne ric:eyeasero ODore porlandola.:Ma quello iD cbe
• Arrigo IOpUVJ nlO og lli altro suo Pregio, fu l'e~arft reliSiolillimo e deUa cal.
• lo lieo red••l tenero e d ..lante, ebe U.ciID c.mpo '. dil"Ddula, colla "p"'d•
.. ,le. uo,1 suo .esn o , e Cuori d' ...0 Dul10 m'D pr06tlevole coli. pODn ••••• Co.1
• an d lo,,, m. nlet:. d. 1l0 vii. d' Arrigo,60ril. di qUInto h belle.nd'.Dimoe
~ di corpo. ~h dolI' in felice punto cb. lo Boleno il prese io .mor.,.d 'Sli, collo
• alcJlJpt u b alel1le iDfuocarsene J siUDJe il perdere 'D lei il cuore &no agli spa-
,. limi, e 'l IeaDO 6ne aìle pasaie, DPnè agevole I dire, se più difforme divenisse
• nell" aaimo per i ..iaii, o D.I corpo per la .Co.m.ta sn.....~ •.•• S •• li dìre , cbe
• • bilanci.", I. lue p....le virtÌl co' viai;. ne' qaali aDdò possior.Ddo Gao 011.
M morte, quelle, come aD Dalla, dilpoioDO iDDOIi.i o qDOlli• •

-
394

LIBRO SECONDO.
REGNI DI -ODOARDO Ji: DI MARIA.

SOMMARIO.
I. Odoardo d" Arrillo e della Seimeira, fancinllo novenno, IIridato re o
vicario di Cristo. Odoardo Seimeiro, zio del re e protettore del regno, empio
la corte d'eretici c caccia i cattolici.-lI. Fallci"'lezza del re abnsata d.gli
eretici. Predieasione .' eattqliei vietata. M.eetri d' err"re corrono d. ogni par
tè. - III. I pubblici studi avvelenati. Gli antichi e buoDi maestri cacciati ...
derisi. Teologum chiaDII.t.i.-:-l!t'. MUltin Bacero , Pietro Hartirf.e Bern ....
dino Ocbino dati e111l primarie UDivenità. Lwo ..ode e resie. La bibbia tra-
dotta, corrotta, e data alle diJputazioDi de' privati. Ateismodel Bucero t e mol-
lilie del M.rore. - V. Stati guerali a dar forDII. alla uuova religione. L'arme
del re posta invece di s,.nti e madonna. La messa 'vietata. Sacra suppellettile
dispersa. La liturgia vclgare. - VI. Il popolo più al buio di prima .. Guasta-
menti della messa, -- VlI. Il parlamento decide in cose di lede. Caso di Matteo
Barrone. Alcnni ripentili.- VIII. L'el'esiil .llaga l'isota. Pietà di Maria e
lermezza nella lede. Visitalori insolenti e predicatorelli eretici pel regno. Ce-
libato de' preti insidiato, nè invano. Adùl•• ioni laide degli eretici al 1'& e al
protettore. -IX. lzie donnesche tra la Parra, stata regiaa l e la Pr~ettora,
che era, passate a' mariti, e finite col ..ngue. - X. Que di CoMlovaglia e ,
Devonia pigliano le armi per la lede, ma senza efletto. Altri movimenti di po-
poli. Il Protettere, insidiato dal Dudleo, barcolla. - XI. Discordie tra .u1i
eretici, che si brucian tra loro.- XlI. Il parlamento dichiara legittimi i
filliinoli de' preti, contro il popolo che (Ili vuoI bastardi. Lo spieito di Dio ri-
svegliasi alquanto. Serie disput•• ioni de' più dotti cattolici.cogli eretici, con
vergofflll di qnesti. Molti insigni corrono a salvare la lede nell' esilio. -
XIII. Il Polo in Roma, dove concorrono altri esuTi ilInstri. Elezione di Giu-
l
lio 111.- XIV. Abominazioni de' vescovi eretici, Proietto Gardinero, Op-
pero e Milone Coverdalo, - XV. Pazzie ereticali anche uori ; e segni IO
Inghilterra d'ira divina. - XVI. Latroueggio legale sulla moneta. Sollevamento
di Dudleo, e rovina del Protettore.- XVlI. Macchinedi Dndleo per larsi re.
Maria salvasi dalle sue insidie, e, morto Odoardo si proclama rocina.-
XVIII. Giustizia di Dio sulla stirpe d'Arrigo. Giana eÌi Suffole pubblicata relli-
na, Francesco Inglefìldo, Speranze del Dudleo: lallite. Dichiarato traditore,
preso e morto. Tutti corrono a Maria.-XIX. Maria entra trionfante io Londra.
Reslituiace al papa l'autorità. Sne grandi opere a rivocare la smarrita lede nel
Regno. Cranmero bruciato vivo.- XI. Si riaprono le chiese: ripialiasi la predi-
eazione eattelica. Reginaldo Polo legato apostolico in Inghilterra.- XXI. Con-
Iliure contro la vita della regina. Ridicolo trovato degli eretici per sollevare il
popolo. Scoperti e svergognati. Matrimonio di Maria. Venuta del Polo. Parole
sue e del vescovo di Untinton al' parlamento. - XXlI. Il legato apostolico'
assolve solennemente il parlamento, chiedente ferdono. - XXllI. Savi prov-
vedimenti a rassettare le cose della religione ne regno. - XXIV. Morte della
rcgina Maria e di Beginaldo Polo.

I. La morte d'Arrigo fu alcuni giorni tenuta segreta, c


quando parve a chi governava, divolgala: e Odoardo, nato
LIBRO BlCONDO. 391
d'Arrigo e di Gialla Seimera, d'età .dì nove aDlli, gridato .
d' Inghilterrà e d' Ibernia re, e vicario di Cnslo. Ad()ardo
Seimero, fratelfo di Giana, che fil teina, zio di questo re,
Conte di Ertford, po~ dooa:di. Semel'!leto, eseeado zoinglia-
n03 la maggior parte degli- altt'i tnteri, quasi tutti caUolici,
spaun o eaceiò; nìnno altro .eloatrastante, che Tommaso Uri-
sleio, eattetìeo, èhe it re' mOl'9do lasciò gran eaneelliere,
Doe giorni' avanti la ilkoronaziotie fece fare dal re sé solo
tutore, 'cen titolo di prOl~Uore del regno, e diohiarare Pi~ro
conte d'Essexia fratello di· Caterln repowata, taarchese di
Nortamptent e Giovanni Dndleo baron di Lilla; conte di
Vuatvico, e Tommaso Seimel'o frat~ suo,Baron di SadIia, e
general di mare: Biceardo Rieeio ed Blmoado 'Selfeld ca-
valieri a spron d'oro, buoni: eretiei tatti qUllnti.
lI. Questo nuovo protettore, vieerè', 'tieepapa, zoinglia-
no, avendo Arrigo, dalla. podeslA 8piritù~e in fuori, ogni
resia discacciata, trovò, qoasi ntlOyo léroboam, nuovì iddii,
nuove foggie di sacerdoti,d'orare,.cHcredere: e raeehetò
tutti i venti, t cioè i predìcatorl eattoliei, acoro aon fosse chi
frangere il pane di grano a' parvoli; e il loglìo " di Lutero e
di Zoinglio si manicasse per fame. Ugo Latimero, a cui Ar-
rigo tolse" il veseovado vuigooiense, come erelieo, predicando
sue scede,> prese il popolo sl fattamente, che 'I diceano pri-
mo apostolo d'mgl1ilterra, qnasi egli,; e non Agostino' mau-
dato dà Gregorio, vi avesse portato il Vangelo. VoJàronvi di
Germania Milooe Coverdallo, falsatore deUaBibbia; e (,ie'Svi- .
zeri, GioV'llilni' Jk)ùpero "e' molti altri eretici, clriamati per

f tutti i venti. Lat.:. Pr7ltol co"ih"it~ ne flarent ",pe,. te,.,.am .. irrdieto


l'idelicet epi,copi, et pastoribus eccluiarum omni"", silenti« .• - Accennaa
quel luogo dell'Apocalisse VII... lo vidi quallro Angelicbe .lavano in piè '0-
.. l'n i quattro canti della terra, rilenendo i quattro venti della terra, aecioc-
... cbò non 'Offiall. vealo alcuno '01'''' la terra, nò .0pn'l mare, nò .opr' alcun
.. albero. .
!I e ill"Blio' .. ma illaglio... G.
S t.ls.: .. 10110 aveL .. G •
• .scede:' .. buffonerie.• , G. (
5 Ag.llin•• .. San Gregorio papa, desideroso d'introdurre in Ingbilterra
.. la .aUCllit:a TIlligiònt, fe'<:e capitale del monaco Ago.tino. Qllesti vi fil man-
... dito eea 'fÙlr1lnla &Odi a predicar l'evangalio. Vedi a"'g. E'l'ift. 66, app•
• HURle, val. I... (Nota dell' edi•• Li.oraese.)
396 DELLO SCISMl D' INGBILTEBBl

istirpare la fede -eattollea, e corrompere il tenero, animo del


're: oltre a certi giovani trattenitori, e due pedagoghi, Bic-
cardo COX,l prete ammogliato, e Giovanni Checco, laico, dotti
. in latino e greco. Ancora le due mogli d'Arrigo, I Anna, di
Clev6s e Caterina Parra, lo inCettavano gagliardamente. Per
assicurar lo stato, e confermare la resia, il protettore e con-
siglieri delre fecero ogn' opera cile il matrimonio di lui con
Maria reina di Scozia, cominciato da Arrigo, si conchiudes-
se. Ma si opposero quelli' Scoziesi , che amavano più'l' ami-
cizia di Francia che d'Inghilterra; e quelli che non vole-
vaso eretica la lor patria e disolati i munisteri: i quali dal
patriarca di VinegJa, nunzio del papa in Iseozia, furono sino
al tempo d'Arrigo difesi vivamente.
III. Dopo il re, ,volevano infettare i collegi e gli studi,
acciocché que'fonti di religione e dottrina tulta la buona
gente che se ne va dìetee a loro, attossicassero. E già vi àveva
ingegnetti, a che da' libri portati di Germania • beveano il ve-
leno. ~a perehè i reggenti più dotti e gravi Don lasciavano
la vecchia via, furon dati a tutte l'università e collegi 'visi-
tatori, i quali i lor capitoli faUi da' fondatori annullarono, e
rifecer di nuovi, accomodati alla loro setta, e giovenile li-
cenza. Cattedre e pergami tolgono a'teologi e fiJosofi, e dan-
noie a eiarìatorl e gìullari.! Rettori ottimi accusano, cassano,
e mettonvì corrompitori: a quanti libri di teologia fondamen-
tali possonoavere, Lombardi, Aquini, Scoli e e simili, detti
scolastici, che con ordine e acume speeolano la verità e
seuoprono le fallacie, fanno da cotali gioYaDaeei fare esequie

I Co.. r • COllO.• G.
I d· 4r,.igo l • d'Anivo che vi.,vano.• G. .,
S i"B'g",m: _ ing!gnetti cnriosi. _ G•
• porlati di G.~mania : • portati di 'GermHlia di DIICOSO•• ,G. ,
• Il c.. ~lalo~i 'gi,.lla~i• • Era miracolo d'ogni di, nllcere, quasi dissi
~ per le piane, i mautri in divinità come le rone , .. pat~i; peroocbì chi ieri
• Ira nulla più che grammaUco, oggi naSena di sì .!eISO teologo, e domaui
• .altava a gracidare ÌIl cattedra mlutro , o predicatore in pergamo•• Bartoli,
Slo~. d.lr lngh//., lib. I, cap. I.
e Scoli. • In quei tempi furoD mes.i.in ridicolo da Era.mo talti i s06-
• 'lici, nel numcro d.i quali SOno add.tati gli Alberti.U, gli ScotisU. Vedi St"l.
• liti.. la.,. p. {87. Bal//''''. • (Nota dell' edi•• Livornese.)
LIBRO SECONDO. 397
giocose, I portandoli nelle bare per la città in piazza e fame
belli falò, cantando la vigilia.·
IV; Non per tanto questi teologi a da risa e da ciance non
movevano" a nuova fede i giudiciosi; onde convenne chia-
mar eretici di più nomèa:. Martino Bucero I tedesco, sbandilo
in Argentina; e due italiani, Pietro Martire e Bernardino.
Occhìno, e altri simili sfratati, che nelle sinagoghe aperte
loro in Londra faeean correre cortigiani, mercatanti e fem-
mine sacciute alle nuove licenze, alle dolci lingue d'Italia e
Francia. Ebbero Bucero in Conturbia, Martire in Oxonio le
prime cattedre con gran salari, e seminarono (chi ne dubita?)
negli animi. semplici false dottrine della predeslinazione, del
libero arbitrio e del fato: e e accesero i curiosi a disputare
delle cose grandissime: e sotto spezie di libertà cristiana in-
ducevano vita licenziosa e opinioni empie, de'santi, de' sa-'
gramenti, degli ufici in volgare, storcendo i sensi delle scrit-
ture. Ridevansi delle confessioni, Penitenze, astinenze da'ci-
bi, osservanze di giorni. Affermavano Il i concili degli antichi
padri e santi dottori aver preso di grandi errori, essere stati
oomini; e santo Agostino aver composto un gran libro di
sue cose rìdettee" i deta della santa Scrittura, e non i loro,-
doversi adorare. li Ma scopriamo no'i 8 qui la fallacia. Noi non
diciamo, che quei vadano innanzi alla Scrittura, ma doman-
diamo, chi si dea credere aver meglio dichiarato la Scrittu-
I esequie giDcOle: • gieeese esequie ... G.
I cantandD la vigi/ia:. cantando loro la vilia .• G. Lat.: • cllm can-
tibru /"GrJJribus• • E questa fu ioytoziooe e opera forestiera, cioè della Germa_
• Dia, dove già il corpo de' sacri eauoni , COD appunto le mede.ime e&equie da
.. beflè, li enno ani e lottenati I .. Bartoli, loc, cito
I teologi: • teolosastri.. G.
• moveVano: • ismevevano... G.
I Martino'· Bucer» ... Pietro Martire . .. Due infelici Ifratati, apostati
• dalla re1iBioDe e dalla Cede cattolica; vecchi ianamcrat', e DOD meao daonoiÌ
• all' onestà veduti, che alla Cede uditi; COli era in essi la vita Don meno sdruc-
• ciolante e lascibile, che la lingna. Fuvy. ancora il ramoso Bernardino Ochino
• a ",eodt:ni le sue Jreticbe CaDtasi., ne' circoli in piana terra e ma Don pUDtO
• mene pulilente degli litri due, i qnah Ipacciavano le loro con più maestà
., dille cattedre, como d'in lu'l banco •• (Bartoli, Sloria d'Inghilterra,
lib. I, cap. Il.)
e e de/fato < • ciel rato. G.
, ride"e: • lDal delle .• G. Acrcnu al libro delle Bitralta.ioni.
8 Icopr;anto IIoi : • lcopriamo•• G.
Il. M
31la DBLLO iClllIl! D'Il(GBlLTBRBA

ra, o questi sCratati , o que' santi dottori, o que' concili? Di-


cevano, «la chiesa esser sposa I di Cristo, e dovere ubbidire
al suo marito di quanto egli dite nella Scrittura: veseovl ,
preti e pastori non aver Delpopolo maggioranza: ma ogn'uno
esser popolo d'Iddio. Il Là saera Bibbia (ove dicevano esser
ogni cosa) volgarizavano, storpiavano; e in vece di que' vo-
caboli venerandi Ecclesia. P,e.biltro, Sagramemo; Congre~
zione,I Vecchio, Segreto, e sI Catte novità vi mettevano. a I cat-
tolici, Cacolici per ìscherno appellavano: il Papa con passi
della Scrittura, quasi lanciotti, investivano: nelle oraziOR
funerali usate a' grandi, o dotti uomini, negavano iI purga-
torio: nelle prediche della quaresima, il digiunare. Già di-
sputavano della Cede per le taverne, pe' mercati le feresi , i
barbogi, i paltonieri, e malmenavaao la Scrittura: di che
san Girolamo si lamenta." L'Apocalisse,' ove ogni parola é
sagramento, ogn' uno a suo proposito allegava esponeva:
beato a chi poteva, come ne'prìneipii delle nuove sette av-
viene, trovare e dire cose nuove. Bucero e Martire eran gli
oracoli; ma bastando lor dire contro a' cattolici, non ferma-
vano il punto di quel che si avesse a, credere. Perché Cra-
mnero arcivescovo era Juterano: il protettore, zuingliano,
da' quali queste due lingue vendereccie 6 pendevano: a Bucero
.di pio, traendo sua origine da'Giudei, ne veniva del giudee-
sco. Certo è che doppo sua morte, regnante Maria, il barone
Pagetto, consigliere de'cattolici re, sagramentò, che Bucero,
sé presente, e interprete appresso Dudleo duca di Nortom-
berlanda, da lui domandato se il corpo di Crlsto in quel-
l'Ostia veramente era, rispose: c Non ne può dubitare chi
della Cede de' vangelisti non dubita: ma io per me non ere-
• elle,. IpOI4: • euer la 'P0la." G.
S Congregaalcme: • "i li mette...no, Congres.ùone, ec•• Go'
I novità vi mettevaNO: • DoYit1a.• G.
• .i lam.nla. L.t.: • olim q'""u .If•• Vedi Epistola tOS.
a L' Apocalille. • Ad alcuni t..ti dell' ApocaJille h ....o dito dalle Ilrae
" illterpetruioni i protl!ltanti. Ed....do.Willl ha crednto che ue1capo IX "i
.. siano lacerati i co.tumi de'nostri pGDteSci: ma DD Biulto critico ha .aputo ri-
• le""e che i"i il di"ino Spirito raffigurò quelle Potenze che oi oono troppo im-
• po...... le dei beni eeelesì..tiei, Vedi B.bbita tI_gUcana,t. Il, art. V. (Nota
dell' edizione Li"oro.... )
ti due lin,,,. fle"de,.ecce : .. due laime, liDSue 'Y'Ddencee.• G.
LIBRO SECONDO. 399
do,' che de'Calli di Cristo si dea lor credere cosi ogni cosa. »
Non prima che allora usci alla libera: con chi egli sapea es·
sere, come sé, ateista, Pietro Martire, più tenero e vile, la
dottrina di Lutero ritoccando accomodava alle piacimenta
dell' arcivescovo e del protettore e' del parlamento, aspet-
tandone le imbeccate dalla corte di per di: e finalmente, per
soddisfare a tutti, in calvinzunglista centauro si trasformò"
e con la sila moglie monaca il buon frate s' ammorbidòe: e
quando l ella morette, con gli amici indegnamente bambo-;
IfJggiòe.
V. Alli quattro di novembre 11S47 in Londra cominciarono
'a tenersi gli stati, per dar forma alla nuova religione. Lo primo
srtìcolo Cu~ che de'beni di Chiesa, o luòghi pii, se si trovasse
:esticciuolo non ingoiato dallion morto,' si desse incontanente
lelle branche al lioacello, Lo secondo, che dove il clero an-
glicana (dal riconoscere il papa in fuori) era quasi tutto cat-
tolico , per innanzi facesse quanto ordinerebbe il re. 1\ ter-
zo, che i sagramenti si dessero per nuovo modo, stampate "
con l'autorità dellistatie onde andaton commessari per tutto
8 disfare, o ardere Crocifissi, Nostredonne, Santi dipinti, o
d'intaglio: e Bedeo in Cornovaglia ne fu ammazato: e si
ripuose in Ior vece l'arme d'Inghilterra, tre. Iìopardi , COn
tre gigli, tenuta io aria con le zampe d' un serpente da un
lato, e d' un cane dall' altro: quasi non si dovesse adorare il
celeste re, ma il terreno. I zningliani levaron via il tremendo
sagrificio del Corpo e Sangue di Cristo, già da' primi novizi
nella Cede al celebrarlo ammessi, Messa appellato: per con-
fiscare con questa scusa calici, croci, patene, cibori, vasi,
candelHeri, stendardi, pe.ramenti, ceri, campane, e tutta la
sagra suppellettile preziosa, con le case, poderi e rendite
lasciate dalle buone anime per mantenimento. Il quarto àr-

• I·'''ttmo~idò.: e q_do, ec.'. ai ..il.. _bidameale, e quado ella


- • morio, bamboùggiò eoa gli amici iDdegaamnte•• G.
n SaDdero tra l'altre cose aggiuage: • Delieallu monaelaal adeo 10_
lru .61. no.. potail,.t ti faJmlnil divallUl, "o.. • • . irrtegr"m .ed "",.ri/r.m
piane d dimidiall'm ellOillimaverit. c.J "''''CII defedui libidinolUl lenellO
.,. aliil napliil dici"'" ",.deiom poI'" aUu/iIl•• TalllNu Ma ..alhoribUl
.c doetoribUl infaslillO .tnglia per/it I •
J ltem,...",: • ebe fu ltampato•• 4.
DELLO SCISIIA. D'INGHILTERRA.

ticolo fu , che nella comunione si sagrasse ancora il vìno di


necessità. Il quinto, che gli ufìcì divini si dicessero in vol-
gare ingbilese , acciocché il popolo gli potesse intendere, e
rispondere Amen.
VL Ma egli avvenne in Vuallia, Cornovaglia e Ibernia
cosa da ridere, che né i popoli per le lingue diversissime l
gl' intendevano, né i sacerdoti I gli sapevano disfinire come
quando erano in latino. Comunicavansi 8 da prima secondo la
messa, o con poco divario: quasi tutto il canone v' era: fa-
cevano i segni di croce con le mani: curandosene poco co-
loro che agognavano solamente alla roba." AUri poi più ar-
rabbiati ottennero, che, levata la Messa, si tenesse da sagri-
ficare' modo novissimo: però il popolo' vi si voltò più adagio,
dicendo: CI lasciamo prima accordare questi dotti," »
VII. Il parlamento decideva per giure canonico anco le
cause spìrìtualìr e bello caso nacque. Matteo Barrone, arte-
fice " avea moglie, e di lei figliuoli: era lavandaia di casa
Cromuelo, ove Ridolfo SadIeo era cortigiano di conto, po-
scia consigliere di Lisabetta; sospettando forse dell'onestà
di lei né potendola ammendare né sotrrire, se n'andò oltre
mare: ella passati alcuni anni, credendo, o facendo conto
eh' ei fosse morto, si rimaritò a Ridolfo. Matteo tornò: ri-
chiedea la moglie. Ridolfo ne avea figliuoli, e la negava. Il
buon parlamento la confermò a lui potente' e ricco. Alla
morte d'Arrigo i cattolici avean preso speranza: ora vedendo
• dIJl~,..i.Jime: _ divene. G.
I 6t1cerdoti: • paltori .• G.
s Com,.~le.v...61. Lil. .. Adml~llt~,,~JIII a,,'_ Eucla"rlltllll rltu
I. 11111 p~i"dl ~cpi eomiti/I F.le~ipli pa~_ "e"t1aolieo~_ "'ÙI" di-
IIII6.nt. UI vide/iecl POP'UMI 11011 p"'.~CI qlueqlUtm libl ablal"m , Icd c.
,,_ latlnc p.i"l Icgc6anllU",III~tl"" i~ v,.ll/a~cm li~K""m crederet ClIC
I~.IIII.III. l111q"c ca~o~ mllla~,.". pc.. 101"1 ab Ill//io "d vcrblUfl .......
'e~lpIMlfuil• ..
• alla rob«, È più cbiln l'ironia ael laliJIo, .. lipa cti.... bcnedic'.
e~ucll ~ctcn'a lunl J ill. I .. q. .m, ql"" ma"M 14111_ laccrdolil "FUI"
.,..",..
• d. 1.~iJiea~: .. di ..grificorc•• G.
• il popolo: .. il rouo popolo•• G.
, aeeo~da~c q"cltl dolli: .. q_li dotli Iccordl'" • G.
8 artefice: • arlieR •• G.
• " lui pol'IIlc: .. al marilo Hcoado, poteDlt•• G.
LJBBO SECONDI'. 401
le cose peggiorate, si ripentìvano di non aver Ila principio
fatto più resistenza: e dicevano con dolentè cuore: Cl Aìmè!
san Giovanni Grisostomo, mille dugent'anni sono, nell'ome-
Iia- della divinità di Cristo, disse: C( ìnsino nelle britaniche
isole, Jnaltrs mare, essere state fondate quelle chiese, e ri-
zati quelli altari a Cristo, che si spiantano oggi, che regna l
.anticristo I » Tra gli altri ripentuti ' erano cinque, che si di-
cevano vescovi, Stefano di Vintinton, Edmundo di Londra,
Cutl)6rto di Dunelme, Niccolòdi Vigornia e Daio di Cicestre,
sclensiatl tutti, e aventi voto in parlamento, e forse cattolica 3
volontà, ma come investiti da Arri~o, non dal ponteflçe, non
cosi vera 6 e ardente: e sottoscrissero 5 il primato d'Adoardo
nella Chiesa, per non esserne rimandati.
VIII. Il fuoco della resia al forte soffiare della corte, e
alla fiacca resistenza de'buoni, impigliò tutta l'Tsolas.se.non
se alcune messe si dicieno, e udieno di sfuggiasce, Maria
sorella del re l'odio sempre in cappella sua privata, Cl per
non dare lCandolo, diceva ella, contrariando alle leggi del
re. » Il protetteree il consiglio, 8 non potendo rimuovere, né
punir lei, incarcerarono e punirono i preti suoi; e bisognò
che Carlo quinto, suo cugino, per molte lettere e pratiche
ottenesse, che ella fusse lasciata vivere nella religione de'suoi
maggiori, come si lasciano dijuttl i principi gli ambascia-
dori. Onde ella sempre, il Corpus Domini in luogo splenden-
lissimo tenne e adorò. Per più 7 eseguire le pravità eretiche,
visitatori andaron per lo regno con predicatoreIli e con due
libri, la Bibbia a lor modo volgarizata, che la facevano dalle
COMunità comperare 'eaffigere alle porte, delle parreechle ,
per leggerla ogn' uno; e le parafrasi d'Erasmo .nel Testa-
mento,Nuovo: promettendo, che que' due libri ogni cosa ne- .
cessarla al ben credere insegnavano senza maestro. Rivede-
t ,.eBlUI: _ trioof.1.• G.
I rip,ntuti: • addolorali.• G.
, e forse eattoltce, le ..: H e -=:auo1ico spirito, ma ·COml veKo.,i inve-
aliti, ee•• G r
~ co,J "tra: .. COli vero•• G.
5 Il8otto8cril"ro: • però soltoscriuero.. G.
• • Il cONliglio : • & .ltri del cOD6iglio•• G.
, pe" più: • p.r meglio.• G.
402 DELLO SCISIllA. O' INGHILTERRA.

vano, se i tabernacoli e le imagini di Cristo e de'santi eran


levati e arsi, I rovinati gli altari, e messovi le mense novelle,
e scambiati messali breviari ufiziòli, a que' due libri', e a
certe omelie velenose contro a' cattolici, e ridicole', delle
quali ogni di di festa n'era letta una in pergamo a voce a....
ta, quando non v' era predicatore. Lelanie, pricissioni, ro-
sai, esequie, ufici di morti, acqua, pane, uova, erbe, cere e
altre cose benedette proibivano sotto pena capitalissima d'es-
sere dichiarati papisti, Cosi, o 'poco' del re amici, appella-
vano i preti senza moglie: avendone massimamente i due
santi arcivescovi fatto la strada; i quali, chi per 8 timore se-
guitò, chi volentieri, fatta la libidine sicura; chi l' abborri, e
fu punito: come avvenne a' detti due vescovi di Untinton e
Dunelme, i quali volle il protettore levarsi dinanzi, per la
lor autorità, alla a impedire i progressi dell' eresia, ma più
per non poterli vedere: avendoli Arrigo lasciati tutori d'Adoar-
do, a sé nel governo" compaghi, o maggiori, come dicemmo.
Con loro furono i vescovi di Londra, Cicestre e Vigornia,
Incarcerati e diposti: cosa che non sarebbe' avvenuta, se
fussero nel principio stati antemurali forti a difender la casa
di Dio. Congratulavansi con gl' Inghìlesi tutti gli eretici
d'Europa di questa nuova luce vangelica ricevuta libera-
mente: e di si buon principe, ch' avea beuto in fasce il
latte della fede candida. & Scrivevangli lettere, dedicavangli
libri: lui Giosia, lui Davitte diceano del tempo lOro:e il pro-
tettore, Gedeone, Sansone; e che no? « Per questi essere il
regno' d'Iddio venuto. la servitù d'Egitto cacciata, le in-
quìsizlonl, le prigioni, i fuochi e le tante fatiche. D Ma come
tutte queste vanità empie il giusto Iddio in quattro anni ga-
. stigasse, e risolvesse, col fare che il protettore uccidesse il
fratello, e Dudleo il protettore, Adoardo morisse non senza
sospetto di veleno datogli da Dudleo e dal duca di Soffolc
per regnare, e ambi co' loro figliuoli Maria decapitasse , di-
remo brevemente.
• levati e arsi» _lnate e arse•• G.
I COll, o poco: • Per poeo, G.
S l qlUJIi~ ciii per~ ec.: .. quale, c:bi per." G.
" ti sè nel gOf1e,."o: .. e D le nel Aoverno. ., G.

:i ddlnJede canaida r» della candida fede... G.


L1BBO 1iI!CONDO. 403
IX. La moglie del protettore combatteva la precedenza
con Caterina Parra ultima moglie d'Arrigo, rimaritàta a Tom-
maso Seimero, fratello del protettore, e ammiraglio. Qoesta
diceva, «lo sono stata reina: Il quella, «lo sono moglie, del
protettore, ch' è vivo. » La gara passò ne'manti fratelli, ai-
zata da Giovanni Dudleo, conte di Varvico, che con essa
cercava di rovinare l' nno e l'altro. Vennesì a tale', che al
reggitore del re, retto dalia moglie, convenne il proprio fra-
tello in ringhiera da qoelI'Ugo Latimero, che dicemmo pre-
dicater di riboboli, fare accusare di congiura contra di lui
e del re. U popolo ne stomacò:lo innocente alli 20' di
marzo 11S47 ne fu dicollato. Parra ne mori' di duolo. Cosl
diliberali furono il protettore dal fratello, è la moglie dal-
l'emoIa.
X. L'anno 11$49 i popoli di Cornovaglia e' Devonia non
potendo sopportare le messe tolte, i· sagramenti guasti, pre-
sero l'arme, assediarono Ia città d'Eson , ruppero a suono
d'archibusate la nimica cavalleria;' ma, abbandonando Ia
vittoria per la preda, furono da' medesimi rivoltatisi, rotti.
Norfolc, Sofl'olc, Eborace, Semerseto e altre provincie, parte
per la religione, parte per l'ingiustizia, aiutatréce t dell' ere-
sia, pur si levarono, e sfogaroosi i plebei contra i potenti. l
Franzesi tolsero il tempo, 8 e presero intorno a Bologna, che
si teneva per gli lnghilesi, certe forteze. Qui, presa l'occa-
sione, l Dudleo conte di Varvico, col parere d'altri grandi,
diede bando di male amministrata republica al proleUore:
fuggissene col re-nella rèeca di Vuindesore: ma vedendosi
abbandonare, e tutti i principali correre al conte, s'arrendè-:
fu messo ìn carcere; indi a quattro mesi uscì, per pace finta 8
col conte , la quale non durò. Bologna Cu renduta a'Franzesi
il di 2lS d'aprile 1lS49, e il Seimero lasciò l' autorità e nome

.. la nìmìce cafla/ler;(f: ... la cavaHenà nemica•• G.


I tlildtltrice: .. aiutatrici. "' G. -
5 colsero il tempo: .. colsero queate tempo. ti G.
• pre.lll l· DCCalio",: I l prese occasione•• G.
5 per pdce.fintd: • per-paee fioil•• ·.. G. Coli .It...lamp., Don •• elusa
quella del FaccioUa; ma erroneamente. 111at. h"a: .. pace $lMUZoATB ìnter iPSll,'"
et n"dltrum couW"td.» Quella di Livorno, .eLLeu r,llt. ali. reggio,
le;;se Lene.
DELLO SCISMA D' INGHILTJBBA

di protettore. Ma Dudleo, volendolo spegnere; di'ede a certi


cattolìci d'importanza speranza certa di rimetter la fede, se
gli dessero fedele aiuto a levare del mondo costui. l Essi gli
trovaron cagioni, e fecerlo di nuovo incarcerare. Dudleo in
vece d'osservare la promessa.Il minacciò. Seimero di nuovo
usci. Tommaso Arundello , intimo di Dudleo, andò di notte
sconoscìuto a trattar con Seimero d'accomodare questa re-.
Iigiòne: Dudleo il riseppe e. fecelo ammazare.
XI. Mentre gli eretici con l' arme e con gli odi si per-
seguitavano, e l' una resia l' altra, t come suole avvenire, si
levò un Giorgio Paris, S che con gran pertinacia sosteneva e
'seminava la resia d'Arrigo in Inghilterra.. I zaingliani l'ab-
bruciarono, • contro al dogma! loro, che a.niuna Fede si debba
uomo forzare. Della provincia Canziana, suor Giovanna Bu-
chera, luterana calvinizata, dìceva.joltre a ciò con Valenti-
no, che Cristo di Maria non incarnò; ma per lei passò come
per un canale: e vedendo che i zuingliani non l'attendeva-
no, soggiugneva, « quando voi eravate luterani, ardeste per
eretica Anua Ascu, che negava il corpo di Cristo nell'Ostia;
ora il negate anche voi: e cosi presto vi muterete a creder
questa dottrina ch' io v' insegno. 6» Nondimeno essi.Ia fecero
ardere in plaza di Londra.
XII. Lamentandosi i sacerdoti ammogliati, che il popolo
teneva le donne loro per infami, ~ basìardi i figliuoli, rieor-
sero al parlamento delli stati: e fu statuito doversi tenere
per legittimi, non ostante qualunque legge umana: perché la
divina s'usava disprezareo fraudare. Vedendo i cattolici ne-
gli eretici tante malvagità, ignoranze, discordie, difflcultà ,
ripreso animo, cominciarono i più dotti d'Oxonio, di Conlur-

'.. del mondo costui r " costui del mondo.• G.


I e l- una resia f altra: "secondo cbe suole avvenire, che l'unii rula
genera l'altra, e l'una l' altra sedisioee, eco NG.
5 Peris r fii Parigino. Il G.
• ['abbrru:illr.n •• • Si vide iD quel tempo pubblicata di Calvino UD
..peretta col litolo: D. H.relioo c.mb,.,....do. la quale cbi I l DOD inci.
'"..e i luiDglilDi a ecndanaare alle Illmme que.tò Giorgio Pari••• (Nota del·
l' edizione Livorntse.)
S al dogma: • al r.lso dogmi ... G.
6 ti,,' io v· insegno I " che ora v' insegno, n G.
r LIBRO SECONDO.

l bia e altri studi a uscir fuori; e con loro disputare, e con-


fonderli, scoprirli, sbugiardarli, configgerli.I Pietro Marlire
lettore in Osonìo, si gran bacalare, da molli sfìdato,' e parli-
colarmente da Riccardo Smileo, gran disputante, che prima
aveva tenuta la cattedra sua, non ardi di comparire, se non
qu ndo Il iccar do Cox , " cortielnno eretico, fu fllllo sopran-
tend nte della di pula , c mileo , caccialo d'O onio. Yeuue
in campo l'Eucari tia. , Iartire ostenev: In re ia di Zuin ~lio:
Tr amo c Chedseo, dollari cattolici, la ribaltevano. Avendo
tre gio ni balla liato, c vedendo Cox, per lo fi chiate, c bat-
ler di mani e piedi, che , lar lir 3 n' anda va in fascio , fece
finire la disputa, d icendo, « e ser ri ihimnato a Lomlra e Il c
lodò a ciclo Piet ro Mar tire come vitlorio o: il quale tampè
poi quella dispula, compilata • a suo modo, Ialo .tudio d'O ·0-
nio lo giudicò due volto perden te, quando non la volle con
quello mileo: non ave ndo sciolto mai li ar gomen ti. Somi-
gliante riu cita ebbe la disputn di Buecro co' tcoloeì d i Con-
turbia. ' per lullo il regno in ques to tempo Ili colali dispute
del sac rame nto e a rilicio dell'Eucari tia fu grande :1O(la7.0:
lungo sarebbe il racconlarle. 1.0 spìrito d i Dio si rnvviv ò: o
fu ca" ione che molli ve covi c prelati perdero no le dignilil
c andaro no in carcere : molli pi ù in volontari o e iglio. Gio-
vanni torco, le isla , che pal ] poi 0 110 Lisabella mart irio ,
udendo in parlamento trauar della fede a rilroso , dis o
con alomone: le uai a quella terra, il ui re ~ fanciullol "
p r que la parola s'ebbe a fUl;gir d' Inghilterr a. Giovanni
temente, medico, in greco doltissimo; Guulielmo Ilaslallo ,
Iureconsultis imo: Giovanni Do. allo, Domo ottimo, poi ....
eretario di lar ia; [iccolè Arpe Iildo, • plendor d'InnIaill rra ,
eh mori in arcore olio Li abetta , e alt ri in gran numero,
fU!:"ili dalla ervitù d'E" illo, furono in altre ter re accolli : o
ran part e Anl onio Buonvi i lucch e mcr arante famoso ,
fuggitosi anch' eell di Londra in Luvanio di Fiandra, per

• confì,~.,.li ,. rint ..... rJi. • G.


I Co:r, • eosso• • G. Cosi sempre,
S cTt. M",.ti,.. , • cb. il Marlir••• G.
• CQlllpi/"t4' • acconciali • • G.

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.f06 DELLO SCiSMA. D'INGHILTERRA.

l'amicizia grandissima fatta con Tommaso Moro,' e per la


benevolenza di tutta l'lsola, ne
raccettè e nutrl,
XIII. In Roma s'affaticava ancora per la religione Re-
ginaldo Polo cardiJWe. Scrisse dell' Unione della Chìesaìn-
ghilese con la rolllana quattro dottissimi libri al re Arrigo,
e un altro al re Adoardo. I Mori Paolo III sommo pontefice:
e due voti soH mantat'ODO a rifar Polo: eredesì percbè la di-
vina provvedeasa lo riserball8e a portar la detta aniODe alla
80a dolcill8ima patria ton le lIUe mani, con la sua lingua; Fu
rifatlo pontefice Giovammaria cardinal di Monte, detto Giu-
lio III. Erano in Roma fuolÌlsciti Riocardo Pates " veseovo
vigoraìease , TomDiaso Golduello, che poi fu assafeuse, Mau-
rizio Cleuoco, eletto bangorense; e alVi segnalati uomini
per Itillia: e ne' lore luoghi entrali Sooreo, Birdo, OIgato,

j Tom..",. Moro. Que.li. poco inD.Dli d' ...... condotto al .appl;"


lia, gli acrilse una lettera a1Fettuolissima, riferita .dal Sandero, • che Don
posso a meno di non; tradurre.. Dice cosi:
• Amico mio ,oprl tulti. carillimo, gilecbè ho un presentìmeBto Ce
• aacbe uri faIse-, .e vuoi, "" l' bo) cioll cbe DOlI potrò .crinrti più miri;
• voglio, fiacb'io po••o, allDODO eoa quuto bi.lieuo, rarti .apere, quante
• conforto senla della tua amicizia in questo svanimento della mia fortuoa;
• .,edendo come tu, IeO •• 'perlilza di rieam"hio ~ICUDO, persitti ad amanni
• e • farmi· del beae; e' .Dai in questo vai ""pre più iDalll.i; di ..odo
• ebe pocbi .00 quegli che tllltO ambiscoao gli amici fortuaati quante tu
• ami, accarezzi, osservi il Moro tuo ceuculeato , amitto e prigione. Non
.. poteado altrs, AntoDio·mio .opra luttiamoto, prego ai ·cuore Dio il quale .
.. mi ti ba dODltO, aeciò del b... cbe mi fai opi; giorno e si IITg_eate,
• ti rimerw ellli, gilccbè ti ba messo alle maai 11II debilXlre cbe 1100 potrà
• mai pagarti: e cbe tutt'e due per sua miserirordia ci liberi da questo seco-
• laccio brieeene e ci conda.ca nel suo rìpeso, dove Data. arem bisogno di scri-
• ftlci, D), ci 'lran mara elle ci separino, Dè uaa.eati.nell. che·ci l'otapa i
• di.coni; m. godremo per .empre io qualla beaeclou.o ,Ioria dal p"'a<li1O
• con Dio Padre e Gesù nostro Signore. Frauanto ael deaiderio di queste
.. gaudio, Antoaio mio, raccio grolia il Signore cbe a te, a me e (vol...e 'l
• cielo) a tntti, le riccbe.e, la ,Iaria di qaeato mollde. &n la doleeoaa
• della vita non abbiaao alcun valore. Addio mio fedeliaslrllo e 'olcillilDO
• amico, pupilla mia, come solevo una volta chiamarti. Dio conuni tutta
• la tua ramiglia ebe Don meao di te mi ama.
Tommuo Moro.
• È inutile cbe agginaga '''0. percbè l. ui beoe, eost..doti· toato;
• ad io 10D un certo arnese , che impOlta poco di oai mi ......
I al re Adoardo t • ad Adoardo .• G. I!: ".pn Adorrrilo.
J P,de,,: • Paleo•• G.
LIBRO SECONDO•. 407
.frati lassllriosi; BarIo, Arelo, Coverdalo, t Ridleo e si falli
capitani di quanti vi avea disperali, fallili, poltroni; condan-
nali, che, fallo naufragio della roba e dell' onore, abbrac-
ciavano per iscampo questa tavola I del nuovo vangelo. lo
dirò pure alcuni particolari, '
XIV. SleCano Gardinéro ebbe nel veseovado di Untin-
Ion per iscambio Poiello, S che, essendogli poca una moglìe,
ne rubò un' altra a un beccaio: e fu per legge a renderla
condannalo. Domandalo' Gardinero se egli sperava di riaver
mai la chiesa sua, rispose molleggiando: « eome no, se il
beccaio ha riavulo la sposa suat » Un altro, vocalo Oppero,
quando era cattolico dicea male della troppo 5 riccheza e mor-
bida vila de' vescovi: divenuto poi sopranteudente (cosi lati-
nìzane il vocabolo greco Episcopo), si prese de' vescovadi
ben due, Gloceslre e Vuigornia. Milone Coverdallo, che portò
di Germania in Inghilterra l' ubbriacheza de' corpi col vi-
no, e dell' anime con le resie, udendo che lo sludio di Oxo-
nio era di callolicò cuore, e molli si ridevano ch' egli.si me-
nava dielro la suora; monlò in pergamo, e prima dolulosi
d'esser lacerato del voler appresso di sé il vaso della como-
dità (cosi chiamava la sua meretrice)', disse: Cl In quesla.be-
nedella Eocarislia i cattolici vogliono, che il corpo di Crislo
si lransustanzi; i lnteranì, ch' ei si panifichi; Zuinglio, ch'ei
.si significhi; Calvino, che vi sia la virlù: ora ecco ch' io
Cuora di quesli errori, vi porto la verilà sludiala da me qual-
lordici anm nelle Serlttcre.» Non fu ascoltato, perché le sue
parole parvero ebbre, a dire d'essere stato quattordici anni
Cuori della Cede callolica, non aver credulo a' padri antichi
né a Lolero né a Zuinglio né a Calvino, suoi maeslri nuovi;
e volere ch' e' si credesse a lui.
XV. Produsse quella età, oltre alle dette d'lnghillerra,

• Cope"dlllo: • CODvordallo•• G.
I lopoill. La stampa del Facciollo o lo allro,f'l..olo. Il G..mha 10.010;
e dee dir così. Lat.: .. taraq,&am ... Ad e.b"Jam.•
I Poi.,,.,: • Proselto•• G.
I Domll7ldllto: • Oede dOl1W1dalo•• G.
I t"oppo "icc!uull. Vodi vol. l, paS' XLV, l' anorto".. del Colombo iD
Dota, • la eentreneta a questo luogo.
DELLO SCISMA D' INGBII.TERRA

molt' altre mostruose resie per lo cristianesimo. t In Tolosa,


famoso studio di Francia, si vantava uno d'avere l'anima di
san Giovanbatista; un altro in Parigi, il genio di san Piero;
il terzo in Basilea, l'agnolo di Moisè. Giusto, cucinaio' di
Lutero, si faceva Giona; Ridolfo da Mosano, decano di Pa-
dova, diceva, che Iddio l'aveva mandato a pacificar il papa
co' luterani; Davitte Giorgio, sarto, per Olanda e Frisia si
scriveva il vero Messia, re de' re, nipote d'Iddio, non di
carne, ma nato dì Spirito santo. Apparivano ancora della di-
vina ira segni e prodigi in Inghilterra: spessi mostri d'ani-
mali e donne.! Tamigi, che bagna Londra, alli 17 di decem-
bre 13110 fuori di ogn' uso in nove ore scemò e crebbe tre
volte: un sudore," a'medici nuovo,.in sette giorni fece mor-
talità d'ottocento persone in Londra sola, e fuori, di molte
migliaia: non parea peste, ma miracolo d'Iddio per le pec-
cata. Più mostruose erano le libidini de' governanti, l'ambi-
zioni, l'avarizie, gli assassinii.'
XVI. L'anno quinto che regnava Adoardo, per bando
inaspettatissimo, per tutto il regno fu scemato il pregio d'ogni
moneta d'arìento la metà: e cosi fatto a' popoli in un giorne
sentire la bastonata, che Arrigo diè loro, peggiorandola, a poco
a poco, col mettervi insino alla metà di mondiglia: e quelli
stessi (ecco l'assassinio) che domane volevano mandare il
bando," oggi la prestavano, spendevano, pagavano salarii,'
debiti, compravano stabili, e la spacciavano al pregio gran-
de, in fraude e danno del prossimo: e questi erano i sacri
pastorì , e ministri della chiesa d'Iddio. Ma vediamone il ga-
• eresie pe,.lo Crllllantslmo: • nsle l'n la criJlianità.,. G.
• cuci"Gio : _ cuoco. G. ~
I e done. Lal.: • prodigloll elllm lam nimali_ q _ ",lI1ierlUlC
parlaI freqaell'iu.me "ahehall'ar. • .
• "" Il.dore. QUUIo morbo, dello IlUIor Arrgliclu. comparve già nel
i4Sb e fece grande llrage. Ma ora. dice LiDgald, l' esperieDU del p....IO
De •.,n fallo CODO'Cere la cura; però la mortalità, quaDtDDquO graude, pure
fu minore cbe Del PUlitO.
I 1IIIIIIIi"U: • l ..auiDlmfDti... G.
I ",arrdar. il harrdo : •• cemarla di pTtgio•• G.
, lalari/. Le .Iampe del Faceiotto, de'M...i eLaDdi, del ComiDo e tDtle
lo altre, traaue quell. del Gamba, leggoDO loldatl. Mi lODO attenuto. quelC ul-
tima, cho ha lalari/, cODforme01 latino ehe dic.: • fammil Ilipe"dla """''''
rarea'._
LIBIO SECONDO.

stìgo, Giovanni Dudleo, conte di Varvico, per avere, come


dicemmo, fatto incarcerare Adoardo Seimero, duca di Se-
merseto, zio e protettore del re, ne salio in burbanza e ri-
nomo di grande animo, e in eredito de'cattolici; e per co-
dardo e vile scoperse il protettore: onde pensò affaUo spe-
gnerlo: e per fortificarsi di più amici potenti, fece dal re fare
conte dì Bedforl Giovanni Russello: conte e poi 'marchese di
Vuintonia, Guglielmo Paulelo: conte di Pembrachia, Gugliel-
mo itrberto: duca di SolToic, Arrigo marchese di Doreestre:
e sé, duca di Nortòmberlanda. ID capo a cinque giorni incar-
cerò di nuovo Seimero, la moglie, e Ridolfo Vano, Milone
Parlriger, I Michele Stannoppe, ! e Tommaso Arundelo, cava-
lieri a sprond'nro, nominati in una querela datagli d'esser
entrato, con l'arme sotto, in casa e in camera di Dudleo per
ucciderlo nellelto: e lutti ne furonodlcapitatl.
XVII. Dudleo, essendogli questa cosa riuscita, e avendo
in pugno tutto il governo, e la persona del re.inferma, o da
poterla infermare a sua pòsta, prese animo d'occupare il re-
gno in questa' maniera. Il dettò Arrigo duca di Doroestre;
fatto di Soffolc, a aveva di Francesca nata di Maria sorella
d'ArrigooUavo, tre figliuole: queste, non rimanendo di Ar-
rigo prole, redavano il regno d'lnghillerra; se però è vero,
come si dice, che gli eredi di Margherila, che fu d'Arrigo
ottavo maggior sorella, maritata al re di Scozia, non pos-
sono, come Seeaìeeì , per legge d'Inghilterra regnarvi. Con-
Tengono'adunque questi due duchi di Soflolc e di Norlomber-
landa, e maritano le due figliuole minori a' figliuoli maggiori
de'conti di Penbruc e di Untinlon, e la maggiore," redatrì-
ce, a GiIfordo Dudleo quartogenito; e se ne fanno in un di
medesimo pomposenoze. Adoardo, com' é da credere, peggio-
rò. Dudleo mandò a dire a Maria primogenila d'Arrigo e di
Caterina, di cui molto lemea, e niente di Lisabella nata
d'Anna Bolena, che venisse a Londra; con animo di farla

t Part,.igel": .. Partrigrio... G.
2 Stannoppe: q Slanofio. ti G.
5 .A,..ri~o dtcca di Do"'ced,.e~faUo di SoJJòfe: tI Arrigo di Dorcestre, fiBo
duc. di Solrole•• G.
, e la maggiore: N t G iaea la maggiore. JI G.
u. 55
410 DELLO SCISMA D'INGHILTERRA
prigiona. Già vicina, l fu avvertita che il re era all'estremo,
ed ella in pericolo. Ritìrossì in Framingam', sua- rèeea Don
forte, ove in capo a venti di seppe la morte certa del re; e
eon franeo animo sperando in Dio, si pubblicò a suon di
trombe reina d'Inghilterra.
XVIn. Adoardo sedici anni visse: sette regnò: in di sei-
di Inglìo, eome Tommaso Moro pochi anni innanzi, mori:
segnale che Iddio volle gastìgar Arrigo della morle di quel
santo uomo con questa del proprio figliuolo: e delle tante
mogli, col seccar a buon' ora le sue propagginì.! La morte
d'Adoardo, troppo affrettata, e poco tenuta segreta, non la-
sciò alli due duchi provvedere a tutle le cose. Entrano in
forteza di Londra: fanno giurare B segretamente ubbidienza a
loro e a Giana da un fiore di nobili, e poi dal governatore di
Londra, e da sei senatori de' primi: due giorni poi bandìscon
reina la detta Giana. Il popolo ne rimase attonito, e sbotto-
neggiava," A Gilberto Porto, servidore, ne furon mOli gli
orecchi: Sandero suo padrone, che l'aeeusò, l'Istesso di in
Tamigi, con dar la volta alla barca, fu affogato: altri, per non
aver contro ~Iaria voluto scrivere incarcerati: Inglefildo, eava-
liere callolico e cortigiano di Maria, fu il primo. Il duca di
NoJ1omberlanda si tenea la cosa fatta, perché la nobiltà avea
giurato: il popolo gli pareva dal suo: le forze del regno erano
in man sua:' la volontà del re scritta nel testamento. Maria,
donna, I non sarebbe da' principi di fuora aiutata, avendo con
Arrigo secondo re di Francia, rendula Bologna, fatto pace;
e per conseguenza con la Scozia, la cui reina Maria era spo-
sata a Francesco pri mogenito di esso Arrigo: Carlo Cesare
aveva che far da sé, perché, avendo la Germania 8Oggioga-
ta, e il duca di Sassonia e langravio menati prigioni in
f vicintl: .. vicina a Londra .• G.
t eol leCCar a 6"0"- ora le i". p,.opaB'Ri,.~ : ft (OD 1& spepeR la lUI
schillh Del fiorir dell' etadi.• G. LII.: ne patri. tam Impll ropa,.. uJlu
H

rndices ageret; "


5 fanno gìurare r ,. ove fanno giunte. ti G.
• j6olton~8g;a"a. Lat.e .. QIJam r,m pop"bu IlIdIB"i.flime ,.fr.,.,.e ìnu-
.rilnto qlUJdam IU'lItiO commonstravU; rltntn,,//i etlam aptrtlrl.. Commll.rmrl.~
,,(u·e ec.",
!Slejo,.at del,.eBno e"allo in man .f'I.n .... le farle del n'8Do in mae $ua." G.
6 M(f"ia~ do".,u... .. Mari3 eri dODDa. " G.
LIBRO SECONDO.

Fiandra. dispiacque tanto quell' indegnità agli altri principi,


che il re di Francia, alli erelici per altro nimiciasimo, si no-
minò protellore della libertà germanica: si eongiunse prima
col du ca Iaurizio , s ta to primu il Cesare fed el issim o , obbli -
ga tis imo: il marche e ' d i Ilrand eh u rg , c gli altri princi pi 10-
deschi li i mos e r conlro: Arri(.(o gli tolse Yerdun , Tullo c
!\Iels: lIIaurizio alla sprovvista pr ese Yilla cc o , c a UII l'ci o . '
che esa rc, di poche ore fuggil o'i , n on vi rimase prigio ne.
Con tali confidenze adunque il , ' ortom he rla lld o av eva fall o
ridare Gian a ," Il m essa h! iII Iorteza di Londra: fall o c iura-
re , so e rive re,' co nfor ta to il pop olo . dal o i magìstrati, m esso
pred icatore a ce lehra r liianll . c mo tra re c he Ma ria ne Lì-
sabe u n non vi ave ssero ra uione e e primo fu It idolfo vescovo
di Londra. Xon parca maucarci c he far pr igion a l\laria . pri -
ma che il popolo a lei vnrrcsse, Cavulcè "orso IcP veloce cu i
fiore d Ila ente , lasc iato Sonalc in Lond r a suo luozoleneu-
le. Ella lanla ra eiuno G av ea , si amala e ra , si l' um bizlone
odiutn d I ior tom he rla ndo , c he in me no di d icci di oltre a
Ircn lamila soldati corsero a Ici: ~ c tanta vet tovaglia abbond ò,
che per un real e di Spa gna s' ave va un bari le di cervocia e
ci g ross i l'lini. I nob ili fuori di Londra andare a Ici: c quei
di dentro, come il Nortouibcrlando fu fuori con l' csc rcito , lo
di chiaron 8 traditore : fauno pri gion e il luozotcn eute c Gia -
lla. Alla qua l nuova corse il Maria ocn ' uno, cd c'lli rimase "
i II ' cc '0. Il alorno eg ue n te in Con tu rb c rì s' arrend è, c "ridù
anch ' C"1i ' IO ' l a n a l'cina. Il quinlo di fu menato iII Londra pri-
'ione, condannalo per rib ello COli quattro figliuoli , c il di 22
di etlembre dicollalo. Mori cauolico conforta to da 1 i 'c olo
Heat , "! fallo poi arcives covo d'Ehorace : a 'fi ~liu oli fu pe rdo-
• il marchest: • ~ il marchese, ,. G.
2 t . l a ~ltJ.; e fa l: UD pelo; poro maacò.
3 fau» grid.re Gitl"l1 .... f~uo grirlue GiaDI reiea . " G .
" sascrivere : • loscrinre la tlol ,ilt~. • G .
5 CtJfltJ/CÒ ",crlO lei: ... .,erso cui CIV..)('Ò. u c.
6 El/a '"./a ralflo.,: u M. eli. I.DI~ ragion ••• G .
, CO"II,O tJ lei : • conero a suvirla... G.
~ lo dichiaro" : u lo dicb""D. • G.-
!1ed t,li r;md.ft: .. c-Norlumberlando rimlSt. .. G.
tU s ' tt,.",ncft e gridò tJ"c" o tgli : ti 5' arrtDtJè aDeh' egli t Gridò. ,. G-.
J

H Iltnt : .. Ero. ,. G .

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U2 DELLO SCISMA D' INGHILTERRA

nato: due ne sopravvissero favorili di Lisabella, conte Am-


brogio di yarvico, e conte' Ruberto di Leicestria: I quegli
sempre benigno, questi tanti mali fece-, che Maria a scam-
parlo mai la peggior pensata non- fece.
XIX. Con si grande" e felice vittoria Maria figliuola
d'Arrigo e di Caterina entrò trionfante in Castello di Lon-
dra. La prima opera fu, rinunziare I al papa l' autorità della
chiesa. Scarcerò, e rimise ne' toro onori i condannali per la
fede"Edmondo vescovo di Londra, Stefano di Untinton, Cut-
berto di Dunelme, Tommaso duca di Nortfolc, e Adoardo
Courtnei,' cui ella fece poi conte di Devonia, figliuolo del
marchese d' Essonia, uccisoglà da Arrigo. Rivocò l'iniquis-
sima sentenza e bando di ribello al cardinale Reginaldo Po-
lo. Ogni graveza, che pose Adoardo, levò: riparò alla brutta •
ladronaia del peggiorar la moneta. Consigliata per lo ben
pubblico della successione, a maritarsi, benché di trent'ollo
anni, ebbe animo al detto da lei fallo conte di Devonia: ma'
per maggior difesa della fede cattolica e del regno, tolse Fi-
lippo, figliuolo di Carlo quinto. Tommaso Vuiato, che per
impedir queste noze e la fede, moveva tumulli in Canzia,
oppresse. Il duca di Soffolc, al quale avea perdonato, e di
nuovo sollevava il conte di Devonia, che dci rimanere ad-
dietro a Filippo s'adirava, e Lisabella sua sorella, nata d'Ar-
rigo-e della Bolena, che tutti contra lei con· Vuiato congiu-
ravano, cacciò in torre: al duca tagliò la testa; il conte con-
finòin Italia; a Lisabella, come fanciulla, e raccomandata
da' grandi, perdonò la vita, e fecela guardare in Vuodsto-
chio: che che ella si dica 8 nella scrillura pubblicata della
guerra da lei rolla in Fiandra, che di sua fedeltà a sua so-
rella reina non si dubitasse 7 giamai. I ribelli 8 cherici furon
dati a giudicare al commessario apostolico: e prima quel

l • c..,,'" Rahtrlo di Leicedria: • e Ruberlo di Llne.,lro.• G.


I C.".I gra"do: • OUenula si grande .• G.
J La prima operafu, ,.i1t"n&ia,.e: «La prima tosa: riDUadJ. "' G.
" Cor....t llf'i:.,. Courtnee. " G.
S riparò lilla brulla: • e riparò alla brulla. " G.
I clae clae el/o. Ii dica: ti che che ella , ora reial, li dica.• G.
'Jli tI"bitlls.te: M fosse dubitato. " G.
• I ribelli: • Gli ahri ribelli." G.
LIBRO SECONDÒ. H3
Crarnmero areiveseovo di Conturbia. Costui convinto di mae-
stà otTesa, prima né' pubblici parlamenti, ora per sua confes-
sione, faceva il cattolico, e pur voleasi disdire, per iscam-
pare la vita: ma fu digradato, e dato al braccio secolare, e
arso ostinato in Oxonio: l oltre a lui, ne furon giudicali le
centinaia secondo le leggi antiche del punir gli eretici, ri-
messe per cristiano zelo, ma dìseretisslme. Conclossiaehè
primieramente a' forestieri non u6ciali né cittadini fu co-
mandato t che del regno s'uscissero tra tanti dìs dicono esserne
usçiti oltre a 30 mila eretici di varie sette e nazioni,che
tutte rifuggivano in questa franchigia d'Adoardo. Pietro
Martire meritava il fuoco, come di tutti il più pestifero: ma
perché egli venne 8 con 8!lIYOCODdotto, fu lasciato con la lua
famiglia andar via: l'ossa della sua moglie furon tratte del
cimitero, e gittate tra le carogne d' Oxonìo. i corpi di Bu-
cero e di Pagolo Fagio , in Contorbia, disotterrali e arsi.
XX. Senza il parlamento non poteva la reina coman-
dare che il culto divino si raceonciasse: ma lo sospese, e
confortò tutti a lasciare le sinagoghe, l' orazioni, le comu-
nioni zuingliane, e ripigliare i modi catlolici. Bastò la sua
volontà dichiarata a far per tutto il regno le chieseu6ziare,
e predicare alla cattolica; senza altri scandoli , che d' avere 4
in san Pagolo di Londra tratto al predicatore ono il pugna-
le, un altro un' archibusata, L'esequie ad Adoardo, benché
per uman credere mortò fuori del grembo della Chiesa, fece
solenni, per fratellevole affetlo: ma ravvedutasi, non volle,
che per suo padre, autore di tanto scisma, Iddio si pregasse.
Per ridurre i popoli all' obbidenza della sedia apostolica, e
farli ribenedire, chiedèo a papa Giulio terzo, e l'ottenne, I

e arso Dltlrtato in OzoniQ:. e iD (botrio arso ostiDato,. G . ., Era il


,. Cranmero di vita t nlaidiuima e pubb.1icameate .yergosnata, Tubatore di fem-
" mine, arcivescovo ammogliato, e se cento vite a"esse J cento volte degne di
.. _morire ano vivo. '" Ba,floH, JIO,./" thU" l"pll~e,.,.a~ Iib. i, c. !.
I fu comaNdato che ee.: "fu comandato lotto gran pena che ec... G.
S ptrcAè esli v,nll,: .. per eslPr veDuto..... G.
, eh. d· ""er, ... che d'avere UDO ... G.
5 cAi,dèo 41 papa Gtult» t,,..o~ , l* ottenne r ff {'hietico t ottenne da p:lp~
Giulio terse... G.
35'
lJELLO 6C1SM. D'INGHILTERRA

il cardinal Polo per legato, in quel regno, de Iatere: I ma il


cardinal Dandlno , legato appresso a Carlo quinto, gli scrisse
di Brusselles, che a loro pareva per molle cagioni da sopra-
stare un poco. Mandaronyi a specolare le disposizioni' del-
l'isola Giovanfraneesco Commendone, camerier del papa, e
poi cardinale, uomo ingegnoso e spedito. Vide diligente-
mente ll tatto , e con una lettera della reina, che promelleva
al pontefice l'ubbidienza, e ehiedeva la ribenedizioue, a
Roma se ne tornò. Polo fu spedito legato in Inghilterra, e
di più a Cesare a trallar pace col re di Francia. Quando fu 3
al lago di Garda, alli 13 d'agosto 1/S/S3 spedì alla reìna ;' ral-
legrandosi, consolandola, confortandola, oiI'erendosi: poi la
pregò, che gli volesse dire in verità, a s'~11a credeva, che
per tanti anni la malizia del diavolo avesse de' cuori di queUi
uomini la ubbidenza a santa Chiesa sbarbata "del tutto, o
pure ricisa da potere sperare di farla rimettere: e quando sa-
rebbe il tempo più allo a venirvi per far buon eRetto:' e che
ne attenderebbe quivi risposta .•7 Rispose, li che quanto prima
egli venisse: dell' antica fede e ubbidienza non dubitasse:
Iei al pontefice ubbidientissima offerisse, e da lui impetrasse
la perdonanza. » Polo all' uscir d'Italia scrive a Cesare del-
l'altra sua legazione, e il luogo dove già era. ,Cesare in gran
diligenza gli scrive, che li farà piacere a non passar più ol-
tre fino a nuovo avviso. o fermarsi I a Liege, Tenevalo a bada,
perchè le noze di Filippo 9 s\ compiessero prima ch' egli arri-
vasse, lO temendo non la sua presenza le Intorbidasse.
XXI. In tanto si seopersero varie congiure in Inghilter-
ra, e furono gli autori presi e puniti. Ma gli eretici non avendo
altro modo, cercarono con diaboliche arti le nose e l' ubbi-
l per legAlo, in quel regno. de IAt ere: a per I.galo de Iatere ia quel re-
gno. '" G. •
I fe dilpo,i';o,,1 r • la dispesioae. " G.
a Q"'",do l'H • E quaDdo fu. • G •
• 6fH41 ali. ,.,inA: " scrwe aUa reia3. '" G.
5 cAc ,li 6101~66' di,., in ",,.itil: "cbe.in verità 81i djreilt... G.
6 4 "'"iMl; 1'4"ftl,. bilO" effetto: • a venir a riò fare ... G.
7 qiuvt ,.i6poda: " qui'Yi tUoi risposta. '" G.
III 0ff!,.ma,.s;: • e fermarvisi. " G.
9 di Filippo: • di Filip(lD suo figliuolo •• G.
IO t".,.i..-asse .. • fusse in Inghilterra. G.
r
I LIBRO sIlCONDO.

dienza impedire. AI tempo d' Adoardo, I Guglielmo Tommasi,


cancellier del senato, volle avvelenar la reina, e ne fu pu-
nilo : ora l'Cl' s olle va re il popo! di Londra , trovaron o IIU "lo
a rzi!.l 0"olo. Tra du e pareli na sco l'O una fan ciulla [Lisnbeltn
Crosia fu il nome di le i , Dr. e h del trovnt ore ) la qual con
voci spa entos ,e parole dettat ele per Iromba , sentite dal vi-
cina to, stima le sopr' um ane , o d'a nge lo, I minacciava rovlna
pubbli ca , s si fac eva no le 1I0ze pag nì uol e l' union pa-
peSC<1 : e molle co dicea scure a modo Il li oracoli, ont ro
a lla mc a c a llr e co c cattoliche. Il pop olo orr eva , e 'am-
mazava p l' la ca lca. l con upevoli i trameuevauo , I d ihia -
ravano li oracoli, le profezie , ace ro ce va no lu pa v ulu,
rcnn il muci lrato a veder c he cosa e ra , ru ppe il muru ,
la fanciu lla, appari, confess ò, porlò il bavaglio; c la co sa
lornò in ri sn , e mn ec ior odio contro alli e re tic i, Filippo enlrò
in In q h il! 'l'l'n: le noze e l'union c si co nc hì use o: C Polo I i
fu di Brnhanza cond otto da du e con icllerl del re gno. ' Alli 2M
di nov e m b re , in parlamento d elli lal i , pre e n ti la l'cina c
il , spo e la ca usa della Ila I ' f;az ione. « Tornassono alla
,j vuta ubbidienzn de l romano pontefice offerente perdono:
l'in raziassouo Id d io , che avea dat o loro tal e l'cina re . Il Il
v o o di ntinlon ca ncellie re on molt e parole co nfor lù
" Ii la ti al medesim o , Idd io lodando , ch e mandava la a lule
lor o p ' l' que lo profeta de l an aue loro. L' alt ro gi Ql'no up-
plicaro no alla l'c ina e re , c hc per loro inte rccdes e ro a 011 ' ller
pcn lo nanza tJa lui della lor o di ubbidienza alla se d ia apo sto-
lica , ' de reti falli co n lro a qu ella , Tuil i gli annu llavano , '
in lui c in lur o i rimeu evano ; pur ' he fo ' e ro prosciolti d nlle
Co ns ure , ri ce uli nel rr ernbo del l Chiesa , ome lì Iiuoli 101'-
n a ti a p nitenza •
• r .' 11. Il seguent g iorno il cnncelliere d i s ' quanto av ,-
va n d libe rato li ta li a pra la ri chie I. dci leg a to , Il IIr -
S ot ò al l' a lla l' lna la uppli ca i illa la : ssi l' a pro no , e
t A l tu""" d' ~·l t'Ollrdù t e. : .. Irtll'tr on h' oll rl III' av er volut o r..ui;ltrlmu
T Oll1lu:I .loi canee li re Jet enato al trltlr l' II. Ollout.lo , J\'YIltu,u 1.1 rcin.. I o nJ~
n e ru pUDito, r n sollevare h .. .. ( ~ .
t ~ 1)P,.·I'''' ,hUJ CI ,l' dng" /o : ,. nQ TI umeue ma d' l uselo... c.
S ,,.nmr t" tlllntJ .. " r.amtClt V3no... C.
, ('on"E:Ut" ,Itl , '$"0" .. «(lll, i lier.(b i ,u me_.. r;.

0'9" zec by GoogIC


416 DI!LLO SCISMA D' lNGRILTI!RKA

porgono al cancelliere, che la legga. Ciò'.fatto, si voltò alla


ragunanza che rappresenta tutto H reame, e disse: « Volete
voi cosi? » All'ermando tutti, H re e la reina la fanno dare
al legato, ·H quale produsse la bolla della sua legazione, e il
luogo lesse, dove il pontefice gli dava la podestà dell'assol-
verli. Poscia con grave diceria mostrò quanto la penitenza a
,Dio piaccia, il Paradiso se ne rallegri: ringraziò H Signore
di cotanta loro volontà d'ammendarsi: si levò da sedere, e in-
ginocchiatosi ogn'uno, OI:'Ò a Dio, che voltasse l'occhio della
sua misericordia a quel popolo, e gli perdonasse: Cl E io,
disse, legato del-vicario di Cristo, vi assolvo, e benedico in
nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito santo, » An-
dossi. in cappella, e ringraziossi Iddio con giubili e canti e
sinfonie e lagrime ,d'allegreza.
XXIII. Il secondo di dicembre il detto vescovo cancel-
liere in san Pagolo fece una predica (dov'era il re, Hlegato e
tutta Londra) 4i questa sommession del rea me alla sedia apo-
stolica, e sua ribenedizione, e ne furono appresso mandalial
pontefice ambasciadori , a rendergli r ubbidienza a nome delli
re, e di tutto il regno. Il papa ne rendé a Dio grazie con le
usate solennitadi in Roma, e con un grande giubbileo per
tutto il mondo. Per levare le difficulta, che a questa santa
opera s'attraversavano, che molti I falli ricchi e grandi di
beni di chiesa temevano di non li avere a lasciare, vedendo
massimamenle la reina d'ogni cosellina I farsi scrupolo, e
mandarla via S al legato, e desiderare che i conventi ritornas-
sero, e già avere i monaci rimessi in san Benedetto, sepol-
tura de' suoi maggiori, occupato da certi preti, quetali parte
per forza e parte per ricempensa.j" il legato cotali possedi-
tori confermò, e liberò da ogni pena e censura de' canoni:
ma loro ricordò gli esem pi di simili, che Iddio avea gastigati.
Mollissimi matrimoni fattl in gradi proibiti, che non pote-
vano separarsi senza grandissima confusione, dispensò, e di-
chiarò leglttlmli lor figliuoli. Confermò i vescovi di mente
I clr. molli: •• uese cbe molli.• G.
, costllmll: .. menomuu. ,. G.
I mnntiar/n via: • mandar viii. " G .
.. ptr ricompensa: .. con riccmpcns a. " G.
LIBRO SECONDO. '''17
callolica, non callolicamenle fatti, e sei veseovadi da Arrigo
creati. Co' religiosi ammogliali parve troppo dolce, separan-
doli solamente. A riformare gli studi mandà Inghilesi, e Nic-
colò Ormanello, fallo poi vescovo di Padova, il quale tulli i
collegi nellò, e all' antica forma ridusse. In Oxonio l fu con-
dotto a leggere, Pietro Soto spagniuolo , domenicano, pro-
fondo teologo; e altri domenicani chiamati di Spagna e di
Germania, i quali la gioventù struirono e innamorarono di
dottrina cattolica, Da Pietro Martire a Soto quel divario era,
che già santo Agostino faceva da Fausto manicheo, suo pri-
mo maestro, a santo Ambrogio; l'uno, tullo fiori e leggere-
za , l'altro, frutti e saldeza. Tornò-adunque per tutto l'antico
amore: e rifacevansi agara , e adornavansì i collegi:' frequen-
tavansi le messe, le preci" le confessioni, le comunioni. E
nella cresima (in quel paese si venerata, che di selle anni
chi cresimato non è, infame e punito è) S per non vi"essere
stata valevole già sei anni che regnò Adoardo, la calca
de' concorrenti affogava i vescovi. Il legato pubblicò e co-
mandò, che s'osservasse una riforma falla dal sinodo e dal
papa approvata: ma quell'avere ristretto a' cherici 'la deliea-
tura e il numero delle vivande, a molti non piacque; non
parendo potersi in que'luoghi e tempi cosi bene osservare.
L'ambizione ancora e l'avarizia del tenere molti beneficii
mal si potè ammorzare.
XXIV. Per questi, o altri nostri peccati, o perehè a Dio
non paressero le enormeze d'Arrigo ben purgate con si lieve
vapulazione, ecco che la reina in capo 8 cinque anni e quat-
tro mesi delsuo regno mori: 5 infelice, per non aver grazia. ~
come d'Arrigo figliuola, di figliuoli. e lasciato alla sua emola

l In Ozo"io: .. CII e i n OJ:onio... G.


