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Edizioni dell’Orso
Alessandria
Volume stampato con il contributo di fondi del Dipartimento di Filologia, Lin-
guistica e Tradizione Classica “Augusto Rostagni” dell’Università degli Studi di
Torino
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norma dell’art. 171 della Legge n. 633 del 22.04.1941
ISBN 88-7694-901-1
Premessa
1
Sul rapporto tra Malala e le tradizioni mitiche vd. Hörling 1980; Reinert 1985; vd.
anche Jeffreys 1978; Scott 1990, pp. 147 sgg.
2
Sulla terminologia malaliana nelle citazioni (sofov"/sofwvtato", ejktivqhmi, etc.) vd.
Reinert 1985, pp. 35 n. 32 e 41 n. 91; Jeffreys 1990, p. 215; Jeffreys 1996, p. 56;
Hörling 1980, p. 139; sulle modalità di citazione di Malala rimando anche a un mio
lavoro recente, D’Alfonso 2004.
3
Prima della pubblicazione dell’editio princeps del 1691, John Mill chiese a R. Bent-
ley un giudizio sull’opera che si tradusse in una lettera-trattato di notevole impor-
tanza, da cui derivò subito grande fama al giovane studioso (la lettera fu aggiunta al-
la fine dell’e. p. malaliana; vd. ora Bentley [1962], pp. 5-24). Per la tormentata vi-
cenda editoriale della Chronographia vd. Croke 1990b.
2 Euripide in Giovanni Malala
legati alla natura del testo malaliano, ma anche questioni di fondo più
ampie, relative alla sopravvivenza e circolazione di drammi euripidei nel
periodo tardo-antico e proto-bizantino. L’ipotesi di Ph. H. Bourier secon-
do cui Malala citerebbe quasi sempre di seconda mano e non avrebbe
avuto alcuna diretta conoscenza del testo euripideo venne contestata con
validi argomenti da Edwin Patzig,4 secondo il quale è proprio il metodo
comparativo usato dal cronista, che affianca di consueto una testimonian-
za razionalizzante (Cefalione, Timoteo, etc.: vd. infra, pp. 14 sg. n. 13) a
una “poetica” (i.e. inverosimile), a valere a conferma della conoscenza di-
retta di molti poeti citati e in particolare di Euripide (cfr. soprattutto la ci-
tazione dell’Alcmeone o del Meleagro all’interno di una lista di re attici che
deriva dall’Africanus Barbarus, o gli ampi brani dell’Ifigenia Taurica).5
4
Secondo Bourier, tutto ciò che viene citato da Malala risale al medium di quattro
cronisti (Timoteo, Domnino, Nestoriano e una fonte anonima), le cui opere sono
andate perdute. Anche le citazioni euripidee non risulterebbero di conseguenza in-
dice di una lettura diretta (Bourier 1899-1900; non vidi: per una descrizione accura-
ta della dissertazione di Bourier vd. Patzig 1901b e ora Jeffreys 1990, pp. 198 sgg.).
Favorevole a un ruolo attivo da parte di Malala nella citazione e rielaborazione delle
fonti (mitografiche, storiche e poetiche) è S. Reinert, che contesta il giudizio di Bou-
rier sulla “passività” del cronista. Anche la sostanziale uniformità linguistica della
Chronographia indica come Malala sottoponesse tutte le sue fonti a una rilettura au-
tonoma: Reinert 1985, pp. 29 sgg. n. 6; così ora anche Kokoszko 1998, pp. 8 sg. Più
cauta la posizione di E. Jeffreys che, pur riconoscendo la possibilità di una qualche
conoscenza diretta (Jeffreys 1979, pp. 222 sgg.), ritiene improbabile un «direct ac-
cess to Euripides» (Jeffreys 1990, p. 179; tuttavia, complessivamente il giudizio è ri-
duttivo: «These scarps are of little textual significance in the history of the transmis-
sion of the Euripidean plays», ibid.). Di recente P. Carrara ha ribadito la scarsa at-
tendibilità di Malala che si sarebbe servito di opere mitografiche o al massimo di hy-
potheseis da cui traeva il verso incipitario del dramma (vd. infra, Cretenses: p. 69).
Agli argumenta delle tragedie come fonte privilegiata di Malala pensava già Wila-
mowitz 1875, p. 184 n. 5; vd. sull’argomento anche Wolf 1916.
5
Patzig 1901b, pp. 609-611. In particolare, la citazione dell’Alcmeone è collocata al-
l’interno di una lista di re attici che Malala riprendeva da Giulio Africano (kaqw;"
∆Afrikano;" oJ sofwvtato" cronogravfo" ejxevqeto, 51, 83-84 Th.): … kai; meta; Aijscuv-
lon ejbasivleusen aujtw`n ∆Akmaivwn e[th duvo: peri; ou| Eujripivdh" oJ sofwvtato" dra`ma
ejxevqeto. kai; meta; ∆Akmaivonta ejbasivleusan ktl. (51, 79-81 Th.: sulla lista degli ar-
conti, o re a vita, vd. Musti 1994, p. 151 tav. 14; sull’arconte Alcmeone, Wilhelm
1894). La lista compare in Eus. Chron. I 188 (triakosto;" de; meta; Aijscuvlon ∆Aqh-
naivwn basileuvei ∆Alkmaivwn e[th bV), fonte probabilmente di Giulio Africano; cfr.
anche schol. Vell. Pat. I 8; Poll. VIII 10. Più sintetica la versione di Giovanni Antio-
cheno (24.4, 3-4 Roberto eJxh`" Aijscuvlo" kai; e{teroi) e di Cedreno (I 145, 17-146,
1), che sostituisce il nome di Alcmeone con quello di Alcibiade (… meq∆ o}n ∆Alki-
biavdh" e[th duvo, ei\ta a[lloi ihV, ktl.): in nessuna compare il riferimento a Euripide,
L’attendibilità delle citazioni 3
rio alfabetico compare almeno in un caso (Pap. IFAO, inv. PSP 248)9 un
ordinamento di tipo tematico, ma da un’importante testimonianza di
epoca bizantina (XI sec.) risulta che insieme alle hypotheseis venivano ci-
tati anche i prologhi. Si tratta della nota citazione di Giovanni Logoteta
che in un commento retorico al Peri; meqovdou deinovthto" di Ermogene
riporta, insieme alle hypotheseis della Melanippide saggia, del Piritoo e
della Stenebea (tragedie escluse dalla Selezione),10 parti del prologo delle
tre tragedie; è verosimile che in questa facies (hypoth. + prologo) si pre-
sentasse anche la fonte cui Giovanni e Gregorio avevano attinto e che
dunque esistesse un’edizione così configurata in età tardo-antica o proto-
bizantina.11 L’uso delle hypotheseis come fonti del mito tragico non esclu-
de dunque di per sé la disponibilità di sezioni del testo da parte di Mala-
la; in alcuni casi, l’analisi delle citazioni del cronista, grazie al raffronto
con i frammenti papiracei, permette di sostenere tale ipotesi con un certo
margine di plausibilità (cfr. Stheneboea, Danae, Antiope, Cretenses).12
Anche la citazione di drammi “perduti” non implica necessariamente
una conoscenza indiretta, perché ritrovamenti papiracei coevi testimo-
niano la circolazione di tali opere (o di parti di esse) ancora nel V-VI sec.
9
Cfr. Papathomopoulos 1964.
10
Le stesse citazioni compaiono in Gregorio di Corinto, che cita anche un fram-
mento del Poliido di Euripide (Rhetores Graeci VII 1321 Waltz), ed è molto proba-
bile che entrambi risalissero a una fonte comune: Rabe 1908, pp. 130 sgg.; vd. ora
Luppe 1996, pp. 216 sgg.; vd. anche Zuntz 1955, pp. 136 sgg. Vd. infra, p. 46 n. 75.
11
Per l’analisi di tali testimonianze vd. soprattutto Luppe 1996; cfr. anche Sutton
1988; Carrara 1992, p. 40 e n. 27. Meno probabile appare la possibilità che collezio-
ni di hypotheseis continuassero a essere accessibili fino al XII sec. d.C.: così Sutton
1988, pp. 91 sg.; contra Luppe 1996, pp. 217 sg. Interessante è anche la testimonian-
za di Moses di Chores (oggi Chorenazi), studioso armeno dell’VIII-IX sec. che nei
suoi Progymnasmata (III 3, in armeno) riferisce del contenuto dell’Auge di Euripide
(vd. già Wilamowitz 1875, p. 184). La sua conoscenza non deriva dalla raccolta di
hypotheseis ordinate alfabeticamente, ma da una versione abbreviata, come dimo-
stra il P. Colon. 1 (II sec. d.C.) che riporta l’inizio dell’hypothesis corrispondente
all’hypothesis di Moses. In un’altra opera (De refutatione III 4), Moses riferisce la
trama delle Peliadi, mostrando di conoscerne il testo: vd. Luppe 1996, pp. 221-223;
Canfora 1995, pp. 162-164.
12
Per una lettura diretta di drammi euripidei esclusi dalla Selezione ancora nel V-VI
sec. d.C. e in particolare per l’importanza della testimonianza di Malala, vd. Pertusi
1957, pp. 19 sg.; Cantarella 1964, pp. 45-46; Cantarella 1970; Zuntz 1965, p. 355;
Tuilier 1968, pp. 122 e n. 2, p. 135 n. 2; vd. anche Alpers 1981, p. 105 e n. 24. Per
un quadro esaustivo del Fortleben euripideo vd. Funke 1965-1966 (le citazioni di
Malala vengono definite di «diverso valore»: p. 276; cfr. già Schmid 1940, p. 832);
cfr. anche Jouan-van Looy 1998, pp. XXXVII-LIV.
L’attendibilità delle citazioni 5
13
Per un quadro delle scoperte papiracee dagli inizi del Novecento si rimanda a
Jouan-van Looy 1998, pp. LV-LVIII (con bibliografia); vd. anche Collard 1995, pp.
1 sg.; Cavallo-Maehler 1987, pp. 30 e 52; vd. ora Cavallo 2002, pp. 89 sgg. Appar-
tengono ancora al V-VI sec. papiri contenenti parti di tragedie euripidee “perdute”:
Melanippide desm. (495 K.) e Phaeton (772a K.): per l’importante testimonianza del
Codex Claromontanus (VI sec. d.C.) che conserva frammenti del Phaeton (ff. 162-
163 = Par. gr. 107B, ff. 1-2) vd. ora van Looy 2002a, p. 244 n. 53.
14
Vd. West 1981, p. 76 (vd. infra, pp. 58 sg. n. 118).
15
A favore di una lettura diretta da parte di Tzetze anche di drammi non presenti
né nella Selezione né nel gruppo alfabetico: Masciadri 1987; Luppe 1996 (in part.
pp. 219-221); più cauto Pechstein 1998, pp. 51-56. Vd. anche Tuilier 1968, p. 134 e
nn. 4-5; Wilson 1983, p. 303. Sulla conoscenza diretta dei drammi “alfabetici” da
parte di Psello si mostra cauto ora Magnelli 2003, pp. 203 sgg.; vd. anche Conca,
2002, pp. 43 sgg. Sulle conoscenze di Teodoro Prodromo (XII sec.) vd. ancora Ma-
gnelli 2003.
16
Carrara 1987, p. 23 n. 20.
6 Euripide in Giovanni Malala
17
Giovanni Malala nacque ad Antiochia alla fine del V sec. d.C. e visse prevalente-
mente nella sua città natale, da cui si trasferì per recarsi a Bisanzio negli ultimi anni
della sua vita (la morte va collocata presumibilmente intorno al 574 d.C.): il proble-
ma delle effettive identità e datazione del cronista è stato a lungo al centro di studi e
polemiche, perché i testimonia si riferiscono a diversi Giovanni antiocheni: sull’in-
tricata questione vd. da ultimo Croke 1990a, p. 3; Croke 1990c.
18
Sui mosaici di Antiochia vd. infra, Addendum, pp. 71 sgg. Per la storia della città
si rimanda a Downey 1961.
19
Sull’importanza dei luoghi deputati ai giochi olimpici ad Antiochia vd. soprattut-
to l’Or. 10 (Peri; tou` Plevqrou) e il commento di Martin 1988, pp. 215 sgg.
20
Ad Antiochia esistevano due teatri, l’uno dedicato a Dioniso (Teatro del monte
Silpio), l’altro a Zeus Olimpio (Dafne). Fino al 520 d.C. vennero svolti giochi olim-
pici secondo l’ordinamento della tradizione ellenica: vd. Downey 1961, pp. 197;
230-235. Sull’argomento vd. ora Huskinson 2002-2003, pp. 158 sgg.
21
Com’è noto l’appellativo “Malala” (“retore”) rimanda a un livello culturale medio
o “scolastico” (Cantarella 1970, p. 61 n.1; Reinert 1985, p. 30 n. 6); secondo S. Rei-
nert, l’interpretazione cui il cronista sottoponeva i testi (krivsi"), ultimo stadio dopo
la diovrqwsi", l’ajnavgnwsi" e l’ejxhvghsi", poteva avere come destinatario la scuola,
«colleagues who would appreciate its inspiration and underlying familiarity with
classical poetry». Anche la lingua usata rifletterebbe una sorta di «passing conversa-
tion in a chancery corridor»: Reinert 1985, p. 27. Per il commercio librario ad An-
tiochia nel IV sec. d.C. vd. Norman 1960.
