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de Unibove
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– poema ritmico3 a carattere farsesco, di autore anonimo, ma
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1. «L’immaginario fa parte del campo della rappresentazione. Ma vi occupa il posto della
traduzione non riproduttiva, non semplicemente trasposta in immagine dello spirito,
bensì creativa, poetica in senso etimologico» (J. Le Goff, L’immaginario medievale,
trad. it. a cura di Anna Salmon Vivanti, Roma-Bari, Laterza, 1988 [1985], p. VI).
2. L’opera è attestata con il titolo Versus de Unibove dal manoscritto Bruxelles, Bibliothè-
que Royale, 10078-10095, ff. 38v-42v, datato all’XI sec. Per un primo orientamento
bibliografico sul testo, cfr. B. K. Vollmann, «Unibos (Versus de Unibove)», in Die
deutsche Literatur des Mittelalters Verfasserlexikon, X, Berlin 1996, coll. 80-85.
Abbiamo utilizzato l’ed. critica a cura di F. Bertini - F. Mosetti Casaretto, La beffa di
Unibos, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2000. Le precedenti edizioni si devono a: J.
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Grimm-A. Schmeller, Lateinische Gedichte des X. und XI. Jahrhunderts, Göttingen,
Dieterich, 1838, pp. 354-380 (editio princeps); P. van de Woestijne, De Klucht van boer
Eenos naar een latÿnsch gedicht uit de 11° eeuw Versus de Unibove, Antwerpen 1944;
K. Langosch, Waltharius, Ruodlieb, Märchenepen, Basel, Stuttgart, 1956, pp. 252-305 e
pp. 379-382; A. Welkenhuysen, Het lied van boer eenos, Leuven University Press, 1975
(in due fascicoli); M. Wolterbeck, «Unibos. The Earliest Full-lenght Fabliau»,
Comitatus 16 (1985): 46-76; T. A.-P. Klein, «Versus de Unibove. Neuedition mit
kritischen Kommentar», Studi Medievali 32 (1991): 843-886.
3. Si tratta di 864 ottosillabi accentuativi a rima baciata (più spesso monosillabica: cfr. F.
Brunhölzl, Geschichte der lateinischen Literatur des Mittelalters, II. Band, s.l. 1992,
Histoire de la littérature latine du Moyen Age, trad. fr. a cura di H. Rochais, Turnhout,
Brepols, 1996, p. 264), per un totale di 216 strofe di quattro versi ciascuna.
4. Cfr. F. Mosetti Casaretto, «Il tempo curvo del contadino. Per una lettura qohèletica dei
Versus de Unibove», Studia Monastica 42 (2000): 109-112.
5. Cfr. F. Mosetti Casaretto, «Il riso come meccanismo: la pseudo-resurrezione nei Versus
de Unibove», in Actas del VIII Congreso Internacional de la Asociación Hispánica de
Literatura Medieval (Santander, 22-26 de Septiembre de 1999), Esplugues de Llobregat
2000, pp. 1353-1368; Id., «Il sermone rappresentato: i Versus de Unibove», in Predica-
zione e società nel Medioevo: riflessione etica, valori e modelli di comportamento, Atti
del Twelfth Medieval Sermon Studies Symposium (Padova, 14-18 VII 2000), Padova,
Centro Studi Antoniani, 2002, pp. 278-284; Id., «Una sfida al Lettore: i Versus de Uni-
bove», in Latin culture in the Eleventh Century. Proceedings of the Thrird International
Conference on Medieval Latin Studies (Cambridge, 9-12 September 1998), II,
Turnhout, Brepols 2002, pp. 153-186.
6. Così F. Bertini, «Il contadino medievale, ovvero il profilo del diavolo (una nuova inter-
pretazione dei Versus de Unibove)», Maia 47 (1995): 327 [ora anche in: Id., Interpreti
medievali di Fedro, Napoli, Liguori, 1998, pp. 111-128].
7. Cfr. F. Bertini, «Il contadino medievale, ovvero il profilo del diavolo», in Bertini - Mo-
setti Casaretto, La beffa, p. 10.
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8. Cfr. su questo quanto in R. Gamberini, «Recensione a »,
La beffa di Unibos Schola Sa-
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10. La Placa, «I Versus», p. 288.