I ado,."aparl.i i coll~gi: Il Adorn3v<!n~i i monasteri, i ecllegi. ., G.
S i"fame ~ p"."ilo è : Il è infamia e ptna.• G.
4 '4" ehrrtct, " de' cherici.• G.
!J morl: • si morì'. ., G •
• ~r 11011 ape,. grazia 'ec.: .. per non aver meritato, per esser d'A.rric o
filliu.ola, lasciar figliuoli, e p~r lasciare il regno alla sua emula che nella religione
lo tuvagliaut. ., G. _ A ccmpimeutc di questa narraeiene, vedi ,uno Itato della
religione iD Inghilterra , dopo 10 scisma, le Belasioni del Beotivoglio; Rdtlc;one
di Fi.ndr.~ Parte II, cap. 3.
.0118 IJIiLLO 5C15!U D' lNGWLTERR.l LiBRO SECONDO.

il reame, perché nella religione lo lravagliasse. Il cardinal


Polo legato morii. doppo lei dodici ore.

f li CG,-dirtQ! Polo le~tlto mo,.ì. IN Così maocarono in quel reame lo stesso


• lPorno i due cardini della religiob cattolica, l'uno de' quali COD la potenu.,
" l'altro COD ]; UpitDU, ambedue col zelo. la losteata"IDO. Giunse quelL'I DO-
" vena in Roma il lliorno nnlnimo••• oDdo di d...mbr<, ael qual. appunlo
" $' erano celebrate da] papa l'uequie di Carlo quinto: e lo pOli io. GraD selleci-
.. tudine sopn Ia salute di quel regno ancor cagionevole nè ben guarito, " (Pal-
bvidno, lib. XIV, cap. 8, D.. i.) Lasciò erede d'ogni iua 50llanza Luigi Priuli
.eneaiaDG, aì iDDamonlo della virtù e dellapete di lui, che Don ,i parU·mli dal
suo fianco, serveudele come segretarìe "D&I volerae m.ai stipendio alcuno.. (Vedi
Il test amentc nel Ciaconio, voI. IV, pago 637.) Del Polo parlarono eon ammira-
.ione 60 gli steui protestanti. Senza numero sono le onorevoli teltimoDiaDae che
di lui 1'eeer0 n.' loro scritti i più ebiari uomini di quel tempo. Per lutto Ioggui
la bolla. prefazione che Paolo Mauu.io pr.melto allibro del Polo: D. C.ncilio.
Vedansi anche le lettere dci Bembo.

-~.~

• 'il' ...
419

ORAZIONE
NEl PRENDERE IL CONSOLATO

-
Se mai fu persona che amasse alcuna cosa e la tenesse
in pregio e ne avesse molla cagione, io certamente, vìrtuesì
e nobili ascoltanti, sono il si faUoverso di questa Accade-
mia, la quale primieramente mi riceveUe nel suo seno nella
mia più, tenera giovaneza, t e mi diè prima oeeasione e ar-
dimeBto di correre questo pubblico aringo, e con suoi pie-
eioli onori, quasi madre lu.ingbevole' con dolci pomi, più
volte allora allettandomi, mi accese di sé vagheza.
Peseia, quantunque io mi fossi per lungo tempo acco-
miatato da lei,' aUro fine eercaude," nondimeno ella pur mi
onorò il passalo anno della sua seconda dignità, a ed ora, co-
me voi vedele, mi ha dala la prima con questo bello e caro
vantaggio di succedere a persona a me .amicissima," ,per
,I • Ben COITilpond. 'l''ut. onaione • talle I••h .. opr,e .lII!, ..Ile qll.li
..... p.,I... , per cosi di.. , .1 r. int.nden • cbi .i pea.t,••otliJmul••• Sol.ini,
F.lli d.U· .Je•• d••11I Fio'".Ii.... ", Sl7.
I Conll.. fil IDDi. '
5 SC.tte due .aai ••n.. leggere.
• Cioè, la mer•• tll".
5 Fu .OD.iglie, e e0. Pi.t,o CovODi l' .aDO li74.
6 È q....li ADto.io Alhioai, di...aclented. quel Fran.ucbino degli Albini,
poe~ tOI.lao, Imico del P.lr.... , e ricordlto d. lui eee .&uo, raellendolo in
i._n GuiUooe cOn Cino •• 00 Dante. l'I.cque in Vene.i. dal leo.to. L....
e dt1I1 Gi di Pier Fraac_o Dd Beui.... Fu de' .ett. fOlldl&ori deU'Acx:..
deruia degli Iherali, e vi .i .bi.mò il P.~i.. Seri_le I••il. del ·m.naci.llo
Piero Slroni e un t,aU.to dell. Poe>ia, ricord.to da Luigi Alom.aDi nell' era-
.i..... in morte del S....tli. Quando prtle il <o,uolato,fec...... octID...odlll4
D,.• .ume ~ le"... d;.~ol""li liti ql.llo elM ,.ichi.tle Iti COla i• • • • ".,,4-
Fa,".
(C. Bartoli, I.ttera del 27 Dlar... lli74, pre..o il S.I.ioi, p. 211.) Gi.ub."
ti,ta Stroni, il Cieee , io una leuen. G. B. di Filippo Stroni due: • De.id ..
.. nnda V. S. iutend.. d il nome. qualche p.,ticol.rità dello ..ritLor. della
.. Vita del.ignor Piet,o reseial dì Fr.nri., ..ppi•• he ru _critta ùlMgno',
.. Antonio ~l1Jilli, che nacque ottanta tlDti anni iono in VIDlaia, d••e Luca
"20 OU.ZIONi l'iEL PRItNDIBE IL CONSOLATO

consuetudine virtuosa, e riguardevole e chiara, quanto voi


conoscete, di sangue, di costumi, di scienza e di senno. Lo
cui splendore in questo seggio lasciato, adorna ora me e ri-
schiara con piacere incredibile del mio animo, che non é si
duro nà stoico, che per si fatto onore non si risenta e muo-
va. E se Solone, ch' era gloriosissimo tra i mortali, ed aveva
testimonianze (credute allora divine) della sua forteza, il
trofeo di Megara; del gran consiglio, il racquisto di Salami-
na; della mirabile sapienza, le sue leggi ricevute da tutta la
Grecia; nondimeno quando egli fu annoverato tra i seUe sa-
vi, ne fece cotanta allegreza; quanta ne debbo fare io d'es-
ser tra i vostri Consoli, che non ho maggior gloria, né altra
uguale testimonianza di virtù e dì.Iaudej
Della quale come potrò io mai, o Accademici, rìngra-
ziarvi1 Tutto '1 tempo di vita che mi può dare ancor la na-
tura, fia poco a rammemorare, non che a rendere all'Acca-
demia le grazie ch' io debbo. Volgerò dunque il pensiero alle
cose, che fare mi convengono intanto u6cio. E qui sento la
mia allegresa convertirsi in limore, considerando il magi-
" IUO padre esercitò nobilmente mereaturaj poi tornò io FireDlt e dal G. D.
" Cosimo fu fallo Quarantottoj e io molto bea mi ricordo, che nello 'DDOi!i73
• fu commlnario • Pisa j e pochi anni dopo lo vidi eommessarie ia Pistoia.. n
• sigDor ADlonio suo figliuolo iD Padova sludiò in filosofia. in legge. E qU'Ddo
" veDDO in Firen.e cDI padre , cioè lral i660 e il i670 era intendemi..imo In-
• cora di retteriea e poetica, e nelle j'lorie antiche e moderne aveva grladis-
." sima pratica. Non mi ;, uscito di' mente cbe il lignor Mario Colonna, ammi"
• rahile uomo per tutti i rÌipeUi: disse più volle, che il lilDOf Antonio A.lhi&&i
Il 81i p'neva il più intendenlt e il più giudilioso, che fnue in questa città, oella
" quale erano allora molti che ce!]e Iciea" nntavano molto .vanti. Gli altri .i·
• milmente lo avevano in questo eoocetto. Pu "gno eili~ciò, sei gentiluomini
• volendo principiare un" acudemia ricorsero a lui, ebe fu il più eminente tra
• loro, e po'no dir Jopra loro. Da questi lette incominciò )' accademia degli AI.
• ter.li nel i667, e avendo Del 68 f.tto aeeademieo aneer me, .~bi oc.asione e
• V"Dtan d'imparate da lui; e i~trins~candomi seeo, lo pregli che imprendelie a
• scriver la .ita de) .igno!' Pietro: il cbe volentieri ei fece; e' mi disse desiderar
" ebe Icrivelsi io' la vita Il' uao delli Albini, del quale mi areLbe dato Dotilie, si
" come De ebbe d. me per la sopraddetta .ill del m.r...i.llo.... 1\ signor Albi..i
" .....olonlò di acereseer la predella .ill serill. d. lui nel i!i7!i. M. chiedeede
"' il cardinalI! d' Au'tria alla t;raDdll~helia Gioya-onl SUI aia un guade e valen-
., tuomo per valersene in affari importanti, gli mandò il signor Antonio nel t.577,
• che mi la.ciò la delta vita, con dirmi che io ne delli lettura I qualcuno e co-
,. pia a DenUDO, penAndo tSli di migliorarla al suo rimpatriani qni, dove è
• 'talO Don mlDco desideralo che aspell.lO." Satvini, P'g. UI, Uli.
NELL' ACCADEMIA. l'IORENTllU. 0121
strato essere il cimento dell' uomo, e doversi per quello to-
sto manifestare la mia poca virtù, e la vostra soverchia af-
Cezione: convenendosi dare il magistrato, che dee le cure
pubbliche sostenere, ad uomini che ne abbiano la possanza:
la quale è delta virtù, cioè a dire, Corza di Care ottime cose
e grandi. Et a cui tanto puote, o creduto è di potere, gli al-
tri s'inchinano e Cannogli onore. Il quale étributo proprio
della virtù, che lei circonda e adorna, siccome raggio stella,
e non può essere senza peccato. disgiunto da lei. Pero gli an-
tichi il tempio della virtù e dell' onore adattavano in guisa,
che l'uno rispondeva nell' altro, et era tutt' uno. Questa
virtù nel magistrato si melte a prova; e colui che non l'ha,
di orrevole uomo, è rìputato vile, e beffato rimansi, e quei
che 'l favorirono, sdegnati e ripentiti.
Ora, affine che queste cose a voi eda me non avven-
gano, Accademici, due rimedi ci ha; l'uno è, che io e
m'affatichi e sforti, l'altro é che voi m'aiutiate. Di mepar-
lero brieve e da sezo. A voi cercherò di mostrare.quanto ben
seguirà, se voi /iuesla Accademia favorirete.
lo non vorrei che voi, dotti e scenziati, credeste questa
caltedra esser Catta per- esereitare i giovani solamente; e
perciò la sdegnaste: anzi fu ella per voi pure principalmente
ordinata da quel sapìentissimo che considero la condizione
de' tempi poca altra opportunilade e luogo prestarvi da p0-
tere la sapienza de' vostri petti, e la doltrina e l'eloquenza
dit1'ondere, e perciò arrecare a voi gloria, aUrui giovamento,
alla patria ornamento. .
Egli é il vero che voi potete, scrivendo i chiari volumi,
aver gloria maggiore e più durevole; ma questo non si può
sempre Care prontamente; et anco a questo può l'Accademia
giovare non leggiérmente. Avvenga che, chi volesse nel
compilar le materie di suo trattato divisarne qua' entro, ne
farebbe un cotal saggio, ovvero modello, che mostrerebbe
come il fatto e la bisogna tornasse; ene udirebbe, quasi
come Apelle dietro alla tavola, i giudicii del popolo, la cui
voce dal Filosofo é chiamata non falsa, e dal proverbio
divina.
Già non vorrete voi, o doUi,non iscrivere, né altra-
Il. sa
..22 ORAZIONE NEL PRENDERE IL CONSOLATO

mente mostrare, ma studiosamente celare vostra scienza.


Perché questa é la luce dell'intelletto, che non yuolsi copri-
re, perché coperta si perde, poiché non luce; et aperta ri-
splende et è COlla marnigliosa et ottima. Ottima 'cosa è
l'acqua, disse uno antico Poeta, I ma perché non più tosto
la luce? Veduto che il Sole ministro' maggiore è della na-
tura, e che quando egli genera, non cria di nuovo le cose e
non le fa, ma le trae fuori deRa materia graDde, che è lo
scuro Caos, e le iIlamma e Dlosl1'a; poi quando le CGl'l'Ompe,
non le riduèe a niente, e non le disfà, ma le aceieea e na-
sconde; di maniera che il nascere, altro non è, che venire a
luce e mostrarsi, e 'l lDOI'it-.e é fuggir la luce e tulf6rsi nelle
tenebre. Però credeasi per antico i morti andarne a quel-
l'ombre dell' Erebo e dell' Orco e del Tartaro e di Pìutone,
In si fatle ombre si sta chiunque nasconde sua 'firiu!e e non
l'adopera, e morto dir si de~ quasi e senza anima. La quale,
non essendo altro in sua 8OlIt8Dla che luce spiritua~, si di-
letta d'ogni altra luce. a Segno n'~' (per lasciare in que8&o
luogo sotlililadi) che elìa nelle tenebre ha paura, e quella
odia e fogge come sua morte: e la luce per lo contrario alla
nostra anima é si gioconda e cara, che senz' ella BOn può
sentire niuna piacevole cosa. E di vero che l'aver tutti i
beni del mondo, s' altri no '1 88, se noi viviamo scuri e 80-
litarì, tanto monta, secondo il mio parere, quante sedersi
BOlo e senza lume a ricea mensa app8f'8Cclùata per ampie
noze e nobili. Noi siamo e ci viviamo per operare e giovare,
e gloria con virtù proeeurare. Adunque non soppellite, o
letterali e valenti uomini, la vostra virtù. Non tenete la
fiaccola de' vostri chiari intelletti solto 'l vaso, ma levalela.

I PiDda,o Dell. prima delle Olimpicbo, ·i.p'GTO~ ~I~ UÒ(,Ip: DIti", .. in·
pe~o t l' .eq ..... Ma DO
oIlro poel. Don .ooaa idogDo:
. Oltima • l'acqua,... J. bo.. Piud.ro.
• mlnl.lro. La .Iampa origioalo del Sal.ioi, Odietre di ossa tutte 'o sltre ,
mo.lro. Eppure' era facile vedere cbe 'lui .cceoDasi alla perifrasi D.Dlelc. . .,
lole, .ppeJl'IO .
Lo mlail!ro ...81.... <I0Il. Il.''',a.

a L. 'lampa del Sal.ioi ba: • La 'lualo,.e Don mal. alcUDi SIGIOCarono,


aoa li altro iD lua IOltaDu che Iute .•
NELL' ACCADEMIA FIORENTINA. 423
<, suso in alto, e ponetela sopra questo candelabro si, che ella
appaia e riluca e rallumi altrui,"
Quei concetti divini nelle menti vostre racchiuse I sono
quasi figure ottime, con divina arte tessute o dipinte coll'ago
in panno ricchissimo ripiegato, che là si sta. Spìegatelo e di-
stendetelo in queste onorate pareti, e lasciatel godere et am-
mirare a i riguardanti. .
Che dirò io a voi, giovani virtuosi, e vaghi d'onore? Se
voi bramate l'animo adornare, dove il farete voi meglio
che 'n questa Accademia? In essa il frullo degli studi, il·
fiorire degl' ingegni, la bontà del giudicio, il tesoro della
memoria, la grazia del profferere, ,la destreza dello invenire,
e si falte altre cose, prima si mettono in opra, e fansi cono-
SCè~, e le lor prime laudi s',acquistano, come vedeste
l' altr' ieri gentilissimamente a quei valorosi giovanl riusci-
re. In essa i medesimi ingegni si esercitano, e quasi colti-
vano si, che sebben fussero- sterili e salvatichi, si fanno di-
venire fruttificanli e domeslichi. In essa molle cose s'appa-
rano giovevoli all' armi, alle lettere. al mercatare, al navi-
gare, al comun conversare. In essa, .come in propria squola,
si dee difendere e mantenere quell' antica e pura eleganza
della vostra lingua nalia, la quale è l'effigie e la figura della
patria vostra che voi portate. '
Imperò che si come ciascheduno vivente non potendo
conservar se, lascia, generando, la sua somiglianza in al-
trui, e quella tanto si ama, che quei figliuoli son vie più
cari, che più somigliano i genitori; cosi Fiorenza, vostra e
patria e madre, ha l'effigie sua lasciata in voi, non nel vollo
e nella fronte, ma nel parlare: per lo parlar fìorentìno siate
raffigurati, e per figliuoli di Fiorenza riconosciuti. Onde ella
tanto più teneramente voi amerà, e voi a lei tanto maggior
servigio farete, quanto più semplice e pura e casta e can-
dida conserverete quella sua bella faccia e sembianza pri-
maia, ciò è la vostra buona e antica favella.
I AcceDDI. quelle parole del VIDgelo' • Noli'" acce.. de~e I,..e~..am et
pone,., eam 6ab modlo~ ...d l''pe'' clllldel"b"IUII,..' 1,"'ld omnihu. qrli iII
401ll06Wd._
I ~acc"irue. Co.lll .lampl del SalviDi.Le altre , ~acchi,..i.
424 ORAZIONE NEL PRENDERE IL CONSOLATO E~

Quando ella fosse laida e soza, e vi facesse vergogna,


come faceva ad Anacarside quel suo linguaggio di Scizia in
Atena, voi pure la dovresle per ragion di nalura apprezare.
Or che l' avete s1 vaga e si onesta, e che ella vi fa tanto
onore, non l' amerele? non la difenderete da coloro, che la
vi furano e guaslano?
. Fingete di vederla dinanzi a voi qui comparire in figura
di nobilissima donna maravigliosamenle adornata, colla fac-
cia in sé bella, quanto amorevole, ma ferila sconciamente,
e travolta le sue fatleze, e lutla laida di fango, e che ella vi
dica piangendo, e vergognando: « Guai a me, che slraziata
s1 m' hanno, come voi qui mi vedele, quelle mani straniere,
e non pure, cui sono in preda, e del diliberarmi non ci ha
chi por cura. lo vi chieggio mercé. » A queslo spettacolo, a
quesla voce della voslra amala favella movetevi, o giovani
ardenli, e con rime e con prose e con regole e censure e
lezioni e orazioni, e con tutte )'altre somiglianti accademi-
che armi, accingetevi pieni di coraggio e d'amore, come
avesle a ripigliar la rocca o il Campidoglio, o ricovrare il
pregio antico el'onore e la smarrita possessione della vostra
dolcissima lingua fiorentina. Et io vi sarò guida tutlo que-
sl' anno, dacché a voi, Accademici, così è piaciulo; e starò
tutto intento all' opra e vagheggianlè, e vi prometto ogni
mia studiosa sollecitudine e fatica e diligenza, e spezial-
menle di quesli Capiloli l'osservanza; e di fare non pìcciol
frullo (la divina grazia e voi aiutantìmi] non diffido:

...
NOTIZIA DE' CAMBI. I
,
IVVEanllllNTO. - Nella NtJflot.".. C_I. lIIlI1a r..s_ fI.u• . ....... lIIlI1a 0...._ III
"""'. di C..intD • aoII. dao 0 _ r... 1o, bo ..plio la Ilampa OonnliDa doIl11U1i •
'LaDdi, Dea lo doI_ritU .bo bo palato ..oro IOlt'oe<bio ...........
DOtalo a1l'roprl .... bL

A MESSER GIULIO DEL CACCIA,


DOTToa DI LEGGa. I

--
La mercatura si è I un'arte trovata dagli uomini per sop-
perire" a quello che non ha potuto far la- natura, di produrre
in .ognì paese ogni cosa necessaria I o comoda al viver uma-
no. Coloro adunque, che le cose cavano ond'elle abbondano,
e le conducono ov'elle mancano, 80n mercatanti; e quelle

I Della lVotioi" de' t::mbi bo nduto due maaosorilli masliabechiaai, dei


quali bo Sià dato coute..a aena Bibliografi" (VoI. I, paS' LVIlI). Essi o&'rouo
iD60ite. e bea di rado buoo~, varielà. Però per aoo iofrucare lroppo quesle pasi-
De. e percbè 000 è certo cb'ell' varielà proveaS~o dall'Aulore (poreodomi molte
di esse anarsameali di qoalcbe sacciulo copialore), mi limilerò a daro. solameale
DO "SSio oe'primi periodi, acciò illellore veSSa da ai il eonto che sia da farae,
Cbiamerò .l. il Ms. sesaalo cl. VIII, 43, • B. quello sesoalo cl. XXV. 339.
, Giulio Del Caccia, aalo il i!i luSlio i53t. morlo il i ollobre i591,è pa-
dre di quell' Alessandro cb. fa v.scovo di Pilloia. Giarecoasulto dOllillimo, fa.
molto stimato d~ Cosimo, che wò 1'opera -aDa iD. molti e gnvi Degoli e ODO"
nvoli ambascerie. Fu C'lOIOle dell' Accademia fioreotiDa l' I. i56' D.l tempo
ebe , a petùiooe deSii accodemici, il do.. s'iaterpo.. prello i padri del coocilio
di Treoto • cbe.!oss. permesso di topurgare il Boccaccio, acciò Sii stadiosi e one-
sli 000 fossero io tutto privi di si etf'Ollio esemplare di eleganoa. Fa ltoltore
fioreotioo e Sonmatore di Sieol. Pier Vellori. il Varchi. l' Adriloi lo ricordaDo
COD lode. Vidi MaDai, Se .."lor. fior.; Salviai, Fa,1/ cou.• plg. iSt·iS3.
I L • • ,n"tur• • 1 i: • La' mercatura è.• A.. B.
& per ,opperira: _ per suppliie•• A•• per utile cioè e per supplire•• B.
S " quello c"e nOn "" potuto f"r /" ..",...." .... , • a quello cbe pare aver
mancato 11 Datan a DOD pTodune ia eiucbedua pl.se ogDicosa aecessaria•• B•
• DOO ba potato far la Dltara, cioi prodam ia ciaocbedua paeae tutte le eose
Decessarie o comode•• .l.
36'
426 NOTIZIA DE' CUIBI.

cose in quest'atto, mercanzie. Mercatare o contraltare si è,


dare tanto d'una o più cose per averne tanto d'un' altra o
d'altre. 1 Le cose mereatabilì sono, o robe o danari: queste
contrattar si possono l'una con 1'altra in tre modi; robecon
robe,robe con danari,e danari con danari. Onde tutto iI ttaUico.
mercantile' è di tre sorte; baratto, vendita e cambio; il primo
insegnò agli uomini la natura, I che, per fornirsì ' di quelle çose
che lor mancavano, davano di quelle .ebe avanzavano; I iI
secondo fu trovato per agevolar 8 il primo; il terze per age-
volar" ilsecondo,comeàndrò divìsando.vDnrava appo i Troia-
ni il primo modo di barattar cose a cose," e ~on pare che.
l'oro si monetasse: sì bene che e' valesse più degli altri me-
talli,poichè Omero dice IO che Glauco barattò l'armi sue d'oro,
che valevano cento buoi,a quelle di Diomedech'eran di rame, Il
e ne valevano nove. Ma accorgendosi 11 gli uomini, come

, MerCtA'_ " CDNO'.,ft/ra, ec••• Mercatlre ...01 dir co_t....tta... e dar


tanto d'UDI eQU o più, per averne tanto d'un'altra O altre, Le cose mercatahil!
lODO o rohe o danari: queste li pOSSODO contrattare , te." A.... Mercalare vuoI
Ilire eoat lta ... e palIDire CDn ale.. no cii dargli tanto di una ""sa. Le COle ;,be
..I .... reat ° °
iDter.ta,OIlO lODO JOb<' d....ri .• 11. '
I trllgico nttrCGntile: .. uegosic merc.aDlile... B.
5 1uepò ",li uomini la na'ura: • Iu agli uomini inltgnalo dalla nalD.
n .• A. B.
, per fornirli: • per pronedersi.• A. B.
5 che 4panupanpl • che loro avausavano. ,. A.. D.
6 per ageflolar: .. per facilitare. n B.
, Il t,rco per ageflQl",.: A e il terzo per facilitare ... D•.
8 com. andrò di"illindo: Il come aodrò dimostraud». ,. A.•• come"dimo-
Itrerò•• B.
9 Dur• .,a a,po i T,.oiQn/~ ec.: • Sino al tempo de' Troiaoi durava il pri-
mo modo di barattar ccse a eose s perehenen pare che si monetasse ancora l'oro,
come OiSi, le bene era in maggior stima che gli .ltri" metalli... A... per non
essere ancora io. UIO l'oro, com' è olSi) sebbene l'avevano iD molte maggiore
stima ... B.
IU Omoro dice, I1i.de,lib. 'VI:

.....1..mblodei1 .....1 a 610_ lobo'


'
610"8101eD.D0. Ave"",GlHoe d'oro,
Dìomede Ili bronzo: eliD di quelle-
)CeD.to lauri il "alor , non di queste.
MONn.

, Il 4 qrull. di Dio",etla .Ia· _.di r..... ' '. a quelle di ome di Dii"''''
de•• A.... 'Indie di Dio cii ome. .. B-.
Il M4 4ccor/IoNdoll : ccorgeDdoli poi •• A.• di poi•• B.
Nonzu DS' C1IIIBI.: 0127
si dice nel primo della Politica, I che lè eese non si possono
agevolmente portar attorno e lontano,' per fuggir tanta m&-
lestia, convennero di elegger alcuna tosa che rUllAe comune
misura del valor di tuUe, e 'I misurato col misurante si pe......
mutasse; cioè che ciaseheduna cosa valesse un tantt» di quella;
e un tanto di quella si' desse e ricevesse in pagamento, e per
equivalente di ciascheduna. Elesser 1'0ro,'l'ariento e'I rame,
metaIll piu nobili e pcrtabtll.seontenentì in poca massa molta
valuta. Di questi fecer da prima I catai pezi rozl, grandi e pic-
coli, e gli spendevano a vista;' poi comlnciarOlt& a 'coniarli 7
col segno del comune, dimostrante'lor peso e bontà. t In Roma
fu battuto prima IO ii rame da Senio TuBo, tOP l'impronta

t Ari.totile, P.llt.l. I, cap. 6, .. C,,,,, • ,..motl••ib... q_"''''t..,. .'IZI-


/illm, Imp.,.t."d. Ili. q..lh,.. I"diph."t, et ..."o,.t.lldo III. q..ihru .h,,,,-
tI.h""t, ••e••••,.I. IIl1mml IIIfroodlletlU .11 Il'tÙ' " ... entlll /.ell. def"'"
""....t.,.fl&l•• tI ,,~ .U8I•• t•• q..,.. .tI """"'11"... /fIeIe.da.
t.l•• Iiquid ••m,......1'1/• •, i ...,. te d....t .ecl".,.., q'tod uttlt..m q.ipl".'"
.sl"e"'~ Ad,r,' ruum comm""'"dl/acU.m "d pllGm; celi /,,.,.,,m et "ro-

,.•••re, "".t _..........


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ecu.. Ii,.. ",.,.u._.
B'"'''''', .t.1 qllid .1I,1d tel«, ",.Im ••i"'plieit.,. defi"il"'" q"''''it"t. tlt
qrso • m,",,,,,.
,..1_ .,t .d q...."tltllt.... dem'"",,,"I1.m• ..
l/beN

I cA. le Ctue .011 61 po6101l0 ~ te.: • che non tuttele eese li pOllono a,.e.. el-
meDI. porllre, m...imomeDte 10DloDO CII.'I..oglti 10llt..111 B.), per lor ri. qoe-
.la dUlit"ltk, _0_ _ di e!eg.... aa. COla o"" fDIII COIIIlIDe mIour. (t....
..........0 di .1. ._ ''''...,. ".,. eo_e mi"".. B.) dal ..lor di llllie l'al.
tre, cioì cb. d ..cbedana co.a Ce". eì.. ,e",dllll' alt,.. co,,, B,) val.... un tante
di quella, et di quella UD taDto .i d..... rice..e... ia pog.meDlo per lo equir.-·
leDle dllatto (. ".,.Ie 'q..,..,I1.II" di cI~Md_a 8.) • A.
S Et.'H,.l'_, 'C.l .. E qaeala fD oro.lItllUlto.d .ltre eOH .imill, .go-
..oli. portani, fa"Ddo"" da prima ro...m'Dte ceri i peni graDdi • piccoli.• B.
& po,.tahill:. • come più ag...ole • porI are, portando, eco • A.
5 DI q...dl ]ee... , ec.: • De'qaali f_..onoeia prirM certi ptaal rOUCI.nl.
gnadi e piccoli, te•• A;
5 • ,li 8pe.d.~",,0 .. ""'" : maaca ael B.
7 eOlli",./i,. batterli.• A. B.
• dl",o,tr',,"t.: _ dlmo.tnndo•• A... per diJDOIlftrt. • B.
g h",., ....Ic.. e. _ B,
IO f" R.m"fi' b.tt,,,o p,.im", ec.: Cprimler....ente A.) .11 primo che bal-
te... broDlO I.a 1\0•• fD Senio ". ..Uio. do.... f... IColpire WI& pecorai e di 'lui,
di.. PllDio,la poeuai. fu MILa, beaebè V.no.. e Colum.lla dicaDO ....r d.tt.
dal peealio, ciolod..li armeDtil ebe .nDO la riedaeua dogli aaticbi. • B, • dare
.colplo pecora o .lt.. bUli. d.' loro armellli detti p....d.. :. di qai, dic. Pli-
Dio, fu 1. pecuDio appellati; o piUtlosto. secoDdo V.noa. e ColamelI•• dal p"
calia, cioè dagli .rmeDli, .b. 'e"Do 1. ricche •• degli aDlicbi•• A.
~28 NOTIZIA DE' CAIIBI.

°
d'una pecora, altro animale de'loro armenli detti pecude,;
onde fu, dice Plinio, appellata la pecunia, o più tosto, se-
condo Varrone e Columella, dal peculio, cioè dal bestiame,
in che gli antichi aveano lor nlsente. Fo poi battuto il de-
nario d'argentc con questo segno X, perché valeva dìecì.dì
quelle monete prime di rame dette /ISSi; quindi fu poi forse
chiamata tutta la pecunia da"arl. I Tal origine ebbe il danaro,
e per conseguenza il secondo modo di trafficare, cioè del
comperare e del vendere; il che molto chiaro si dice nel
Deuteronomio al.eap, U: Cum autem longior fuerit via et lo-
CUI, ftecpotuen. adCUfl& euncta portare, vende. ornnia et in
precium redigu, portabi.que manu tua, et 'eme. e~ eadem pe-
cunia qutcquid tibi. placuerit. Tutti i mercatanti adonque che
volevan cavar robe d'un paese, conveniva che "i portassero
o altre robe per barattarle, o danari per comperarle. Per
agevolar ancor più e schifar la seommodeza e il pericolo
del viaggio, crescendo il commerzio, si trovò medo d'avere
i suoi danari dove altri gli volessi senzaportarglivi; perché
e' fu avvertito che se voi, verbigrazia, avete qui in Firenze
ducati 200, e gli vorrete rimetter in Lione, in mano al vostro
Tommaso Sertini,' per còmperarne libri; ed io ne vorrò trar
di mano a' Salviati, altrettanti ritratti di mia mercanzia, e
avergli qui, 'noi possiamo riseontrarei insieme; e bell' è ac-
commodarcil' un l'altro, dandomi voi li vostri qui, e fa-
. éendo io pagare in Lione da' Salviati li miei al Sertino.
Questo scambièvoleaccomodamento fu detto Cambio, il
, qoale non è altro che dare tanta moneta qui a ono, perché
e' te ne dia tanta altrove; o la: faccia dare dal commesso suo
al tuo; il quale scambio si 'faceva da prima del pari, per solo
commodo e servigio di mercanzia, onde trovossi.Cominciossi.
.poi ad aprir gli occhi, e veder che dall' un pagamento, all'al-
tro, correndo tempo, si poteva goder quel d'altri per questa
via, e pareva onesto renderne l'interesse, cioè quanti inter-
4 Cioèt d•• llr-tt '1I11f'mi~ ,. 'lIune.." dellll,.io ~ che porta'YIDoimpRllo.
I e redo III il padre di qadl' AI....ndro Se'lini, ehe ledò consolò nell' Ac-
cademi. 6~ ..nIÌD" col nlnnuti conloro. di lui Cintò Lnigi Allmlnni.
Poi Tommuo Sertill, che qneto e piano
De'miglior VI H&UWO i plIsl ., l' opre.
NOTIZIA. DE' CA.lllBl.

{uit: però cominciarono a fare il secondo pagamento, pio


qualche cosa del primo, cioè rendere un po' più del ricevuto,
L' ingordigia di questo guadagno ha convertito il cambio in
arIe; e dannosi danari a cambio, non per' bisogno d'averli
altrove, ma per ti averli con utile; e pìgllansì, non per trarre
i danari suoi d'alc,un luogo,' ma per servirsi di quei d'altri
alcun tempo con interesse; e sant'Antonino,'n Gaetano e gli
altri teologi, lo concedono, oltre all'altre ragioni, per la com-
mune utilitade. Conclosìachè se non si Cimbiasse per arte, i
cambi sarebbon rari, e, non si troverrebbe riscontro ogni
volta che bisognassi rimettere o trarre per mercanzie, come
ora si fa; onde assai manco se ne condurrebbe, e manco
bene si farebbe alla società e vita umana; la qual piu si
'aiuta Il fassi agiata e splendida, per non dir beata, quanto
più gli uomini s' agitano e s' inframmeHono, li quasi s' ar-
ruotano insieme; talchè se bene l'inlenzione de' particulari
cambiatori non è,cosi buona, l' effetto universale che ne se-
guita è buono egli; e molli piccioli mali permette eziandio
la natura per un gran bene, come la morte di vili animali
per la vita de' più nobili.
• Ho detto l'origine del cambio quel che sia, e perché
lecito: dirò ora come e' si faccia, dando prima alcune noti-
zie. Ogni scienza e ogni arte ha li suoi termini e vocaboli.
La mercatura chiama Piaza tutto il corpo de' negozianti in
una città, forse dal luogo dove e' si ragunano, che snol es-
sete per lo più una piaza, Quando si dice la piaza ristrignere
l> allargare, s'intende esser pochi o molti danari ne' mer-
canti da cambiarsi, il che nasce da varie cagioni. Accaderà
che della piaza esca grossa' somma di contanli per far un
pagamento" a un principe, o per mandare all' incette, o per
altro; onde a pochi ile restano, e' chi n' ha gli tien cari e
stretti, e non gli vuoI dare a pregio ordinario, ma a mi-
gliore; e chi ha bisogno di pigliare fa come e' può; e pi~
glierà, poniamo, ducati cento, per renderne in Vinezia fra 'tre
settimane ducati cento dua o più.·Il contrario nelle largheze
avviene. Aecaderà che un principe cavi fuora danari per la
guerra, o che di fuori compariscano contanti assai: ogn'uno
vorrà allogare i suoi, e se non potrà a un per cento, aUar-
430 II0TlZl4 DE' C4J11BI.

gherà la mano, e gli darà a un mezo, a un quarto, al pari, e


con perdita, se ,di rimettere sarà forzato: e chiamasi lar-
ghesa e strettezà con parlare figurato e bello, per vocaboli
traportati gentilmente da quello strignere o allargar la mano.
Ogni paese ha sua moneta e costumi. Per Ispagna,' si cambia
a .maravedis, che ne vanno 350 allo scudo. Per' Lione di
Francia, .a marchi, che l'uno vale scudi 65. Per Fiandra, a
grossi di 72 allo scudo. Per Inghilterra, a ~terlini di circa 70
alloscudo, Per Vin~ia, a ducati correnti, che gli cento va-
gliono scudi 96 l/e, o vero si cambia a scudo per scudo. Per
Roma,a ducati di camera vecchi, che li cento vaglioDO 102 ~/2.
Per.Napoli, a ducati di carlini, che li 120 in circa sono scudi
cento: Per altri luoghi, qui in Firenze. poco o niente si cam-
bia, e si dà tanti scudi di lire' 7 1/ 2 per avere in que'luoghi
tante di quelle monete per tanti scudi io Firenze in capo a
tanti giorni, secondo l'U80 o 'I patto. E perché il forte
de' cambi in Firenze si fa per Lione, dirò i eostnmì di quella
pìaza,
Fieraè un concorso di molti da molte bande io al-
cun luogo, per vendere o comperare con franchigia di ga-
bella che dura alquanti giorni. A Lione si fanno quattro fiere,
l'anno, che cominciano la fiera di Pasqua rosata fatto l' ot-
tava. Quella d'agosto, il dH d'agosto. Quella di tutti i Santi,
il di dopo i Morti. Quella d'apparizione, dopo l'Epifania.
Dura ciasebedlUla quindici giorni utili: finita la. fiera d'al-
quanti giorni, le lettere tuUe in un giorno s'accettano, e duo
di poi si faBDo nuovì cambi, e poi i pagamenti. Cambiasi a
marchi: il maree si è il beue romano, cioè otto once, e vale
fermamente soodi61S, e dlvìdesì in otto oacìe: l'oncia in 24
danari: il danaio in .24 grani. Dassi qui manco che si può
per aver un marco in Lione, e dassi un marco in Lione. per
aver qui più scudi che si può, e gira il cambio come vedete
per queste esempio. Voi avete danari e gli volete cambiare
per Lione, perché vi ritornino con guadagno: riscontrate in
me Bernardo Dav~zati che ho bisdgoo di pigliare, e datemi
lilCudi 64, i8 tanto fa la piaza, perchè io faccia pagare un
marco in Li~e a Tommaso Sertini, e io do a l'oi una bre-
vissima mia letlera diritta a' Salviali, che dice cosi: Pagate,
NOTIZIA DR' CAMBI. .f31
in (ifra tale, a Tommaso Serlì1li un marco d'oro per la valtita
'qui da MUser GiuUo del Caccfa: questa si chiama lettera di
cambio, però che nìnna altra cosa contiene che questo' cam-
hio. ' ai poi, erivete a Tommaso • lo U rimctlo per l'inclusa
di B ernardo Da va n ~a l i un flta rco da' Slliviali. ]JrCScllla!ll a r i-
squol'lo. e torna Il rimel/orlo a 1ne; cioè dallo cosli a chi me
ne faccia da r qua più , cud i che potra i: e ques ta si chiama
lettera d'avviso , o-vero lo spaccio. Tommaso seg ue vostr' or-
din e : da il vostro marco, diciamo, a Piero, e Ila es o riceve
lettera a Fed eri go che vi paghi in tal iorn o sc udi 3lS 1/2, se
tanlo a vra nno accordato per la valuta da Tommaso, e ri-
sponde al vostro spacc io : lIfanliolli questa lelt er a di camliio,
l'iseo /c/c/a da Felieriyo; e cosi dal primo borsa vost ro al pr e-
sente ritorno , che sa n per l' or din ario tre mesi, avre te ua-
da gn nto scudi uno e rnezo con 6 ~ , dove per es. er ilo il vo-
s tro in Ire mani, a vret e corso r isico d i Ire fallim enti ; del
mio, fin a che la m ia lett e ra in Lione non fu compi uta i e di
To mma o, poiché l' obhi risco !!<1 ; e di P ier o, avanti he Fc-
derigo accettasse: però bi e gna aver gli oc ihi d'Ar"o iII av-
ve rlire a chi lu dai n cambio, n ch i tn rimeuì , a chi rifìda
colui che li ritom: il tuo, P r la qua l co a coloro che non
ha nno la prat ica, usano dar i 101' da nar i a un ban co clte Sii
ca mbi per loro, con doppia pro vvisio ne per non ave r 11 co-
nosce r altro debitore che qu el banco. So voi pel contrario
avete dehilo , Cl no volet e stare su' cambi, come non correte
ri schio d'altri, ma allri di voi, Clisi ouni altra cosa. rivolto
l' ordin e, torna al contrarlo, però non richiede altro inscena-
menl o; e scudo delle medesime cose una m xlosima disciplin a.
La provvisione quel premio che si dà al mercante che
fa Il) faccen de tue pe r III Ull falica ; Cl qua ndo oll re alla fa-
ti 'a tu eli ag giugn i a nco il risico dello starti I leI crede re, la
prov -islone s i dà dopp ia, loè quattro per mille Ilo' ca mbi, o
quattro (l l' ' nto ti Ilo m r anzle, ma gli a mici i contenton
d i Ire.
Ogni nazione di mercanti forestieri in ona citlà fa il
suo consolo che decide lor differenze; e quand' occorre spese
pubbliche per onorar nn'enlrala d'UD principe, prsseatare o
l d.llo .t;rli; cioè, ddlo otarti sarante.
432 NOTlzU DE' CUlBI.

altro, il consolo le fa, distribuendole a' suoi a proporzione di


lor faccende; e. questi le fanno pagare a' lor commettenti;'
levando chi un ottavo, chi tre quarti per mille, per conto di
consolato. Quando per trovar riscontro del datore o del pì-
gliatore s'adopera sensale; corre quest' altra spesa della sen-
seria, che è circa un grosso per cento scudi. Nel cambio per
Lione, che si fa quattro volte l'anno, montano queste spese
di provvisioni, consolalo e senseria, ~no e mezo per cento a
chi cambia il suo da per sé, e ragionasi che guadagni otto
per, cento ragguaglìatamente l' un anno per l'aUro. Chi fa
cambiare ad altri, patisce quest' altra prevvìslone, che im-
porta uno e un terzo per cento, e tanto guadagna meno.
, Fin a qui scrissi molti anni sono:. di poi son variate
molte cose, peggiorate le monete, e però i pregi delle robe
come de' cambi alterati; non s'usa più marchi, ma fassì a
scudi di sole; non si leva più consolalo nè senseria, ma un
terzo per cento per provvìsione, e 'ogni altra spesa cosi al
debito come al credito; ed é stillo invenlato da' Genovesi un
nuovo cambio ch' essi chiamano-per le fiere di Bisenzone,
ove da principio si andava: ora si vanno a fare in Savoia,
in Piemonte, in Lombardia, a Trento, alle porte di Genova,
e ovunque voglion essi; talchè assai meglio QtDpie, cioè fiere
senza luogo,s'avrieno da chiamare: né di fiere hann'altro che
iquaUro nomi accattati da quelle di Lione; perché non vi
vanno popolia comprar mercanzie; ma solamente cinquanta
o sessanta cambiatorì, con un quaderno di fogli, a rìeapltare
i -cambi fatti quasi in tutta Europa, e rilornargli con que-
gl' inleressi che quivi convengono, non da allro regolati che
dal far in modo t:he la tàccolat possa durare, la quale oUre a
dugento cinquanta migliaia,di scudi l'anno fa di provvisio-
ne; che, a due terzi per centinaio, son radicata I da milioni
trentaselte e mezo che vi si girano; i quali oltr' a quattro
milioni mangiano a' debitori; e tre e tre quarti a' padroni
de' mobili approdano.! Vera cosa é che una parle sono arhi-
I la tèccel«, il giuoco,la ruta: in IlDIO dispregiali.o. Co.i nello SC;lma:
• Trovandosi utile questa tàccoh, sempre, mentre"-visse, ptggiorò la meneta, ,.
ti 6o" ratlicale; 10D prodotte, banno per radice.
s approda"o; raDDO utile , diDDO di guadagDo.
NOTlzrA. DE' CUIBI.

trlì, rivolture e glraudole ,' e non vivi debiti o crediti ef-


fettivi.
Cambiasi ora in Firenze per la prossima di Bisenzone
intorno a 101S: cioè dassi qui scudi 101S per aver là scudi 100
di marchi, che sono di contanti scudi 99 d'oro in oro, d' in-
,tero peso, delle cinque stampe migliori; ciò sono Spagna,
;Napoli, Vinezia, Genova e Fiorenza. Ora perché ogni parte
del cambio meglio s'intenda e quasi si vegga in viso, io vi
porròl'esempio di sopra innanz'agli occhi nelle due seguenti
figure, e Messer Giulio sia A, Bernardo B, Salviati C, Ser-
tino D, Piero E, Federigo F.

Voi vedete in queste figure come li scudi 104 2/3 di A


SODO andali in B, e da lui, per mano di C, convertiti in scu-
di 100 di sole, son trapassati in D, e da lui, rìteuutosì l/3 per
t ripo/t"re e /lira"dole; riairi, aggiramenti artificiosi e iotrilbi.
11. 57
1101'111'\ DE' C.uuu.

provrìslone, son travasati in E, e da lui, per mano di F, rì-


convertiti in scudi 106. 8. 9 di lire 1 1/2, son ritornati in A,
con guadagno di scudi 1. U.~, con tutto questo rigiramento
reale di cambi. Vedete come in ogni eambioreaJe essere
deono otto parti o membra necessarie: duo pagamenti: duo
luoghi, e quattro persone. In ,Fiorenza A paga aB: iD Lione
C a D. Una che ne glimanehi, perde la forma sua, e non é
~ più cambio, ma an altro eontrattc, Perciò è che il contratto,
;cui basta a disciogliere un sol pagamento, è disfaCÌIBellto di
debito o donagione: quando si ripoue e rende nel medesimo
luogo la medesima somma é prestanza: quando qualche cosa
più, é usura. A duo pagamenti seguono di necessità quattro
persone, perché uno non può pagare se un altro non riceve,
per esser quest' atti verso sé relativi; vero è che ono può far
due personaggi alcuna volta; imperochè A può rimettere a
se medesimo, e cavalcare a Lione, e risquotersi li suoi scu-
di 100: senza commettere a D, può dàr a cambio a se mede-
simo; che si dice contare a sè li scudi 10-1 2/3 , e, in quantoè

datore, rimetter per suo conto, e in qaanto pigliatore, trarre


è

per un altro. E perché questo termine a chi non ha la pra-


tica può parer sottile, io lo dichiarerò con esempli: B è d'e-
bitore di A di scudi 10-1 2/ 3 : non è mercatante; ma dice ad A
« Pigliali a cambio tu per me: » dice A: Il S'io gli piglioda un
terzo, che ne farò? s'io gli vorrò rimetter a Lione per conto
mio, mi converrà contargli a on altro; sarà meglio ch' io gli
conti a me, e facci conto di esser pigliatore e datore, e cosi
rimetta per me e tragga per G io medesimo. » O vogliamo dir
cosi: A è creditore di B e debitore di G di scudi 1M 2/3; l'un
e l'altro vuole'che il 500 debito e il suo credito vadia a Lio-
ne; doverrebbe A pigliare li scudi 10-1 2/3 da chi che sia, e
trargli per B, e poi ridargli a un altro e rimetter per G; ma
egli è manco manifattura contargli a ,sè e trargli per B e ri-
metter per G. Ancora posscn abbattersi A e B a voler com-
mettere a nn medesimo, C o D che sia; e cosi il medesimo C
o D sarà riscotitore della rimessa di A, e pagatore della tratta
di B, nel qual caso la lettera di cambio dirà PagaI' a tIOiIIU-
ùBimo C, e nella figora si potrà mettere un solo C o D, nel
punto dove si tagliano le linee diagonali A D e B C del qua-
l'fOTlZIA DE' C1lIBL .f31S
drato della prima figura, la quale resterà un triangolo, per-
ché IIn solo adempierà due ufizi: e può moUo bene stare, e
non aUera la forma del cambio; sieome il fare uno strione
duoi personaggi non altera la tragedia. Vedete come in
questi dua cambi la mooela fiorentina si convertìsee in fran-
sese, e quasi granello di formento, cadendo.in terra, si cor-
rompe e muore, poi rinasce e ritorna fiorentina con frutto e
usura lecita, per tale imitazion di natura; la quale come è
discepola di Dio ìn-tntte l'operazioni, cosi è maestra del-
l'arte umana; come Danle espresse divinamenle:
Ma l'arte vostra quella quanto puote
Segue, come il maestro fa 'I discente;
S1 cile vostr'arte a Dio quasi è nipote.

Vedete come se A, fatto '1 cambio per Lione e ricevuto


le lettere di 100 scudi di sole, non le mandasse, ma se.le te-
nesse in seno, facendosene poi .rimborsare, come tornate
fossero da Lione in scudi 106 a/. . costui certamente non git-
terebbe in terra il fermento e non sarebbe utile se aon a sè, •
avvegnaché dell' otto membra del cambio, in questo colale,
cinque, C D E F e la piaza di Lione, non si sariano agitale,
e resteriano morte e secche, non vi correndo punto di san-
gue dell' universai benefizio, risultante dal moUo commer-
zio e ìntreccìamento de' trafficanti: e però si Calli cambi
molto a proposito 80nchiamati secchi; e quello di Bisenzone,
perché non serve al commodo della mercanzia, ma sola-
mente an' util deldanaio, se non è secco interamente, mi
pare a ogni poco vederlo seccare, e che un papa lo lievi via
e lo diseaeci dalla cristiana repubblica. Ho posto nella figura
scudi 10-1 2/ 3 perché a tal pregio questo di 13 di maggio 11S81
si cambia qui per Lione per fiera di Pasqua, cioè dàssi qui
scudi 10-1 2/ 3 per aver in Lione scudi 100 di.sole; i quali son
di tanta bontà, cioè' tant' oro puro entro vi è, che a farglisi
mandar contanti si venderiano lire otto l'uno o più, che sa-
rebbero scudi 106 2{3 o più, di lire 7 1/2: qui dunque scudi 100
di sole vagliono scudi 106 2/3 di lire 7 1/ 2• Questa equivalenza
si chiama la pari, che non è altro se non. quanta moneta
d'una piaza è pari di valuta a tanta d'un' altra o d'altre j
.136 NOTIZIA DE' CAMBI•

intorno alla pari si raggirano i pregi del cambio, quasi Mer-


curio intorno al Sole, or innanzi or addietro, né se ne pos-
80n mollo discostare; perché valendo scudi 100 di sole, in
Firenze, scudi 106 2/8 , se in Lione si cambiassi per Firenze
a 102, subito questi arbitranti;' che stanno alle vedette e su
gli avvisi, vedrebbono che a pigliar a cambio que' cento
scudi e mandargli a Firenze contanti, si guadagnerebbe
scudi 4 a/4, perché si venderebbono scudi 106 2/a, e se n'avrebbe
a pagare- 102; la qual industria vorrebbon. far tanti, corren-
.docì solamente la poca spesa del porto; et minuenle pericula
)lucro, che' il pregio presto presto tornerebbe al suo segno
della pari: e per lo contrario se in Lione si cambiassi per
Firenze a 112, subito li medesimi comperrebbono quanti
scudi di sole ci fossero, e manderebbongli a Lione a dargli
a cambio a 112 per qui, dove sarebber costati 106 2/8 per
centinaio, e guadagnerebbesi scudi III/a; e non si ritrovando
scudi di sole, a mandarvi altr' ori a battere, tanto si coste-
rebbono. Simigliantemente si vedrebbe negli altri casi avve-
nire se il rassegnarli tutti non fusse tedioso: ma fate conto
che il contanto come acqua corre ne' luoghi più bassi, e viene
e va secondo che una piaza ne diviene asciutta o traboccan-
te; perciò non lascia il cambio far le pazie nè discostarsi da
bomba della sua pari. Non possono anco i pregi del cambio
star fermi in su la pari; ma vanno in su e 'n giù, secondo
le stretteze o largheze, e secondo che richiede l'utile che
dee porgere il cambio; perché, se si cambiassi sempre alla
pari e a un pregio, li ritorni non potrebbono esser con utile;
onde reslerebbono i cambi per arte; e li forzati per le mer-
canzie non basterebbero, come di sopra si disse, alli riscontri
opportuni.

t arbitra"ti, speeulatorì,

".iJr
.f3'1

LEZIONE DELLE MONETE. I

-
Al mollo illustra e reverendo
SIGNOR PIETRO USIMBARDI
BERNARDO DAVANZATI
SÙIII8.

n C4l1aliere meuer Baccio Valori, che pu6 in me I ogni co.a,


m'impose in quest' ultimo suo cMllolato dell'Accademia fiorentina l
una lelione. Ooe io non .apendo 5 dalla pro(Cllione, e quan d'in-
torno casa,e partire, trattai delle monete, e di necClli/à de'principi
ragionai. Onde a 1I0.tra .ignoria illustre, che tiene le chialli del
nostro, m' è par.o ben presentarla, per l'antica amistà, e mia nuolla
OUerllaMa ver.o di lei; e per giovamento pubblico, se alcuna cosa ci
(flUe nonindegna di consideralione. ' Nostro Signore 8 in lei multipli-
chi le,lUt gralie.
Di Firenlt, il primo di maggio /558.
t È stata collazioData su tre manoseritt]. Il più importaDle, cbe citerò COD
M., è il MarucelliaDo (Vedi Bibliografia. Vol. l, pago LVIll); gli altri due Ma.
SliabecbiaDi. Il primo (A) segaslo classe IX, U5, è più moderno: il secondo (B) .
legDato classe XXX, lI8, è della SDedel secolo XVI.
I Accademico SoreDliDo, segretario del graDduca Ferdinando, e poi ve-
1<0.. 0 d'Areno. Fu amico del Bargeo, cbe gl'iDtitolò alcuDe S11e opere.
I può in me: • iD me può •• B. .
• FD dae volle cODsolo iD quest'aecaaemia; Del i56.&, e Dell' 87. Vedi
vol. l, pago XXXIV iD Dota. Il Valori fa molto amalo e lodata da' suoi COD-
temporanei. Flaminio Rai da Pnto e Benedello Varcbi gl' indiria ..roDo molti
de'loro versi. Di quest' Dllimo è .... i bello il seguente epigramma:
Valori, qao D.il mihi dateia aut mage gratum,
Sì lieet et Cu est, obtecro, die qaid aga._
Civilis nUDl tu .mUOlal'olumina iarie,
An potia magnamvolvia Aristotilem?
Ipse ego sqa.UeDtes dom flDdit sirial agros,
Omniaqoe ardenU sole perusta rigent,
Ad Galla.m. denta(rondose vitia in umbra,
Propter aqa.am recubans, ocia lenta ago.
Ta qaoqaeidem at ra.iu valde mODeoqae rogoqae.
SEV1UD 81t, cum poaaiJ viven, velle mori.
I non ..apendo: • DOD ..peDdomi.• M. A. B.
e d'I"/orDo Ca.Ja" o,,'o~co. (Sa1viDi.)
'1 non ind'''''4~ ee.r • le alcuna COli l'i (ulle di cODlideralione.• B•
• No.Jtl'o Si,,,orl,: • Nostro Signore Dio •• M. A. e B.
37'
.(38

LEZIDNE DELLE MONETE.

Nelle viscere della terra il sole e l'interno calore, quasi


stillando, cavano i sughi l e le sustanze migliori,che pe' pori
colate! nelle vene e nelle proprie miniere, e quivi congelate,
e dal tempo indurite e stagionate, si fan metalli; de' quali i
più perfetti e rari sono l'oro e l'ariento, che li duo luminari 8
sembrano di colore e di splendore. Fuoco, tarlo, ruggine, uso
non gli consuma: in filo e foglie • si distendono a non credi-
bile solliglieze, I ed hanno un certochè" del divino; ond'alcuni
popoli indiani quando cavano l'oro, digiunano, astengonsi
dalle donne e da ogni 7 piacere per antìearelìgìone. Ma l'oro
e l'ariento alla vita nostra (per cui ogni cosa terrena creata) è

poco servono per natura. Di che facendola gli uomini quasi


vergognare, si sono accordati 8 a farli da quanto o tutte l'altre
cose insieme, e di tutte pregio e misura, e strumenti IO che vol-
gono e rivolgono tutto il globo de' beni mortali; e possia-
moli dire cagioni seconde della vita felice," dandoc' eglino
tutt'essi beni, Per lo chè molli li si son 11 fatti iddii, veggendoli
anco fare ogni cosa impossibile. n Ròcca non è si forte che
l ; _ghi: .. alcuDi .ughi... A. B.
S che Ve' pori colate: • che colate pe' pon.• M. A... che colate ... lIeveoe
per le proprie miniere ... B.
3 che li duo luminari: Il cbe le stelle. Jt B.

• efoglie: n e'D foglie, • A, B.


5 a non credibile sottiBliez.~: " a non credibili 50ttigliezze... M. A. B.
Le altre stampe hanac • a DOD credibile .oltiglieua. .. U cod. M. aggiunge. e
.lunghese ••
5 ,,,,, certochè: "1111 non so che... M. A. B.
7 da ogni: • d. ogni all,o•• B.
8 accordati. Nel cod. Il. eri scritte .cco.odtdi: poi fu cancellato e
rucritto nel margine, di maao , pare, del DaYaD&~ti J come ILI nel testo.
9 da qu.anto: ti uguali a. ., B.; e manca la voce insieme.
40 .stNl.mentì .. ,. stormenti. A. B.
Ilfelice: • beata .• M. A. B.
"IUd • .,7I: -selisoD .• A. Ba
ti • Omnia "ecm.iil ejJic; po•••• t•• (Cic. .Iet. l't P"r. V.) Idem' p••"
LUIONE DELLE MONETE.

non la sforzi on asinello carico d'oro, disse qoel re gner-


riero che sapeva cbe dirsi; né altro che i miracoli che fa
l'oro l dinotano la favola dì Danae volgatìssìma , e qoella di
Gige pastore ~ di Lidia, che andato sotterra trasse di dito al
cadavero l'anel dell'oro, col quale fatto invisibile entrò nella
camera del suo re; S giacqocsi con la reina, e lei aiotante, il
tradì e uccise, ed il regno occupò. • Considerand' io dunque
dì quanto potere e momento sia l'oro nell' umane cose, e
vedendo che Soerate, lasciata la cura agl' iddii delle divine e
delle naturali, la moralità e la pratica, nostre proprie," inse-
gnava; non disprezevol materia, né fuor dì proposito, nè li.
me seonvenevole stimo d'aver eletto di ragionar con voi,
umanlssimì Accademici fiorentini, 6 con breve metodo,"fìoren-
linamente dell' oro e dell' arìento e delle monete: poiché
gran viollmza, ma amica 6 e gentile, qui oggi mi ricondoce Il
occupato e stanco, e da- ogni studio dì leltere svagato, doppo
tanti e tanl' anni. Cbieggiovi attenzione, percbé io per na-
tura e per istudio sarò di parole poco abondevole.

Afti""m, ep.t": Om .. fa "..stella ""'p"gnarl posse dleebat (Philipp,u) irr q"~


_do tuella orr,.,U.., ....... ponet ascendere. Ecclesi"le, c. X: '1"101 ~F"f'JP'O)
V1tCXXOVCJI.TCU. 't'et avp..nr.J.1Ter.: pec.nire obediwct nnìeersa, La chiave d'oro
apre ogni porta. (Flos iìaltca ee., P'g. 241).11 martel d'argeoto rompe le porte
di Certo._{Postilla del Davanzati.)- _Aroob.!.": Q"i ad .ztum"m dea", Pe-
crlniam ess« ,redat" qu.a", velut maxìmum nu,men vestrlft iudicant: liter~
donari annutos aureos, loea in lt,dis.l «tque in spedaclI.lil superlor.~ ee. u
V. el Aug. de Civ. nei, !ib. 4, c. 20, et2( et Iib. 7. c. ". M. l'are che Jnvcn•
.Iàt,rr. i, non lo lapesse, o fusse più moderna, dicendo,
•••••••. EIai, r..... l. P..... ia. tempIo
Noodum babilas, nullas nUlAIUOTum ereU.mus Ilras.a
(Postilla del Salvini).
l che la l'oro: _ del1'Ma•• B.; e iaveee di a dinotano • A. e B. banno
' .. dinota.•
~ paslore: a pastore Ilo. ~ A. B, COllui cbi.ma....si Cladaale.
, del suo re. In A. e B. manca sue,
I 11 fatto è narrate coa molta morbide... da Brodolo Mlta Clio, § 8-t~.
5 nostre proprie .. .. a noi pertencml, • B.
6 Accademici fiorentini. Nel B. manc;r.
7 metodo. lIelllo1. dic""z ... <>do;; poi cancellzlo e rilcrillo come lopra.
8 amica. Cosi bo corretto addirittura .ulla fede de'MI. La Inmpe banno
antie«,
9 qui olflfl ...1 rlcorrdllce. Questo memllreUo nel B. è infoado al periodo,
doro a~"I.
·uo I.BZIONB DELLE MOI'IETE.

Questo nostro corpo mortale dovend'essere vagina l del-


l'anima immortale e divina, fu fatto, come chiedea il servigio
di si gran donna, di nobilissima complessione, dilicato, tenero
e gentile, ignudo e disarmato all'olfese delle stagioni I e delle
fiere; e perciò bisognoso 8 di molte cose, le quali nìuno po-
trebbe procacciarsì da sé;· onde noi viviamo nelle cillà per
aiutarci I'un l'altro diversamente per diversi ufìei, gradi ed
esercizi. Ma perché non ogn'uomo nasce atto ad ogni eserci-
zio, ma ciascheduno ad uno; né ogni clima produce ogni
frutto della terra, G perché 'l sole, le stelle, con diversi angoli ed
aspetti, la perquotono in diversi sili. Quinci è che l'un uomo
lavora e si alfatica non per sé solo, ma per gli altri ancora,
e gli altri per lui; e l'una e l'altra città, e l' ODO e l'altro
'regno condisce del suo soverchio, ed é fornito del suo biso-
gno: 6 e cosi tutti i beni di natura e d'arte sono accomunati"
e goduti per lo commerzio 8 umano; il quale da prima fu ba-
ratto 8 semplice di cose a cose, com' ancor oggi é tra quelle
genti che non hanno cultura civlle." Ma era malagevol sapere
a cui la cosa a te soverchia II mancasse, o la mancante a te
altrui II soverchiasse, o traportar si potesse o serbare, l8 o si
spezare che ambi accomodasse. La necessità, de'modi ritro-
vatrice, prima insegnò elegger un luogo l. dove molli da molte
, vagina• • Da TertuUiloo è chiamata la oostra carne vagina affialds Dei,
Iib. de Resur», ca,.n. c.9. A questo dovette risuardarPrudeoaio oel1'inoo sopra
il martirio di Iin Viaeeaaio; circa med. pone t
Boc eadaeam vuealsM
Compagete1tum \erTe, .•
(post. del Da...)•• Della YlSioo delle membra 100•• (post. del Salvioi.)
I delle sla8;0"i: • del cielo.• B..
• bisognoso: • bisoSnevole•• B.
• procaccia,.,,; da lè: • da lè proeacciarsi.• B.
I 0Bni/,.u/lo d.lla le,.,.a: • deIIaterra osai frullo .• B.
• del S,.o bisogno: • del IUO maocameoto.'; B.
7 tlccomunatl: • fatti comuni•• B.
8 l'e,. lo co",,,,eraio: • mediaDte ]0 cOlIJmenio •• B.
8 Ju b",.a/lo: • era baratto. '. B.
IO cult,.,.a civile: • umaoa collara•• B.
Il a culi" cosa a te .ove,.chia, ec.: • cbi Il cosa a te so..èrcbia cerealle,
o Il cereala da te lai lonrcbias..... B.
Il all,..d: • lai ... A.
es o ,,.apor-r.,. 61 "otel'.~ ee.r • o muovere o urLar si pottlle••
Il ",,'ma ins.gnò .1°880" "n ["oBo : • feeeprima eleggere alcun luogo •• Bo
LEZIONE DELLE MONETE. .fU
bande con lor robe traendo I s'accomodavan più agevolmente;
e questa fu 1'origine de' mercatì.e delle fiere. Aperse gli oc-
chi questa comodità ad un' altra maggiore, che come s'era !
un luogo eletto, cosi poteva una cosa eleggersi e farla va-
lere per totte l'altre ,ed ogn' altra dare e ricevere per un
tanto di lei, quasi mezana o fonte del valore S universal delle
cose, o separata sostanza e idea. •
Fu adoperato! il rame dall'antichità, 5 e da tutte le genti
fu assunto a si alto ufìcio per legge 7 accordata; e cosl a euì
una cosa avanzava, la dava 8 per tanto rame quanto a quella
era comparato, cioè stimato pari; e quello poscia dava per
altra 9 che gli mancasse, o veramente IO il serbava per le biso-
gne avvenire in poca cassa quasi mallevadore: e questa fu
l'origine del vendere e del comparare, che comperare dis-
sero i Toscani. La maraviglia poi dell' oro e dell' ariento fe'
dar loro il vanto: Il e spendevasi prima in pezi rozi Il come ve-
nieno; poi, com'alle cose trovate s'aggìugne," si venne al pe-
sarto, al segnarlo, al farne 14 monete. Quando, dove e chi ne

• "."••do: • venendo.• B.
J comes' era: N come e' s'era ... B.
S de] valo,.., • di valore .• B.
• • id.a: • e idea delle cose.• B.• Ari'lot. E/hlc. i, 5, c. 5, e Comeat,
Ma.sopra Dante in 1ihreria Medicea, In], C. XXI. La moneta per sua natura è
duposta ad esser me.o solamente in agguagliaro. ogni mercato •• (Posi. dol
Dav.) • AriatoL' La peeunia, comune misura delle co.o: xowou p.C'rPOY•• (Post.
del Salv.)
I "dop.,."to: • eletto, • M. A. B.
, d"ll' antichttè » • dall' an!Ìchità molto adopento.• A. B. 11 B. aS'gino-
ge: • e amato. ., " Non mancano nazioni cbe Don di metalli, ma li aervano, o
di frutta, come di mandorle amare in Cambaia, cii cacao e di mait. in qualche
I luogo d'America, o di sale, come è nell' Abissinia, o di chiuoceiole marine. Le
r qnali cose se moneta siano o no, quando sulle parole li fusse qui per dispulare,
mollo si potrebbe argemeatando dire;' ma di nomi saria la disputa e non di
cose•• Gallani, Della Moneta, cap. 4.
, ".,. l.gg.: • per ferma legge•• B.
• la dav,,: • h dava volenliori. • B.
" altra .. .. altro.• A.
IO o Y'ramenle: • o vero.• A.. B.
ti ft da,. 10,.0 il vanto, • fece dare ad eui la prima corona •• B.
Il • Ipendevali p,.ima iII pui : .. e spendev3si prima il metallo in, ec... B.
L'A•• a peai..
U l' agg;"gn.: • s' agaiugn~ agevolmente•• B•
.. f""1Ie: • far le•• A. B.
U2 LEZIONI! DELLE MONETE.

facesse prima monele, l non s'accordano gli scrittori. Erodoto


dice in Lidia, altri in Nasso, Strabone in Egina; chi in At-
tica; chi in Licia dal re Erillono; Lucano in Tessaglia dal re
Iono. II Non s'intende se iananzi al Diluvio era moneta; ma
doppo, le sagre lettere ne parlan chiaramente. Abramo com-
però terreno da ECranne quaranta siclì d'ariento correnti tra
mercatantì. Giuseppe fu venduto venti arìentì, Moisè pose un
mezo siclo per testa, ciò eran due dramme d'ariento. Teseo,
che in. Atena regnò quando i Giudic! in Israelle, battè mo-
neta d' ariento col bue per invitar gli uomini al lavorio della
terra. Giano in Lazio, quando in 8lio s regno accolse Saturno,
arrivatovi per mare t scacciato da Giove (onde seguìron que'
ben guidali e tanto cantali secoli dell' oro), per memoria di
quella cortesia battè moneta di rame col bifronte, I e con lo
sprone della nave. I Romani fer da prima la moneta 6 di rame
senza conio, grave una libbra, e la dissero mB grave, 7 as a..18
e pondo. Servio Tullo v'improntò 6 il pecude, uno qual ei fusse i
de' domestici animali che degli antichi erono le riccheze, il pe-
cullo o la pecunia, che di qui IO lrassero il nome. L'anno di Ro-
ma CCCLXXXIlI vi si balteo l'ariento, e sessantadue anni poi
l'oro. Noi nel MCCLlI, avendo sconfitti i Sanesi l i a Monte Al-
cino, ballemmo il fiorin dell' oro d'una dramma tutto fine,
tanto piaciuto al mondo che ogn' un pescia volle fiorini bat-
tere e nominare. Sono i nomi Ialini monela, pecunta,num-

l chi ne facesse prima monete» .. cbi faeesse prima montla.. À. B. • fa-


CUlla.... ~ M-
li Iono. Qui i M....ggiuogono: .Le sagre Itllert dicODO C.ino, per rapireI
Tnbalcaino, per laverare di rame e di ferro, ••er fauo ricche ..e. M. AOD l' ioteu-
de, eco - M. Nell' A. è lollinles~ _ dicoao, _.
5 in suo: .. Del suo. ,. B.
• arrivatovi pc" mare: .. per mare arrivatovi. • M. A.. B.
5 col bifront. e. Manc. nelle slampel ma l'bo restituito sulla fede di
tutti e Ire i Ms. da me consultali I percbè cosi chiede la compiula ducmione
della moneta, e percbè la ccngiu..iooe cbe legue mostra chiaro che "Iuelle
psrcle Iutonc omesse per errore tipografico.
e, le,. da prima la moneta: Il prima fecero moneta.• B.
'l Manoscritti e stampe h;lDDO, con poco buona concordia", ~ ".a,is.
8 imp"o1teò: .. comprontò•• A.
9 eifi4Sse: • ei si russe. ,. A.
ro di qlli: .. quindi. • B.
u Iconfilli i Sanesi: • i Sancsi sconfitti... B.• iscon6lli i Saauì. .. A.
LEZIONB DELLB MONBTE.

mUSi i Greci 116p.'1lIU', XPlIfU', xipJLGI; i nostri pecunfa,l daAarl, da-


naio. Moneta si disse perché lo segno sao ci ammonisce di
suo nome, pregio e bontà. Da' segni far detti i bigati, i 6lippi
e' sagittari, gli armati; ove il giudice, che n'avea presi mille
per la rea sentenza, scherzò cattivamente dicendo, e chi p0-
teva resistere a mill' armati? il carattere del X nella moneta
romana la diceva denano, e valere' .dieci assi. Il giglio fiore
nominava il nostro fiorino, e fiorentino il mostrava, eome la
rosa il rodiano, Ammonisce ancora d'alcun fatto, come lo
sprone della nave, della della cortesia di Giano; e la navi-
cella all'ondata col mollo, quare dubitasti? delle superate for-
tune di Clemente sVII. Pecunia fu detta dal pecude," come di-
cemmo; 'Ilummo dal vUp.'GJAO: greco, che vuoi dire cosa di legge
o per legge fatta,' siccome la moneta che è fatta delle cose
reina; • Xp1Ij.I<ll, si dice per la bontà e per l'utile, dandoci ella
tutte le cose buone e utili, XP"I-'O:'l"O: appellate: xif'IUI par.. che si-
gnilìchi la moneta picciola, per le minute spese e per la pic-
cola gente. Noi de' Ialini vocaboli ci serviamo; e dal deMrio
che era una spezie, i danari e'l danaio in genere nominiamo.
Della moneta s'è detto iltrovamento, il comodo, i tempi, i
luoghi, gli autori, i uomi: 7 ora è da difinir sua essenza. MON'BT.l
Il ORO, AIlIENTO o B4IIB, CONUTO DAL PUBLICO.A. PUCIIIBNTO,
UTTO DALLE GENTI PIlBGIO Il MISUIlA DBLLB con PBR CONTIlAT-
T4ILE AGEVOLMENTE. 8 Dicesi OBO, A1l.IKNTO e RAMB, perché
avendo le genti questi tre metalli eletti 9 per moneta fare; se
un principe (chiamo princìpe chi padroneggia lo stato, sia uno
o molli, o pochi o tutti) la facesse moueta di ferro, piombo,
legno, sughero, quoio, carta, sale, come già si 80n fatte, o
41 ".eJlllli.: • mon~l4, petlUJill• • M. A. B.
I fNJlerw: • ,.aIe... A.
• tli Cle..ente, • di papa Clemenl~ .. M. A. B.
• dal pecude: • Ind« elI pri"'"M vocal" "ec"nia.l Iti et> qnia antiqui
to_ q""tllaabeba.t, i. petlldib,u, poeoribul IIabol",,": a pecnde, poe"nia
voeat«, ~ S. August. serra. 1I39.
,n
5 pe» legge fatta. Arist. Ethtc, V, li: • Et ,,",pUr'" no.. laoe habet,
quod non natnra eonllat,led le" ('01'-")'.
G I;ccome la moneta, ec.r • siccome falla è la mo"t. delle cose reiaa•• B.
7 i ""..i. Manca nelle stall'lpe; ma nOD nei Mss.
8 Vedi la postilla dell'lutorl al primo degli bnali, vol. I, p.g. lO, H.
e ole"i: • e1ct lo•• B.
4H LEZIONE DELLE MONETE.

d'altro; ella non. sarebbe fuor del suo stato accettata, come
fuor della generalmente 1 accordata materia; nè sarebbe mo-
neta universale; ma una taglia particulare, un contrassegno
o bullettino, o poliza di mano del principe lui obbligante a
renderaI presentatore tanta moneta vera; come già s' è usato
quando, per mancamento di essa, il ricorrere a simili spedienti
è stato salute pubblica. ! I Romani dunque chiamarono i lor
maestri di zecca, i tre uomini sopra l'affinare e batter il rame,
l'ariento e l'oro." Ulpìano, Pomponio ~ e gli altri ammaestrati
nella ragion 3 civile, dicono chiaramente che moneta buona
non è se non d'oro, d'ariento o di rame; onde fu Marcantonio
tra l~tre cose infamato d'aver battuto il danaio dell'ariento
misleale e mescolato col ferro. Dicesi CONIATO DAL PUBBLICO,
perchè rari metalli si trovan tutti puri; onde conviene, per
far le monete eguali, ridurre il metallo ad una fineza, ta-
gliarle d'un peso e suggellarle, per segno 6 che elle siano
leali, senza farne prova 7 ogni volta. Non è uficio questo da
privati uomini sospetti di froda,ma del principe, padre 8 di
tutti; perciò niuno di suo metallo può far moneta, quantun-
que ottima, solto pena di falsità; ma portarlo conviene alla
zecca pubblica, ed ella il prende e pesa e saggia e nota e
fonde e allega e cola e schiaccia e taglia e aggiusta e co-
nia e rende secondo sua legge," A PUCIIllENTO si dice perchè
ordine delle genti è, che moneta si faccia; ma cosi o cosi,
cioè tonda o quadra, o grossa o minuta, più pura o meno,
t generalmente, Manca nel B.
I Nelle atam .' c non è sinl~ssi, per maneansa delle parole qr&"uldo e il ,.1-
CfJ"re"e~ che ho restituite sulla fede dt tutti e ~Te i nostri Manoscritti.
r
s l' ariento e oro .• Trìnmviri monetale« ~,.;s argenti ~ auri flnto-
rei. L. 2, ff. de orig. iur, A. A. A. F. F. et vid, Valer. p~ob. noI. luris aDliq. !
pagoib38.• (Po.t. del Davanaati.) _ • A. A. A. F. F. A"ro. argento , trre I
jlando, feriundo, Vide Bembum in Episloli. Ialini •. » (Post, del Salvini.)
• Pomponio .. .. Pomponio nelle P.nd.lIe.» B.
S e ,li alt~i ammaestrati.. ec.e "e gli altri nella ragioDc civile ammae-
strali ... A.
6 per segno .. • per sapeni•• M. A.
'1 sen7,afarne propa: • lenu farne la pruova.• M. B-
a padre .. • padrone•• M.
9 Nel M. l'aulore pone in Postilla il.eguonleluogo del Boccaccio (Dee. IX,
~, n. 3), credo a conforIo del poli.indelo che ricorre in questo periodo. • E per.
dò è da guardare e come e quando e con cui e similmente dove si mottesgia ••
LEZIONE DELLE MONETE.

d' un' impronta o d'altra; d'un nome o' d'un' altro; questi
sono accidenti rimessi nel principe: basta che egli non toc-
chi la sostanza ove non ha potere, cioè non faccia moneta
che de' tre metalli, e non le' dea I mentito pregio, come sa-
rebbe.se'in lei, cimentata, non si trovasse tanto metallo fino,'
che al nome datole corrispondesse;' onde il popolo ingannato
sotto la fede pubblica che 'l. dee difendere, dir potesse- come·
il lupo a' pastori che la pecora si mangiavano, Il s'il facess'io,
voi grideresti accorrnomo, e leveresti a rumor la contrada. »5
Dicesi FATTO DALLB GENTI PREGIO E lIIISUR.l DI TUTT& LE COSB,
perchè cosi d' accordoson convenuti gli uomini, e non Per-
chè tanto vagliano di natura questi metalli. Un vitello natu-
rale è più nobile' che un vitel d' OTO, ma quanto è pregiato
meno? Un uovo ch'un mezo grano d'oro si pregia; valeva
a tener vivo il conte Ugolino nella torre della fame ancora
il decimo giorno; che tutto l'oro del mondo noi valeva-.Che
più a nostra vita' importa che 'I grano? nondimeno diecimila
granella" oggi si vendono un grano d'oro. Ma come è ciò, che
cose per natura si valenti' vagliano si poc'oror Da che radice
dipende che una cosa vaglia tanto più e dell'altre, più tosto
che tanto; o tant' oro. più tosto che cotanto? Domin se ella
fusse questa per avventura? Tutti gli uomini travagliano per
esser felici, la felicità credon trovare nel sodisfare a tuUe lor
voglie e bisogni. A ciò fare ha la natura create buone tuUe
le cose terrene; tuUe queste per accordo delle genti vaglion
tutto l'oro (e con esso intendo l'ariento e 'l rame) che si
travaglia: bramano adunque tutti gli uomini tutto l'oro per
comperar luUe le cose, per appagar tuUe lor voglie e bìso-

• dea. COli i MI. Le'Sumpe, dia.