L’attendibilità delle citazioni 7
22
H.-G. Beck contesta la communis opinio secondo cui la cronachistica sarebbe
opera dei monaci, che ne erano anche i fruitori privilegiati (1965, p. 193); anche «der
Charakter der “Volkstümlichkeit”» non ha nulla a che fare «mit “mönchischem
Charakter”» (p. 195) ma riflette la mentalità bizantina, che per molti aspetti (in-
teresse per i fatti straordinari, curiosità naturali, etc.) è erede della storiografia elle-
nistica (p. 197); vd. anche Marasco 1997, pp. 29 sg. Per il tradizionale giudizio sulla
Chronographia malaliana come Trivialliteratur vd. Hunger 1978, I, p. 321. Sulla
lingua di Malala vd. Weierholt 1963; James-Jeffreys-Jeffreys 1990; Wyatt 1976, pp.
122 sgg.; per un quadro complessivo vd. ora Jeffreys 2003.
23
È necessario superare l’insofferenza, anche se per molti versi condivisibile, che
spinse Bentley, impegnato in una celebre rilettura della Chronographia, a esclamare:
«Pudet hercle, ut verum fatear, pigetque bonas horas, quae haud paulo melius collo-
cari possent, in tam ingrato et ignobili labore consumere» (Bentley [1962], p. 241).
I drammi noti
È opportuno iniziare l’analisi dei diversi loci partendo dai drammi a noi
noti (Iphigenia Taurica, Bacchantes, Andromacha, Heraclidae, Hippolytus
e il dramma satiresco Cyclops), per verificare il modus operandi di Malala
e la natura e portata delle sue “deformazioni”. Quando il cronista cita ef-
fettivamente il testo tragico (Iph. Taur., Ba., Andr., Hrcl.) è a suo modo
“fedele” al testo, per quanto gli sia estranea qualsiasi cura per la corretta
citazione testuale. Un maggiore stravolgimento è invece ravvisabile lì do-
ve expressis verbis afferma di dipendere da altre fonti, per lo più evemeri-
stiche, che costituiscono dei filtri necessariamente deformanti (cfr. Hipp.,
Cycl.). Tale diverso modus operandi, più “fedele” nel primo caso, molto
più arbitrario nel secondo, va tenuto presente nell’analisi dei passi in cui
il cronista fa riferimento alle tragedie euripidee “perdute”, per le quali
non si può spesso operare alcun raffronto.
1
Cito per esteso solo nei casi necessari.
10 Euripide in Giovanni Malala
a. l’espressione hJ maniwvdh" novso", presente per lo più in testi medici (cfr. e.g.
Hipp. Aër. 7, 23 maniwvdea noseuvmata), riflette la connotazione euripidea
della “follia” di Oreste, vittima delle Erinni, come novso";2 la iunctura ricorre
nello schol. Eur. Or. 333 tiv" a[ra, fhsiv, tou`ton eJlehvsei, tiv" de; oJ kivnduno"
ou|to" kai; hJ maniwvdh" novso" ejpevrcetai ejpi; se; to;n mevleon, tacuvnwn se kai;
ejxegeivrwn. toutevstin: a[ra daivmwn ti" ejpipevmpei touvtw/ ta;" ∆Erinuva";
b. il testo è un’evidente parafrasi dell’Iph. Taur., con la ripresa del discorso di-
retto che solo in parte riproduce il testo drammatico. Si notano l’inversione
dell’ordo verborum (cfr. Chron. dokei` soi qea`" ei\nai tavde mevlaqra; Eur.
Iph. Taur. 69 Pulavdh, dokei` soi mevlaqra tau`t∆ ei\nai qea`") e una sorta di
contrazione nelle battute (nell’Iph. Taur. è Pilade al v. 75 a parlare di «spoglie
degli stranieri uccisi», dopo un breve dialogo con Oreste, mentre in Malala la
descrizione del tempio e dei resti sacrificali è affidata al solo Oreste; cfr. an-
che Iph. Taur. 74 qrigkoi`" d∆ uJp∆ aujtoi`" sku`l∆ oJra`/" hjrthmevna…);
c. in questo caso si nota come Malala abbia invertito i ruoli: se nell’Iph. Taur.
(vv. 102 sgg.), secondo la testimonianza di L, è Oreste a suggerire la fuga per
evitare una sicura morte, mentre Pilade esorta a resistere e a mostrare corag-
gio, nella Chronographia i ruoli sono invertiti, anche se si osserva una relativa
fedeltà al testo tragico (cfr. Chron. ou[te ga;r feuvgein eijwvqamen oujde; to;n crh-
smo;n tou` qeou` kakisteuvsomen; Iph. Taur. 104-105: feuvgein me;n oujk ajnek-
to;n oujd∆ eijwvqamen / to;n tou` qeou` de; crhsmo;n ouj kakistevon);3
d. Malala offre in questo caso un interessante contributo alla costituzione del
testo euripideo: come già faceva notare F. Blaydes, il Laur. 32, 2 presenta la
lezione kuanea`n Sumplhgavdwn, con un anomalo genitivo dorico che indusse
2
Nell’Oreste ben diciannove occorrenze (10, 34, 43, 211, 227, 229, 232, 282, 304,
314, 395, 407, 480, 792, 800, 831, 881, 883, 1016) rispetto alle due di Eschilo (Eum.
479, 942) e all’una di Sofocle (El. 1070).
3
Vogel proponeva di correggere kakistevon di L con oujk aijkistevon, ma la congiun-
ta testimonianza di Malala invita a non intervenire; D. Sansone congettura ouj kakw-
tevon: cfr. Sansone 1981, v. 105 appar.
12 Euripide in Giovanni Malala
4
Bentley [1962], p. 295, secondo cui, per conservare questa lezione, si potrebbe in-
tervenire sul testo del v. 242, sostituendo plavth/ con pevtran (… kuanevan Sumplh-
gavdwn / pevtran fugovnte" …), in base al confronto con Iph. Taur. 746 (kajgw; se; swv-
sw kuaneva" e[xw pevtra"), 889-890 (… dia; kuaneva" mh;n / stenopovrou pevtra" …).
Wecklein (1898) optava per kuaneva" Sumplhgavdwn, Platnauer (1938) per kuanevan
Sumplhgavda; vd. ora Sansone 1981, v. 241 appar.
5
Sul testo si è spesso intervenuti: gh`" novmon Nauck; gh`" sch`m∆ Monk, Diggle. Anche
in relazione alla testimonianza di Malala, Sansone 1981 nella recente edizione teub-
neriana conserva il testo tràdito.
I drammi noti 13
dalla descrizione dell’antica lancia di Pelope, con la quale l’eroe aveva ucciso
Enomao e che era conservata nella reggia argiva proprio nella stanza di Ifige-
nia (vv. 822 sgg.);6 il racconto malaliano introduce una variante inaspettata e
anomala: il tekmhvrion è un tatuaggio di olivo sulla spalla che distingue i veri
discendenti di Pelope. Oreste mostrerà alla sorella to; Pelovpeion suvsshmon e
ciò garantirà finalmente il riconoscimento (Chron. 107, 21 sgg.). La leggenda
sembra non avere alcun legame con il testo euripideo (forse il punto di par-
tenza può essere il fraintendimento di Pevlopo" palaia;n ≈ ejlaivan?), anche
se non è priva di riscontri.7
6
L’uccisione di Enomao con una lancia è variante rara; secondo la vulgata il re di Pi-
sa morì cadendo dal carro manomesso dall’auriga Mirtilo, mentre gareggiava con
Pelope che voleva in moglie Ippodamia (Pher. FGrHist 3 F 37a = 185 Dolcetti =
schol. Ap. Rh. I 752; Ap. Rh. I 752 sgg.; meno esplicito è Pind. Ol. 1, 75 sgg., che ta-
ce dell’astuzia dell’auriga e attribuisce la vittoria solo alla velocità dei cavalli donati
a Pelope da Poseidone). In [Apoll.] Epit. 2, IX, si fa allusione all’uccisione di Eno-
mao da parte di Pelope (kata; dev tina" [sc. to;n Oijnovmaon] ajnaireqh`nai uJpo; tou`
Pevlopo").
7
Secondo Bentley ([1962], p. 296) ejlaivan sta per ejlevfanta (cfr. Pind. Ol. 1, 27 ej-
levfanti faivdimon w\mon kekadmevnon; vd. anche Paus. V 13, 3). Sulla spalla d’avorio
come segno di riconoscimento dei Pelopidi vd. anche Tzetz. schol. Lycophr. 152, do-
ve si fa contestualmente riferimento anche alla lovgch, gnwvrisma per gli Spartani.
Sul tenore arcaico della leggenda vd. Detienne 1990, pp. 70 e 199 n. 36. Sull’olivo
legato alla nascita di Meleagro vd. infra, pp. 36 sgg.
8
Sull’uso del discorso diretto in Malala vd. Wyatt 1976, pp. 114 sgg.
14 Euripide in Giovanni Malala
9
Il cronista fa riferimento a Palefato (30, 68-69 Th.), a Dinarco, a Filocoro e a Cefa-
lione (32, 38-39 Th.). Secondo S. Reinert (1985, pp. 5 e 20 sgg.), Malala si serve in
realtà solo di due fonti, delle Baccanti euripidee e, per la parte finale sulla tomba di
Dioniso, del Chronicon di Eusebio: il brano si configurerebbe come una reinterpre-
tazione della vicenda di Dioniso «in terms of contemporary categories of secular,
political experience» (p. 17), condotta dal cronista sulla falsariga della tragedia, che
conosceva integralmente o per excerpta (vd. anche pp. 4 e 26).
10
Così anche Reinert 1985, p. 14.
11
Zeus è Pi`ko" Zeuv", un re dell’Italia dai molti figli e figlie, che, secondo una tradi-
zione molto probabilmente nota al cronista, furono i principali artefici della diviniz-
zazione del padre (cfr. Diod. Bibl. VI 5, etc.). La sua storia si conserva solo negli Ex-
cerpta Latina Barbari e nel libro I della Chronographia malaliana (8 sgg. Th.), in cui
si narra come Crono, re assiro, lasciasse il suo trono al figlio Pico-Zeus per recarsi in
Occidente, dove in seguito venne raggiunto dal figlio che lo uccise e divenne re del-
l’Italia; secondo B. Garstad la storia di Cadmo come è riferita da Nonno di Panopo-
li (Cadmo assiro) potrebbe rappresentare il modello su cui è stata costruita quella di
Pico-Zeus: Garstad 2003; vd. anche Garstad 2002 e Hörling 1980, pp. 63 sgg.
12
Su tale paretimologia vd. Reinert 1985, pp. 7 e 34 n. 26. Sulla divinizzazione di
Dioniso in quanto “scopritore” del vino vd. già Eus. Praep. Ev. II 2, 3-5, probabile
fonte di Malala: cfr. sull’argomento Jeffreys 1990, p. 170; Hörling 1980, pp. 55 sgg.
e 105-110; Reinert 1985, pp. 7 sgg. e 34 n. 31.
13
La notizia era tratta probabilmente da Eusebio, la cui fonte era Filocoro via Di-
narco (così Reinert 1985, p. 21). Il riferimento a Cefalione appare un’aggiunta: su
I drammi noti 15
quest’ultimo, che Suda, s.v. Kefalivwn h] Kefavlwn, definisce rJhvtwr kai; iJstorikov" (k
1449 Adler = FGrHist 93 T 1), si sa ben poco: compose un’opera storica in nove li-
bri, ognuno dei quali intitolato a una Musa, che trattava di un ampio periodo stori-
co (dal regno di Semiramide ad Alessandro Magno). Lo stile di Cefalione, che Fozio
definiva eccessivamente conciso (tou` proshvkonto" plevon th/` suntomiva/ ajpocrwvme-
no", Phot. Bibl. 68, 34 = FGrHist 93 T 2), era caratterizzato dal ricorso desultorio a
diverse fonti, probabilmente non sempre consultate di prima mano. Spiccava inoltre
un netto intento razionalistico nella reinterpretazione del mito e della storia antichi,
che è ben riconoscibile anche nelle citazioni malaliane: per un quadro completo del-
le testimonianze su Cefalione vd. FGrHist 93; Jacoby 1921; Reinert 1985, p. 40 nn.
86-87.
14
Sulle affinità tra la “riabilitazione” di Agave e quella di Fedra (Chron. 64-65 Th.:
vd. infra, pp. 18 sg.) vd. Reinert 1985, p. 19.
15
La calunnia sulle origini oscure di Dioniso era opera di Cadmo e delle sorelle di
Semele (Ba. 26 sgg.); sulla lettura malaliana vd. anche Bentley [1962], p. 261.