11. Cfr. Mosetti Casaretto, «Il tempo curvo», passim.
12. Ne dà notizia egli stesso: «descripsi heroico metro Ecclesiasten, quem opere stromateo
tripliciter digessi, ad litteram, allegorice, mythologice» (Sigebertus Gemblacensis, De
scriptoribus ecclesiasticis, c. 171 (PL 160, col. 588).
13. Cfr. A. Boutemy, «Fragments d’une œuvre perdue de Sigebert de Gembloux (Le Com-
mentaire métrique de l’“Ecclesiaste”», Latomus 2 (1938): 196-220.
14. Cfr. Oltre il folklore. Tradizioni popolari e antropologia nella società contemporanea, a
c. di P. Clemente e F. Mugnaini, Roma, Carocci, 2001.
15. Il quale l’avrà irrimediabilmente manipolata, elaborata, accorciata, alterata, variata,
estesa allo scopo di creare un prodotto nuovo, dalla forte caratterizzazione letteraria; in
definitiva, allo scopo di creare il suo prodotto semiologicamente strategico e indipen-
dente, conforme alle sue prefissate esigenze progettuali, diverse, in tutto o in parte, dalle
motivazioni, dalla struttura e dalla strategia dell’eventuale palinsesto folklorico. Cfr. an-
che P. Zumthor, La lettera e la voce. Sulla letteratura medievale, trad. it. a cura di M.
Liborio, Bologna, Il Mulino, 1990 [1987], p. 47: «Ammettere che un testo, in qualsiasi
momento della sua esistenza, sia stato orale, significa prendere coscienza di un fatto sto-
rico che non si confonde con la situazione di cui esiste la traccia scritta, e che non appa-
rirà mai, nel senso proprio dell’espressione, davanti ai nostri occhi».
Unibos e il «pio bove» 115
Et eunt homines mirari alta montium et ingentes fluctus maris et latissimos lapsus fluminum et
Oceani ambitum et gyros siderum et relinquunt se ipsos nec mirantur, quod haec omnia cum
dicerem, non ea videbam oculis, nec tamen dicerem, nisi montes et fluctus et flumina et sidera,
quae vidi, et Oceanum, quem credidi, intus in memoria mea viderem spatiis tam ingentibus,
quasi foris viderem. Nec ea tamen videndo absorbui, / quando vidi oculis, nec ipsa sunt apud
me, sed imagines eo/rum, et novi, quid ex quo sensu corporis inpressum sit mihi.22
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20. Cfr. L. Milis, Les moines et le peuple dans l’Europe du Moyen Age, s.l., Éditions Belin,
2002, Monaci e popolo nell’Europa medievale, trad. it. a cura di S. Arecco, Torino, Ei-
naudi 2003, p. 14.
21. Walahfridus Strabo, Glossa ordinaria, c. 12 (PL 113, col. 1251A).
22. Augustinus Aurelius, Confessiones, X 8.15.
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23. Cfr. Hrabanus Maurus, Allegoriae in universam sacram Scripturam (PL 112, coll. 849-
1088).
24. «Lo sguardo sul mondo, modellato nel Medioevo dalla dottrina cristiana, implicava un
atteggiamento negativo nei confronti della materia ed era dunque improntato a un fon-
damentale pessimismo. Vigeva la convinzione che l’ideale della Creazione fosse scom-
parso. Il Male era prevalso, anche se l’uomo era stato creato buono. Il Male non era una
nozione, era soprattutto una realtà, di cui la Bibbia dettava una serie di rappresentazioni:
l’Inferno con i suoi diavoli – il Grande Nemico – e il suo fuoco, i loro inganni e le loro
imboscate, e la perpetuità della sofferenza per coloro che avevano seguito il consiglio
menzognero e devastante di Lucifero» (Milis, Les moines, p. 15).
25. «Homo. Et ecce corpus et anima in me mihi praesto sunt, unum exterius et / alterum in-
terius . . . Sed melius quod interius» (Augustinus Aurelius, Confessiones, X 6.10). Cfr.,
su questo, M. M. Davy, Initiation à la symbolique romane (XII siècle), Paris,
Flammarion, 1964 e 1977, in it. Il simbolismo medievale, trad. it. a cura di B. Pavarotti,
Edizioni Mediterranee, Roma 1988, pp. 71 ss.