I 11011 l/ trovass«, ec.: _tanto &00 metallo DOD Ji trov... e. ÌI A.-
• 1Iuto bueno metallo DOD ai tror.,alle. • B.
J co""lspo7lde ••e: • aodiaface&lt.• B.
• dir pole••e: .. po..a dire... A. B.
5.' i1facee.'/o, voltp"ldere.lI, ee.s .. s'il racen'io, '1"a.to romore lc'
vereste! .. A.
e a 1I0.lt,.a vita: • alla nostra vita.• B.
7 diecimila tp"anella: .. dieci mila graaella, o più A.
8 per "alura Il vale.. li: .. luto per natura valenti .l. D.
, ,....,0 più: .. più tanto ... D.
Il. sa
-146 LUIOl'lEDELLB MONETE.

gni, per eilser fellcì, Le parti seguoao là natura del tuuo,


Però quanta parre di tul1a la felieilà ci' un regno. d'una
citta, cl' un 001110 alesna casa opeta e cagimta, tanta parte
vale di tuue U-11IO oro «r.lavoro: tanta Ile cagioDa quant' è
la sua voglia ebisognO'j' poiébè si gode tanto del bere q8ant'è
graade la sete:" voglia dal1' 8ppelito e dal gosto; ii bisogno
dalìa natura, stagioOOt gJ:No, )aògo, eccellenza, rarità e ab-
bondama pl'eIldOll misura &eD perpetoo variare. Onde Bi ve-
der giornalmeate tal regola e p"'flGC':Ilione arimmetica che le
cose banno ara, 9è e cen r oro. bisognerebbe di cielo o di
qualche altissima ,..detta. poter g.m.are i bIlre le cose che
sono e ebe $i fanno iD terra, o veTamen6t le Itro immagilri
ripercosse a nel Cielo eeme id vell8C8speglio aDOCMerare, per-
ché nei giUenIDlIlo n08hro abtlaco: e direIDJlIIlr. taDte om ci
ha in terra, taa~ COlle, tanti -'ai, tanti-bisogni, tanti
ciascheduna cesa .. app.-, bUll' * e COle vale ; tant' oro
vale. Ma noi dii cpJ6ggio stOpriCI.... à penai quelle ,.elle cose
che ci- smao .~ ÌDtOl'fIOl, e le pNgiUlG' seeoado che più o
~ le 'feggiarne ricbielk!re in CiaSCllDllaogOO o ~. Della
qual: tosa Lmercakmt'i Itall9lO' sollecitamente ~,a'fVertil:ie av-
visati, psrè. s()Ilo& "':p,egi delle COlle peiitì'Bsimi•.
@t'egli è bene.qoet cie s'. dette~ toB,. akllBi eseapi iUG-
sbare: l"ae<pa è ot~ima,. dice Pindaro, e sensa TeiJllaF Bivive:
ma. perdlèen. a tutti ahbBnda,~ ragione Gieremia si lamen-
r ta elle la Itevea. essi a pIe:lO' a\Schifissima ensaè .. OOpo-; ma
nell'a8lledio di Catilino ODO De fu vendutoo ~nto lìorilli pel'
le gran care, 8' DOD fu. earo; peiobe colui obe 19 vend(li o'morio
di fame, e Yattro scampò. IO L'ottimo stMInento lIal' ogni da-
I ,e bisopo: • o ~l bisogno .• M:
t l''Qta~e:. guardare .• M. - • y6iete.•' D.
a "/1'''''''_: • ripercone e 'pecehiat Bò
• lòllecitamente: • dilig.nti.SÙDe le•• Do
S pe,.ò lonO: • però.' aono wl•• II;.,
6 q...l che l'è detlo: _ I. co •• diti&. _ IL
7 mal: • DOD • • ' B-
a si lamenta che, ee.r ... llm.nlln cb. la bev.ao I l'r...o.• Il.hn.....
T/"en. Cip. V: • Aq.. am nOltram /""o_a. h/bi_.
9 lo pendè: _ 'I vendè. ,. B. J
IO 'cam~:. Plio. l, VIll, cap, f'i i"ootrtia, 5 ..... "'1l'..... il -'le. s, erom.;
Val. MOI. 1.1, c. G. (Po.l. del D.v.~ ..lj).

,,
'tJ
LEZIONE DELLE llIO"IlTB. U7
naio aIr-ot(imoariellce, altri che ne! C9ROsca 110ft le-fltima; t
cosi fece" 'I grati rifiuto Esa8~ e 'J gallo li' Es&po lasciò i'
,gioielle.' P:et' lo cootr.al'jo Apim, dliam8.'W da Plinio' fogrra
fiflMldolatiAsima,4 oolllRifioM o mese d'oro fii manice, e ve-
dulosi rimanere.eoR 4Hl quatto lfi milione,' per 00ft meulare,·
seeoade lui, ,8' ...v~eoo; e fo questo, dice Marziale, il P"'
ghiotto boccone ch' ei trangugiasse. Arislotite di miglior gu-
sto C91Df>llr.6 poehllibri di SpeusipJlo,filO!l6fo mortosì di que'
di, venti mila .dogeBcinquanlà ducali del sole 7 (io tiduoo
~ aBtiehl tMentiAecondo il BtIdeo Il questa moneta' per piu
tlllilll'O paiUre); e Aleseaollro MagflO quarantetto mUa' Il loi
ee diè pet' 'oomperre la storia degli animali; e Vergilio
de' nrfli .entono, ~he nei seAto dell' Eneida piangotl Yar-
oeDe, D'ebbe dieci AeAterzi dell' uno, che for tutti 'fiori Ili
CfWI,tt'I'MDlla degellleioqoallta. Vasi, pietre, statee, pittore e
altre ~ideze;89iMstate cemperate dismisorati IOpregi dalla
llUperbia emaRa, percM ooloro tanta parte di Iorbeatitadiae
trovat~inque~ cile ler vale U 8 quel tant'9ro.Similmente
gli ileeioi del Pera barattavan da prima a pezi d'oro uno
spedrio, un ago,n un SMul.glw; perebè di questi a lor nuovi e
IM.ravigtio&i faeev&R più festa, e più beatitudine traevano i l
elle di que,II'~oond' 14 abbondavaDO. E quando tolto l'oro di
~ contrade sarà Befte nostre vereato 15 (chè tosto avverrà
seguitando queste ricche navigazioai, che cpwinc~e l' an-

I .. Itri che ,,01 eonoec«, ec.: _ d••Itri eh, ,.et DOD .,.1101<>1 8011 li .li.
ma. -B. .
I CoI1 fec •.: _ però fiCI•• B.
, Il ,w;ello: _la. gioia •• B. '
• 'f.ordolatl'd.... : • prO,,".dlla•• U,
5 di mi/ione: _ di milione solamente.• o.
6 illelltqre: • patin stento.• B.
7 pe"tl mll.. das.ncinqua"t.. dacat; <lei •• 1., _ seMi .. A" • t800 fio.
rini." B.
• io rid"co~ ec.:_ i ridueo i .eterà ...noltra moneta .• 1).
I q"ora"tottD mila: _ 480 migliaia•• B,
o 40 di.lmlluratl: • di smisurati, • A.
'II, Ptl~~ • vùa.... A. B, M.
n ",,)a80: • ali aglio •• A. B,
.3 IraCW4no: .. senti1'iIOo.• B.
. , 0''''· I •
oDdtelii. • B.
U ,erI4Io: ~ caricato e raTe.eiato.- D.
,U8 LEZIONE DELLE MONEtE.

no llIDXXXlII1 con men d'un milion d'oro delle spoglie del


Cucco I e del re Atab~lipa, oggi vengono con sedici o diciotto I
per volta, e 'hanno fatto crescer i pregi delle cose l'un tre,
segno che più' oro abbi"amo);allora converrà, perché l'oro ci
sia ~ vilissimo, trovar altra cosa più rara per far moneta, o
tornar al baratto antico; e tanto basti dell'essenza della mo-
neta.
Or diciamo alcuna cosa della pratica e dell' uso. Mal
trovato per noi, dicono alcuni, fu la moneta, per questa ra-
gione, che la cupidigia delle cose non poteo 5 esser tanta, né
di tanti. mali cagione quant' è l'avarizia. dell'oro, per non
poterai tante cose riporre e serbare, quant' oro si tesoreza,
Rispondo con l'Epilleto, che ogni cosa ha duoì" manishì, e
puossi bene e mal prendere,e adoperare ;? .come le' medicine,"
le le~gi, il senno, 8 alle quai IO cose mal usate niun riparo può
far Il la gente: bannosi per questo l ! a discaecìar dalla republi-
ca? O perché 18 il veder di molte cose svaga l'intelletto dal
contemplare;" hannosi a cavar gli occhi tutti i filosofi, come
Democrito? Ogni acciaio fa sua ruggine; bisogna saperla 15
nettare. Il danaio fu.un trovato ottimo, uno stormento da far
beni infiuiti; se alcuno l'adopera male, non l'adoperato, ma
l'adoperante si biasimi e si corregga. Il danaio è il nerbo
della guerra e della repubììca," dicono di gravi autori e di so-
4 C"cco: .. èusco... A. B. M.
t sedici o diciotto: " diciassette... D.
'5 elle piÙ: .. che lanto più... A. n. M.
, iia .. .. fia.•
5 poteo r .. pole. a.• A. B. M.
G duoi s .. due. " A. B.
, adopérare. .. n/X~ 'TrP/X'lfJ./X Juo .X!! )./X~ç, Tll~ fJ..~ 'f0pllTll~, Tll~
J. /X'i"pllTO~. (Po.tilla del Davanzati.)
8 le medicine: '. la medicina. H 'B.
9 il 6enno: • il senno umano ... B.
'0 quat » " qua'. ti M.
uniI'" riparo puòfar:. ee.r .. Dilsun riparopuò far... D.
•, p'" q"tsto r • per ciò B.
IS o perchè .. .. e peecbe B.
II .~aga l' InUlUelt. dal contemplare: .Ia mente ..aga e la contempla-,
r:ione... B. .
IS bilDBna 'ap~rla: • ma e' bisogna uperla.• B.
15 rep .. btice » ~ T/X XPYJfJ./XT/X ~.Tp/X TOU 1C')..fJ.' U", pee..ni« neri';
bellt, Demosteee .• (Poslilla del Sah·ini.) .
LEZIONB DBLLB IIQNBTB: 449
lenni;ma a mepar egli pio acconciamenle deUo I il secondo
sangue: perchè si come il sangue, eh' è il sugo e la sostanza
del cibo nel corpo naturale, correndo per le vene grosse
pelle minule annaffiatuUa la came,l ed eija il si bee, come'
arida terra bramala pioggia, e rifà e ristora, quantunque di I

lei per lo ealor naturale s'asciuga e svapora; cosl il danaìo.]


eh' è sugo e sostanza ottima della terra, come dicemmo, cor-
rendo per le borse grosse nelle mìnute, l~Ua la genle rìasan-
guina di quel danaio che si spende e va via continuamente
nelle cose che la vila consuma, per le quali nelle medesime
borse grosse rienlra; e così rigirando mantiene in vita il
corpo civile della republica. Quindi assai di Ieggìer si COXll-
prende eh' ogni stato vuole una quanlilà di moneta che ri-
giri, conie ogui corpo'una quantità di sangue che corra, per-
ehè slandosi nel capo e ne' grandi oppilata, lo slalo ne ca-
drà in atrofia, idropisia, diabetica, tisico, o simil male;
com' era presso eh' avvenulo a Roma, quando per le tante
accuse, coudennagioni, macelli a, e vendile di beni, tutta la
moneta colò nel fisco, se Tiberio non apriva la cateratta del
miUi/llle.tertw;' ciò furon du05 milioni e mezo d'oro ch'egli
sgorgò ne' banchi, che gli prestassero a gli indebitati con

I detto: _ delto dal yolgo .• B.


t a""affia tutta la car..e: e tutta la ..rDe i"i80'. B. - • Quello
• passo del'DanDllti fD mello iD cODsideralioDe dal celebre letterato fiore...
• tino l'abate AntoDio Moria SalYiDi.Egli lodò molte Delle SDe Lezioni aeea-
• demiche il Dostro giudilioso scrittore, che rassomigliò la' circolllioDe del
• dODaro a quella del saDgue Ilegli aDimali. Pot~ esso ecnoseere questa utifusl·
• ma yerità, quasi Dell'isJ,ello tempo che fD aCCeDData di Michele Senet empio
.. medieo.spaSDuolo (il quale fD fatto bruciar YiYO iD GiDnra da CalyiDO l'aDDo
,• 1653), e fu dopo beD appresa e riscoDtrata per mello delle Snioni aDatomiche
• dell' AcquapeDdeDteda fra Paolo Sarpi, Iioullimo controyersilta; e fiualmeule
• beD dimostrata dall' immortale Guglielmo Aneo medico iDglese; iD qW!lsuo
• bel Trattlto, che ha per titolo: Ezercitatio .natomlca de mo/. COrdll,
• stamplto in FraDcCort l'IDOO iBiS. RaccoDtl" BeDedeltO Bresciani mattemo•
.. tico, scolare di ViDeeDlio V,YiaDi, che l'Aneo passaDdo di FireDU, spiegò
• queslo ritronmeDto al srandDca FerdinaDdo Il, sraD protetlore cieli'Accade·
• mil del Cimento. Si lesga il SISgio delll bibliollra&a.aDatomica di Giacomo
• DoDlla.. stamplto a Londra l' IDDO 1715.• (Nota dell'edilioDI LÌYorDue.)
• ",...111: _ morti.• B.
, Ie&lenio: • luttr'i"m. • B.
5 duo: • dal•• M,
38'
.filO LEZ[OI'lE DELLB MOIUTE.

pegno doppio per tre anni sensa coste, Ben si 'dee t dlinque
tener gran conto di questo vivo membro della repubbtica, e
'guardarlo da que' maloriche 'd lui 'mlll eustodito si lIOgliono
ìngenerare, Calsità, monopolio,simonia, usnra, egli akri già
sgridati è noti per tetto. Pero io, lasciati questi, d'un 'sol ra-
gionerò, non rosi avvisato, e da' principi' trsseurato ; cioè
l'andar essì la moneta ogni di peggiorando: clel qual male
-da 'mostrar è fa 'raffice, il danno, Io-seandolo, il :rimedio, e
con qaesfofinlre.
Radice di queslO,eo'lDedi t..ti illllili,llÌ è la mzpidigia,
'la quale del pegg;ertlr le :monete ba meme occasioni 'e8CllSe
-avote; ma questa e la smana,' ehe ,.settala moneta di
·zeccàperl0 molto maneggilii'eè contare, 'C6I tempo, eUacala,
'o -een maI'arti li' è levato; illcilUDO, U'ft 'grane': il :popolo di
'Si poco non se n~ avvede o t:nl'll, 'pild' 'e1l'àpar cOlTe: 10 mal
monetìere di'tle a signorso,· '«Dacbe là lDOneta tua corre
leggicra 1 DD grano, meglio è guadagniarloti tu, aali eh'al
tro la tosi; D cosi la scema nn grano: ·Ie:Ieecbevicine, ciò
veduto, sceman la loro aRtesi; indi a eerto tempo.ai torna
alle medesime, e' scemasi 'un altro :gl'lllDO, e poi un altro e poi
altro e altro: tanto che in tuU' Baropada sessanta anni in
qua questo tarlo ha roso e oltr' al terzo di questo membro; e
cosi seguitando, prestamente lo condurremo 7 a niente, o ve-
t'8meote a que' cappelli dtaguti, che Corse eran le monete del
1etro che Lìcurgo diede agli Sparltni.11 danno è manifesto, 8
-percbè quanto la moneta peggioraebe di lega, 'che 'di peso,
&ante scemano l'entrate pubbliche e i credili e lefacoltà
'de' 'priVllli,pérob"in tanto 'IDen -oro o al'ienlo si,risquotono;
e chi meno melàllo ba, menocoee, che SOB li ''''eri 'beni, può
eeBJperare,; perché sempseavvìene che non Si tosto.la mo-

'I if••':'.' .. uole ll.


""d..• ",./ntipl Le·tt.mpe:' ..... prieeil'l0". ~ .,tralante•• M.
I Jla""O"'ra.na":lli1·1a ibmWla;.;B.
'J·tr"'t'*",.,o;lhiguor' suo,
,5 hl/reNI .·Ieggieri•• A. B.
'.' lJIU)'to ",.l" li.. ",",)/ '. '1111110 wlello ,Ila ,rdso.'. -'.''1--0 .eleao
ba maoBilto•• B.
7 /0 condur..emo I _ ci eoodun""o. _ B.
8 • manife,'o t • è forse maDifeoto•• B.
LEZIONE DELLE MONETE. 4111
neta il peggiorata che le cose rincaraDe, ed è ragione; per-
cbè(seeondoche, non da matto,t;jICaìafulla Ill.imolo«tZ8va)
vendo, vuoI ditvenga e do; le CO'8e in vendita si danno per-
chè ti venga I quel tanto metailo80lilo, i' ereduloesser nella
moneta, e non .tanti I segni, (I sogni o pe&i di monete. Se in
cento nove peli oggi è quel medesimo ariento· che so!M'es-
sere in cento, non bisogn'egU con cen&onove 'llagare cue1che
si pagava con cento?
Il nostro Iìorino II valeva sellSBBt~amIi fa selle lire; oggi
Iii cambia per 'dieci,~ perobèTpel'd1è in :quelle sette tuto
stoffo 7 e buono arlenìe era, quante i.. -quesle dieci; B aieçbè le
sette odierne non hanno più ftIcoltà fii -eomperare iUl fiorino
intero; ma delle dieci 9 parti le sette. l/aUre tre lO par~ SODO
svanite, e di ·tanto scemate te ~f8odlUt ide~priv8ti -e .}'e ntrate
pubblìeheanccra.vperchè -eon 'sette :Ilre ,oggi 'DOn si ripone
un fiorino intero; Il ma li sette deeimt 18 E qui si ·vede·quanto
danno 'faccino i principì 'a lar medllsiiDi,che 'RUadagBaDO
quel peggioramento 'toglìentìolo :a'rpoveri:popoliuna volta,I~ e
lo perdonoquantunque 'V&lle lé lnr entrate riaquotanoU in mo-

• n.Dn da matto: • non mica da malto. " A. B. M.


l le COle In vendlt«, .c~: .'Ie·cote li daab"'" 'IoNita:pel"h'e' ci '"lilla...
'D. - l ' pe1'chè'ci -.eDS••• ;\., M.
" taMi:'. '1""', taDli •• ,Il. .
• è quel medelimo 'artento r • è UU3 libbra d"'ariento.'.' B.,
'5 Il n'oetrofio ..in» • • L'istoria del fioriao ,',iDtellisibile' e AlItiDte.· molti
.. 'l'h'soDo'rattae'pullblicllla.. ma i più diliglDti e.i piùgiUlli Dei dargli la va-
'. 1011 (urODo gli fruditi..1nù sigDori dottor GioVlDDi Targioai To tti nella
• Di... V, regiltrltlllci vol. 11 delle Memorie d.ll.. Società Ctll b..',a J .d
• il padre F. ViDceDoo FiDlSdii D,,1I' laloril """'PNI4llI".d.lle' c. ti.... do-
M vtst«, stampati in Firea•• II.... Dò i767.'1' (Nota dell'ediaioae.Livoraese,)
'IS,di~c'i: ·.. 'DO..... B.
, etoffo. LI CrDlcl, eitaedo qUllto luogo, cle6Di~: '. 'Voce 'particolare,
diaotlDte QUIDlità di materia iD .b.ccb... ia.•
8 dieci:" ilO'.; oDll.le •• tteoditrDellaeaOD 'ODOpiù racolt~,.u••·À B. M.
t dieci: .. dOye.-" iD.
IO tre: l ' due •• B.
U 4J1COrll: .. d.L .. B.
ti intero: .. Intico•• A. B. M.
tJ decimi: .. noni.. .. B.
It tOBliendolo ..'""".rl""",,11 .... ,,01t4: .. UD' :volta l4IglieDdoio a' (10-
yui... B. •
15 ,leqrUlt.no: • 'i.quotono.• D.
LRZIOIIE NLLE MONETE.

neta peggiore. Di qui nasce disordine I e confusione, perché


il popolo, per la novili delle monete e de' pregi che le cose
misurano, diventa nella 80a patria forestiere e non meno
confuso,che se i .pesì s'alt.eras80no e le misure plÌbbliche delle
biade e de'liquori, I e delle lungheze con le quali sono avvezi
a contrattare. E che si può far peggio alla repubblìea che
ogni di legge, monela, ufìeìo e costume mutare, e rinnovar
le membra? e quasi l'uSato fonte della città intorbidare?
anzi attossicare? Generasi confusioneancora nelle stesse mo-
nete, perché quando s'abbassa di bontà quella dell' ariento,
conviene a alzar di pregio quella dell'oro, come s'è detto del
nostro fiorino alzato da sette a dieci,~ altrimenti I la comun
proporzione tra l'ariento e l'oro, che si fa oggi l'un dodici
verso tredici, non verrebbe osservata, e tutto l'oro sarebbe
comperato e portato dove valesse più ariento. Ne' pagamenti
adunque de' lasci, livelli e censi, ritratti, e d'ogni debito
nato 'nel tempo che la moneta era buona, nasconodifficoltà e
litigi. Il debitore di un fiorin d' oro di sette lire dice, eccoti
sette lire: risponde il creditore: tu me ne darai pur dieci,'
perché tante oggi ne vale il fiorin delì'ore,? che tu mi dei
dare: o tu mi trovi e da' esso fiorino d'or in oro,' gigliatoe
battuto di quel tempo, Replica il debitore: s'io ti do un fiorin
'di sette lire come la carta canta, io non fo poco; se 'I prin-
cipe ha le lire peggiorate, questa è tempesta comune, e tutti
siamo neh stessa barca;' duolti del principe. E ben hanno
ragione di doleraene i popoli messi in questione e riotta si
dura, ch' ancora i savi non l' hanno diliverata: volendo chi
lo scritto, chi Io inteso, chi il rigore, chi l'equità sostenere.
Ma che rimedio ha il principe a non peggiorar la moneta?
8nenga che peggiorandola i vicini e 'l tempo e le.mal arti,
I di,ordl... M.lÌc. DelB.
I delle biade e d,' l/quri: .. dene cose.ride e dell' umide.• B.
I quando " .bbu••, ec.:" quoDdo e·.·.bb.... di boDiaquella den'arieDlo
e' conTiene.• B. -
• dl.cI: .. "o're ... B.
I "llrl.,.'I: .. a\trame"le. lo B.
8 dl.cl: .. DO...... B.
, dellOoro, .. d' oro... B.
I I. oro. M'DCI"e1 B. •
8 •• ll" .,•••• b.rc., .. Dell' medesimi Dne ... B.
LEzIONE DELLE 1I0NE~E. ,:Ili3
la ua buona fia bolzonala I inccnta nc nte c (ra fu at a, c pa-
re ndo torn er à t poi rifalla calliva; e r ie m pìera si In ' ill iJ ,Ii
monete forc tiere ba ' C , tose ," c di quelle nn drass i il popolo
qua i di pan veccio o nulr e ndo? Ri pon do : ch monete tali
a palla n iuno Don 'han no a pa tire, acci è h" ogn 'uno sia i-
cu ro da ingann o , e vog lion i lev ar via i ma per drit to modo
c disc re to, c d iputar chi I pigli c paghi 101' l' r io gius ti i-
mo s nza farne cndica ' o uad azu o: osi ogn'un o a ambiar
le porterà, c ubbidi r à volen tieri ; 1100 dove ndo ne alc un dan-
na gnio o poco S nlire . Così un gra n m. c tru <Ii api nza o or-
d inò nel V delle sue IC" '"'i ch e la re pubb lica, a chi di fuori
COli far Licra -moneta veni sse, non la toa llc se, ma cl us ta-
mente la ' Ii pa"a e 7 a te rraz ann , he la mon eta in fuor
por ta ta e ri fatta per c - er lr oppo buon a non cì ha pe ricolo :
eo nciosi aeh è la buona mon eta a ch i fuor i la parla ' non i
dona , ma -Ii cos ta per buona, c la clavi come i di ce il uo
pelo; c la rifatta cattiva per cat tiva i spe nde c cambia. IO
Cento lire lìor enline si ca mbia no a Il cento ci delle luc h c i;
chi terr à in Firenze a ca mbio cen to lire U aH.1 fat icalo ili
'va no. l)erci ò non i "cd che Lucca n è altra cillil y,i li Fi-
t fia Ibo ll.onn tll~ le ur~ t; l1b( n il conio.
I " l pa r e tlll0 1l),. Nt!,.ti : .. e ~pnil'ritoruaml",. " n.
J, l O/ r : ..o Irsgitri. .. n.
• atti;' c l,· : .. perchè.• o.
s •tn dlCI1 r H rendit a, M A. B. Endtcn , ineetta .
G ''', gr4 n nu. rltro di 4I1p;~'Utl . l'lalODP ne'I Ili:alugo V III! le ,lhtu 1121
fltI ~ nlu t' ue r IO.AI l*trO (t,m b~lIa l t'Pp" t t r t JfJ n 'inl, et ptr'J: rc pr ".fiCI ~
.' rt'n d"nJ ~ 'l".lIhJ" a d tzl~",.tll Gtnt~' Irrlt t; ntm ti ;qt,c ""1 11""'11", " tC~S,t
,." 111 cl vil" l lt n'p t r~ CO/tU"""tnt Gra t i(p "' Dlft t"", l'0l Jid t a t . •\'1 tl ua "tro
nece" ila, prif",dltm per'g". pr(lfici'~i ccrgerit, mttdistrat~lt"t penla profici»
~calur. :Ret'er, ul auttm, 'i pe,.(s,.;" i, n ummls abttndal, c/un cipilat;,
""mmi.l eD' commllt(t, cip iutiq,n' r,ditrtnt, ec:. Donde li 't'ede che il NosLro
non hl. .t OD esaltt:r.z~ riferito il pensiero di PbIODt. ...
, ptlsa",: • cambiasse. _ B.
8 a lerrastl"a; cioè, la piglì::lsse per q_l che 't" er:a d' ~Dtrins .teo, Cj2m'bian-
~o81i.I •• mODet. corrente del p.....
t la ~uQlIa monet«, ee.s .Ia monello buoDa DOD li dona J. chi Cuori 11
pert• .• B.
IO st ,pende e cambia: •• pende.• 'B.
" l i cambiano ti : · .~ "' ag liano. _ 'B.
•1 chi to,.ra in Firenu 4 cambio. cen'o lire : • chi di FileD'U c.nr'. cento
ii"" pc rt eralle a Luce •• p.gboraU. ivi i06. meueealle in ..cea e c....raane I•
.... 106 ; .vr~ r.!ie.lo iD vano. M A. B. M .

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LEZIONE DELLE MONETE.

reD$O di moneta per riba\lerla; poseìa che il cambio ad ogni


modo la livella e ragguaglia. I Non è dunque spedienle, per-
eh' altri peggjori la moneta, o lu peggiorarla; anzi quella che
s'è pres' una volta, sempre ferma si tenga, perchè a' popoli
Don De riesca inganno, nè danno, ne scandolo, Gli Egizi
tagliavano aIlJbe le maìù. a cbi falsava i pesi pubblici, cioè
le mÌ8ure;' ma q~ maggior falsità che stremar la moneta,
.eioè kI faeQltà del popolo chetamente, quasi d'imbolo?S Roma
,da Anlbale lltreUa e smunta batle il J!Uo asse d'un' oncia, che
prima ~a aRa libbra. 4 Ma ciò Iec' ella per consiglio pubblico
h" quella JJi(listà; il passata q~ella, non seguitò; ehè se durato
rosse, ~ da dodici a uno la moaeta scemò, cosi l'un do- ,
diei foraQOi pr4Jgi delle cose cresciuti. La Villanella usata a
nnder la /illJO Ill»'qua dell' ueva UD asse di dodici once, ve-
de..wsl ia mallO si scrialo e .ridoUD a un' oncia, avrebbe
deUo, «lIIessel'4l, q voj mi dale UIl asse di dodici once, o voi
me • date dQdiei di qQllBli seriati d'~n'oncia,' o io vi darò
PII lJOVq liGio per asse. » Levìsì dunqge ogni pensiero dal peg-
giorar le JPOMt,c; ~rbi&i di quelllo male la re4.ice; facciasi
ehe la zecca DOn guadagni in alcun nwdo; che ia verità
quello stremart l'aìtru! metallo 7 che viene a mcnetarsi, scan-
daleza," Ingorda iRdignilà, gastìgata da Dio con la morte in
Eli sacerdote in Silo, ed in Ofni e in, Fill868 suoi figliuoli e
ministri. che d'ogni vittima portata loro ad immolare sbran-
dllllat'aRO I,lll gbérQne' per lor manlcare, lleglio facevano i
geDt~li, cile .si maagiavuo, dal grasso cbe celava in l'aori,
l p.....ilHltt...l.; po,ciaclrò il cambio, ec.r .per r,baUere eomefarebbe•• B.
, cioè l. lfIi"..." • O le misur ••• B,
I qUIJ6i d' imbel», Manca ""I B, Nell' A. • d'imbolio, "
• e"4 u.. libb ..a. U codice M, JlIGiunge: 9 e cosi l,In'oncia di rame si pa.
g..a ogni co.a che "alen una libbra. • .' '
a o 1'01 mi date Uli ass«, ee.r CI o yoi mi date ~odici di q~e>sti seriati assi
d'",.'ODcia, o "oi "" ne date UDO di n oace, "B.
6 .Il,.ema,.: CI Ilumiare... B. M.
, metallo .. .. ero e ariento. ~ B.
8 6ctandall"'. I M... aggiuDgono: • come lo .eherinn il piaUel10 del-
l'uon che "eDgOnO a benedirsi. ~ SeuoDehè )J. ecl/.. banDO ••eolmare » ia-
nee di ...ehericn••• -1\ Cellini asa quesL'ultimo verbo per. Loglier la panta
al diamante ...
9 6lHt41lJ1.1l0ll1lD' _&lIuo,," • CIIUa {"scilLa (noi direPlo,eol collellac_
cio) sgberoDlvano nn brandello. " B.
LBZIOllQl DELLB MONETE.

tutta la .iUima, quasi gli dii ·vole888r r alli_ 891a,· .célìle


dice StraboDe' e CatnHo.
Gnarus ili accepw veneretur carminedivos:
Omentllm in {lamftia pingue liquefaciens. l

E per levant ogni tea(aziOJl.dt g&adaSlIO, 6 tòUi' seglli;


Bel..re, & la COlla far tutta Otr8vitle e cbillta e sicwtà, vor-
rebbe deDa moaeta kmt' eIIll8r' il eoeso, fji88Rt' il eotpo, oieè
spend~ per queW.o o ariento ~ t' l'!; e tante "alete il
metallo retto iR Terg3, qaoUt in 1Il01leiA di pM'1 lega: è po•
.tersi a 8Q(t pOlÌ" llfJmla .pesa il m6talil)! In ùlòtVefào, e la ID&-
Deta in m,elailo, quasi animale ~bio, trapas!lite.·ln!loJIftM·
vorre~ ,la zeeea rendere il llllecfesimo metanI) .on~fàto,
che ella rietJye per mODetare~ ~ Ad'Udq~ lIotreslo rà :teeca
metterei Ili spesa- del Ml't-M~ifll;' eU di ragion è'Mlèmofti'
eoatendeno tale SflIIIl3. tGecare al eemnne per manie'ftlèr ~.
repubbliéa ii I8I1~U61 COMe glit8CltlllOO le f*lghe' tJè' so1dftti- é~
i salari de' ÌD~uati per tnlnt~ Jao 1tberfà,. ~ fa! gJu9f1ìlia\'
Ad altri flar oueSito du" 18 111_ JliMIrèt!llI pllgM stio lòòne.
&aggio, fhua peggilJMl dt co~ntol, è' ~1i'A: quel più del SUo
metallo sedo;, &MIe il vasetilllrleot&,. @Ili 3n'edl, e agn'all,...
materia lavorata; aaM spe9ll8 nate· vl~ pii l' oper4t tbe- la
materia~ eome uf!l dlla bwebieri d'lIriénto mtagli8Ci'ft Mènl-
\ele, ehe'Udll' <Alis.. oraful'8 com~· dOn1ilaofnqOécetlte
i41riDid'OlIO, ti Jl8i dOllllMwve. mai ~ em. :Egli odi~l mI'-
riti • sanno se i rieamì, t lavori~ delle ~ loro- e~stMio prti
che lo stesso drappo.' Finalmente l'antica usanza del cavare
della moneta la spesa, veggenlÌ popolì e 8offer9llti, è pre-
ì-

soJJiUa, e Re 8000' i prÒ\oipi' ill pò9!lell8ioll6'.'lo. ftOB vfJgllo'<1i-


sputar, co· maestri; 'l' ben dleo che se pur la zecca non dee
questa spesa patire, almeno facciala menomisslma; e piu to-

l Nel B. manco.
i la I.brrtà: .. la forza. H G.
:5 jiate: • Tolle.• B.
...'III";';.' ".giOftlDI;.. ]h
I lo du.o d""l'l'0 l' e Ie \1- ..iri~.. D' !l'.
6 e »e 10rtO i principi in po.fst$$.io1le: CI e souoe i prinripi in lieUU l'tU-
,ustone•• B.
1 dispnìnr co' mnrstri r :. entrare tra i maestri, " D.
4:sa LEZIONE DELLE MONE'rs.

sto sìan le monetemen belle. Ma perehè non più tosto (co-


me vuoi alcuno") ritornare al modo antico del gittarle? qui
sarebbe ogni vantaggio. Duo punzoni d'acciaio stamperieno
il ritto e'l rovescio d'una moneta in duo madri, e quasi pe-
trelle di rame, ove duo uomini I senz'altra spesa che calo, ri-
nettatura e carbone, ogni gran somma il giorno ne getterieno,
tutte egnall di peso e di corpo,' e perciò più atte a scoprire o
forbicia o falsltà r' non potendosi la moneta di falso' metallo,
ch' è più leggierì, nascondere alla bilancia, se è di corpo ~r­
dinario; nè alla vista, se più o meno è larga o grossa. E giu-
stificatissime si sarieno, se gli ufieiali stessero a vederle fon-
dere, allegare e gittare corampopolo, dentro a que' ferrali
finestroni, ordinati! da que' nostri buoni e savi cittadini anti-
chi; ad esempio de' Romani, che tutta questa gelosa fabbrica
delle monete facevano santamente nel tempio di Giunone
spalancato; perchè il popolo vedessi il fatto suo. A questo
modo chi non vede che sbarbate sarieno la' spesa, la froda,
il guadagno, radici pessime che troncate sempre rimettono 7 e
fanno peggior le monete? Finalmente, quasi per corollario ago:
giugnerò, che l'umano commerzìo ha tante diffìcultà e fa-
stidi, per conto di queste benedette monete, che sarebbe
forse meglio far senza, e spender l'oro e l' arìento a peso e
taglio, come .ne' primi tempi, ed ancor oggi usano quei della
Cina, i quali' per arnesi portan in seno lor cesoiee saggiuo-
lo, e non banno a combatter che con la lega, la quale con la
pratica e col paragone por si eonosee.s
• come ""0/ alcuno » • come vuole il Badino .•
I D"o.(du.i. A.J "''''ao''t.•.. duo "omi"l. • Coaciosiacbè in UDa madre o
più di ..me improolali come le predelle (p .. etelte, M.l di ceolia..i. ° millliou di
forme da due coni ovvero punaoui, due uomini senz' altra 'pesa, eco• B.
S I.. tte egl",li di peio e di corpo: • gu. i, tonde, larghe e gro ..e tutte a
uo modo .• B:
4 o fa/lilà: • ° moodiglia.• B.
5 difa/so: • che ha 101,0, • B. '
O or-dinati: • faUi.• B.
1 rìmettono r _ germogliano. ti D.
8 q.. eI dell. Cilla I quali, ec.: • gli uQII1ioi della Ciaa, I '1aali.wnpre ia
leno portano cesoie e nggiuoJo iD UDa eusetta, 'e così Don bilano a eombat-
ter , ee•• B.
v la quel« -con la prtflica" ee.r • Ia quale pur li conosce con la pralica e
col paragooe, " B.
LEZIONE DELLE MONETE.

Della generazion de' metalli, della sovranità I dell'oro e


dell'ariento, dell' origine del vendere e del comperare, e
della moneta, dove, quando e da chi l ella fu.trovata e usata;
de' nomi, dell' èssenza, dell' importanza di lei, del peggiora-
mento e sua origine, danno, scandolo e rimedio, basti aver
accennato, pazientissimi auditori," queste poche cose, stimate
da'me - eonrenevolì a similluogo 'in questa picciol'ora 5 per
.vostro trattenimento, non per insegnamento.
I
I IOPNlnlt;': .. eccel1ea..... B•.
I dII chi: .. d. cui ... B.
5 arl.ditori: • ascoltatori.• B•
• • 'imat. da me: • che io ho stìmate.• D.
s picciof orli: .. il picciol 'on ... B.

H.
.f1S9

ORAZIONE

IN MORTE DEL GRANDUCA COSIMO PRIMO.

La morte d'un grande e molto amato signore, come


perdita comune, ch'eli' è, di gran bene,' si dee comunemente,
e da ciascuno! con lagrime accompagnare. E la natura inse-
gna,affinchè 3 il dolor non trabocchi, rammemorar le laudi sue;
quel ch' ei faceva, e quel cb' egli era; perochè quest' è quasi
un vederlosi innanzi vivo e non s'acclK"gere d'averlo per-
duto: cosa che non può esser senza piacere e consolazione.
Perloc:hèvoi avete sentito; accademici Alterati, quante volte
e da quanti è stato pianto e lodato il granduca di Toscana.
Convenevelepsa è dunque' che noi ancora per nostro debito'
e per nostro conforto questo pietoso uficio consagrlamo a sua
memoria; 6 quantunque d'un si grand'uomo sia pericolo7 a Ca-
vellare. Perciocchè voi che l'amavate, ed avete contesa
delle sue virtù e de'suoi raUi glorìosi, sentirete sdegno ed
olTesa ch' ei 6 se ne dica si poco, eome io Caro. Altri Cuor 'dì
noi, di quantunquéaltra condizione si russe,-che udisse pur
ora le cose graudissime che si diranno, le stimerebbe non
vere; perché l'animo IO è superbo e.invidianle; e quel che in
4 comepe,.dittl comu.ne" c/i'ell'è, di ,"lIn bene r • come perditacoIDU08
d'un gran bene.• A. B. C. D. F. G. H. - Quanto a qu esti segni indicanti i co-
dici, vedi nel ,01. I la Bibliografia.
t eialcI",o: • ciascheduDo.• A..
3 ":fIincTr.: • affino cb... A.
& dunque: • adunque •• A.
, pcr no.tro debito: • o per noot... debito. -. A.- .
6 a.ua m.moria: • a sua alta me'Poria .• B. C. D. E. F. G. Il. I. L._
, p.ricolo: • troppo pericolo•• Coli tutti i M...
a ch·.i: • cb'egli.• A. B. L. I.
I quant ...que: • quantuncbe •• B.
tO l" animo: • l'animo umano •• B. F. B. I.
"'60
noi non è, Imposslbile ci pare in altrui. Ma io non vengo qui
ora per fare un vero ritratto a' nostri posteri di questo eroe;
nè per narrar ogni sua lode; nè per mirare, come d'unica
gioia fissamente t le Cacce, il colore, il ribalter de'lumi, e pe-
sarla e stimarla il suo vero e gran pregio; perochè quest' è
operada pili fine artefice I eh' io non sono; ma solamente per
confortare un poco e rallegrar i nostri occhi, vaghi del suo
bello splendore; e far come colui che guarda nel mare di
basso luogo ed umile,a che vede l'isole, i porti, i lidi vicini,
e una pìceìola parte, come dire, del mar toscano; ma l'Egeo,
ma l'Atlantico, ma tutto il' grand'Oceano non cerea di com-
'prendere, e sa bene che ei ~ non può. Nondlmeno siate pur
certì, eh' ogni po' 5 eh' io ne. dica sia molto; perché le cose
menomissime del granduca Cosimo 8 bene spesso agguagliano
le grandissime degli altr' uomini; .
Laudansi le persone grandi e chiare secondo la natura
primieramente della grandesa e chiareza di quelle cagioni
che l' han prodolte: ciò sono la patria e la famiglia, le
quali .conveagonsì" ancora prima d' ogn' altra cosa, come
progenìtricì onorare, Ma la grandeza di questo principe è
tanta, ch'ella rivolge l'ordine 'delle cose; si che non tanto
la sua inelita patria e la splendente famigtia aggrandiseon
lui, quant' egli loro. Percòè Firenze (per vero dire e non
per lodarla 'qui tra noi fìorentinì, eh' agevol cosa fòra 8
e d'uopo non ce ne ha) ècillà dominante, non soggett' a
potenza forestiera, colonia, e imitatrice di Roma, doma-
trice di popoli, centro d'Italia, fior d'ingegni, onor delle
lellere, maestra dell' arli, specchio di civiltà, area di da-
nari', stupore d'edifici, belleza del mondo. Ma ella non
avea vedute mai più 8 le corone, gli scettri e gli ornamenti

• fi••amente: • Snmente, • A.
I fine artrfice: • fidi arteSci.• A. B. H. I. L;
a di b....o I~BO ed amile: • di II10go b...o et umile. • A. B.
• c"e el: • cbed eì • A. Icritlo, • dle dei. • '
a opi po': • ogni poco•• A. B.
6 Vandac. COI;mo: _ sran. Cosimo.• B.
, lodarla: • lodar lei•• A. B. C. D. H. L.
8 c,,:
agovol co... (6_a: • cbe nrebbe agnol coli•• A. B. C. D. H. L.
8 ma' più ," • m~i . • B. ,
IN MORTE DEL GaiNDUCA COSIMO PRIMO. .461
reali, che v' ha il granduca Cosimo portati entro. Or se in
Grecia eontrastaron sette città, ciascuna vantandosi d'esser·
patria d' Omero]Fiorenza mia, quant' hai tu maggior vanto,
che patria sei senza contrasto, Don d'Omero cantator d'eroi, l
ma di quest' eroe degnissimo d' es~r cantato da molti Ome-
tiT Similmente, la famiglia de' Medici è ampia, nominata I e
chiara nel mondo, come stella folgorante nel cielo; ma la
virtù e modestia di messer Salvestro, la grazia popolare di
messer Vieri, la richeza, la· magnificenza e la prudenza di
Cosimo e S Lorenzo vecchi, la gloria dell' armi del signor
. Giovanni, e gli altri lumi di questa casa tutt' insieme non
fanno questa gran face che vi ha or accesa il serenìssìmc
Cosimo. Tre romani pontefici, una reìna di Francia, 80n
quasi lampo che subito muor con loro,~ e non rimane in casa
perreditaggio, come fa questo chiarore di granduca di To-
scana.
Nel 800 nascere si viddero molti segni ed agnri delsuo
principato; ma io quel solo' che fu noto a ogn'uno, e gran
dir se ne fece, racconterò. Nel Mugello, per allegreza di
questo figliuolo nato al signor Giovanni, i luoghi suoi fecero
i fuochi. Il Giogo e gli altri luoghi de' Medici nella monta-
gna, ciò vedendo e noll'altro sapendo, gli fecero altresì
grandi. La Romagna fiorentina veduti questi fuochi di verso
Firenze, per Don errare gli fecer maggiori. Cesena, Faenza,
Ravenna, e tutta la Romagna del papa, vedendo i Fiorentini
far sk gran fuochi, pensando che papa Lione, che fiorentino
era, avesse qualche grand'allegreza avuta, gli fecer grandis-
simi. E cosk dal Mugello infìno al mar Adriatico·si fecer i
fuochi Della nascita di questo fanciollo. Quelle tre cose che
molto convengono a fanciullesca etade, belleza, gravità e

.r
I .OD Om.~o, ec.: • Doa d'Omero poeta uDtator degli eroi. _ A. B.
I .omlnata: • Domala. _ A. B. D. G. H. L.
'u.edi._A.B.
• cii•• rlblto mao~ co.. loro: • ehe COD lor muore. _ B. - _ che eOD loro
. labito muore. _ H. L. -SebbeDe io teuga queata orllione ..ritta eOD lutti Ja a..
rietà e grnilà I eeademieal pure DOD può Deglrai che '1"ute lodi DOD "ppiaDo
auai di colia.
, ma lo quel.olo: • de' quali quel 1010. _ B. __ ma io quel 1010 che CII
c!Uarulimo. - L. - . Dotiuimo. _ H.
39'
..62 OIlUIOR.

forza, furono io lui maravigliose e vi si mantenner, come


vedeste; chè non fa mai corpo più bello, nè più robusto, né
più real presensa, t A queste cresceRdo s8n' aggiunser .tre
altre, ingegno, memeria e prudenza. L'ingegno si mostrò
nelle liti ch' egli ebbe con Lorenzo di Pierfranoosoo, le quali
l'aguzaron vie più, come ruota. La memoria nell' apprender
le lettere latine e greche; la qual crebbe sempre a tal maravì-
glia, che tatti i suoi cittadini COOOllCeYa per veduta e per
nome, come Ciro tutti i suoi soldati; e si sdegnava dirglisi
il nome di chi egli avesse conosciuto una volta: La prudenza
appari nene gite ch' ei fece col daca Alessandro, verso l'im-
peradore a Genova, a Leeea, a Napoli, et a Bologna C{uando
s'incoronò;. dov' ei potette praticar corti, eeaoseer gl'Ul si-
gnori, sentir diseorrer di stati e di guerre;' e taalo di 8l fatte
cose a sua natura 6ODformi apparò, e ca tal fondamento e
tal gìudìsìo ne divisava, che molti ne dìsser di lui come gli
ambasciadori Persiani a Filippo di Macedonia, udito eh' eb-
bero il picciol Alessandm: Queste fanciallo é UD gran re.
Dimaniera che poi nel diciottesimo aono essendo venuta
(come volle colui che di tutte le cose diville e-umane èotti-
mo dlspenìtore] la morle del duca Alessandro, lutti gli occhi
si voltarono al signor Cosimo, e subito fu egli dal senato faUo
capo, e poi duca deUa repubWiea iureatina, e da' piaceri
della villa tratto, quasi un altro Cincian&to dall' araLolo aUa
dittatura. a S' io non dieess' altro, giudiziosi Alterati, e qui
fornissi la mia oraaìone, avrei DOlI. poco 8Odiafatloal mio
ufizio, perebè questa sua creazione contiene, chi be. guarda,
lande dìvìaa, avend'egli acqoiSlaLo~ principalo, bene di tutti
gli umani il pilÌ desiderabile e soprane: chiamale per amore; I
modo di tlllti gli altri il pÌlÌ santo e glorio. .
Ma perchè queste cose si faccino I più chiare, io mi voglio
I Eppure n .. veduto Tadito rimp"",_ lIuone, perebò lodò Poppea
d.n. benena e da altre fortune, invoco ebe d.na virtù I A .... XVI, 6.
.,.ti
I di '/f""'"
~., t • desii oItti.e<lelll pInO- • .B. I...c.
• diti"....... r _ dottal1ml• • B.
& "equi'''''''. COli i lisi. Le Itampe, .."uu"'to. Il cod.L.: • ua,l'tine"
l'ato•• E il B.: • avondo "gli acquistato por quell. ua priacipalo. • '
I ,"'"m"to l'ti' timo,..: '. chiamato e por umoro•• A. B. C.
I ., /a"illo: ••i faranno.• A. B.
IN 1II0RTE DEL GRA:NDUC4 COSIlIIO PRIlIIO. .463
por disteoder alquanto, poscia ch"io veggo che voi si diligen-
temente attendete, e paseer gli Mimi vostri di questo ragiona-
menIo l nobile. Dico adunque che dovendo l'opere umane
imitar quanto pessono la natura come maestra, quegli acqui-
sti di. principato 80n pi6 pepfetti che vengono più naturali.
Noi veggiamo che gli animali, elle vanno a branchi, fanno la
guida I un de' più' belli a di loro e più grossi e arditi" come
8ODO i re dell' api e i galli e i tori. Cosi gli uomini rozi del
seeol primo,quando cominciaron a uscir delle selve' e ridursi'
in brigata, a cui era di loro più forte e membruto davano la
podestà di guidarli e di reggerli, onde vien forse dello il re."
Cosi naturalmente ancora si facevano i re di quegli eroici
tempi, quando i popoli eleggevano spontaneamente colui che
gli avanzasse 8 di meriti, o di virtù sue o de' suoi maggiori,
come fu Codro 1n Grecia, Ciro in Persia, e poi Carlo in
Francia. In eotal guisa eroica e naturale fu falto principe il
signor Cosimo spontaneamente da'suoi, per la virtù dell'ani-
mo già conosciuta in lui per la maestà dell' aspetto, per li
meriti de' maggiori e per la chiareza del sangue. Fannosi
alcuni principi per forza d'arme, come Francesco Sforza di
Milano; ma questi, oltr' al fare il più delle volte ingiustizia,
non han tutta la loda, portandosene la maggior parte i sol-
dati e la fortU1la. Altri per iscelerateza, come il Moro suo
figliuolo, che spento il nipote, rubò quello'stato; e questi si
deono abbominare. Chi per vane cagioni e ridicole,' come
Darioché ebbe il reame di Persia, perché ID lo cavaI suo in certo
luogo annltri; ed Egone quel degli Argeri,n perché un'aquila

• ,n q_e".
./ld",1 "utrl 1M ".fJÙ"._to: _ «Ii _alai ..oatri .oLili di
qualo aobile "gioa._DIO. _ .... 11.C. H. L.
II. ,,"d.: _ lor guid•. _ A. B. C. L.
, belli: _ begli. - 4. B. L•
. • e ...dIU: _ • più .rdili. - B. l.
e: lei.,,: • sel..i. » I.
I .. Id ....';: _ "guau.i.• 4. B. I. , .
, .11• .. I ... fiw.. ..."., • 0Dde fone ~ dellO•• A. 8. I. - • fon. 'fioa
dellO.- L.
8 gli .P.",",,"': .. gli altrl ••• 0...... _ A.
, Il.'Ul' ~aK'o"i I ,.jdieol.: .'vaDe easioae e ridieolose.» A..
IO p... chè. M.aca DOlI••tampa fìorealiaa, ma certameal. per errere,
Il 4"8''';: .. Argi..l. _ A. B. L.
ollAzlolOl
sopra'lsuo tetto volò.Chi per mera forluna, come gli arconti
e.tesmotetì d'Atena che si traevan a sorte. I Molti per rediUl; e .
questi han loda, stimandosi che redat' abbino la virtù non
men che l'imperio. t Ma niuna maniera d'acquistar princi-
pato può avanzar questa del signor Cosimo, la qual fu non
pur naturale ed eroica come avet' udito, ma ammirabil' e
divina, com' ora.intendo mostrarvi.
Quegli avvenimenti e quelle opere umane che soverchian
l'umana possanza, e quell'abito al ben fare, che si chiama vir-
tù, è necessario che vengano da più alta cagione. I Greci l'at-
tribuivano a que' loro iddiij e coloroche facevau quelle gran
cose che sonoscritte ,:l'Ercole e di Teseo e d'Ettorre e d'Achille
non più uomini chiamavano ma semidei , e credevano che
fusser dagl' iddii generati, amati, e ne' loro all'ari aiutati,
come si legge di Minerva che riparava in battaglia' le frecce
a Menelao. l Romani, che tanto fecero con la virtù e col
sangue, rìeoneseevan nondimeno ogni cosa l dalla Fortuna:
dea, più ch' altro nume; da loro adorata. Onde' Lucio 8i11a,
che vinse la virtù e i trionfi e i sette consolati di Gaio Ma-
rio, sife' chiamare il Felice, e teneasi d'esser della Fortuna
figliuolo. Ed Agusto (cui il nostro gran Cosimo8 ebbe le stelle
e gli elJ'etti somiglianti) pregò gli dii che dessero al nipote
la sua fortuna; la quale fu stupenda massimamente in ciò,
che Bruto e Cassio con le congiure, Antonio e Lepido, Ir-
zio e Pansa eon gli eserciti, Cicerone con la lingua, e tutti
gli altri aimìcì suoi s'argomentarono e brigaron 7 per lui, e
furon (concedetemi questa licenza di favellare) asce e mar-
tella a fabbricargli e conficcargli lo stato. Considerate or voi
eon la vostra prudenza, accademici, s' il medesimo appunto è
intervenuto al granduca Cosimo; se i nimici suoi l' han fatto

4 a IO~tc: • per 10m•• A.


t l' l'''porlo: • lo 'mperio •• B.
, I. ba,,,,,lia : • aella battaglia.• A.
& rico.olco"a• • • cII",... o o,.i Cola •.Nelcod. L. maIXa • aoadimeao ..
- • pare ogni eO'8 rieonolcevano.• A. B.
a O.d.... Però... A.
".I P"" COII",o: • graadaca .• L. - . cai mollo lomigliaDte ebLe il ao-
stre graa Coli"", la Itelle e ,Ii aft"etti.• A.B.
, "~i,"ro.. : • lravagliaroao•• A. B.
IN MORTE DEL GB.lNDUC! COSIMO PIUMO. 465
grande, se il sesto di gennaio t fu l'asce, e il primo e il se-
condo d'agosto! furono le martella. Ma tanto stupendo suc-
cesso non si dee riconoscere nè dagl'iddii de'Greci, nè dalla
Fortuna romana; ma dal benigno volere del grand' Iddio
benedetto, che lui ne fece degno: o vero dal suò 8 giudicio
non errante, che scelse forse quest'uomo, piaciuto al suo cuo-
re, ed a si gran fortuna l'alzò per mirabili modi; accìò
ch'egli, con mirabil virtù, due " popoli governasse e due città
emule e garreggianti infin del principato della lingua, e
d'animi tanto avversi,' che, notabil cosa in tanta vicinità,
tra loro 6 non s'è fatto mai niun nobil parentado, che ad
un medesim' imperio, quasi opposte linee a un centro, unìs-.
se, e come due care sirocchie pacificasse; e quanto maggior
la fortuna sua fosse, tanto più la virtù," ben usandola, appa-
risse e giovasse, com' è troppo ben avvenuto. Perché Siena
per si dolce e piacevol imperio può quasi dir-come Temìsto-
ele fuggitosi in Persia: S'io non perdeva, guai a me, ch' io
sarei perduta. E Firenze quand' ebbe mai trentasetteanni di
tanto riposo senza tumulti, senza gran fame, senza mortalità,
come sotto questo granduca Cosimo?8Egli primieramente con
la virtù magnànima, ch' è d'intorno a' grandi onori, accettò
il principato che alcuni volevan ch' ei rifiutasse. A lutti gli
sbanditi rendè la patria e Pavere; spregìatì tutti i piaceri
(cosa in giovane principe non udita), tutto al govemosì diè 8
tant' assiduo e ardente, che sendogli detto ch' ei si stracche-
rebbe, rispose: quest' è 'l mio nutrimento, Non rimetteva IO
4 Nell. notte del 6" gennaio iC>37 fu trucidato il dnca Alessandro.
I Villona di Montemurlo sopra i fuoruscili, ccndotti da Filippo Strò.. i.
8 o pe,.o dal ...0: R e dal suo•• A. B.
4 due: • duoi.• B.
a
Si e animi tanto avversi : • e d'anime tanto avverae, che, Dolaùil-
mente in. tanta '\'icinità,.' è veduto che tra loro non s'era fatto mai pobil pa.
rentado, a uo medesimo impero. ., L. - .. s'è veduto che tra loro niuno paren_
lado nobile aveano fallo, a un medesimo impero." A. B. I.
e tra 10,.0. La stampa fiorentina: R che tra loro.•
, la p/,.tù. Cosi i MII. Le stampe: • tanto pii. la forluoa••
8 q ....to grand..ca Culmo1 R il gran Cosimo? • A. B.
'tutto al .BDVe,.nD si diè: _.al governo ai diè cosi assiduo e ar-
dente•• A.
40 nOn rlmrttrp4. Così iMo. A. B. F. I. L. Le stampe, e qualcbe )ls.:
• Nondime.no rimettev 3. "
466 OUZIONB

ad altri alcuna bisogna; ma tutte le volev'egIl sapere, ordi-


nare e risolvere.' Si 'levava innanzi giorno. Scrivevà di sua
mano tanto, che niuno mai tanto scrisse. Da questi modi
nascevano molli beni; reputaaìone, pratica e scienza in lui;
benefizio, amore e speranza ne' popoli; sincerità, valore e
diligenza ne' ministri, a' quali era tremendo per lo suo molto
conoscere e molti> amar la giustizia;! d'intorn'aDa quale non
fu mai principe pio diligente; anzi pio che se stesso l'amò.
Perché quando la guerra ardeva, pregò Dio che facesse vin-
cer non lui, ma cui avesse la mente migliore e la causa più
giusta; edavendo vinto egli, rizò la colonna alla Giuslizia
vincitrice,'come poi fece e ordinò' l'altre due aìla Religione
ed alla Pace: tre .testimonl eterni che queste tre gran cose,
Religione, Giustizia e Pace, hanno per lui nella nostra città
trionfato e' regnato già tant' anni. Volendo poi, come tenero
di essa giustizia amadore, I accostarla a sé, e quasi le sue
membra sparse 8 raccoglierla 7 in braccio, fece quella gran fab-
brica dc' magìstratì," l'annestè al palagio suo, e voleva nelle
nicchie di que' pilastri metter le statue de' cittadini Illustri,"e
quasi in nuovo Ceramico ateniese, o Foro romano, magni-

I Drdirla,.,ti rilolve,.,: .. ordiaavae riloheva... B.


I • mollo ama,. la ,i.nid.. : • e per lo IDO molto om" 11 giusti-
&ia." A.
~ Sulla pi.... di IlDta Trinita•• Fu tolta alle Terme Aotooiae di Roma:
• regalata da Pio IV .1 due. Cosimo, e d. elio (.tla ioallare in melllori. 000
• 1010 dena ~ittoria riportata Deli 637 a Mootemurlo, '11i.nto per iodj"lre il
• sìto o.. ricevette quella gradita ootilia. 1\ capitello però è opera del T.ddl,
• eseguito oel i581, unitamente .11. statua di porfido che vi è sopra e nppre-
.. unta la Giultida. ". FaDtani, NUOVA Gu.ida. ovvero D'lerl.ione .IO,.icll ~
",.tUti,a, crtttc«, di Fi,.e7l&e; t846, P'g, 566.
I Ordioò, m. 000 fece.
8 CO"" tener» di 114'4 ,ilutiai4 amadore: _ come tenero amadore di
fila giustizil... B.
CI e qIJal1 l. I,'e '"t,"hrll .pllrse: N e quasi tutta iDsieme ~ecoglierla in
hraceio, fece quella gr.o fabbrica dei magistrati lun6h' esso il suo paiano, e "0-
lev;r eco • L. - • le auemembra aparse per la città, raguDare, e tutta insieme
lceoslier1o io braceio.• A. D. J. H.
, ,.acco,li"'(". Forse ....ccoglle,.e.
, Detta desII Uji&i, een disegno cielV•seri,
Il Come oggi lODO IIlte messe; moollmeoto loleo ... di gloria iloliao•• di
lleotil.... e m.soi6c<ou e'llodio.; e, io p.rte, ciel valore egregio della leuol.
000 Il lotto svigorito di Doo'lello e di Miebel.oCiolo.
IN MORTE DEL GRANDUCA COSIMO PRlMO. -161
fìeare e con generosa e nobiI dirittura distribuire a' suoi
autori la gloria della cittadinanza antica; la qual egli sempre
amò e venerò, avendo l'animo tutto civile, 'com' ebbero i
suoi maggiori, che studiaron solo in accrescer il pubblico
bene ed onore, e mantener l'egualità e modestia! e l'altre
buont arti civili; dove Cosimo vecchio e gli altri del ramo suo
portaron più alti spiriti di singolarità e maggioranza. Vedendo
l'anlica parsimonia e cìvìl gravità andar mancando, regolò
più d'una fiata le spese private; e gli ufìci vielò a chi che
fusse che non vestisse l'abitò lungo civile, il qual' egli usò
da giovanetto, e disse che voleva porlarlo quando sano tor-
nasse, per mostrar amorevoleza, dichinandosi quasi a nostra
condizione; com' ei mostrò confidenza quando spenli i nimi-
ci e cessati i sospetti, lasciò la guardia di sua persona, e solo
andossi per la città, come vero e legiltimo re, guardato! dalla,
benevolenza de' suoi. '
Era sopr' ogni credere umano e moderato, Non voleva
sentirsi lodare a dismisura,-, onde al cavaliere Vincenzio
Acciaiuoli,• che orando lo chiamò inviUissimo, comandò
che mutasse quella parola. Male non diceva, né voleva che
altri ne gli dicessi; 5 per questo lodò, e disse che amava il
Pasquale suo medico," che mai non gli aveva male di alcun

• t.. uo dalle: • per nalura civile•• A.. B. H.


li e modelU,,: .la modestia ... A. '
s If_~dato: • accompagnalo e guardllo•• A..
• I codici A. B•.L. I. aggiungono: • lo Sconsiglialo nostro•• Tale fu il
nome dell' Acciaiaoli nell'accacltmil degli Alterati.
5 4lcelli: • dicelli di alcano•• A. B. '
e il Palq..ale 1 ..0 medico: .' medico suo.• A. B.- Andrea Pasqulli, di
cui il Canlini in uni nota aUI Yltta '41 COllmo de' Medici, CFir••tamperia
Albi..inianl, 180& iD-4) pag. t31, dice ch'egli fu medito al.ervigio d'Ales.
aiamo e cIICo.imo:che .eri.se VIrle OpeR di medicina', I noi nOD per_mule:
che mori in Firenu ",,11' euebre del I &711, e elle Cn sepollo in Slnta Maria No-
vella, ove il ti di quel mese, come apparisce dot libro de' morii di quelli chie..,
gli faron celebrl'i mlgni/ici Caaerlli. Tra i documenti poi I questa Vila' sj ripor-
tane cluelettere di CoIimo alai, setto i numeri 13 e 18. Nel1a primi (PiSl,", ge....
nlio 1&-'6)dice:.• Voi potete chiederci delle gnlìe coa cerleua..rotleaerle,perchè
• la voslrl prudenti I e dottrma ve ne Ca 'l!egao. • cona .ecoada (Fioreala, 8
decembR ili50) gl' invia un librO medico d'aa lal gioVlae, perebe glie ne dica
l'animo suo, volendo btneliclme l'aatoR le il libro è buono. E nel SCp,.ll"'f~io
,fio....tino del1\olselli collenote dellhldovinetli, M•• presso il Bigolli, è nl'erita
'68 ORAZIONE

detto, nè non buono uficio fatto. Parlava de' principi poco,


e con lode: de' nimici pochissimo, ed ambiguo; di sè non
'mai. Dicea che la morte non si dee né cercare t né teme-
re, e si maravigliava che gli uomini temessero una cosa S
si certa e naturale. A molti vinti ebbe misericordia, e per-
donò, schifando il consiglio .d' alcuni inumani, come Ales-
sandro Magno a schifò quel d'Aristotile, che volea ch' egli
trattassi i Greci da parenti," e i barbari da bestie e 'sterpi,
Era paziente nell' udire, grato nel rispondere, semplice nel
vestire, e di vivande splendide non curante, come quegll
che ritenendo ne' fatti e nell' aspetto la maestà," non la cer-
cava negli abiti e nelle mense. Cosi avviene a' grand' arte- -
fìei, che facendo lor figure ottime, non enran troppo gli
ornamenth" dove gli altri molto studiano 7 in trecce, in bion-
deit, in bei calzari e fregi; non potendo'lor pitture far belle,
le fanno ricche; si come disse Apelle a quel suo discepolo,
che avea dipinto Elena ornata di molt' oro. Seguendo'il 00-.
stume della sua casa favori molto le lettere e l'arti ..obiìi·e
gl' ingegni. Rimesse e lo studio a Pisa, e quivi ed a Siena
fece per gli scolari poveri la Sapienza; IO forni ed aperse la
libreria di san Lorenzo; creò l'Accademia fiorentina, ot-
tenne da Roma il Boccaccio,' I chiedeva il Machiavello: voleva
l'arme (,; ce"a d' nlleoto e atelle d' Dro iII' campo a..urro ..) e la '"Bueote ilcri•
• iODe: AIIDa.AB PASCBALIUS PH1I.OSorHUS BT .IUUCUS HOC SIBJ SUlSQU& POST&&1S
.oau.ZJfTu. COIUUJUT.
j "cna li de« Jlè cercare s • Dè cercar .i dee•• A. B.

I tem'llero 'UI" COIti: • lemelliDo eosa•• A.


a .4l....."dro M"/f1Io: _ il malloo AI.... udro ... A. B.
• d.. p"r.,,'I, .. da pareDti e amici ... A. B.
S rit'''e"do ".j.. W • ".U',..peu», ec.: _rit.DeDdo la ma..tà lua Dei Calli
e Dall'a.pello... A. B. .
e Co.) ..vvten«, ee.r _ Coai i grandi artefici Cacendo lor filllUll ottime, Don
troppo curano llli ornamenti. _ A. B.
, mollo lIutli.."o. Nell' A. B-.manca _ molto. _
"O"
8 pOltndo r .. e non potendo... A.·
e /lim ..... ec.: _ Rim.... lo atudio 11 Piaa e qui e a SieDa. Fece allli see-
I..,i poveri, eco .. A.
sO La fabbrica, detta d.ll.. S..pi.".... neU' univ.rsità di PiSl •
•s olte"". ti.. Rom .. il Boccaccio. _ Sotto il conaolato di Giulio del Cac-
cia, H6!, - li Icm.e dall' Accad.mia fiorentilla a' iO di olloLre i562 al duea
.. "OItrO, che i deputati al CUDciliodi Trento .opra la ceDlnra clelle opere Itam-
.. pate, li erano lasciati intendere di "oler del tutto levar "ia il Decamerone,
IN MORU DEL aUNDDD! COSIMO PB~O. 469
regolar la lingua volgar fiorentina; 1 faceva scriver la Sloria:
onde tanti poeli, oralorie scrittori lo fanno immortale, e lanti
volumi al nome SU!) 80n dedicati, de' quali egli faceva una
propria e gran libreria. Per esercizio dell' arti nobili, delle
quali egli era 'conoscitor ottimo, e diletto infinilo' ne riceve-
va; ordinò l' a~cademia del disegno e molti artefici eccellen-
tissimi accarero e nutrì; onde 80n uscite quelle tanl' opere
che noi veggiamo, statue, colossi, pitture, medaglie, fonla-
: ne, giardini, eolennev.legge, strade, vie in aria, aqaideeci,
fossi, laghi, ponti, tempii, monisleri, palagi, forleze, arti-
glierie, un porto comincialo, quattro città fornile; e chi sa
che di quella prima Roma non minori, e ch' una di queste
non debba ancor largamenle sìgnoreggiaref " tanto son pie-
cioli i principii delle cose, etanto gran momenlo é nna città
principiare. Nuove miniere, cave, marmi, ordigni, segreti,!
slillamenli, medicine, rimedi potenti, perché a lui e quasi allo
iddio Escolapio si ricorreva, non pur da quegli della città,
ma da' forestieri e da' principi. La voce mi mancherebbe se
io volessi ogni cosa contare ond' egli ha recato alla città e
paesi snoi hellezir, forlezi, grandeia, comodità, utilità, sa-
nità. Molti concetti nobili si dovrieno, se la lungheza non
vi noiasse, considerare di per sé e Iaor della schiera; come
D pregaadolo li c1egDalse 'foler iaterporre illao f..ore ':oi detti depatati, perchè
• l'opera aoa perisse, Al che betìigaameate rispose il duca, per lellera del di i 7,
D ebe tullo opererebbe; ma che iataoto l'Accademia eleggelSe i coalori e correl.-
a tori dell' opera: come appDDto .egui il di lIlI del medelimo mele, per partito

a del magistrato della Balia, radualto io o..a di muler Lelio Torelli, e furoao
• eletti.... meaaer Francesco Cattani da Dlaeeeto , MesserLionardo Tanci e mes-
• ser Francesco Guidetti, uomini totti, e nell. nera teol'ogiae De'mo~li e po-
D litici Itadi, 'fera.tilSimi. D S.hioi, Fiuti COlllowl, pago -162.