16 Euripide in Giovanni Malala
ma ãperi;Ã tw`n Bakcw`n ejxevqeto dra`ma poihtikw`" (Sl) wJ" ajpo; Penqevw" eijpw;n
tau``ta: Semevlh de; loceuqei``sa ejk brotou`` tino" eij" Zh``na fevrousa th;n aJmar-
tivan levcou".16
16
levcou" è congettura del Chilmeadus, O riporta levgei; «alla maniera poetica»
(corrispondente al gr. poihtikw`") compare solo nella traduzione slava (Sl). Va notata
la singolarità dell’espressione malaliana (Euripide compose la sua tragedia dopo
aver scoperto uno scritto sul mito): per Reinert si tratterebbe di un espediente del
cronista per giustificare la scelta della tragedia come fonte del suo racconto (1985,
p. 4).
17
La Vergine rievoca l’ostilità degli ejggenei`" sh`" mhtrov" così come Dioniso accusa
ajdelfai; mhtrov" (Ba. 26): sulla raffinatezza della tecnica centonica dell’autore del
Christus patiens (Gregorio di Nazianzo?) vd. Trisoglio 1981. Per l’importanza del-
l’opera ai fini della costituzione del testo delle Baccanti vd. ora Conca 2002, pp. 54
sgg. (con bibliografia).
18
Secondo Reinert la citazione tradisce una lettura diretta della tragedia o di parti di
essa (1985, p. 4). Per una “citazione a memoria” è Jeffreys 1990, p. 179.
I drammi noti 17
19
Va ricordato che Malala è il più importante testimone della versione greca di Ditti
il Cretese, di cui fino agli inizi del 1900 si conosceva solo la traduzione latina di Lu-
cio Settimio (Eisenhut 19732). Nel 1907 la pubblicazione del P. Tebt. dimostrò l’ef-
fettiva esistenza di una versione greca di Ditti (vd. Grenfell-Hunt-Good 1907; vd.
anche P. Oxy. 2539 in Barns 1966): cfr. Patzig 1908, pp. 382 sgg.; Wyatt 1976, pp. 15
sgg. e 118 sgg.; Kokoszko 1998, pp. 55 sgg.; vd. ora Lapini 1997. Tuttavia la tecni-
ca compositiva malaliana, che tende ad arricchire il racconto con citazioni di diversa
provenienza, rende più complicata la ricostruzione del testo di Ditti: Jeffreys 1978,
pp. 120 sgg.
20
Come notava già il Chilmeadus (apud Dindorf 1831, pp. 127 sg.), in Euripide
leivyana indica il buon nome che il tempo non può sottrarre, mentre Malala si rife-
risce alle “spoglie” di Aiace, che ha citato appena prima (oJ Puvrro" […] tefrwvsa"
to;n Telamwvnion Ai[anta kai; labw;n ejn uJdriva/ e[qaye meta; timh`" megavlh" plhsivon
tou` tuvmbou tou` ∆Acillevw"). Vd. anche qanou`sa pro qanou`si.
18 Euripide in Giovanni Malala
per la prima e più ampia citazione (Andr. 774-776) va notato che essa è
presente nella tradizione gnomologica e paremiografica (Stob. Anth. III
1, 2; Arsen. 13, 19d), per cui si può supporre che il cronista ne avesse
una conoscenza solo mediata.
21
Cfr. anche Tzetz. Chil. VI 56, 499 sgg. Su questa versione come «Usurpation einer
heidnischen Mythe», vd. Hörling 1980, pp. 127-129; vd. ora Kokoszko 1998, pp.
162 sg. Sulla dipendenza di Tzetze da Malala anche quando cita altri cronisti (Fida-
lio, Cefalione, etc.) vd. Patzig 1901a.
22
Su Cefalione vd. supra, n. 13.
23
Così Müller, FHG, III, 630, e Jeffreys 1990, p. 185.
I drammi noti 19
h{suco"), ma anche Fedra (64, 7-8 Th. th/` de; qeva/ h\n hJ Faivdra teleiva, …
swvfrwn), tanto che il racconto sulla sua novso" amorosa si rivela nient’al-
tro che uno yeuvsth" povqo". L’accusa contro Ippolito che spinge Teseo a
punire ingiustamente il figlio viene da anonime calunnie cittadine (64,
11-12 Th. oJ de; Qhseu;" basileu;" ajkouvsa" ta; qrulouvmena ejn th/` povlei
ktl.) e finisce per coinvolgere anche l’innocente (wJ" pavnu swvfrwn) Fe-
dra che si darà la morte (65, 30 sgg. Th.).
24
In realtà, Malala non cita il nome dell’opera, definita genericamente dra`ma, né fa
riferimento alla presenza dei satiri e di Sileno, ma l’argomento orienta per tale iden-
tificazione.
25
L’ultimo editore della Chronographia (Thurn) opta per Fidavlio", tràdito nella
versione slava (Sl), ma O presenta in questo passo Feidiva" e Feidalivo" in 89, 56
Th.: Fidalio o Fidia di Corinto è citato solo da Malala in relazione ai miti del Ciclo-
pe e di Circe (89, 52-90, 72 Th.). Il nome è probabilmente una dorizzazione del co-
mune Fidhvlio" (Jacoby, FGrHist, Ia, 30, p. 501). Visse intorno al II sec. a.C. e fu
forse autore di un manuale mitologico in versi (così Jeffreys 1978, p. 123 n. 54): cfr.
Jacoby, l.c.; Jeffreys 1990, p. 189. La Jeffreys non esclude una lettura diretta di Fida-
lio da parte di Malala (1990, p. 179).
26
L’analisi di Fidalio comprendeva dunque anche un confronto con la versione
omerica e mirava a enfatizzare le “distanze” euripidee; l’argomento ha interessato
anche i moderni: vd. Wetzel 1965; Lange 2002, pp. 191-223. Com’è noto, l’avventu-
ra odissiaca è stata spesso al centro di rielaborazioni e parodie, soprattutto in ambi-
to comico (cfr. Epich. CGF frr. 81-83; Crat. PGC IV, frr. 143-157; Callia PGC IV, frr.
5-13; etc.): vd. Eitrem 1922, coll. 2335-2336.
20 Euripide in Giovanni Malala
27
La versione mitica è conservata anche da hypoth. Od. 16-37; Ioh. Antioch. fr. 48.2,
17-32 Roberto; Tzetz. Chil. X 360, 934-941; la fonte è Sisifo di Cos, mitografo che
probabilmente attinse a Ditti Cretese (cfr. Patzig 1903, pp. 231 sgg.; Patzig 1893):
«dein per misericordiam Polyphemi in amicitiam receptus filiam regis Arenen, post-
quam Alphenoris socii eius amore deperibat, rapere conatus, ubi res cognita est, in-
terventu parentis puella ablata per vim exactus (est)» (Dict. Lat. VI 5): vd. Jacoby,
FGrHist 50 F 3, Ia, pp. 530 sgg.; Wüst 1937, coll. 1961 sg.; Kokoszko 1998, pp. 55
sg. Secondo Jacoby (l.c.), sia il nome di Elpe in Malala che quello di Alpenore in
Ditti richiamano quello di Elpenore, il giovane compagno di Odisseo che muore ca-
dendo dal tetto in Od. X 552 sgg. Come fa opportunamente notare E. Hörling, die-
tro le espressioni malaliane to;n ojfqalmo;n aujtou` to;n e{na (87, 88 Th.) e th;n qugatev-
ra th;n monogenh` (ibid.) si cela la versione originaria del mito (adottata anche da Eu-
ripide) secondo cui il Ciclope era monocolo (1980, p. 151 n. 29).
28
In Hes. Th. 139 sgg., i Ciclopi sono tre fratelli (Bronte, Sterope e Arge), figli di
Gea (così anche in Eur. Cycl. 648: monw`pa pai`da Gh`") e non della ninfa Toosa (Od. I
71). Sulle affinità tra Euripide ed Esiodo vd. Eitrem 1922, col. 2336. I Ciclopi in
Euripide sono esplicitamente definiti monw`pe" (21) secondo quanto sosteneva Esio-
do (Th. 143) ma non Omero.
29
Rossi 1971.
I drammi noti 21
30
È noto che nelle rappresentazioni vascolari il Ciclope appare sia monocolo che
con tre occhi, uno frontale e gli altri due nella consueta posizione; non mancano Ci-
clopi con due occhi: vd. Touchefeu-Meynier 1992; Touchefeu-Meynier 1997, pp.
1011 sgg. Interessante è la raffigurazione in un cratere italiota (410 a.C.) che, per la
contestuale presenza di satiri, sembra dipendere dal Ciclope euripideo: il mostro è
ritratto con tre occhi, addormentato accanto a una coppa, mentre tre uomini trasci-
nano un grosso palo e sopraggiungono tre satiri: Touchefeu-Meynier 1992, p. 157,
fig. 27. Vd. Scherling 1952, col. 1816. Anche in ambito letterario la quaestio restava
aperta: cfr. Serv. In Verg. Aen. III 636: «multi Polyphemum dicunt unum habuisse
oculum, alii duos, alii tres».
31
Cfr. Theocr. Id. 6 e 11; Call. Ep. XLVI Pf.; vd. anche Tim. FGrHist 566 F 69;
Prop. III 2, 9 sg.; Nonn. D. XXXIX 257-264; XL 553-557; etc.
22 Euripide in Giovanni Malala
Cycl. 610-611
Co. puri; ga;r tavca
fwsfovrou" ojlei` kovra".
Com’è noto, kovrh indica sia la fanciulla che la pupilla dell’occhio, o per sem-
plice sinonimia o in virtù di una relazione metaforica, forse risalente a Empe-
docle, che ne fa uso nel Peri; fuvsew" (31 F 84, 7-8 D.-K. = 9, 7-8 Gallavotti).
Il filosofo agrigentino, infatti, descrivendo la creazione dell’occhio ad opera
di Afrodite, ricorre a un’immagine che gioca sul duplice significato di kovrh
(bimba / pupilla):
32
Bollack 1965, p. 325. Sull’originaria accezione dell’agg. kuvklwy «dal rotondo oc-
chio»: vd. Chantraine, DELG, s.v.; vd. anche Traglia 1952, pp. 120 sgg. Secondo J.
Bollack, il passo empedocleo, che risente fortemente di Omero, si configura come
una metafora analogica, in cui l’immagine della pupilla-bambina, avviluppata dalle
fasce, si fonde con quella dell’occhio unico del Ciclope: 1965, p. 301 e n. 2. Vd. an-
che Wright 1981, p. 20.
33
Per una semplice omonimia è invece C. Gallavotti, che porta a confronto il latino
pupula (1975, p. 206). Per un commento approfondito del complesso frammento
vd. Bollack 1969, pp. 314 sgg. Il termine kovrh «pupilla» è attestato nel Fineo sofo-
cleo (fr. 710 Radt: cfr. la parodia in Aristoph. Pl. 633 sgg. e schol. 635) e ampiamente
in Euripide (Med. 922; 1174-1175; Andr. 532; Hec. 972; HF 1111; Ion 876; Or. 389;
etc.).
I drammi noti 23
34
Così Eustath. In Hom. Od. I 21, 32-34 o{ti de; to; Kuvklwy drimevw" h[toi glukevw"
ejrrevqh kai; qhlukw`" ejpi; o[yew", dhloi` oJ eijpw;n “kuvklwpa kovrhn”; II 224, 4-6 wJ" de;
ejk tou` Kuvklwpo" tou` poihtikou` parapoihvsa" ∆Empedoklh`" “kuvklwpa kouvrhn”
e[fh th;n tou` ojfqalmou` kata; lovgon drimuvthto", ejdhlwvqh kai; ajllacou`.
35
Qualche problema è stato ravvisato nell’uso del plurale (kovra"): così Seaford, che
lo definisce «surprising» (1984, p. 214). Da notare anche l’epiteto fwsfovro", sul
quale si esercita l’ironia euripidea, forse con un riferimento alla maggiore luminosità
dell’occhio una volta infuocato (Seaford) o alla sua imminente trasformazione in
«involontario dadoforo» (l’epiteto è proprio di divinità portatrici di fiaccole: Napo-
litano 2003, p. 134). Non si può escludere un riferimento alla teoria empedoclea del
fuoco che riluce nell’occhio come in una lanterna: cfr. Plat. Tim. 45b (fwsfovra …
o[mmata).
I drammi “perduti”
1
Dipendono da Malala le versioni di Suda, s.v. Oijdivpou" (oi 34 Adler), di Giovanni
d’Antiochia (fr. 16 Roberto) e di Giorgio Cedreno (I 45, 1-46, 18 Bekker).
2
Secondo il racconto di Malala, dopo il matrimonio tra Laio e Giocasta, il re tebano
ricevette un oracolo che gli ingiungeva di non generare un figlio perché questi si sa-
rebbe unito incestuosamente con la madre. Malgrado l’avvertimento, nacque un
bambino che venne chiamato Iocca (Iwvkka, 36, 32 Th.; ∆Iwvkasto" coni. Valckenaer)
e fu subito abbandonato sui monti con i piedi inchiodati ad un legno. Venne trovato
da un contadino di nome Melibeo (ti" a[groiko" ojnovmati Melivboio", 36, 39 Th.),
che lo allevò dandogli il nome di Edipo dia; to; oijdaivnein tou;" povda" aujtou` (36, 43
Th.). Divenuto adulto, venne a sapere che nella regione c’era una terribile ladra di
nome Sfinge (gunhv ti" ojnovmati Sfivgx, lh/striv", 37, 57 Th.), una vedova violenta che
aveva raccolto intorno a sé una torma di ladri (lh/strikh;n cei`ra, 36, 49 Th.), insie-
me ai quali tendeva agguati a chiunque si inoltrasse tra le montagne della regione.