26. Davy, Initiation, p. 73.
118 Francesco Mosetti Casaretto
clerici
31
del plotdel contadino ingannatore. Ogni particolare viene
convertito allo scopo. La proverbiale scaltrezza dell’ , ad esempio,
agricola
ha proprietà , poiché
seduttrici
33
è predicato ontologico di Satana,
seduco
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41. A. Borst, Forme di vita nel Medioevo, trad. it. a cura di P. Albarella, Napoli, Guida,
1988 [1973], p. 105.
42. A. J. Gurevič, Contadini e santi. Problemi della cultura popolare nel Medioevo, Torino,
Einaudi, 1986 [1981], p. 289.
Unibos e il «pio bove» 123
viamo gli effetti delle sovrapposizioni in atto nel testo. Nel poema si
parla, impropriamente, di «bovis amphibalum» (11.2), «vestis» (12.2),
«pallium» (13.4) e «tunica» (15.3, 28.3), «tutti appartenenti allo stesso
campo semantico. Il primo designa un tipo di mantello spesso villosus e
munito di cappuccio, ma anche un indumento sacerdotale: è usato infatti
come sinonimo di casula, che è la veste, il mantello ordinario dei preti.
Vestis indica i paramenti . . . Lo stesso significato ha la parola pallium,
che designa anche la veste tipica dei monaci»46. Ci viene subito in mente
Gregorio Magno («bos ordinem ecclesiasticum designat . . . vel quos bo-
vis significatio exprimit, nisi hos quos intra sanctam Ecclesiam ad praedi-
cationis officium suscepti ordinis iugum premit?»47), ma anche Rabano
(«per boves, praelati»48). I riferimenti sono congruenti: la venatura anti-
clericale è un tratto costante49 dei Versus; non a caso, appunto il presbiter
è il bersaglio preferito del poeta, che, con pungente sarcasmo, ne mette a
nudo, in vario modo, l’«ignobiltà»50. Andiamo oltre.
Nel testo si parla di «denudatum [bovis] cadaver» (10.4) e, poi, di
«cadaver coniugis» (81.1) o di coniugali «cadavera» (114.2)51. Non è un
problema di proprietà espressiva (di «cadaver bovis» parla già la Bibbia,
cfr., ad esempio, Ex 21.35), è, piuttosto, un problema di ambiguità espres-
siva. Nel poema, infatti, la figura della donna appare, ripetutamente, feri-
nizzata, cfr. 43.1-4: «si mutaretur in bovem / uxor, quam duxi nobilem, /
pro tanti lucri spe bona / mox careret pellicula»52; 97.3-4: «prior suam
feminam / occidet sicut vitulam»; 104.2-3: «surge, dolosa simia,/ petulca
sicut asina»; 107.2-4: «sacerdotem de femina / interrogat, ah, mortua, / si
surrexit iuvencula». In questo caso, ci viene in mente un accostamento fi-
gurale fra l’insieme della donna e quello del bue già presente nella
Scrittura; ha valore etico: sicut boum iugum quod movetur ita et mulierem
nequam (Sir 26.10). Per inciso, in una diversa occasione, un simile
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46. La Placa, «I Versus», pp. 294-295.
47. Gregorius Magnus, Moralia in Iob, c. 12 (PL 75, col. 773D).
48. Hrabanus Maurus, Allegoriae in universam sacram Scripturam (PL 112, col. 877A).
49. Cfr. V. Honemann, «Unibos und Amis», in Kleinere Erzählformen im Mittelalter, a cura
di K.T. Grubmüller-L. Peter Johnson-H.-H. Steinhoff, Paderborn-München, Schoning,
1988 (Paderborn Colloquium 1987), pp. 67-82.