4 volevII ~eBola~ la linllua, ec.Aldo Maouuo, TTit4 di COlimo de' Me-


dici: • Eresse l'accademia fioreatiaa della Iiogua volgare, la quale voleva fa..
a regolare o a<trucere et abbellire ancor più che non è, delle ricch ..... et 010-
D gaoae delle altre lingue più oomate, et la fermò con belli ordini e leggi.
a ~t graadi privilegi, "efavorilla aommameate••
I delle quali "Illi e~.., ee•• D delle quali elli coaolcitor ottimo e giDdwo-
'~Slimo era•• A. B~
I i...finit<>: • graodillimo. D B.
• e Cla·'''I'' di quelte~ ee..: • e che lIDI di qu.este noli. pOlli IDeari il
moad~ lignoreggiare,? laato .ODO i priocipii piccoli delle cole •• A. B. I.
5 "peti: .;. segreti, olii, acque•• A. B. f
O 41 lrli : • a lui con piacergrandiuimo." A.. B.

Il. 40
OBA.ZIONE

il ,dipignfl' la copota; come il seccar palodi 1 per ispegDel' la


trist'aria, che fo veramente Apello nettare 2 il vele.oso Pito-
ne; eome lo scolpir in marmo le 'dodici fatieàe d'Ercole, per
fiplrar (com' io aTVis(t) dedici de' suoi fatti, che eon dodici
motti appNpriatigli a quelle, IIlrieoo imprese iBmitriBsime da
eìreondar il suo·mausoleo.
Ma temp' è 3 di wnir alle cose lBIg~ori e di più grave
.pondo, Geloso della fede delle llcriLtare pùbliche, le serrò
(Joa8i ÌB sicuro armario COB la soachiave Dilll"archivio, da
Ilai ordiDato novellamelde: magistrato di elle la città nostra
mancava, e por è da coloro, che de' gO'rerni civili trattando
andaro al fondo, posto tm' lMlee8llarfj peroiocbè le, memorie
éonservll dell' azioni, e dal suo segno' le scrittore han fede
e valore.
Nel fior 4 delle sae fone del corpo e dell' animo, pen-
sando ch' egli en nato oomo e sottopOllloa' casi omani,
diede il governo dello stato al principe 8UO, figliuolo con
grandissima prudenza; perché così tenne lieto quell'animo
generoso e pascìukl nella OOleeza del comandare, e lo strui
di maniera cile oggi ii granduca per aai non è morto, ma
rinovato come fenice. Sapendo che l' armi proprie 80n utili
e destre e pronte, dove le forestiere, come vesti 5 aeeatta-
te, o cascan di dosso altrui, o stringono o aggravano, or-
dinò la milizia prima de' fanti a piede e de'cavaleggieri,6
e poi degli uomini d'arme e de' cavalieri, ed armò molte 7
galere e legni. Queste forze, ordinale con gran sapienza,
adopero con gran valore. Con queste difese Fiorenza: prese
Siena: assicurò gli stati: nettò i mari suoi: aiutò tutti i prin-
cipi maggiori della cristiaDità; e quante volte? Voi sapete
le storie; ed io non quel1e per M'dine narro; ma i fatti
celebro e narro, or un or altro , secondo che vengon nella
• come Il seccar paludi: • come lo .pesoer la trista aria col seccar le
paludi... A.11. .'
I saettare» cioè, che saetta.
5 tempO è: •• gli è tempo.• A. B. _ • tempo è da veoire.• C.
• N elfior: .. nel fiorire... A. B.
5 come vesti: .. come le vesti accaUallta O cascau a1.t..rui di dosso ... A.. B.
fii cafla/egg;eri: .. cavai leggieri... B. L. _ Il cay~' lesg,ieri. " G
7 ed armò molte. ee.: • e molte galee e legni armò... B.

.- . .-.,
-
IN MORTE DEL GRANDUCA cosmo PnIMO. 47t
mia mente. Cred e vas i , per esse r ce li sta tu - -rupre occupa to
ù' in torno a' aoverni della cit tà, che delle cose della euerra
nun cosi ben s i conoscesse; ma egli m ost rò con la prova il
contra rio. Ved uto che Siena raccettava n nimi co suo pe r
opprimer lui, s i fece incon tra, c pri ma l' assa ltò , sape ndo
he un mese solo che-n nimi co calpest i il tuo paese, fa ma e-
glor dann o, l ch e non cost à una lungh i sirna gu rra eh In
di faccia • in casa sua : olt ra che la repu tnztone è se mp re di
·hi a alla; stim an dosi ch' celi abbia prima de lle comuni
forze fallo ' , ~ iO D C e trova to le sua upe rio ri.! P res e qu el forte
p 'r 1111011 l'un miraLil secrcteza e pre teza, T enno il SIlO
/,,1111 110 se nz' un di ordine semp re fornito. Conobbe che il
ul mico non pale il p'ù r cc corsì , e rit enne il ma rc hese che
Il Oll i disco 14I e da q uello, e eli ordinò che, come il vedesse
mu ove, ombnll I perch è vi ncerebbe ; e cosi fu. Yed.le

l' a _evoleza • l nrender P orìercole , stimato dal marchese


iJD po. 'ILi/ c. Trullenn il duc a di Gui a in lì omagna con le
pra tiche : (l eo li '11' l'li da dosso si levò quell' ese rcito, ch e
n'andò poi il Ci itc lla. (o lascio l' a llre cose per esse r breve,
onc hiu "O he o~ i cosa può far un' eccellente natura se
lu y' a ciu"nj fa diii 'e nza: e l'un' e l' altra in lui cran sin-
ul i mc; tan to Il' i laC I~ e 'n guerra con egual gloria
dope 3, c non cnn 'r arte c per consiglio, ch e pe r
u LO "n l~ vll. Laonde in tun tn reputnzionc 4 c
ram dn pro tu Ili i prin cipi in ta nt' autorit à, che
da b don il 01 'o. Ca o quinto ne' prim i !.:III li co no-
ciutò l li r n Il 7.', • l' onorò de l rosone. Arr i ~o re
d i rancia II sua Iì"'liuola al principe, a cui l'im-
I ra tor fa itnilianu diè pui la sc renis. im a Giovanna soa
sorella , O \1:1 rrdnche 511 nost ra sign ora, 11 re F ili ppo ~ gli
c Jè lo Ialo Ili Si 'Da pe r riconoscerlo delle pese fall e in
uella ne , e del fedele e grand' aiuto uo; senza il quale
mollo manco sa re bbesi ri avuta iena , che pri ma non s' era

• maggior danno: ... più danne. MI B.


, faccia : .. facci•• B.
S 1.. 1114 superìor ì : .. le B;·
SUjI aV:lDIBr'e• •
• reprlfa%I07te .. &t stima... B. -
L.' A. : in t anta st ima e strido. ..
tf

5 Questo fatto nel cod. D. è 10('C'310 innanzi a 'luello d'A.rrigo .

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OR.l.ZIONE

Montalcino espugnato; e Pio quinto pontefice massimo gli


pose in capo la corona reale, è l'investi del titolo di GB..UI-
DUCA. DI TOIC.UIA., convenevole a' suoi gran (atti, al grand'Ira
perio, al grand' amor alla giustizia e zelo alla religione. 1 È
naturale de' potenti esser religiosi e pii, non potendo se non
da Dio riconoscere i tanti beni che aver si veggono sopra
gli altri uomini; ma egli fu sopra tutti gli altri religiosissi-
mo; e non solamente I riconosceva dii Dio la sua grandeza,
'ma compiacevasi di confessarla, e disse in Roma nel con-
cistoro, che aveva avuta Fiorenza da Dio, e Siena dal re.
Tutti gli ordini di santa Chiesa osservò con somma reve-
renza e devozione. Tutti i pontefici sempre obbedi, e difese-
gli dalla pestilenza degli eretici, di che non è paese più netto
del suo. Contr' a'luterani e protestanti mandò gente nella
Magna a Carlo V. Contr' a gli Ugonotti, danari più volte al
re di Franeìa," Contr/a' Turchi più volte prestò galee al papa;
-e voi sentiste con quanta ferocia ~ combatteron quelle dodici
nella giornata grande. In Transilvania, al Sighetto,allEt
Gerbe, a Port' Ercole, a Piombino, in Corsica, a Malta
hanno quei barbari vedute l'insegne ed assaggiate le destre
fiorentine, e gusterannole quantunque volte oseranno acco-
starsi a'liti di Toscana e di Liguria, a' quali egli ha fondato
e posto l'antelJlurale di quegli onorati campioni che por-
tano il sangue di Cristo per insegna. L'onor di Dioe de'Santi:'
che già. s' oll'endeva con parole divenute familiari per, rea
usanza, e quello delle vergini sagre, con severe leggi e
buon' ordini difese ed assicurò. Con limosine infinite prov-
vide al vivere, alle fabbriche, aU' agiateza de' munisteri,
de' conventi, degli spedali e de' pover' uomini, e quanti mi-
seri potè de' suoi fedeli, tanti trasse di servitù degl' infedeli.
Dalla mano di Dio egualmente riconosceva e volontieri accet-
tava le cose avverse, con le quali sua maestà divina esercita
e prova i suoi diletti. E con animo riposato e tranquillo 8Op-

I Ali. religione: • dena .el;gioDe.• B.


i ti non 801.mrrrte: • e DOO pUte. • B.
5 Al re di Fr...cia s • lleDle al re di FraDcia.• B. - L'A.: • gODle. da-
nari.•
t foroei": • fe.oeilà.• B. L. I. è. F.
r
IN 1I1OBTE DEL GB1NDUC1 COSllI!O PUlMO. 473
portò la morte prima di due figliuole e di dai figliuoli dol-
cìssimì e della consorte amatissima, quasi in un tempo av-
venute; l del qual fiero caso ad uno che il consolava disse:
se noi non fussimo ben dis po li ad ozni voler divino , non
avremmo potuto dormir profondament • come facemmo ,
quella nolle tu Ila quanta che fu innanzi alla iorn ala di
ardano. O mente in Dio confen na la e perfetta , o animo
forle e tetracono n' olpi della fortuna e del mondo, ve ra-
mente so ratico l poichè l So rate, la nolle innanzi a quel gior-
no ch ' egli p ttava la morte , riposatamente ormi e so n ò
cose alle gre; di che stup iva ritone c non ardi va de ta rl o,
Col medesimo auimu sopport ò la sua malattia lun ca Il
com passìone vote, clio gli tolse il favellare Il lo sc rivere e ' l
movcr delle membra , lando sempre la mente intera e vi va
in fin an'ulim' ora , che lo pirilo ne volò al ciclo, unti ' e ra
s ce o poco men di inquant' ann ì ! innanzi. Età,: tu ri guardi
al corso di natura non lun ga , al de iderio dc' mortali brevis-
sima , all e co e falle lunehi ima ; perché ezli poteva viver
ancor molt ' anni enza veechieza , poteva ziovar al mondo ,
che non aveva principe n è più savio, n è più ripu tato, n è più
anlir.o .• a che potev' c li per _\ più oltra vi endo dc ide-
mre? e endo qua si di .privato cittadino venuto er andìs imn
principe . la claudo dubbio qual sia 'Ia lo ma ggiore o l' a 'qui-
' lo o la 11i~ sa. o 'I ere cimento o 'I re ggimento , o la fortu-
na o la virt ù, o la rrnzia o la gloria? ' on è dato Ile .ose
mondane il 're. r maisempre, o fermar i i ma sa lire da che
son naie inlin III colmo , c quindi voltando, scendere lilla lor
morte. Per non i può dir uomo beato innanzi al suo fin i
e nel colmo dcII ue felicilà fu bel morire.
Adunque il en o non c' inga nn i, o Allerali, non ci tra-
porti il dolore, non mo trino le troppe o lacrime ch' il no stro
danno ci muova più che il s uo ben e. Grate g li furono le la-

. • IIIPvputll: _ ICCIdule •• B.
• ;oichè: • anonga che.• A, B,
I dorml. IOBnò. ee-e • dormisse e sognasse co.. allegra•• A. B.
• vit'lI: • vivace . • A. B.
Il cinq"ant- 411"i: • cinqUilul:lcidqut :mDi•• A. B. C. F.
• troppe: • DOit re. • B. .
40'

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474 ORAZlOI.'iB ll'l JIOIl'IB QBl, GlUNDUU COSLMO PIlIMO.

grime allor ehe la città tolta quanta corse a vederlo morto,


e sconsolatameote pìangea, e ricordava il povero l'ahbon·
danza, il ricco la licunza. il virtuoso la liberali là. il soldato
la gloria. agll' QIl,O la soo gi\lSlizia. Ma ora voltiamoci a più
giovevoli 0&1, e sl come noi l' oQOramw.o chiamandolo per
pubblico decrete B6),la gran iala Padre della Patria. e,poi
l'abbiall celebralo con &iSeqoie. COB orasìonì, li! COIl versi;
così andialJiwlo setlJilrll JodaBdo e amìrando, e Delle cose a
noi COllvene'f[oli imitando. e portiamo. accesa e viva la. me--
moria di lui. e '1w.eslo d~o ehe egli ha lasciato di sé. a
guisa d' 011 gr8Il poeta cll& fOl'Jlisce la sua eroica iroilu.iODe.
lasciando DOli. sazi e CQll seta gli ascoltatori;'
l .ascoltatort : .. as~oltanti... L. - Nel B. termina eon .. Io bo detto...
.. Pnò ree... muniglia clle auo Ipirito "'pul>blieano u...anilli..o, <be tinto
.. Itimay", QraIio. il poeta e CQf'*io Tacito il yoro politico, abllia uato
Il lodato Cosimo I, CMfu lUI.esemplare di ua siltema arbillario opprusiYo. Ma

.. questo facilmente si spiega quando si riflette, cbe Firenle per trentasette anni
.. di quel gOYerno sodè sempre _ paee tranquillissin... , ••lIa 'l"al. si yMfero
.. Sorire la bé1Ia arti, la !lIUOrtllltae !li ocieA.. , e rieAmpe..... llOQ' gcnaelità.
.. gli uolJaiaj grandi, c quelli Il.eui che si erano ,opposti alle mire la più sublimi
.. degli antenati dell' iste..o Cosimo: e fra questi li nominano il divino Micbe-
.. lagnolo Bonarroti, e Piero Vottori, il più illSip ,"io letUrolo cII& ae
.. aIIDra l' lta1iL Vedi l' lNliilislÌlDe • .-... àl siS- clot"* A.Dpolo. . .
• Dlndini .... la Vita di piu Vettor;' p. 8; ~ 111o ,il Fio'.>Uin.~ li'" U •
• anno faS\!.• (Nota dell' edizione Livorne~l

......

t.
ACCUSA l DAI.! Il.!L SILENTE )L TRAVAGLlATO ~
.Del auo mdacalo dell8 ReggeDall degli .uterati;.

E quanto tempo ci volevi tu, Travagliato, travagliare?


. Quanto pe.usavi tu che '1 1.110 reggimento avesse a durare?
Npn estimavi forse che gli avessi mai a venire questo di del
giudizio de' IaUi tuoi? Ecco eh' egli è venuto, virtuosissimi
Alterati ed oUimi giudici, con somm' allegreza di tutti noi,
e con sommo spavento di lui, terrore e tremito. Voi lo ve-
dete colà com' egli ha il viso morto, gli occhi bassi, fitti in
terra: guarda sott' occhio: sospira: è attonito, sbigottito, am-
mulQlilD. Che. segni son questi? ch' egli ha il baco della co-
seìeasa, ehe dentro lo rode, e fQOl"i lo scuopre, Non è uomo
81 cupo né si astuto, elle possì a talento suo celar la verità;
perché u.tura ha più forza di noi, e dal volto e da gli occhi
e da' movimenti Ca scoppiare e saltar fuori e pianto e riso e
paura e vergogna e altre passioni, che noi vorremmo nascon-
dere, e Ilo011 possiamG ritenere. Laonde quand' io di nulla non
l'acclllaliSi" e Dull'altro dicessi, si lo dovereste pur voi, come
da se itelflOICQperlo e sentenziato, punire. Ma tanta è la mol-
titudine delle aceuae contra di lui che mi sono state portate
I NeSli BbllllideJ)'A<caduùl degli .....lie ... lI.gliab. Clu.llx,JM)
al . . ill&ilAlalo Ujillio Ml. r,"..t•• al S6 .i legg~ I • Sii. il Reggeote
• ncchio a ragiooe, e debba, o per .e o per quale accademico Sii piaeerlI,
• ri.poodere aUora alle accuse che gli .aranDO dale. • B al 5 i TI . VoSlia_.
• il R"llgeDta po_ use.. """DlItO IIIlDtra è i" IIllllP-, acai ;rol1&cbI r-
• eia esercitaregli accademici Don accademicamente, o introduca cose e.prena_
• _le proibite dagli ordini oOlt.i.. E il Sal.ioi, F.IU CO",. sotto l'U1DO i569
...... B\ia.... o a·loro capo. DD Jlespte, che dora.a aei mOli, e dopo l' ofi-
• cio era alcuna ..alli accusato; edegli si dit.w1e.. , e n'era assai ula o eoadaa-
.. Dato. pc1eÌÒ> iatrodoua ...i fwODO le accuse e le difese, oltre all' oncioai fuoe-
• n1i ,laioai eoI altri lo....ai cOlllpo"immti•• Ben .' iDteode sià. cbe 'lI'eate
Accuse erano meri balocchi di quella geute lette.ata e 80111.....01.. .
I Sotto 'l'*to lICIIJle ai oasconde Cosimo Rucellai. Vedi Sta'mi tklr Ac-
cademia .,11 ~ lUrati. Ma. Kagliab. citlto qui s0l'n.
..76 ACCUSA DATA DAL SILENTE AL TB.lV.lGLUTO.
da tutt' ingenerazion di popoli, quanta potrete comprendere
per lo libro che se n'è fatto. Areca 'l libro! Lrsao, Passano
fogli 1800 imperiali tutti scritti di lettera minuta, fitta, im-
breviata, senza margine. Sono in questo libro mille migliaia
cotant' accuse; e più che le cinquanta tue date al Disioso.lt
Già non posso io discorrere, come tu facesti, sopra ciascuna,
perché un anno intero non basterebbe pur a legger sì grosso
volume; e non voglio, quando potessi, perché i misfatti tuoi
son si sconci ed orribili, che com' io te n' avrò rinfacciati
dui o tre. e quasi colpi mortali sciorinati a traverso, s'al bel
primo l' avrò spianato in terra, dove sare' viltade il tirarti;
corra a frugarti poi, quasi toro caduto, il popolaceio come
e' suole; e tanto ti dia che ti sforacehi lutto, e ti cincischi. e
si sfoghi. Tu hai contraffatto alle leggi. Tu hai vituperata
l'Accademia. Tu l'hai voluta scannare. Se io queste tre cose
proverò, Accademici. non basteranno? Non correrete voi a
ferirlo, a saettarlo subito di senlenza?
Quant' alle leggi, primieramenle egli ha messo il santo
nome divino nel prologo del Pri'vilegio mandalo a Pisa,' com-
pilalo da lui, registrato negli Alti; leggilo. PaIVILEGIO. Voi
sapele, Alterati, quanl'egli è vietato a noi lrasmetter in que-
ste nostre ciance e motteggi le divine cose e quelle di stato;
percìochè in queste errar potrebbesi di leggiere, e a quelle
farebbesi onta ed oltraggio. Ah quant' è cosa rea metter la
divinità in giulleria l Ond' io sarei di parere che di quel libro
quel prolago si radesse; e questo siati, o Travagliato, per
arra e per saggio del primo colpo; gustalo: chente è?
Contr' alle leggi ancora, dieci mesi ha tenulo questo
imperio', che doveva in tante poche settimane laseìarlo ,
quante poche lezioni, quanli pochi accademici sono stati
nella città da poter legger ciascun la sua: ' ma egli s' trat- ,, è

l .lccenn a a1..gretario,
I al Distos», Quesli è Giulio del Bene. leeoudo il CalascolodeSii Allenti,
cb. MI. serb..i nella M.gli.becbi.na.
5 mandato a Pila. • Coslila! in Pioa un Vi""gerenle a ""esli .lI1.~li che
...i si lro ......no •• il primo fu il Ya_/o (.lnlonio Albini)•• Sll..ini. FuU
Conlo/a_; p.g. 2'!O.
• Inlendi: Dovu teaer l'imperio tlute peehe lettim3De, quanti enao
oc11a eiu à i pochi accademici d:a poter leggere ciascuno la SUI lelione.
.lCCUU D4T.l D.lL SILENTE .lL TIl.lUQl.UTo. 477
Ienuto, notate con che astuzia. Trenta tornate e più nel-
l'Accademia non è capitato, nè lasciat'ordine, acciochè nulla
non si facesse e 'l tempo scorresse. In altri giorni ha tra-
mutato molte tornate ordinarie del giovedi; memoria nost"
continua di quel giorno felice, nel quale quest' Accademia
incominciò. Più forestieri più volte ha messi qua entro, e
quello che peggio è, faUo salire in cattedra messer Gìo, Dati
a darci la materia di ragionare, che tant' è a dire, quant' a
darci l'orma e il latino, anzi il cavallo.l
Indegnità e vergogne, oltr' a questa, ci ha faUe infinite.
Ecco il secondo colpo.Condannato senza ragione all' imlDOD-
deze il Desioso. Il Desioso si buon accademico e si grande e si
chiaro? Sceso dal seggio per risponder alla sua appellagìone,
e salito in cattedra come privato fosse. Mandato a Pisa il
privilegio non soscrìtto. Conehiusole proposizioni a rovescio,
delle quali vi dovete ricordar voi che 'l mi diceste, e giudici
sete. Fallo dipinger l'impresa e lo sgabello dell' Acerbo in-
nanzi che maturo accademico fusse; cioè accettato da quei
di Pisa, e vinto da noi; che, se per sorte non era, che scan-
dolo ne nasceva?
Queste cose e altre molte senza novero somiglianti per
lo libro degli Atti e per quel delie ieggi son manifeste: eia-
SCUDO che vuole può vederlesi. Però io solamente alquanto
m'allargherò sopr' a quelle che voi forse saper Don dovete.
Estimavate voi esser il nostro reggente andato a Pisa per dar
animo a voi, accademici, a seguitar di dar all'Accademia (ama
e rinomea, -esercitandosi, come cominciato avieno, in quella
città nobile e piena d'alto sapere : e a ragion l'estimavate;
ma che vi feo l' uom valentre? Udite' partilamente la storia.
Facevano i giovani pisani un calcio alla divisa; • e già
erano in assetto per cominciare, quand' il' nostro reggente
tuUo doglioso di non esser tra quelli,.si diede a frugare e
solfregarsi intorno a molti, e tanto s'arraballò e tanto
brigò ch' alla fine messer Domenico Buoninsegni, per diIi-
berarsi dalla costui seccaggine gli diè il suo luogo. Compari
t a da,.ci .... il catlallo; a sgridarci, a riprenderei.
I Vedi sopn il giuoce del e.ldo il Di.co",o del PII'o accademico Al.
'''''''0 (conte Gio••nn. de' B,rdi ,. Fire...., Giuali, t573, in 40.
478 ACCUSA DATA DAL SlLBNT& ~ TUVAGUATO.

SU la piala lo. reggenie magnifico degli Alterati in CarseUiB lo


dorè, calzari saelli ed attiUati, e gran bereltone pien di epe.
naeeh], Q8iYi daade alla paUa, e rimbeccando e 8CODCiando
e ecorreado, e ~che pngDa dando e molte rUenodo, e s~ .
ia lerra cadendo e tolDboialldo, si destro e si pro' di sua per-
sona Ji dimostrò, e si gran proTe fece e belle nlentie, che
il grido inco&taaealA!l, n' ancU per lo paese: gli SGolari e ca-
valieri ne .1enneco gran patlamento, e.gai donna di lui s'in-
namorò, fuor sola colei che più bisognava. Ciò- fu oaa dOD
zeUa vaga e geatìlesca, la qual' egli amava d' alDOl:e: qaesta
ne, li divenne più cruda e alpestra; cmd' il cuore gli Bistrìese
di si gran duele.. cb: il eelabro gli si rivulse, ti n'. im{lazò il
cattivello. Così paiO fa poi festa e ipettaeolo dellaei1tà Del
bel modo ch' io Ti conterò.
Com.attere il Poale eàiamano i Pisani lUI fiero giuoco
loro, dove il valore e 1'acoorteaa de' gievaDiBÌ mostra a
prova. Brano per far questo gÙlOCO" dall' una banda sel-
'vaggi uomiai e rustìcani: e dall'altra.gente imparata d'ogni
qualitA e paeseehe seguiva, per capitano lapazia metro
ad una bandiera di mille confusi colori, che aTen per
asta OlIa canna, e per feno in lllI la cima lilla gwaJUe far-
falla, In questa schiera di pazi sariamente si mise il nostro
re~e in me:zo a daoì accademici (credo per C'OIIlliglie-
ri) il GialUìgliui e ~l Boneiano; che IDal mostrano di sa-
per consigliar sé, non avendo ancora nolM né impresa. tro-
vatosi. L'abito suo era bigio ungbereseo, eOD puese in . . . .
e in capo suo berettone; ben difeso e armato aMa sicar& d'gn
gran ,fastello di strisce di tafi'eUàd' ogBi colore, legate con
artificio sottiJe ad un fuscel di scopa, 8volalanliper l'ari;l,e
lui più et'ogn' altro pazo l'ÌgUardevole dimostranti. O abito
singolare e doglIO veramente d'un priDcipe di liUerati. An-
cor più degno era e metà meglio Mava, ce ricamar faceasi.
nelle. reni l'impresa saa eon quelle lettere intorno appmi~
sconti e d'oro IL TIUVAGLIlTO ACCADlE1IUCO ALTEIIATO, aeclochè
niuoo in Pisa restMo fosse che del suo Bome e nos&o COB-
teza non avesse. Per tutto il resto poi della casacca, civette,
grilli, passerotti, farfalloni, marroni, carrucole.frottole, MCO-
lai, frasche e girandole si eoufacìeno. Ercole la pelle dell'uo-
ACCUSA. DATA DAL SILEl'Itt AL TRAVAGLIATO. 0479
eiso Hone per sua gloria portava; cosi dllTeYa egli in veée di
morione in testa portare nn capo di'gatta, di cui ti era man-
. giato il cervello, per impresa e trofeo di 8110 lmpezamento.
Ingaggiata che fa la battaglia e appìeeata la zuffa per lo Pon-
te, i pazì', come ragìon cbiedea, senza virtù e seB1l' ordine
combattendo, subito voltaron le spalle, e messer kl reggente
nostro più frettolosamente degli altri fuggendo, vi lasciò il be-
rettone. Voi ridete, Alterati? non v'. è piaciata ta storia? Non
ha egfia sufficienza portato i nostri onori e 'spanduta la fama
per li lontani popoli delta dotta AIfea2 O Seonsìgliato, o Seon-
èìo,o Sdegnoso, o Orrido;1 0viTi;0 morti, o fiere, o sassi, aeeor-
rete, aceerrete, venite a vedere il vitoperio nostro, a rìco-
prlrlo con ogni vostro sapere, a velt<lmarlo con ogaì vostro
potere. Ma dovè mi traporti, che cose dir mi fai, o delore? E
come ti poss' io mitigar -altramente che con altra passione
più forte di tel E qual' è pilÌ forte deD' ira? L'ira dunque
ottimi giudici, ci consolerà, l'ira che. nel mio petto e ne'vo-
stri s'accenderà, or cb' io darò il terzo colpo al Travagliato,
e proverò che egli ha vetnto seaanar l'Accademia: il che
farò brevemente.
Gli uomini in questo mondo son molto vari d' i~­
gno j chì l' ba fatto in un modo e chi iD un altro. lo vi
confesso che 'l mio è sehizìnoso , fantastico e molto stra-
no: di nnlla ch' io faccia, mai non si contenta; e tanto
m'affatica, ehe nuoce a mia sanitade, la quale e l' etade e la
famiglia e le necessarie core molto mi ammoniscon di guar-
f ,Nomi di aeeademir-i Alterati. Lo Sconsiglìato è il cav.Vincenzo!cciaiuoli
ricordato con lode daIl· Ammirato con queste parole: • ,AfFermataRleDte diceva
• 'rmceBzio ~cciailloli, caçaJiRe;per Dobiltà cii ungae, per cogula,ione di let•
.. &Ire • per _14. alt ..... t ......ime qualità, nOD indegno di essere la lua
.. CaBla rammemorata , che egli avrebbe pagato notabil somma di danari, per-
• cbè Dante, siccome di mch'altre famiglie fece, d-ellasua ;'t'tsse fatto memoria.
• qualen,!"" a lui fUlSe piaeiuto di far..., bencbè 1'... 51. eolloeall ""Ila pù
.. leoeh""••• proiooGa bolsu <1'iolOr80... Lo l1.sso raceonta De' ducor.i IU
Tacito, lib, 4-, disc, 8. - Morì Del ib72. Vedi Noti.ie degli I/ccad.jio-.ntini,
pag.!241. Salvinl, Fasti Cons., pag. !220. Lo Sconcio è Tomma.o del !fero. Lo
Sdegnoso, ClrlO Rueel1li, elDonito cIolla Metropolitani, lodato da Pier Vl!tlori
lI!IIa psd'ali_. Ii Com'Pelltari 11Il 30 lib. d'Ari'lotele De Moribul. L'Orrido è
Nero del Nero accademico fiorenlino e Alteralo, che fu elegante verseggiatore
italiano e latino. Il Sanleolini, nel suo Iil.ro intitolato Se,.enillimi CO'$m' Medi-
,ctl primi E. ~l. D. acticnes, lo dice: Cuneli, boni» artibus o,.nati.Jlinllu.
-180 ~ccuu D~T~ DAL SILENTE AL TRn~GLUTO.

darci; pero non posso studiare, nè durar queste fatiche ae-


cademiche, né trovarmi con voi se non di rado; e di ciò vi
pregai, se vi rieordate, la prima volta ch' io v' ebbi a parla--
re, che discretamente scusare e perdonar mi voleste, e ve ne
prego ancora. Conoscendomi il Travagliato eotal disadatto e
disulile all' Accademia, mi nominò per suo successore. lo
sentii la parola scolpita, quando diè il nome nell' orecchio al
. cancelliere, e disse: IL SILENTE. Or agguzate gli occhi delle
vostre menti acute per entro al suo chiuso pensiero, e pene-
trate la cagione per la quale il fellonemi nominò. Avvisòche
il. mio reggimento sarebbe per lo meno tanto piIÌstraccurato
del suo, ch' io il trarrei d'ogni biasimo•.Non poteva un malo
reggimento avere SCIIA né ventura migliore, che venime
un' altro peggiore. Quinci scopersero alcuni DOn mal' inten-
denti autori la carità che mosse Agosto a lasciar l'imperio
al figliastro, piuttosto che a chi gli atteneva. e fu questa la
carità, che conosciuto Tiberio tanto arrogante e perfid'e
crudele, volI' essere tenut' egli appeUo a lui un oro, e ricor-
dato per santo e per divino: avendo pee neente, cheunque
male si facesse alla repubblica. Cosi volendo il 'Travagliato
del mio paragone onorarsi, cercò ch' io gli suceedessì, che
che all' Accademia n'avvenisse, e bramò ch' ella, che nelle
sue mani dava i tratti e boccheggiava, nelle mia basisse, spi-
rasse e intrafaUo perisse. O scellerato I e ch' altro fu questo
•che porle il coltello alla gola per iscannarla?
S'il Travagliato adunque, virtuosissimi Alterati e ottimi
giudici, ha tentato si gran parrìcìdìe, fate si con la vostra
potenza, che di tentarlo da quinci innanzi niuno mai non ar-
disca. S'egli vi ha (come avete sentito) vituperati, mostrate
quanto ciò vi dispiaccia e quanto sia gran cosa la riputazione
e l'onore, e quanto a voi ne caglia. S'egli ha dispregiate e
rotte le vostre leggi; ricordatevi che le leggi non manter-
ranno l'Accademia né voi, se voi loro non manterrete. Come?
col farle rigidissimamente osservare. Non le tenete là chiuse
nel libro come spada nel fodero. Sguaiaate, alzate, girate
questa spada della giustizia, e condannate questo reggente
pessimo di pena pessima.

---
.f81

ORAZIONE IN GENERE DELIBERATIVO


. BOPU I PaOllIDlTOU DILL' .U:(aDUU. DEGLI A.LTIUTI.

-
Questi Provveditori da si facondo e franco erator accu-
sali, banno pur, Accademici, molte cose lodevoli e degne di
premio operate; le quali, rompend' io questo dlaccìo del
mio naturale e caro silenzio, avrei volentieri celebrate, se
nuovo caso importante qui non m'avessi fatto salire a
discoprirlovi incontaDente, non senza forte biasimar loro
(e quest' è quel che' mi duole) e gravissim' accusa: la qual'
accusa fìa nondimeno la lor salute, diliberandoli insieme
con tutti noi da estremo pericolo che ne soprastà non cono-
sciuto, da loro cagionato, da me avvertito, con l'occasione •
che io vi dirò, se con attenzione m'ascolterete.
Quella mia impresa del Torso a molti non soddisfece, e
particolarmente al Trasformato, qoantunqueeglia suo propo-
sito già l'allegasse nella sua orazione simposiea; Sogliono le
modeste imprese, sotto una scorza umile d'alcuna proprietà di
colui che la piglia, una midolla gentile d'alcuna suà virtù o
fortuna con ingegno accennare. Ciò non faceva il Torso mio, .
cbe solamente mostrava essere stato il mio silenzio dalla vo-
stra eloquenza punto e pen:0880; ond' io avvisai di rimutarla,
ed alla stanza andatone del nostro pittore, per Car sopra l'im-
presa vecèbia disegnar nuovo concetto, egli prestamente tro-
vatola, in mano la mi diè. Non l'ebbi si tosto avota, cb'io quasi
tutto Dii svenni e tramortii: la cagione si Cu ch'Io pensava que-
ste imprese esser dipinte in cotali assìeelle leggieri di faggio o
( 11 Giaguead (Bios,.. Univo artìc, D,\Y,\J1UTI) loda auai qUello e il pn.
cedente Icbeno accademico; ma dubilo che aOD gli avene letti (nrebbe uu Iran
fallo f l, yedeado ch' egli dice que'la Oruioae scrilla in difesa dei ~ro"edilori
de1\' Accademia. .
Il.
482 ORAZIONE IN GENERE DELIBERATIV.O.

d'abeto, Opiù tosto in qualch' ingegnosa superficie matema-


tica senza corpo. Ma quand' ìoveddì.la grosseza di quella, e 'I
peso sentii, e ricordàmi, come tutte quest' altre stanno qua
sospese e pendenti da un tristo chiodo a caso e mal confitto
nel muro, a discrezione d'un po'di calcina frangibile; arida
e stritolantesi, a perpendicolo e a piombo sopra le teste no-
stre, a guisa della spada di Dionisio Siracusano, a ott' a otta
la morte minacciandoci ; 'che vi dirò-io Accademici? io non
morii né vivo rimasi: pensat' or voi qual' io divenni: il cuore
per la paura mi s' agghiadè, e or più che mai mi s'agghiada
ch' io veggio con questi oeehì U caso presente; però porre-
teci, se la vita v' è, cara, tostaeo rimedio. Volete voi ch'ione
-dica uno ch' io ho pensato? A ciascuna di coteste imprese
conficchisi con valenti chiodi una,spranga di ferro, elle l' ag-
gavigni e cinga e l'aggrappi e tenga come lanaglia~ abbia
di.sopra una campaneUolta soda attieeiata e dorica, che 8' ap-
picchi a un foggiato arpione che s'impiombi due spanDe in
un quadron di pietra viva, e questo s'adatti maestrevolmente
nel muro eoa gesso e matton pesto e sugo di bucce d'olmo,
e finissimo aceto, per. far la presa più forte e tenace, allinchè
nè del cadere né del crollare ei sia mai più dubilanza.
Ma io ci veggo naseer maggior perIcolo.Vedete di grazia
un solo errore quanti .travagli ne dà I Queste mva fur fatte,
com' verisimile, per sestener la volta, il solaio e '1 t~to solo
è

di questa casa, e non altro: se noi le carichiam -del BUOVO


pondo di questi ferramenti e pietroni, elleno prìmleramente
faran pelo, poi corpo, in ultimo sboDzolel'8DDO, e fracasserà
ogni cosa, e noi potremmo trerareì alla stiaecia. Però biso-
gna prima rifar \1 fondamento, e con pilastroni e barbacani
e catene rincalzare, ringrossare e rilegar questa muraglia.
Dirà fors' alcuno: non si può egli.senu tanta manifattura
guastar queste imprese, e rifarle iD tavolette leggieri? E volete
voi guastar queste imprese originali e prime, statedipillte e
poste e dedicate a questo luogo, ciascuna sotto l' nspicto, in-
flusso e punto suo, dal qual tutta la seguente fortuna dipen-
de? Seno l'originali cose inretraUabili e sagre, e si deon con
somma venerazion conservare. Quando Roma fII disfatta
da'Galli, volevan i cittadini abitare a Veio. Furio Cammillo
ORAZIONE IN GENERB DELIBERATIVO. 483
s'oppose, e volle che Roma sopra le sue rovine si rifacesse.
Doppo la rotta d'Arbia vclevano' i Fiorentini disfar Fiorenza
e abitar altrove. Farinata degli Ubèrti solo s'oppose e la di-
fese a viso aperto; e se questo di lui stato non fosse, noi ora
dove saremmo? Non vedete voi che i principii delle cose tutti
i lor mezi e saecessl cagionano? Laseìat' adunque star que-
st' ìraprese originali: non vogliate con esse la fortuna vostra,
o Alterati, alterare: non vogliate con l'origini e con le fata
eozare; e se alcuno ci fusse, a cui quel modo mio di riparare
non piacesse, vada esso, e si ne trevi un altro migliore•.
Dello sia del rimedio abbastanza. Dicìam ora della qualità
di tal fallo e della pena. Non è afizio d'accusatore il trattar
delle pene; ma de' giudici: nè iocom' accusatorvi fll,vello; ma
come senatore v' avvertisco e consiglio che nel presente pe-
ricolo con'prndenza vi governiate, non che gli autori di quello
con severità gastighiale; anzi per ch' io vidi, oggi è l'ottavo'
giorno, nelli. causa del povero Sconcio, che voi avete nel
punir troppa baldanza, e di .freno assai più che di sferza ne--
cesii là, non vorrei che in qnestacausa faceste il somigliante.
Per questo vi dirò il parer mio, ma prima bisogna distingue-
re. Ogni male che gli uomini· fanno, se egli è per malizia
falto e potev418i considerare,' ingiuria ai chiama. S'e' non è
per malizia fallo nè potevasì-eonaìderare, disgrazia è vera-
mente. S'e' non è per malizia falto ma potevasi considerare,
errore si nomina. L'ingiuria non ha scusa: la disgt82ia me-
rila compassione: l'errore vuol equità. Sollo qual di questo
geaere di male è~ queste fallo? Per malizia fatto, a posta, e
iD prova non lo terrò io già mai) quantunque essi rei lo con-
fessalllle1'o; impossibil giudicando, come Lìeurgo già del par-
ricidìe, UDa 81. sconcia cosa e .sì belti8le poter cader mai ìn
alel1Jl animo barbaro, DOn che ne' loro candidi, gentili, no-
bili e filosofici. Disgrazia non è; perché ogni gro8lOian uomo
e maooiaoghero, non ch' essi cbenli voi gli conoscete, avrebbe
potuto considerare che quelle Imprese atanno mal' appiccate,
e Il posson cader in capo, e ninn bisogno ci avava, né al-
profonde farle, né si pesanti, né di cosi robusto. e maa&ìccio
legname, ch' io non. so mai onde se "1 tralll8ro. Tolsero forse
l'albero di Dna galeua di Vinegia 'o del Bucentorio o della
484 ORA.ZIONB 11'1 GENBRB DBLiBERATIVO.

Caracca di Rodi, e si Parroeehìaro, e feceme queste girelle?


Ecco dove n'andaro que' settanta ducali; ecco le spese in-
gorde che furon passate si subito. E voi, misero Sconcio, che
spendeste del vostro negli spettacoli, accusato ne foste fero-
cemente, e ammonito e confinato nel canto: ma confortatevi
pure, che questo colpo.di fortuna vi ha esaltato, vi ha spenta
l'invidia e raecesa la gloria, ha fatto a voi non altrimenti
ch' uno spruzol d'acqua in su I' acceso carbone, che non lo
spegne no, ma la virtù gli eoneentra e l'avviva. E te, Giu;- •
slizia ringrazio, che purscendì dal cielo alcuna volta, e cor-
reggi quest' erranti glndlcìi de'mortali.
Adunque tornando al proposito, se per malizia non pee-
careno, né per disgrazia, fu egli errore. E che errore, Dio
immortale I Errore che importa 1a vita al reggente, a tutti
noi e a loro. Qual' acqua bisognerà che li lavi? che pena li
punirà? Convenevol fora e proporzionato gastigo , quando
saremsicuti noi, di far essi solto il pericolo da loro fabrica-
tosi stare, e nella lor fossa cadere. Ma pereh' egli avverebbe
ben presto che noi sentiremmo sopra di alcuni di loro l,llcuna
di queste ponderose macchine dar un tonfo terribile, e fra-
gellarlo, l'animo non mi patisce di veder tanto male, e prl-
.var ance la nostr'Accademia d'alcun suo nobile e chiaro spi-
rito, ed orrevole ed util campione. Però direi che quegli
ordigni e ripari e muramenti, che si son detti, si facessero
tutti a loro spese, aecìè ch' essi, a loro spese e per sé impa-
rando, agli altri con l'esempio loro insegnassero con che
prudente cura si deano le bisogne del pubblico amministrare.
Assai mi duole, Provveditori (amandovi com' io fa), aver
avuto a dir contro-di voi.queste cose; ma voi avet' udito con
quanta modestia io l'ho dette, Udit'ora con quanta necessità.
Non solamente sçelerato sarebbe colui che. vedendo ve-
nire un si scuro flagello ii si tacesse, e no 'l palesasse, ma
disensalo e pazo se la sua propria vita (ch' ogn' animaI de-
sidera) non salvasse quando potesse. Maravigliose forze in
questi casi adopera la natura. Il figliuolo di Creso che mu-
tolo era, vedendo un persiano venire alla volta di esso Creso
per ammazarlo; fu tanta la potenza del natural affetto in-
verso il padre, ch' ella vinse il natural difeUo in lui, e il fe
ORAZIONB IN GENBRB DELIBERA.TIVO. .(SIS
parlare e dire: o uomo non uccidere il re. Or s'il veder in
viso la morte d'altrui fece parlar un mutolo, quanto più dovea
il veder in viso la morte d'altrui e la propria insieme, far
parlar un Silente 't Provveditori, scusatemi, che la natura può
mollo più cbe né voi nè io non possiamo.
Avete inteso, Accademici, il pericolo nostro; l' occasion
che me l'ba mostro; il rìmedìo che ci sarebbe; la pena che mi
parrebbe di dare; la causa che m' ha fallo parlare. Conside-
ate bene tutte queste cose, e con la vostra prudenza deli-
berate.

"5'
.(S7

TOSCANA COLTIVAZIONE l
DELLE VITI I DELLI ARBORI.

AI molto eccellente 8 magnifico


MESSER GIULIO DEL CACCIA
MIO OSS&BV.lKDU8IMO.

Quegli ulivi del vostro Maiano, che voi mi mostruti, hanno bi·
sogno della presente dottriM, la qualeio per ciò vi mando, iMegnando
ella coltivare alla moderna nostra, e ilOR voooboU nostri; ondea noi·
Ilpiù wtile, che non sono gli cmtichi o foratieri awtori: e anoo Il bilo-
M ellÌlJurae' breve, e tratta da penone Mn di nwlta lettera, ma di
InIoM lfJerien:la.
. Da Mont' Ughi, il di 16 di aettembre, 1579. I

Affe1>ionatiaimo
BERN!RDO DA.VA.NUTr.

I Nel litolo .....n .critto: A/el#ll precetll della coIU~ ••iolle dolle .,ili
Il delll "rborl. Poi corresse come li Tede sopra. - Vo' qui ayverlire che mi lon
tenuto .....pre (..ho una o due ..olte, e no dirò il perchè ••uo Iliogo).1 MS. ori-
gin.le, che ...ri .....i dalle stampe, E perchè le più di esse nrielà mo.tRao pro-
..euire daaltro copiuutosnfe, n'.o leIlllto conio, I l' ho aotatl in piè di pagin •.
I Qusta 1eUen, iD alcllDi. manoscritti dalla Colti~"aioDo. tro ....i di d.t-
tator. più lorg•• e Don .arà inulile di riferire anco que.ta. che io eredo primo
gOtto, .1 perchè ...dasi qu.nto e come il no.lro .tUdi.sse .U. bre-.ità; e si aneera ,
pere" qvi dice più ehiMo, 'l""Uo dae ..U'aItra .eeealll appen' ••iOÌl, che CJ1'IIll
operetta è .ompendio di altra più ....t. e nOn .ua ••Ila qu.1e volle rare questa
eare.... Di.e dlloque .0.1:
• Quegli uli.. ì del vo.lro Mai.no hanno bisogno della pre•• nte dottrina, la
quale io perciò vi m.lndo, e stimo che elI~ Ti piacerà J iDlc:gnlDdo coltivare alla
DO)tra moderna, e co' nostri vocaboli, onde iii noi è più utile che DOQ lODO gli
latichi, o forestieri autori: et anco è bUODJ. e sic:oTl, come quel1a che fu Icritta
dauao, che la intendeva. m••on molt.lungh.... e mal ordine e d.ttato; l.nto
.he io per farvi maggior piacere. ne ho .premnto que.to .ugo, e conditolo di al-
cune gentilea., come io vorrei ehe ad ogni libro ehe ne arebbe mestieri .i r.c...i.
perc:bè Doi aaremmo alleYiati d'immensa. fltica e yana, e .ai IÌgnorì legilti mas-
.imamente. Da Monlni, il di t6 di settembre, i579 ...
.fS8

TOSCANA COLTIVAZIONE
DEU.B 1lT1 B DEIJJ ADORI.

I. Cavar l'acque de' campi. - Cavar l' acque l de' campi


sia la prima cura: perché, se la piovana vi corre senza rite-
gno, ne porta seco il fiore della terra: se ella non ha esito,
o acquitrino o vena vi cova, il campo é disulile e infermo,
come corpo idropico. Bisogna adunque fare per la piovana
acquaì spessi aUraverso a' campi, che dalle solga la piglino e
mandino alle latora in fOS88 scoperte, e queste la mettano in
chiassaiuole fatte con intendimento ne' luoghi opportuni, le
quali la portino al fossato: e per ·le vene e acquitrini far foJlSe
di nesti o ulivi, fognate di santo vantaggio I con sassi grossi
nel fondo, perché l'acqua vi possa passare, e minuti di so-
pra, perché la terra non vi possa cadere. Nelle quali fosse non
mescolar mai fichi; perché le barbe loro scassinano la fogna:
e se por il luogo é per loro, fa le fosse più spesse: una di
. fichi soli, e una d'altri frutti.
II. Se meglio Bpor vigna o pancale, broncont,arbulceUt eper-
gole.-Dubitasi qual sìa meglio, la.vigna o la paneata, La vigna
(a vino migliore; la pancata, arbbscello, broncone a e pergola
ne fanno più: perché la vite desidera andare alla; e cosi an-
dando, sta lieta e attende a generare e smidollarsi, e 'nfiac-

t c.va,. r aeq_e, Le .tampe, e alcuni MII. DOD origiDali, haDno: Il cava,.


l'aeq,.".

.L. I dllall'" vanlag,io; cioè, molto ..aDlaglliatamtOle; benillimo fogoale:


ilice.i anche di lallia ,.agion•. Le 'lampe haDDo: fognare di lommo vali-
'aggio,
I brolleon•• Bedi, Ditirambo:

BIn' .....
Lo~
Per I. ~ ti pià be,_
Vite , • lIOll .l'0Il......
COLTIVAZIONB TOSC.l1'iA. "89
ehìsee.' Dove, lenala bassa, inloza, ralliene il sugo, e 'nga-
gliardisce: e lale il vinoquale la vile. Ancora la vigna fa
è è

miglior vino, perché essendo la vile e 'l vino • mollo spirilosi e


attrattlvi, piglian subilo e 'ncorporano ogni sapore, odore e
quali là. Onde avviene che le molle vili insieme che ha la vi-·
gna, danno e 8 ricevono e attraggono l'una dall' allra qua-
lilà e sustanza di vino, e come specchi l'una all'allra rende."
Coslla bolle grande lien miglior vino che la piccola: perché la
più virlù 5 unila, più s'accresce: dove, le poche vili insieme, o
spìeciolate e sole, non s'aiutano l'una l'allra, e dalle cose vicine
tirano qualità. Fanne la prova in una pancata di quallro fila-
ri, mellendo l'uve de' dua filari del mezo dispersè da quelle"
de' dua filari dalle prode; 7 tu lroverrai più bello; saporito e
oloroso il vino del mezo: perché quel dalle ~ prode, benché
più favorilo dal sole, piglia cattività dal campo vicino. Però
9 grande errore por nella vigna frulli né pianle di sorle al-
cuna, massimamente cavoli, spighi, ramerini, allori, salvia e.
simili cose calde, che infellano e spolpano: e maggiore er-
rore è mettere il vino in triste bolli o barili; perché ogni,
minimo sito di mulfa, secco, cuoio o allro, "Subito guasla il
vino. Adunque chi vuoi vino assai, ponga pancale, pergole,
bronconi e arbuscellì nel piano e nel grasso. chi" lo vuol
buono ponga vigne nel monle e nel sasso. Ma perché elle
ne fanno poco, 9 a' contadini di poggio IO rincresce il lavo-
rarle bene; e Urano loro il collo: 11 però bisogna farle a sua
t e ·nfiacchi4ce. Da prima aveVI Berilto: • et così andando gioisce (corr.
gode) e gcnera, mll80esi e 'nflacchisee, " Poi corresse come sopra. -In un altro
MS. Magliabecbiano, non originale ma :issai buono (oegnalo Cla..e XIV, -18), e
dl(~ citeremo COD M, lelse.i slolldolasi~ invece di smidoìtarsì,
, la pii. e'l pino. Co.i l'originale. Le slampe: • essendo ella ed egli. H
8 che ha la pigna, danno e. Qunle parule mancano nelle 'Iampé.
• e come.4ptcchi~ ee, Ne))' 9riginale ciò è aggiunto lopnr'rÌgo.
5 III più .,irtù. Aveva scrillo • la molta virtù s'accresce; ..
8 dlspersè da q"elle, .eparale da quelle.
7 .dalle prode; doL, dal Ialo delle prode. Gli editori , non inteadendo qDe-
>la proprietà, corressero delle.
8 9"el dalle. Le >Iampo: • quello delle...
9 .ll.~. fanno poco. Le >Iampe, • egli è poco... E così era anche nell' ori.
ginale, ma poi corresse 'come lopra •
•0 di pO/fglo. Le >Iampo: .. del poggio ... Cosi sotto e • del piano. H

/I e I/rano loro Il collo. La Crusca, èìtando '1ueslo Iuogo, dite: ft Tirarll


"!lO COLTIVAZIONE TOSCANA.

mano. I Per lo contrario i contadirii di piano Ca8no più vezi


alle vigne; perch' elle fanno il 'fino più gagliardo.
III. Cogliere i magliuoli C07M li debba. t - Coglierei
maglluoli non è opera da Carla a caso. Qoando poti la
vite, passata la lana di gennaio, a lana crescente, lascia il
primo buon' tralcio per capo: a l'altro che segue cogli per
maglioolo, 8' egli è vegnente, e senza rimeltitioei d'altri
tralciuzi sa per gli occhi: altrimenti lascialo, Il' terzo tralcio
e gli altri non 80n booni, perché il terzo non farà mai
se non cotali racimoluzi, e gli altri nulla: la ragione è che
nascendo lontani dal pedale della vite, cioè dal Conte
dell'umor .naturale già colato ne' tralci primi, tocca loro
il rimasuglio; e san come gentuccia plebea, che quanto
più è vile e lontana dal principe, più 80n vili e ignobili
l'opere sue.' Chi non sa questa regola, ne coglie doe e tN per
vite: e poi quando la vigna non Ca uve, ne dà la colpa al vi-
zato, I che è pur della sua ìgnoranza. Colti i magliooli, un solo
per vite, com' è delta,' piantaIi subito se puoi, o tu gli serba
solterra o nell' acqua, per manco male; perchè ihento e l' aria
gli asciuga.
IV. Propaggine còme si {accia. - La propaggine è mi-
rabile 1 per rinovare e mantenere la vigna e la pancata:
paga la spesa il primo anno: Cassi in questo modo. Donde vite
il eolIo alle vili, ".Ie Potlrle più lunghe dcI do.ere per raeeerre quell'anno mag-
gior qUIBtità eli yioo._ Ma ellendo qu.elta eTa.e lI'Ielia in oppoli.ione a .. lavorar
beDe,. m~ pare ebe debba voler dire .11'9orar male; trascuratamente; tirando
vÌle. Ed i~.ero è lultavia nell' uso del popol ~stro il dire, che a una faccenda
li tira il collo, quando la .i 'Fa alla peggio, e pnr per finirla: e forae è "'elafora
tflUa dal tirore il collo a' polli, faccenda molto .brigalivl, da non chiedere ,I.
CUOi CUri.
4 'ti 6114 ma.o. Diceli d'UIla terra o d' UDI vigDa~ che li fa .. ,,;,.. "."0..
quando DOD li aUuoga. ma, o li lavora da aè, o si fa lavorare a proprie eeete,
, Le Itampe: • Come .i debban cogliere i magliuoli.•
• .AveYI scritto • il primo bUOD capo.• Poi cancellò,
• O vadl, chi dice l'or••ion. per Coaime Una IItiral Pot .. quimoltnni
più cortigiano il traduttere di Tacito f .ino I .foclerare que.to falso conceIlo I
COIDe le Inco il pedale Don buttasse i uèppoli J che i nostri coutadini chumlno
beniuimo lucclliolfi. VIdi la notI 3 a pago 'U.
I III vi..,o) al vitigno, IIIa qualità della vite. Corrottamente dicono, l'I·
aido•
.. Le Itampe: .. come dello è...
, ",irabil•• Le lIampe e il cod. M: • memorabile ••
COLnV.lZIONE TOSCANA. -'91
manca, si tira ana fossa alla vite più vicina, che .abbia buon
tralci: e quella con quelli si corica in essa fossa: uno se ne
lascia uscir fuori della terra, dove la vite mancava, un altro
dove la propria vite era; .e se più n' ha, si mandano dove ne
bisogna, o vero si lasciano quivi barbàre per trasporli. La
fossa vuoi esser affondo un braccio e mezo; e più ne' luoghi
alidi, e meno negli umidi: quanto più affondo è, meglio si
volgee piega la vite vecchia, pericolosadi sgretolare, o schian-
tarsi per la sua seccheza; e ogni poco ch'ella patisce, la pro-
pagglne non approda: I però bisogna farle di febbraio o di
marzo; quando la vite è intenerita, con gran' diligenza e pa-
~iellza; e dar loro loppa, o pagliaccio: e farle a opere; e non
si fidar punto del contadiao.
V. Vite come,' anliuH, e pqrchè.- Anneslasi la vite per
farla di miglior rasa, e talvolta per allungarle i tralci corti
per poterla propagginare. l modi son quattroj" a propaggine,
a capogatto, a marza, a occhio. Quando la vite ha mosso, ~
non prima, al tralcio che allungar VUOi,3 e con la vile insie-
me propagginare, fa uua tagliatura a ugna 4 di cavallo quanto
più lunga puoi: e un' altra simile, al tralcio forestiero che vuoi
annestarvi, colto, come di sopra detto è, de'magliuoli. L' au-
gaature siano l'una all' altra contrarie, e capovolte; comba-
ciale e legale strette con boccia di salcio: e cotale annestato
tralcio corica coo tutta la vite nel fondo della fossa, e em-
pila (ma non affatto) di terra cotta e grassume. E puossi ciò
fare a quanti tralci la vite ha, per cavarli poi barbati e tra-
sporli. Quando la vile vecchia è pericolosa di rompersi, si p06
sotterrare il suo tralcio annestalo, senza spiccarlo da lei, e lei
lasciare com'ella sla: 'l'altr'anno poi, elle il tralcio sarà barba·

I approda. COIll'origiDale e il cod. M'. Le .lampc: • attecchiseej » voca-


Lolo più dell'uso; ma 10110 fone dall' autore , per cagione del vicino patisce, Da
queslo, e da più a1lri luoghi, .i vede che molle delle nrieta cbe offre la Ilampa
fiorentina- de' Musi e LaDdi, dii noi tenuta diDanzi, non debhono partire da arbi-
trio desii editori, ma da qualche allro aulollnfo che loro ba servito,
I quattro. ,Aveva scritte .: lre, • lalciando 'il aesto a occhio.
S cA, aUUN,a,. ",,,oi. Scriue da prima: III che vuoi alluDgare..
&Le &lampe: • unghia. • .
5 co...•ella "a. Co.i l'originale e il cod. M'. Le Itampe:. e lei ritla lucia-
re••


COLTIVAZIONE TOSCANA.

to, tagliarlo, e rasente la vite, e tra le dua terre.' Ql1estigi


chiamano capogatti, e sono da qualcuno più dell'altre pro-
paggini approvati; perché la vite vecchia non si perde.' Ma io
tengo il contrario: perché, si come l'affezione e tntti gli oc-
chi del popolo sivolgonoal giovine principe a quasi all'oriente
sole, voltando all'occidente le spalle; cosi l'umor della terra
corre tntto al 'nuovo tralcio amabile, e la vite vecchia si sec-
ca.' A marza s'annesta la vite come i frulti. Tagliala tra le
-dna terre; qnanto puoi basso (alto ancora, su per le pergole e
su per gli alberi la puoi annestare, ma- non tanto bene e si-
curo, e solo in sul giovane) fendila, e si v' incastra la marza
auzata e scarnata con diligenza; rinvolgila in terra molle, e
fasciala con paglia, o muschio: e sia la marza, fatta della po-
tatura del tralcio primo, lasciato per capo di quell'anno, grossa
e vigerosa, E perché l' umor della vite é caldissimo, e see-
cherebbe lo intenebrato luogo dell' annestatura , scorrendovi
libero; fara'vi, solto qualtro dita, tre o quattro tacche, onde
egH svapori e si temperi.' a A occhio s'annesta la vite ,e
come i frutti a scudicciuolo.-Quando la vite di trista sorte é
potata, e ha mosso, e mostra gli occhi grossi, tagliale intorno
intorno 7 l'occhio primo, e cavalo; e gli altri accieca, e rì-
mettivene un altro similmente 8 cavato da vite buona: com-

l Sollo il primo suolo, di modo cbe il taglio rc~li eeperte,


I p...eho/a viU ~ecchia, ce. Le sllmpe c il cod. M: • CJUui la "ite"eeebia
J;lon si perda. • .
5 al gio.,;,., p,.i"c;p~. Aveva scritto' da prima: .. perche lì come al gioyine
principe l'affezione. gli oeebì del popolo tutti si volgono, quasi, cc. .. Poi cor-
...... come .opra. - Quelli accalIlla limililno!ine, mi fa creàere che il Davanllli
Imve..e II ColI/v,ilio". poco .ppresso la morle di Co.imo, cioè, circa il t~7.;
parendomi, cbe, se avesse seriue cosi, quaDdo il granduca, richiamato dal 1"'0
viaggio di Spagna Fronetleo, lo st associò nel governo dello .lalo,qnesli."rebbe
inteso poco bene quel. voltare all' occidenle le spalle••
• li lecca. Nel MB. vede.i cancellato • rimane aggrinllla.•
S • Ii tempe ..i. Co. I l' originole e il cod. M. Le .tampe: • faraivi, CJUaUro
dita .0Uo, un roltorio di tre o 'luaUro taccbe, ond' egli .i .fogloi e li temperi.•
.. 1·11"",$1« la vitto Le stampe: ...'Innestano le viti.• Il cod. Il: .. S'ID-
nelta le vili ...
7 intorn» intern», Il cod. M e le stampe: • intorno .•
Il limi/m.."e. Le Itampe: • per limil modo.• Il cod. M: • tlgliali iIItOnlD
1'occhio primo e rimeUiglint un altro sìmile , ma cavato, eco •
cot,T-IVAZIONI! 'JOSCANA. 493
me~ti1Ql appnnto,epignilo -si che tocehì 2 per tutto: e
con' 1010 di terra fìna.Impiastragli Intorno -le commettiture
dilicatamellte, 'come merita tanta cura, e lega il tralcio a
canna o palo, sì cheper vento non possa crollare, e l'occhio
uscire. L'anno, che è vìno assai, mentre che tu vendemmi,
pon mente a quelle vili che hanno racimoluaì o non nulla,
e sègnalè 8 per annestarle al tempo, li tagliale ; perché
pianta che non fa frutto non vale ,4 che a far fuoco. Ogni nesto ,
fatto a lanacrescente mette di gran lunga più presto e rigo-
glioso elle a luna scema.'
VI. Vigna trasandata come Bi riabb1a, - Per ria-ver una
vigna trasandata, potala, subito tatto la luna, di gennaio; e
lascia due .occhì. soli alle vili migliori, e fili' altre, ono; treb-
bia i sermenti e lasciaglivi. Scalzala, e tutte le barbette che
tmovi 'taglia, e dà due giumelle per vite di veggioli e mochr,
meseolatì con qualchelupln colto; ricuopri la'buea non affatto,
per poter nascere-e- farsi scìoverso,"e al maggio.quando egli è&,
grande, il sotterra con que'sermenti, che terranno la terra
sollevata;lasdale a' piedi cadere e infracìdare i pampani suoi.
Un aUro modo ci é. 7 Caduti L pampanì , lavora-la vigna; e
seminavi Iupìnì, e il verno vendili a' chi mandi là entro ~
pecore a paseervìéqael concime, la barba del lupino e '1 ser-
mento, faranno grassume: e questo per lo primo anno. Il se-
condo, in luogo di quello scìoverso, dà loppa e pagliaccìo.
Vanga àffondo, e pota corto, tenendola addietro, massima-
mente 9 in poggio. Alla vigna buona non, dar concime, chè

4 commetiilo. AV8't'1 serhtc I l aggiustalo.• Poi cancellò.


, che tacchi, Cosi l'originale e il cod. M, Le 'stampe: • che toeehi \'osso.•
, 5 sèpdle. Le stampe: .. contr-assègDale• .,
~ .. ftQn fiale. Cancellò: .• none buona ad altro. JJ
• _sciOf1erso. Più comunemente 6ofierscio,; forse .da s"b4Iertere, perchè col-
l' aratro M rovescia e li bulla sotto ,quella sementa , quandé è alquanto cresciuta,
acciò serva di &OYUDO' al grano che 'Vj si Rl1liDa sopra. 1 nOltri contadini dicono,'
rOf1e,.seio. '
6 quando egli ., iestampe: • che egli ~ ••
7.d è. Le stampe: ti yi ha••
8 a chi mandi là entro le pecore a pascerei, Ave...a .scriuo semplicemente:
q a un pecoraio. ,. Poi rimutò come ~opra •

. 9 massimamente. A.veva scritto: • massimo; • avverbio molto' us310 tra'


campagnoliìoscanì, .
Il.
COLTIVAZIONE TOSCANA..

fa vìngrasso. Assai è lasciarle i suoi pampani e sennenti, os"-


servando il proverbio che dice: non mi dare-e aon .mi torre. l
VII. Saeuoli comert?allO la '!!ile. - Per tenere addietro
una vite non' ci è meglio I che lasciarle isae1toli, S i quali
l'altt'anno fanno il capo della vite giù. basso, dove ella si
taglia, e si riduce corla e gagliarda. ,R con tutto che essi
spolpino alquanto ; non per tanto non son da .lodare " colqro
che dicono i saettoli esser buoni per appiccarvi il fiaschet-
to, perché l' utìlitàè di gran lunga al danno superiore. b
VIII. Pergola come si ponga.- Volendo far pergola, poni i
magliuoli, il barbatelle, quattro braccia o più discostò a dove s
hanno le viti 7 a venire, in buona fessa, con molta robaccia in
fondo, che infracidi e tenga fresco. Ne' luoghi alidi e mon-
tuosi darai a' maglluoll rena al piede, per meglio la state ap-
piccarsi: alle. barbate non bisogna. Il secondo anno avendo
messo con rigoglio, polali a ìunacrescentej lascia un occhio
o due; dà colombina spenta a' piedi. Il terzo avendo messo
bene, fa una fossaB da ciascheduna vile al luogo della pergola,
e propagginalevl entro con mollo grassume, perché l'uve
delle pergole e degli orli è bene che siano grasse , avendo, a
servire per mangiare, e non per vino, e faranno, aiutantele
questo sugo, una cosa bella d'uve, e potrai dar loro quantun-
que" capi, e mandarle dovunque tu vorrai, ch'altrimenti non
reggerleno, e presto 'si seccherieno. lO

.. .,011 mi dDre e nOn mi torre. Quelta 50]a parte del proverhi.o serviVi al
praposito. Ma le Itampe lo mettono intero: te Non mi dare e DOD mi torre .. e la-
seiarni atar quando 10D molle. . . . .
i non ci è meglio. Le stampe: • meglio non ciba.•
5 8adlòli o "a,~ppol;1 sono certi tralci cbe le "ili buttano iulvecc::bio, e
cbesoglioDsi tigliare, percbè mangiano a ufo. Tuttavia, quando il c:oDlildiDO
vuole Ih3lsare·u~a "ile trascorsa, la: sega a eonveniente altenl, e bsciavi alcuni
saeppolì , per non indnsiar tanto a ria vere il· frullo: percbè qUei ti , dopo due
anni , fanno uva.
I nOn'Oft da lodare. Le stampe: R non pertanto da lodar IO no ~De' cbe
dicono.. ' .
S '·rdilità l ecoLe stampe: Il l'utile è di'gro1ll lunga del danno ma,sSlore.•
6 a dov«, Ave.va .('ritto: .. al luogo dove. Il
1 le «ut, Le stampe: .. le vite ...
8 fa ''''lflfol,a. Le stampe: • tira fosse, "
9 quantunque. C3Dcellò' III quanti...
fU si seccherìeno, Aveva scritto III e ai seecherieno henl!oì (lruto."
COLTIVUIONE TOSCAN....