Lo stesso Laio e i suoi soldati erano stati più volte vittime dei suoi attacchi e solo lo
stratagemma cui ricorse Edipo, che si finse un ladro desideroso di unirsi a lei insie-
me ai suoi compagni, riuscì a sconfiggere la donna. Edipo uccise dunque la Sfinge,
si impadronì delle sue ricchezze e si presentò a Tebe dove venne acclamato re, pro-
vocando una lotta civile tra i sostenitori di Laio e quelli del giovane. Durante questa
lotta venne ucciso Laio. Edipo si sposò con Giocasta perché la regina non voleva
perdere i propri diritti regali (mh; qevlousa ejkblhqh``nai th``" basileiva", 37, 72-73), e
insieme ebbero quattro figli. Il tragico riconoscimento dell’unione incestuosa avven-
ne dopo molti anni (diciannove), a causa delle ripetute domande di Giocasta sulle
origini di Edipo e della rivelazione del vero ruolo di Melibeo. Compresa la terribile
verità, Edipo si accecò, dopo aver affidato il regno ai due figli, che avrebbero dovu-
to governare ejniauto;n par∆ ejniautovn (37, 85-86 Th.). Segue il sintetico racconto
della guerra fratricida, siglato dalla conclusione kai; ejluvqh hJ basileiva tw`n Qhbw`n,
h[toi Boiwtw`n, katascou`sa e[th txqV (38, 1-2 Th.). Per un’analisi dettagliata del bra-
no malaliano e delle sue fonti vd. Robert 1915, I, pp. 501 sgg.
3
La versione di Palefato tramandata nel Peri; ajpivstwn (4 F.) si distacca in parte da
quella malaliana: Sfinge era un’amazzone moglie di Cadmo che, quando venne ab-
bandonata a causa di Armonia, si vendicò radunando intorno a sé molti uomini
(peivsasa pollou;" tw``n politw``n sunapa``rai aujth/`), impadronendosi delle ricchezze
di Cadmo e facendo continue scorrerie ai danni dei Tebani. In tale ricostruzione ra-
zionalistica ai[nigma significava ejnevdra («agguato») e il merito di Edipo fu di «risol-
vere l’enigma», vale a dire di prevenire l’agguato della Sfinge e di ucciderla: cfr. an-
che Eus. 56, 21 Helm. Secondo C. Robert, l’idea che la Sfinge fosse una ladra risali-
I drammi “perduti” 27
poihtikw`" ejxevqeto dra`ma peri; tou` Oijdivpodo" kai; th`" ∆Iokavsth" kai; th`"
Sfiggov", 38, 3-5) e Giulio Africano (ta; ga;r tw`n Qhbw`n basivleia
∆Afrikano;" oJ sofo;" cronogravfo" ejxevqeto, 38, 5-6).4
La tragedia cui fa riferimento è con buona certezza l’Edipo,5 dramma
perduto di Euripide, di difficile ricostruzione poiché i frammenti conser-
vati sono quasi tutti di carattere gnomico.6 Fanno eccezione solo i frr.
541 K. (= schol. Eur. Phoe. 61) e 540-540b K. (P. Oxy. 2459 = fr. 83 Au-
stin 1968), entrambi testimoni di importanti innovazioni nel trattamento
della materia mitica: nel primo caso, i versi citati dallo scolio fanno riferi-
mento all’accecamento di Edipo ad opera dei servitori di Laio, che si
vendicarono così dell’omicidio compiuto dal «figlio di Polibo» (hJmei`" de;
Poluvbou pai`d j ejreivsante" pevdw/ / ejxommatou`men kai; diovllumen kov-
ra"). Ciò implica che nella tragedia Edipo non si accecava per l’orrore
7
Lo scolio non fa esplicitamente il nome di Euripide (schol. Phoe. 61 ejn de; tw/` Oijdiv-
podi oiJ Lai?ou qeravponte" ejtuvflwsan aujtovn), tanto che L. Deubner (1942, pp. 19
sgg.), sulla scorta di un’ipotesi di F. W. Schneidewin, ha negato che si riferisse all’E-
dipo euripideo. In effetti, dare una collocazione alla scena dell’accecamento all’in-
terno della tragedia si è sempre rivelata un’operazione ardua, poiché implica una ri-
costruzione della vicenda non sempre lineare sotto il profilo logico (Edipo è acceca-
to prima di sposare Giocasta – Di Gregorio, Dingel –, oppure dopo un certo lasso
di tempo, durante il quale l’eroe tebano si è già unito in matrimonio con la madre –
Aélion – e ha forse generato dei figli – Vaio): cfr. Dingel 1970; Di Gregorio 1980,
pp. 67 sgg.; Aélion 1986, pp. 42 sgg.; Vaio 1964. Una conferma dell’antichità e del-
l’autorevolezza di questa versione è stata riconosciuta nell’urna di Volterra (vd. Ro-
bert 1915, I, p. 307 tav. 48), in cui un uomo (Edipo?) viene accecato mentre due sol-
dati lo tengono fermo. Le altre figure presenti possono essere identificate con
Creonte (l’uomo a sinistra con un bastone), Giocasta (la donna che si getta affranta
su Edipo), i figli di Edipo (due bambini sullo sfondo). Importante è l’identificazione
della donna seduta a sinistra, da alcuni considerata Peribea, la madre adottiva di
Edipo, che secondo una tradizione più isolata (cfr. Hyg. Fab. 66) portava lei stessa la
notizia della morte di Polibo a Tebe (Robert 1915, I, pp. 317 sgg.; Séchan 1926, p.
437 n. 6); secondo M. Hose, Peribea permise il riconoscimento di Edipo come l’as-
sassino di Laio, perché si presentò a Tebe con il carro che il giovane aveva sottratto
al padre dopo l’assassinio e aveva portato in dono a Polibo (cfr. Eur. Phoe. 44-45;
schol. Phoe. 1760): Hose 1990, p. 12.
8
Il papiro è stato pubblicato da E. G. Turner nel 1962: l’identificazione è stata per-
messa dai vv. 2-3 del fr. I, già tràditi per via indiretta da Ael. N.A. XII 7 e Athen. XV
701b. Da notare che i vv. 7-9, citati da Plutarco (fr. 136 Sandbach apud Stob. Anth.
IV 20, 68 = Eur. fr. adesp. 541 N.2), furono già attribuiti in via congetturale all’Edipo
euripideo da L. K. Valckenaer. È discussa la posizione occupata dal frammento: l’i-
potesi del prologo (Webster 1967, p. 242) è poco accettata e si pensa piuttosto a una
rhesis di un messaggero (Turner 1962, p. 82; Di Gregorio 1980, p. 60; van Looy
2000d, p. 439) o dello stesso Edipo (Dingel 1970, pp. 94 sgg.), da collocare nella
parte centrale della tragedia (Aélion 1986, pp. 42 sg.). Secondo Turner esiste «a re-
semblance of tone» tra il fr. 541 K. (cfr. ejxommatou`men) e P. Oxy. 2459 (cfr. ejlivpo-
men, 540a, 2 K.) tale da far pensare che appartenessero a una stessa rhesis (l’acceca-
mento e la risoluzione dell’enigma apparterrebbero agli antefatti della tragedia):
I drammi “perduti” 29
Turner 1962, p. 83: contra Lloyd-Jones 1963, p. 447; Vaio 1964, p. 55. Un ulteriore
problema è offerto dal v. 2 del fr. 540a K., in cui compare una I pers. plur. (ejlivpo-
men), da intendersi o come pluralis maiestatis (van Looy 2000d, p. 439 n. 24) o come
un riferimento ai molti che tentarono di risolvere l’enigma prima di Edipo (Turner
1962, p. 82; Hose 1990, p. 13 n. 26). Che Edipo combatta la Sfinge insieme a dei
compagni è riferito, oltre che da Malala (37, 60 sgg. Th.), da Philoch. FGrHist 328 F
82 e Tzetz. schol. Lycophr. 7.
9
Si soffermano sull’importanza della testimonianza di Malala soprattutto Vaio 1964,
p. 49 n. 2; Di Gregorio 1980, pp. 55 sg. e n. 25, 71; Dingel 1970, pp. 93 sg.: vd. con-
tra Hose 1990, p. 14 n. 30. Vd. anche Aélion 1986, pp. 42 e 56 n. 131.
10
In effetti P. Oxy. 2459 è del IV sec. d.C., e non si può valutare se appartenesse a
un’antologia di brani tragici (Turner 1962) o a un codice che conteneva l’intero Edi-
po.
11
Gli elementi atipici presenti solo in Malala sono l’oracolo sull’incesto comunicato
a Laio e non a Edipo, il primo nome del bambino (Iocca) e quello del contadino
(a[groiko") che lo trovò sui monti e l’allevò (Melibeo). Sul nome bucolico Melibeo
vd. Robert 1915, I, pp. 503 sgg. Anche il nome della regione in cui si nascondeva la
Sfinge, Moaba (Mwavbh) è innovazione malaliana: la sostituzione di Fivkion con
Mwavbh rientra in quei travestimenti giudaico-cristiani frequenti nei cronisti bizanti-
ni: così Robert 1915, I, p. 502.
12
Sull’importante ruolo di Giocasta nella tragedia vd. già Welcker 1839-1841, II,
pp. 547 sgg.
30 Euripide in Giovanni Malala
dipo tràditi per via indiretta, che fanno spesso riferimento alla complessa
relazione sponsale (543, 544, 545, 545a, 546, 547, 548, 551, 552 K.),13 ma
anche in tutto il brano dedicato da Malala al mito tebano. L’insistenza
sulla sua presenza in tutti i momenti critici della vicenda non trova a vol-
te riscontro in altre fonti né poetiche né mitografiche, e dunque va a mio
avviso segnalata. In primo luogo, Malala afferma che Laio abbandonò il
figlio perché un oracolo gli aveva predetto che si sarebbe unito alla ma-
dre Giocasta: kai; crhsmodothqeiv", o{ti th/` ijdiva/ aujtou` mhtri; ∆Iokavsth/
summighvsetai, ktl. (36, 32-33 Th.). Non c’è nessun riferimento al peri-
colo di parricidio, che secondo la tradizione fu il vero motivo che avreb-
be dovuto trattenere Laio dal generare un figlio (cfr. Eur. Phoe. 17
sgg.).14 La centralità del ruolo di Giocasta trova un’eco nel nome impo-
sto inizialmente al bambino, ∆Iwvkka, che costituisce un ulteriore legame
con la figura materna: ∆Iwvkka fu corretto da Valckenaer con ∆Iwvkasto",
che si ritrova come primo nome di Edipo solo in Mich. Apost. Paroem.
III, 1 kai; touvtwn oiJ ajpovgonoi mevcri Lai?ou kai; ∆Iokavstou, tou` metaklh-
qevnto" Oijdivpodo".15 Inoltre, dopo il racconto dell’uccisione della Sfinge
e di Laio, il cronista spiega il matrimonio tra Edipo e la madre, afferman-
do che fu Giocasta stessa a voler sposare lo straniero per non perdere la
regalità su Tebe: kai; loipo;n hJ ∆Iokavsth, mh; qevlousa ejkblhqh`nai th`" ba-
sileiva", eujqevw" ajgagou`sa to;n Oijdivpoda ejpoivhsen aujto;n basileva, ma-
qou`sa o{ti oujk e[cei gunai`ka (37, 72-74 Th.). Giocasta appare una figura
femminile forte che decide di sposarsi autonomamente,16 pro;" qera-
13
Sul significato complessivo di tali frr. vd. Vaio 1964, pp. 51 sgg. Anche la discussa
interpretazione del fr. 541 K., secondo cui Edipo sarebbe stato accecato dai servitori
di Laio che lo riconobbero come assassino del loro padrone, deve presupporre ne-
cessariamente che le nozze tra Edipo e Giocasta fossero già avvenute: che Giocasta
sposi un Edipo già cieco è evidentemente inverosimile: vd. soprattutto Aélion 1986,
pp. 59 sgg.
14
Secondo la vulgata, Laio riceve dall’oracolo l’ingiunzione di non cercare di avere
un figlio perché questi l’avrebbe ucciso. Il riferimento all’unione incestuosa viene
fatto invece a Edipo dall’oracolo delfico, che il giovane era andato a interrogare una
volta divenuto adulto. La versione malaliana è presente in parte in Nicola Damasce-
no, che fa riferimento a entrambi i rischi (parricidio e incesto) già all’interno del re-
sponso oracolare ricevuto da Laio: qeo;" de; aujtw/` e[crhse pai`da poihvsesqai o{sti"
aujto;n ajpokteivna" th;n mhtevra gunai`ka e{xei (FGrHist 90 F 8). Sui rapporti tra Ni-
cola di Damasco e le versioni sofoclee ed euripidee del mito, vd. Robert 1915, I, pp.
81 sg.; Aélion (1986, p. 30 n. 57) pensa a una confusione tarda.