50. Bertini, «Il contadino 1995», p. 335.
51. Queste sono le uniche occorrenze in cui il termine cadaver ricorre nel componimento.
52. Il contesto aveva finora riferito il termine pellis esclusivamente all’animale.
Unibos e il «pio bove» 125
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53. Infatti, anche se Isidoro «accomuna nel nome generico di iumenta i buoi, i cavalli e gli
asini» (Maspero-Granata, Bestiario, p. 86) e anche se tale termine ricorre nell’episodio
citato (126.2: «iumentum»; 134.3: «iumentum»; 138.3: «iumentum»; 148.1: «iumen-
tum»; 153.1: «iumentum»; 157.1: «iumentum»; ma cfr. anche 130.2: «animal»; 132.3:
«bestia»; 143.3: «bestiam»; 145.4: «bestiae»), qui non ci sono dubbi che si tratti di una
giumenta e non di un bue (121.1: «equam»; 125.3: «equae»; 127.3: «equa»; 128.1:
«equa»; 137.3: «equam»; 142.1: «equam»; 142.4: «equae»; 149.3: «equa»; 154.1:
«equam»; 154.4: «equam»; 156.2: «equam»; 158.2: «equa»).
54. L’animale tratteneva una moneta d’argento in una fistola anale; per questo, il poeta dice
che «ani lesi molestia / presbitero dat gaudia» (151.3-4): l’espressione è, evidentemente,
ancipite; infatti, anche se contestualizzata, essa appare inevitabile portatrice di un
osceno doppio senso, del resto congruente con lo spirito del componimento, sul quale
cfr. La Placa, «I Versus», pp. 290 ss.
55. A. Cattabiani, Calendario. Le feste, i miti, le leggende e i riti dell’anno, Milano, Mon-
dadori, 2003, pp. 84-85.
56. Cfr. L. Charbonneau-Lassay, Il Bestiario di Cristo, trad. it. a cura di S. Palamidessi e P.
Lunghi, I, Roma, Arkeios, 1994, pp. 205-6.
57. Cfr. J. Leclercq, Cultura umanistica e desiderio di Dio, trad. it. a cura del «Centro di
Documentazione», Istituto per le scienze religiose, Firenze, Sansoni, 1983 [1957], p. 139.
58. Cfr. Versus de Unibove 2.2 («est rumor Unius Bovis»); 3.3-4 («in personarum dramate /
Uno cantemus de Bove); 6.2 («numquam ducit duos boves»); 8.1-4 («sequax unius fit
bovis / excoriatis reliquis / a vicinis deluditur / “Unus Bos” miser dicitur»); 9.1-4
(«tristis sors mugientium / bovem rapit novissimum; / iam res minor fit elegi / egestate
vocabuli»); 10.1 («exinanito nomine»).
126 Francesco Mosetti Casaretto
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59. Se si esclude il titolo del poema, tràdito dal testimone manoscritto: cfr. La Placa, «I
Versus», p. 285.
60. Il lettore, infatti, non è ancora al corrente dei contenuti del componimento, né
dell’onomastico del protagonista (verrà spiegato solo dalle strofe 6-10).
61. Cfr. U. Eco, «Lector in fabula». La cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Mi-
lano, Bompiani, 1997, pp. 75-76.
62. «Si parla di doppio quando, in un contesto spaziotemporale unico, cioè in un unico
mondo possibile creato dalla finzione letteraria, l’identità di un personaggio si duplica:
un uno diventa due; il personaggio ha dunque due incarnazioni: due corpi che rispon-
dono alla stessa identità e allo stesso nome. Questa è una definizione ristretta e letterale
del doppio . . . si ritrova spesso però un reimpiego metaforico del termine» (M. Fusillo,
L’altro e lo stesso. Teoria e storia del doppio, Firenze, La Nuova Italia, 1998, p. 8).
63. Cfr. M. Bachtin, L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella
tradizione medievale e rinascimentale, Einaudi, Torino 1995 [1965], p. 8.
64. Un’equivalenza autorizzata, sul piano biblico, da Mt 16.18. Per questo cfr. E. R. Cur-
tius, Letteratura europea e Medio evo latino, trad. it. a cura di R. Antonelli, Firenze, La
Nuova Italia, 1992 [1948], pp. 553-9.
Unibos e il «pio bove» 127
Alcuino rettifica:
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65. Il fatto che Unibos, pur non aggiogando mai due buoi, riesca ugualmente ad arare la
terra (cfr. 5.3-4), indica, necessariamente, che egli allaccia un bue e una giumenta (cfr.