IX. Barbat~lle di vite in "posticcio e a capogatto. - Bar-


. batelle senza spesa farai, se nel fare il posticcio, tra' ma-
gliuoliche v'hanno a stare, porraiancora 'quelli che vuoi che
barbino, ma non si adentro, per paterli con più agevoleza
cavare e trasporre il secondo o il terzo anno. ~ saper dèi che
ne' campi per far bronconi é meglio por barbatelle t che ma-
" gliuoli, perché essendo già vile falle e palate, son più ri-
spettate, e più a si difendono dall'aratolo e dal bue, dal quale
come la vite è -paseìuta,mai non attecohisce;' e perchè fanno
dell' uva il seeondo: anno, I se bene le governi. E barbatelle
ancora a capogatto puoi fare pigliando della vite che vuoi
far raza un tralcio, facendolo insino al ceppo passare per lo
fondo d'un paniere, e quello empiere di buon terricclo, nel
quale ei barberà; e tu l'altr' anno tagliera'Io e rasente il cep-
po, e con lutto il paniere portera'lo 7 nella fossa ordinata.
Ma in questo modotemono più assai che nel primo: non se
ne può flir tante: non si agevolmente; e spolpano e disertano
la vite, il eui umore al leccume di quel terriccìo se ne' va 8
tutto. Pèr ciò è da usarlo a' rosai, melarancì e limoni, anzi
che alle vili.
X. Custodia della vigna. - Custodir la vite importa piti
che piantarla; e manco 8 persone il sanno fare. Posti adunque
i magliuoli a tempo asciutto, bene adentro, con terra colla,
frugàtì io intorno, e spianato il divello; non accade altro fare
,per questo primo anno. Il secondolavorali, scalzali, lagliali tra
le dua terre, dà colombina spenta, se puoi, dua buone giu-
melle per uno, e sotterrala, Il terzo anno fa il medesimo, e

j porrai QnCDra. Ntll' originale vedesi c3ncel1ato .. porrai, ma poco aden-

tro, allcora'; tt'e meno .. 'ma non lì adentro .. nel.vei.so che s~gue.
8 Le stampe s .. lon m.lllio le harhat.lle...
3 son più r;lpettale.. e pi?l. Quelte parol~ mancllDO Delle Ilamre.
• Le stampe: .. approda...
!S Il .ltcondo a~no. Le lt:Jmpt: • e perebe il secondo anno, faono dell'uva. ~
I taglitr-a# lo. Aveva seriuo N laglieraiJo... Le stampe: • c tu il seguente
Dano taglieralo, • .
7 porte'tI' (o. Cancellò" portenilo. "
8 le ne pa. Le stampe: ••' avventa. .;.
SI manco. Le stampe: .. meao••
•0 j,.,l.gàti. Le stampe: • pillali;. doè, pigiati, calcati.
496 COLTIVAZIONE TOSC41U.

potati rasente terra, tenendoli addietro per buono plè fare ; l


palagli COn le canne, scappeza di maggio i tralel un braccio
presso a terra, per rispiarmar quel rigoglio a~ pedale.t.Il quarto
anno palagli con pali di castagno, grossi aU'usanza, seccbi,
in pulita abbronzati, mondi, tagliati a buona luna; peda-
gnuoli, a e di montagna, se vuoi che ti bastino. l Ficcali disco-
sCo alla vite, perché il castagne tira a sé. Non ti dolga la spesa
del palo, che non è vano come è la canna, cui ogni vento
atterra, et è perduta la vite e la spesa, e 'I tempo e la fati-
CH, e bisogna rifarsl:.e cosi più spende chi meno spende; e
chi ha poco il modo, poco faccia; e acconcilobene, e osservi
'quel detto di Virgilio:
Picco) podercoltiva, e loda i grandi. 5

XI. Vendemmia e modo di {are i vini. - Vendemmia


senz' acqua addosso, subito che è venuta la luna nuova, VO-.
lendo grande vino, e polputo; evolendolo piccolo, a lana sce-
ma e logora: chèquanto minor luna avrai, tanto miuore il
vino e piti scolorito.sara; si che nel fondo d'essa, parrà an-
nacquato. Non vendemiar tra le due lune, cioè nè in sul
fare, nèin sul voltare; 8 chè simìl giuoco ti farà il vino. Con
uno strumento a guisa di vanga quadra, tagliente, ammosta,
parechi di, parecchie volte il dl," per non lasciar la vinaecia
riscaldare e il vino pigliare il fuoco: taglia i raspi bene, e
acciochè n'esca un certo umore aspro 8 e rodente, cbe il vino
fa tirato e risentito: poi lascialo alcun giorno posare; e
quando è quasi chiaro, svina e imbotta un po' giovane, ac-
ciochè neUa botte alquanto grilli," e perciò si risenta e schìa- .
l Cioè. perchè io tonino il pedale.
I Cioè, perchè quel rigogho 000 maDsi il nutrimente al pedal••
5 "edalJ1luoli, toglioti dal pedale,
a li badino ~ ti durino,
a G.or.lI, in,iI3:
. . • . . . • LArulato '''l'lttta 1'11,..
B.rll"umeDlilo•
• voltare. Le atampe: • cioè in lui rare, Dà in lul dare lo volto ••
, ""...«Me volte, ee, Le llampo: • o Suiao di ,aDSo quadra, quollio ta.·
sl.eDte, amosto l'orecchie ,olte il di. D
& asp"o. Le ltampe: • :asprigno....
11 Brilli, .rilevi UD po' di bollorinu.
COLTIVAZIONE TOSCANA. 497
rlsca. Poi che svinato è, non pigliar più la vinaccia per nien-
te, I ma favvi sopra on buono acquerello; conciosio cosa che
qoel grasso e quella morchia che n'esce, fa fare al vino la
state i pié gialli, I e quel fortore," che la vinaccia piglia di 80-.
pra (stumiala se tu sai), fapigtiare il fuoco al vino: che quando
é nuovo nOD par fuoco, ma gagliardia," cheè quello che cerca
il villano che suoI vendere il suo al tino; però non seguire suo
eonsiglio. In qoei doa termini del fare e del voltare della luna,
guardati di non imbottare né tramutar mai vino.
XII. Vino dolce, bianco e venniglio, come.. {acc1a. - Per
aver viR dolce vermiglio, poni vigne e non pancate: in terre
castagnine, focaiuole, assolane,a che son sottili e calde, e get-
tono primaticeio: non colombine e alberesi," che son fresche
e fondate," e getton serotine: poni vizati dolei e carnosi, e
alla bocca piacevoli, canaiuela, colombana, mammolo, bergo,"
perugino, e simili. B per dargli il frizante,- senza cui 9 non ha
garbo, ammosta come di sopra; ma imbotta più vergine, si
che bolla parecchi di nella botte: e fornito il bollire, dàgli
due giumelle per botte d'uve secche, le quali il faran più
chiarire e frizaré.
Il bianco pare che voglia esser dolce, non colato, nèsmae-
cato, ma frlsante. Se il paese lo dà dolce troppo, bisogna,
subito pigiato, imbottarlo,· spesso travasarlo, non lasciarlo
ne' vasi sturati svaporare, e cosi fannosi le verdee: se il paese
lo dà dolce poeo, lasciar l'uve assai più maturare, tenerlo
UD po' più io su la vinaccia, che gli darà quel colore ·di treb-
biano: lasciarlo tramntandolo svaporare, e perder fumo ~
grandeza, nimici del dolce: una parte mescolare e scolare, c
s\ fatte altre diligenze usare. AI vino dolcissime darai odore
" NOD ,uole che ai pigli quel po'di ,ino eh. rest.a Ira la 'iBiCC;", per le
ragiooi che dice appresao.
I Cioè, quel sedimento fa iogiallire il ,ioo Del foodo della botto.
3 fortor •• Le atampe: • fonore.•
• glllflillrdill. Le stampe: • gagliardò••
5. Terre di color castagno, silicee e volte a menodi.
. 6 Cioè, dove ... goa il s.aao d. calcio. (detto colombiDo) e }'all>oreae,
7 fondilI., che hannc uo suolo profoodo di terrtA bUODo: lerre Delle qwli
non ai t'rova subito il pantone; quali orùinariamente sono le terre di piano.
6 berg», Nelle stampe è dopo perngi"o.
9 lenaa CIIi. Caucellò « seDn che. "
4VS COLTIVAZIONI! TOSCANA.

c sapore di moscadello, mettendo fiori di sambuco seccati al


rezo per ogni carratello un pugnetto, chè i troppi fanno
male.
XIII. Vino Bopromano come far Bi poua.- Farai un vino
sopramano I con queste diligenze. Scegli uve di vigna vec-
chia di Lucolena, Panzano, Montescalari e simili buon paesi,
moderatamente maturate, al gusto saporite, al dente sode,
del primo grappolo,del capoche il più accosto al pedale! della
è

vite, non di tatto il grappolo, ma del mezo di verso il gam-


bo: se tante non n'avesse la vigna tua, di legglerì le potrai,3
scambiandole o pagandole, scerre in su quel del vicino: lra
esse non sieno uve secche; né fracide, né macolate, né ter-
ra, né pampano, né fastidio veruno. Cosi scelte e nette get-
tale con ottime bigonce in ottimo tino, ammosta spesso senza
pigiare: per la state imbotta un po' giovane, perché bollendo
nella botte il vino si fa chiaro, vivo e brillante. per lo verno
imbotta chiaro. Se di quei mezi grappoli ~ che tu Iaseìastì, fa-
rai vino disperse, tu stupirai quanto e' sarà di colore, sapore
c bontà peggiore di quell' altro. La ragione ci è naturale, che
la vite suo umore e sustanza porge prima all' uve prime del
grappolo, e poi a quelle della punta.
XIV. La botte come perfettissima sia.- Perfettissima sia
la botte, e per esserne ben sicuro, prima cosi l'apparecchia.
Risciacquala assai colmosto: poi mettivi una bigoncia d'uve
pigiate e ammostate: turala sodo, e conficca con un peso di
cerchio il cocchiume, tienla due giorni al sole, spesso voltan-
dola & e rìvoltandola. Quell' uve tireranno. a sé ogni cattività
che ella avesse, e purgherannola; e risciacquata col vino

I SI.raordiDario, eeeellente,
Jal p.dale, Le slampe: .. del più aeeosto capo al pedale, ec...
51 di le"i,,.; le pol,..,... ee, Da primi "risle: •• e tante nOD n'a.ne la
vigna tua da poterae sì fallameDle seerre il bisogDo per lo vino che inleodi fare,
accomodali iD viciDlnu; ebè sarai l.. ciato seerre li modoluD, dandone altrettante
o pagandole .• Poi liscrisse come sopra.
a S. di q".i m•• i grappoli. ee. Questo periodo , Den'origiDale, e Del cod.
M, sta in 6ne dd eap. che segue, Ma il luosò suo por queslo vnameDle: pero qui
ho credulo di seguire piUlloslo le stampe, le quali furoDo forse snidate da un di-
Vl'UO autograro.
5 voltandola, L. 'l.mpe: .. rusclaudol....
COLTlV.lZIO~E TOSCANA. 499
nuovo sarà perfettillSima,e riditi delle pampanate, delle coc-
cole di ginepro e d'alloro, bollite nel vino, l! sale e alt~e
baie, che 6' usano per far. buone le bolli. Imbottato che hai,
riempi la botte insino a san Martino d'ottimo vino, ogni dua
sere; l falla ridere," e soffiatein bocca, e nettala prima col dito
intorno, e dentro e fuori; acciò che se immondeza vi ha di
fiori o panno o altro, vada via, e non possa dare al vino tri-
"sto odore o sapore, corrompendosi: meglio è 3 riempier lutto
l'anno, e subito turar Corte, e nettar.il cocchiume e la botte
con grossa invoglia, e tenerla pulitissima come lo specchio.
A' vini di poggio non isfondar mai botte, e non l'alzare, ma
come ella non gitta pio, turalabene di sotto edi "sopra, e
lascialastare.
XV. Vini di poggioeome si c01l8ervano.- Consérvansi i vini
di poggioe'I vini' di piano diversamente.Questi di piano! per le
loggie e 6per li portici al tramontano, quelli nellevolte profonde
turate e difese da vento. Mirabilmente si conserva pio anni,
e sempre acquista vigore il vin di sopra, mettendo la botte
in una buca fatta sotterra nella cantina, turala la bolle col
cocchiume Cortissimo, e con panno sopra esso, e con cenere
sopra il panno, e turata la buca con" asse impiastrata con
terra, sì che aria non vi possa penetrare. Se la buca è
e
asciutta di tufo, bene è; e se ella fosse "umida, e all'acqua"
vicina, pur è buona; e vi troverai conservato ottimo il vino
e la botte di dentro; avvenga che di fuori tutta muffatar e
però vuolsi nettare;equando sia vota, subito tirar su all'asciut-
i to, e sfondare; ma queste si.mantengono assai manco 7 che a

stare in volte asciutte, e consumano molti cerchi.


XVI. Vini di piano come si ccmserVa1w. - I vini di piano
col porre aspri vizati, còr l'uve presto, imbottar giovane, si

~ ogni dlla ser«. Le stampe; • ogni due Sl'1'!, d'otlir1!0 vino.•


I fà/la ridore. Questo ..go t,asblo è spiegato nel ••guente passo del So-
derini , Coltivallirme: .. Ogni volta eae tu riempi questa bette I osserv-a qW!~l.l
usata di f,arla !oempre ridere,doè traboecare , soffiando forte sopra il cocchiume. u
• m.gllo è. Canc.llò • meslio ••l'thbe ••
• e i pini. Cancellò .. e quelli. •
5 Q"t8ri dlr'aPlo. Aveva scritto Qllesti semplicemente.
6 pc,. le loggit t. Quelle parole nelle stampe si desider:mo.
1 manCo. Le stampe =, .. meno. D.
1100 COLTll'AZIONE TOSCANA.

fanno oggi sottili e buoni, e reggono alla state: ma quando fUB-


ser grassi e deboli, e non reggesseno, tiengli tutto il vemo l in
luogo allo e aperto, che il vento avolo' gli percuota, e almarso"
mutagli in volle fresche e asciutte, dando parecchie uve secche
per bolle; e basteranno " tutta la state. La ragion si è questa:
il vino, sentendo il vento, lo fugge come suo nimico; e per di-
fendersi si ristrigne ìnsè, se unisce'flqa miglior sustanza e
virtù, quale tutta escie di quella grasseza, 8 che poi al caldo
Ingialla e gìra: e quel vento, che è dr natura diseccativo, tro-
vandola abbandonata e separata dal vino ,la rasciuga tutta e
consuma: come fa .un esercito, che v.edendol'oste 7 suo reca-
tosi in guardia, con aver le bagaglie abbandonate, non quello
investe, ma dà addosso a quelle, e fanne suo bollino.
XVII. Vino alla framese come si fa. - Vino clarello alla
franzese si"fa come s'è dello del bianco e verdee: non si
buono come il franzese, perchè il nostro paese non lo conce-
de. Non si pigi nel tino, ma s'ammosti con mano, e cosi
. vergine imbollisi, e facciasi in su quella vinaccia non pigiata
un vantaggiato 8 acquerello, che con abrostini spiceiolali aiu-
tato, riuscirà come vino; e per.bere.in quel principio, più sano
che il nuovo, e più piacevole che il vecchio non è. Volendol
colorito, laseialo stare un di in su la vinaccia; ma volendol
elaretto," no 'l vi lasciare star punto, e cosi torbido imboL-
talo, e leva l'la mattina e sera la schiuma, che bollendo git-
terà, tenendo la bolle sempre netta e piena: fornito che ha-
di bollire, turala bene e non lo tramutare, perchè levatagli
quella mamma, indebolisce qui a noi, e guastasi: e conve-
nendoli ·pur tramularlo, fagli lello con' due o tre giumelle
c tnito il perno. Le stampe: .. e Don reggessero, titnli il ~erQo .•
.1 "ento ""olo."Le .lam.pe: .. veDtavolo.• Corruiione di Ytnto QlJ"i/o o
tramontana.
al mll".o. Le stampe: .. il marzo.•
S
4 b~lttra"ntl. Le Itampe: • bastano...
s .i rtstrtgn« in .è. Le slampe: • Il vino per direndersi dal venlo cbe lo
percuote .i ril,lrigne in sè...
6 di quella IIrauua. Aveva seritte s .la quale aLùandonl quella gu.... a.•
7 l'ost«. Aveva seriUo: .. il nemico....,
" vantagsiato. AVU'J scritto: • buone, .. E sopra invece d'imbotlil;.. le
Itampc hanno: .. s'imbolli.,.
9 volendo! claretto, Le stampe s n volenùo il clarene .•
. 'CDLTlVU10NH TOSCAlliA.. 501
d'uve 841Cche per botte, al fuoco col medesimo vino rinve-
nute.
XVIII. Raspato. - Raspato si fa cosi. Bmpi d'uve spie-
ciolate una botle: mettivi buona parte de' raspi triti bene,e
battuti in sur un asse col coltello perché l' umore frizanto
n'esca, poi mettivi su acqua calda quanta ve n'entra insin
che ella rida: l'altro di comincia a bere, e riempi d'acqua
del pozo; e còsi,a bere e riempiere, tanto dura quanto il buon
saper dura. Quando il senti mancare, non riempiere più; ma
bei fin. che la botte getta; poi nettala e rìseacquala, e dì buon
vino empila, che non arà niente patito.
XIX.. Concia di vini. - Conciano e raeconciano i vini
torbidi e tristi, chi con la chiara dell' uova, chi con la cene-
rata, chi con la sapa, abrostini bolliti, allume di ròcca e 'al-
tre porcherie 1 da osti e da tristi' uomini; però non ne par-
lo, essendo meglio cosi fatti vini versare, èhe guastare gli
stomachì e le botti.
XX. Mantener la botte del 1,'i7lO ì1Uino alI' u~timo, ~he
niente perda. 8 - Un segreto insegnerò io bene da mante-
nere il vino, dal manometter insìno al volare della botte,
della medesima bontà e sapore.' Scotenna un pezodi carne
secca, laseiandovì tanto grasso nel mezo appiccato, che a
guisa di cocchiume turi la bolle, e fà che v' entri per forza e
suggelli: la cotenna su per la botte distendi, e con le malti
appiastra, e sopra la cotenna impiastra cenerata, e sopra
quesla versa nuova cenere asciuttar sopra la quale perché
non -easehì, conficca con bullettine un panno. Nella botte si
fattamente turata, per certo, punto d'aria non potrà penetra-
re: S né aneo il vino potrà, non sentendo nuova j1ria,nuovo
saper pigliare: ne' fiaschi del trebbiano, perché non Inforai,
si mette un dito d'olio alla bocca; ma quando si vuoi bere

l po,ch... te, Le stampe: • sporeherie.•


I Il da I,.i.U. Le 'tampe: • e tristi.•
S Le stampe: • MaI11<Der la bolle maDomess. del "iDo "DO .11'Dllimo, cbe
. DicDte perdetL •
I della m.d..tm« bONIà, ee, A" ... scrilto: • della medesima perfezioDe e
d'UDO IlessQ sapore. II: •

5 Jlon potrà' penetrare. Le stampe: • non per certo puolo d'ari:l. potrà
peDelnft.. .
502 COLTIV...ZIONE T08CUI....

bisogna, sboccato l' oHo via, al fiasco romper il collo, aeeiò


che l il vino passando per quello! non sia unto e sporco.
X X I. Fori di "i~ ,Ullati per dar odore al "ino, o per li-
scio. - Per dar al vino mirabile odore seecansi fiori di vite,
e mellonsi poi nelle bolli, e fanno bene; ma altra cosa sarà
se detti fiori, e massimamente di que' delle macchie, stillerai
come le rose, e di quell'acqua cosi un pochetto metterai nella
boUe, quando la manometti: altra dilicateza, altro conforto
sentirai che a dar muscbio,B o ghiaggiuolo, o mele appinole,
o coccole, o altre novelle: quest' acqua paSb luUi gli odori
e sapori, e fa, più che altro liscio, le carni chiare, bianche e
sode. .
XXII. Abro,tino, concia e mtdIcina dt·t'in'. - L'abro-
stino' è la concia e la medicina de' viui grassi e deboli, come
quelli di piano sono per lo più: perché gli tira, colorisce e
aggrandlsee, messo spicciolatonelle botti, e bollito: e come la
chiara lo tiene in cervello; i vini scoloriti tigne e cuopre:
gli acquerelli fa come viai ; ma messo in sol tino, è più reale
e nobile sua operazione. I
XXIII. Bizarrfe ,i trovano in ogni arte. e - Gl' inge-
gni specolativi truovano nel pensare di belle cose e nuove,
che aggiungono. al mondo e alla vita umana perfezione:
onde noi veggiamo in ogni professione e arte, fuori de' pre-
cetti ordinari, spesse volte _nuovi 7 capricci e bizarrè fan-
tasie, come fu nella nostra coltivazione l'annestare, e mil-
l'altre invenzioni da far trottar la natura. Alcune delle
quali apparteuenti alle viti, delle quali tuttavia parliamo, ri-
ferirò; perchè il sapere e è bello, si come il troppo usarle
sarebbe dannoso: perché queste son cose malagevoli e te-
diose; poche riescono, e poco durano. 9
• ncelò eh», C.n<ellò • perche .•
! p088ondo per qnd/o. L••tampe r • p....ndo indi .•
3 mlucAio. Le stampe: • moscado .•
.. abrostine; Le stampe: abreatine, "
Il

5 0ptra.ione. Le Ilampe: .. operagione. "


6 li trotlano in ogni tlrte: Le stampe: • si trovano io queala eome io 0lai
arte ••
'1 ""0";. Le Itimpe: • di nuovi..... e di hium.•
8 il ".pere. Le ltampe: Il ililperie è bello, eGme J eco "
9 ~ poco dr"ra"o. Le ltampe: • poche ne riescono, e durln poco .•
COLTIVAZIÒNE TOSCANA. lS03

XXIV. VIl' 'e7U/J viaacciuoli I come verr/J'lno.-Yengono


l'uve senza vinacciuoU con queslo artificio. Fendi I il tralcio
che tu propaggini, o il magUuolo che tu poni, per lo dritto
mezo ìnsìno al veochio, e cavane il midollo; e cosi accana-
Ialo .e vòlo rimellilo insieme, e legalo con buccia di moro per
tutto, si che tutto il vesta. S Non puoi questo magliuolo ficcar
con la gruccia, perehè, come lo vedi, lo storpieresti; ma come
ferilo a morte, e fascialo, il dèi pianamenle in fossa aperta e
concimala, quasi in soffice letto, posare e coprire; e meglio è
porlo ritto ehe a giacere, ~ per non l'aver punto G a-piegare:
perchè in quella piegatura la fascia si sforza; il fesso s'apre:
quivi non rammargina; l'acqua v'enlra, e scorre per lallo il
canale. Se lo fendi. vòli e fasci il capo della vite, senza sotter-
rarloallrimenli, arai l'uve senza vinacciuolì 8 quel medesimo
anno, ma vuolsi lase.iarlo più lungo ebe i capi ordinari, e fa-
sciarlo meglioe con più.diligenza; perehè, considera ch' egli e
come un ferilo a morle, che va faori all'aria conmanìfesto pe-
ricolo. I magliooti cosi acconci, qaando appiccali saranno e
barbali, si posson lasciare star qaivi, e anche cavare e lras-
porre. Il lempo da far quest'opera e qaando la vile comiucia
a intenerire.
XX V. Vite lugliola come ne rifarà disetteVlbrlJ. - La vile
Iuglioiane rifarà alsellembre, se còlle le prime ave di luglio,
lo la poti subito all' ordinario: essa mellerà e farà l'uve che
saranno mature al dello tempo; e baone come le prime: anche
l'altre vili obe di settembre maturano, potate allora, rimet-
tono e fanno l'agresto, ma per lo freddo sopravvegnente non
lo maturano, come non matura la vite di tre volle la terza
covala, se non a certi autunni lunghi e caldi, che producon
tal volla infino al fiore della qaarta: ma dando lroppo colate

I vi.... c~i"Dli. Il MS. originaI. dice .. òcdoli. Ma noa l' ho aeeettate , du-
bitando ehe .ia nDO.<or.o di penna; perchò '1....10 .. oeabolo Don l' un nel corpo
del capitolo, Oltreche , anche il cod. M ba oinacci..oli.
I 'Fendi, ee, Le .lampe: • 11tralcio "he tu propaggini, o il malllilld!o che
tu poni, fendi, ero.,
, il otlla. Le .lampe: • il ra.ci .•
• giRcere. Le stampe: • diacere.•
S pr",'o. Manca nelle stampe,
Il oinaccitloll. Qui nel MS. nD.doli li ..ede eancellato.
ISO t .èoi.;rlVAZIOlllS· TOSCANA•.

affaticamento alla vite lugliola,ella ti riuscirà il contrario di


quella di tre volle, cioè de' tre annt l una volla.
XXVI. rDi maggio come si rifarà uva lugliola, fichi e
pesche. - E di maggio si fanno maturar l'uve luglìole,i fichi
e le pesche in questo modo. Nel mezo dal gambo d'un ci-
riegio giovane de' più primaticci fa' un buco col succhiello,
cavandolo spesso, e con l'acqua rinfrescandole ; fa' per esso
passare, alla guisa del capogatto del paniere, t un tralcio di
vite, o un ramo di pesco o di fico, che siano al ciriego vici-
ni,avvertendo a non Io spuntare; e qnel passato-lega su per
lociriego, e taglia tutti altri 3 tralci o rami,acciochè il
vigore venga' tutto in quello. A tempo nuovo, quando egli sia
nel buco bene rammarginato, intaccalo rasente lo pedal 8UO,
si che ! egli patisca un poco: l' altr' anno affatto taglìalo ra-
sente il ciriegio, ed esso pedale leva via e spianta, e il tral-
cio pota ogn' anno all' ordinario; tu vedrai l'uve o le frutte
anoestale esser mature quando le ciriege: e dicono l'uve
bianche divenir nere, e i fichi altresì, e le pesche carote; e
potrebbon anche bello et esser tutte carote. I Dello delle vite
e de'vini, parleremo ora de'frutti, come annestare, trapian-
tàre e custodir si deono,
XXVII~ Annellasi a marza, a buccia, a òucciuolo, a se,,:"
dicciuofo. - Aunestansi i frutti in molti modi, a marza, a
scudicciuolo, a buccia, a buociuolo. A marza è il più- gene-
rale e vero. Del mese, onde ella ha il nome,se ben d'otto-
bre a tutto l'anno s' annesta, 6 ma e' s'appiccano, provano
a fruttano manco bene. A luna crescente, anzi che scema.
In anno , dicon certi, che non sia bisesto, ch' è una super-
stiziosa osservazione; perchè bisesto è nome di calcolo, e
non natural cosa da poter operar nel vegetare delle pian-

de't,e anlfi. Le stampe: .. al contrario •.e m di tre anni .•


f
del pantere, Le stampe: Il per lo paniere. ")
i
5 tutu altri, Le atampe: .. tutti gli altri.»
.,,1 che. Le Itampe: Il in maniera che••
5 tutte ca,..t.; cioè, tutte faodome e novelle. Le stampe banno: • e potrtL-
han anche ben esser carote ...
6 .. annesta, Intendi: o' annesta d.ì mese oni! ella ba ii nome, cioè del
mese di marzo, se ben .' annesta anche d' ottobre e tutto l' anno. - Le stam~
113000: .. è il più generale c vero modo,.detto dal mese ood'tlla ha il nome, te._
COLTIVAZIONE TOSCANA. SOIS
le. Osserva ben questo, di tòr marze di frotti cui tocchi a
farne quell' anno; non ne avendo il diqanzi faUe, perché
saranno pregne e feconde; e che tu sappi esser buoni, I e
per l'ordinario fecondi: le marze siano grosse I e veguenti;
11011 fuscelluz i: dc' rami alli c ritti , non de' bas i , c a terra
piegati , COli alquantn del vecchio, che punti hoccioline per
mett ere, Quivì sotto far ai l' uuzatu ra ; vettn le s' elle son lun-
ghe; auu esta basso quanto più puoi: frulli giovnni, vcgnenti ,
gentili di buccia, enza magagna , sottill, C d'una sola marzu
capaci, per ' hò questi subito rummargtneranno: mettendo duo
marz e , rimane in quel rnezo fessura noiosa , che si vuoi lu-
rarla , perch è acqua non v' entri: scape za il nesto col penna-
to, e non con la sega; la quale (fa se tu sai) ri calda e ab-
brucia." TOlll131o, fend ilo . c commeu ivi I rnarze auzato e
sca rnale CO n la Iien tis imo Ierro. " Non levar alla marza la
buccia dal Ialo di fuori, ma falla combaciare di qua c Ll i Iii
e di sopra con la huc ia del tro nco: ìeca e s tricnì 1'011 alci.
c serra COli conio" l'unncstatura, e vestii. ubito di terra mol-
le . e fasciala di paglia i la quale di otto lega , e dentro vi stri-
lola terra colla , che quand o pio e umetti le murze, e liri in-
nanzi le mc ' C ; e poi le chiudi G cnn dualtre 7 legature , c
non l' aprire sin o a che tu 1I0n cdi uscite le me . 0 fuori: se
ann esti d' ollohre o di verno, togll in ve c rli terra molle.
cera ; e di terra colla, rena; le quali non rilen ono,' gra u
freddi quel tant o ~ sìdo.
•' VIII. Se alme tar t li re in la (oua come gli ((Il li-
.:hi, o iII l ul bo co o emrll:llto, c iII cfte moc/t. - Gli ant ichi
ponevano i p ruggini e gli alt ri frulli snlvatici nelle fos c: e
qnivi appicc li gli anne lava no enza dar loro (alli i mart òri
C tramuta, ome noi facclmuo, ' he dal bosco nella uesta luola,
o "ero emcnz aio, li traspunghlnmo: quivi "Ii un nest iamn:
• tZJtr bfloni. Le I l lml~ : .. turr rrnUi Luoni. ..
t I/n rtO gr-o.ls e. Al't . a luillo .. si,,"o. COQ 1111 po' del "ccdaio. Brune". ,. "oi
..DccIIo,
I c Gl,1,,.'.citl. Le Ju n,pe: .. e abLruda le ma rae••
I/ t rro. L• • tampe r • • 11. Ie e s ' <IID.1e eon " Slicoliuimo rCtfo• •
5 conio. Co.II ' o' is inal• • il cod. M. L. Il rnr': .. .. . io. ..
G lo cl.;adi. L . sI. .. '1": • f. ch iudi di sor'" ..
, d .. a/t re. Cos l'ori i.,.I e. Le stamp e I .. du e alIre. ..
I quelll'lftO. U tturtpe: • taato...
Il. 43
lS06 COLTIV AZIONE TOSCANA.

e poi l li ritrasponghiamo nelle fosse; benché ancora oggi i


manco diligenti fanno! come gli antichi, o gli annestano in
sul bosco per meno arrischiare. lo lodo il semenzaio, perché
quivi con tutti i nostri commodi gli possiamo allevare, e per-
ché quelle tramute non sono mica tante cadute, ma tante
colture, e per conseguenza tante addimesticature che fanno
le frutte ogni volta più belle e migliori:' onde annestando so-
pra l'annestato più volte, quanto più soprannesti, tanto più
dilicate e grosse e nobili frutte fai; e possonsì que' martòri
con altrettanti più vezi ricompensare. lo ti vo'dare un modo
agevol.ssimo" da farti senza spesa un nobile semenzaio. Ne'
rami d'un bel nesto di susino di due anni, riannesta marza
di susino, pero, melo, ciriegio e simili, di natura di mandar
su dalle barbe rimettiticei assai; se la maggior parte si ap-
piccheranno, lo verno seguente innanzi allo intenerire, acciò
non si spiccassero, tira giù e corica il susino con le marze li.
uso di propaggine in una fossa poco fonda: tiempila di terra
colla, e al disopra concima: lasciando fuori della terra le ci-
me delle marze, elle vi barberanno; e quelle barbe presta-
mente manderanno su al leccume di quel concime rimetti-
ticei in gran copia: allora scalza la fossa e trova l'annesta-
lure delle marze, e quivi taglia e tutto il susin vecchio sbarba
e leva; eque' rimettiticci cresceranno e moltiplicheranno ma-
ravigliosamente. Di susini dico più che d'altro, perché son
fecondissimi, e saranno dimestichi e veri nesli da cavare,
della propria sorte e bontà di quelle marze lor madri. E se
tu quesli rimettiticei anncslerai (che saranno la quarta geni-
tura, e del primo susino salvatico gli bisnipoti) dicati per me
la ragione che generosi nesti in questo tuo semenzaio farai:
la quale ti mostra che quanti più coltivamenti a tutte le
piante dài, tanto piti dal salvalico l'allontani: ~a come troppo
dilicate e nutrite nelle morbideze e negli agi, 5 hanno poco
robusta complessione e corta vita.

I • poi. Le Ilampo: w quindi.•


s lanno. Le Ilampo: w i meno diligenti facciano••
5 pià belle e migliori, A.veva scritto. più SJosse e gentili e lua.i.•
I Qsevoli.ssimo. Cancellò u bellissimo...
8 e negli 011/. Le stampe e il cod. M: w tanto più dal ..Ivatko le allontani,
COLTIV!ZIONB TOSCANA. 1107
XXIX. Fittone magagnalo o rollo fa le frulle cadere e
lxIeare.:- Nel trasporre abbi gran cura alla barba maestra
della il fittone, perché punto punto che questo sia o tagliato
omagagnato, non manda alle frutte la virtù I gagliarda, perché
cascano o bacano, e i frulli intarlano e bastano poco, meli o
peri massimamente: ma cavandoli giovani, manco! fittone
avranno, e manco fatica durerai.
XXX. Come e quandos'anneslaa mar.l:a.-Scegli, quando
annesti marza che abbia cominciato a muovere, giornata
calda e quieta: comincia, la luna 8 di gennaio; que'frutti pri-
ma, che muovon prima, per esser più caldi; mandorli, peschi
e albercoechi, tutti in sul susino, che umido. E ben s'anne-
è

sta caldo e secco in su l'umido' e omoroso, per regola natu-


rale d'ogni generazione. Dopo quelli annesta, secondo che gli
vedi muovere, susini, clrlegi, peri e poi meli, e i nespoli che
son gli ultimi: 8 il ciriege in sul susino e in sul noce, e il
pesco ancora; ma pochi se ne appiccano per esser pesco e noce
ambodue e caldi: il ciriegio in sul ciriegio salvatico, ma non
amarino, perché questi da prima fanno gran pruova per esser
tanto omorosi: onde chi fa nesli a vendere, li accieca; ma in
capo a quattro o sei anni fanno rimeUilicci e orichico assai,
e seeeonsì, Il ciriegio duracine, o del frate, che intende il vi-
vere, non vi s'appicca: similmente il pero in sul cotogno
vien presto, e presto se ne'va, ma tu ci puoirimediare anne-
standolot tanto basso, che l' annestatura vada tanto sotto che
la marza ste888 vi possa barbare. Il che avviene agevol-
mente ad ogni ramo di pero, melo o susino. Nientedimeno 8
e' ti riuscirà. poi a ogni modo tristo e frale.
e l. fidaci d.l rustico al gentile; ma come troppo dilicate e nutrite nelle morbi-
de. di quei concimi e negli asi, eco•
f. III virtll. Le stampe: .. virtù...
I manco. Le stampe: ., men .. ; e così appreaao.
Ila ".na. Le .tampe: w aUa luna. w
• E ben « annelfa caldo e secca in ... l' runido. Quelle parole mancauo
0

alle Itampe o al cod. M.


'gli .. l/imi. Cancellò. a muo.ore, - Le Itampe hanno: wO le..i i ue.poli;
le il ciriegio t ee...
6 ambadu«, Le stampe: • ambo ••
7 annestDndolo. Le stampe: • ma si può rimediare, annestandel, ..
8 Nien/edimeno. Quelto periodo dell' originale e del cod. M., li d,"icltra
nene stampe,

..
508 COLTIVAZIONE TOSCANA.

XXXI. A .cudicciuolo. - A scudiccioolo è agevole t an-


nesklre, e i nesti vengon su e frnttan presto; ma sono da'
venti i pio pericolosi; facendo lor messe in pochi di, ealosee
e tenerone, che si fiaccano per ogni poco: onde convien fare
i nesti bassissimi e giovanissimi. H propria foggia de' mela-
ranci, cedri, limoni e melangoli; perochè il calamo delle lor
nuove messe non è tondo e non riceve il bocciuolo; e per tutti
altri frolli è buona; la quale questa. Quando si pota, taglia
è

tra le due terre lo slerpigno o frutto che vuoi annestare: egli


ara di maggio rimesso vermene vigorose appunto a ordine;
piglia (levate l'altre via) la pio bella: taglìale la I buccia in-
sino all' osso circa due dita per lo lungo. In testa del ta-
glio fannele un altro per lo traverso, si che li due tagli
facciano questa figura T : spicca le labbra della buccia dal-
l'osso, che essendo in succhio sarà agevole; poi piglia una
marza del frutto buono, e fa' tre tagli alla buccia, lunghi co-
me que' due, in forma di scudo o triangolo, nel cui mezo
venga quasi punto del centro uno de' pio bassi occhi della
marza, cosi V: cavalo con quell' occhio, e mettilo, i canti
ne' canti, e l'occhio sopra l'occhio,' dentro a quelle labbra
spiccate della vermena, la quale, come tenera sposa caro "
suo marito, il riceverà nelle braccia: lega l' annestatura con
buccia cM moro o altro, lasciando I l'occhio scoperto; qaat-
Iro dita sopra essa,' taglia la vermena, e su v' infilza pa-
recchi foglie di vite, le quali, fermale due dita sopra lo sco-
dicciuolo, gli siano cappello al\' acqua, ombrella 1 al sole. Il
tempo è di far questi nesti,· fatta la luna d'aprile, insino a
tutto giugno, secondo che sono in succhio; e ci ha di quelli
che si fanno al sollione, come i melatanci, che pruovon me..,
glio allora; perché mettendo pio tardi che gli altri, ~ rasso-

I è tlg~pol~. C'Dulli> .. modo••


I ..,liale Itl. Le slampe: .. f.lle DD l.glio .11•.•
I10p", r occ"/o. Le stampe: • e meltilo uà cauti deIItro • quelle \ablora••
• caro. Le Itampe t • IUO••
• la.cialldo. Le st.mpe, .. lIScia••
Ilopra ella. Le stampe: • lopn .•
, o",br~l/a. Le stampe: .. ombrello...
·q"uu 11011/. Le .l.mpe: • i1lempo di br questi uUli è.•
- COLTIVAZIONE TOSCiNA. 1109
dando, di maggio e di giugno non sono ancora a orùine lo
messe loro. '
XXXII. A bucllia. -A buccias'annesta cosi: tagliato il
-ramo;' quanto più, grosso meglio, perohè tanto più grossa
buccia' ba l (che è quello che vnol questo .modo), fendi labuc~
eia tre dita in giÌi dalla tagliaturaj spiccala dal suo legno con,
Imo stromento d'osso liscio a ciò fallo, che non .applechl nè
tagli: tra iUegno e la buccia metti la marza searnaìa solo
dalla banda che vien di dentro;! e se il ramo ègrosso , e tu
ne metti parecchie: impiastra: fascia e lega, come gli altri
nestì si fa: questo è un modo" agevole, sicuro, non pericoloso
troppo da'venLi:pèr li frulli grandi" aUissimo: degli ulivi, no-
ci,'fìchi, e diluiti; que' che hanno la buccia grossa, proprio.
Il pero e melo vi fan pruova mirabile.
XXXIII, DiUgen:e chevuol r ulillO annestalo a buCCia..,..,.
Gli olivi annestati a buccia ricercano queste particolart dilì-
genze, Fano il nesto, e la terra impiastrata, fasciali, non di
paglia, ma di capeechìo assai che li difenda dal caldo, lega-
vetbène, leva ogni rimesso dal gambo che non toglìa rigo-
glio alle marze: aspetta con unpocodl pacienza che elle met-
tano, chè talvolta penano assai: lega e raccomanda le messe
a qualche palo o canna, perchè non le rompa il vento: lasciavi
Per up anno stare il capecchio per fodero al primo verno, cui
temono grandemente.
XXXIV. A bucciuolo. '- A bcecìnolo è modo d' anne-
stare il più malagevole, perché bisogna còrlo molto appunto;
'ma più sicuro; perchè combaciando per tutto, meglio ram-
ma~inalnè per vento" nè per maneggiamento si fìacca , c
fugsi cosi. Scegli' una bella marza e grossa del frutto buono
che avetvuoi, e tagliane un pezello quanto è un dito,' dovo
un occhio sia, e pìgnìl'ossofuor della buccia, la quale rimarrà,
come un bocciuelo di canna: truova un'altra 'marza nel frutto
cattivo come quella grossa appunto! e di sua buccia spogliala

tbu~ciG' 1rG. Le .Umpe: .la buccia ba."


IIcarnata solo dalla banda. ee. Caocellò • auula d. una banda .ola, "
3 ;, "n modo .. Le stampe: .. è -moào. "
• quant« è "n dito. Le .lampe: • lungo un dito,"
43'
310 I;OLTIVAZIOJIIB TOSCAJIIA. _

un dito alsl, t' e dove sia un oocbio; mettile il bocciaol buono


indosso, non capovolto,e l'occhio sopra l'occhio; tocchi iI le-
gno per tutte, e non si fenda: lega dì sottoe disopra' come a
scudiceiuolor cuopril di pampani, e fallo 3 nel medesimo tempo.
Non s'annesla in altro modo il castagnoj né dovrebbesiI'al-
bercocco, perché faeendos' egli in sul susino, cui tanto di
.oomplessione è. contrario, negli altri modi (ove in picciofi
spazi si toccano, e nou Per tutto, si. ceme qui) non si ram-
marginano mai bene; però si fiaccano di Ieggìere in su l'an-
nestatnra eziandio sotterra fatta. Meglio sarebbe semi Bare il
nocciol suo che fa meliaco, e'n su 'I meliaceannestarlo, M;l
il susino per infingardaggine adopriamo, trovandone a néstra
p6sta;e però dico che il vero aanestar I'albercoceo è ahuc-
ciuclo, Ogni frutto grande e piccolo si può acotal foggia.an-
nestare, massimamente castagni e fichi che hanno la boccia
grossa; emolte sorte " di frutta in un sol fl1ltto,.che sono in
bel giardino cosa'vaga; ma quel povero frutto,per aver:a con-
tentar troppa genle.3 e di varie natnre.. spaccìatamente .si
muore-dì fatìca , se noe è forte aiutato di lavoreccìo e di
concime.
XXXV. ARnestar ridicolo i,. ·IU .ì co,voli..- Annesta-
mento ridicolo, da sapetlo, e .non aUro, si fa -d'ognì sorte di
marze ili so' cavoli rigogliosi tagliati .tra le duo terre: appie-
cansi a maravìgtia: non bisogna col salcio strignerli troppo;
e subito che sono appiécat! trapiantarli con te marze sotter-
ra, perché vi barbino e e facciano UQ po'miglior {ondam~to 7
che cavolesco.· .
XXXVI. Caravelle moscadelle. - La marza caroveUa in
su '1 pero moscadello farà earovelledì mirabile odore e sa:'
pere moscadello: provan benissimo ancora ne'luoghi caldi:
prima vengono che le alt're caroveUe,ma nOR bastano,
·'p.cliala HN dito allI. Le stampe: .. grosS3.come quell. appunto rsbue«
ciane un dito altresì, e dove sia un ccchìe. e . .
J e di sopra. Le stampe: III sotto e lopra. .-
a efa/lo. Le stampe: .. e tutto." -
'so,.te. Le stampe: "Iorti.•
'S e,.oppa gente. Le stampe: "_troppi cervelli. u
~ fii ba,.bino. Le stampe e '4 ribarbine ...
7 flJndamc1Ito. Le stampe e n pedale.»
COLTIUZIOIUt TOSCAN.t. 31'1
.XXXVII-. Pero in .. .la querci4.. - Il pero vien tardi, e
lardi se. ne-ra, e più ancora dorerà annestato a buccia in
qoerciool dilieate, che appunto muova: ma le sue t pere ne.
seonpoeo sngose; ma bastan più di lotte " altre.
XXX;VIll. Ciriegia amarlno inN" llUino fa mciole.-
Vana amarina I in sol-suslno, pio tosto magÌiaDese che altro,
faràviseiele palombine eccellentissime; perçìè dicono che la
visciela non é spezie ili elriègia naturale, ma artìfìeìata.:
, XXXIX. Piantaf'1I eOrnll Il qucmdo si debba, ch" Il do'Cl1.'....:..
OgnipianlagioDedi frotti vuole primieramente.buon lavorìo,"
e adentro, ~ divelto o fessao formella che egli sia,'e granfo-
gne con Bassi KFOSSi in fondo, perchè.l' acqua vi corra, e pie-
. coli di sopra, perché la terra non v' entri: pendi .sempre Del
teoppoesie! presente, e del villano non ti fidare ..Non eaìeare
la.terra co'piedi, quanlunque asciutta,in su le barbe: con ferri
accostala, e. ralla entrar bene e toccar le barbe per tutte. Ge-
neralm~nle poni adentro; ma dieono che i mandorli e' 8IJoo
sini amano stare a galla. lo credo che in poggio tutti i frolti
stiano meglio adentro, per fuggire il caldo della state, uimìeo
deWappiccarsi, e per piQ resislere a'venti•. Ne' luoghi piani
. eIrigldì' slimo H contrario. Metti nel foudo.un buon suole di
robaecia, e uno di terra cotta, equi' pianta il frutto. rìcuo-
prigli le barbe di terra cotta, e segui un suoi di roba e ono.
di terra cotta, sin' che la fossa é piena, sgrottando sempre
intorno e allargando: il .lavorio facciasi alP 8sciul.o: se. è
molle,imponisolQtanto che Il frutto si regga, o IiI il.sllt-
terra e çuoprì con paglia; e aspetta. Posto ch' egli è, palaia
con canne da pl'ima;o picciol palo, e ficcato discosto. Ne'
looghi aridi è buono fognar le fosse e le formelle con corna
volle allo 'nsù con l'.aperto, per pigliar l'acqua e maDten~r
il fresco, 'e col tempo fanno grassume; ed è ehi crede le
eerna fracidegenerare sparagi. La rena eia loppa molle tea-
gon fresco, ma non tanto. '
• m" le. IMe. N,II, 112"'1" si desiderai! ma.
, .-ma,.ina_, Cancellò .. di ciritgio.•
5 t do~e. Le stampe: • piaDtar quaDdosi«l>bI, che, e come.-
t/tiflo,.io. Le st.amlttl: ...}ayoreccio._
5 l/e. Le $tampe: • sii••
6 qiii, Le st ampe ; "quivi.,. ~
ISt2 COLTIVUION~ TOSc!IU.

Poni a luna, crescente nuova, perché a lana scema pio


tarda e'più trista sarà ògni operazione,' d'appiccarsi, crescere,
mettere. (l. fruttarer vedi 41 poter della luna nel melagrane, che
quanti giorni ella ha quando tlponi, tanti anni pena ararne;
e posto a luna scema, non' ne fa. Ogni cosa potata o tagliata
a luna crescente rimette meglio, perchè è più d'umor pre-
gna; onde ì1egnami cosHagliati intarlano, e le canne alsì, e
non bastano più d'uno anno: però il mal villano taglia quelle
ch' egli vende alla crescente, e quelle ch' egli per sè adopera,
alla scema.:Polli, per regola, d'ottobre con barbate; di mano,
senza barbe; come piantoni, fichi e simili, perché la virtù
della pianta (ch' è quella che opera l'àppiccarsi); d'ottobre,
se ne va nelle barbe, e i rami abbandona; e di marso, fa il
contrario; conciosiacosa che il calore naturale che cuoce
rumore ohe ogni pianta nutrica, quando il sole si discòsta,
cede al freddo, nimico suo, la campagna, e ritirasi nella rocca;
e poi n'esce quando gli 'torna il sole in. aiuto, e scorre per
tutto, eìoè Iascìa le barbe' e vien fuori nel pedale e nelle 1'8.-
mora, e tiravi l'umore che l'impregna, e scoppia' per quelle
in messe e fìorìe- frutti. Adunque è bel porte i rami allora
ebe al metter sonoavvi3ti, edisposLi all' appiccarsi, e d'ot-
tebreIe barbe, ehesono virtuose e gagliarde. NOI;tdimeno
adìviene molte volte il contrario quando le stagioni vanno
contrarie. Però loderei'lo spartire le pòste,e farle meze al-
l'ottobre emese al marzo. Tenendo il fruito cavato a patire
UR poco due o tre giorni, 8' appicca meglio che a. porto subì-:
to;'sicomè'lDolthficono e allegano, che Ianaturaebe si sente
patire-rlstrigne sua.virtù, onde ella si fa più forle; e quando
vien.poi.il r.istgro, con più impeto 'vi s'avventa e'più pro fa,
come ben dice il nostro altissimo Poeta: .
•• • • • .• , . • • E però cbesi godè
Tanto del ber quant' ègrande la sete,
Non saprei dir qU3nLO mi fece prode. '
E procede dalla ragione dell' andlperlstasì, I cile quando

I opern/o"e. Le stampe: • opera....


s a.ndipe,.ilta.fi.. CJ(\lTI.1npLI1TCJ(lJ&ç; cOllrignimenlo iu conlnria,;parl'e; da
«OTt1r'P:;"""tjp.., comprimere, ritoreere Della l'arte opposta. È termiD" ,dcII..
6'iolo~a.
COLTIV AZIONB TOSCANA. ~13

una cosa a un' altra si contrappone, ritira sua virtù per un


poco, e poi con più Talenti forze corre, quasi ritirato montone,
a urlare il nimico: cosi le mani bollono a chi ha' maneg-
giato la neve: cosi spruzati d'acqua i carboni si fan più co-
centi. Ma si come l'acqua, quando nella caldaia bolle di sopra
da principio, è gelala nel fondo perchè colaggiù dove il ne-
mico balle, manda tutta sua I freddeza, quasi alle mura
tutta la sua gente; ma poi durando, anche quivi s'arrende e
riscaldasi; cosll'umor del frullo tenuto fuori della terra alcun
giorno, si avvalora e difende, ma stando poi troppo si diseeea,"
Con tutte queste bene ragioni e sottili, io per me porrei il
frullo subito eh' egli é cavato, sempre eh' io potessi,'paren-
domi cosa dura, e non senza pericolo, il danno per incetta
eleggere, I e l'avanao" dal ristoro aspettare," Ogni nesto che tn
poni, guarda che egli sia giovane del terzo anno, o almeno e
del secondo, a una marza sola, venuta su rigogliosa mollo 1 e
diriUa, bene rammarginala con' bnone barbe e fittone: ve-
dendols. stentato o seeehericeio, o poco vegnente, poco bene
verrà; però lascialo.
Dove i peri fanno bene, cioè ne' luoghi freddi e mon-
tuosi, ponvene assai; perché, se ben penano a Tenire, durane
poi lungo ' tempo; e farai capitale a' tuo figliuoli d'una buona
entrata. Generalmente avvertire si deve di porre ogni cosa
in paese che l'ami: perché ogni paese ha qualche sua dote,

• c,.tt4 ...... L. Illmpe : _ tDIII Il IlUI••


I li di.occa. Le llampe: _ ma IliDdo troppo dileeel••
5 il dan"o po~ incetta oIOK'O~O; vale, eloggere UDO seapito I Gnedi fare
Dn 8D.dlgoo: UD male per ..eroe uo beoe. Peroeebè ;IIcetta DOO Il 'IDi un com-
pera,. per r;vt..de,.,. Dè parmi cbe a tal IfDJO do'une il XlaUl:li recar quello
luogo Dd IUO Vocabolario; ma .1 I queno dci S Il, cioè <liacqai.lQ, l'Uldapo, ee,
14.,RII.&0 val qui G",.u.umento iII bertll: e vuoI dire, che ureLbe duro yo-
le..i ..aolare coi rimedi, eome ehi voles•• ammallr per lo,,"r più 1100 coli.
medicinl.
I ".peUa~e. Le Ilampe: • e dal riatoro " ' _ 0 lipellare._
• ,,/m,"o. Minci nelle lumpe:
, mo/ro. M,oCI oelle Itampe.
• lugo. Le ltunpe: • allai••
, Vil'Sì1io, Geo~B' Il; i09.H6
1114 COLTIVAZIONE TOsc!NA.

o proprietà naturale: e non bisogna contendere con la Natura


ma secondaria, se non se tu volessi fare di quelle cose fan-
tastiche, per bizarria dell' arte.
XL. Fico e 'IUI bontà e coltivamento. - Il fico stimo io
a tulli i fratti per utilità, varietà, copia e bontà soprastare.
Non appartiene a questo breve trattato dire le landi sue, ma
la coltura. Però dico prima, che ionon approvo il proverbio
che vuole che si ponga ulivo grosso e fico I piccolino; per-
ciochè non meno il ramo del fico che il piantone vuoi esser
grosso, e quanto più grosso è, tanto più grosse e gagliarde
messe fa: e quasi uomo di grossa facultà e sustanza, grosse
spese; convenendo che quale ciascheduna -eosa è, tali opere
escano da lei; e uno agente piccolo per l'ordinario non fa
cose grandi, nè il grande piccole. Scegli di que' vettoni prin-
cipali vigorosi che vanno su alto, e non di que' rami che
s'allargano e piegano a terra, i quali nel crescere e nel fare
il pedale Tengono secondo lor natura bassi e bistorti. Poni il
fico in terren fresco e grasso in gran formella o fossa, non
fatta per sanicare il campo, che presto guasterà con le barbe
la rogna. Propagginalo se vuoi far bene; e per ciò fare, ta-
glialo il primo anno tralle duo terre, e il secondo la sua messa
corica in altra I fossa tirata dove vuoi che il pedal venga, e
riempila di terra cotta, molta loppa e lilame fracido, e stu-
pirai delle messe e de' bei fichi che il primo anno e' ti farà.
Nelle pancate delle vioUole, dove' frulli mancano (se farai
le propaggini un po' maggiori), potrai porvi de' fichi, e avan-
zerai tempo e fatica. Dove proovano, fa' di porne assaissimi,
peréhè in tutta la coltivazione non è cosa più ulile: S8-
conda è la vite: terzo il pesco: poscia sueeedonsl il susino,
il pero, il mandorlo, il melo, e nell' ultimo luogo l'ulivo,
faUo ragion d'ogni spesa. Avaccia di maturarsi il fico, unto
sera e mallina in su 'l fiore, con un fuscello; il quale se in-
tìgnl in aloè, e pignil dentro in alcuni, rimanendo vi chi tegli
coglie colto e beffato, non vi tornerà più.
XLI. Na.ni come venga.no i frutti. - Nani saranno i fichi,
meli e gli aUri frulli, ponendo a luna se ema rami di verso
t '"f/po gr06'o efico. Le Ilompe: • l'olivo gro .. o, e il fieo, ec••
, In Qltrtl. L'originale alta; ma parmi lt:orlO di penna.
COLTIVAZIONE TOSCANA. 1115
terra, cosi la vetta allo 'ngiù, si che mellere gli convenga al
contrario di sua natura: cosi i rosai se gli vuoi bassi, cosi i
salci si pongano per far cestaia I e non crescere.
XL Il. Ulivo, e suo co/lit'amento. - L'ulivo vuoi esser
piantato di marzo o d'aprile, poi che mosso ha. A piantone
senza rosta: non vecchio né giovane, ma grosso, rigoglioso,
gentil di buccia, con buon pane in buona fossa o formella ben
fognata, ripiena di terra cotta con loppa assai e pagliaecia,
e nell' alido un po' di rena: alto fuori della terra un braccio
e mezo, o dua: e non mica basso, perché se bene e' mette
meglio I basso, tullavolta egli pena un gran tempo a rifar
quel gambo che é in essere, e tu il sotLerri: là doveil pian-
tone alto in quattro anni ha rifallo con le sue messe la rosta,
ed ulivo perfetto," Quel piantone o altro frullo che melle
è

male e dà adietro, l mai più non rinviene; però non durar fatica
né a tagliarlo perchè ei rimetta, né altro fargli, che non n'are-
sii onore; ma cavalo via presto e riponvene un altro. Per dua
o tre anni non potar il piantone, poi lasciagli tre o quattro
rami, che facciano palco, legandogli a un palo, o più, secondo
il bisogno. Il quarto anno metti gli al piede un corbel di
coiacci mescolati con pecorina in una buca fatta di sopra,
aceiochè il grasso gli coli in su le barbe, adentro assai, ae-
eìochè lavorando la vanga non gli truovi, e la golpe, la ver-
nata, non gli cavi e manochi: e ogni quattro anni o cinque
fa questo medesimo, e non avendo pecorino, togli letame;
cosi farai a gli ulivi vecchi potandoli alla impazata, chè non
puoi nel troppo errare, eccetto i coreggiuoli che non vogliono
esser tocchi, o poco, e gli altri stare aperti e in vermene.
Con qoeste diligenze gli terrai freschi e morati, e avrai ulive
ogn'anno.
XLIII. Me.lagrani e cotogni, e !or coUivamento. - I me-
lagrani, peri e melicotogni si possono annestare, ma il pro-
prio è il porre i loro rami e rìmettltìecì con le barbe di
marzo a lona crescente, subito ch' ella uscitaj" perché, per
è

a cell"la. Le st.mpe: • cepp.i ••


I meglio. Le st.mpe: ...... i bene.•
I perfett», Le stampe e • fatto••
• "4;,,,.0. Le Ilampe: .. adreto.
, labit. cii' ella è ",ci/a. Le lumI'" hanno semplicemente. nuovo.•
316 COLnVAZlolCR TOSCANA.

ogni di di lan8, un anno penano a frullare: far buoni lavorii


in buona terra, dar della roba, 80n cose che sempre si inten-
dono. Amano (ma pio i melagrani) l'uggia e'I terren fre-
sco; siccome il snsin simiano I nelle corti lungo i muri a ba-
cio, t fanno bene: i cotogni meglio: nel piano e ne' campi
presto vengono e presto se ne vanno: sdegnano il pennato;
però leva loro il seccagginoso con le mani: per lo contrario
i melagrani vogliono essere ogn' anno potati e netti.
XLIV. Pe,chi e lor bontà e coltivamento. - Il pesco si
pUò annestare; ma per lo pio si semina d'ottobre il nocciol
suo in terreno umido e caldo, duo puntate divelto,' con molto
terriccio, col guscio inclinato, e per sentir il caldo in quel-
l'umido, poco o niente ricoperto. Ancora è meglio gettarvi
la pèsea matura o fraeida col suo nèceìolo, iI quale, quando
ella in sul pesco non fusse maturata, non è granato, e non
nasce. I nèccioli sani in sul terriccio scoperti, e l'anime po-
stevi col dito poco a dentro, nascon benissimo al marzo; al-
l'ottobre no, rispetto al' freddo; trapiantali il secondo o il
terzo anno; la state annaffiali; crescono a giornate. Volendo
pesche che siano' molte grosse, semina tre nèeciolì insieme,
intrecciali quando son nati, e poi di mano in mano, si che cre-
scendo s'appicchino' insieme, e facciansi un pesco solo: dàgli
ogn' anno loppa al piede, et ogni tre anni, questo come anche
gli altri, trapianta; chè questa iterata coltura itera e raddop-
pia ogni volla la gentileza e nobiltà delle frutte: ma il frutto
anche egli diviene di gentile complessione, e muor presto.
Trapiantalo alla luna d'ottobre con gran pane di terra, ac-
ciochè egli (non se ne avveggendo quasi le barbe sue) non
tema; metti nel fondo della fossa una lastra, e sopra quella
un suol di loppa, e quivi il pianta, a fine che egli non metta

I .lcco",e il.lUilt .,imiallo. Le .tampe: • i IUliDi .imilDi nelle corti, te••


Il codice M: -siccome il lusiu limiaDO: i colosai Del piaoo c ne' campi, ee••
I ti bacio .. il: tramontana.
, d,.. P''''tllt. divelt.•. Puntate inlend..i qui di quel IlnlO che enl ra la
vangl .1 primo calcio del vangltore: due punlllte di~.ll.,è, di.ello tanto • fon-
do, quant' è il tratto di due ••ngate.
I ch« l/alto. Manca Delle stampe,
5 1# appicchino. Le Itampe: " .' ammur,ioino.•
COLTIVUIONK TOSCANA.

la maestra in profondo, e non sia nelle tante tramute mal


agevole a cavare: dàgli terra cotta e loppa 8llsai, che lien
fresco, e~ fracida, ingrassa; scalzalo OgR' anno, e tagliali le
barbuze come aDe "Viti. Per mantenerlo in vita assai, usa que-
st' arte. Mettigli le barbe quasi in bocca a un ramo di fico,
fesso una spanna, e con esso il poni adentre molto, contro
alla comune usanza: ei piglierà dal fico, in quella stretta ami-
cizia, della 1 sua qualità e natura, che è di vivere assai, co-
me tu vedi; chè non si spegne quasi mai, almeno nelle barbe
sempre è vivo e rimette; e cosi vìverà più che gli altri, e le
sue pesche saranno molto più dolci e dilicate e primaticce,
secondo che quel ramo sarà di ragion prlmaticcìa. La ca-
gione perché il pesco non dura, dicono essere, che t egli
mette le barbe poco a dentro, e vannosene presto a galla
tralledue terre, lasciando il fittone colaggiù soloe abbando-
nato dalla virili, onde egli infracida, e il pesco è spacciato; tu
ci puoi rimediare-co 'l ei fare, ch' egli non possa metter barbe
se non giù basso, Quando il trasponi co 'l fico o senza, rin-
chiudil dentro a due meze canne, ben dentro nette," legate con
saldo, lunghe sotterra tanto che amvino una spanna presso
alle barbe; cosi nOD potrà il pesco se non dalle canne in giù
metter barbe, e d'intorno alla maestra; e facendo buon fon-
damento, durerà; perché io mi credo ch'egli si perda si pre-
sto per mala cura, non per mala natura. Egli ha questo cat-
tìvo nome di durar poco, vedesi nascer dassè, sparuto e
spennacchiato, e non si vuole spesa del fatto suo; e chi po-
Desse una fossa dipeschi come di àUrifrotti, sarebbe uceel-
lato; -el. avviene a lui come agli uomini dabbene, virtuosi, e
tr9ppo modesli, che bene adoperando e poco chiedendo non ,
8080 8pptegiati; e a certi prosnntuosì che fanno caro di se
quantunque poco vagliano, si corre dietro. Ma se il pesco
sarà stimato e posto e custodilo come gli altri frutti, egli
metterà le barbe alfondo, crescerà, durerà e farà me' che
gli altri.
, Da tre anni in là Don si tocchi col pennato, ma con le
I dellA. Le Ila mI"': • di quella••
I e"e. Le Ilamper • percbè••
a be.. de..t'D .. elI•• L. Ilampe: • denlro rinette••
Il.
"~t8 COLTIVAZIONB TOSCA1'lA..

mani si dibrosehi I e levi il seccherìècìo. Non gli Iaseiare ag-


graticciare addosso tralci di vite, perché il viDanzone quando
'pota, tira a terra que' tralci alla bestiale, e seeseende i rami
suoi, ond'el l patisce più degli altri, comè più tenero l e gentile.
XL V. Manàorlo e $UO collivamrnto. - Il mandorlo si se-
mina e traspone come il pesco. Se vuoi che e' faccia mira-
'coli, in sul divelto fa un buco largo col palo: riempilo d'un
solenne terricclo: mettivi sopra, affatica- ricoperta, la man-
dorla inclinata o tenuta in molle duo di: subito che ha fatto
la luna di gennaio, le messe saranno incredibili: pala con
canna: non gli potare se non giovanetti. Non accade questi
trapiantare altrimenti: se pur il fai, sia poco a dentro, in
gran fossa di terra cotta e Iitame ripiena. .
XLVI. Melaranci e limoni, e simili. - Semina melaran-
ci, limoni e melangelì in questa maniera. Fa una buca larga,
volta a mezo di o levante, empila di concime mezo spento
con un suoI disopra di terra cotta e terriccio lino più di
mezo braccio. In questo terriccio metti, una qua e una là, le
melarance, limoni o melangole, o vero i lor semi.' Semina,
fatta la luna di gennaio. Annaffiàli quàndo il caldo vìenega-
gIiardàmente: in due anni faranno gran prova] poi all'otto-
bre trapiantalì,
Questo medesimo si può fare a' peschi e mandorli per
vendere': non per suo uso, perché, usciti di tanta bamba-
gia,. non pruovano.
Puoi fàT barbatelle di, detti inelaranci e altri, in luogo
di geminarli, in q'llesto modo. Tagliane ano tra le duo terre
di marzo: quel tronco poni a piantone, 'che s'appiccherà, e
'non arai perdutenulla e l'altro marzo con terriecìo propag-
gina a guisa di stena intorno al ceppo le rimesse ch' egli arà
falto; la state annaffiale: quando pensi ch' eU'abbianomes-
• dibr..seh], Le Ilampe: u dibruclli, u Vettori, Co{tioa/o.. ù • Quuaclo
e'non par loro, che gli ulivi abLiano molto bisogno d'euer potati •., usaao solo
dibrusc3rg1i; cbè così chiamano i nostri qoel ehe,.' io Don m'ingaoDo, .d ice-.
'''no i latini intermdere ollvel"m) cidè quando gli ulivi hanno 'troppo folti i
rami, e le vermene dentro, scemarle, "
1 6 , 10 ; 1 ond· et, Le stampe: .. di Iai, che••
Ili tenero, A.ve., scritto" dilicato. ,.
I 1Jambagia. morl)ida è gentil cultura.
CQLTIVAZIONE TOSCA:\'A. 1119
so le barbe, tagliale rasente il ceppo, e al seguente marzo
potrai lrasporle; ma gran falica durerai al coprirle con pa-
glia,. stuoie e Iitame ascìutto, sì che tuIe scampi dal tra-
montano e dal freddo che le uccide. .
XLVlI. Fru'to vecchio come si cavi e riponga. - Il Irutto
gl'ADde che vuoi cavare e riporre, e che il primo anno fac-
cia le sue frutte, vuole spesa e diligenza. Essere, con tutte le
barbe salve, e massime la maestra, cavalo con grandissimo
pane o zoccolo dì terra; e messo (per non si disfare) in qual-
che ceslaccia falla perciò di vitalbe o altro; legato e portato
lIOPI'8 duo legni a guisa di barella con forza d' uomini nella
iUa fossa o formella. grandissima, e fognalissima di gran
sassi, 6 sopra isassi{se il luogo è arìdoj-dì corna si volte che
l'.acqua .pìglìao e tengano; di terra colla e molta robaccia
.ripiena; Iegàto a un granpalo, sì che il venlo no"! crolli; 1
.ehè bisogno ne ha per aver si gran rosta di rami, e il pìè
malato e tenero. Per due anni, a guisa de' nostri! giovani,
Don lo potarè, e -sa JIler lo gambo con mano il nella, non
~ ferro,
XLVUL SIuino, e .sua natura.- Il susino generalmente
ama luogo grasso, basso, fresco, umido e uggioso, partìco-
larmeolee foor di modoilsimiallo e il porcino; però stanno'
bene per le eortì, .ne'.pollai e luoghi murati," bacìl, L'amo-
scino, paese .freddo' e Qlontuoso; ORde è medicinale, e sana e
Dobilelll frutta &Wl; e, secca, v.alepiù di tutte. Il maglianese
desidera luoiogr.aSllO e umido come gli altri, ma assolatio,
ealdo e aperto :1' altra turba de' perniconi, romani, diae-
ciuoll, delmiraeele, catelanì, amorosi, sanpierì, abosini ecce-
tera, Don se ne cura, e fanno per tullo, pur che grasso vi sia:
yog}ioaai o&Sef.vare queste nature e secondarie" perchè non
pare il susìao, ma.QgD' aUra semente fuor di sua regione fa
mala pruova si come .1' IWQlO posto ad esercizio ave non è in-
clinaio.. 8
, t ... '1 "...~Ii. 'Le ~Pll : _ .1 ptr:

stio •
-\0.- uoili, lIIa Cenno "lia.•
I nastrt; Co.lle stampe e i maDo.critli. Eppure parrebbe dovesse dir. ee-

8 murati. Le stampe: • turati.•


• pa ••• Jreddo; ciolJ• .duidera. p.. ~e fredde.
8 OV. _ . , wliNJt4>. Le 'lampe: A DOQ .• uo..
:S2O COLTÌl'AZ10NE TOSCANA.

XLIX. Nocciuòlo. - Dei noeciuolì sì pongono i rampolli


con le barbe d'ottobre in luoghi freschi, come fossati, ra-
gniaie, lungo le vigne, muri d'orti o case, come il sambuco ,
e non si potano.
L. Noce. - Il noce !lÌ semina come il pesco e il man-
dorlo: il più delle voltevìen fàtto dalle cornacchie, o altri
uccelli. Come'ogn' altro (rutto trapiantasi: fa per tutto: viene
; adagio: dura assai: appiccasi agevole: fa ombra nociva, onde
egli ha il nome: non vuol esser potato: se la maestra è rotta,
fa le noci guaste tuttavia.
LI. TempO del potare.- Tempo di potare ogni cosa è
tutto l'anno, fuor solo per sollione, e al molle' e alle gua-
ze, l La vite, pel sollione,' a rilegar solamente i tràlci,
patisce, e i pampani e l'uva mutan colore. Non che pota-
re, è cosa perniziosissima salire sopra i frutti e scalpie-
ciarli molli, guazosi, o quando è nebbia, che gli fa sdegna-
're. L'ulivo si pela, al fico la buccia scoppia, e totti si see-
cano, se non vi s' ha cura. La terra arrabbia, lavorata tra
molle e asciutta e la mattina alle guaze; e le viti non pos-
sono ricever maggior danno che a entrarvi a' detti tempi.
Fuori-del sollione adunque e del molle, tutto l'annosi può
potare. Ma il vero tempo è dalla luna di gennaio fino al muo-
ver delle piante: a luna crescente pota cio che tu desideri
che rimetta presto e molto: nel resto poco monta.
Ontani, alberi, salcì, vetrici e gli altri aquatici poterai
al marzo, perché d'ottobre il freddo gli ammaza.
LII . .Arbori che odfano euer potati.- Gli alberi che odia~o
l'esser potati son quelli che tengono del secco. Il. pesco e
il mandorlo similissimi di natura, da due anni ìn là; melo,
noccìuolo, cotogno, ciriegio, noce, ulivo correggioolo e in-
frantoio, contrari in questo ,al moraiuolo, pero, castagno,
eìriegìo, alsi non si tocchino se non da giovani; se beo que-
sti tre ultimi manco temono a che gli altri; ma crescìntì che
sono, lascìnsì dalla Datura guìdarej ' e quando pur bisognasse,
• "a/ moli. , ali. p".e, Mancl nelle ,umpe.
, pel .oll/o"e, Manca nelle 'tamp<.
• '""Ileo temOIlO. Le 'lampe: • temono meoo ••
I dal/a "a'""a pida,.e, Le 'lampe: • guida .. delll Daturl••
COLTIVAZIONE TOSCUA. lIl11
potali a tempo nuovo a luna crescente. Di' quelli che non
fanno frutto, l'abete e 'l cipresso, rimandi, sdegnano e non
vanno innanzi. Il cipresso dove tagliato non rimette mai.
è

L'abete, se per sorta gli guasti la vetta, è spacciato. Il pino


e il nasso, alberi di ragia, desiderano per lo contrario esser
potati, e aiutati andare in alto.
LIII. .Arbori che amano es.er potali.- Ogn' anno potati
vogììon esser l'ulivo moraiuolo, il fico', il susino, il mela-
grana, perché abbondano d'umore; il moraiuolo vuole star
largo, chiaro, in vermene, altrimenti non allega: il coreg-
giuolo il contrario, folto, non mai tocco, come san quegli delle
colline di Pisa.
LIV. .Arbori che voglil)no ire alli o bassi. - Alti o bassi
manda i frulli secondo il paese; nell' alto e ventoso, tìengll
bassi, nel contrario il contrario. Naturalmente il fico vuole
star basso e largo: il pesco, melagrana, cotogno, albercocco,
alti mediocremente; peri, noci, mandorli, castagni, alti.
LV. Frutto troppo lungo e sottile sta male. - Frutto che
va troppo sottile all' aria fa segno di volerti lasciare, e biso-
gna scapezarlo, perchè rimetta più fondato.
LVI. Far che le fruite non caschino. - Terranno le frutte
quegli alberi che si pongono a rami, 1 fendendo un poco il
ramo quando si pone, e quasi in bocca mettendovi t un sasso;
o vero scalzando il frutto e un auto 8 ben adentro confìecan-
do e nella maestra, e ricoprendolo;' questo auto farà che le
melagrane oltre a ciò non s'apriranno.
LVII. Giùggiolo. - Il giùggioìo si pone con le barbe,
cavato uno deDi rimettiticci suoi: cresciuto ch' egli è, non si
vuoi potare né toccare; ama fresco, grasso, uggia, orti, cor-
ti, aie, che sempre fanno grassume: è l'ultimo a mettere e
il primo a perder la foglia.
LVIII. Moro. - Il moro utile per la foglia, per la
è

mora,.per mandarvi sopra vite, e per legne; che nìun arbore


più ama l'esser potato né più rimette. Piantasi con le barbe.

• d rami. Le stampe: R in rami.


I mettendovì, Le Itampe: • meUendogli.
• allto4 Le stampe: • aiuto.• Così sotto .
• ricop"endolo. Le stampe: Il ricoprendo.•
COLTIVAZIONE TOSClN.l.

Se noi farae moni, seapìtozane di marzo ono che sia in


luogo umido e grasso; l'altI" anno fagli intorno una gran bn-
ea, e fallavi eDtro cadere, scalzatol si, che non si svelga
d'allo: distendigli le sue vermene intorno come razi di stel-
la, -e ricuopnle come propaggini; esse barberano, e potraile
cavare e trasporre: no 'l fare In palude, né sopra gore o vivai,
perché la foglia arrugginisce, e li bachi ammaza; onde ha
mala 'fendita; ma in luoghi umidi e grassi si bene, ma caldi
e apertI. Potali al marzo,· non all' ottobre, perché son legname
poroso e gentile, e temono il freddo.
LIX. Arbori aqtl6lici. - Delli alberi, ontani, saliconi
e simili, puoi fare il medesimo, ma questi anche senza barbe
s'appicean benissimo, a porre col palo di marzo i rami, o
'fero eorgli all' ottobre, e sotterrarglì in uno acquitrino, o
nella mota, che al marzo 80n barbati, e da porre in buche
fatte, e non col palo. Ma l'albero onde si tagliano ne patisce
per lo vegnente freddo, che per qOOlla piaga gli passa al
cuore; e più il salicone, che l'albero detto altrimenti oppio.
LX. Cadagno. - Un castagneto per pali potrai piantare
in questo modo.Prima I scegli terreno leggieri, come è qoello
dove fanno le scope: diveglilo due braccia, perché egli venga
so presto: seminavi d'ottobre, e anche a un bisogno di marzo,
i marroni col pioolo poco dentro. Puoi anche porre i piantoni
in fosse o formelle, che è modo più brieve, e quando sono
appiccati, annestargli a boecìaolo e fare marroneto. Non gli
potare, ma lascia guidare a natura; guardali dal bestiame
con fossa, siepe, o altri argomenti; né pore il boe vi si gratti,
perché quella stropiecìatnra li fa seccare.
LXI. ROI(Ji, gellOfftini, e altre piante gen"11. - ftosai
d'ogni sorte, gelsomini, sparagi, uva spina, madreselva,
e simil genlileze, piantati alla luna d'ottobre con le barbe
giovani e ben governati, fanno il primo anno. Ogni tre anni
si deono i rosai tra le doo terre tagliare e ringiovanire
ogn' anno la terza parte.
LXII. Sp4ragi. - Gli sparagi oltre al marzo faranno
anche d'ottobre con questa maestria. Al fine di settembre da'
loro fuoco, mettendo prima tra essi alquanta Ioppa o paglia,
I Prime, Moaca Delle Ilimpe.
COLnV1Zlo~E TOllCAl'l'A. 1123
aeeiò che il fuoeo duri e la terra riscaldi, zappettala, e se non
piove, IlDnamala. Essi rimetteranno a guaìme , l e f'aTanno
8plragf nobilissimi d'ottobre.
LXIII. A"'maJtlY'e (I tm'fo m' {rufli. - Intarlano i rnèli
e i cotogni ph\ che altri frotti, massimamente giovani: non
ne ho !lentilo ragìone che sodisfaccla, oltre a quella generale
delta maestra impedita. Dove è la malattia, si fa la buccia
nera e seccherìceia , e casca qualche poco di quella polvere:
searpella qulvi, e ficcavi an filo di Ferro grossetto e fruga in
già tanto che to glunghi Il tarlo, e l' ammazi; chè il sentì-
l'8i alla mano, e poi con l'occhio il vedrai, e tura il buco
con terra mone, perchè maggior danno vi farebbero le for-
miche, le quaD piglierebbero subito l'alloggiamento.
LXIV. Spegmre -( bruchI. - Spegnere i bruchi è cosa di
gran fatica e di maggior importanza: le loro uova sono in
quelle foglie secche aeeartoccìate, che il verno rimangono
sole apìceate in su gli arbori, le qual tutte vorrebbonsi far
eadere,-e fattone un monte, abbruciare; perchè al primo sole
di mano nascono e rodono le prime germoglle. La vite rosa
da'bruthi non frulla di quei daa anni, e bisogna ripotarla
con un sol occhio: e tal volta penetra si dentro Il veleno,
che l'ammaza, e hisognatagliarla. Con guanto grosso, o di
maglia, stropiccia il gambo della vite tanto, che caschi quel
seceume ch' ella fa, dove i bruchi covano, o vero Impania
sotto aI capo di essa l'ile, chè quivi al salire resteranno i
bruelli presi. Ne' luoghi assolatìi fanno il fiocco: ne' bacli non
se ne genera. DIC()ftO alcuni, che a spargere acqua stempe-
rata con questi hroclli sopra le viti, o piante fnfeslale da essi,
tatti 8t fuggono o muoiono: e questa è una pazia. Altri gl'in-
cantanO alla messa eoa pater nostri, e questa il una resia I
sciocca bene•.
LXV. C4refo~ tldlo rlJft1lo.-Arai carciofi' tutto l'anno,
trasponendone ogni lona erescente una parte, con dar loro la
state toppa e vìnaecìa, annaffiandoli discosto al gambo. Il

• .. Ifualme, I modo di guaime; che è qaeU' erbI tblerl, ebe rimette


ne' campi e De'prali, dopo la prima segllura.
I resi«, Aveva scritto. è impietà e pasìa, ~
SArai carciofi. Le 5lampe: • Careio6 at'ui..
!l24 COLTIVAZIONE TOSCANA.