15
Vd. Robert 1915, II, pp. 26 sg. n. 5.
16
Secondo la tradizione, è Creonte a offrire Giocasta in moglie al vincitore della
Sfinge (cfr. Pher. FGrHist 3 F 95 = 107 Dolcetti; [Apoll.] Bibl. III 5, 8), ed è questa
I drammi “perduti” 31
peivan tw`n th`" povlew" kai; th`" sugklhvtou (ibid. 74-75 Th.), rivelando
tratti non estranei alla immagine che ne dà Euripide (cfr. hJ swvfrwn gunhv
del fr. 545, 1 K.).17 Da ultimo, è Giocasta non solo a chiedere a Edipo da
dove provenga e chi sia suo padre (meta; de; crovnon tina; ejperwvthsen hJ
aujth; ∆Iokavsth to;n Oijdivpoda, povqen ejsti;n kai; tiv" aujtou` pathvr, 37, 78-80
Th.), ma anche a condurre personalmente l’enquête, interrogando Meli-
beo e infine rivelando lei stessa la verità a Edipo (kai; ejperwthvsasa to;n
crovnon e[gnw o{ti uiJo;" aujth`" ejsti: kai; ei\pen aujtw/`, 37, 82-83 Th.).18
Tale focalizzazione sulla figura e sul ruolo drammatico di Giocasta si
concilia perfettamente con lo scarno résumé che il cronista dà della trage-
dia euripidea; inoltre, la mancanza di raffronti per alcuni particolari della
vicenda (l’oracolo sull’incesto, la scelta “politica” di Giocasta di sposare
lo straniero) lascia aperto lo spazio a qualsiasi ipotesi, anche a quella di
una matrice euripidea per alcuni spunti coerenti con la citazione finale: oJ
ga;r sofwvtato" Eujripivdh" poihtikw`" ejxevqeto dra`ma peri; tou` Oijdivpodo"
kai; th`" ∆Iokavsth" kai; th`" Sfiggov".
la versione seguita da Euripide nelle Fenicie (47 sgg.). Il ruolo di Creonte nell’Edipo
è discusso: secondo Robert (1915, I, pp. 305 sgg.) è sin dall’inizio il vero antagonista
di Edipo che offre la mano di Giocasta al giovane straniero solo perché costretto da-
gli eventi (la vittoria sulla Sfinge: vd. fr. 550 K.). Il riferimento nel fr. 551 K. allo
Fqovno" che corrompe l’anima degli uomini sembra individuare il movente delle
azioni di Creonte. Anche l’accecamento di Edipo da parte dei servitori di Laio av-
verrebbe sotto istigazione di Creonte (vd. l’urna di Volterra citata supra, n. 7): vd.
ora van Looy 2000d, pp. 442 sgg.
17
Vd. Aélion 1983, pp. 198 sgg.
18
Interessante il raffronto con il Compendio di Giorgio Cedreno, che per la storia
antica dipende totalmente da Malala (I 46): Giocasta, dopo aver interrogato Meli-
beo, comprende la verità kai; bebaiwqei`sa ajnebovhse. Più che un’aggiunta rispetto
al testo malaliano, il grido di Giocasta si può ben definire un dettaglio drammatico,
una sorta di “grido di vergogna” dinanzi all’impietosa rivelazione (cfr. il grido re-
presso della moglie di Candaule quando scopre di essere stata vista nuda da Gige:
Hdt. I 10, 1 ou[te ajnevbwse aijscunqei`sa; sui raffronti tragici di tale aijscuvnh" bohv
vd. ora Burzacchini 2001, pp. 85 sg.). Com’è noto, la Chronographia malaliana è trà-
dita da un codex unicus dell’XI-XII sec. (Barocciano gr. 182 = O), che ne conserva
però un testo abbreviato, mentre i più tardi testimonia (Excerpta costantiniani, Teo-
fane, il fr. Tusculanum, Cedreno, etc.) riflettono spesso una redazione più ampia del-
l’opera. L’aggiunta di Cedreno può dunque verosimilmente appartenere a Malala e
rappresentare un’interessante notazione di tenore tragico. Per una visione sinottica
dei testi di Malala, Giovanni d’Antiochia (fr. 16 Roberto) e Giorgio Cedreno (l.c.)
vd. Robert 1915, II, pp. 168-171.
32 Euripide in Giovanni Malala
19
Nella storia tradizionale si incrociano due linee mitiche, quella dell’«immortalità
condizionata» (Detienne 1990, p. 68) di Meleagro, il cui destino è legato sin dalla
nascita a un tizzone (dalov"), e quella della caccia contro una bestia feroce (il cin-
ghiale) inviata dalla divinità (Artemide) per punire una dimenticanza umana (Oi-
neo, re degli Etoli, dimentica di offrire sacrifici alla dea). Durante la caccia, il figlio
Meleagro entrò in contesa con i Cureti per le spoglie del cinghiale che l’eroe voleva
donare ad Atalanta e uccise gli zii materni (i Testiadi: in Hom. Il. IX 567 si fa riferi-
mento a un fratello, in Bacch. Ep. 5, 127 sgg., a due, Ificlo e Afarete). Questo delitto
spinse la madre Altea a vendicarsi sul figlio, gettando il tizzone “fatale” nel fuoco. Il
mito è già presente in Omero (Il. IX 529-605), in cui compare il motivo della mh`ni"
di Meleagro, paradigma di quella di Achille: vd. anche Bacch. Ep. 5, 76 sgg.; Phryn.
TrGF 3 F 6 = Paus. X 31, 4; Aesch. Choe. 602-611; [Apoll.] Bibl. I 8; etc. Sulle di-
verse tradizioni vd. van der Kolf 1931; Kakridis 1949, pp. 14 sgg.; Swain 1988.
I drammi “perduti” 33
20
Il ruolo di Atalanta, come causa della contesa per la pelle del cinghiale tra Melea-
gro e gli zii materni, sembra sia stata un’innovazione euripidea: vd. ora van Looy
2000c, pp. 407 sgg.
21
Secondo la versione malaliana, il padre viene a sapere del legame tra il ramo d’oli-
vo e il destino di Meleagro attraverso un oracolo (128, 30-32 Th.). Anche in questo
caso si tratta di un unicum.
22
In Omero è Altea, adirata per la morte del fratello, a maledire il figlio e a invocare
l’Erinni che «l’ascoltò» (e[kluen: Il. IX 572); secondo Pausania (X 31, 4), nelle Eoie
e nella Miniade Meleagro viene ucciso in battaglia da Apollo, chiamato in aiuto dai
Cureti (cfr. anche [Hes.] frr. 25, 12 e 280, 2); sempre secondo Pausania (ibid.) il mo-
tivo del tizzone fu sviluppato da Frinico che nelle Pleuronie fece allusione al legame
fatale tra Meleagro e il dalov" (TrGF 3 F 6): così anche Bacch. Ep. 5; Aesch. Choe.
604 sgg.; Diod. Bibl. IV 34; etc.; secondo tali versioni il tizzone viene gettato nel
fuoco da Altea. Già Pausania non riteneva Frinico “inventore” della versione mitica,
probabilmente già presente in Stesicoro (Suotherai: PMG 222): così Croiset 1970,
pp. 405-412; vd. anche Maehler 1982-1997, I, 2, pp. 80 sgg.; Aélion 1986, pp. 187
sgg.; Irigoin 1993, pp. 117 sgg.
23
Il ruolo di Oineo, che appare un’innovazione malaliana, non è però privo di plau-
sibilità sul piano mitico: in effetti Oijneuv" non è solo «l’uomo del vino», pacifico col-
tivatore, ma è anche collegato strettamente al mondo della guerra, come dimostrano
le tradizioni sulla conquista di Oleno e il conseguente rapimento di Peribea
([Apoll.] Bibl. I 8, 4), o, su un altro versante, il nome delle sue figlie (Deianira da
dhvio" «distruttore» e ajnhvr, e Gorga: vd. [Apoll.] Bibl. I 8, 1). Anche riguardo al pa-
dre di Oineo, che secondo Ecateo si chiamava Fizio, il «Piantatore» (Hec. FGrHist
34 Euripide in Giovanni Malala
etimologia (para; to; mevlein th`" a[gra") vd. schol. Hom. Il. IX 543; Etym. Gud. 385,
28: vd. fr. 517 K. appar. Un ruolo più attivo di Oineo nella caccia e nella quaestio a
proposito della pelle del cinghiale è attestato sugli specchi etruschi: vd. Stasinopou-
lou-Kakarouga 1997, p. 919.
28
Vd. ora van Looy 2000c, pp. 406 sg. Su Tideo vd. [Apoll.] Bibl. I 8, 5.
29
Cfr. Séchan 1926, p. 432 n. 4; Webster 1967, p. 236.
30
Vd. Simon 1981, pp. 579 sg. (tav. 4); Woodford-Daltrop 1992, n. 42; cfr. anche
l’analisi di Séchan 1926, pp. 431 sgg. e fig. 123.
36 Euripide in Giovanni Malala
Dafne e risalente al II-III sec. d.C.31 In esso (Fig. 4) vengono raffigurati tre
personaggi (una donna cacciatrice [a sinistra], un giovane cacciatore [centro]
e un altro personaggio [a destra]), e in basso un cinghiale morto: la scena ri-
trae evidentemente il momento conclusivo della caccia al cinghiale calidonio,
in cui inizia la contesa per le spoglie della fiera che Meleagro ha deciso di do-
nare ad Atalanta. Anche per il contestuale riferimento a soggetti euripidei ne-
gli altri pannelli del “Pavimento rosso”, si è ipotizzato con un buon margine
di verosimiglianza che anche questo mosaico riflettesse una scena tragica
tratta dal Meleagro. È discussa l’identità del secondo cacciatore, verso il qua-
le si volge irato Meleagro, perché il volto giovanile è il risultato di un restauro
successivo e dunque non si può escludere che si tratti di Oineo, di norma
barbuto.32 Se si tratta della rappresentazione del conflitto tra Meleagro e il
padre avvenuta dopo l’uccisione del cinghiale (così Weitzmann 1941, pp. 236
sg.), va segnalata a mio avviso la somiglianza tra il pannello e la versione ma-
laliana che ne sembra l’esatta descrizione: ajpelqw;n de; oJ Melevagro" pro;"
to;n eJautou`` patevra Oijneva, ajph/thvqh par∆ aujtou`` ta; nikhthvria tou`` qhrov": kai;
maqwvn, o{ti th/̀` ∆Atalavnth/ to; devrma ejcarivsato, ojrgisqei;" kata; tou`` ijdivou
uiJou``, ktl.33
31
Il mosaico della casa del “Pavimento rosso” (Fig. 3) presenta otto pannelli su uno
sfondo rosso: nei quattro pannelli laterali e in quello centrale (molto danneggiato)
sono rappresentate scene mitologiche, con tre figure umane disposte in una relazio-
ne spaziale in cui si riconosce un modello “teatrale”: vd. Weitzmann 1941, pp. 241
sg. e ora Huskinson 2002-2003, p. 139. I soggetti sembrano accomunati dal tema
della passione amorosa e dei suoi effetti rovinosi: Fedra e Ippolito; Atalanta e Me-
leagro (Fig. 4); Stenebea e Bellerofonte [?]; Paride ed Elena [?], Medea e i figli; se-
condo Weitzmann, l’analisi dei soggetti di cui sono noti i modelli teatrali (Medea, Ip-
polito, Troiane, Elena) permette di verificare il rapporto tra testo e immagine «which
turns out to be as close as possible»: 1941, p. 241.
32
La rappresentazione di Oineo in vesti di cacciatore trova riscontro anche in alcuni
sarcofaghi studiati da C. Robert (apud Weitzmann 1941, pp. 235 sgg.).
33
Già Hartung riteneva che in questa frase malaliana si conservasse traccia della tra-
ma della tragedia (1843-1844, I, p. 149).
I drammi “perduti” 37
(schol. Lycophr. 492 tine;" de; fullavda ejlaiva" ouj da`da ei\naiv fasin, h}n ejn
th/` kuhvsei fagou`sa tw/` Meleavgrw/ ejn th/` gennhvsei suntevtoke kai; ejfuv-
latten ajkribw`" uJpo; tw`n mavntewn tou`to maqou`sa wJ" e[st∆ a]n fulavttoito
hJ fulla;" ajblabhv", ajblabh;" kai; oJ Melevagro" e[stai, eij de; fqarh/` kai; oJ
Melevagro" sumfqarhvsetai).34 Il dato appare anomalo, anche se il moti-
vo è antico e affonda le proprie radici nelle tradizioni epicorie, soprattut-
to ateniesi. Come afferma F. Vian, «l’olivier est l’arbre ‘fatal’» cui sono
associati il culto di Zeus Movrio", le dodici morivai (olivi sacri) del giardi-
no di Academo e altre antiche tradizioni (cfr. il ramoscello d’olivo che
ogni neonato maschio riceve alla nascita: Hesych. s 1791 L. stevfanon
ejkfevrein);35 inoltre, com’è noto, l’olivo, sacro ad Atena, svolge un ruolo
nei rituali iniziatici dell’efebia perché rappresenta il passaggio dallo stato
selvaggio a quello di cittadino, il cui compito è anche di proteggere le ci-
vili coltivazioni.36 Il rapporto tra Meleagro e l’olivo non è dunque così
34
Tzetze attribuisce a Soterico un’opera intitolata Kaludwniakav (schol. Lycophr.