11.3 e 144.1-2): e questo è segno di malvagità, in quanto l’agricoltore trasgredisce il
comandamento di Dt 22.10: «non arabis in bove simul et asino».
66. «Gravis fati commercio / boves emit pauper homo» (5.1-2); «eventus per horribiles /
nunquam ducit duos boves / nec simul pungit stimulo / nec uno ponit sub iugo» (6.1-4);
«frustra fortunam vincere / sua certat pauperie / duro fatorum stamine / boves perdit
assidue» (7.1-4); «sequax unius fit bovis / excoriatis reliquis, / a vicinis deluditur /
‘Unus Bos’ miser dicitur» (8.1-4); «tristis sors mugientium / bovem rapit novissimum /
iam res minor fit elegi / egestate vocabuli» (9.1-4); «exinanito nomine / evacuato
bostare / tergus disponit vendere / denudato cadavere» (10.1-4); «super iumenti sellulam
/ ponit vite fiduciam» (11.3-4); «Unibovem nullus iuvat» (15.1).
67. Cfr. Mosetti Casaretto, «Il tempo curvo», passim.
68. Ecl 3.18-21.
128 Francesco Mosetti Casaretto
quantum ad spiritalem intelligentiam pertinet, quis scit utrum spiritus, qui hominis
appellatione dignus est, ascendat in cœlum, et utrum peccator, qui iumentum vocatur,
descendat in terram?69
Ez 32.13; etc.), la stalla deserta (Abc 3.17), il nome, che per quel singolare
quanto strano parallelismo etimologico risulta, improvvisamente, vacuo80,
sono tutti esiti tipologici di empietà. Unibos, che perde i suoi buoi, non è
soltanto «Un-bue», che perde la propria legittimazione onomastica;
perché quel rusticus sarà pure «prototipo letterario di Campriano e di
Bertoldo»81, ma non è Campriano o Bertoldo, è Unibos: dietro di lui c’è
un intero bagaglio di letteratura sapienziale, che gli dà vita, anche se lo
scopo è lesivo (la condanna in quanto tale). Così, se di lui si dice che,
«exinanito nomine» (10.1), «iam res minor fit elegi / egestate vocabuli»
(9.3-4), lo si fa per suscitare l’eco sentenziosa di una precisa didascalia:
«un buon nome dura sempre» (Sir 41.13); «il nome del saggio vivrà per
sempre» (Sir 37.26); perdere il nome è segno di maledizione; «il nome
degli empi svanisce» (Prv 10.7).
In altri termini, il nostro agricoltore è, inevitabilmente, «empio e be-
stiale»82. Non a caso, la morte, che i suoi improvvidi compaesani, esacer-
bate vittime di troppi inganni, vorrebbero dargli, è simile a quella, che
essi stessi hanno riservato per i loro buoi; si confrontino i vv. 46.3-4 («ut
clam boves excerebrent, / interfectos excorient») con i vv. 67.3-4 («co-
nantur interficere / Unibovem») e con i vv. 117.3-4 («eius invadat verticem /
amara mors ignobilem»); e, ancora, i vv. 47.3-4 (mactant boves crudeliter /
excoriantes acriter») con i vv. 161.3-4 («occidende crudeliter / mactaberis
carnaliter»). Simmetrie, ripetizioni, «eterno ritorno dell’identica realtà»83,
che realizza certificate uguaglianze; non coincidenze, ma parabole
esistenziali di identità, allineamento delle forme simili, con tutto il valore
pneumatico accessorio insito in questa similitudo.
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stigo divino (Dt 28.18-31; Gl 1.18; Os 4.3)» (A. Sacchi, «Animali» in Nuovo dizionario
di teologia biblica, a cura di P. Rossano-G. Ravasi-A. Girlanda, Edizioni San Paolo,
Milano, Cinisello Balsamo, 1988, p. 78).
80. Cfr. Versus de Unibove 9.1-4; 10.1.
81. F. Bertini, «Il nuovo nella letteratura in latino», in L’Europa dei secoli XI e XII fra no-
vità e tradizione: sviluppi di una cultura. Atti della X settimana internazionale di studio
(Mendola, 25-29 Agosto 1986), Milano, Vita e Pensiero, 1989, p. 223 [ora anche in: Id.,
Interpreti, pp. 143-168].