Temo, colombina e peeorìna.' Nelle lor Coglie, quasi legati i


panni in capo, rinchiuder la vetta e il carcioCo: sparger tra
essi molto asciutto concime: la notte coprirgli con la paglia,
e il di scoprirgli al sole: cotali mattinate crude annaffiarli
con l'acqua tiepida; e con tali artifici temperare le stagioni,
come sempre aprile C0880 o maggio. Lascia loro un cesto per
pèsta senza più, e ogni tre o quattro anni, perochè insalva-
tichiscono, rinnoovali.
LXVI. Capperi.-I capperi s' alleficano' in tre modi: il
primo è seminarli di marzo, (tenolo il seme nell' olio UDa
notte per nascer presto) in pentolini pieni di buon terriccio:
e questi rotti, mettere all'ottobre in orticini o buche di mora,
che dentro o sotto trovino il terreno. Il secondo è, d'ottobre
o di marzo, porre di quei vettoni che si potano, accompagnan-
doli col seme ancora, acciochè l' un de' duo non ti manchi.
Il terzo è por d'aprile le nuove messe schiantate dal ceppo,
con un poco del vecchio con lo scarpello. Nel potargli, è cbi
gli ascia far ceppo, e li chi gli taglia rasente la buca; me-
'gtìo è a luna crescente lasciar, come alle viti, uno o due oe-
chi in sul ceppo, e a quello ogn' anno tutto il secco levare
con lo scarpello, e rinnovarlo. La state, per lo primo anno,
annaffiali moderatamente: lo schizzatoio alle buche è ottimo
strumento.
L XVII. Comervar le marzee'ramiper mandar lottlaM. -
Conservansi le marze e' rami per mandar attorno, in tre mo-
di: rivolgasi la taglìatnra delle marze in terra umida: Cascisi
di panno lino; mettasi tutto in uno stagnone; e ogni doe o
tre sere chi conduce immolli quel panno. Secondo,' met-
tansi le marze nella rena in uno stagnone; ogni tre sere inn-
midiscasi; e i rami grandi, per non Care spesa di si lungo
stagnone, mettansi in uno di mezo braccio, pieno di rena,
alla goisa che nel paniacciolo veggiamo stare i paniozi; rin-
volgasi tutto in canovaccio, e mettasi in ona cassetta, e ina-
mìdiseasi similmente. Terzo ," assetta le marze in ono sta-
• peco"i"•• Le stampe: .. pecQriao••
• I· allelic""o, allignano.
li e ehi IIlIlalc;afa~ ccppo, e. Manca nelle stampe.
4 SeCONdo. Le stampe: • eeecnde modo ...
• Te~o. Le Itamre: • Ter:lo modo. "
COLTIVAZIONB TOSCANA. lS21S
gnone per ciDratto appnnto, elllpilo di mele, chiudilo, che
non versi; questo modo é il più sicuro;perchè il mele ha
natura.di conservare, BOIl dando qualità né togliendo, e di-
rendendo interamente dal sentir l'aria.
Le susine simiane similmente s'acconciano in vaso di sta-
gno o di rame, un suoi di rena umida non troppo molle, e un
di susine che non si tocchino, turato doppiamente il vaso' per-
ché aria non v' entri né acqua, e tuftilo chi lo conduce ogni
sera nell'acqua, tenendolvi I un pese ricoperto. Conservansi
cosl tre mesi come fossono còlte all' ora: non si colgano in-
teramente mature.
'LXVIII. Conservare una pimta e abetaia. ~ Nelle abe-
taie, pinete, e dove fanno nassi e altri arbori di ragia, non
accade ~ opera nmana per mantenerli, perché natura quelli
che col tempo consuma, col vento vi risemina, e con le fo-
glie concima: ma volendone piantare ne' luoghi non soliti,
cavali piccioli alla luna d'ottobre, e piantalì in luoghi ai
natnrali non dissìmlglianti, cioè a freschi, essendo essi cal-
dissimi: in' buon lavorio, • non molto dentro, e più di tutte
l'aUre piante riguardali, perché questi, svettati una volta,
non vanne pio su: il pino, il nasso vogliono essere' aiutati
salire su all' aria col potare: gli altri ne sdegnano. Semi-
nar anche si possono di marzo nel grassccon annaffiarli;
e il secondo anno ne' luoghi destinati trasporgli. Gli abeti I e
arcipressi intorno alle case rompono i venti, e fanno la state
ombra: molto pio j pini .e gli olmi; ma questi con le barbe
sollevano e rovinano la muraglia; però bisogna tenérli molto
discosto.
LXIX. Tagliare i legnami, come e quando. - Taglisi ogni
legname di verno dalla luna d'ottobre a quella di gennaio:
cioè dal finire del vecchio al cominciar del nuovo lngenerare;
il quale intervallo, sl come é contrario al generare e al eor-
I k ••• dol~i. Le alampo: • leDeadol.j IDi• •
• .0. aè/lade. An.. aerillo • aoa è DOpO di..
• al .alardi .0" dillimi,lt".". cio; te. QllUle parOle zaDcaDO alle
~
• la ..orlo.Le lIampol .Inor&lo••
• "beti. Le lIampo: • alberi. ..
• .finir. Le alampe: ~ liDe...
1S26 COLTIYAZIO:sE TOSC!N.L.

rompere, così è proprio del .onservare, Allora l' umor dell


piante corre alle barbe a nutrire il calar naturale, che quivi _i
ritir~ fuggendo il freddo, sila nimico, che domina : onde il c-
.fale e i rami rimasi senza caldo e senz' umido dentro I o1Te i
di fuori dnll'acr freddo ambiente , dalle nevi e da' vent i ser-
l'anno quasi le Iìnestre dc' pori e si ristrineono e ssodanor
cL essendo I in tale es ere tagtiati tali sono i legnaml poi
sempre, cioè sodi, granali, asciutti, etern i :"dove, passaio zcn-
naio , per lo sole che comincia a intiepidire , e co o dalle
barbe il calore e l'umore, gratissimo succhio dc gli al' or i
che ' e ne impregnano e ìncrossano c inleneriscono. Ed es-
scudo tagliati in tale c ere ; quella umidcza ch'celi hl nno io
corpo, dalla slagion riscaldata , inzenera larli o altro fa tidio,
c corrompe e guasta i gni; i quali per c "cl' corpi tronchi
morii, Don la pos ono col calor naturale, che sp uto •
consumare, o adoperare li come vivi Iacieno. E quand
per diligente cara 1:1 della umideza pur s' asciu as e, il
lecname di I i volo restando, necessariamente ne Ili iene
stoppa 0, vnno, frale e teggicri : dove l' alt ro la"lia lo a buona
stagione, è odo, ferr igno, uerboso ' c pesante. Pru o a a
pesare due secchi legni di misure egua li l' nn taaliaìo di
primavera c 1'ultro di verna tu troverai que lo del verno
più grave la meta : tiengli all' acqua e al sole. quel •apre
come una melagra na, quoccsi c imporri 'ce: questo olameute
un poco e tal' ora n iente si fende. A luna scema taglia ogni
legname enza ragia; ~C non la potessi as ella re, taglia in d i
he abbiu Il, che fa il mede imo che la luna . I J gli ar bori
acquido i, come "Ii onlani, oppi, vetric ì c simili, farai, due
Ili innanz i, parecchi buone intacca ture dapiè , per I quali
verseranno grande umore; c cosi allri quando forzalo fu i
a taglìarll di primavera , e massimamente a quc' di ragia, che
, '"4

\: .
I et essendo eco Le sumpe: • e in tale stato tagliati i lesnami, in tale si
mantengono poi••
I eterni. Le stJmpe: • e '1t1uietenri. •
~ e ad"pe~ Le .\aml"!' .. o' "1:011000 .doper...... .
• nerboso, Le .lampe,: • nerboruto. •
S ch. lA lIUlA. Le stampe e il cod; M. Iggiungooo, • 4i..",0 i pnipttllica
di contado. • '

0'9" zec by GoogIC


COLTivAZIONE TOSCANA.

sono molto più pregni. E nondimeno t vogliono i pratichi


(non so la ragione) che questi di ragia al contrario degli altri
si taglino a luna crescente, di verno pure, e in di di R ; la qual
H, quello che a far s'abbia t con la bontà del legname m'è
oeénlto, n buono abeto vnol esser falla in luogo magro, sas-
soso, montuoso, a'come erano quelli dì MontemoreIlo; avere
il tiglio fiUo, dritto, ìneerato: esser, subito ch' egli è In
terrà, sbucciato e' concio, pereìoèhè subito per' la sua molta
caldeza gli viene tra la buccia e il legnq un intarlamento mi-
nuto, • che è il medesimo a loro che a noi il riscaldamento.
Il pino di tutti gli arbori di ragia è il più omoroso, onde le
scheggie sue in alcuni luoghi s'adoperano per candele, e
fanno lame beffo e chiaro; a ma un fumo a grande e nero,
che, dove tocca, tigne crudelmente e s'appasta. Intarla col
tempo, che non ha rimedio; però il tagliar lui sia lo Sforzo
e quasi l'epilogo di tatti gli ammaestramenti, che si danno
contro allo intarlare, Cioè taglisf nel cuor del verno, nel
colmo del freddo, a luna crescente, in di di R,7 un di innanzi
intaccato da piede, 8 subito sbucciato, concio e segato.
LXX. Bagnalà. -'La ragnaia per beccafichi sia primie-
ramente tuUain su 'l tuo, se godimento ne dèi ricevere: so-
pta fossato o rio, cui la state acqua non manchi: di qaa e di
là dimeslichi campi, e coltivati siano massimamente di fichi:
dalle strade rimossa, bassa e difesa dal tramontando Il ter-

t nondimeno, Cancellò, • nonpertanto...


I afa.. ,'abbia. Le stampe., .. l'abbia I fare;.
I. ntoalao.lo. Le stampe: • mOnlat;J;loso ••
I un ìntarìamento mìnato. Le stampe: • un certo minuto jntar)amen~o.•
I e chiaro. n eod. M ba què'la poslilla ... E di lui .P. nel Mor. canto:19.;'
Cloll; Pttki, Morpnl., caD!. XIX ,.78; dove MorgaDle e Matgutll! raDDO ODO
....idioDa • un eande.llie.. .d; dII' piDi.ebe tronDO nelle ael...
E fece.l'un cOD un colpo cadere,
Dicenilo:uno sctridionCaraidi questo,
Qusl' allzo le Caremo UD cand.elli. .,
E rimarrassi ritto qui in sul cesto.
Alzòl. spada, e tagUolli il cimiere,
E Cece giù la cioccacader presto;
Poi fesse iDquattro il gambo a pocoa poco,
E appiccogli ìn sulla \'CUaU Cuoco.
e ,.n/umo. Le stampe, S.Dn ,.n.
7 in dI di R. Manca alle stampe..
a da plede, MaDca alle stampe,
328 COLTIVAZIOI'IE TOIlUNA..

reno divegli tre puntate, piantala daD' ottobre al marzo,


asciutta, senza luna osservare: le piante siano giovani, rigo-
gliose, con più barbe e pane di terra che puoi: tagliale tutte
tralle duo terte sobito, perché rimettano; e non ne,mancare,
e non por loro amore,eccetto il bossolo e il ginepro e I'olmo"
che non vogliono essere tagliati: concimala iosino al quar-
t'anno: lavorata, nettala, diradala, lasciando tre o C[uattro
messe, le più belle per pianta, e ricoocimala, e la state an-
naffiala se puoi, e vuoi vedere miracoli; enstodjseìla., e ,
mantiella alta e fonda, perché gli uccelli vi dimorino volon-"
tieri e sicuri'; pari di sopra, perché di vetta in vetta non se
ne vadano: con andari coperti,' perché .non alzino, ma stri-
scino e insacchino nella ragna. Ora diremo dell' ordine e
della cora particolare delle piante. Poni doppia ogni pianta;
un braccio l' addoppiature, e quattro braccia le piante lGD-
tane l'ona dall'altra.' In que' mezi, per totto, sanguine, prin-
eipal fondamento e ripieno della macchia: nel filar di fuori
molti e fitti ginepri, nocciooli e gelsi, che fanno buon' om-
bra, e turata S per impedire l'entrare al bestiame e.I'nseire
agli uccelli. Dentro poni piante varie, ginepri, allori, corbe-
zoli, lentaggini, lentìschi, agrifogli, bossoli, mortslla, lecci,
tigli, querce, sughere, olmi, ontani, alberi," vetrici, oppi, sa-
liconi, e totti gli alberi buoni a far cappellacci: a' qoali e a
tutti que' che non tengon la foglia melli al piedi 'Una vite di
raverosti o altra uva piccola, e nelle prode e lungo l'aqna,
roghi per far le more, primo cibo a gli uccelli, innanzi al san-
guine e al fico; qoalche rovistico, ma pochi, perché a poebì
uccelli la sua coccola piace e fa mala maeehìa, e col tempo
seceaggìnosa. Fichi senza fine, albi massimamente. Volendo
nassi o arcipressi, pongli piccoli d'ottobre tra le dua terre:
non gli tagliare perché non rimettono; matìenglì bassi. Al-
lori, querce, soghere e lecci seminati in boon divelli ven-
gono più presto che in altro modo. n ginepro, per la sua eal-
deza, e la mortella non s'appiccano agevolmente, però ca-
• 011110. Le stamJ>6' • ulivo.•
I l',,,,.. dall'alt~ ... Caocellò: • tra le.•
• e: ttiral4. Le IUmpe: • e lia tl'H'ltl.•
• alberi. Collie Itampe e i XII. Ma dubito debba dire. albatri.•
COLnV.lZIONE T05C!N••

vali con totte le barbe, co 'Ilor pane, o vero mòzo di tutta la


loro terra; eperchè non si disfaccia,' rinvolgili in canovaccio:
legali: e con' tal diligenza li poni. Gli allori, lecci, sanguini,
oppi, gatteri, agrifogli, lentaggini, sugheri, lentischi e simili
eosé"quando non abbiano il pane, si contentano delle barbe
con assai del vecchio. Il corbezolo, di più, vuole non cosi esser
giovane, ma di due anaì almeno: perché, dovendo esser CO-
me gli altri tagliato tra le duo terre, le sue rimesse non cam-
perieno. Il bossolo col pane e senza, s'appicca, ma gioV8J;lis-
aimo. Il sambuco, saleio, salicone, moro, ttocciuolo, ontano
~ olmo ,'appiccano senza barbe, come detto é per innanzi.
Molti omamenti e gentileza le si possono Care dentro e ,d'in-
torno, che non hanno altra regola che la searsella e la fan-
lasia del pa.!lrone. . •
LXXI. UcceUare. - L' uccellare o boschetto per tordi
richiede le medesime piante, ma il divelto più adentro, e
più concime, per dover essere in terreno piu sterile e dal-
l'acqua non favorito. Eleggi buon passo che pigli pìù vallo-
nate: luogo rilevato e piano, e senza posatoi d'intorno. La
pianta sia quadra; in ogni canto, quasi torrioni; una bertesca
con oapannucci sotto; nel mezo, la capanna con la bertesca
sopra e capannuecio, dove l'uccellatore stia a vedere, e sen-
tire, I e toccare meglio che sotto non Carebbe 4 nella capan-
na tra la gente che viene 'a vedere, e noia e sturba, e gli
stiamazi spaventa. Cigni di siepe Conda e serrata l'uccellare;
perché i tordi impaniati non la traforino. Metti molte piante
di querce con ellera al piede: perché ubbidiscono a ciò che
tu vuoi, I e vengon 'presto: pechì ginepri e manco 6 corbezoli,
perché sono a maneggiar dispettosi, Riguardalo dal bestia-
me: e tondalo a' lempi: e tienlo pettinato, perché di questo
è pio il piacere che l' utile] e' della ragnaìa il contrario.

I tli6fAedA. Le Illmpo: • ItritOU.•


I eo••• Nelle slampe maDCI.
• • • ""Ure. Lo Ilampo: • origliare.•
• .olto "o"fArehhe. Le llampo: • 000 sarebbe IOItO.•
• da
~ d. ,.. ~ ..ol. È il .irgili.Do:
!Il quU"""qnl ..... arte. baud Iarda &eq.e.l.r.
6 mA"eo. Le ltempo l • meoC!••
Il. 45
330 COLTIVUIONB TOSC~N~.

IÌIUB PRa IlBSB CRB SI DER no.


Gennaio. - Di gennaio semina legumi e agrumi, fl'fe
in sol vangato, piselli, robiglie, mochi, l'ecce, cicerchie, agli,
sèalogni, eìpoìììnì,' radice,' spinaci, porri, lattuga, finocchio e
cavolini; trasponi e &emina peschi e mandorli, ciriegi, cardi,
castagni, melaranci e tatti semi grossi; abeti, cipressi, pini,
nassi, allori, ginepri e tutte le piante; gelsomini, rosai, spigo, •
salvia, rota, ramerino, persa e tutte l' erbueeìe, e sparagi:
.annesta mandor1t,' alberaoochi, peschi, e se altro vedi mno- "
vere. Taglia canneti a luna scema.' E qui è da dire qnando
tu vedi molte canne d'ottobre con la pannocchia corta,
'aspetta vernata lunga e freddissima.
FebbraUJ. - Di Cebraio semina cavoli, zacche prima-
ticce, pastinache, maceroni, ceci, lente, prozemoli,' selba-
strella, terracrepoli, lattoga, cipollini, poni,' rocbetta, san-
toreggia, invidia, spinaci, radicchio, senapa, comino. Semina
viuole a ciocche, e tutti gli erbaggi, grano e lino marmole,
Annesta a marza tutti i frutti; Ca' divelti e poni canneti, viti, e
tatti i posticci; cògli sarei; pota gli alberi di tutte le sorti, e
le viti;. Ca' le .propaggiaì ; netta le colombaie; da' colombina
a' cipollini per venir presto; trasponi carciofi, e totte le in-
salate et erbacce.
Marzo. - Di marzo semina zucche, poponi, citriooli,
eocomeri, melloni, bassìlleo, porcellana, acìàmitì, maraviglia,
vivuole, sparagi, cardi, e tutte le insalate minute, e tutti i le-
gumi, e i capperi; semina, pont e trasponi, salvia, .ramerìno,
rata, talli di vivuoli; pianta fichi, annesta ogni frntto.? sarchia
i grani, poni e lavora i magliuoli, dà colombina, poni arbori
aquatici, e tutte le piante che non hanno ancor mosso.
~ cipollini. Le .tlmpe•• cipolle. •
I radice. Le llampe: .. radici••
S m .."dorli. Le st.mpe .ggiungono: ...eruoli.•
• Icem ... Le stampe .ggiungono: • da'li<enoa l'lnor.tori.•
I proaemoli. Le stampe: • preumolo••
• por,.i. Le stampe: • poponi••
, opifrutto. Il cod. Il Iggiunge: • El io bo Yistoquest'.nno due ciriegì
r.t1i .n l.osino, .nnest.ti l' &anop•••• to • m.n•• 50n beDi, rigoglioli. Del _
pore non endo che ci lia per Ineorl chi ne ..ppia ..... ilcDDa, •

•,
OOLTlVUIONB TOSCANi. /S31
Aprile. - D'aprile pianta ulivi, fichi, melagrani, coto-
gni, tutti i posticci: le vite lega; zappa, vanga e pianta; tra-
sponi porri e cipolle, e tutte l'erbucce; all'uscita sem.iDa pa-
nico, miglio, saggina; getta via l'uova d,i colombi. Annesta
- a boociuolo è scudlcciuolo sin a tutto maggio: sarchia gli or-
taggi e. giardini e le biade. Chi traspone il cavolo di questo
tempo, tutto l'anno ne viene;' e nel buco I dove ~o .mem, sia
concime spento.
Maggio. - Di maggio sarchia e cava il zafferano, e olto
giorni dipoi il riponi. 8elJlina cardoni: trasponi ogni erbag..
gio per la state, menta, targone, capperi; lascia per seme lat-
tuga, e ogni erba fiorita; le vigne radi e ribatti. Annesta
aranci, cedri, limoni, melangoli, e gli altri frutti, a bacciuolo
e scudicciuolo; cògli i capperi per metter nell' aceto; svegli,
spegni la marcorella delle vigne; stilla ogni fìore per odori
e lisci.' .
Giugno. - Di giugno sega orzi e fieno e grano; all' ul-
timo radi i poponi, e metti rena loro intorno, semina pani-
co, miglio, sagginella e cardoni,
Luglio• .:.... Di luglio acconcia l'aia: conducivi il grano:
quello che vuoi per seme, verderognolo; e imbucalo subito,
chè meglio nasce e cestìsee: semina rape e radici e scioversi:
uccellasi a tortole e ortolani.
Agosto. - D'agoslo fa l'agresto; semina jape, radici,
sassefìca, navoni, carote e pastinache; tendi archetti a'becca-
fichi: semina lattuga in un ìuogo magro, per trasporre per la
vemata; togli seme vecchio, che nasce prima.Cògli le pere
bergamotte a luna scema. Si dà licenza a' lavoratori. Per
nuova legge la dèì dare di gennaio.
SeUembre. - Di settembre lavora i giardini, semina ogni
erbaggio, poni cipolle, maligie con pula spenta, carciofi o ca-
volìnì, spinaci, lattuga, con lupini cotti, carciofi, eonchnandoli
a' piedi; serba i pippioni per metter nelle colombaie; accon-
cia gli uccellari; rincalza i vivooli col pecorino, e cògli l'uva

••• piene. Le stampe: .. a'ba tutto l'anno.•


I baco. Le stampe: Q luogo. Q
I e lisci. MOllea alle stampe.
"32 COLTIV~ZlONB TOSC!K!.

per serbare, fra l'una e l'altra santa Maria, I in di bello e


asciutto da mezo giorno in là: tienla un di al sole; mettila
al buio in su la Paglia e cuoprila di pampani; I cava quella
che vuoi di mano in mano, senza toccar l'altra: cògli il
finocchio.
Ottobre. - D'ottobre, subilo fatto la luna, poni ogni
frutto e ogni pianta con barbe, macchie, uccellari; cultiva
giardini e possessioni. Annesta a marza, trasponi vlvuoli,
dicono il di di san Francesco; capperi semina; le fave prima-
ticce; piselli, e all' uscita, grano. Cava le barbe del ghiag-
ginolo per seccare: cògli le mele cotogne, melagrane e altre
frutte.
Noomabre. - Di novembre rimetti le fosse: semina il
grano: taglia legnami per fabbricare e segare a 'luna scema,
in di di R. a Ricoopri i eardoni, l'invidia per imbiancare:
cògli le melarance, conservale in rena asciutta, nella volla:
cògli l'ulive; non l'ammontare, perché non riscaldino, se
vuoi l'olio dolce.
Dicembre. - Di dicembre dicono che nulla nascie che si
semini: pur semina orzo o fave in su la vanga, piselli e al-
tri legumi; finisci di ragunare l'ulive e far l'olio: pota gli
ulivi, é altri arbori da potare. Insala il porco a luna crescen-
te, che nel cuocere non ti scemerà: governa gli ulivi a'piedi;
dove é stoppia, dà loro coiacci.
f f~~ l'unA e r altra SAnta Ma~iA. Manco ane stampe.
I di pampani.. Le stampe: • e di poglio cuoprilo bene••
5 In di R. Le stampe aggiuogono: • se tu lo credi.;'

....
1133

LETTERE.

1. .Al mollo magnifico 6 mioonorevole me,"" Lu~i Alamanni,'


in Pua. .

Mollo magnifico messer Luigi mio osservandlsslmo.


Se voi fuste stato qua a udir quelle lezioni di cotesti-
amici vostri, io arei ferma speranza che egli vi sarebbe ve-
nuto voglia d'imitargli, e di fare insieme nn gran favore al
mio Consolato, di leggere aneo voi; percbè lo esempio loro' vi
arebbe molto commosso. Ma voi arete inteso da molti le
laudi loro, quali ad ognt animo nobile sono stimolo pungen-
tissimo, massimamente intra gli uguali. E per ciò spero a ogni
modo che voi per questa cagione, e perchè io ve ne prego
strettìssìmamente, ve ne abbiale a risolvere. A me certamente
Don potrete voi fare in questo tempo maggior cortesia, la
quale se io Don ho da voi meritata, tanto sarà maggiore e
più degna di voi, et io ve ne resterò tanto più obligato. Ho
voluto avanti al vostro ritorno dirvi questo mio desiderio,
accìocchè se voi nelli vostri. studi trovaste talvolta cosa a ciò
a proposito, la possiate Dotare e meller da banda per mag-
giore agevoleza. '
Scusatemi se io vi paressi troppo libero a ricercarvi di
I Tre lODO i letterati di queslO nome. 11più celebre è l' autore doli, CoIU.
"'alon•• morto esule iD Ambuos" alla corte ciel re crisli'Diuimo, il t8 ,pri-
.le t566- VD fratello di lui fu 190 di Luigi di Piero AlamaDDi, emato di otti_
lettere, greche e Ialine, accademico 60renlÌDo e alterato, lodato iD qu..ta Acca-
demia da Iacopo SoldaDicoDfuDebre oraaicne. ElleDdo egli Dalo nel t558, nrebbe
avulo Del t575, diciassette anni, Però nOD è probabile che questa lettera ,ia a
lui dirella; ma piuttosto a Luigi del senatore VinceD,io AlalDaunie della CaleriDa
CappoDi, che fu colonnellO'Dell'esercito fraDcese,. eensole neU'Accademia fiorea-
tina ntl t591.
, l' es empio loro. Il Salvini, parlando del conlolato del DnaD"li, non ri.
corda , contro il IUO lolilo, gli accademici che l....ro.
LEtTERE.

quesla cosa, perché de' pari vostri é gran carestia, et io vor-


rei dare nel buono. State sano. -
Di Firenze, li 9 d'aprile11571S.
Al comando vostro
BERNARDO DAV.lNZATI.

2. Al mollo iUultril8imo ngnor mio ossequiorisrimo


il si!lnor Gio. Yincenzo Pinello, a Padova. 1

Illustre signor mio osservandissimo.


Sono stato fuori della città, e non ho potuto prima che
ora rispondere alla complitissima lettera di V. S. de' 2" del

( Tolghiamo dalla prefazione cl.Wabat. D.na Croc., ehe primo pabblicò


'1ueata I.tt.ra, ciò ehe rif.rilc..i alla iIlwtr..ion. di .ssa (.edi .01. I di '1aeata
.di.ion., pag ••79 in aota): • Non ..rà mal. ind"flare chi fo..e '1n.1 s» Rlcc....
• Questi po""iamo con fnncheua asl.rire,ch. fOI" A,,'o.io Rlc.ob""..o di Bo-
• .ito, doUt>re 4.lr"". " r ./tr" r"IBio". et h,.".oni&1a d.llolladio di Pa-
• 40"", com••"0 m.desimo li 10ttOICri• • in data di Pado.. i i oUOMe ili9" io
• nna teltimonill. in favor dei gnmatid, che tro,,"i l1li. nella biblio&tca Ambro-
• alana. Egli Ivevi atrelU amiciaiaeon GiaD't'iuC8DEO Pinelli, come da 'Varie !et.
• te.. m... in detta biblioteea. Si acquiltò nome nella ..publica I.tteraria COIl
• molte opere date alla luc e, R.lta ad indo.illare 'lUlI fo... questa .laio•• d.l
• lignor RiccoLuono, a.venuta n.n'anno tli9i ill eui è .critta la I.llera. Noi
• ..ppiamo dal Ric.ob_o medè.imo,. dal Tom..ini, cb. Il.1 U7t, t4 mag-
• lio, '" eletto ani cauedra di llJIU1lÌtà nollo Itudio di Pado.a, da .. Iolni Occo-
• pala sino alb morte accadata n.1 tli99. NOIl tro.asi all.ra .I •• ione di .eruna
• sorta nella persona del Riccohuono sotto J'anno tli9i. Ben si aa, che Nicolao
• Cologno in '1ue.t' Illno medesimo, nel di 4 febbraio, a""cedette n.na pubblica
• lettara di 610106a morale al famoso .ra'lODa di Noria cipriotto•
• Veramente il Riccobuono coocorse In~: egli in quut' anno alla stessa
• carica; poicbè come professore di umane lettere presumeva che a lui, piuccbè
• ad ogni lItro, do..... comp.tere , ad""eendo probabilm.ate ill Illora quei
• motivi che in favore della lUI elusa Ia.ciò .critti dappoi in altra GCealioDe;
• cioè ..arie ragioni .d esempi, per cni la cattedra di rettorica non dee andar mai
• disgiunta da '10ella di 610106a moral •• Anai solFri.a ....i di mal allimo il ve-
.• d.rsi ant.polto il Cologno suo a..n ..rio, già d. lui, appanto ia 'quen' IIlRO
• stesso , IIlIi malmenato e cou inc1eSDi modi ripreso per uni aua siDg.llre opi-
• nion. intorno al m.todo d.lla po.tica d'Orazio. Questo conllitto I.tterario ee-
• citatosi con molto calo.. dlede occasion. a div.rsi scritti d' ImmdUll le parti.
• E crede appunto lo It ..SO Cologno, ehe la eoat..a piuttostocbè da dinrsità di
• I.ntim.nto, abbia avuto origine da li.or. del lIiccobllODO contro di lUi, per
• ...... Itato al med•• imo pr.f.rito nella cattedra di .tica: Non tibllrtlbu lum,
• qrUJd meu". de Hor,dlo iudieirlm lr,dibrio tilli elle oltend'..,.... Q"i~ vero
,. te impulerit in /n,ne malevolam ndve,.'111 me "nimlU7l.l eq4idem' eZ;6U-
LETTUB. lS3S
passato. Dal mio scartafaccio ho tratto li due fogli che sa-
ranno con, questa: da' quali lanquatll 'n 'ungue leo potrà co-
noscersi quel che sarebbe riuscito il tutto, ll8 io neB8i po-
tuto faticare.
Piacemi interamente l'elezione del signor Ricc."o per
'Ogni rispetto, nè crederei poterai meglio desiderare. La licenza
che billogBa di qua, intendo che sarà diffiei1e: io, DOft l' otte-
nearlo, noa ne 8crmrò altro a V. S., ringraziandola della sua
prollla il amorevole volontà.
Abbiamo avuto gran morfalità di poTeri per la fame, e
d'altri di peteeehìe; intra gli altri s'è perduto il cav. Gaddi,
padre di tuue l'arti nobili.; Riguardisi V. S., ebe qllesto è un
....0 molto minacciate da' Cieli. N. s.. Dio la eonservì. Di
Firenze, li: 22 di giugao tlSti.
Di V. S. L
servitore affezionatissimo
BEmuBDO DAVANz.lTl.

• mlUe """ "......", "hi forI. "'8"e IIolhU ..d Al'Ùlolelb Ethlc" i,,'.rp""
• I""dc libi peltoli _ "O" ".lenl.... P""'U"'''' u •••, reparr",,"'m etc•
• Ciò premesso, ..rebbe for.. il <:oochiodere. che il Dav.....ti falle atato
• ingannalo da uo falao romon della ele.lone del BiccobuollO' a quella eattedra,
• por ciii taoto a....a ed ioUlilllleDte brigato. MI come .....bbe egli. verisimile
• che DellO apnio di ~uall.o Dlui e me...o, lrascorsi dal. febbn~o al U' siugoo,
• aoa potesse il Dav.aazati essere. -Italo abbastlna iDltratto di tutte le nanale
• viceode7 Noo resterebbe duoqoe altro a cooghielluran, le 000 che il D"ao-
• aati abbia eon dò velute ioleoderai dell'e/'aio... falla io qoello a!eo.o OD-
• DO ff>91 dal Riccobuooo ItOIlO Della peraono degoillima del preocipe AI...
• lIodro Esteose per lo ricoocili..ione di ameodue, le parli io quella piucchè
• lattenri. cODtela •
• Finalmeot. que.ta Iettera aceeooa lo .. ~slia ed epidemil di quell'ln_
.. no f59f, per cui celiÒ di viver. aocbe il c".trii.r G"dtJl, patir. di 1..11. I•
., ,G,.1i nobili. Coteste calamità dell'Italia, e di Firenze segnatamente, ci vengono
.. descrilte dal Mnratori Degli ,1 ...."11 d' ''''lia, e da Giu,eppe Maria Ileeattl
• nella SIori" crono/ogl." d.ll" .iII;' di FI,...... Cbi fo.se eetesto ."."/i...
• Gaddl. lo pollillllO app~uder. da vari acrillori fiorenti.i, Basli fra lnlti An-
m...
.. gelO Haria Baodioi, il qnal. ho teaooto l' elOSio dell' ln famiglia Gaddi,
.. e nominatamente di qnulo, che è NlcolòG"ddl, 6glio di Sioibaldo senatore.
• cavalier di no Giacomo, .ignor di Riano, il qOlle mori nel dI U giugoo {f>9I,
• Anche il Sella_i_ Flo ....,I..., nell' opera iotitolata Nocw. i.'orlco-
• g..Hiogiclt.'ji....nJin e, co.i,lerm. N'/colò d.l ....10.. Sinil>aldo ili T"d-
• d.o. ,,"lo f2 ollobr. fINIT,...,a//co di ."" J".opo• • Ipor. di Rittno • tll
• pi_ d.ll:Obao, a",b".d"'o... al drtelaidi ~...r"r... di M" ..,..• • di Sa-
• .01", '•• IB". n.ll.. ma,..Ift.enatl. Mori f. g.ugno, tf>9f••
1J38

3. .da' illufre àgaor . . ~


il lipDr etJIJCIlier &«iD YlIIori, co•• ...-io iii PiIloi&.

lDustre Iigaor mio.


PensaTa e~ lIIeIllIer Tommuo &TeMe ragguaglialo V. S.
come io 08'eni li lIe1Idi 400 alllu l : il quale DOn si sa risol-
vere; e lODO a 1liia p6sla. n F~o mi dice non IO ehe
dificullà che V. S. ari nel permulare: perché quin ti alleD-
derà alla condizione, DOn aDa senlenza, e ehe ne ha avvi-
salo V. S.
Se io avessi buon occhi, come il PineDo ha buon lem-
po, conCorterei me slesso a quell' erta del Taeilo: ma io DOD
posso. Lodando io già a Franeeseo il disegno presentilo di
Roma, il mi negò: ImUtIM tJbut eh' ei rìeereasse, Que' vec-
chi, quando le cagioni erano minori, mi Cavorimo: quesl'al-
lri ne 8IUlno più. Governano l'Aldobrandino, e Vellorio del
R0880 antecessore del vostro Saladino. Pare ehe il Bartolino
'Voglia riconoscere il fidecommi880 di Sinibaldo Gaddi; e che
tra le sorelle, eredi, e fidecommissarii saranno molle liti per
'a morte di Giovanni Capponi. A Messer Piero Rucellai morl
la figliuola, e segue la mortalità qui e per luUo, e 'I grano
rincara. lo, con tutta la Camiglia sliamo sani. CosI di V. S.
desidero, e spero. Di Firenze, li Z7 luglio 159t.
-Di V. S.
aO"ezionatiss. servitore
BEIlIUIlDO DAVAJIlZATI•

.t. .Al mededmo, comminario in Pila .

Clarissimo signor mio.


Porlai snbito li scudi 80 al Cutini: I Cecene ricevula in piè
di quella di V. S: al Lnpìcìnìe! Carolla anch'io quando li riarò,
il che sia con suo commodo, e rimanderolla a V. S. A ritro-
4 tlD Malito ClIlini fa maellro de' cberici dell. C.ttedrale e ....domico fio-
"nlino, cbe .eri......ni nOli i1lO1eg.nli. Vedi NOflri, Sc~lt~,., F;o~eJttl"'.
P'S· 403. l'fOD è improb.bile ehe qu' Ii .ccenni. lui.
," . ' For.. è 'fII01 mede,imo "'nlon'o LDpieini • cai è iDdiriallo il SoneUo IU,
'lUI apl'rulo.

" .
LETTÉIlB. 1$37
vare il mio nel Condo della malizia, bisognano stromenti bel-
lici e non le careze, che si ragionano di lasciare per onorata
via di stralcio a lui medesimo tirare a fine come buono e
bello.1 O &empora, o more. 1
Ringrazio V. S. e la signora Verginia dell' operato nel-
l'aUro negozio, del quale desidero all'Agnello I risoluzione.
Iddio la conservi. .
Di Firenze, li 11$ di marzo 11$96 ab Incar.
Di V. S, clarissima
servitore affezionatissimo
BIIBl'l.lBDO D.\v.lNZATI.

IS. Al medesimo, in Pisa.,

Clarissimo signor mio.


Faccia V. S. coperta a a' Cal1poni: perché questi della p0-
sta aprono li mazi de' banchi, e le lettere ad altri cavano, e
mandano alle case quando vien lor bene, per aver doppio
porto; e non vorrei che le vostre, come spesso avviene, an-
dassin male. Non' ho cosa eguale:' ma l" esser libero si de-
sidera naturalmente.
L'incluso nome mi ha fatto careze, e dìmandatc! parti-
eulari" di mia ragaza," e della dote: gli ho risposto che ella
è in santa Marta,8 e dalle parenti di lui, che vi sono, potrà

I Inteadie AlIioe di riavere il mio da on Iruffllore, Lisogoa veoire alle


brutte e DOO usar careaie, come si vunebbe ch'io facessi alai. laseiaedo ch'elli
stesso , come .. fOl" un fior di saùoluomo, conchiadesse il DeSnaio per onontll
~ iadi .lrdcio.
I tllrAgnello, a Puqua.
a Ftlcci ..... cape"''': cioè, involga la lelhra in un altro foglio,. fa<eia la
10prascriUa ..i Capponi. Nel Lanco di costoro oegoaia .. il nannuli.
a egUIJle. Cali l' aUloSufo. La Ilampa del Maouaai ha • parlieolan••
8 dim....d.. to. La llampa del Mlou..i,'. domaodalo...
S pn,.'icul..rt, La Ilampa del Jrbouali, • particolari. •
, di mi.. r ..g..atI. La Calerina luafiglia, che poi li IPOIÒ a COlimo del se- '
nator MaUto Strolli.
. M.,.,•.
8 i .. 8a .. l. Il Maooi (Sigilli, voI. VIII, pagll. 96.tlU) riferisce
questa memoria, lasciata dal.enatore Carlo Stro••i": • Lattieri di DavaDuto D..
• vaDilli del popolo di 1I0la Trinila di Firenlll, l'aooo 1336, per suo Iu....·
• meDio lalciò, che de' suoi beni, in Un IUO podere pOliO Del popolo di "0 Mar-
•. liDO l. Montugbi li Iabbricasse OD mOD3stero di mODache COD oratorioa Del
1138 LBTTEIlB.

inrormani. !>ella dole direi a lui come io aveva già dello a


V. S., che alla facullà e.famiglia mia, nOB volendo dare a lei
la maggior parte, non doverrebbe 1 passare lS mila, che con le
donora é spese sene vanno in sei: ma farei quanto amici
discreti mi consigliassero. Replicò cile non aveva cosa alcu-
na, ma per quelle che polesser venirgli mea' avea doman-
dalo, desiderando farmi piacere: e piacere n' ho ricevuto,
pensando che sia quello che V. S. tmUa, di che aspetto qual-
che avviso. Dio la conservi.
Di Firenze, iI d1 29 di marzo 11197.
Di V.S. elarissima
servitore a6'ezionalissimo..
BSBIu.BDo DAVA.NZATL
6. Al mederimo, (A Pisa.
ClarÌ8simo sigllor mio.
Non ricerca la sua de' 22 allro che aspettare quel che il
mandato arà eonehiaso col zio. Credibile b, che voglia p.'.
Pero io eomincio a tentate altro guado cosl deslramente,
piacendomi più il primo in verità, e meno sperandolo, Finilo'
maggio, il signor Consolo mi scuserà. I
Le baie del popolo,che accompagnò alle Slinche il Ben-
cino, furon rinnovellale là entro obbrobriosamenle al Carne-
secco,· amico ollimo che l'andò a visitare. A Piacenza SOO
• quale.i .pendesse fiorioi fOOO, ed eredi Doinrsali fece i poveri di Cri.to, da 00-
• .minlr.i d'Sli .'''''O\ori di detto .00 to.tlmeD!O:· ed iooltre lasciò al.detto mo-
• DI'toro di f.bbri.....i, ..oggia ai"'JDO di gnDO l' .000 •••• l detti eseev.tori 00-
• miolrODo t. POVI" io endi di LoUieri, 1. quali .i .ootentlrAOO di lire 26 per
• allena,a, ed il restante lo lueiarono a' detti esecutori, percbè )0 diatribuillero
• .'poveri. loogbi pii ••ome • loro plress.: i quali tutto applicarono I detto
• . .0l1li.....0, ehe vollooo si chiama ... UDta Marta, • milit.... sotto la r.gola
• doSli Umiliati••
f La .tampa dolKaDDlli: • dover.bbe••
I Voole ioteodere del .oo.ole dell' I . .ademia fiOrootiDI, cbe io questo tempo
el'l Ia.opo DaDi, del "uale il Dostro fU .oosigliere .00 GiovaDoi Aotooio Popo-
lesabl, ID_ del T..a'/Pto dll/a Rapala, .bl fu pubblicato dal TargioDi sette
il DOmo del DavaDuti.
I Que.ti 000 può ...... il qmoso Pietro C.roeseccbi. de' coi errori e .tri.to
&.. plrll il Gallolli. Sto..ia della To......a, lib. Ili, ••p• .I. e il Tavaoti Del li-
bmto Falli all......li aU'inqlddaionl 1 .. "a .Io..ia g.ne..al. e pa..Ucola... di
7'osc« na. JrireDZe f 7S11, P'g. fU; Per eecbò .gli fu dato .1 'Dpplisio iO .ooi
l.vaoti cba fa.....ritta q....te lettera,
LETtERE. 1S39
passate le cose manco male che non si credeva, a',pagamenti
de' ritorni saranno le dolenti note. lo non ho che fare con
sospetti. Comandatemi qualcosa in buon ora, e state sano.
Di Firenze, li 10 di maggio 11197.
Di V. S. clarissima
servitore aft'ezionati88imo
BSÙARDO DAUIIZUI.

7. Al me4Mmo, "' Pi,a.

Clarissimo signor mio.


Per via ,solita, de' Capponi le seri lISi lIlbato passato. Glo-
vedi, nel Carmine, madonna Lucrezia Martelli, matrona delle
dame, I suocera di ll&berlo Davanzati, chiamò mia moglie, e,
dissele, Cosimo Medici, amicissimo di ehi si pntica, averle
domandato come a parente informazione di lJa; averla data,
e detto: Come cosi? e quei risposto: Basta, YOi saprete. Penso
venga dal medesimo lUllgo, e la speranza rlllgaTagllO.1 Tanto
più andrò adagio con Berlino Albi.i, e Gioliano Dagnesia già
intonati. a Soggiunse quella, che sa, che a Madama piacerebbe
più Fa", e s' oll'erse fare ogni ufizio se ci. paresse Il proposito:
dicalo V. S., chè io no'l veggo. Mi è parato bene che ella sap-
pia iltuUo.
, Un mese ch' io stessi solo in villa riscontrerei li cinque
libri' col Ialino per ultimo, ma non mi vien fatto: arei ben
caro, se si potesse, saper que'tre errori che di Roma le fa
scritto' essere in quel primo, per emeodarli.lddi.1a presperi.
Dj Firenze, li 17 di maggio 11J8'7.
Di. V. S. clarissima
aIl'ezionatissimo servitore
BIUllUlI80 DAVA"ZlTl.

l m..tro .... dalla d..me. Forse fu lilolo di _ tiri.. .li eerte,


I ~",,.Ptt,..o, ripi&lio. È fìeell .lIUIÌCII21 al veno Ili Dlale (I.., XXIV):
• Poi riede, Ila lperlll" lill8livl8al. • .
, S Gi'Ji.... o B ..gnOlI, senalore e accademico fiorealmo. FII 'ée!,'_ nel con-
10)110 di Filippo Del Misliore 1 U96.
• B'IÌi,,,,,,,..
II, li 'Inali fu geuate 81. ab ... lJllo.
a li c/rrq. . /lb~iJ cioè, di Toeilo, che futollO pubhMafidai Gillat'i.
, lafu scrtuo» IOroe da Adriano Politi,
Il.10 LETI'EllE.

8.

Clarissimo signor mio. '-


Da' motivi del Martelli e del Medici, e ragionamenti delle
'donne arguivo notizia e inclinazione in lui. Quest'altra pro-
roga dubito non lia ritirala,' per non dir no. Del partienlare
che vuoI chiarirsi, non vi posso dire il vero, se non lo so: e
voi non lo dite; se non forse implicUlJ, chè non lo 'ntendo. Pre-
govi che di tutto mi consoliate di ragguaglio più chiaro, per
sapermi megliò governare con gl' inclusi:' ove son gittate le
prime pietre, e non sollecito; ma se io saro dimandato, non
saprò, per queati infraddua, che mi fare.
Giovaste col :Nasi, né bisognava manco" seguendo iI re-
sto, Cibi ,,," accepCum referam.
, Che direte voi, che questaltri • quallro libri mi tornan
meglio'! Slate sano.
se l'anagnoste cagionasse lo scrivere scuro, mi racco-
mando alla signora Verginia • per una volta.
Di Firenze, l'ultimo di maggio 11107.
Di V. S. clarissima
,affezionatissimo servitore
BERNARDO DAVANZATI.

Poserltta. Ho pollza dalla Matrona, Che ritrae, che Cosi-


mo mostra non si risolvere, per esser piccolo:il padre piccolo,
e'I fratello Bostico piccolo, n crttUre dignum "C: pero non
mi parè che sia più da perderei tempo. I
f no. 8~it& ritirate. Le stampe: • D~D sia UDI ritirati .•
• COli gl' IIIe/IUI. Per non anlnu.rare i Domialla leuera, gli scriSle in un
rogliello ,a plrte; e lono • Uberlino di Cammillo Albisi; Giuliano di Simolle
Blgnesi••
• '1""lttlltri. 'Cosi l' o.igio~I.. ,
• L'originale ba on' abbrnialura. cb. nou si porgerebbe si prolllimente a
q...ta iaterpnU.ione, le UUI lilllOr(& y,,.,illiA aDa fOlle ric:ord~lo1 o1uebe iD
fioe della Letterl quarti.
B Chi Il cbe 000 neUt cbiesto a Cosimo qualcosa per qael bisl'CC9' di Gi....
IiIDO, suo figliuolo. e uoa iscbeni sopra una di quelle risposte ehe si danDo. per
noa di, aulla. Certlmeate ti pad"plccolo aoa può essere cbe ilnoltro Bernar»
41.. 0 ~ come lo chiamat"Do.·
LETT,EHE• Il''!

9. ..4l mede,imo, in Pisa.

Clarissimo signor mio•.


Sabato risposi a V. S.: dipoi m'è stato parlato di fare co 'l
Bagnesi un baratto permodo di considerazione, la quale forse
noli è da fuggire, se ben troppo tosto sarebbe al mio Giu-
liano. Dieami il parer suo, e trattenga, bisognando, l'amico
che tanto ha trallenuto; se, come io credo, non ha licenziato
con quella scusa non buona, come la informai.
Un giracapo, venutomì a san Francesco l'altra mattina,
m' ha fatto schiechirillare la inclusa carta, della quale V. S.
arbitra d'ogni mia cosa, mi dica quel che le occorre, e rifor-
mata me la rimandi con suo agio. DiI) con lei.
Di Firenze, li 28 di giugno 1191.
m V. S. clarissima
servitore affezionatissimo
BERNARDO DAVANZATI•

10. ..4l med!1simo, in Pisa.

Clarissimo signor mio.


Lessi il capitolot al Fioraia, t il qual disse che per l'ordi-
nario non arebbe mancato di suo dovere, e rimanderebbe lo
scritto,
La prossima,a crederò poter essere della pratica del Ba-
gnasi risoluto, che è di dare e torre; e ne darò avviso a
V. S. accìò risolva co'l R., e bisognando trattenga questo poco.
Penserei che bastasse assicurare col fidecommisso insino

• o«l'il%. NOD credo che sia UD capitolo in rima, ma piottOito DD capi-


tolo o paragrafo di lettera; com. parmi pOlSa rilenr.i dalle poro\e che seguono.
I a/ Fio~«ia. È (or.. Alberto della Fioraia, che (o eoasole dell' aecademia
fiorentini nel i600. NacqDt DelU3t e mprl Del iGOh r.. dotto .""ooltO, ed
ebbe dal principe molte cd onorevoli iaeumben•• pubblicbe. Alcuni suoi "ersi
\eSsoDsi tra le rime spiritolli del Varchi.
a I", ",.••sima, ..ttimana.
~ ~
a' nipoti e non più ollre; pnre mi atlerrò al consiglio di V. S.,
alla quale mi raccomando. Dio con lei.
Di Firenze, li 5 di luglio 1597.
Di V. S. clarissima
affezionatissimo senitore
BJWlUDO D......ldlun.
u. Al medesimo, in Pisa.
ClariaMmo signor mio.
Licenzi chiaro, e non COIl l'allangue, come ha fallo, e io
l'ho in leso. L'Al... l non riSfliDR al baratto," io H parlerò pii\.
Il Bagnesì dice per quaJelle &oDO DOIl n!erai legare, cosi mi
bisogna pensare ad altro.
Non mi pareva che si piccola COla merila8s& disposi-
zione alcuna, non che "ltra ",polU. Poro rimllllderò al netto
il latino, e aspetlerò l'emendalo da V. S. del quale non
uscirò. Amerei antica purilà; ma quelle cautele la guaste-
ranno: però forse sarà meglio lasciar correre all'ordinario. I
Una dramma, cioè un ollavo d'oncia, d'oro fine vale poco
meno di dieci lire. Francesco Cerrellllli ha maritato a Giro--
lamo di Sarri Mancini con 8500. Raccomandomi a V. S. Dio
con lei.
Di Firenze, li 11 di luglio 1597.
Di V. S. clarissima .
servltore aff'ezionatis$imo
BSUlBDO DAVUZA'D•..

12. Al medesimo. in Pisa.


Mollo illustre signor mio.
Per mano di Pieranlonio del Taglia- questi GiuRti ma.
dano a V. S. due di que' mia libriceìuell fi.nalme-'e finiti di
stampare come per allra le scrivo.
Questa sarà per raccomandare a V. S. Anlonio Guiducci
bidello di qui, che vorrebbe esser bideno di cosll. Ella lo
conosce, né occorre diffondermi a lodar la bontà sua: prego
IForse'JI<rlino Albini, ricordato nelle letlere prec.deA!i. -
!Qui parla certamente del 5UO Tacito: e ndi cba alla rigida gr_~
anteponeva la efficace natura. .
"3
V. S. che ancora per amor mio lo favorisca quanto ella può,
che spero potrà mollo con monsignor Capponi, e altri dove
bisognerà. Dio con lei.
Di Firenze, li tI) di .gennaio i!StIO.
Per lenil'la sempre
BEIlN.l8DO DAVAD.ln.

18.

Molto iIIostte sigDor mio.


Ieri le 9Crissiper la posta, cbellpediva alla certe, e mandai
lettera di Iacopo di GiOTaDDÌ Corsi al Biguor Pigaatla ia rae-
eomandazione'di Giuli8ll0 mio, che fu con altri cinque measo
in segrete, per far baie in chiasso pereamovale; e conescillla
la eaasa,qualtro t1Ironliberati, e Giuliano e 1Dl altro ril.ena.ti al
largo. Pensai per an poco di sbriglialura, come più vivi; ma
vedendo oonlinovare, le mandai UDa supplica in mio nome
come V. S. arà visto. Pregola che ne tratti CDI Sanleolino,t
che di tutto è informatissimo, e poi col Pignalta, che iDteodo
mi farebbe piacere; e procuri la liberazioD sua, come degli
-altri, poiché non ha altro peccato di più, che la colleea di
MinOll8O, che riRghia, perché della SIla barbara ferità asalali
la prima volta é stato lacerato.
Se il Lapìeìno é oetlli, V. S. lo saluti a mio nome, e lo
ricerchi di qualche impiastro, o ricelta per dare sopra allo
intonacato a certi canali per vendemmia ch' io vlKTeÌ fare 8
Campi, che giovasse Don solamente al DOn versare, ma aDa
crudeza della caJeina, che per due o tre anni dieone che De
piglia il vino. .Questo dico ricordandomi che egli ha per BÌ-
mili cose nobili invenzioni, e a Vinezia le dimostrò; e rac-
comandimi Y. S. a 'lui, si come io fo a lei. Dio la feliciti.
Di Firenze, li t9 di febbraio 1599 ab Inc,
Non dica V. S. più, che io non l'affatichi in qualcosa.
Di V. S. mollo iUostre
servitore affezionatissimo
BBR1UBDO DUANZATI.

I Non so se quesli sia quel Bastianc Sanieollnl che pul,b1icò il hbro Co.
4mianarllm actiontcm' ee,
LETTERE.

14. Al medesimo, in PiSf/-


Mollo illustre signor mio eccellentissimo.
Non mi potendo dar pace di quella sentenza della Parte,
vorrei tentar la revisione come -per la retroscrìtta boza di
supplica. Prego V. S. che men' aiuti con l'arcivescovo
quando sarà tempo, informandolo della cagione intrinseca, la
quale è, Che Gio. da Sommaia, quando mossi alla Parte, eo-
noscendosi che lo alzare non poteva tenermisi, mi ricercò
che io non lo facessi. E non l'avendo Compiaciuto, operò col
Lanfredino suo cognato, allora de' capitani, e col Vecchietto,
statomi sempre avverso nelle cose de' Capponi, e con l'Allo-
,vito che pretende da me per conto di mia madre, che face8-
.sino in modo che io non conseguissi l'intento, i quali fecero
-Impressione agli altri che io volessi alzare per gara, e non
per bisogno. Il Brignosa è obligatissimo a Suares cognato
del Medici, e benchè io lo allegassi per ciò a sospetto, e
conducessi tutto il magistrato in su 'l luogo, non ne fil te-
nuto conto; e approvato il suo referto: che approvò quel pri-
mo del Capomaestro, del quale non è alcuno che non si
faccia bell'e per quel discostamento delle braccia tre e mezo,
e li due capomaestri venuti coll' auditore in su'l luogo non
l'approvorno, come facendoliesaminare confesseranno. Quan-
do non ci fusse altro che quel fondamento del muro antico,
chi può mai tenermi il murar sopra quello? e quando non ci
fusse, com' è possibile che per comodo del vicino io abbia a
dargli tanto del mio suolo, della mia aria, e storpiare la casa
mia, che, volendo fare stanze, resterebbono braccia una e
mezo e non pilÌ?
Conosco difficile la revisione; ma nelle cose difficili s'ado-
-pera il valore. Però con V. S. ho preso questa sìeurtà, e a lei
mollo mi raccomando. Di Firenze, li 3 di marzo 1600.
Di V. S. mollo illustre
all'ezionatissimo servitore
BERUIDO DAVANZ.LTI.
Aggiugnetevi il quarto quarantotto I LIO Strozi che ha
Dnafinestra sopra la mia corticina. E tutti consilium {eceruftl.
c Del m,sistnto dei QnanDtollo.
LETTERE.

14$. Al Sermisnmo Granduc/J Ferdinando I.

Serenissimo Granduca,
Bernardo Davanzali con ogni riverenza espone, Che il
Magistrato de' Capitani di Parte lo ha condannalo a Don poter
murare in su'l suo meno di braccia tre e mezo discosto alla
stufa di Francesco de' Medici, e intonacare e imbiancare per
darle lume ben chiaro: Non ostante che una parte della casa
sua sia discosto dalla Stufa una spanna, e un' altra le sia con-
tigua; e che anticamente le fosse discosto, come per lo fon-
damento del moro appare, poco meno d'un braccio, cioè
quelli due piedi che le leggi permettono il piÌi discostarsi
dal vicino, e che l'uso di Firenze praticato sia che chi ha
finestra sopra tello, o corte del vicino la debba turare quando
il vicino vuole alzare, non vi essendo servitù in contrario.
Toccandosi adunque con mano l'aggravio, Supplica
V. A. Sm., che commetta la revisione di questa causa a quaì-
che dottore di Pisa, perehè egli non sia soffocato da' favori,
N. S. Iddio la feliciti.

V. S. potrà farla riscrivere e ritoccare, e metterei, se


bisogna, il Non ostante,

-16. AU' illustri.nmo " reverendis.imo Iignor mio colendi.limo


mo7Uignor Vescovo di Troia, Nun:io Apostolico in Napoli. 1

Illustrìss, e reverendiss. signor mio eolendlss,


Giuliano mio figliuolo, in questo cattivo terreno, per la
gioventù, ha fallo, come ogni altra buona semente, calliva
pruova, Però cercai levarlo di qua due volle, come ella sa.
Ora egli si trova a purgare i suoi peccati sollo Canisia. Ho
levato similmente di qua Carlo mio terzo ftgliuolo di buona
indole e speranza: e mandato in questa nuova ragione dove
f • Qaeslo Veaco..o di Troia, l'unlio Ipollolico in N.poli, è monlignor
Iacopo AIdobr.ndini, mealion.lo ne' F"611 Couol",.I, plg. 361, d. S.l ..ino
S.l..iai,morlo in Fina... il fO dim...o f606, lecoado cbe uago I..iolll.lo
d.ll' egregio "is....... Passerini. " (Monulai.)
4(1'
L'ITl'BBL

è interessato il Soldani l parente di V. S. Pregola strettamente


che ne pigli un poco di protezione , come tenero, nuovo, e
senza niuno che sia per lui; con fargli animo e favore ap-
presso alli suoi superiori, due de'quali, elle sono stati qui,
mi paiono discreti e gelltill: e oceorrendo cosa di momen to,
farmene avvisato. N. S. Iddio agumènti le sue felicità.
Di Firenze, li 3 di DGTeIIlbre 1691.
Di V. S. ill1l8triuiaa e reverendissima
lenitore d'ezionati!simo
BUN:UDO DUANUn.

17. ..4Z mollo mustre aigRor tIIto Stlapr6 -osm't1ll7ldiuimo


il 1ig1lOr BeUiltJrlo &/gariAi, "' SNfta.

Molto illustre 8Ìgaor mio.osllensndissimo.


Domenica passata eIrèi le lHpncooe I dettìssìme di V. S.
con piacere incredibile per la memoria che ella conlinova
d'aver di me, per le cose imparatevi, e per l' onor faUomi
di costituirmi per uno de' lettori e giudici della sua causa.
Della quale io mi allego incompetente come di troppo alta
specolazione, e sospetto come troppo sviscerato di Dante. Mi
è piaciuto ancora vedere approvato col fatto da V. S. e dal
signor cavalier Bargagli il parer mio, ch' ogni patria debba'
scrivere come ella favella, e favellare come usano i nobili,
quantunque forse men bene che un' altra, essendo di cìascuaa
ottimo quello, che l'uso (ehe delle favelle è il messere) ha
'Voluto accettare. Non mi par già che l'una con l'altra patria
ne possano contendere con gravità, non che bisticciarsi, e
spesso errare nelle proprietà aliene, DOn ben conosciute, né
indovinare quel che l'uso accetterà o no, poicbè la Tolgar
lingua che nacque di eerrosìone, tolta son, plebea, glllllma,
lazo, posatura, foodaceio, et f1Iid .,.11
,i 'Vede oggi alzata a
tanto splendore. La cagione credo io che sia questa. ~
, ,,1\ Soldaui qui aeeeanato ljil senatore Iacopo, aulore deHa satiro dtafoo.
nel vocabolario della Crusea , e nipote materno del detto mon s, Aldobrandini.
Vedi no' Falli co",ola~j il haogo eitiIO. " (~ .. )
I "Accenna il libretto del BuJguini iatilo1tlD: Ri,trov. _li. ,..~
10f'NI Dtnlte di3prdQtttda Gwo/a",o ZOl'tHo, .tlmpalo" Si.... poe Luca Bo-
lleUi l'aouo i60~, io-S ... (Manuui.) .
LETT&&L 1147
aaturale. è ch' uom favella: MJl. così, o O(IIì Nalura llUtÌ(l Poi
fare a voi, se.cOJlào chev' GbbelLa. Esce da llIl vivo ingegno Wl
bel dello. una bella voce; il popolo la rapisce, e mette in
uso: nn altm Della sua usata lingua, scrive mirabilmente; il
moado vi eorre, e lo imita: così gli scrittori fanno le liaglJ6,
çosì hanno i nostri fallo la nostra. Se altri faranne meg\W.,
il mondo correrà al meglio. Questa gloria s'acquista col fare
e non col riprendere, parrebbe a me: pure io mi rial6Uo.
Ebbi nel medesimo tempo da Roma l'alligata leggeada,l la
quale a V. S. sarà un magrissimo contraccambio. Quid eaim
contendat lliru1ldo Cycni&? aut quidnam tremuli& tacere .Iu-
!lus 1uBài Consimile in cursI' possint ac {or'is equi t1is? ~
La vista, che oglli poco ch' io l' alfatico. m' appansa,
non mi lascia Iìnire li cinque ~timi libri di Tacito, cile mi
restano a Iìorentìnìsare, Ringrazio V. S. quanto posso della
sua cortesia, offerendomi con sommo desiderio a moslrade
alcun segno di gratitudine. N. S. Dio la conservi.
Di Firenze, li 27 di luglio 1602.
Di V. S. mollo illustre
servitore affezionatissimo
BERNARDO D.lVANzATI.

18. Al medesimo, in Siena.

Holto illustre signor mio sempre osservandisslme,


Ringrazio V. S. della rìsposta sua pìeaa di amorevolasa,
e d'erudizione. Cosi è, come ella dice. che questa lingua del
volgo nata di corrozìone, è stata come il parto .dell' Orsa,
tanto con l'arte, e con gl' ingegni ripulita e ornata , che oggi
senza imperio, per propria virtù, tutto 'l mondo la stima ~e
impara, e come lingua vivente, potrà essere che salga an-
cara a W3ig~or petfClioa.e e grandeza ; aUa ftWÙ cosa sono
aUissimi gYmgeglri deIll't patria vostra·, che COli tanto stadio
pubblico e privato, e pìù ardente ch' alcun'altra, ci s'affatica.
Da.' Doslri aacora, se. Q.Q1l varranao tralignare, potrà sp8'arai
qullko8a. Né imperllm~ quelle poehe varietà e pr-oprietà ~i
I Lo Scisma d' lng!lilte,.ra.
I Lucr•• io, lib , 111.
LETTEIlÈ.

ciascuna patria che io diceva non doversi riprendere: sì


come non dee l' Inghilese bianco e biondo ridersi del Moro;
nè il MorodeU'Inghilese non rìccintoj! ma lulti lodare la Na-
lura che con tanta varietà ha falto quesl' universo perfetto,
e altendere a operare, e lavorare questa vigna. La quale a
me pare rimasla soda in quella parle che si favella, e non si
scrive, per paura d'indegnità, quasi indegno sia tutto quello
che non si lrova ne' lre Aulori che non hanno potuto scri-
vere tutta la lingua, e ogni cosa credo che possa entrare in
ogni scrittura a suo luogo e lempo: e dubito che per lroppa
soltilità e liadeza noi oggi non vogliamo perdere l'efficacia.
La semplice natura ha più forza, ed io per me le son servi-
dore. Mi dolgocon lei della comune indisposizione della vista.
Ogni cosa si logora che è mortale; ma i grandi ingegni si-
mili a V. S. sanno lrovare il IDQdo a farsi immortali. N. S.
Dio la conservi, e a me dia occasione di servire V. S. molto
illustre.
Di Firenze, il di 7 di seltembre 1602
Affezionatissimo servitore
BERNABDO DAVANZATL

19. .Al medenmo, in Siena.

Mòlto illustre signor mio osservandissimo.


Veggo che V. S. continova di volermi bene, poi che per
mano del signor Marcello mi ha donalo cosa a me si utile e
cara come sono -Ie ingegnose e dolte e squisite e brevi e
chiare osservazioni del signor Diomede,I delle quali ogni
scrittore si può con pronta agevoleza valere e onorare, mas-
simamente con sI solenne tavola•
• 11011 ,.Ice/uto. Seguo l'uempio del Maoulli, che qI1!lte parole, 11011
,.Icc/rdo, maocaoli all' origioale magliabecbiuio, ripooe Del te.to, .olla fede di
boooe stampe, Prima, percbò 000 buogoa correre a crederle arbitrio de' priroi
editori, lapeodo quaote volte il Nostro rucriveva le cos••ue, e le tormeot....
coUa limi. Poi aoche, percbò lebbeoe la loro maocao •• 000 ofhoda l'iotegritl
del coocetto, pure coo Il'' i termioi dell' IAtiteli 1000 piìllpiccati' • aebbeu la
loro collocaaiooe 000 sia aggiustata precisameDte colle llite del retore, pure DOli
è alieoa dal fare del DavoDllti.
• Borghe.i.
LETTERE. 649
Sia benedetta quell' anima, e V. S. per centomila volte
ringraziata. Con la quale per confabular sollftnente dubiterò,
lO Se tanta sottiglieza Ca men robusta la dimostraziOne, e
la persuasione, come la vita scelta la sanità; e il non IttJar,
ma"um ID tabula la pittura. 2" E se una lingua vivente si
dee ristringere a quel solo che si trova ne' lodati scrittori, o
pure allargarla a molte voci, o maniere buone non venute a
quelli in proposito, e arricchirla delle venute di nuovo, ae-
cettate da' lodati uomini. 30 E se ogni basseza in basso e
suo proprio luogo si può collocare, come pare che usino Omero,
e Dante: o pure se questo secolo, che del bene Ca belleza,'
Don le può sopportare•..(0 E se qualche volta si come un er-
rore di gramatica è virtù e figura, cosi una magnanima
sprezatura Ca efficacia e viveza. Arò caro- sapere che V. S.
stea sana, e molto a lei mi offero e raccomando. N. S. Dio
le dia ogni còntento. Di Firenze, li 17 di maggio 1603.
Di V. S. molto illustre! -,
servitore affezionalissimo
- BERNARDO D1V1NUTl.

20. Al mederimo, in Siena.

Molto illustre signor mio osservandissimo.


O Sol, ch, lII"i ogra~ villa turbata; - Tu mi contenti lÌ
quaftdo tu ,ol"i, Che non men che lllper, dubbiar m'aggrata.
Cosi sclamai pochi di sono, letta la sua de' 28 del passato non
prima ricevuta dall' asinissima posta. Però questi banchi De
faranno più cortesia. Rimango adunque a V. S. di tanta (a-
tìca e diligenza obligatissimo, e la ringrazio infinitamente.
Chi si sente da potere soperare gli altri che hanno scritto
delle cose medesime, può forse alquanto starne sospeso, come
Tito Lino (a nel proemio, ma non manearne, in pregiudizio
t eia. del b.n.f.. b.II...., che tira piuttolto al bello, allo .pecioio, che al
hUODO: e vuoI dire, che DOD ogDi parola bella iD .. è lempre buoDa, quaDdo DOlI
.ia iD proprio luogo. Però il No.lro moslra d'e...r COD Omero e COli Dallle, eh.
iII baui luogbi 11011 ildel"arouo parole ba..e. La CrlUca 11011 beli defiDiquuta
fra.. , il cui .igllificalo appari.c& allco più chiaro da questo luogo del Varchi,
810~•• XIII, i!, addilatomi da UD amico: • E di nro Ja cittade Il'è dinnula'
più bella, ma,,"coDdo cbe li crede, men Ulla, perchè s'è raUo del beo belle..a. •
e danno del mondo. Però non posso a hastaDza lodare la
traduzione di tutto Tacito I pubblicata ora in Roma! doppG J;.
miei li libri: alla quale però cbe DOn mi 8eDLo da potere
arrivare, straccerò i rimaDeDti che io, come avvisai a V. S.
a' mesi passati, metteva iD ordine, adagio come faallG i
l'eeclU. . E questa sollecitata preveuiOlle arà ~ionato &re
belli; rallegrato il mondo; insegnato a me; e guardato il li-
braio di damID, poicbè auehe la forma di quella stampa su-
pera ogni rispiarmo. Non ho bene inteso quello che V. S.
dice avere scritto a Roma sopra il frontespizio: pregola che
mi avvisi la risposta; e se io fossi nel medesimo erreee, per
non seguitare. Piacemi che ella li goda la villa, moUo ne-
cessaria a noi altri. N. S. Dio la mantenga sana,
Di Firenze, li 2lI di ottobre 1603.
Di V. S. molto illustre
servitore a1I'ezionatissimo
BEJlNUDO D1VdZ.ln.

21. .Alli mollo alfulrilltmi miei ouen:.andissimi signori


li signori Bellisario Bulgarini e Scipione Bargagli, in Siena.

Molto illustri signori miei osservandissimi.


Ringrazio le SS.VV.della molto grata memoria che quelle
tengono di me, come ho veduto per le lettere loro al reve-
rendo messer Agnolo Monosini, a e le prego a darmi occasione
di riconoscerle con qualche eO'etto, si COlDe io sempre che mi
si porga, la piglierò. Mi duole, amando io messer Agnolo come
fo per le sue virili, che il suo libro abbia dato disgusto al mio
signor Bargagli senza sua colpa, come egli a loro scrive giu-
slillcandosi, al quale mi rimetto, ricordando alle SS. VV. quel
detto di Dante, verissimo in questo caso: Vermnente più oo~
.ppaion COle, Che dan da d~bitar falsa malera, Per le "ere ctt-
gion che 80n nascose. Egli sempre ha riverito, e riverirà gli
uomìnì di tante qualità e virtù, con somma osservanza.
I Falta da Adriano Polili.
I Dal Zanetti. :1603.
5 L'autore dell' opera Floris Itaiica Lin/!"", libri nove",_ r.ndiil.
:1604; nella 'iuole eLLe mano a..ai anche il Davanzali.
I.BTTJlBB.

Una gran deboleza di testa non mi ha laseiato rivedere


il mio Tacito. L'aveva dato a questi signori Alterati; i quali
per altra occasione sono stati forzati a porlo da banda. E
tutto finito: idest cosa lunga, e forse non necessaria dopo
quello stampato a Roma: però DOn n ho sollecitati. Non avendo
altro da mandare aDe SS. VV., rieeTero Q favore e carità
che- t:U& Te~gano qlle8ta boza e mi avvertiscano di quel che,
occorresse loro per mio benefizio. E mi tengano nella lor so-'
Iila grazia.
Di FlrellZe, il di 23 di settembre 1884.
Delle SS. VV. molto illustre
Be"itMe alfezionatissÌÌDo
, BERNARDO DAVANZATI.

22. Al moltu Illustre sig1lOf' mio


6 ri!fllor CtJvalier Scipione Bargagli, i" Siefl(J.

Molto illustre signor eavalier osservandlsslme.


Non ha potuto il lungo silenzio seguito tra noi seemare
la memoria ehe io terrò sempre delle tante e tali qualità e,
virtù di V. S.: bene mi ha dato grandissimo dispiacere il nato
scandolo per quelle parole del Monosini, che posson parere
dette contra di lei; ma poi ehe egli se ne giustifica, e il dono
del libro mostra affezione, e non mala volontà, io desiderò
ehe V. S. se n' acqueti, e pigii la parte migliore, e eonsideri
quanto sia a proposito e vera la sentenza di Dante: Vertlllllftte
più roIte 1'OiOft COle, CM da" da dubitar (also matenl, Per le
eere cagfOft CM 10ft ftaScose. L'animo nobile di V. S. non pa-
tìsee ehe io eon più parole la preghi a lasciare ogni sospetto
preso intorno li; eiò; e l'alfezion mia ad ambidue mi dice, che
io liberi le IDeDti nostre da si poco grato ragiomnnento: e la
voglio ubbidire.
Questa mia fatica è troppo lunga a poter più affaticar la
mia testa fracassata, in rivederla sl come bisognerebbe; però
la donai all'Accademia, come V. S. ha veduto. Se ella mi farà
grazia del 8UO parere intorno a qualsivoglia parte di essa fa-
tica, non ho parole baslevoli ad esprimere la grandeza del
piacere che io ne sentirò, e dell' obligo che ne le arò. Fac-
11l1~ LETTE.L
ciami V. S. questa carità, non per mia merito, ma per sua
gentileza e bontà. E raccomandomi al signor Bulgarini qt"
tRilli Mr,C in fMduUiI.
Di Firenze, il di SO d'ottobre 160...
Di V. S. molto illustre
servitore alt:ezionalissimo .
BEBl'IABDO DUAlCun.