486): cfr. anche Tzetz. Chil. VII 102, 69 sg. L. Su questa testimonianza vd. van der
Kolf 1931, col. 458. La nascita simultanea della pianta e del bambino ricorda il so-
gno di Astiage riferito da Erodoto (I 108), in cui il re persiano vide la propria figlia
“partorire” una vite che crescendo coprì tutta l’Asia; in modo analogo Clitennestra
nell’Elettra sofoclea (419-423) sogna che dallo scettro di Agamennone germogli un
ramo d’olivo che ricopre tutta la regione di Micene: vd. Detienne 1990, pp. 69 sg.
Se si vuole operare un confronto tra il linguaggio malaliano e quello poetico, va no-
tato che «partorire un qallov"» appare una variante della nota espressione «genera-
re un qavlo"» (cfr. e.g. Hom. Il. XXII 87 … fivlon qavlo", o}n tevkon aujthv; H.H. 2, 66
kouvrhn th;n e[tekon, glukero;n qavlo" ktl.; 187 pai`d∆ ejpi; kovlpw/ e[cousa nevon qavlo":
ktl.; vd. anche Pind. Ol. 2, 45 … ∆Adrastida`n qavlo" ajrwgo;n dovmoi"; ibid. 6, 68: …
semno;n qavlo" ∆Alkai>da'n, ktl.; Aesch. Eum. 666 ajll∆ oi|on e[rno" ou[ti" a]n tevkoi
qeav; Eur. Iph. Taur. 170 sg. w\ kata; gaiva" ∆Agamemnovnion / qavlo", ktl.; 209 sg.; 232;
etc.). Su qallov" / qavlo" vd. Broccia 1951, pp. 56 sgg. La contestuale “nascita” del
ramoscello e del bambino richiama, pur con ovvie forzature, la descrizione eschilea
della nascita di Meleagro (Choe. 602-612), in cui il legame fatale tra il tizzone e Me-
leagro è rappresentato icasticamente dall’immagine del legno coevo-compagno
(h{lix) che condivide il destino del fanciullo appena dopo il parto (vv. 607 sgg.: …
paido;" dafoino;n / dalo;n h{lik∆, ejpei; molw;n / matrovqen kelavdhse; cfr. schol. Choe.
608-609 ejxovte pesw;n ajpo; th`" mhtro;" ejbovhse, toutevstin ejxovte gegevnnhtai); cfr. an-
che Ov. Met. VIII 451 sgg.
35
Vian 1952, p. 256. Secondo J. Harrison ad Atene nel V sec. si era instaurato un
rapporto assai stretto tra le Moi`rai e le Morivai, tanto che le prime vennero consi-
derate forme molteplici dell’albero d’olivo; il racconto malaliano sul ramo d’olivo e
Meleagro viene definito dalla studiosa «a less familiar and for my purpose very per-
tinent version»: Harrison 1895, p. 89.
36
Anche gli efebi di Dreros (Creta) completavano il loro iter iniziatico piantando un
38 Euripide in Giovanni Malala
olivo: vd. Detienne 1990, pp. 76 sgg.; sulle tradizioni legate all’olivo durante le Pa-
natenee vd. Vian 1952, pp. 255 sgg.
37
Cfr. Artem. Onir. II 10; Theocr. Id. 2, 23 sgg.: Knaack 1894.
38
Interessante è che il motivo del parto del ramoscello o pezzo di legno appartenga
alla genealogia di Oineo: secondo Ecateo (FGrHist 1 F 15), il nonno Oresteo vide la
sua cagna partorire un pezzo di legno (stevleco"), lo seppellì e ne nacque la vite: in
onore di tale prodigio, Oresteo chiamò suo figlio Fuvtio", che a sua volta chiamò il
figlio Oijneuv": oiJ ga;r palaioiv, fhsin, ”Ellhne" oi[na" ejkavloun ta;" ajmpevlou"; vd.
Knaack 1894, pp. 312 sg.; Detienne 1990, pp. 74 sg.
39
«… quo Parcarum personam ex historia removeret»: così Hartung 1843-1844, I,
pp. 140 sg. Sul ruolo delle Moire in [Apoll.] Bibl. I 8, 2 vd. ora Braswell 1991.
40
Cfr. l’Oedipus, supra, pp. 25 sgg.; anche per la morte di Perseo, Malala adotta una
versione isolata ma probabilmente antica: l’eroe viene ucciso dal padre di Androme-
da, Cefeo, contro il quale, in quanto cieco, non ebbe nessun potere la testa della
Gorgone (28, 13-25 Th.). Secondo Aélion, lo scontro tra Perseo e Cefeo riflette un
conflitto per il potere, in cui la coppia Andromeda-mostro marino giocava lo stesso
ruolo della coppia Arianna-Minotauro: si tratterebbe dunque di «un état ancien de
la légende, où le monstre marin était non pas un fléau, mais un auxiliaire du pouvoir
du roi […] et où, en le tuant, Persée s’opposait au roi et menaçait son pouvoir» (Aé-
lion 1986, p. 181). Da segnalare che anche nell’Andromeda di Euripide è controver-
I drammi “perduti” 39
sa la natura del rapporto tra Cefeo e Perseo (vd. frr. 140, 141, 142, 143, 151 K.): così
van Looy 1998b, pp. 159 sgg.
41
Antiope, figlia del tebano Nitteo (o del fiume Asopo: Asio, fr. 1 Bernabé = Paus.
II 6, 4), fu sedotta da Zeus che si unì a lei sotto forma di satiro; rimasta gravida ab-
bandonò la casa paterna, trovando rifugio presso il re di Sicione Epopeo; in seguito
il padre incaricò il fratello Lico di riprendersi con la forza Antiope, che venne ripor-
tata a Tebe e affidata alla custodia di Dirce, moglie di Lico; durante il tragitto da Si-
cione a Tebe ella partorì due gemelli, Anfione e Zeto, che fu costretta ad abbando-
nare. Dirce maltrattava sistematicamente l’eroina, probabilmente perché gelosa del-
la sua bellezza, per cui, quando Antiope riuscì a fuggire e a ricongiungersi con i suoi
figli, essi la vendicarono uccidendo Lico e Dirce. Le principali fonti sono Hyg. Fab.
8; [Apoll.] Bibl. III 5; schol. Ap. Rh. IV 1090 (vd. Eur. [12], pp. 274-276 K.) La sto-
ria si presenta come un intreccio di odi e vendette, che tradiscono molto probabil-
mente i difficili rapporti tra Tebe e Sicione: vd. van Looy 1998c, pp. 213 sgg.; sui
rapporti tra mito e storia vd. Vian 1963, pp. 194 sgg. Anche le vicende successive al
ritorno di Anfione e Zeto con la madre a Tebe presentano molte varianti mitiche:
vd. ora van Looy 1998c, pp. 219 sgg.
42
Probabilmente tale relazione tra Antiope e Dioniso risale proprio ad Euripide
(Burkert 1972, p. 93); nelle fonti più antiche essa non compare: cfr. Hom. Od. XI
260-265; Hes. fr. 182 M.-W.; Asi. fr. 1 Bernabé. Sul carattere dionisiaco di tale tra-
sformazione vd. anche Kambitsis 1972, p. 78.
43
Vd. soprattutto Clark 1995.
40 Euripide in Giovanni Malala
44
Sul culto di Helios in Malala (anche riferito a Dioniso) vd. Reinert 1985, pp. 36
sg. n. 45 e 38 n. 61.
45
Su Pi`ko" Zeuv" vd. supra, p. 14 n. 11.
46
Sulla versione di Cefalione vd. Clark 1995, pp. 107 sgg.
47
La tragedia euripidea, di cronologia incerta, è nota attraverso cospicui frammenti;
lo svolgimento dell’azione può essere ricostruito attraverso le opere dei mitografi
che fanno esplicitamente riferimento a Euripide: vd. ora van Looy 1998c, pp. 223
sgg.
48
Il riferimento al mito è presente in opere tarde: Luc. JTr 2, 9; schol. Ap. Rh. IV
1090 (oJ Zeu;" Satuvrw/ oJmoiwqei;" fqeivrei); Nonn. D. VII 123 (e{bdomo" ∆Antiovphn
Satuvrw/ doloventi sunavptei: si tratta dell’enumerazione delle dodici conquiste di
Zeus sotto l’influsso potente di Eros); cfr. anche XVI 242-243; XXXI 216-217. Vd.
anche Vita Barlaam et Joasaph 406, 31-408, 11 e A.P. IX 48.
49
Malala interpreta le storie di trasformazioni mitiche «mit den Methoden des Pa-
laiphatismus», rifiutandone anche l’interpretazione “spirituale”, che ne faceva
esempi di metensomatosi o metempsicosi: così Hörling 1980, pp. 78 sgg. Per il pas-
so su Antiope, vd. ibid. pp. 86 sgg.
50
Vd. Clark 1995, pp. 173 sg.
I drammi “perduti” 41
oJ ga;r sofwvtato" Eujripivdh" poihtikw`" ejxevqeto dra`ma, wJ" o{ti oJ Zeu;" eij" sav-
turon metablhqei;"51 e[fqeiren th;n ∆Antiovphn, kajkei`qen ejgennhvqh oJ Zh`qo"
kai; oJ ∆Amfivwn oiJ mousikoiv. kata; de; metavstasin metemyucwvsew" katacqevn-
ta to;n patevra aujtw`n Qeovboon ejk tou` Pivkou Dio;" ei\pen, o{ti oJ Zeu;" meta-
blhqei;" eij" savturon, o{ ejstin kata; th;n Boiwtw`n glw`ssan eij" a[llo sw`ma euj-
televsteron, e[fqeiren th;n ∆Antiovphn.52
51
L’espressione è tratta da Cedreno (I 44, 20).
52
Analoga è la versione di Cedreno, che dipende da Malala (I 44-45).
53
Cfr. Hesych. s 257 L. savturoi: morfai; ajprepei`".
54
Per i rapporti tra Tzetze e Malala vd. Patzig 1901a. L’etimologia di savturo" è in
realtà sconosciuta: vd. Chantraine, DELG, s.v.
55
Giovanni Malala ricorre spesso a raffronti tra differenti “dialetti” o lingue: così
e.g. in Chron. 45, 5-6 Th. ta;" de; eujmovrfou" gunai`ka" oiJ Molossai``oi th``/ ijdiva/ glwvs-
sh/ kovra" ejkavloun.
56
Del resto anche gli altri nomi citati dal cronista nel brano su Antiope sono nomi
parlanti che appartengono a un ambito misterico (Antiope «che guarda oltre»; Nit-
teo da nuvx; Epopeo, cfr. ejpovpth"; etc.): vd. le testimonianze raccolte da Clark 1995,
pp. 69 sgg. Il ricorso all’etimologia per rifiutare il contenuto meraviglioso del mito
antico è frequente in Malala: il Minotauro diventa Tauro (Tau'ro": Chron. 61, 50
Th.), nome proprio, così come Cicno (Kuvkno") nel mito di Leda: vd. Hörling 1980,
pp. 88 sg.
57
Per le false etimologie vd. anche Procl. In Plat. Cratyl. 85, 10: … i{na mh; to;n Me-
42 Euripide in Giovanni Malala
uso in relazione ai nomi dei due gemelli, Anfione e Zeto, all’interno del
prologo, in cui il pastore che aveva allevato i due gemelli rivolgeva una
preghiera a Dioniso. Il nome di Zeto si spiegherebbe con le difficoltà di
Antiope nel «cercare» (zhtei`n) un luogo adatto per partorire:
181 K. (Et. Magn. s.v. Zh`qo", p. 411, 12 G. = fr. 2 van Looy 1998c)
to;n me;n kivklhske58 Zh`qon: ejzhvthse gavr
tovkoisin eujmavreian hJ tekou`sav nin.59
levagron w{sper Eujripivdh" (fr. 517 K.) kakw``" ejtumologhvsh/ ãdia; th;n melevan a[granÃ;
Eustath. In Hom. Il. II 345, 18 Eujripivdh" de; to;n Oijdivpoun ejtumologh`sai qelhvsa" ej-
pevkruye me;n to; safev", o} dh; ajreth; ejtumologiva" ejstivn, ktl. Sull’argomento vd. Kan-
nicht 1969, II, p. 21 (ad Hel. 13-15); Kambitsis 1972, pp. 26-27; van Looy 1973.
58
L’imperativo kivklhske venne corretto da N. Wecklein in kiklhvskw, perché altri-
menti non si comprenderebbe da chi il pastore avesse ricevuto l’ordine di dare il no-
me di Zeto (apud Kambitsis 1972, fr. II); Mette (1981-1982, fr. 235) conserva la le-
zione tràdita interpretandola come una forma di imperfetto privo di aumento (il
sogg. sarebbe la moglie del pastore). Contro la legittimità dell’intervento testuale
vd. Luppe 1984, p. 53. Accetta ora l’imperativo R. Kannicht (181 appar. K.).