82. Cfr. M. Feo, «Dal pius agricola al villano empio e bestiale», in Maia 20 (1968) fasc. II:
89-136; fasc. III: 206-23.
83. N. Lohfink, Qohelet, Brescia, Morcelliana, 1997, p. 43.
Unibos e il «pio bove» 131
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104. Alcuinus Eboracensis, Commentaria super Ecclesiasten, 3.18-21 (PL 100 col. 683B).
105. Cfr. Bibbia TOB. Edizione integrale, trad.it. a cura del Centro Catechistico Salesiano di
Leumann, Leumann, LDC, 1992, pp. 2200-1, nota k.
106. Cfr. Versus de Unibove 210.1-215.4 e Mt 8.28-34; Mc 5.1-20; Lc 8.26-39.
107. Alcuinus Eboracensis, Commentaria super Ecclesiasten, 7.18 (PL 100, col. 696D).
108. «Tra i vari significati del bue: . . . stoltezza» (L. Bartoli, La chiave per la comprensione
del simbolismo e dei segreti del sacro, Trieste, Edizioni Lint, 1995, p. 193). Che i tre
compari siano effettivamente «stolti» traspare, non solo dalle azioni assurde, che essi
compiono, e dalle frasi insulse, che al contempo pronunciano, ma anche e soprattutto
dalla costanza con cui tale ottusità viene, sotto varie forme, sottolineata e loro riferita
lungo tutto il testo (cfr. 47.1; 60.3-4; 68.4; 102.3; 211.1; 211.2; 215.4); il che, fra l’altro,
allineerebbe gli stessi personaggi a Unibos, in quanto anch’egli stolto (cfr. 21.2; 76.1).
109. Hrabanus Maurus, Commentaria in Ecclesiasticum, III, c. 11 (PL 109, col. 891A).
134 Francesco Mosetti Casaretto
denotari potest: qui per fastum superbiae laniat, et reliqua pecora gregis
Dominici infestat»110.
Il bue ha due qualità specifiche: «subiugale est animal»111 e lavora la
terra, «boves autem terram versant»112. Si tratta di particolari troppo as-
serventi, abbassanti, troppo materiali, per sfuggire all’emblematizzazione
spirituale, con cui lo sguardo monastico medievale trasfigura eticamente
il mondo. Nella sua «valenza peggiorativa» questo atteggiamento può
estremizzarsi e, accentuando quel senso di necessario aggiogamento in
esso insito, ovvero, accentuando quel senso di asservita proiezione verso
il basso, di cui l’immagine del bue arante può essere portatrice, diventa
simbolo dell’«uomo che si occupa di cose terrene» o icona di coloro, che,
servi della propria cupidigia, «bramano le ricchezze della terra»113. Ce n’è
abbastanza per ritrovare, in filigrana, Unibos e suoi stolti (cfr. 47.1:
«stultitiam»; 60.3-4: «stultior»; 68.4: «stultissimos»; 102.3: «stultus»;
211.1: «stultior»; 211.2: «stultior»; 215.4: «stulte»; etc.) e fatui (cfr. 55.2:
«sum fatuus?»; 110.4: «fatuus prepositus»; 197.3-4: «fatuos magistros»;
196.1: «fatuitatis divites») seguaci: «Bos, quilibet fatuus, ut in Parabolis:
“Sequitur eam, quasi bos ductus ad victimam”, quod mundi huius cupidi-
tatem sequitur stultus ad interitum»114. Del resto, «Diabolus animal qua-
drupes per actionis immundae fatuitatem»115.