23. Al clarillimo rignor "'io oll/lrtlandilrimo


il .ignor Baccio Yalori, cOtntRellario tU Pila.

Clarissimo viro Baccio Valorlo


Bernardus Davanzatius S. P. D.
Gigas, an pumilio, qui melius retulerint quam Malespi-
nilB iUlB conviventes? Pneterea visendam Barnabe olim
obtuli. A belle gnaro expiscatus sum matrem virilem, acrem,
antìquì morlsfreminam: familiam invisam: hominem moro-
sum, avidissimum: male habilam uxorem nobilem, pulcher-
rimam, nimis comem, psaltriam, cytharistriam, amore (an a
viro 'eonfìcto crimine) captam, maternìs larihns fere conti-
nuo detenlam: eo desperationis adduclam,ut fassa sìt sacer-
doti moriens, id se a Deo maxime petììsse. Utra culpa!
propior pars velim agnoscas: naro quid faceret mem? quo
confogium miserae? quod solatium? optanda fortasse amee-
niora ingenia, et dolcior sangnis, Ego te consolo: rem totam
toae commiUo fidei et benevolentle, Mihi quidem hisce die-
bus A.... tuo, de reditu suo, gratulantì venit in mentem sìe
mecom cogitare: quin potìus aliquot nommorum millibus va-
lere iossis, tlbì honc, similemve alium qo~as? Id quoqoe
volui nescìns ne esses, QlÙd agendum tibi, expectandom mibi
censeas, ad me scribìto oralione paolo explicatìore, Vale. FIo-
rentìe, VIU. id. jun. JlXDCVlI•

•••
. ..

RIME.

-
SONE'ITO I. i
PER LA SABINA DI GIAN· BOLOGNA.

Rapir pien di desire e di sospetto


Sovrumana beltà giovine ardente,
Sè contorcersi e strider veramente,
Giurano i sensi e') crede )' intelletto:
Altri, d'antico gelo il cor ristretto,
Caderne a terra attonito e dolente:
Ma non s' aseonde all' erudita gente
Di tanta finzion l' alto concetto.
La gloria dell' intera arte divina
Espressa nel triforme simulacro,
Idea e norma a tutti i grandi artisti,
È, Gian Bologna mio, la tua Sabina:
Di quella ardesU; il lungo studio e macro
È il vecchio padre, a,. cui tu la rapisti.

I • I! 10llello • çilll Bologlla lui gruppo della Sabill', 11011 li grm eoa, •
• par li seale ilei aamero il gUllo sicuro di quel aecolo eleg,atilSmao,. T _
iDI"o I Dul.".rio •• 111'14:0. Vacai" U.&O, pago i~ voi. III da' Nuovi
ocrltU.

D.
soserro II. t

A IIESS~ MOOIO VALORI.

D' oro non già, ma d' infeliee entoma


Son le fila oad' io eento e caldo e gelo,
E molto 'l volto porto e 'l fianco anelo,
Si YOUIt dl!Iio dii GlICda e doru.
Qui non può lauro cinger la mia chioma,
Qui non virtù può sovralsanne al cielo,
Ond' io sol di me stesso mi querelo,
E dico: O Baeeìe mio, vedrem mai Boma?
Teco e col Benivien quiYÌ disegno,
Amico terzo a cosi cara coppia,
Viver, se '1 ciel non m'avrà sempre • sdegno.
Follia mi vinse, ed or da voi mi scoppia:
Vergogna mi ritien ch' io DOn rivegno:
E possenle dolore! il cor mi IlCOppia.

I Salrioo SaInDl, che fa il primo • pabLlicar questo SODettO De' saoi

lIliccolò Bargiacchi, cIilipDlt -sa- di 1Iu. cii


I Vu.- .. E per l"cro c1olorL ..
-S-
Fwl corrlola". 1"5. !30, ti " sapere cbe forigiDare fa presso il dottor
BnIE.

SONETIO III. l

A m:8sEl\ ANTONIO LUPfCOO.

Dedaleo ingegno, e solo a quei secondo,


Se mai ne furo, ad Archimedè eguali,
Nato a spiegar dell' intelletto l'ali
Per arricchir d'invenz'ioni il mondo,
Già la proporsron tra 'l quadro e'I tondo,
E 'I moto eterno in queste apre mortali,
E qulstìon geomètre e lIaturali
Cercasti eon pensier fisso e profondo.
Ora a: difenderle cittadi e i regni,
Le schiere armare, offender il nemicoI
La vita ornare e far beata in parte,
Volte son le tue macchine e disegni;
E poi che hai 'I cielo e 'l signor nostro amico,
Segui, Lupicin mio, si nobil arte.

.j I.etJpai 6tampato, CQII' Wl scneuo di RafFaeno Dorghini, .Ib ~ 8


dellihro intitolato: A~chile/l"~a mtlìtare con alt~i awe~l/m ....tt "p~
.enti alla Bae~~". di Antonio Laptct..t. impreuo ÌII Firen.. app""••o
Gio~Bio Ma~elcoIU. i58S, in4. Luigi Carrer riproducendo quel(' operetta
Dell' Arte mi/Uare~ dII pQ.rii auto,.i~ Y'lIe.ia~ co· tipi del G01fdoli,,,,.1 -18-'0, .
riporta, do' due louetti, queato 1010 del DavonlOti, ItimaDdo che ciò potrebH
... del tuu« .pillce~e. \Vedi la prefuiolle, pago vu, in nota.)
Il118 IlDlB.

SONETTO IV. l

.,
A MESSER BENEDETTO VARCHI.

Il cor gravato e l'occhio infermo e bruno


Posi e fissi nel mondo, e i frutti suoi
Cercai tra spine e sterpi, e quindi poi
Fuggito ancor non mi districo e spruno.
Lasso! e vien che 'l veneno aspro importuno
Della puntura ria mi reste e nòi,
Se dal santo spirar, ch' è sceso in voi,
Non mi vien segno di speranza alcuno.
Ma 'l tesor vostro in cielo or si raguna,
Ove non rode tarlo o mano invola,
Né volger di pianeta o di fortuna,
Varchi, e (ama di voi perpetua vola:
Non più 'l nemico in voi forz' ave aleana e
Voi 'l mondo onora, e Dio lustra e consola•

.. & atampato tra i So..etti 8pi~ituali del Varchi, Firenu, Ginnti, U73
in-i, • pago 99; eil è i.. risposta. al sonetto del Varchi che comincia:
IDDioli llori, e aGA iDee, .' a1caDo.
BUIB, 1S1S7

SONETIO V.l

A MESSER BENEDE'M'O VARCHI.

L'ombrose valli e 'I dileUoso monte,


Varchi, e gli aprichi colli e 'l bel natio
Verdeggiante terreno e 'l aure e 'l ri'o
Ch' esce del cristallio liquido fonte;
Di maraviglia m'ingombra la fronte;
Mapiu quel dotto ragionare, ond' io
Cosi alto levai l'ingegno mio;
Che ancor mie voglie ne son vaghe e pronte.
. Né potea ricercando Olimpo e Calpe,
La nuova gente, il NH, l'ultima Tile,
Gioia trovar quant' alla Tana I io vosco.
Avventurosi rio, pian, boschi, aure, alpe,
Ch' aveste che di voi scrisse il gran Tosco,
Felice possessor Landi a gentile l

I Su Della _oDda pam, pago 70, De' So"tttl di M. Benedetto l'a;"


cM, Fioren .., iooo. per L. Torrentin.o; ed è iD rilpolla al I.DeUo cbe
~Ol'Dincia:
Beralrdo, il pilDO, il colle, D 81lIIIO e '1IDOIlle.

I Luogo di dolioie di AoloDid Landi, do.e spesso loleano lrovani insiemI!


il DaVaDoalie il Varchi, come raccogli..i da più luogbi delle rime di qnell'ul-
limo.
5 ADlonio Landi fn due volte coniolo Dell'Accademia 1i0reDtilla, nel iMe
• nel noo, Alcuni luoi IODeUi lono Ira quelli del Varcbi.

~i'
lSIS8

SONE'IT{) VI. S

A U&SER BElfKDUTO "VABr:RL

Quella nemiea mia ehe sl m' aeeora,


Varchi, de' pensier miei la chiave ha seeo,
Ne' citi begli oechì rimiraado aeeìeeo,
E 'l oer paveata, e 'l viso 8Ì soolorL
Non tante volte amor mi punge egn' ora
Quante quell'erbe, aure, acque, ombre, antri, speco
Di riveder desio,' e penso meeo ,
Che debbe fare il mio gentil Varchi ora?
Che mentre il sole arde la terra e 'l cielo
E forse il cor pien d'amorosa iìaDllnI
Empia febbre' crudel l'iDceude e 'nfiamma?
Ma se :beli chiusa sta ìaIanguido velo
L' alma, di sua virtù non perde dramma;
Virtù non sente mai -calcio né giekl.

"I . . . . . . . Il aDllellO:
. .-mafia. pIt ~hmmI op'Oft;
:
e lei...;.· coaM p_ i .due cbea.,uoDO, .ad cit.1&O .li1Iro de' Sooetti del
Varcbi. .
d n.

.saNETl'O VB.. l

A. Mlssm BENroETl'O lARCRI.

Non ha l' Aftbia tanti ~att ~dori,


Né l',.A6lea e la Libia arene et aspi,
:Men, credo, nevl i Rifei mentìe i Caspi,
Men, oredo, erbette il mllUutino h'rori;
Né lumi il oielo Tnl1anzi a' primi albori,
Né OBdeAme, Ebro, Ben, -Gaftge, lodo, Idaspì,
Né Persia ostra, or, zaffir, perle, ambre, laspi,
Né tami ha vaghi l'iride colori;
Non ebbe il Minclo bianchi ~ dolci cigni,
Né mai tanti tesori ascosi il mare,
Né Sieitia tiranni empi 'El sanguignI,
Né tante ha il cielo alme beate e care,
Né tu, fancbjJl6 dio, tant' alme 'slrigni,
()uanle Ba ta Tana doti altere e rare•

• ;A '1Dc.... ri.poude i1 Torchi .,.,1 ,oDetto ehe .,.,mia"'"


Chi dogDamonle ",alla T.... oDori.
1NI0

SONE'ITO VIII. I

IN RISPOSTA A MESSER BENEDETTO VARCm.

Dietro all' error che mi dà guerra e pianto,


Varchi, le rime mie son disviate:
Né potrien dir de' duoi, che voi pregiate,
Né dell' usato orgoglio al pastor santo
Nobili oggetti, e sol dal vostro canto:
Ma se le istorie nostre abbandonate
Dietro a questi pensieri; ohimè che fate?
Lecito sia con voi sfogarme alquanto.
E potete soffrir quel che si legge
Scritto di noi e vano e falso e rio?
El è chi '1 crede: e non chi 'l corregge?
è

Date ormai fine al gran lavoro, e pio.


Esca la verità chiara: lampegge
Grata a Fiorenza nostra, al mondo, a Dio.

f Quuto lonetto e il aegaenu lon levati dai MII. ll.inuc:cini,ni, on


:Magliabecbiani,e leggonli colle proposte del Varchi, in una cartella legaata cii
UO 3, dave lODO raccolte altre rime del Celliai, del BusiDi, dell' Allori, di Lutlu-
Ionio Ridolfi e di Piero CarDlllcebi. La propolla cielVarebi è quelta:
Fotte ,,01 qui, BernardiD mio, che tanto
D' &l'amar l'Di medesmo ogn' or brigale,
ADIi l'oi llesso agn' or tanto ."aDllte,
Ch'ogn' un qua.i l'i cede il primo \'loto;
Do,,'io con roco ltil strido, Don canto,
Il Lemi e 'I Sorbelloo, voi. con pregilte
Rime fareste Il, più d'altre omlte,
Ch'all' Arno in,idi, anebbe e ti Tehro e 'I SaDto.
E quel mal Dito, e mll l'i'9'olo gregge,
Ch' Il suo celeste Ircl1imandrita Pio
Voleva, slolto, Il 1\ erede. por leg(t:e,
Saril certo, ehe mai DeIIuno oblio
U da.nno e 'I mnor lUO ICUlceU.r deBle
Quanto rinlo Silt6 \' armi e ranlo.
BIME.

SONE'ITO IX. l

IN RISPOSTA A MESSER BENEDETTO VARCHI.

Creò natura in bel sembiante umano,


Varchi, un' alma, ove poi tenne altrosti\e,
Ond' io ben fragil PBTU oscura e vile
Quasi gemma mirai con occhio insano,
Alzar la volli: e mi pareva umile
Esemplo il sol, non che l'alto Ercolano:
.Ben grido, e star non 080 or queto e piano.
O indegna lei, o questi almo e gentile I
E s'elle son domande, o cieli, oneste;
Perché non da voi sempre unite uscire,
Ma virtute a beltà raro aggiugneste1
Crudel Amor, tu perché fai ch' io miro
Ignobili alme a darmi ogni mal preste.,
E pure or questa or quella ardo e sospiro?

c Lo riapo.to A l SileNte 11011......0 è lo seguente:


Demardo mio, 18 'l dolce vostro am&JlO
Cortese cor Don ha cangiato stile
Di pregiu quel che spngia, e lener Tile
Quanto più preua e cera. il l'algo iD.s.no,
QQando'I mio tanto altero a tanto umile
V' appane quasi 101 ehllro ErcoJam,
Non dicestetn l'Di tacito El piano:
Mai Don l'idi 'l pià bello Il'1 più. gentile l'
E quando poi l'alte parole oneste
Da perle e rose cosi dolci. usciro,
E '1 più .aggio e'l IIliilior llOO .,gim>g"?
Questi ~ colui oh'io veggio oVUDebe miro,
Dopo le frondi a darmi ogni ben presi.
Ch'or per "CariA, DOn più Carin, sospiro.
162

MADRIGALE. I

In questa tepid' onda


Nuov' angiolello e bello
Sopra gli omeri a guisa: d'asinello
PortaDdo or questo malfattore or quello;
Gloriosa e gioconda -
Era la punizìon del fallo rio.
Ciascun n'avea desio
Per premio ancor di sua Yirlud~ o morte;
Onde il buon padre esperto, .
Perchè viva il dover nè si confonda,
L'ordin dona a' più degni, almo.decoro,
Del bell' asino d'oro.

EPITAFFIO I
PEL SEPOLCRO DI ANDREA DEL SARTO.

Morto Andraa, la Natura,


II: Vincer tu me'!» disse, e c.ronUa testa:

E cadde la Pittura
Velata il voltoelllUlgue; e Cosl resta.
t È stampato Del $ag~le di .Rime di diperti bdo.' aqlo,.1 cM fi0,.,,.o.,,
ne/XIP /ino al X PIII ",010, F."...... aoIia 6I4ntP;U'isa,.Ron.hi. C•• -1825,
p.g. 237. Nella prefaa_ I pago EXTdieaai eatnUo da'lIIlllOdiee apparteDuto a
Luigi Poirol, oggi m'llliabeehiaDo, iDlltolalll' llUtt. di .....,..,. NOD ....ado
stato pcssibile di ritrovar '1... 110 codici, DllD Illl plllllto _orarmi se questa è
...eramente la geDuina lnionl.
I È riferito d. Raffaello Dorghini nel Rlpoto (Fio,. ....... MarescollJ, -I5S1,
pago U7), on .i legge: • Ma Bernardo Da"anuU hDomo di grill "aIore neUo
.. scrivere, come li la da eia,cLlDo,e che beD CODOSce i meriti di Andna I ba IO-
• pu di lui falto queslo epilallio, ee:. io -

•••
APPENDICE.
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I
1S6l>

AVVERTIMENTO.

Parrà forse ad alcuno che non valesse il pregio di trar


fuori questi frammenti da un malconcio e confuso mano-
scritto (vedi la Bibliografia nel vol. I, pago LX, num, 4), giu-
dicandogli di lieve o niun conto, e sdegnandosi che, per
falso amore, mettansi in vista anco le quisquilie de' buoni
autori. E certamente questo è grave nè raro fallo. Ma se
queste inèompiute scritture.e brandelli non fanno ricchezza
al Nostro, non mi paiono inutili affatto agli studiosi: prima.
perchè, se non vi son lampi, v' è pur sempre molta lucidezza
e grazia di dettalo; poi. perchè servono a conoscer meglio
l' uomo, le sue lellure, i suoi studi, le sue inclinazioni,
l' indole insomma; ed infine, perchè son poche pagine, nè
sarà gran danno s'io mi sia ingannato. Il primo frammento
è, per la maggior parte, un estratto d' Onofrio Panvinio De
septem ecclesiis; opera tradotta già dal Lanfranchi (Roma.
per gli eredi d'A. Blado, 1570), e un cui ésemplare con
postille manoscritte (alcune delle quali mi paion certo del
Davanzati) è fra' cimelii letterari di Pietro Bigazzi. Non pare
che il Nostro.volesselimitarsi a compendiare il Panvinio, ma
compilare in due libri un' operetta sulla sola chiesa latera-
nense, raccogliendo da più e diversi autori, come si vede
dagli argomenti e distribuzione dei capitoli che gli restavano
a scrivere. accennati a pag. 582, e dai frammenti lI-VI che
sono abboZzi d'alcuni di essi. Forse formò il disegno di que-
sta operetta in qualche suo pellegrinaggio a Roma, perchè
alcune postille del citato libretto del Lanfranchi sembrano
Il. 48
568 AVVERTIMENTO.

scritte sulla faccia dei luoghi. A un desiderio di Roma ac-


cenna anche il sonetto Il a Baccio Valori. - Degli altri
frammenti, il più importante parmi l' estratto del prezioso
libretto di Vincenzio Lirinese, dove sono alcuni tratti che
rivelano veramente la mano maestra del Davanzati, e fan più
rincrescere che manchi l'ultimo pulimento a questa scrit-
tura che sarebbe stata vero gioiello per l' utilità (specialmente
oggi), e per l' eloquenza. Ho chiuso quest'appendice colla
R4gnai4 del Popoleschi, sl perchè un tempo fu attribuita
al Davanzati, sì ancora perehè se quello scrittoreè lontano
nello stile, pure nella lingua e in certi parlari si mostra
buono scolare del Nostro.
067

FRAMMENTI INEDITI.

I.
FII.uIME~TO 8TOII1CO SULLA B.t.SlLICA LATEB4NEl'iB.

PROEMIO.
Nellè antiche scritture si trovano tante riverende me-
morie, e piene di maieslà, della basilica Lateranense, ehe
meritamente ha il titolo di madre e capo di tuIle le chiese.
Però intendo 1 ritornarle in' luce, essendo dal tempo e negli-
gcnzia quasi spente. . .

LIBRO I.'
CAP. 1. Del" IS basiliche, 28 titoli, 18 diaconie. di Roma.

Nel libro chiamato Provinciale, che è in Camera aposto-


lica, si dice che in Roma furno deputate dalIi antichi ponte-
fici cinque chiese principali, le quali, dalla grandeza, bel-
leza, riccheza e dignità, chiamaron Basiliche (che in greco
vnol dir Regie) e Chiese patriarcali; et i palazì a quelle con-
giunti, Patrìarchìe, Queste furono: la basilica di San Silve-
stro, della eziam Constantiniana dall' autore, e Lateranese
dal luogo, et Aurea dalli ornamenti, et oggi Santo Ioanni
corrollamente: la basilica di Santo Pietro in Valicano: la
basilica di Santo Paulo, fuor delle mura, nella via Ostiense: la
basilica Liberiana, alias di papa Sisto nell' Esquilie, della
Santa Maria Maggiore, o vero al Presepio: la basilica di
. t intendo. Il Ms. par cbe dièa intende, e farebbe sospettare cbe anche qoe-
110 proemietto fosse compendiato da qoello del Pallvioio: ma avendo veduto
quello riferirai aUa ,s",t. ciii". di Re... , e DOn alla sola Lateraaeale, Ilè
avendovi uovato traccia delle idee qui espresle, ed iaokle raccoSliendoli da
questi frammenti che il No.stro Don compendia sempre il Panvinio, ma ~atco­
gli<!da "'0 que'loli materi.li che faano .1 .oò soggeUo; però ho creduto che, se
proprio di", i"tend., sia uno _ne di peaDl.
I Nell'originale maaca q1lt6&a diviaioae di Lib~o /; .. a vi dev' euere,
trovandosi più avaati accennato il Ltbro Il.
lS68 l'RAMMENTI INEDITI.

Santo Stefano e San Lorenzo, fuor delle mura, nella via Ti-
burtina.
I
La cagione, accìè che queste fussero la residenzia de' cin-
que primi patriarchi della cristianità. E fu data, quella in
Laterano, al Romano, che stava in Roma per l'ordinario;
l'altre, alli quattro patriarchi forestieri, per quando venivano
a Roma per li concilii, o per altro: San Pietro, al Constanti-
nopolitano; San Paulo, allo Alessandrino; Santa Maria Mag-
giore, allo Anliocheno; San Lorenzo, a l' Ierosolimilano.E
perchè a Roma, capo dell' altre chiese, si convenisse, furon
poi per privilegio aggiunti tre altri palriarchi, Aquileiense,
Gradense e Venelo, senza chiese in Roma. La chiesa è una:
il principal palriarca e capo delli altri, fu il Romano; però
a lui si facea concorso. Patriarca fu chiamalo un lempo il
pontefice romano.
Per queste cinque chiese si vede, che Roma rappresen-
ta, e in lei risiede tutta la chiesa Cristiana, e che ella è capo
di tutta ; poiché le membra sparse per tutto 'l mondo, ven-
gano a unirsi in lei.
Il patriarca di Roma, al quale tocca Laterano, è capo
di tutta la Cristianità. Pero Laterano è madre e capo di
tutte le chiese che sono in tutto '1 mondo cristiano. L'altre
quattro chiese significano le quattro parli del mondo, orien-
le, occidente, meridie, settentrione. Questa superiorità. del
Lateranense si vede dipinta nel palazo di Laterano,
I ponlefici romani abilarono in Lalerano mille anni,
da san Silveslro che edificò quel palazo, sino a Clemente
quinlo, che andò in Avignone; e dopo seltant' anni tornato
in Roma Gregorio undecimo, si messe in Vaticano, dove
sino a oggi abilano i ponlefici, per la oportunìtà della mole
d'Adriano, convertila in forteza.
Al servizio di questa basilica laleranense e del romano
ponlefice, per la sua dignilà e maiestà e preminenza, furon
dati sette vescovi delle sette vicine città, che ogni seUimana
dicessero messa allo altar grande, un di per uno; et assistes-
sero al ponlefice quando egli celebrava. E per questa dignità
e differenza da gli altri vescovi, furon chiamati vescovi car-
dinali, cioè principali; presa la simililudine dalli quattro
FR.lMMENTI INEDITI. 569
l'enti cardinali. E questa instiluzione è molto antica, legqen-
dosi nèl Bibliotecario, nella vita di Stefano quarto, dello
terzo, che fu creato nel 768, queste parole: Questi ordinò,
che dai sette vescovi cardinali ebdomadari, li quali hanno cura
di dir le messe grandi nella chiesa di san Salvatore, ogni do-
menica si celebrasse sopra l'altar di san Pietro, e si cantasse
Gloria in excelsis sopra i gradi per li quali si entra al!' altare,
dove san poste le immagini nel {rontiSpicio. l
I selle vescovi cardinali ebdomadarii furono eletti per dir
messa; cioè: l' Ostiense, la domenica; Silva candida, o vero
Santa Rufina, lunedi; Portuense, martedi; Sabino, merco-
ledi; Prenestino, giovedi ; Tusculano, venerdl; Albano, sa-
bato.
AI servizio dell' altre quattro patriarcali furon final-
mente assegnati selle ministri per ciascuna, non vescovi,
come alla lateranense, ma preti; e furon delti presbiteri car-
dinales, a differenza degli altri preti.
A ciascun di questi preti cardinali, che erano ventollo,
fu data in cura una chiesa di Roma; e queste furon chia-
male titoli e chiese titolari, perchè davan il titolo a' delli
preti cardinali; dicendosi, il prele cardinale della tal chiesa.
In quesle venlollo titolari chiese solamente era cura
d'anime; però ciascuna aveva molli clerici ministri, subdia-
cani, diaconi e preti, II capo di tutti, crealo da loro o dal
pontefice, si chiamava cardinale, cioè il principale e -più de-
gnodi tutti i cleriei di quel titolo.
Avendo san Piero dalo buon ordine alle cose della fede
di Cristo in oriente, e massime in lerosolima et in Antio-
chia, venne a Roma per far il medesimo; et elesse qui an-
cora alcuni vecchi uomini, buoni e fedeli, pieni di sapienzia
e di santo spirito, e ponendo lor la mano in capo, gli creò,
parte presbiteri, parte diaconi, per servizio e minislerio
della crescente Chiesa, non potendo egli solo supplire al bi-
sogno-Dìvìs« gli offizi: ai presbiteri dette la cura dell' ani-

f Il DaV3Duti riferisce, e Don interamente, questo 'Palio di Analtlsio Bi-


bliotecario nel testo originale latino. Ho credulo bene rirerirlo lnuro e tradoue
do .lntooio Loofraoehi, conferme legges i nel raro libretto del Poovinio sulle S.lle
chiese" da lui YOIJ::3Tir.uto.
43'
lSiO FBA.!11IlENTI !NEDnl.

me, porgere i sacramenti, orare, predicare; non avendo an-


cora vescovi: ai diaconi, distribuire alle vedove, pnpilli,
poveri fedeli le limosine che erano fatte in man loro, et assi-
stere al servizio de' presbiteri ne' sacrifizi. Non era molto ne
certo numero di questi. Ma Cleto pontefice, venticinque
preti, et Evaristo sette diaconi, nella romana Chiesa institui-
rono, Evaristo ancora (che fq il quarto pontefice dopo Pietro,
intorno all' anno C), per levar confnsione, distribuì li titoli,
e come ora diciamo, le parecchie, a venticinque preti, po-
nendo ciascuno al governo della sua, senza impacciarsi del-
l'altre. Crescendo poi il numero de'cristiani, non poteva un
prete solo supplire alla parocchia sua. Però fece Igino, deci-
mo pontefice romano, che in ogni titolo fussero più clerici
e preti; e di qui forse ebbe origine che il principaì prete di
quel titolo si chiamasse cardinale. Crescendo ancor più il nu-
mero de' cristiani, Dionisio, ventesimosesto pontefice romano,
circa l'anno di Cristo 260, accrebbe il numero delli titoli e
parrocchie di Roma. Marcello, trentunesimo, Bel 3OlS, gli li-
mitò al numero di quindici. Cessando poi le persecuzioni e
crescendo la fede, i seguenti pontefici crebbero il numero
de' titoli sino a ventolto; il qual numero e durato insino
a' nostri tempi:
Questi ventolto titoli presero i nomi, o da alcun santo,
in onor del quale furono dedicati, o da quegli uomini che li
edificarono; come Calisto, Iuìio, Damaso, Lucina, eco
Fu complito questo numero di ventotto titoli ne' tempi
di Leone primo, perchè dopo lui, sino a Sisto quarto, non
si trova che sia stato aggiunto alcun titolo nllovo? ma bene
da una a un'altra chiesa trasmutatone e variati alcuni.
Li antichi primi ventolto titoli di Roma, da 1060 anni
indreto, son questi, secondo che si cava dalli atti del Sinodo
romano, sotto Simmaco papa, l' anno 499; e da Anastasio
Bibliotecario; eioè : - 1° 11 titolo di Santo Calisto, o Santo
Inlio, o San Calisto e Iulio, o di Santa Maria in Trastevere:
- 2° Di Santo Crisogono, in Trastevere: - 3° Santa Cecilia
in Trastevere: - 4° Santa Anastasia sub Pala/io: - lIO San
Damaso papa, o Santo Lorenzo e Damaso, o Santo Damaso,
o San Lorenzo in Damaso e - 6° San Marco ad Palali1UU:
FII~lMgNTI ll'lED1TI. ~71

- 7° Equizio, o San Silvestro, o San Silvestro e Martino, o


San Martino in Monti: - 8° Santa Sabina in Aventino: -
9' Santa Prisca in Aventino, o Santa Aquilea e Prisca:
- 10° Santa Emiliana: - 11° Fasciola, o Santi Nereo et
Achilleo: - 12" Tigride, o Santo Sisto: - 13° Lucina, o
Santo Marcello: - H° Santa Susanna alle due case, o Santo
Gabinio e Susanna: - 1lS0 Basilica de' Santi Apostoli, o ti-
tolo de' Santi Iacomo e Filippo 'apostoli: e questa sola fu poi
detta basilica, e non titolo, come l'altre ventisette; forse per
la grandeza dell' edifizio: - 16° Santo Ciriaco alle terme dio-
cleziane: - 17° Santo Eusebio: - 18" Pastore, o San Pu-
denle, o Santa Pudenziana: e questo è antichissimo sopra
tutti gli aUri: -19" Vestina, o Santi Gervasio e Protasio, l)
San Vitale: - 20° Santa Crescenziana: - 21° San Clemen-
te: - 22,° Santa Pressedia: - 23° Eudossia Augus~a, o San
Pietro ad Vincula: - 24° Lucina, o San Lorenzo in Lucina:
- 2lSo San Nicomede: - 26° San Matteo in Merulana: -
27ò Pammachio, o San Giovanni e Paulo: - 28° San Caio.
Furon dunque ventotto titoli e ventoUo preti cardinali a
quesli preposti, come apertamente lo dice Pandolfo Pisano,
che scrisse le vite de' Pontefici, nella elezione di Gelasio se-
condo; e vedesi nelle soscrizioni delle bolle antiche.
Durò questo numero di veatotto sino a Onorio seconde,
nel 112lS; chè non erano né più nè meno i cardinali. Co-
minciorno all' ora a mancare, e talvolta si ridussero a sette
soli cardinali vivi. Ma Sisto quarto, prima, poi Alessandro
sesto, poi Leone decimo, e gli altri, crebbono il numero,
senza tener conto dell' anlico religioso costume di ventotto,
e bisognò fare ancora nuovi titoli.
Nel Bibliotecario, nelli atti del Sinodo di Gregorio primo,
eirca l'anno 600, si leggono i nòmi di tutti li sopraddetti
ventotto titoli, eccetto cinque; cioè, decimo, venlesimo, ven-
ticinqaesimo, venseesimo, ventottesimo; in luogo de' quali
son posti: decimo, Santa Balbina in Aventino; ventesimo,
San Marcellino e Pietro; venticinquesimo, Santa Croce in
Ierusalem; venseesimo, Santo StefanoIn monte Celio; ven-
tottesimo, Santi quattro coronati: e tutti questi nomi durano
ancor oggi, eccetto sedicesimo; chè essendo la chiesa rovi-
1S72 Fll.AllIMENTI INEDITI.

nata del tutto, Sisto quarto messe il titolo della chiesa di


San Quirico e Iuletta dove ora è.
La seconda Basilica, rappresentante la chiesa d'Oriente
e Constantinopolitana, è Santo Pietro in Vaticano, che ha
l'arciprete cardinale, e canonici seculari, al cui ministerio
furono assegnati, in luogo de' sette vescovi della Lateranen-
se, questi sette preti cardinali per dir messa la settimana
ogni dì: Prete cardinale di titolo di Santa Marià in Trastevere,
per la domenica: di Santo Crisogono, per lunedì: di Santa
Cecilia, per martedì: di Santa Anastasia, per mercoledì: di
Santo Lorenzo in Damaso, per giovedì: di Santo Marco, per
venerdi: di Santo Martino in Monti, per sabato.
La terza Basilica, rappresentante la chiesa occidentale
et Alessandrina è San Paulo, il cui rettore è l'abate e mo-
naco di Santo Benedetto; furongli assegnati per ebdomada-
rii: il prete cardinale, titolo di Santa Sabina, domenica;
.Santa Prisca, lunedì; Santa Balbina, martedì; Santi Nereo
e Achilleo, mercoledl; Salito Sisto, giovedì ; Sanlo Marcel-
lo, venerdì; Santa Susanna, sabato.
La quarta Basilica per la settentrionale e Antiochena, è
Santa' Maria Maggiore nelle Esquilie, che ha l'arciprete
cardinale, e canonici seculari; e per ebdomadarii, il prete
cardinale della basilica de' Santi dodici Apostoli, per la do-
menica; titolo di Santo Quirico e lulila, lunedì; di Santo
Eusebio, martedl; Santa Pudenziana, mercoledi; Santo Vi-
tale, giovedl; Santi Marcellino e Pietro, venerdi; Santo Cle-
mente, sabato.
La quinta è Santo Lorenzo extra ·muros,. per la chiesa
del mezodì et Ierosolimitana, Aveva abate e monaci clunia-
censi; oggi commenda d'un cardinale, tiene canonici rego-
lari di San Salvadore di Scopeto, Suoi ebdomadarii furono:
Santa Pressedia, Santo Piero ad VifICUla, Santo Lorenzo in
Lucina, Santa Croce in Ierasalem, Santo Stefano in monte
Celio, Santi loanni e Paulo, Santi quattro Coronati.
Durò quest' ordine e numero di ventollo titoli, co' loro
presbiteri cardinali, .sìno -ad Onorio secondo, l'anno di Cri-
sto 1121S, che cominciorno a mancare per morte, senza-es-
ser rifatti alle chiese di titolo i loro rettori: e fu tempo che
FRAMMENTI INEDITI. 1S13
due soli preti cardinali vivi restarono; I come nella morte
d'Alessandro quarto e creazion d'Urbano quarto, l'an-
no 1261: e le chiese restavano àl governo delli inferiori mi-
nistri: e la causa di tal diminuzione fu questa.
Tra la Chiesa e l'Imperio erano state lunghe dissensioni
e scismi per la collazione de' benefizi. Calisto secondo, che
fu avanti Onorio secondo, fece pace con Enrico quinto im-
peradore; nella quale si contenne, tra l'altre cose, che la
elezione del romano pontefice si appartenessi solamente
a' cardinali e clero di Roma, e non più alli imperadori. Per
la moltitudine dunque de'cardinali non si accordando, né
essendo ancora la legge delli due terzi, cominciarono i pon-
tefici a scemare il numero: chè prima erano ventotto pre-
sbiteri, dicioUo diaconi e sette vescovi cardinali, in tutti
cinquantatre; tornorno, prima sotto Innocenzio se-condo a
quaranta, poi a venticinque, a venti, a quindici, a dieci: ul-
timamente, com' detto, a sette; tre preli, quattro diaconi;
è:

quando fu fatto papa Nicolao terzo, l'anno 1276; chè mai


non é stato il numero minore. Cominciomo poi a crescere a
quindici, a venti, sotto Bonifazio terzo, et a trenta sotto Si-
sto quarto, il quale passò il numero di trenta, non ostante
che il concilio Constantiense lo avesse determinato a venti-
quattro. Alessandro sesto poi lo eondusse fino a 1$0 incirea;
Lione decimo, con quelli trentune a un tratto, a sessanta-
cinque; Paulo terzo, a sessantatre; Paulo quarto, a settanta.
Bisognò creare nuovi titoli, per dare a ogni cardinale il
suo; et anche perché, quando i diaconi o preti cardinali di-
ventavano vescovi cardinali, non lasciavano per questo il
primo benefizio e titolo cardinalizio; tal che n'avevano dua:
il quale abuso cominciò sotto Eugenio quarto.
Il primo nuovo titolo che dopo mille anni fu creato da
Sisto quarto, l'anno U7'7, fu Santo Nicolao tra le imagini,
presso all' anfiteatro, overo Colosseo, che lo dette a Pietro
Foscaro veneziano, cardinale fatto da lui. Lione decimo ne
creò altri dodici; Iulio terzo, tre; Paul quarto, uno. In
tutto, i nuovi titoli sono diciassette, che aggiunti alli ven-
totto antichi, fanno quarantacinque.
• • Sopn dille aelle.• (Po.liIl. dol O.... DI'li.)
FII.t.JUlE:liTl lN&DlTL

E l selle diaconi, o vero ministri, ordinati da Evaristo al


servizio di tutta la chiesa di Roma confusamente, furoo la
prima volta da Fabiano, papa ventunesimo,divisi, circa
l' anno 2~O; et assegnato a ciascun d'essi -la sua regione
della città, dentro la quale facessero il loro offizio ai distribuir
.Ie Iìmosine che venivano loro in mano delle colleUe che si
.facevaao da' suddiaconi, che andavano attorno; et assistere
al servizio de' preti delle parrocchie della lor regione in tolte
le cose sacre. De' quali il primo, o più antico, eletto dal vescovo
clero e popolo, cominciò a chiamarsi arcidiacono, o vero dia-
cono cardinale, cioè principale, come il primo prete, arciprete.
Un solo diacono cardinale adunque era ne' tempi anti-
chi, cioè il primo delli sette, Questo si vede aperlamente
nelli atti della romana Sinodo, falla soUo santo Silvestro
papa. Di questi fu uno Santo Lorenzo martire, arcidiacono
di papa Sisto secondo, Darò questo numero di selle diaconi
lungo tempo; credo sino al mille. Fecesene poi quattordici,
per darne a ciascuna regione della cìttà (che fu poi divisa in
quattordici rioni) il suo: et il primo di loro quattordici pure
quel medesimo onore e titolo reservava, chiamandosi arci-
diacono, o diacono cardinale: gli altri si chiamavano il dia-
cono della tale o della tale regione; verbigrazia, della prima,
se_~da, terza, quarta, ec.
Fecesì poi molli diaconi per regione; perché crescendo
il numero de' fedeli, uno per regione non bastava. Il numero
non era determinato, come non era de' preti non cardinali.
E pure il più degno e più antico di tulti, eletto da tuuì gli
altri clerlci della sua regione, o dal pontefice romano, fu
chiamato diacono cardinale della tale regione: cosi furon
quattordici diaconi cardinali regìonarii, A questi quattordici
regionarii, da lSOO anni indreto, ne furno aggiunti altri qnat-
tro, detti cardinali Palalini, l' offizio do' quali era stare in
palazo continuamente a ministrare alla chiesa Lateranense
et al papa celebrante. Leggesi ancora, che furon chiamati
ministri dell'altare Lateraaense. E questo numero di diciotto
diaconi cardinali Paulo terzo trapassò, rotta l'anlica disci-
plina e religiosa osservanza: onde a tempo suo furono, l'an-
t Per l, acriuo come Ita lIell' autografe,
FU.l'UtENTI INEDITI.

no 1543, diciannove: e poi qoando Pio qoarto fece quella


promozione di diciannove cardinali, furono i diaconi venti-
cinque.
Doverebbon essere ventotto preti e diciotto diaconi, ol-
tre am sette vescovi: in tolto, solo 113 cardinali.
Per le residenzie et abìtazionì de'diaconi, sino dalH pri-
mi selte ereati da Evaristo, foron date alcune -chlese, COn la
casa congiunte, come alle basilice e tiloli; ma senza enra-
d'anime, non essendo questo Ior offizio: però non si chia-
mavano né titoli né parrocchie, benché fusser chiese sagrate
in onor di Santi; ma si chiamavano -Diaconie, o Martiri~,
tenendo reliquie di martiri. Da queste chiese e diaconie poi
presero i lor cognomi i diaconi cardinali regionarii, lassando
r esser chiamati e distinti dalla loro regione; imitando i
preti cardinali, che dane loro parrocchie e titoli erano deno-
minati.
Se nn diacono diveniva prete, lassaVll la sua diaconia e
pigliava nn titolo. Ma da Sislo quarto, cioè dal U73 In qua,
Don ti ii osservato ma confuso l"ordine, dando diaconie
a' preti, e titoli a diaconi; 'tanto che oggi non è titolo che
abbia prete, né diaconia che abbia diacono, ma indifferen-
temente si danno.
Vn altro abuso: che anticamente per 1200 aIHI.i, i dia-
coni; preti, o vescovi cardìnali, quella diaconia titolo o ve-
seovado che avevano preso una volta, non iscambiavano
mai, se non se il diacono si faceva prete, o il prete vescovo,
o il vescovo papa; percbè allora lassava il minore, e rice-
veva il maggiore benefizio. Pero avevan loro più amore, e
meglio li ornavano e custodivano. Oggi per la legge optionls,
quando on benefizie eardinalizio più ricco vaea , qoel cardi-
nale a chi tocca, lo piglia, e lascia il soo. La qoallegge ebbe
origine nel concilio pisano, sotto Alessandro quinto, nel UfO.
Accadde, .mediante lo scisma d'Urbano sesto e Clemente
settimo, che a dua cardinali era dato un benefizio solo car-
dinalizio. Levato lo scisma, nnitisi i cardinali, bisognò che
il noovo pontefiee faeessi queste mutazioni, e lassando quel
benefizio a ono, lo togliesse all' altro, dandoli in quello scam-
bio un altro benefizio, primo vacante. Questo esempio, ma
1I76 FBUIMENTl INEDITi.

senza alcun bisogno, s'è poi usato, che quando è creato un


nuovo cardinale, gli tocca il più povero benefizio cardinali-
zio, essendo e'più ricchi occupati da più antichi : il primo più
ricco che vaca, gli è dalo per ricompensarlo; el il suo si dà
a on allro che vien poi. Cosi di mano in mano si scambia,
lassando e pigliando; talchè tal vescovo cardinale vecchio
ha scambiati tutti a selle li vescovadi, e lal prete e diacono
molli liloli e diaconie. Onde i cardinali invecchiando hanno
i più ricchi benefizi cardiualìaì,

C.l.P. 2. - Della ba!ilica Lateranense, e sua origine e nome.

BczatÀl1l'l'i grlBce Regia dicilur; cioè, la casa del re. E per-


chè nelle case regie, perché erano grandi e publiche, si
trallavano i negozi, consigli e giudizi, cominciorno a chia-
marsi regie e basiliche, ancor che il re non vi abilasse, tutti
simili edifizi grandi e fattì per uso publico: (Vilru1Jius, Y)
4( Basilicas (oro adiungi oportel. ». Poi che Constanlino con-

cesse che Crislo liberamenle si adorasse, eominciorno i cri-


stiani a edificare case sacre magnifiche per ragunarvisi a
trattare le cose religiose e sacre. Non le facevano tonde n&
quadre, per non imitare i templi de' gentili, ma lunghe co-
me le basiliche; e basiliche le chiamarono, si perqoesla
causa, si perchè quivi a Dio re de' re si faceva cullo e sa-
crìfizlo. Lalerano fu cognome di diversi romani, come si
trova nelli isloriografi e ne' marmi antichi, Molle I lBdel, edifi-
cale forse e delle da alcuno di cosloro, erano nel monte Ce-
lio (come scrive Iulio Capitolino nella vila di Marco) dove è
ora la basilica da Conslanlino edificala e denominata. Queste
case amplissime, come si vede in Seslo Rufo e P. Villore
De regionibul urbis, in progresso di tempo furon occupate
dal fisco. E scrive Optalo Milevilano nei VI Conlra Donali-
'Las, che nella casa di Fausta Lateranese, moglie di Constan-
tino, si congregorno tre vescovi a giudicare una certa causa
Del313 (IV non. octobris); il quale anno (IV id. decembris) mori
papa Milziade: dopo il quale fu Silvestro; a richiesta del
f Questa rarola è supplita al MS. corroso.
1'BAMMENTI INEDITI. lS71
quale, Constantlno in Roma edificò molte basiliehe, e fra
l' altre questa Lateranense.

Cu. 3. - Di Con.tm&tiRo imperadore.

Diocleziano, Iovio e Massimiano Erculeo s'erano divisi


l'imperio. Dopo che ebbero vent' anni regnato, stracchì re-
nunziarono a Constanizo Cloro et a Galerio Massimiano, loro
generi.
Constanzo fu umanissimo verso i cristiani, e mori circa
li 24 di settembre 306 in Eborace in Inghilterra. Successe
a lui Constantino figliuol suo e d'Elena (repudìata per com-
piacere ad Erculeo" o, come altri dicono, di concubina;
nato l'anno 272 in Britannia, Dispiacque in Roma, e fu
creato Massenzio, figliuolo d' Erculeo. Costui fu tiranno sce-
leratissimo; onde Constantino fu chiamato a opprimerlo.
Pensando come potesse ciò fare senza sangue civile, et in-
chinando alla fede cristiana, dubioso quale Dio invocare in
aiuto di questa guerra, si dispose a Cristo. Meditando et
orando, vedde un giorno sopra il sole una croce di splendore
con lettere IN TOTTO NIK!. La notte poi gli apparve Cristo
con la croce, e gli comandò che quel segno fussi il suo ves-
sillo contra i nìmìcì.
Questo fatto, dice Eusebio nel primo libro della vita di
Constantino, aver udito da lui proprio affermare. Il segno

cosi+,
apparsoli, nelle medaglie antiche di Conslantino è descritto
::le;
e cosi con parole intorno, HOC SIGNO VICToa ERIS.
Questo dunque fil il segno dell' esercito suo nel vessillo, col
quale in tre fatti d'arme disfece Massenzio, il quale in ul-
timo s'accampò ne' prati Quinzii, vicino al ponte Milvio; e
venuti al fatto d'arme, Massenzio cadde nel Tevere et affo-
gò. :B cosi, salvata Roma, Constantino la liberò dal tiranno,
COme aveva desiderato. Entrò in Roma trionfante. Il senato
gli fece l'arco, che è sotto 'I Palazio, ancor oggi detto di
. Constantino. Questa vittoria fu circa li 21 di settembre 313,
come scrivono Socrate e Sozomenio et Eusebio. Fattosi cri-
stiano questo imperadore, la religion fece subito grandissimo
acquisto. Mori a di 20 di maggio l'anno 331, e del suo ìm-
~ ~
3'78 FRAlIIDNTI INEDlfi.

perio 30, in Bitìnia, Fo sepolto in Constantinopoli nella basi-


lica delli Apostoli da lui falla. Lasciò tre figliuoli imperadori;
Constautìno , Constanzio , Constante.

CAP• .f. - Chi edificò la chiesa Lalerafteflle,


e quando fu consagrata.

Constantino, perché la sua fede non fussi neua di buone


opere, oltre alle altre, chiuse i templi I de' gentili, et edificò
molte'basiliche cristiane per tulto il mondo. Et in Roma, la
casa grande laterauense, che era sua, o di Fausta sua mo-
glie, com' é detto, donò a san Sìlvestro papà, l'anno 31lJ in
cìrca, et ne fece questa basilica, consagrandola e dedican-
dola, a di 8 di novembre, al santissimo Salvatore nostro
leso Cristo, col palazo congiunto, dove per piò' di mille aDni
abitarono i pontefici.
Questa Basilica Lateranense esser JlI'imaria di fufte
r altre chiese del mondo si mostra a più argumenti : - Fu la
prima che seopertamente a Cristo si edificasse: - fu la pri-
ma che si consagrasse; e da lei venne il rito di consagrar le
chiese da' vescovi con cìrimonie e solennità. Li 8 di novem-
bre è giorno solenne, come il Natale del Signore per tale de-
dicazione che fu falta: nel qual di, tutte le chiese di Santo
Salvatore fanno la festa.
In cena domini anticamente si eonsagrara l'olio santa,
e si scomunicavano li eretici, come oggi ancora osserva il papa.
Di questa basilica Lateranense si trova menzione in
santo leronimo, in Prodenzio, che fu in que' tempi, nel
primo libro contra Simmaco, prefelto della ciltà di Roma;
in certo registro falto a ~mpo di papa Damaso; fn una re-
lazione che Simmaco dà a Onorio imperadore dello scisma
tra Bonifazio et Eulalio dopo la morte di Zosimo; e iD una
lettera de' preti di Roma al delto Onorio. E santo Bernardo
nel Sermone di san Giovanni Batista gli altribaiseè a gloria
l'essere stata ques1a basilica dedicata al suo nome dopo
quello del Salvatore: - ~ Decimus honor eì' as,ertio rnatri,
c Supplito i tempii al maDolcrillo corroso.
• Supplito per p/l.,
.,BUIMENTI INEDITI. 179
EcClesiCB. HCBe mim- fMler et magiltra amni.m BcclesitJrvm,
Ecclesia rotMfta, cui dicI"", ,": Ego pro te rogavi ut ft01I
de{fcùd fuJes lua; in honorem 'aJtCli 101amd, BapliltQI, pou
Salvatoris ftotaeft CotUtCTala est et Iignal4.Dignum nlPllque erat
rentmtiam sponIi lpOf&If<e IeqlUT,tur tUlCtorilaB, " riftg.larem
amicum eius illue p1'OfJ,I&er", ubi principalum ipla eonscllldit.

CAP. ISo - Ile', nomi e dignità di quesla Basilica.

Oltre a' detti nomi di Santo Salvatore, Constantìniana,


Lateranense, nelle bolle e scritture antiche si trova nomi-
nata-Aurea, per li ornamenti di musaico-Tempio di mise-
ricordia, o vero Asilo, perehè era franchìgìa di tutti i delitti:
però tante porte vi si veggouo aneora, benché rimurate: per-
ché da ogni banda fusse l'entrarvi pronto a chiunque rifug-
giva in essa: - .Apostolica, u1lÌversalil, romana ecclesia; apo-
stolica sedes, capu', lflllter, lflllgislf'a ecclesiarum -.AtJa Dei.
perché rappresenta la celeste ec:clesia: però le sue campane
suonano ogni di tutte l'ore, e messe e oftlzii, come perii giorni
dèJle feste. E nelle messe non vi si dice, la tèrza Tolta del-
l'Agnus Dei, Il Dona ftObis pateM, »perché in cielo é sempre
pace; ma sempre « Miserere nobis.» E nell' Ore non si dice
altra orazione che il Pal6r nosleT, perché essendo la prima e
somma delle cbiese, usa la prima e somma delle oraziOIii;
e per esser dedicata al Salvatore, la sua orazioBe fa. Vi so-
levano i pontefici e vescovi eardiRalisoli dir certe putic:a-
lari orazioni e collette, cbe osi son 1a8ll&le poi elle i papi a
San Pietro 'tornerne.
Della sua dignità & sapedoriCà sono scritti molti versi
latini in rima in diverse-parti delta chiesa. E GiOYaDlli dia-
cono, sotto Alessandro terzo, nel proemio d'un libro che fa
di questa :Basiliea, dice, che per dono di grazia cii Dio Sal-
vatore questa: ottiene. il principato di tuUe, u il DOme
d' Apostoliea, l'imperio di Roma.
Essendone stati cacciati i canonici regulari, fu data a se-
eulari.' Onde fu lite tra loro e li canonici di san Pietro, quali
f ID UDa poslilla a caro 6 recto , dice: • Canonici regolari' .lettero ÌIl LIle-
1S80 .l'RUDIENTl lNEDITL

fasser più degni: questi, per la prerogativa che hanno sopra


tutti gli altri canonici seculari; quelli per la dignità della ba-
silica Lateraaense, In capo a settant' anni, papa Gregorio
nono fece un decreto, dato in Avignone, il quale è scritto
in una tavola di marmo in detta basilica; el quale dichiara
e conferma la supereminenzia di questa a tutte l'altre chiese
urbis et orms. Pio quinto ultimamente ha data la precedenza
a' canonici lateranensi,

CAP. 6. - Vita del Salvatore no,tro lesv, Cristo.

L'anno ISlS01 del mondo, 7lS2 di Roma, 29 dell' imperio


d'Augusto, 3 della pace del mondo, e lano chiuso dopo la
vittoria d'Azio; del regno d'Erode alìenigena, 3lS; dell' olim-
piade 194,3°; Augusto U'ePlauzio Silvano consoli, nacque in
Betleem di Giudea, di Spirito santo e di Maria Vergine, della
tribù di luda nobilissima per tanti re, a di 2lS di dicembre.
L'avvento suo fu predetto da molti profeti e sibillini versi, e
segni. Falsi Messi! eran prima venuti, Cefado, Teoda mago,
uno Egizio, de' quali losefo de Anliquit., ne' libri 18, c. 7, !O:
c.B, 12, Atti delli Apostoli son nominati gli ultimi due e 81-
mon Mago. '
L'ottavo giorno Simeon lo chiamò lesù salvatore. Cristo
significa unto, o re, che gli Ebrei dicon Messia.
La venuta de' Magi d'Oriente ,.guidati dalla stella ad ado-
rarlo, cum et muneribus, fece temer Erode e ammazare gl' in-
nocenti fanciulli. ORde l'angelo fece fuggir Maria con esso in
Egitto, donde poi in Nazaret, dove stette assai; però detto Na-
zareno. Né cosa alcuna di lui dicon gli Evangelisti (fuor la di-
sputa) sino alli trenta anni. L'anno suo trentesimo si fece bat-
tezar nel Giordano da loanni Baptista; e la colomba disse
Hic est filius meus, eco Quaranta giorni dipoi avendo digiunato,
vinse il diavolo tentatore, E per gettare i fondamenti della
Chiesa, elesse delle turbe che lo seguivano, dodici, che li
raao da ••. aDDio Bonifacio VIlI, per loro scorreaicni, perchè ebbero molti papi e
anicchirDo troppo, li caeeiè Del t300 incirca, e messni i canonici sKu1ari, che
oo~ CoroDo.... parecchi volle. Vedi il cap. 3 del lib, 2. "

r
FRAMMENTI INEDITI. 1S81
ekiamb Apostoli, cioè Mandati: Simon Pietro, e~ Andrea, suo
fratello minore, figli di Giovanni di Betsaida di Galilea: la-
cobo maggiore, e Giovanni Evangelista, figli di Zebedeo e di
Maria Salome, cugini di Cristo; tutti levati dalla rete, per-
ché erano pescatori allo stagno Genezaret e al lago di Tibe-
riade: Matteo., alias Levi, figliuolo d'Alfeo publicano, gali-
leo, poi Evangelista: Bartolommeo, alias Natanael: Tomaso,
cognominato Didimo: Filippo, galileo di Belsaida: lacobo
giusto, detto minore, e fratello del Signore,.e Giuda Lebbeo
suo fratello, cognominato Tadeo, figliuolo d'Alfeo e di Ma-
ria Cleofe:Simone Zelote, alias Cananeo; e Giuda Iscarìote,
figliuolo di Simone. Oltre a questi Apostoli elesse poi di tutto 'I
nu~ero de' credenti, altri 72 discepoli, li nomi de' quali non
si trovano tulti. Tre anni gli instrusse, e dette loro l'autorità e
sacramenti divini. Fu accusato per insegnare senza legittima
vocazione, farsi Messia, figliuolo di Dio, equale al Dio Padre,
turbare la religione, di Moisè, sollevare il popolo, violare il
sahato.dire che rovinerebbe e rifarebbe il tempio in tre di,
persuadere che non si desse il censo a Cesare. Condannato,
a 21$ di marzo, alI' ora sesta, in croce morì, il giorno della _
Pasca, come agnello imolato in su l'altare, l'anno suo 33
e 3 mesi. Apparsero i segni.' Di questi segni scrivono autori
gentili; T. Elio Tralliano, Iiberto d'Adriano imperadore: Eu-
sebio nelle Cronice cita alcuni scrittori gentili. E de' cri-
stiani, Tertulliano nell' Apologetico, cap. 21; Dionisio a Poli-
carpo e ad Apollinare. Onde fo ritto quell' altare IGNOTO
DEO, come negli Atti degli Apostoli. Origene contra Celso
lib. 2, e in Matheum, trace. 29; Tacito, L 21; Rufino, I. 11,
eap, 29, dice che li Egizii tengono il segno della Croce per
una delle loro note ieroglifice, e llignifìéa appresso di loro
VITA VENTURA: e vedesi in Roma antichi obelisci e sta-
tue con fregi egizii, dove è questo segno ~. losefo nel 18, c. 6
.Amiq., scrive di lesu, e di lo. Baptista: e Tertull • .Apolog.
c. 21, IS: Euseb. Hiltor. 2, et De prClpar. I. IS. Orosius, ee.:
Plut. in libro .Cur oracula de{eceNn&.
Sepolto, e poi risuscitato apparse a Maria et a' Discepoli:
lasciò le chiavi a Pietro. Il quarantesimo giorno nel monte
Oliveto ascese in cielo, 'lJidentibu, tlli" e siede alla destra del
49'
1I8! PRUIMEXTl IXEDlTl.

Padre: e cosi lo vedremo venire, come dissero que' due, in


vesti bianche.-Della forma diCrislo, Niceforo, I. t, cap.tt.

CAP. 7. - Restauratori.
CAP. 8. - Stto e (0f'ffl(J.
CAP. 9. - Altari e reliquie.
CAP. 10, 11, 12, 13. - CappeUe, Sepulcri, Oratorii.

LmRO II.
CAl'o t.- Et&lrau.
CAP. 2. - Ornamen«.
CAP. 3, ... - Ol/inatori, e lor pri'Oilegii.
C..... 5, 6, 7, 8, 9. - (}irimonie e riti e .talioni.
C"'P. 10,11,12. - Varietà mlle ,tarioRi.
C..... tS, U. - De' ConciUi. l

n:
.mC.l CIIlIKOl'lU DIl' PIlNlTBl'ITl Cap. 6, lib. J.
Da SozomeDo, BlIf. ~clui4ll., vn,6.
«Romseperspicuus est pamilenliom Ieens in quo stant
" m<B8ti ac velul Iugentes, Peracta autem liturgia, a myste-
" riis exclusi qu19 ad iniliatosperlinent, cum lamentatione et
" plancto ad terram sese pronos projiciunL Bpiseopus vero
Il ex adverso cumlacrymis accurrens, et ìpse ad pavimen-

Il rum lamentando provelvìtur, et oniversa ecclesise multi-

" tudo lacrimis sufl'undilur. Poslea episoopus primos exurgit,


Il el ìacentes erigil, et quatenus convenil pro peeeatìs pami-

» tenlium facta oratìone, ecclesia iIIos dimiltit. Seonum qnis-


Il que spente sua vel ieiuniis val balneis a_t eduliorom absti·
Il nenlia, sive alììs modis secundum qood nins est, BeS8
• adOigens, 'tempos expectat quod episcopas determinavit.
l L'abhozzo d'alcuoi di questi capitoli vedilo Dei (rammenti Il, III, IV,
V t VI , ebe seguono.
punl!N'r1 INEDIn.

» Constitato autem die, peccati multa quasi debito quodam


» remissa, populo in eeclesìa conìungitcr,» - Et b. Hieroui-
mus in Epistola ad Oceanum: « In ecclesìa 'romana peceator
» saccum induebat ante dlempaschai, in ordine pamitentium
)1 stabat, peccatum publice fatebatur, episcopo, presbyteris
Il et omni populo collacrymantibus.»-1dem fere in Epitaphio
Fabiolse,
Il luogo dove si faceva questa cìrìmonla era la basillea
-Lateranense, Li sette vescovi, Pontifici' collatetale" -e/primI»
sedis, Os/iensi., Portu~, S. Rufìnm, Prenestinus, Tuscula- •
11U', Sabinus, AllJanus. Di questi il prtmo sagrato si chiamava
il priore de' cardinali, oggi decano del collegio.
Quando il papa celebrava, 1'evangelio e la pistola si leg-
gevano in greco da due monaci greci di quelli di Grottafer-
rata, che ancor oggi vi sono et offiziano in greco. (Monasl.
Cryptm (erratm.) Le dodici profezie si cantavano in latino et
in greco.
TI sabato in Albis, cioè primo dopo pasqua, il papa ce-
lebrava, e cantato Agnus Det, distribuiva ai cardinali e altri
astanti gli Agnusdei fatti di cera bianca, e poi benedetti con
l'olio santo. E poi a tavola se ne portava un nappo innanzi al
papa, n quale gli distribuiva alla sua famiglia.

m.
AN'l'ICA CIRIMONU DEGLI AGNUS DEI. Mb. 2, ·cap. 7.
Ponevasila cera bianca pura in su l'altare di san Pietro
in Laterano: un subdiacono apostolico la pigliava e portava
in palazo del papa; dove insieme con attrì subdiaconì e acco-
liti, in iuogo idoneo, con gran riverenza con le mani glifor-
mavano, mollìfìcando 'la cera con r olio santo e della cresima,
che restava del passato anno: poi si presentavano al papa, che
gli benediceva.
Oggi si .formano e benedìcaao con cirimonia più lunga,
come si pnò vedere ne' Iìbrì ceremoniali: e non ogn' anno,
l'BA_ENTI Il'IEDITL

ma ogni papa il primo suo sabato in ,Albù, e poi ogni sette


an-ni mentre vive. Giovano a chi gli tiene con fede e divo-
zione alle saette,alle tentazioni,al partorire,al flloco,all'acqua,
all' acquisto de' beni temporali.· .
Questo misterio degli Agnusdèi significa che 8i come i
figliuoli d'Israel in Egitto per comando di Dio, scrissero col
sangue d'Agnello immacolato sopra le porte delle case loro
questo segno T, per non esser battuti dall'angelo; cosi Doi
col sangue di Cristo, agnello immaculato, scriviamo ne' no-
. stri cuori questo segno per fede, per non esser percossi
da' peccati e dal diavolo, ma liberi dalle sue mani.

IV.
DELLB STAZIONI. Cap. 8.

Stazione appresso i latini era il luogo assegnato a' so\-


dati per guardia, dove vigilando stavano in piedi. Da questi
gli antichi cristiani presero, come molte altre, questa parola
Stazione per quel luogo dove si stava a orare ritto in piedi.
Perchè erano due modi d' orare: uno, in ginocchione, e que-
sto antichissimo; l'altro, in piedi. Il quale s'usava la dome-
nica, e tutto quel tempo che dalla Pasqua alla Pentecoste;
è

come dice Tertulliano (in lib. De Corona militum): Cl: Die Do-
» minico ieiunium nefas duximus, aut de genìculis adorare,
lt eadem immunitate a die PascblB in Penthecosten usque
» gaudemus, lO
E perché i romani pontefici antichi andavano certi gior-
ni, e massime la quadragesima, in processione a certe chiese
di Roma a orare, predicare e dir divini offizii, onde vi si
stava alcun tempo; da questo furon detti, giorni e luoghi di
stazione; e quello atto, stazione.
Autore, tu non mi piaci: I perchè io credo che fussin tro-
vate e dette da quelle stazioni o vero mansioni che fece il
popolo d' Israel caminando dall' Egitto per lo diserto sino in
• Discorr••n. buo". con' AUlore cb. b. dm.".i~ dal qnale b. nceollo
quell. uoti.i•. Noa m'è parlO ebe v.I.... la p.a. di rifrust.re cbi fosse coslai.
J'B.llDIEl'ITl ll'IEDITI. lS8lS
terra di promissione, cioè da' que' luoghi dove s'accampa-
vano et si posavano; e che i pontefici col popol dreto in pro-
cessione andassi in questo modo, quelle posate rappresen-
tando: se bene il numero non corrisponde, essendosi variate
e di numero e di luoghi.
Oggile chiese di stazione sono "3; li giorni, 83';gli altari
o vero luoghi, 86.

v.
DB' COl'lClLIL Cap. 13, U.

Nascendo controversia ne' dogmi della fede, o abusi nella


religione, lo imperadore aveva autorità di congregare i vescovi
che disputassero insieme determinando e riformando. Questo
era il concilio. Molte condizioni e leggi e costumi s'osserva-
vano ne' concilii per ragunarli e mantenerli. Vide.
Rovinato poi l'imperio romano in oriente, e cresciuta
l'autorità del pontefice, parve meglio a'padri transferire l'au-
torità che aveva l'imperadore orientale di Constantinopoli
nel congregare i concilii nel pontefice, come cosa sacra a
uomo sacro, che nell' imperadore occidentale. Cosi da 600
anni in qua il papa solo congrega, dissolve, appruova e co-
manda assolutamenfe i concilìì.
Otto concilii primi universali congregati dalli imperadori
furono:
1° Niceno nel 32/S, sotto Constantino e san Silvestro,
di 318 vescovi, eontra Arrio Alessandrino, eretico che negava
la consustanzialità del Padre e Figliuolo.
2° Constantinopolitano: 381: Teodosio senìore, Damaso
papa: di 1/S0 vescovi: contra Macedonio et Eudossio, vescovi
di Constantinopoli e d'Antiochia, che dicevano lo Spirito
Santo esser creatura.
3° Efesino: "30: Teodosio iuniore, Celestino: di 200 ve-
scovi: contro Nestorio, vescovo constantinopolilano, che ne-
gava la natura divina in Cristo.
..O Calc'edonense: ..1S1: Marciano, Leon Magno: di 620
RAJDUNU ll'lBDlTL

vescovi: contra Dìescoro, vescovo aleSllllDdriDO, et Hut.ic~


abate conalanlinopolitaDo, che dicevaDo il eorpodi Cristo es--
sere stato faMastico e non nro.
IO Consl&ntiriopolitaDo II: 1113: IostiDiano Magoo, Vigi-
lia: di 1611 vescovi: contra più eretici origeDisti.
6" Constanlinopolitano III: 681: Constanti no • Agato-
De: 290 vescovi: contra più eretici monoteliti.
'7° Niceno II: 789: Constantino di Irene, Adriano: 330 ve-
scovi: contra gli sprezatori delle imagini. ,
SO Constantinopolilano IV: nel 8'70: Adriano papa secon-
do: di 300 vescovi: perchè, cacciato dello episcopato con-
stantinopolilano Fazio invasore, si rimettessi Ignazio pa-
triarca.
Papa Adriano poi, avendo chiamato Carlo II~DO irl aiu-
to, et egli vinto a Pavia e presoDesìderìe re de' Longobardi,
in Laterano ragunò OD sìnodo di 111.. vescovi e abati; la
qual sìnodo insieme col papa dèlle a Carlo l'autorità d'eleg-
gere il papa, et ordinare la sede apostolica e la coUal.ioDe
de' benefizii per tutte le provincie sue, e che senza l' ,ppro-
barion sua nessun vescovo si consagrasse, Leone otlavlI
.. nel 9113 confermò il medesimo a Otone magno imperadore.
Il modo che si tiene oggi di creare il papa per li due .
terzi de'voti de'cardinali, fu instituito nel concilio lateranen&e
di 2S0 vescovi, nel U80, da Alessandro terzo ••••••••
Notq. -Segnono alcune citazioni e appunti, in confuso,delle
materie da trattare negli altri capitoli.

VI.
EX AIlTOInI L.tU PR!&MEJnO DE C.lBDtlUtmUS
, . ·UBB.lNO VI AD SU" 'lEMPOR.I.

E cardinali rappresentano i discepoli di Crislo, nostro


primo pontefice. I discepoli tennero Pietro per capo loro
{Cephas l, per le parole che Cristo gli aveva delle Tu es Pe-
Cnu eco Acciochè ili omnem '6fTam el&ire' SOIlU' eoni,". i di-
FRAMMENTI INEDITI. 887
scepoli se n' andorno da Ierusa1em in diverse provincie, pre-
dicando (Cristo, si che ciascuno rossi capo della sua, e rap-
presentasse Cristo in quella, si come Pietro per tutte; et in
quella ciascuno avessi i suoi discepoli e la sua chiesa propria: e
non si chiamavano ancora pontefici, ma episcopi. A Pietro
toccò la Siria nell'oriente: stette in Antiochia alcuni anni, dove
pose la sna prima cattedra, e combattè per Cristo senza rar
gran progressi. Spirato, poi venne a Roma, dove, accompa-
gnato con Paulo, fecion tanto, non ostante la tirannide di Ne-
rone, che vittoriosi alzarono la chiesa romana al principato'
dell' altre, facendola pietra angolare. - Pietro mentre che
stette in Roma, de' suoi discepoli alcuni ne mandava a es--
sere episcopi in diverse parti del mondo. Sta'Va I in Roma per
poter attender egli al predicar Cristo; e che si russi S che at-
tendesse alle cose sacre, fece di loro dieci sacerdoti, che gli
chiamò dalla età, con greco vocabolo, presbiteri, come Ro-
molo i senatori con latino; e sette ministri, che gli chiamò
diaconi, per nome por greco, perehè ministrassero. Benchè,
i sette dìacanì furono instituiti prima da san Pietro e dagli al-
tri apostoli in Iernsalem, acciochè, comerererisce san Luca,
ministrassero aUe mense, mentre che gli apostoli erano in-
tenti all' orazioni e alle prediche; e furon sette: Stefano, Fi-
lippo, Procoro, Nicanore, Gimone, Parmenia e Nieolao, ad-
vena antiocheno. Dipoi in ogni città sette diaconi furono or-
dinati. - Morto Pietro, Lino suo successore crebbe il nu-
e
mero di detti dieci sacerdoti. Cleto il simile: di più ìnstìtnì
certe parrocchie o titoli di chiese prìncipali nella città, quasi
piccole diocesi, a ciascuna delle quali prepose uno di que'sa-
cerdotl per ufiziarla e curare il popolo; bencbè questo i più
scrivono che CeeeEvaristo, e Don Cleto. A' diaconi non fu
assegnate titolo cf'aleunadi queste chiese in Roma, come
a' presJ»terl; onde fOrse oggi s'osserva a' cardinali diaconi
DOD dire;·del Utoto dèIla tal chiesa, ma solamente, diacono
c:ardinalfl·deDa tal chiesa; et a'presbiteri e vescovi si: se già'
qUeslai:ìOn.~ uSanza ienota d'Avignone, come molle altre
corrotte.' Varon poi assegnate le chiese anche a' diaconi, nè
. ,.-. SuPllllta questa parola al maaolcritto corrCllo.
J F orse J .. e perchè ci ruui.•
388 FRAlIMENTI INEDITL

si trova da qual pontefice. A imitazion di Roma, anche I" al-


tre chiesè del mondo fecero i loro preti e i loro diaconi; e
di questi nomi, tanto quelli di Roma quanto gli altri si COD-
tentavano. - Papa Silvestro poi, in un concilio fatto in Roma
di 2'70 vescovi, fece a persuasione di Constantino come on
senato di molti preti e diaconi romani, che assistessero al
pontefice per consiglio e servizio, e come membra al capo,
come gli apostoli a Cristo. A questi dètte molte prerogative e
chiamògli preti cardinali e diaconi cardinali, a dilTerenza degli
altri, quasi che fossero cardini e reggimenti della macchina
ecclesiastica. Furon poi da' seguenti pontefici i vescovi e preti
primari i d'altre chiese faUi cardinali; ma poi fuor di Roma si
dismessero: solamente inlltalia la chièsa Bavennate e la Saler-
altana, in Ispagna la Compostellanausò chiamare preti e dia-
coni et anco canonìeì cardinali. - I vescovi da prima non
erono in questo senato di preti e diaconi cardinali, ma bene
erano più degni di loro. Onde nelsinodo che fece san Gregorio
in Roma son soscritti prima i vescovi, poi i preti cardinali: e
nelle bolle antiche de' pontefici son prima soscritti i vescovi
sempre, che i preti o diaconi cardinali; perché erano più degni.
Non erano ancora introdotti questi titoli grandi, e chlamaransi
i cardinali non reverendissimi, ma reverentissimi; che si-
gnifica tutto il contrario. - Di poi i cardinali della chiesa r0-
mana diventaron maggiori e più degni de' vescovi,arcivescovi
e patriarchi, con più privilegii et ornamenti. Quali sieno i prì-
vilegii lo sanno questi legisti: basta per tutti dire, che essi
soli giudicano il mondo tutto, in compagnia del pontefice.
Quanto agli ornamenti, Innocenzio quarto fu il primo che in
cambio di mitria frigia o cappello nero volse che portassero
il cappel rosso, significando che per Cristo e per la chiesa
romana, e per la salute della republica cristiana son tenuti
a spargere il sangue tutto; come dicon loro ancor oggi i pon-
tefici, quando danno loro il cappello, con queste parole ..•.
Paulo secondo aggiunse loro la berretta rossa, vietandola agli
altri, e ad alcuni in quel principio disobedienti, usò farla levare
di capo e gettar via. Le maze d'argento, le valige e le, pelli
vennero d'Avignone. I bastoni che portano i palafrenieri gli
introdusse il cardinale Rotomagense, al tempo di Sisto quarto.
FlUlIlUENTI INEDITI. ll89

VII.
EllraUo deUi C01IImo"i/orii di HIICMXio LirillC,e, 1'rima ,oldato, 1'0>
tROt\aco (rMlxe,s, CM mori al tempo di Tesdo,io e 'V/IlenCiniaflO
imperadori (staOlpatO' io.Colonia, ~ 560, io ~ 60 , per li Birkmannì],

CONTRA. LB ERESm.