59
Cfr. anche Et. Gud. s.v. Zh`qo", 230, 54 S. Eujripivdh" safw`" ejtumologei`` ejn ∆An-
tiovph/ «zhth`sai ga;r tovkoisin eujmavreian hJ tekou`sav gunhv».
60
Per il significato di a[mfodo" vd. Kambitsis 1972, pp. 27-28. Cfr. anche Schmid
1940, p. 561 n. 7.
61
Lo stesso frammento è citato da Eusebio, Praep. Ev. XIII 13, 38. In Giovanni Da-
masceno (Canon. iamb. 2, 22 = 210, p. 300 appar. K.) è citato solo il v. 2 con la lezio-
ne qhrov", contro fwtov" degli altri due testimoni.
I drammi “perduti” 43
62
Così anche R. Kannicht: 210, p. 300 appar. K.
63
Qhvr è anche il centauro in Soph. Tr. 556. Analogamente il verbo kakourgei`n è at-
tribuito anche ad animali (cani in Plat. Resp. 416a; cavalli in Xen. Oec. 3, 11).
64
Van Looy conserva fwtov" (34 van Looy 1998c); decisamente a favore di qhrov" è
Kambitsis secondo il quale la lezione trova una conferma nell’espressione w{sper
a[nqrwpon al v. 3 che altrimenti risulterebbe pleonastica (1972, pp. 78-79).
65
Non si deve confondere il riferimento alla metempsicosi con la paretimologia del-
la parola savturo": quest’ultima non conferisce «a mystic significance in the word
‘satyr’», come sostiene Clark (1995, p. 173), ma anzi aspira a “despiritualizzare” l’u-
nione tra il satiro (inteso come uomo rozzo) e Antiope.
66
D’altra parte proprio il motivo della trasformazione di Zeus in satiro non sembra
44 Euripide in Giovanni Malala
bilmente la fonte del racconto mitico malaliano: kai; ta; aujta; e[graye tw/`
ijdivw/ gambrw/` kai; ta; loipav, kaqw;" sunegravyato Eujripivdh" oJ tragiko;"
poihthv", plhrwvsa" to; dra`ma (60, 25-26 Th.).70 Non viene dunque citato,
come spesso accade in Malala, il titolo del dramma, ma è noto che il mito
venne trattato da Euripide in due tragedie (Stenebea e Bellerofonte), di
cui si conservano le hypotheseis e alcuni frammenti (anche cospicui nel
caso della Stenebea). Soggetto della prima tragedia erano non solo le im-
mediate conseguenze del rifiuto da parte di Bellerofonte di cedere alle ri-
chieste di Stenebea (viaggio in Caria presso Iobate,71 scontro con la Chi-
mera), ma anche il successivo ritorno dell’eroe vincitore a Tirinto e la
vendetta perpetrata sui coniugi con la morte di Stenebea.72 Nel Belle-
rofonte veniva invece trattata la fine tragica dell’eroe corinzio, vera neme-
sis dell’uccisione di Stenebea e insieme monito contro la hybris: Belle-
rofonte era disarcionato da Pegaso, come in precedenza la stessa Stene-
bea, mentre cercava di raggiungere l’Olimpo, aspirazione tradizional-
mente pa;r divkan (Pind. Isthm. 7, 47),73 e terminava i suoi giorni nella
«pianura degli erranti», zoppo e miserando (cfr. Il. VI 201-202 h[toi oJ
70
Tutto il passo è riportato anche negli Excerpta de virtutibus et vitiis di Costantino
VII Porfirogenito (= EV 1, 1159). In questo caso, la conclusione è più abbreviata:
kai; tau`ta e[graye tw`/ ijdivw/ gambrw/` kai; ta; loipav, kaqw;" sunegravyato Eujripivdh"
(vd. p. 60 Th., appar.).
71
Euripide fa di Iobate un re cario, piuttosto che licio come voleva la tradizione (cfr.
Hom. Il. VI 168 sgg.), una innovazione che forse serviva al tragediografo per rende-
re più veloce il viaggio (e il ritorno) di Bellerofonte da Tirinto: così Jouan 2002, pp.
16 sg.
72
In base a quanto riferito nell’hypothesis ([61] ii a K.), nella Stenebea euripidea ve-
nivano descritte molte fasi della vicenda, lontane sia cronologicamente che spazial-
mente (viaggio di Bellerofonte in Caria, combattimento contro la Chimera, ritorno a
Tirinto, nuovo viaggio su Pegaso insieme a Stenebea, nuovo rientro a Tirinto, forse
come deus ex machina), che hanno destato sempre molte perplessità nei commenta-
tori: vd. ora Jouan 2002, pp. 8 sgg. L’eroe si vendicava su Stenebea, che dopo il suo
ritorno aveva tentato di nuovo di corromperlo, facendola salire con l’inganno su Pe-
gaso per poi disarcionarla durante il volo. In tal modo Bellerofonte puniva entrambi
i coniugi, th``" me;n eij" to; zh``n, tou`` de; eij" to; lupei``sqai ([61] ii a, ll. 35 sg. K.; vd. an-
che van Rossum-Steenbeek 1998, pp. 209-211). La vendetta su Stenebea sembra
un’invenzione di Euripide e tale tema, in modo singolare, non verrà più ripreso in
seguito (vd. Jouan 2002, p. 2). Sulla trattazione del mito in Euripide vd. anche Aé-
lion 1986, pp. 187 sgg.
73
Sul rapporto tra Pegaso e Bellerofonte vd. Hes. Th. 325 ma soprattutto Pind. Ol.
13, 63 sgg.; Isthm. 7, 44-47; secondo Omero, che non parla del cavallo alato, Belle-
rofonte cadde in odio agli dèi e fu condannato a vagare nella pianura Alea (Il. VI
200 sgg.). Vd. anche Ibyc. SLG 223, 21-23.
46 Euripide in Giovanni Malala
ka;p pedivon to; ∆Alhvi>on oi\o" ajla`to / o}n qumo;n katevdwn, pavton ajnqrwvpwn
ajleeivnwn).74
Ora, nel brano malaliano il cronista sembrerebbe far riferimento alla
Stenebea, in cui secondo l’hypothesis venivano riportate le fasi iniziali del
mito, piuttosto che al Bellerofonte, in cui si svolgono le vicende conclusi-
ve della vita dell’eroe. È interessante che testimone principale della Ste-
nebea sia un autore bizantino del XII sec., Giovanni Logoteta, che ripor-
ta non solo l’hypothesis del dramma ([61] ii a K.), ma anche un’ampia se-
zione del prologo pronunciato da Bellerofonte (661 K.).75 Si tratta di una
delle più significative testimonianze della sopravvivenza di tragedie euri-
pidee escluse dalla selezione tardo-antica, che getta una luce, anche se
controversa, sulla possibile conservazione di sillogi di hypotheseis anche
in età medievale.76
Tuttavia, proprio dal confronto con la testimonianza di Giovanni Lo-
goteta, si nota nel racconto malaliano la presenza di alcuni elementi che
non si conciliano facilmente con la Stenebea euripidea: in primo luogo il
cronista, che insiste come si è detto sul rovello interiore che tormenta i
differenti personaggi, si sofferma sul comportamento di Iobate, che ap-
pare meno lineare rispetto a quanto riferito nell’hypothesis. Se nella tra-
gedia, infatti, il re cario, dopo aver ricevuto da Preto la lettera che gli in-
giunge di procurare la morte a Bellerofonte, obbedisce immediatamente
(oJ de; toi`" gegrammevnoi" ajkovlouqa pravttwn prosevtaxen aujtw/` diakin-
duneu`sai pro;" th;n Civmairan: [61] ii a, ll. 17-19 K.), nel racconto di Ma-
lala, come già in Omero (Il. VI 172 sgg.), Iobate inizialmente accoglie il
giovane come un ospite gradito e legge la lettera solo dopo alcuni giorni;
anche per lui, come già per Preto, i diritti dell’ospite impediscono ora di
eseguire la richiesta di morte e danno àdito a una serie di dubbi, che lo
indurranno a scrivere a sua volta una lettera al genero per chiedergli cosa
fare (60, 21-26 Th.):
74
Vd. anche Aristoph. Ach. 426-427; Pax 147-148; sul Bellerophontes euripideo vd.
ora Jouan 2000.
75
Giovanni Logoteta, grammatico del XII sec. d.C., in un commento retorico al Pe-
ri; meqovdou deinovthto" di Ermogene (ed. Rabe 1908; van Rossum-Steenbeek 1998,
n. 16 fr. 5) riporta le hypotheseis della Melanippide saggia, del Piritoo e della Stene-
bea. Le stesse citazioni compaiono in parte in Gregorio di Corinto (Rhetores Graeci
VII, 1321 Waltz): vd. Hunger 1978, I, pp. 84 sg.; II, pp. 30-33; Wilson 1983, pp.
288 sgg. Le hypotheseis della Melanippide e della Stenebea corrispondono a quelle
trovate nel P. Oxy. 2455, e per la Melanippide a quella presente in un papiro pubbli-
cato di recente (Daniel 1991, n. 2 pp. 3 sg.); vd. Luppe 1991b; Luppe 1996.
76
Vd. supra, pp. 4 sgg.
I drammi “perduti” 47
kai; dexavmeno" ta; gravmmata kai; ajnagnou;" ta; grafevnta aujtw/`, kai; eijdw;" oJ
∆Iwbavth", o{ti sunevfagen aujtw/` ei\pe kaq∆ eJautovn, o{ti ma``llon kathgorei``tai
ou|to": eij ga;r sunh/vdei kakw/`, oujk a]n hJ divkh ejpoivhsen aujto;n fagei``n met∆ ej-
mou``, o{ti novmo" ejsti;n ”Ellhsi tw`/ sunesqivonti mh; poiei`n kakw`". kai; ta; aujta;
e[graye tw`/ ijdivw/ gambrw`/ kai; ta; loipav, kaqw;" sunegravyato Eujripivdh" oJ
tragiko;" poihthv", plhrwvsa" to; dra`ma.
Già Omero poneva un lasso di tempo di nove giorni tra l’arrivo di Belle-
rofonte in Licia e la lettura dei shvmata lugrav da parte di Iobate,77 ma il
re non manifestava alcuna difficoltà nel mettere in atto quanto richiesto
(Il. VI 178-180 aujta;r ejpei; dh; sh`ma kako;n paredevxato gambrou`, /
prw`ton mevn rJa Civmairan ajmaimakevthn ejkevleuse / pefnevmen: ktl.); il
motivo delle perplessità di natura morale di Iobate è presente nelle fonti
più tarde,78 anche se manca in esse qualsiasi cenno a un’ulteriore comu-
nicazione tra suocero e genero. Si tratta di un’aggiunta malaliana (cfr.
N.2, p. 568: «Iohannes Malalas postquam de Proeto, Sthenoboea, Belle-
rophonte, Iobata suo more quaedam narravit, etc.»),79 oppure il cronista
conosceva davvero un dramma euripideo in cui veniva dato più rilievo
alla figura di Iobate? Va ricordato che effettivamente Iobate svolgeva un
ruolo importante nel mito, perché, dopo il superamento delle difficili
prove (Chimera, Solimi, Amazzoni) da parte di Bellerofonte, egli ricono-
sceva di essersi sbagliato e ricompensava l’eroe dandogli in sposa un’altra
sua figlia (Filonoe o Cassandra) e associandolo al suo regno ([Apoll.]
Bibl. II 3, 2).80 Inoltre, è certo che l’esitazione del re licio nel mettere in
atto le richieste di Preto e il suo ripensamento sulle virtù del giovane
ospite erano trattate in una tragedia antica: la trama è conservata nei Tra-
godumena di Asclepiade di Tragilo (IV sec. a.C.) (FGrHist 12 F 13 =
77
Il. VI 174 sg.
78
Hyg. Fab. 57 «at Proetus re audita conscripsit tabellas de ea re et mittit eum ad
Iobatam regem, patrem Stheneboeae. quibus lectis talem virum interficere noluit
sed ad Chimaeram eum interficiendum misit, quae…»; Tzetz. schol. Lycophr. 17, p.
16, 11-15 Scheer kai; ∆Iobavth" oJmoivw" q∆ hJmevra" aujtw/` sunestiwvmeno" h\n: th;n
dekavthn de; to; gravmma diadexavmeno" ejpei; mhde; aujto;" ei\cen aujto;n ajnelei``n dia; to;
sumfagei``n met∆ aujtou`` keleuvei tou``ton ajpelqei``n kai; polemh``sai Cimaivra/, ei\ta So-
luvmoi", ei\t∆ ∆Amazovsin; Diod. Bibl. VI 9 oJ de; [sc. ∆Iobavth"] mh; boulovmeno" aujto;n aj-
polevsai, th/` purpnovw/ Cimaivra/ ejkevleuse sunavyai mavchn.
79
Cfr. ora [61] ii d K. (p. 647).
80
Kasavndra è il nome della figlia secondo Asclepiade di Tragilo (FGrHist 12 F 13).
Cfr. Hom. Il. VI 192; Hes. fr. 43a, 88 sgg.; etc. Secondo Plutarco (De mul. virt.