Tutta la coloritura anticristica di Unibos traspare attraverso
l’apparentemente incongruo simbolismo del bue. Unibos, «[qui] sub exem-
plis agricolae / terram laborat scindere» (5.3-4)116 e che «numquam ducit
duos boves / nec simul pungit stimulo / nec uno ponit sub iugo» (6.2-4) è
l’opposto del Messia, al cui mite giogo (Mt 11.28-29) sono allacciati gli
Apostoli, «qui, suscepto iugo Christi, Evangelii vomere mundum exarave-
runt»117. Il parallelismo è smascherante, in quanto innesca, ancora una
volta, una specularità escatologica, che coinvolge e qualifica (per contrasto)
———
110. Hrabanus Maurus, Commentaria in Exodum III (PL 108, col. 115B).
111. Hrabanus Maurus, Commentaria in Exodum III (PL 108, col. 117C).
112. Augustinus Aurelius, Sermones, 112.3 (PL 38, col. 644).
113. Ciccarese, Animali, p. 205.
114. Hrabanus Maurus, Allegoriae in universam sacram Scripturam (PL 112, col. 876D).
115. Gregorius Magnus, Moralia in Iob, c. 15.30 (PL 76, col. 691C).
116. Cfr. Mosetti Casaretto, «Il tempo curvo», p. 70.
117. Eucherius Lugdunensis, Liber formularum spiritalis intelligentiae, c. 5 (PL 50, col.
752D).
Unibos e il «pio bove» 135
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de Unibove 17.3-18.4). «Questo tratto non poteva mancare nella descrizione delle
vicende del contadino, tipico rapresentante del bachtiniano basso corporeo» (Bertini, «Il
contadino 1995», p. 331).
125. Russell, Il diavolo nel Medioevo, p. 47.
126. Si cfr. la truffa della «giumenta che caca monete» (Bertini, «Il nuovo», p. 224); cfr.
Versus de Unibove 115-158.
127. «Oro» si intende qui in senso figurato, come sinonimo di «tesoro», poiché il contadino
trova, in effetti, dell’argento (cfr. Versus de Unibove 16-24).
128. Il valore demoniaco del tesoro di Unibos, è espresso dal v. 18.4: egli trova quod gens
avara diligit. La frase, vista in retrospettiva – cioè consapevoli dei futuri sviluppi narra-
tivi del testo – è illuminante. Essa definisce, infatti, non solo il senso etico da attribuire
alla sete di ricchezza nel testo, ma qualifica anche il grave vizio dello spirito in cui in-
corrono più spesso le tre vittime di Unibos, l’avarizia, che giustifica il loro finale e me-
taforico sprofondamento (cfr. I Tm 6.9: «qui volunt divites fieri / incidunt in temptatio-
nem et laqueum / et desideria multa inutilia et nociva / quæ mergunt homines in interi-
tum et perditionem»).
129. Hrabanus Maurus, Allegoriae in universam sacram Scripturam (PL 112, col. 877B).
130. Pascasius Radbertus, De fide, spe et caritate, III 11 (PL 120, col. 1478C).
131. È il vero e proprio parametro testuale: cfr., ad esempio, 34.1; 36.1-2; 37.1-38.4; 40.3-4;
43.1-4; 126 e sgg.; 137.4; 139.1-4; 146.1-4; 147.1-4; 153.1-4; 170.2; 185.1-4; 196.1;
204.1-4; 210.3-4; etc. Cfr. anche Honemann, «Unibos und Amis», pp. 78 ss.
132. «Sicut radix omnium malorum cupiditas, ita radix omnium bonorum caritas» (cfr. Eu-
gippius, thes., c. 351 – PL 62, col. 1083D), c. 352 – PL 62, col. 1086A; Hrabanus
Maurus, Homiliae, XLVI – PL 110, col. 85D; Pascasius Radbertus, de fide, spe et cari-
tate, III 11 – PL 120, col. 1478C. Sulla giustapposizione fra caritas e cupiditas come
categorie di scelta morali in rapporto all’amore, cfr. A. Nygren, Eros e Agape. La no-
zione cristiana dell’amore e le sue trasformazioni, trad. it. a cura di N. Gay, Bologna,
EDB, 1990 [1955], pp. 488 ss.
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138. Hrabanus Maurus, De universo VII, c. 8 (PL 111, col. 207D).
139. Cfr. H. Weinrich, Metafora e menzogna, Bologna, Il Mulino, 1976.
140. J. Le Goff, La nascita del Purgatorio, trad. it. a cura di E. De Angeli, Torino, Einaudi
1982 [1981] , p. 128.
141. Hrabanus Maurus, Commentaria in Ecclesiasticum, VI, c. 6 (PL 109, col. 956B).
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