L'autorità della- Scrittura sacra e le tradizioni della


chiesa cattolica 80n le anni' che tagliano l'eresie. Basterebbe
la Scrittura, essendo perfettissima nè potendo errare: ma ella
è tanto grande, ampia, profonda, che non tatti 'gli umani
intelletti la intendono a un modo, e pare che ella si possa
tirare a vari sensi. Sabellio, Arrio, Donato, Pelagio, Bunomio,
e altri, la interpretavano ciascuno a suo modo, storcendo li
diritti sensi a'lor propositi.I Qual senso adunque si dee segui-
tare? Che regola ci è da conoscere il vero? A chi s'ha a cre-
dere? Guardare quel che è stato tenuto ab omnibUl, ubique, et
semptr. Quel che universalmente è stato interpretato da tutti
gli antichi padri, in tutti i luoghi e tempi. Però si dice la
vera fede cattolica, che vuoi dire universale; perché l' uni-
versale è la vera, e la vera è l'universale, che tutta la chiesa
universale confessa e tiene. Quella che generalmente, anti-
camente e conformemente è stata osservata è fede cattolica.
Come tu sentì uscire qual cosa partìcnlare e nuova, guarda
i dottori, guarda i concilii antichi e buoni; e se ella non è
cònforme a questi, senza cercar altro, repndìala, non vi perder
tempo, perché ti potrebbe ingannare, essendo facile all'in-
telletto nostro debole, instigato anche dal diavolo, piegare in
falsa parte. Credi pia tosto a quelli tanti, tanto grandi, che
a' nuovi dottori e seminatori di zizanie. Tengono la comune i
legisti. Séguita la via veccbia, e non puoi errare. La nuova
setta d'Arrio mostrò questo scandalo al mondo, lasciar tntro-
• eo- dice Dlole'
81 r. Sabelli. 01 Arrlo • quelli 1Io1U
Ch. rurOD come epodo alle gerit\anl
Ja lODder lorti II dirilli ••lli.
(POStilll del n...nSlli).
n. 50
lS90 i'RUIJU!NTI INEDITL

durre nuove opinioni di fede: perchè allora nelle case, ne' pa-
rentadi, nelle città, nelle provincie, nel romano imperio entrò
il fuoco. Prima entrò nell' imperadore stesso, il quale con
anove leggi, quasi di luogo superiore battendo, percosse e
guastò i monasterii, i templi, le cirimonie, il clero: non si
vedeva se non carcere, esilii, prede, rovine, stopri, incèndii,
occisioni; solo per introdur nuova superstizione. Vedi Ambr.
ad Gratianum, l. 2° e 30, dove deplora le miserie eco
l{ Veddi un libro con sette sigilli. Gridava un angelo:

Chi sa(à degno di aprirlo'! Nessuno, nè in cielo, nè in ,terra,


nè solto poteva aprirlo nè guardarlo: io piangeva. Uno vec-
chio mi disse: Non piangere: ecco il leone della tribù di
luda, stirpe di David, ha ottenuto d'aprirlo, e sciogliere
i sette signaculi.» (ApOC. V.) Questo libro è la Scrittura sacra,
sigillato e confermato con la dottrina de' confessori, sagrato
dal sangue de' martiri. E chi lo vorrà ripassare I e mutare? chi
sarà tanto presuntuosor l confessori erano anticamente (non
come oggi) quelli che per confessar con voce o scritti la Cede
di .Cristo pativon qualche publica pena o ealamilà senza
morte; come sant' Ilario dottissimo, relegato di Frigia ne'de-
serti e barbari luoghi, dove compose que' dodici dottissimi
et eloquentisstmì libri de Trinimle, e altri. Vedi Cipriano, de
Simp/icitate prlJl/atorum, eco
Agrippino vescovo di Cartagine fo il primo a introdurre
il ribattezarsi. Questa cosa nuova sollevo tutti i sacerdoti.
Papa Stefano, fatto un sinodo, la dannò, dicendo in una epi-
stola alli Africani, che non bisogna innovare le tradizioni an-
tiche, ma consegnarle a' posteri con quella fede eon che le
abbiam ricevute da' padri; non menare la religione dove vo-
gliamo noi, ma seguitar lei dov' ella ci mena; non dare pre-
celti a' posteri, i ma conservare i ricevuti da' padri. Questa
è la modestia cristiana. Cipriano vi aderi; ma poi s'accostò
alla resoluzione del concilio di papa Stefano.
Astuzia dello eretico. - Piglia qualche luogo difficile
oscuro di qualche grande autore che paia conforme al suo
dogma, per mostrar d'aver auto altri compagni prima. Fa
f Così par cbe .crivesse, dopo aver cassato gr,adl'fre
, Loti ... PlOn 6ua postert« tredere••
FRAMMENTI INEDITI. 59f
due mali: dà a bere 11 suo veleno a' presenti, e maeala la
memoria de' passati, scoprendo se nulla fu in Ioro da poterai
tirare in mala parte, che quasi sotto la cenere stava coperto:
et a guisa di Cam, da cui son veramente discesi, del vene-
rando padre Noè'mostrando 1 le parti vergognose a gli altri
con irrisione, che doveva più tosto-, come gli altri, ricoprire.
Permette Dio, per tentarci, che qualche nuova opinione esea
fuora; ma non bisogna accettarla, come dice Mosè, Deucer
c. 13: ({ Se si leverà su un profeta, e per sognio 2 ti predirà
qualche cosa, e quella accaderà, 3"8 diratti, Andiamo eseguia-
mo altri Dii che tu non conosci, serviamo a quelli; non
l'ascolterai, perché il vostro Dio vi tenta per vedere se voi
1'amate, o no, con tùtto'l cuore e con tutta l'anima vo-
stra. »' - Quanto quella persona é piil dotta e riverenda,
tanto la tentazione émaggiore; come fa Origene , Fotino,
Apollinare. Cipriano vacillò; .Tertulliano sequetlti errore de-
traxit serip!is probabilibus auctorfta!em. 3 Non bisogna porre
amore alli uomini né alla santità né alla dottrina, più che alla
verità cattolica. Dpor!e! hlBf'eses esse, ut proba!i 'lMniflSli fìant
in vobis. Qaando si leva il Tento, allora si conosce il gra-
nello dalla loppa e dalla pula che vola e si disperge, e quello
grave e pieno di buona sustanzia resta in sul rsonte," I ben
fondati restano in sul monte universale; i leggieri e vani
se ne li porta ognì vento che si leva. Ne traRB{ertlS tenrd7lOS
quos posueruntpatre. lUi. (Proy.H.) Svper iullicantelll ne w-
diees. (Ecc. S.) Scindmlml '~"', rnordebit eum serptf's.(Ecc. so,)
O Timothee, deposi!um custodi, demtan, propha'lllU tJOClUl\ Mlli-
ta!es el opposi!iones {abi nomini, scien!ilB, quarnqutdam pro-
mi!!en!es circa fìdem excidèrunt. (I Timot, c.6.) Timoteo, SOnO
i dottori,' i prelati che debbon custodire il deposilo, cioè la

• rRD61ra.do. Cosi.: ma rene ..,o1eV8 acriv• • mostrano. JJ

i Ai;giuDgO: • o IOgDO••
\. 5 accqderà. Così po.ngo, secondo il 'teslo .. et tWAerir; no ma la pltola
nnl. <hl D....n..li,;011 è leggibile, pttebè mangi.l. atrallo dall' iDcbiooU"o.
• Deuter. X III.
5 Sono parole test Dali del LiriDeDo,.
6 Ripeto: a Xa la l'Dia e'1 guscio 0.01••• o si dispugo••
7 Cioè, col Dome di Timutto .'intendono i dollari, ec.
dottrina che ti è stata commessa; l quel che ti è stato fidato;
non le tue invenzioni: di che debbi esser custode, non auto-
re: cioè, il talento inviolato e puro custodisci: s'egli è oro,
rendi oro, non piombo, o altro Craudato che abbi l'apparenza
dell' oro e non la natura. Beseleel neltabernaculo acconciava
e scompartiva le gioie con bell' ordine (Exed. 31): cosi il
teologo disponga, dichiari, e con la dottrina sua Cacci cono-
.seere nel Cabricare il tabernaculo spirituale dell'anime, dove
Dio abita, li passi belli della Scrittura; Cacci intendere quel
che prima si credeva; induca luce e copia dov' era 5,01 reve-
renzia e divozione. Eaàem qualdidicilU doce, vI cum dical nove
tlOn dicGInova. I
Se non si può dir nulla di nuovo, nè uscir di'quel che
hanno detto gli antichi padri, dunque non si potrà dare
acquisto nè miglioramento nè amplificazione alla Cede.-
Potrassi; ma sia acquisto e non permutazione. L' accresci-
mento è quando una cosa in sé stessa s'amplifica in quan-
tità; permutazione, quando si converte d'una in un' altra.
Cresca come fanno le membra del corpo nostro, che prima
son piccole e tenere, poi più roboste e maggiori d'età in
età: nondimeno sempre sono le medesime, e non nuove, e
non più e non meno. E si come se al corpo nostro s'aggiu-
gnessino più membra o levassino, o permutassino in membra
d'altri animali, il corpo nostro diverrebbe o mostruoso o
tronco o non umano, cosi la dottrina della religione debbe
crescere con questa regola; in sé stessa crescere di tempo in
tempo e dilatarsi; ma non variare o perdere o crescere le
parti sue sostanziali. Seminarono gli antichi nel campo eccle-
siastico grano di Cede. Multiplichiamolo noi si, ma non semi-
niamo zizania d'errore né altro nuovo seme. Aggiungi di-
stìnsìoaì, forme, specie; ma resti la natura, e '} numero di cia-
scun genere della dottrina cristiana. Non convertire le piante
di gigli e rose in cardi o spine, il cinamomo e balsamo in
aconito e loglio, È bene che i dogmi antichi sien dichiarati,
limati, ma non distorti o tronchi: ricevino evidenzia, luce,
• di ch,; cioè, d.n. dottrin •• ffid.l •.
I Bo cmlolo beoo riferire il proprio 10.10 ciel Lirio,ole. piutto.to che '1aello
citato dal Davauti. che infondo è lo Ilei iO , ma eoefuso•

..
1193
distinzione; ma ritengbino plenitudine, integritate, proprieta-
te. Però che una che sene cominciassi a poter scavare deJJe
tradizioni antiche, a poco a poco ~i leverebbon poi tutte. Cosi
del mescolare e confondere.
Servonsi gli eretici della Scrittura: sempre hanno in
bocca san Paulo, Ì' Evangelio, il Teslamento nuovo e vec-
chio, coprendo con questi aromati il fetore, con questo mele
il veleno dei loroargumenli per lngannarcì. Però grida il
Signore: Attmdile a falsis prophelis qui vmiutlt a(l vos in ve.li--
menlis omum, intrimecus aulem .unt lupi rapace. (Math. 7).
Come s' hanno a eogneseerer Ex fTUcliblu eGrum. Come co-
minciano éÌ parlare, subito dicon male de' snperìorì, degli
ordini antichi, delle opere buone; voglion guastare e rovi-
Dare ogni tosa; a questi sensl storcendo la Scrittura allegata.
Salanas transfigurat se in angelum luci.: non é maraviglia se
i suoi ministri si transfìgurano anche essi in iustì, Satanas al-
legò la Scrittura, in .Matth. .t: Scriplum e.t mim, ec, Se al Si-
gnore, che farà a noi? S1 come il capo al capo, cosi i mini-
stri a noi tenderanno insidie con le Seritture. Allettano gli
altri: Venite con esso noi, gettatevi giù dal tempio alto della
dottrina catolica; gli angeli vi sosterranno, che non vi p0-
trete far male. Cos1 il serpente: Mangia di questo pomo;
nequaquam morleris. Ricorrasi allora a' padri antichi, e veg-
gasi se quelle allegazioni sonda loro interpretate in queslo
senso: se DO, fuggi. Questi padri sono stati posti da Dio di
tempo in tempo per fondare la Chiesa. Paul. I Coro H.
Quosdam posuit Dew, eco - Expugnala .f10vilale anliquilal
defendallAr• • • . • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •. • • • •

VIII.
Qual cagione diremo noi che sia, che ciascheduna scienza
od arte nobile, in certe età, e dentro allo spazio di pochi anni
fiorisca, e regni, e salga in colmo, e poi ne scenda e scaggìa ,
e tal' ora si perda? L'arte della guerra e la militar disciplina
fu sotto i Romani eccellentissima, come ]' effetto ne dimo-
stro; non SI trovando essere stato altrove, né prima né poi,
SO'
!l9t
-tan to -valore e rnumero ·d i capitni, tanta 'tibedienzitt e 'vi r là
·di soldati, tanto acquisto di degni là e d' ·imperio. E se bene
.questa eceell6Dzia dell' anni romane durò molte centinaia
d' anni , e non una sola età , com noi dieevamo; con iderare
i ti he ella non dur ò nj;'l piu oltre la vita di quella repu-
hli a di qu ello imperio; e I vite delle r puhlich e d Ili
inip r1i i dclJhOllo 3 qu ell d eli uomini a pr o po ione a a-
Iinre, Cino '1 1I~dun ' sort e di (eLI re simllme ut nel tempo suo
• inn i Izò. La IrJ!.;ollia fu Cali, iIIu tre da quc' divini pi ili
d'E chilo, ofocle et Euri pide , che vi ' ero d'una età. ' a n-
tic: comcdia , IILon ' la e maldi cente, da Cralino, Ari 10-
Iau cl EUI'01i11 ; la nnova , dolce e Iacota,' da Iena nd r ,
F ile mone e Difìlo fur ono qua i negli anni rued esimi ritrova-
l , lasci ate iu uperahili, Le s étte de' filo ' oli zrandi qua. i
tutte inlomo a' I m pi di ce ra te romorcguìa ronu; si com
inl orno n IIUl'lIi di Isocrnt ~ I i ora tor i. I rnrnmati i , pillori,
sc ultor i, arch i! Ili Ili urido , tulli ue'{em pi ID rl6imi, qua.i
a sch i re vivuli sono. Né pure ai g re ci uomi li que lo adi-
venuto; ma pari ment e ai romani et a noi. .od: li imi ' nelln
t raaedia romana furono Accio , e "Ii altri Il 'tempi uoi. a
olia comedl ilio, T renzlo e fra n io , 11 l furono qua i,
in lilla la; Dm ' a one, Lucrezio , Orazio e r r"iIio nolln
pc ia; e Cic rone , Ort en s ìo , era so , C re e ,alone e l
Itri tanti nella loqu enzia. Dan le , il Petrarca e ' t c celo,
Ire lumi clelia lin eua no. tra , nell a no Ira città Il irouo l'un
dopo l'altro: e ch i gli ha pot uli a ~ ~ ua ;:liare? II icino, il
l'olizinno, D metrio , l' rcl ropi lo , l' Acciaiuolo , il Lnrnliuu,
'he l'ime- e r le lette re iII l tnlia , lulli furono al l mpo di 0-
ro nz o de' Medici; c qu esti n on già nella flneza d'Ile lettere,
ma bene nel concor o c num ero supe ra rono qu la L:l. I: ar-
chil ttura c le d ue alt r sorelle, col lume innauzi di . Ia ac-
cio, Pippo," Dona lo, rie bbero l' ant ico sp le nder . , ichcla-
nolo, da n a '110, dll J ndrea , dal S nn gnllo , d. alcuni
llri 'h e ono lati a' lempi de' nostri padri: u è prima di lor

~ VariaDle: • costumala I piat't'\'ole••


, Variante.: • Pripcìpali• •
I Varian te : • e quelli che furono a' s uo i tem pi.•
• Filippo BruD~Je.lchi.
lla. . . .NTI '1!'lIllU'rI.

erano arrivate a 'laltta ,èlteza, nèdipoifurBe 'Vi 'si'san man-


tenute. Che vuol dire, :adonque,che gl' ingega:i:nobili, e tra
loro somiglianti, quasi lIftimali di 'passaggio, 8' UDÌ6cono a
schiere, e'OOIKiucOBo le profeS8imli.a~adi peima iDauditie
tanto alti, ohe poi <èCOS3 'impossibile :maBClenorle'Vi'! •.•••
Noto.-:Oopo le parole, Dantt Il Petrarca ec., la scrittura è sl
piena ,di 'Cancellature'e penlimenti, ehe 'non si Ila dove innestare
molte.paeole.e.sentensa. Gosi non si vede.dove,possano alluogarsi
queste: « Nondico già che all'ora le Iellere umane fossero in quella
» fineza nella quale oggi sono condotte da altri; ma dico bene che
'. quella età le stimò et amò maggiormente. »

IX.
FRAMMENTO DI NOVELLA.

Incredibìlecosa a chi 'ldiceBSe potrebbe parere, se la


sperienza dì.coloro che permercatantare e per altri affari il
mondo cercano non ;10 mostrasse, che nene- più fredde eon-:
trade, là dove gli uomini nascono di corpo grandi e grossi
e bianchi e beDi, e di complessione forte e poderosa! e san-
guigna, e molto feconda,· quivi assai minori sentono e meno
acuti gli stimòlidel concnpiscevoleappetito' carnale, e meno
cura e gelosia tengono -delle donne loro; in tanto che molto
più oltre, sotto la tramontana passando, si trovano alcuni
paesi, nelli quali le donne -senza riguardo o distinzione al-
cuna, cosi si lasciano da ciascheduno ~ in qualunque modo che-
f aggrada toccare ,come le nostre si lasciano guardare 'o
favellare, Per lo contrario, quanto più verso i luoghi caldi si'
eammìnave verso 11 meriggie, tanto più si trovano gli uomini
di corpo piccioli e neri e brutti e 'tristansuolì e fieboli della
persona, e nondtmene di acuta e potente" libidine stimolati,
e delle donne a maravig1ia gelosissimi e stretti custoditori ;
t Variallte: .. robusta. .,
., Var~aDte: i .• e molto fecondi.• - 2.• generativi" - 3... c generativi
molto e fecondi. "
.5 Prima seriller • COli eomuài SODO et apparecehi3te a eiasehedune.•
I Variante: .. della concupiscenzia carnale. .,
5 \?aTiIDtu .. impdtentti iIIlllelsenso latino di impetens , sfren31'~.
avvenga che l' opposito parrebbe dover essere.' Ma la ra-
gione di ciò è maDilesta, e non difficilmente può intendersi
dai natarali filosofanti. Questa largheza e quello non caJere
delle donne già era ne' tempi di Cesare, secondo che egli
dice, nella Britannia, la quale oggi si chiama logh iUerra.
Ma la fede santa poi che in quel regno s'apprese» da cosi
laido e sozo costume la nettò. I Non pertanto fu egli spento iD
maniera che alcuno vestigio, alcuna fiata, ancora non ne
apparisca. E che altro fu quello delle sette mogli che l'allimo
re Arrigo repudiò? se non una cotale trascutanza dell' onore
delle donne e dell' amore, da poca religione regolata? Da si-
mile cagione un altro re d'Inghilterra chiamato Adoardo,
lunghissimo tempo avanti ad Arrigo, volse per moglie pren-
dere la propria figliuola. Dalla qual cosa quello che ne a Vve-
nisse, e come delle guerre tra Francia e Inghilterra fusse
principio, intendo di raccontare.
Venut,o Adoardo in questo abominevole appetito di aver
per moglie la sua figliuola, che a lui era unica, I senz' aUra
considerazione avere, come se le divine leggi e le umane per
li re e per li principi fatte non fussero, ma solo per li privati
e suggetti loro, fattalasì un giorno chiamare nella sua ca-
mera, postolesi allato a sedere sopra un letto, Adoardo guar-
dandola in viso, piacevolmente a dirle incominciò: Madama,
voi mi siate figliuola unica, et oltre a questo siate llÌ bella e
si graziosa e si savia, e so che l'amore non m'inganna, che
niuna altra donna è nel mondo che vi pareggi. Ora essendo
voi pervenuta a quella età che conviene a darvi dolce ma-
rito, nè io mancar volendone, perchè io non vorrei indugiare
a darlovi, amandovi teneramente, sono in gran sollecitudine
e pensiero venuto per amor vostro, non sapendo .a cui con-
gìugnere vi debbia, che sia degno di si bella e si nobile e
maravigliosa mogliere. E voi che ne dite? Arestene forse in
animo alcuno che vi piacesse 'l4 Ginevra (che cosi era il nome
di lei) tutta nel viso di onesto rossore divenuta vermiglia,
I V.riante •• apparilce che eller d09uae••
I Variante: • cOIÌ leeIeralo costume e bestiale De rimo.ue••
3 Variante: • che egli unica avu••
I Varianle: • ch. 9i asgradi..e, o dlgno di 90i marito 1~..i1.
FBUllIIENTI INEDITI. 1197
con gli occhi bassi e con voce che a pena potea essere intesa,
rispose: Sire, io vostra figliuola sono e servìtrìce , e qnellq
che a voi fia in piacere•...• l

x.
·QUA.L SU PIÙ UTILE, IL POETA. o L' ISTORICO. I

Il poeta finge un principe, un capitano, un cavaliere,


un buon uomo, non qual sia 'stato, ma qual deve essere,
dandoli tutte le perfezioni: ond' e' non insegna se non bene.
Dove l' ìstorieo narrando le azioni umane come son seguite
veramente, e queste essendo la maggior parte imperfette, in-
segna più male che bene. E vedendosi che questi grandi e
beati fanno degli errori, a ciascun par lecito imitargli, et al-
legare le storie. Nondimeno pare che la storia giovi più, per-
chè quell' altra essendo favola, non ci muove nè vi si attende
più che tanto, ma solo ci dilètta un poco. In questa, essendo
vera, si mette più"studio ad imitare, perché , la verità porta
seco UDa certa ammirazione et impressione negli animi no-
stri; e par quasi vituperio a chi legge, vedere che un altro
sia stato da più di lui et abbi fatto gran cose, el egli non
potere imitarlo e avanzarlo. Il che non avviene nelle fa-
vole, che danno da prima di sé impressione dello impossi-
bile. Il poeta attende tanto al diletto che si sdimentica l'utile;
fa parlare Dei, animali, piante, sassì: e chi non intende 'il
segreto, si pasce di quel suono solamente. Ma l'istoria, che
è semplice e chiara, si lascia intender tutta, e come spec-
chio mostra le cose passate; onde nascìe il consiglio per
le presenti e future: e quella virtù che si chiama prudenza.
Vero è che i grandi intelletti cavano l'uno e l'altro senso
da i grandi poeti. - L'istoria insegna nella pace governar
l FOfle non ilcrille più là, conolcendo le boccoccevolilante.n e largbe...
Don euer della IU nalura.
I Questo fu forse un tema proposto in qualche accademia, e probabilmente
in quella degli Allerati, dove il Reggente era 501ilo propor le materie del ragio-
Dari: percbè lo vedo trattato da altri accademiciin alcuni manolcrilli m.gliahe.
chiani venutimi diOIDZi.
598
sé stesso, che è il primo grado per ascendere a governare
. gli altri.-

XI.
Quel desiderio naturale che banDO tutti gli uomini di
sapere, mosse da prima quelli antichi filosofi a voler ricer-
care le cagioni di quelli effetti, ch' essi tanti e si diversi ve-
devono e sI mirabili. Onde dal maravigliarsi nacque, come
ArÌstotile dice, il filosofare. I E cominciorno a considerare in
che modo le cose di questo universo si facessìrioj e parve loro
che tutte fussino insieme, e che le si facessìno l'una dell'al-
tra. Onde alcuni dissono, che quodlibtt ed in quolibet; che
ogni cosa era tramescolata d'ogni cosa; e che questo legno,
secondo loro, era composto di tutte le cose, di terra, di pie-
tra, di fuoco, d'osso: ma perché la parte maggiore é legno,
però si denomina da queRa. Ma questa opinione é riprovata
dal filosofo nel primo della Fisica. Simile a questa fa l' opi-
nione deno Epicuro, che disse che totte le 'cose si facevono
di queDi 'atomi che sono per l'aria, secondo che quelli a
caso s'abbattevono, appiccarsi insieme; e cosi tutte le cose
si facevono a caso. Ma questo non può essere; perché se le
cose non sono fatte da qualche intelletto che le ordini a
qualche fine, elle non possono essere fuor d'intenZione d'al-
cune: onde né
ancora a caso; non 'essendo altro venire una
cosa a caso, se non venire fuor di quello che era la ìnten-
zion prima.
Museo, poeta ateniese, come racconta Diogene Laerzio
a 10, fu il primo che disse, che totte le cose si facevono del
medesimo, e nel medesimo ritomavonol t E Lino, poeta te-
9'''''.... IX~UV o. IXV9'POl1tO. XIX' ."V
I Ecco il lUI o d'Ari.totil., .1.", TO
XIX' TO 'lrpl1>T01 'lpç IlevTO 'P,}oO'Oj'c, v. Ciò
nl. p.r le ec•• 6Jid>e, dOlI. quali la
m.rniglia è 6glia d.II' ignonn... madre del "P'''': qu.nlo poi .De morali, On-
aio dice" eea rlsioae:
Nil IIdlflirari p~ TU al 1UI4L•••
Sola,.... p« pouIIlllafW •• ..,...,. Hatur.
I Corr.s • risoh'eyoao••
Pft,40IOlBNTl mEDITI. aG9
bano nato di Mercurio e ·della musa Urania, disse che tutte
le cose furono insieme fatte; e il princtpio del suo poema
fu questo: Hv non T01'xp6~o~ OUTO~ EV"'CIl!"J ftCllVT' I7t~UllI!: n quale
seguitò Anassagora a 611: Omnia limul eranl, deinde acces-
siI meni rebus confu.is ordinandis. Gli Egizi dipoi disson
esser due cause, o vero principii di tutte le cose; n demone
buono et n malo; e l'uno dissero Giove et Oromasde; l'al-
tro, Plutone et Arimanio. Anassimandro disse, che tutte le I
cose eron fatte da un principio e da uno elemento im.~
menso..••., il quale non era aria né acqua né altro; le cu(
parti si mutavono, et il tutto restava immutabile. Il suo di-
scepolo Anassimene, che n principio di che son fatte tutte
le cose era l'aria; e questo era immenso. Archelao, discepolo
d'Anassagora, cogniominato fisico, per essere stato n primo
che portò! in Atene la filosofia naturale, disse che ilcaldo e
l'umido erono ] principii della generazione di tutte le cose.
Chi disse che da principio era una materia comune da per
sè stessa, a Dio equale (Bessarione, 17), e seconda cagione
(Bess, 18).
L'opinione del divinissimo Platone fu, che tutte le cose
uscìssìno da un primo principio, da lui chiamato ÀOyoç, n
quale non si esercita, secondo lui, a creare le cose visi-
bili e materiali, ma eonstìtuisee un secondo creatore, al
quale egli consegna la materia e le idee, nelle quali risgnar-
dando, introduca nella materia le .forme, a simiglianza di
queHe. Onde nel libro primo De rep. disse, che di tutte le
cose intelligibili era causa n bene, e di tutte le visibili il sole.
Aristotile disse, che le sustanzie eterne immateriali non fu-
rono mai create, e sempre fumo e sempre saranno, non
potendo non essere vnum princìpt'Mm......

XII.
Riccbeze vanno, come per doccioni dall' uno all' altro,
insino al ladro e al fisco.'
• VariaDte: • condusse.•
I Dalle po.tille agli OplUcoli di Plutarce.
FU.UENTI UlEDITI.

XIII.
Tura la finestra che risponde nella corte del ~icino, e
apri quella che guarda in camera tua.t

XIV.
Plutarco De socral. d03m.: rl. Abslmen!ìa eAim licitu 'A
'JoluplaLibus, exercilalio est ad ea qUlll prohibàta 'unt. J) Però
son buone ancora quell' opere che non ha comandate santa
Chiesa, nè si deono come superstizioni biasimare, perché
sono esercizio a quelle. l

XV.
Il cattivo stomaco e cattivo capo' fanno come dua cat-
tivi vicini che si fanno de' dispetti l'uno <in' altro. Lo sto-
maco manda de' fumi al capo, et il capo catarri allo stoma-
co. Il fegato troppo caldo trae a sè il calore dello stomaco e
lo raffredda; non altrimenti che un lume grande spegne un
piccolo, e il potente vicino occupa il terreno del povero.

XVI.
La medicina et il male son dua che si fanno guerra; il
paese è il corpo nostro che ne patisce sempre. Pero il medi-
carsi il manco che si può è la diritta. Ciamede diceva che le
medicine fanno come 'l piombino,! che sempre rompe qual-
che doccione.

XVII.
I fichi primaticci piacciono arati;· e nella fonda 5 si spre-
giano stagionati. A' tempi nostri le scarpe e le berrette del

• Dane medelime pOltille.


I Dalle medesime postille.
I Piombino qui vale a ItrumOllto eou 'che li poli.eooo i privati •• Vedi la
Cmsea. Vedi anehe la Postilla li al VI deSli Aooali, vol l, plg. :139.
I afatt; loleodi, qoaod' ance .iloo afali, cioè, sua.li o da ,oehMa o d.
troppo caldo.
5 nella/onrla] cioò, quao(!o "e Il' è abboDdaou.
601
vellulo eranoorrevoleza, e quasi ghiere del vestir. nobile; ma
per lrop~ comun uso oggi si schifano.' '

XVllI.'
Diceva Tiberio: Tanto i bmtJi:ii rallegrano quanto si
pOSlOft renderè: gli eccesrivi .i pagano d'ingratilUdine. Per ciò
fogge ii fallito, benché assicurato lo faccia il credilore; e lo
scampato dallo affogare non puÒ vedere lo scampatore per
primo moto e impelo di ~alura.

XIX.
DELLA LI,NGUA PROPRIAMENTE FIORENTINA.

Belloé quel che piace: a chi non piaceva là lingua attica,


usava la dorica. lo m'aveva per mio studio, a e per farmi
famigliare Tacito, divino scrittore, falli volgari cinque libri
senz' alcuna aecurateza, Vennemi poi quella voglia che to
vedi n'ella Pislola al Valori, di moslrare che i concelli di
Tacito si poleano dire con meno parole di lui nella.lingua
noslra fiorentina. Veggo che a' fòreslieri non piaciono cerli
noslri vocaboli e modl, a loro nuovi, a noi anlichi o popo-
lari; a'quali dico: Che ho volulo fare questa prnova in qne-
sla lingua prella fiorentina, e non nella comune ilaliana; la
quale, non essendo propria, non può essere breve. Né mia
Intenaìone é stata che a cui piace JÌiu la comune lasci quella
per questa, siccome a coi piaceva più la: lingua dorica non
era forzalo da persona a favellare o scrivere nell' altica più
lersa e gentile, Oltre a ciò, io conosco molle bellissime no-
stre maniere fiorenline messe in disuso ricevertorlo, e forse
polrebber ad alcuno piacere nel rilornare, ed alcune popola-
ri, di grande spirito, non meritare di starsl in basseza, ma
mostrarsi si bene come molti oomini ~i sangue vile adope- '

I Dal MS. magliabecbioDo dolle POllille a Tacito'.


, QueitO frammeDto e gli altri che iegDono DOD aODO inediti, ma le~ati
dal libretto pnhblieato dal Gamba col titolo: Alcuni Avvediment! civili e tet-
terart di Bernardo Davanoati. Vedi Del vol. I, la Bibliografia.
S a".dio. Ho restituito fraDeamenle questa parola che si desidera nella
stampa del Gamba, perebè nOD può cader dubbio lulla sua mancansa,
Il. 51
P....BMElITI IIOlDITI.

ransi ad alti atrari. :Ma quando ciò non succeda, e che le no-
stre proprietà non piacciano, con minore fatica sarà a la-
sciarle, potendosi, ancor senza queste, benchè a mio avviso
non cosi bene, questa ritrovata gran brevità del parla.. no-
stro adoperate.
xx.
DELLA M...NIE.... DI DIRE: LASCIARllIN SBCCO.

Messer Agnolo Monosini, giovane di molte lettere, ha


raccolto belle origini e somiglianze della Iingoa nostra con
la greca. Una è questa metafora, presa da' pesci quando ri-
mangono fuor d'acqua. Teocrito, nella prima Egloga, de-
scrivendo ODa ciotola intagliata di 'figure (imitato poi da
Virgilio nella terza) dice, che vi era un fanciuÌlo a guardia
d'una ,vigna, e due golpi; l'una, mentre egli si baloccava a
far di giunchi un archetto per le cicale, si macioUavatutti
i grappoli matori; l'altra, uccellava all' asciolvere ch' egli
aveva nel zaino, disposta a usar ogn'inganno, si ne l'aveSse
,",cìalo in ucco, ou denli ,ecchi, o in IU le .eccM. '
L'occhio per mai non volgere
SI lo lasciasse ìn secco dell'asciolvere.

XXI.
Se gli animi de',,tiranni avessero sportello, noi vedrem-
mo là èntro i cani, i flagelli, cioè le loro crudeltà, .J.ibidini e
pessime pensate fare strazio di quelli animi, come de' corpi
gli spaventevoli stromenti, Nè gran fortuna, nè vila amena
petevan si fare che Tiberio stesso non conressasee i martori
e supplizii interni. Aristolile nel IX dell' Etica, c. a, diee e.
Che l' uomo.celleralo odia .è '~'IO; ,'uccide o nilfticli;~lWlla
"a in ,è che bene gli voglia; lo rode, lo lacera la 'WI CO.cinlla.
603

. TRATTATO
D,I GIOVANNI ANTONIO PO~CBI'

DEL MODO DI PIANTARE E CUSTODIRE UNA. RAGIUIA


E DI UCCELLARE A RAGNA

gill aLtribuil1l falsamente al Davanzali. 1

--- ..
Poiebè v~ è piaeintn, sì come è vostro solito, di fare
maggiore stima del giudizio mio, di quel c'he egli .~aglia,
chiedendomi parere (sendo voi risoluto di porre' una ragnaia)
del modo, che dovete tenere in eleggere il sito, che piante
vi si ricercano, e quanto debbauo esser lontano fra di toro,
.e 'Come debbano essere custodite e allevate fiuo al tempo di
. uceellarla, e quanto io stimi ,che per esser bella e buona le
si conveuga essere luuga e larga; io sebbeue uou so pìù: di
questa cosa, ch' io mi sappia dell' altre, tuttavolta sendone
da voi richiesto, vi dirò quello che a me ue paia: voi poi
col giudizio vostro esquisito, se cosa Dissuna ci sarà di buo-
no, l'andrete scegliendo e servendovene a quanto vi farà di
bisogno.
Dico adunque, che la ragnala, per mia eppìnìone è una
delle più belle e miglioli eommodìtà che po88ll avere una.
possessìone di qual si voglia genliluomo, avvengacliè questa,
oUre al far bella vista e ornamento alla villa tua, se è posta
però In luogo accomodato, ti tiene, oltre al piacere che dura
molli mesi dell' anno, la-casa abbondaate tutto il tempo ehe

t l'l.q". nel U5t , mori nel t616. Fu conlol. nell' A.!,"cIemlo /lorentina
...1 t!l95: Ira gli AIler ali li cbiamò lo SVII~ittlO.I'IlCl'fllier di Iin surlno, ...
natoreJ e commilurio.• Pi.ltoia, dO't'e fu lodato in 'fmi d. mODligaor GicwlDDi
Vil.onli. (Ve.li Salv, FII6'" CO"s., plg. 33~.)
I Vedi nel Tal. l, la Bi6li08""fi". pag. tYI.
6001 DEL MODO DI .UlfrAllE & CCSTODIU ClU UGIUU.

si ueceUa; e, appresso di allllegnato economico, tenuto sarebbe


di qualche rispiarmo in capo all'anno aDacasa tua. Ma quello
che io'maggiormenle stimo è che il frutto che da essa si trae
quasi che giornalmente (facendola come appresso si dirà) è
per le case nostre un certo sopra più, che ha del galante, e
non punto dello sforzalo, quando ti fa bisogno.Ma non è mio
inlendimenlo in questo luogo il raccontare le sue lodi, poiché
l'estro piacere è il sentir da me il modo del piantarla e CII-
stodirla flno al tempo della sua uccellagione; e perchè gli lJD-
tichi, per quello che io ne sappia di presente, non ebbero
questa sorle di uccellare, però dalli scritti toro non si poten-
do cavare, come si fa quasi io tutto il resto della moderna
agricoltura, convien fondarsi in su l'uso: ond' io mi ricordo
aver letto appresso di un galant' uomo, il quale trattando bre-
vemente, secondo suo costume, di questa materia, disse:
molti ornamenli e gentilezze le si posson fare dentro e d'in-
tornò, che non hanno altra regola, che la searsella e la fan-
lasia del padrone. I
Ma venendo a'ferri, per cominciare a servirei de'termini
dell' arte, dico, che a porre una ragnaia mi par cosa molto
necessaria di considerare prima bene il sito, dove tu la vuoi
piantare, de'quale non el1trero io a disputare ora, se è più
a proposito e migliore' il poggio, delÌa costa o del piano: solo
mellerò in considerazjone in questa materia, che è da avver-
tire se il paese dove disegni piantarIa è copioso di uccelli, o
no: aeciò che a te non addivenisse quelloche all'architettore
d'Alessandro Magnoin altra materia, il quale I lo consigliava
che edificasse una città in su un monte, aUa quale si polreb-
be due forma umana, aggiugnendo, che avrebbe avuto un
non so che del maravigliosoe del degno d'Alessandro; da cui
gli fu aeeertamente domandato di che viverebbero poi gli
abitatori 800i. Rispose l'architetto, per quanto è da credere,

I Qui mUlifeslomeaU! citasi il cap. 70 della Coll/..".io"., però l' edilor


Sa..... foadò la qaello luogo il principal. argomealo a dimo.trar quello
Icritto aOD es_ cOla del DovaaUli. Ma quaado par fo... maaeato quello in-
dioio, ballava lo diversità dello l1ile, la qaal. Doa lascia alcna dabbio.
I Dubito che deLba dire "t quat.; percbè ... rameat. questo PUIO vole..
fue del monte Ato una IlalWl che lenelie iD iDlao aDa cltlà.
DIlL 110DO DI PUNTAlIIl Il CUSTODIRE 'IllU R4GN41A., 60'
mezzo scornato , cbe a questo non ci aveva pensato. Però al
proposito nostro adal1ando l'istorietla racconta, cbi facesse
UDa bella ragnaia dove non fussero uccelli, non farebbe egli
la città, cbe voleva fabbricare l'arcbiteltore d'Alessandro?
Et è ancora da avere mollo risguardo d'eleggere il sito, che
cammini per la lungbezza sua da tramontana a meno gior-
no, acciè che il vento, cbe soffia da detta parte di tramon-
tana, inimìcìsslmo agli uccelli, non la seghi per traverso,
dove è più stretta, e non ba difesa alcuna, ma si bene per
lo lungo la ferisca, dove gli uccelli partendosì dalla parte di
sopra, possano ritirarsi nel mezzo e di sotto. E se alcuno mi
dicesse, cbe delle si fatte si vegg'ono per prova esser buone;
mi par cbe se gli possa rispondere facilmente, cbe migliori
sarebbero se elle fussero senza questa imperfezione, la quale
può essere ad alcun sito tolta vi.. del tutto, quando avessero
qualcbe poggette, che quasi gli fusse saldo scudo e forle ba-
stione a' fieri colpi del vento tramontanee e per ovviare, per
quanto fusse possibile" a questo accidente,' io porrei 'nella .
parte risguardante la tramontana, o vogliamo dire nella testa
di sopra, piante da contrastare e opporsi alla furia de'venti,
come sarebbero abeti, arcipressi, lecci, allori o altre si fatte
piante, che, oltre a fare detto elJ'etto, la renderebbero di più
vaga e dilettevole vista a cbiunque da tàl banda arrivasse,
conservandosi d'ogni tempo freschi e verdi, lasciandoli an-
dare in alto, e a natura guidare, nè potrebbero apportare al-
cun danno alla ragnaia tua con l'altezza loro, per esser
situati dove abbiamo detto: anzi sarebbero mezzo e zimbello,
per dir cosi, a fàr posare alcuni uccelIi sopra di loro, a'quali
paresse troppo basso seggio la ragnaìa ,' e di quivi poi piglian-
dela, come Bi dice; in due bocconi, tulJ'arsi nella maccbia più
agevolmente" quando pOI' paresse loro: e chi volesse poi la
sua in poggio, è da fuggire soprattulto i luogbi alli e rilevati,'
per due cagioni principali, l'una de' venti di già delta, e l'al-
tra per la scomodità dell' acqua, sommamente ricbiesla in
poggio e in 'Piano, senza la quale in questo alJ'are non si può
far nulla di buono. E come ogni acqua faccia l'elJ'elto, o di
fiume o di fonte o morta o viva, pure cbe sia esposla in
luogo che gli uccelli vi possono andare e volare quando gliene
51'
toI DaL MODO DI PI4l'ITARB B CUSTODIRE UlIA. BAGNAI:I..

fa bisogno,senza alcuna sorte di paura; nondimeno lotlavolla t


se si potesse aver lungo la ragnaia, da porsi da noi, qualehe
fiumicello, a cui la state acqua non manchi, che menasse
llllssi e ~iaia, oome per esempiò fa il nostro Mugnone, lo
terrei per lo migliore che in quest' alTare noi potessimo de-
siderare: perchè l'acqua sua necessariamente sarebbe fresca
e buona, sendo vicina al monte, e alla sua polìared in queDo
andare tra' sassi scorrendo, vien purgata da ogni immondez-
za, e resta éhiara e limpida, come un bel cristallo: né é facil
cosa a immaginarsi quanto i beccafichi in particolare vadano
volél).tieri di sasso in sasso svolazzando, assaggiando ora una
gocciola di questa pozzanghera, et ora una di quell' altra,
quasi assetati beoni giunti -ìn una vòlta di oUimo vino: dove
che di fìume.grosso non può avvenire il medesimo, come né
anche di peschiera, o di qualsivoglia altra acqua aquesia
simighante, se bene nè queste nè altre meritano d'essere
fuggile; ma si è solamentedelto qoale perJ' oppeoìone mia
è la migliore, e la pio desiderabile. E se tu avessi rio o fos-
sato là dove ta disegni di porre la tua ragnàìa, avverlisei
bene, che sia tuo da tutte due le bande, aeciò che tu gli
possa prima adirizzare il corsos quando non fosse, come per
lo più suole avvenire, per potere poi porre la ragnaia a filo
a filo, e fargli le sue strade diritte come asuo loogo e tempo
si dirà, e leva via ancora l'occasione di contesa del tuo vi-
cino, come di leggieri potrebbe avvenire; però certa, non
sendo , di comperarlo, o barattare con seco , 'e non potendo,
eleggi, per mio consiglio, un altro luogo, e tngegnati a tutto
tuo potere, che ella sia alla tua casa vicina il pio che sia pos-
sibile; chè non si può pensare, non che dire, quanto sia
grande questa commodità. Tu vi puoi ire a vedere, anzi cile
tenda, se vi sono uccelli; quivi uccellando poi, tu puoi fare
lutti i falli tuoi nell' istesso tempo, chè non tiolTende la piog-
gia, nè il vento nell'andare o tornare. Le donne e i fanciulli,
e l'altra tua famiglia, -possono essere sempre partecipi del
piacere,e d'essi ancora ti potrai servire a cacciare; senza
aver bisogno di chiamar truppa de' tuoi lavoratori. Oltre a ciò,

.. nondimeno tldtavo/la. O l'uno o l'allro aflLonda.


DIlL 1I0D<t DI PIANTARIl Il CUSTODIRE UNA BA9NA1.l. 607
ogni tristo temporale, che sopra gionga di pioggia" o di
venti, non ti metterà le ragne ìn compromesso, perché sarai
sempre a tempo a averle stese. Aggiungi ancora questa cosa
di non pìceola importanza, che non riceverai danno da'vian-
danti né da' tuoì.vieinì, .che, per timore di non esser veduti,
non si ardiranno a cavarti gli uccelli delle ragne, che taoto
vool dire quanto straceìarle,' e mandarle male; né .da' bale-
strieri ti saranno cacciati o morti gli uccelli, né da'contadini
presi con gli archetti, e colti i fichi o l'uve per loro pastura
assegnati, né tagliate legne per far fuoco, èome se l'arai punto
.Iontana dalla tua abitazione, ti potrà queste e molte altre si
fatte cose accadere, che ora a la mente tutte non mi si ap-
presentano, et alcune ne lascio nella penna; per non esser
troppo. lungo. Et aooora é da esaminare diligentemente, se il
paese tuo é più abbondante di tordi, che di beccafichi.. per
poter poi, ponendo la ragnaia, fare il maggior tuo fondamento
sopra di quelle pìante , che sono più amate e più secondo '1
gusto della parte che prevale, non, lasciando però l'altra
senza la sua debita stregua: avendo massimamente così large
il campo, come ècp1ello, d'una infinità di piante, che vuole
una raguaia, e particolarmente nel modo ch' io disegno di
farla: della qual cosa non si dolgano i poveri, non parendo
loro d'avere il modo di poterla fare in questa maniera, ma
piuttosto deDa fortuna che non gli abbia conceduto ricchezze.
E per cominciare dalla lunghezza, io non vorrei, che ,a
nìun patto ella si facesseminore dallo spazio che ingombrano
tre ragne, le quali non vorreì, che tra di loro fossero molto
distanti, né trapassassero lo spazio di braccia cento in circa
dall' nna all' altra, per esser più faciI cosa a farvì dar den-
tre- gli uccelli, quando hanno a volar poco, che nel fare
lungo viaggio i tordi escono dalle bande, e gli' altri uccelli
minori bene spesso rimangono per la macchia, oltreché quelli
che non danno in una rete incappano nell'altra, e' se alcenì
per lor buona sorte escon d'una ragna, oral volentieri tor-
òano a dare nella medesima, ma bene insaccano in altra,
ove non siano pericolati, come non consapevoli di questo
nuovo inganno. Nel farla poi più lunga non si poò pigliare
errore, però si lascia ad arbitrio di' ciascuno; e se harà di
608 DBL ,MODO DI PUNUIlB B CUSTODIIB UNA BAGNA.U.

molte tese la tua ragnaia, la potrai oecellare ogni giorno,


tendendo ora da una banda e ora dall'altra, secondo che ti
accomoderà. La larghezza sua nel più si referi~ a quello
che della lunghezza s' è detto, ma nel meno, I acciocché sia
bella e buona: da vero non vorrei io che scadesse lo' spazio
di braccia -1/$, quando tu la poni; che che se ne dicano co-
loro che amano troppo i lor terreni: a' quali so io che parrò
pazzo, ma per isgannarli da questa lor credenza, gli 'voglio
dar un ottimo consiglio, e da savio, che non entrino, per
parlare con i propri termini d'arte, in questi gineprai, per-
chè e' si priveranno di qualche poco di utilità; e addosseran-
nosi la spesa del piantarla, e non faranno mai cosa, che ab-
bia in sè nulla di buono o di bello, come per esperienza
a' miei di ho veduti di molti. E lasciando costoro, per mio
credere, avvertiti, ma non già emendati e corretti, da l'uno
de' lati; è tempo ormai di discendere a' particulari del lavo-
ro, ehe.richìede, delle quantità delle piante, dello sparli-
mento e distanza in fra di loro. I
E incominciandosi dal lavoro, e' non édubbio, che chi
fa divelto elegge la parte migliore, perché se bene é un poco
più spesa, ti ristora nel venir presto, e meglio -di quello
che farebbe in fosSé o formelle, che sono gli altri duoi mO<ir,
e meno tempo vuole essere allevàta, e consegnentemenle
manco spesa quando si fa divelto; il quale giudico, che due
otre pontate a fondo, e in piano e in costa e in poggio sia
bastante, presupponendo che il poggiovadia cercando de'luo-
ghi bassi e freschi, come si é detto, intendendo sempre che
abbia a esser fatto a tempo asciutto, sottilmente affettato,
ben colmato e spianato, che l'acqua non vi muoia 'dentro,
ma abbia convenientemente le sue uscite, e l'altre apparte-
nenze; e se bene in piano particolarmente molte piante che
amano di avere o sentire a galla le barbe loro, io ie porrei
molto meno affondo', tuttavia l'aver sotto un, soffice e sprì-
macciato letto, a chi fa gran viaggi, come avviene a questi
crescenti arboscelli, messi in buon terreno, lo stimo per 01-
I Cosi anche il maoo.critto.
I Certo che bisogoava Ler gro••o da vero, a due a meller BerDardo'I_a
frascoDaia d' incili.
DEL IIODO DI PU.NUBE E COSTODIBR- UNl B&GNAU.. 609
timo mezzo a mantenerglì le forze, come ricordo d'avere
letlo in buono autore, tratlante in materia di coltivazione,
queste parole: che chi vuoleavere le sue piante piccole, faccia
loro piccola buca, ove non possino barbarere chi grandi,
grande: oltre che si conservano meglio senza fìne, molto più
queste che quelle, non sendo esposte a infiniti- tempor-ali cat-
tivi che corrono in cosi-lungo spazio d'anni, qoanti suole
una pianta per l'ordinario durare; le quali piante fn ogni
paese, e in ogni loogo, vorrei che fussero scelte per filari di
fuori di qoella spezìe che si-conserva verde tutto l'anno,
come sarebbero allori,"lecci, corbezzoli, ginepri e lentaggi-
ni: e se io avessi a fare interamente a mio senno, piuttosto
amerei qoesti filari di fuori semplici che composti, cioè totto
un.fìlaresolo di allori, e l'altro esempligrazia di ginepri o di
lecci, per poter meglio accomodare le spalliere etrarle pari,
come si diràa suo luogo. Nè mi dìeaaleano che il leccio non
prodoce per gli uoeelli cibo, perché io gli risponderei, che
la sua ombra, iI- soo alloggiamento per albergarvì , è cosi
grato agli occelli, che supplisce interamente al difetto di non
prodorre èsca per loro: massime dove tanti llltri alberi, quasi
gareggiando fra loro, ne fanno cosi gran copia, che bene
spesso la terra ne resta coperta. E 'potendo avere de'lecci,
e_degli allori grandi, giovani e con buona barba, che la spesa
non ti dia fastidio, pigliagli pure, e ponglì a piantone con
quanto maggior pane ,di terra tu puoi nel tuo divelto, assai
alfondo; amando d'andare cosi con le barbe loro; e ancora
per esser grossi, nel-modo detto, dar loro pagliaccia, mi-
gliorina, sagginali, e altro grassume con la terra cotta, s'in-
tenda sempre a questa e ad ogn' altra pianta che tu poni, e
nel modo stesso-che tu poni i nesti, e l'altre domestiche
piante a tempo asciutto, e potendo accomodarti alla lùna che
cresca. 'non potrà coUa regola generale, se non gìovartì: ma
a questo nori è -già da guardarci, 'e potrai cominciare del
mese- d'ottobre, e seguitare fino a totlo marzo; e più e meno
che la stagione sarà innanzi, e le piante, che tu disegni por-
re, baranno messo. La distanza infra di loro giudioherei che
dovessi essere di questa sorte, che noi parliamo, più di brac-
da due, e meno di tre lontane l'una dall'altra, e in poggio,
610 DEL IIODO DI PUl'IURE Il CUSTODIRB Dl'I.t. BAGl'I.t.U.
(
e in magro terreno Ili. potrebbe,porre un Poc.o con la mano
più liberale, e nel piano e ne' luoghi grassi pendere nel più
rado e lontano, per venirvi gli arboscelli maggiori che nel
poggio; nel qual loogo ancora è da avacèlarela posta, acciò
che il caldo 'non la trovi fdor di casa sua, qnaslehe fore-
stiera, e gli dia addosso, senza che ella, non sapendo la lin-
gua, si possa difendere e dire le sue ragionl.! Fatto che noi
abbiamo il primo filare o.la·spalliera, che noi Ce la 'vogliamo
chiamare, tutta verde, eduna sola delle piante a nostra
elezione, piò ci sarà pìaeiuta lontana l' ona,dall' altra, come
s'é detto, tu dei di noovo pigliare il too filo, e incomincian-
doti da ona testa, camminare, ponendo alla volta, dell' altra
lontano dal primo filare braccia tre e dall' una pianta all' 8Ì-
tra: on braccio e mezzo: et in qoesto ancora bisogna che ti
servi -d' on certo che di discrezione, avvertendo le piante
che poni, come sono 088 a divenir grandi, che ponendone
accanto alcune di queste; vi dei lasciare lo spazio ma'ggiore.
Se fai la tua ragnaia prlneìpalmente per i beccafichi,bisogna
fondarsi si ne' sanguini, salci, vetrici, sambuchi: se per 'i
tordi, allori, lecci, corbezzoli, sugheri, morteUe ed eDere
con molte viti di raverustl e di abrostini maritate ad olmi e ad
oppio, à cui facciano cappellacci, cosa utilissima per i tordi
primaticci, e che punto non dispiace a' beccafichi serotini;
e se vorrai servirtene 'e per i beccafichi e per i tordi, che
il paese te lo conceda,'l'andrai scompartendoe tramaeehìando
di quelle piante che saprai essere grate agli uni e agli altri.
Come to arai fornito, questo filare, (o' andrai alla volta del-
l'altro, servando la medesima regola e misora, e condotto
aDCO esso a fine, tu troverai, contando quel di foori, avér p0-
sto tre filari, ingombrato braccla sei di terreno. Ora qui è
da lasciare lo spazio di braccia qoattro in cinqoe;per' farvi
una strada, perché poi gli occelli, per essa strisct.ndo, ili-
sacchino nellaragna, qoando sarà tempo di uecellarla; eìn
fare detta- viottola pendi pure piò tosto nel pili largo della
millura assegnatali, perché crescendo le piante" tu.rìnneghe-
rai il mondo,' a poterla tenere aperta, e ti 'converrà bene
t E qUellO è proprio UD periodo a uso DerDardo.
2 Cioè J ti anabb.lri, at'Tli l'aadis.ima difficoJtia.
UEL MODO DI PIANTARE E CUSTODIRE VIU BAGNAlA. 611
spesso tagliare alcuni rami principali che sgrazieranno,t tutto
il restante della pianta, e piuttosto poni un poco più fondo li
filari chene 'vengono ora. Noi abbiamo fin a qui ,posto li tre
filari, e lasciata la viottoladl braccia cinque in circa, a tale
che ci troviamo avere ingombrato braccia nndiel di terreno:
ora vorrei io che misurassimo altre otto braccia, e nell'una e
nell' altra estremità ponessimo un filare, e due nel mezzo, poi
nél modo detto da noi egualmenle distanti infra di loro, che
sarebbono un' terzo di braccio più fondi delli tre primi posti,
che per essere più al)' uggia, e dal sole men favoriti, dove-
ranno in qualche .parte divenire minori e men folli, che
quelli che sono dalle bande, e in tutto ci troveremo aver con-
sumato braccia diciannove del divelto latto. Il quale ,vorrei
che f~se il termine del mezzo delle piante. Resta ora ,che
noi facciamo il viottolo di mezzo .Iargo braccia sette , p0-
nendo lontano da i suoi filari da l'una e l'altra banda, un
braccio e mezzo lontano una spalliera di mortine, tenendola
alta cosi mezzanamente, la quale al tempo de' fiori farebbe
suavìssìmo odore, et il verno poi le coccole, cibo gratissimo
a' tordi et alle merle; e nei detti filari dal viottolo di mezzo,
per esser aperto, il potervi entrare il sole, porrei per tutto
buona quantità di fichi di tutte le sorte, ma prìnelpalmente
degli albi, o perehè e' venga i1.tempo loro il primo o per la
sua dOlcezza agli uccelli gratissima sopra tutti gli à1tri: e .se
bene io sono di parere, che dentro alla ragnaia cosi dìvlsata
da noi Ili pongano alcune piante di fico, non voglio però-che
fuori' d'essa; nelle viottole .solite farsi dalle bande Per a~­
dare a cacciare, non vi Se ne poaga senza fine, percbè io mi
ricordo aver già sentito dire al maggior uomo che già tempo
(a abbia avuto la città nostra in materia df leUere, che i
Greci ch,iamavano questi uccelletti, a' quali noi fabbrichiamo
in UD, medesimo tempo ii mele e l'assenzio, OUlllJÀlç; I e i la~
tini gli 'nominavano ficedula; e noi toscani, beccafichi. PelÒ
se il paese dove tu poni la ragnaia non è in tutto privo di
loro, non ti ,saziar mai di piantare di questa coli nobile e
4 TorranDO la gnlia. 'Manca al vocabolario.
, Co.1 erodo debba dire: I••tamp •••00•• h. un. acoDciatura di greco, eh.
DOD .igDi6ca Dulia,
612 DEL MODO DI PIANTAllE ~ CUSTODIRE UNA RAGIUU.

frotti~ra pianta dentro e footi della macchia, 'per le vioUo-


le, per li campi vicini, e per tutto Insomma, dove ne poò
entrare.. perché chi sa se questi colla dolcezza loro furono
potenti' di condorre ona moltitudine cosi grande d'uomini
in questi nostri paesi, a esporsi li. manifesti pericoli di mor-
te, or perché non crederemo noì che con minor fatica pos-
sono allettarsi così fatti occelletti privi del lume della ra-
gione né repugnantì al senso, e non consaperol] de' pericoli
'che soprastano-Jore? e se per fortuna e'si potesse avere,
come bene spesso suole avvenire, qoalche acqua viva vici-
na.. la manderei al tempo della state in' on canaletto fallo li.
ciò; per il viottolo del mezzo lungo le morlelle; e se il luogo
lo consentisse, avendo quaìchepoco di disuguale edi erto,
-gli farei fare on poco di caduta, aceìè che' col suono e mor-
morio che ne uscisse,in ono o pilì luoghi incitasse gli ne-
celll, a bere da ona o tolle due le bande, come meglio li pa-
re~se; e potendo e 'Volendo' farla gonfiare e ridurla in fonte,
resti in arbitrio del padrone e della borsa sua.
Come io'l' ho condotto la ragnaia bella e posta insino al
mezzo,n' ho detto tutto quello che resta a fare perI'altra metà,
la quale intendo, che nè più né meno abbia a essere, come la
posta in fin qui da noi; eccello che, se tu volessiaver riguardo
alla natura delle piante, poaendonemagglor qoantilà di quelle
che amano il sole da quella banda, ove più lo possono gode-
re, e dall'-altre similmente, ehe non temano l'ombra, o il
gielo., dove più da essi sono percossi, -e se la natura avessi
proveduto di fiume, fossato o rio, dove intendi di por la ra-
gnaia, e che abbia limore che non ti faccià danno, armati
da quella banda con porre molte piante d'ontani, sendo for-
lissimo antemurale o riparo alla furia deU'acqua: e crescendo
col tempo troppo, ~Ii potrai scapezzare e tener bassi, come
bene ti viene; el in loro compagnia meUerai molle vetrìci o
proni senza fine, atteso che -sono ancora essi ollimo mezzo
per difenderti dal fiume. come ognuno sa: ma qoello che
io più stimo, fanno le more, primo, cibo et oltre a modo
da' beccafichi amato; et avendo qualche strada vicina, ser-
rati pure'con una buona siepe di qoesti roghi, e mellendo a
ogni tre o qualtro braccia una pianta dì quelli, che si doman-
DEL 111000 DI PIANTARE B GllSTODlBE CNA RAGNAlA.. 613
dano pruni bianchi, acciò che crescendo e diventando a
modo di alberi possano essere col tempo sostegno et ap-
poggio a questi che fanno le more, et intrecciandosi in-
sieme con spesselegature, fare una siepe di tal sorta, che
ti renda la tua possessione vie più sicura, che i muri non
fanno, e quando fusse il luogo remoto, e non esposto a'dan-
ni, potrassi annestare sopra di questi pruni bianchi di molti
bei nespoli e lazzeruoli ancora. Mentre che tu poni la ra-
gnaia, lascia lo spazio ove tu vuoi che vengano le tcse,
scompartendo la lunghezza egualmente: e dèi avvertire alle
piante che poni intorno ad esse tese, se tu vuoi che le ra-
gne si conservino e restino nascoste d'ogni tempo, e che gli
uccelli, caduta la foglia, non le vegghino; pero ponvi del-
l'uno e delI'allro, allori, lentaggine, lecci o mortinevla-
sciandola andare in alto. E vorrei ancora che fusse messa in
mezzo la della' ragna da due spallierette di mortella o di len-
taggine, o sivvero da -due moricciuoli coperti d'ellera, accio-
ehè gli uccelli, quando son cacciati, e che la ragna è tesa
punto alla, non potessero passare di sotto, come fanno bene
spesso, e li migliori; ma fusse loro giuocoforza, quando si tro-
vassero quivi a trarsi un poco, e conseguentemente insaccare
nella ragna, avvertendo che le tese siano strette, acciò che gli
uccelIi avvicinando nOD vegghino le ragne e fugghinsi da'Ia-
ti, come bene spesso veggiamo avvenire. Li stili vogliono
essere di castagno, falli a solatìo , e tagliati a buona luna, e
subito sbucciati; e quando tu gli metti alle tue tese, fa' prima
loro nella buca mettere un buono smalto di ghiaia e calclna,
acciò venghino a non toccar terra, che in pochi anni te gli
rode e' consuma: e porrai alcun albero da venir grande '3
tua elezione, nel medesimo tempo che tu poni la ragnaia,
aeciò che quando e' sarà poi cresciuto tu non abbia a avere
briga e spesa a provveder castagni, ma servirti di loro, te-
nendogli rimondi insino in velia, perché non ti dieno noia
quando tu ragni, volandovi sopra gli uccelIi: et abbia avver-
tenza di dar loro un poco di vantaggio, perché il tramontano
gli sospingerà sempre con la forza sua; e ciò farai ponendoli
alquanto più vicini alla parte di sopra: et ancora' è bene, che
nell' appannare, se non è venlo aUora contrario, tu ti arre-
~ ~
614 DEL IIODO DI PUNTARE E CUSTODIRE UNA BAGNAlA.

chi dalla banda di sotto, acciocché il sole, avendo a stare


col capo alto, non ti dia fastidio agli occhi, di maniera che
non si può quasi soffrire, eta' piedi di detti stili tu vi potrai
fare e' tuoi capannucei di muraglia o verzura, come ti pia-
cerà, con e' loro sedèri intorno, per starvi a vedere dare gli
uccelli nella ragna, et opporsi ancora a quelli che da tal
banda, lungo la ragna volessero fuggire. Dell' ellera non se
n'è parlato sino a qui, e pure cosa molto necessaria per i
è

tordi e merle, che la beccano il verno come pazzi;- e ci sono


più modi per darle luogo e sostegno, acciocché faccia le
coccole: e volendo porla nel tempo stesso che tu poni la ra-
gnaia, fa' certi pilastrotti di muro a ogni tante braccia, dove
ti vien bene, e pongliela intorno in questa maniera. Piglia
qualche arboscello secco, che non possa più, che sia coperto
d'ellera, fanne rocchi lunghi un mezzo braccio, e sotterra-
gli poi quasi tutti, lasciando pur fuor del terreno da capo
tre o quattro dita; che verrà assai più presto, che a porre
tralci: et io lo posso affermare, che n' ho fatto esperienza. E
chi non volesse fare la spesa del muro, potrebbe, in suo luogo,
o pigliare certi legnotti di castagno, ovvero di quercia saldis-
sima, lungo tempo tenuta nell' acqua ad indurarsi, a guisa di
foggiati bronconi, e ficcarli in terra con lo smalto della ghiaia
e calcina, per più conservarli; e piantarvi poi l'ellera d'in-
torno, come s'é detto de' pilastri; e far loro per il dosso certe
tacche con il pennato cosi rozze, acciò l' ellera possa più
agevolmente aggraticciarsegli addosso con i tralci suoi, i
quali mentre che sono giovanini si leghino spesso con erba
o giunchi o altra simil cosa. Evvi poi un altro modo terso a
chi non piacesse li due da me di sopra nominati, ma è di
necessità scorrere qualche anno a metterlo in uso, e fino a
tanto che gli alberi che tu hai piantati nella tua ragnaia non
saranno venuli a una certa grossezza, che tu possa por loro
1'ellera a' piedi, senza loro manifesta rovina; perché facen-
dolo prima, avverrebbe a queste piante tenerelle e sottili
non altrimenti che soglia accadere ad animale troppo per
tempo aggravato da soverchia fatica, il quale o vi resta op-
presso sotto, o rimane debole e fiacco, e al tutto inutile per
tutto il tempo della vila sua.
DIIL 1IIODO DI PI1NTARII Il CUSTODIRli DIU BA6NAU. 6115
Ora che noi abbiamo delto dove, quando, in che ma-
niera, e che piante si debbano eleggere principalmente per
porre una ragnaia, e~ sarà bene che brevemente andiamo
discorrendo sopra l'altezza di tulte, cosi in generale, per
condurle al fine proposto da noi. E per cominciare dallo al-
loro, per esser tanto privilegiato, se però é vero quanto ne
dicono i poeti, questi .amerei io che fussero cavati con le lor
barbe tutte, e con la terra potendo, giovani e grossi quanto
un braccio d'uomo membruto, e posti a piantoni nel tuo di-
vello assai bene al fondo, amando di barbare cosi, e per
essere ancora le piante grandi: e questo che io degli allori
dico, intendo de' lecci il si~igliante, se già non ci paresse
di metterlo alquanto più affondo, compiacendosi egli di ciò
grandemente. I ginepri vogliono essere non punto grossi,
ma cosi di mezza taglia; e quando pendessero nel piocolo,
non li dia noia, purché sieno giovani e vegnenti, e non in-
cancheriti; cM oltre alla facilità-dell'appiccarsl, se il terreno
gli ama, verranno in un baleno via: ed abbi l'occhio a porre di
quei che abbino le coccole, che si domandano mastii, perché
le femmine non producono mai frallo; se bene Il me pare,
per quello-che io ne ho osservato, che vengano prima, e
facciano maggiori alberi: e questa potrebbe per avventura
essere la cagione, .cbe non producendo frutto, e non avendo
a pensare ad altri, mellono tutta la- forza loro in crescere:
ponli a galla, e riguardali dal pennato, che ne sono inimici
d'ogni tempo. La lentaggine, la mortella ed i corbezzoli vo-
gliono ancora esser posti giovani, e pruovano mollo bene a
non gli tagliare tra le due terre; e di questo ancora ne posso
parlare per praova: amano di barbicare pio addentro de' gi-
nepri, e meno degli allori, e ponendo arcipressi, tienti a
galla. Agrifogli, lentischi, sugheri e simili, ponvene qualche
pianta, ma non sono punto gente da abborracciarsi col fallo
loro; olmi, oppi, arbuti, mori, ontani, gallici, nocciuoli,
sambuchi, vetrici e salci gli potrai porre al marzo senza
barbe, che proveranno iD ogni modo, e si potranno servire
per sostegno delle vili, che porrai ai loro piedi, e per man-
darvi ancora l' ellera, quando sarà tempo, come di sopra s'è
detto.) sanguini, principal fondamento della tua'ragnaìa, mas-
616 DEL MODO DI PUNTARE E CUSTODI.E DIU BAGNAU.

sìme sendo in paese dove bazzichino i beccafichi, vogliono


esser giovani posti con le lor barbe a galla, e tagliati tra le
due terre necessariamente: le coccole loro piacciono a totti
gli uccelli, e di tal maniera ne sono ghiotti, che bene spesso
ne lasciano i fichi e l'uve, e i rigogoli ed i tordi ancora ne
fanno di buone corpaccialc; dove per contrario de' rovisti chi
non si trova uccello, a cui la sua coccola piaccia: e se la
conservano da un anno all' altro, senza esserle mai detto
pure una volta: che faitu qui? Pero non ve ne porre: anzi,
nascendovene, levagli via, perché hanno un'altra gentilezza,
che non é piccola: di primavera le canterelle gli mangiano
la foglia, e ammorbano il mondo collor fetore: oltre a qoe- '
sto, fanno la macchia brutta e seecaginosa. I bossoli, per loro
medesimi rendono spiacevole odore; nelle moderne ragnaie
non se ne vede: non producono frutto per gli uccelli, né il
soo albergo gli piace, dalle passare in fuori. Nè querce, per
mio avviso é da piantarvi, attesochè sempre ne nasca, delle
quali in qualche luogo, ove mancassero altre piante, o non ve-
nissero a mio modo, ne alleverei qualcuna; se bene non mi
addimesticherei molto ad esso loro, che sono di queste per-
soue, che chi mostra loro il dito, pigliano il dito e 'I braccio,
mangiandosi col tempo tutte le piante sue vicine.
Come tu arai fornito di porre la ragnaia nel modo detto
da noi, falla riguardare che bestia non v' entri, dentro so-
prattutlo: e potendo aver commodità la state di annaffiarla,
ingegnatene, avvertendo che l'acqua sia in buona quantità,
e che vada a trovargli le barbe: che qoando ne avessi mano
camento, ti consiglierei a non te ne impicciare, chè in
luogo di giovarle le verresti a nuocere e avvelenarle la ter-
ra: e potendo farlo solllcientemente, torna tante volte ad
annaffiarla, quante ti pare che n'abbia di bisogno, che lo
conoscerai da te agevolmente; dove il senso arriva non vi
ha 100jZo l'insegnamento: e se la ragnaia tua fosse in sito da
non potere sperare questa comodità, e il terreno per sé ali-
do, e che tema la state, qoando tu la poni, metti le piante
on poco più addentro, che tu non faresti per ono ordinario;
, dàgli loppa al piede, o altra cosa, che mantenga fresco; e se
brami fargli un governo da dovero soprammano, rivedila
DIiL IIODO DI PIANTARE E CUSTODIRE VIU UGNAU. 617
spesso e calpestala pure, chè li prometto che' da' taoi piedi
Don riceverà danno: falla tenere netta dall' erba, vangandola
ogni anno fra il maggio e 'l giugno a tempo asciutto e caldo
cosi leggermente, perché si secchi l'erba, e non gli offenda
le barbe: e se all' agosto ti paresse rimessa, potrai farla ra-
dere e rincalzar con essa rastiata leggermente le piante, du-
rando a fare questo giuoco tanto che tu la vegga uscita su,
e che tu giudichi che non abbia più di bisogno: e se tu andrai
continoando ogni anno una buona giumella di colombina
spenta, o cacherelli di pecora, o altro smaltito concime per
ciascuna pianta, ti francheranno la spesa, venendo presto e
meglio, e prima conseguirai il fine tuo d'uccellarla: al qoal
tempo alcuni hanno usato di far le vie coperte con non pic-
cola spesa di legname e d'opere; e veramente fanno bel
vedere, se bene, quanto al ragnare è di danno assolutamen-
te, perché in delle vie coperte volano con paura, o come se
fussino in chiusa gabbia, cercano sempre di uscire per qual-
che gretola, lo non vorrei che gli alberi della nostra ragnaia
trapassassero l'allezza d'olio braccia, tenuli tutti a un pari,
cosi di sopra, come le spalliere di fuori, e le vie di dentro,
dove hanno a volare gli uccelli, e dove si ha a ire a scaccia-
re; a che fare è necessario aver l'occhio assai per tempo,
perché è più facile incamminare ona pianta giovane e lene-
rella nel modo che tu vuoi che stia, che iTidurre una vec-
chia e trasandata; il che bene spesso non si può fare senza
una estrema violenza di pennato , per non dire di scure, alla
quale molte volte non tenendo l'invito, se la passano rimet-
tendo poco o niente; e il ginepro particularmente , per ser-
virmi di pianta principale in questo affare, scapezzato da
vecchio si secca spaccìatamente, o almeno teme tanto, che
diviene spennacchiato e cosi debole, che oltre al far venire
,la macchia seccaginosa e brutta, dicono di più che non pro-
: duce frutto.
Le viollole, che dalle bande comunemente si sogliono
fare lungo le spalliere di fuora, per andare a cacciare, non
entrerò a dir come vogliono essere, perché senza loro può
piantarsi e crescere e uccellarsi la ragnaia posta da noi, Don
negando però, che le aggiungano ornamento e bellezza ìncre-
~:r
618 DEL .ODO DI PUNUBE E CUSTODIRE UNA BAGNAlA.

dibile; e forse in altro discorso, e più generale, dì quesl'arle


ne dirò qual sia la mia oppenione. E voglio che per ora mi
basti, se non d'aver sodisfatlo al desiderio vostro, almeno
di non aver mancato al debito mio, per quanto però 51 estende
la debolezza delle mie piccole forze. 1

l Ri,coDlr.lo col Codice Ricc.rdi'Do di N. 2973. (NoI' dell' edisione


S.D....)

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