248a), invece, Iobate fu sempre ostile e iniquo (ajdikwvtato") nei confronti di Belle-
rofonte; così anche in un epigramma tardo conservato nell’A.P. (III 15, 3 ajgennhv").
48 Euripide in Giovanni Malala
schol. AB Hom. Il. VI 155), e, proprio per l’importanza del ruolo del re
licio nello svolgimento della vicenda, la tragedia venne identificata con lo
Iobate di Sofocle, di cui si conoscono solo tre esigui frammenti (TrGF,
IV, frr. 297-299, p. 268 Radt).81 La testimonianza di Malala, anche se di-
scordante rispetto all’hypothesis, può dunque conservare traccia di una
variante mitica, come si è visto, non priva di riscontri.
Altri elementi nel racconto malaliano risultano originali: quando Stene-
bea decide di denunciare falsamente al marito il comportamento di Bel-
lerofonte, fa allusione a un favrmakon con il quale il giovane potrebbe
tentare di ucciderla a causa della sua castità (59, 10-12 Th.):
ejra`/` mou oJ Bellerofovnth" kai; ejpevrcetaiv moi, kai; mh; favrmakovn moi dwvsei
kai; qavnw fulavttousav soi swfrosuvnhn, wJ" ajndro;" ejrw``sa, kai; fobou``mai.
81
Aélion 1986, p. 192. Sul ruolo di Iobate vd. anche Schmid 1940, p. 392 e n. 6.
82
Secondo Welcker (1839-1841, II, p. 784), Stenebea poteva aver fatto ricorso a un
veleno, forse nel Bellerofonte (Blaydes 1889, ad v. 1050, p. 417).
I drammi “perduti” 49
83
Cfr. Tzetz. Ad Aristoph. Ran. 1051 pollai; ga;r tw`n uJperovcwn gunai``ke" wJ" hJ Sqe-
nevboia ejrasqei``saiv tinwn kai; tw``n ejrwmevnwn oujci; tucou``sai farmavkoi" auJta;" die-
crhvsanto. hJ de; Sqenevboia ktl. Così anche K. Dover (1993, p. 324): «The point
seems to be that women were incited by the stories of Phaidra and Stheneboia to
desire adultery, and then, when spurned or detected, committed suicide». Sulla
“malattia” di Stenebea vd. anche Zühlke 1961, pp. 208 sgg.
84
Il prologo è sicuramente mutilo, forse di alcune decine di versi: Zühlke 1961, pp.
209 sgg.; Korzeniewski 1964, pp. 52 sgg. Sulla possibilità che anche il pannello late-
rale destro del mosaico del “Pavimento rosso” (Fig. 3) raffiguri la scena del prologo
della Stenebea vd. Weitzmann 1941, pp. 237 sg.
85
Fr. 661, 6 K. toia``/de Proi``to" ãgh`"Ã a[nax novsw/ nosei`; v. 20 oujd∆ eij" nosou`nta" uJ-
brivsai dovmou" xevno".
86
Cfr. anche ibid., vv. 24 sg. oJ d∆ eij" to; sw`fron ejp∆ ajrethvn t∆ a[gwn e[rw" / zhlwto;"
ajnqrwvpoisin, w|n ei[hn ejgwv. Vd. Schmid 1940, p. 391.
87
Korzeniewski 1964, pp. 50 sg.; vd. anche Jouan 2002, fr. 1, 26. Braet (1973, p. 95)
considera il v. 26 «parfaitement compréhensible»; più cauto Collard 1995, p. 94.
Per una rassegna delle diverse interpretazioni vd. Zühlke (1961, p. 204), che tradu-
ce così il verso: «Doch glaube ich nicht, wegen meiner Sittsamkeit auch sterben zu
müssen».
50 Euripide in Giovanni Malala
Come faceva notare lo stesso Dodds,91 anche nelle Troiane (506 sgg.)
composto e verbo si susseguono a poca distanza:
88
Per l’associazione dell’avverbio camaiv con il verbo euJrivskw cfr. Arist. fr. 45 Rose
(camai; keivmeno" euJrevqh). Cfr. Chantraine, DELG, s.v. camaiv (p. 1245).
89
camaipethv": Or. 1491; Ba. 1111; Cycl. 386; Tro. 507; cameuvnh: fr. 676 N.2; Rh. 9,
852.
90
Il cod. P (Palat. gr. 287) riporta la lezione camaipethv" («precipite fino a terra»)
corretta da P. Maas in camairifhv" (Chr. pat. 1430), che tuttavia è attestato solo in
Eustazio (In Hom. Il. IV, 653, 5-6 to; de; camai; ejkpeso;n camairife;" levgetai);
Dodds (19602, p. 216) accetta la correzione proprio per evitare la ripetizione del
verbo pivptw (ma vd. al v. 1111 uJyou`… uJyovqen), anche se di recente J. Roux ha ri-
pristinato camairiphv" «qu’il est inutile de corriger, car il produit un redoublement
expressif à côté de pivptei» (Roux 1970, p. 581). Sul valore delle citazioni di Eusta-
zio, vd. Miller 1940; Tuilier 1968, pp. 134-136.
91
Dodds 19602, p. 216.
I drammi “perduti” 51
Phrixus B? (Chron. 23, 51-65 Th. = Eur. 820 [b] appar. K.)
Anche questa citazione euripidea, attribuibile ai Cretesi o al Frisso (vd.
oltre), è inserita all’interno di una rilettura evemeristica del mito antico;
tuttavia, il confronto con l’hypothesis e il prologo del dramma cui molto
probabilmente fa riferimento il cronista permette di avanzare un’ipotesi
sulla fonte della citazione.
Nel passo, la storia del ratto di Europa da parte di Zeus mutatosi in to-
ro viene riletta, come spesso in Giovanni Malala, in chiave evemerizzante
(il dio diventa Tau`ro" oJ th`" Krhvth" basileuv", che con tracotanza rapisce
Europa da Tiro portandola con sé a Creta: 22, 46-23, 47 Th.), probabil-
mente per influsso della lettura che ne diede Palefato (De incred. 15 F.).92
92
Hörling 1980, pp. 83-85. Secondo la lettura razionalizzante, era il nome del re di
52 Euripide in Giovanni Malala
96
Cantarella attribuisce la citazione ai Cretesi (1964, T 2), pur non escludendo il
Frisso (i versi comparirebbero «in un corale, ma non nell’azione drammatica»: p. 46;
vd. anche Corbato 1965, p. 194); l’ipotesi è accolta con prudenza anche da P. Carra-
ra (1987, p. 20 n. 5), per il quale l’unico frammento euripideo è Zeu;" … h{rpase: «It
could be a reference to a particular moment of the Cretans (perhaps to preceding
events)»; cfr. anche Luppe 1996, p. 217. Non prende posizione al riguardo Cozzoli
nella recente edizione dei Cretesi (2001, T 4).
97
I due drammi trattavano del mito di Frisso, figlio di Atamante e di Nefele, che fu
vittima delle cospirazioni di Ino, seconda moglie di Atamante. Accusato di essere la
causa della carestia provocata ad arte dalla matrigna, Frisso doveva essere sacrifica-
to secondo le indicazioni di un falso oracolo. A risolvere la situazione tragica, cui,
secondo la testimonianza di Ferecide (FGrHist 3 F 98 = 112 Dolcetti = schol. Pind.
Pyth. 4, 288a), il giovane si esponeva di buon grado spinto dal desiderio di immolar-
si, intervenivano prima un servo fedele e poi, in modo risolutivo, Nefele; la madre
salvava Frisso e la sorella Elle facendoli fuggire su un ariete dal vello d’oro che li
avrebbe trasportati in volo verso il Chersoneso, dove la fanciulla trovò la morte ca-
dendo nel tratto di mare che prese da lei il nome, l’Ellesponto: per una ricostruzio-
ne dettagliata delle diverse, e spesso contraddittorie, versioni mitiche rimando a van
Looy 2002b, pp. 339-346.
98
Ad Aristoph. Ran. 1225 (IV, 3, pp. 1047 sgg. Koster). A giustificare l’errore di
Tzetze potrebbe valere l’ipotesi di Webster, secondo cui il grammatico usava una
raccolta di hypotheseis in cui la sequenza delle tragedie obbediva a criteri contenuti-
stici (dalle hypotheseis a noi note delle due versioni, sembra infatti che fosse il Frisso
primo a presentare la conclusione mitica della vicenda): Webster 1967, p. 131.
99
Wilamowitz 1875, p. 158.
100
Così Nauck2 (p. 627): «falsum esse quod de alterius Phrixi initio perhibet Tzet-
zes, recte iudicat Wilamowitz-Moellendorff: nullo enim modo fieri potuit ut fr. 821
initium esset tragoediae».
54 Euripide in Giovanni Malala
due papiri (P. Oxy. 2455, frr. 14 e 16; 17: II sec. d.C.; P. Oxy. 3652: III
d.C. = [76] ii a K.),101 contenenti le hypotheseis delle tragedie euripidee:
oltre a valere a conferma dell’esistenza di due drammi, i riassunti hanno
dimostrato che effettivamente il fr. 819 K. era l’incipit del Frisso secondo
e il fr. 818c K. quello del Frisso primo, come sosteneva lo scolio alle Rane
aristofanee (contro Tzetze).102
Il Frisso primo inizia con lo sfogo di Atamante, che piange le proprie
disgrazie familiari e la pericolosa gelosia di Ino verso i figli di primo letto
(Frisso ed Elle), e presenta un tono patetico e uno stile metaforico così
marcati da generare le perplessità di Wilamowitz e di Nauck.103 Diverso
è il tono del prologo del Frisso secondo (819 K.), in cui Ino in modo pa-
cato rievoca le vicissitudini del padre Cadmo, costretto a lasciare Sidone
per cercare, insieme ai fratelli, la sorella Europa rapita da Zeus. Il passo,
fittamente disseminato di nomi geografici (Sidwvnion… a[stu, v. 1; Qh-
baivan cqovna, v. 2; Dirkai`on… pevdon, v. 4; pediva Foinivkh", v. 5; Kili-
kiva, v. 7), termina con il riferimento alla divisione delle terre (e alla con-
seguente eponimia) da parte dei figli di Agenore:104
Sidwvniovn pot∆ a[stu Kavdmo" ejklipwvn,
∆Aghvnoro" pai`", h\lqe Qhbaivan cqovna
Foi`nix pefukwv", ejk d∆ ajmeivbeitai gevno"
ÔEllhnikovn, Dirkai``on oijkhvsa" pevdon:
h/| d∆ h\lq∆ ajnavgkh/ pediva Foinivkh" lipwvn
levgoim∆ a[n. h\san trei`" ∆Aghvnoro" kovroi:
Kivlix, ajf∆ ou| kai; Kilikiva kiklhvsketai,
Foi``nivx ãq∆Ã, o{qen per tou[nom∆ hJ cwvra fevrei,
kai; Qavso"
101
Per una descrizione accurata di P. Oxy. 2455 vd. ora van Rossum-Steenbeek
1998, pp. 20 sg.; per il Phrixus II, ibid. p. 224.
102
Questi gli incipit: Frisso primo, 818c K., eij me;n tovd∆ h\mar prw`ton h\n kakoumevnw/;
Frisso secondo, 819 K., Sidwvniovn pot∆ a[stu Kavdmo" ejklipwvn.
103
Cfr. 818c, 2 K. (kai; mh; makra;n dh; dia; povnwn ejnaustovloun, «e se non avessi da
tempo navigato su un mare di sofferenze»), cui si contrappone l’immagine del pule-
dro appena domato, che ancora si dibatte riottoso (vv. 3-4).
104
Il prologo è tràdito dallo schol. Aristoph. Ran. 1225-1226a (vv. 1-2), da Tzetz. Ad
Aristoph. Ran. 1225 (IV, 3, pp. 1047 sgg. Koster) (vv. 1-6), e dallo schol. Eur. Phoe. 6
(vv. 6-9).
105
La genealogia di Agenore è molto complessa (Dümmler 1893): un riferimento al-
I drammi “perduti” 55
l’isola di Taso come «colonia fenicia» ricorre in Hdt. II 44, in cui viene descritto il
tempio di Eracle fondato dai Fenici, giunti nell’isola mentre cercavano Europa (aj-
pikovmhn de; kai; ej" Qavson, ejn th`/ eu|ron iJro;n ÔHraklevo" uJpo; Foinivkwn iJdrumevnon,
oi} kat∆ Eujrwvph" zhvthsin ejkplwvsante" Qavson e[ktisan): vd. Wiedemann 1890, pp.
210 sg. È interessante che anche Malala, nel cap. immediatamente successivo (23
Th.), parli di Eracle Tirio, la diffusione del cui culto era miticamente legata alle pe-
regrinazioni dei figli di Agenore. Sempre Erodoto attribuisce a Taso l’eponimia del-
l’isola (VI 47 [sc. ta; mevtalla] ta; oiJ Foivnike" ajneu`ron oiJ meta; Qavsou ktivsante"
th;n nh``son tauvthn, h{ti" nu``n ejpi; tou`` Qavsou touvtou tou`` Foivniko" to; ou[noma e[sce):
l’espressione tou`` Qavsou touvtou tou`` Foivniko" può essere intesa come «Taso il Feni-
cio» o «Taso figlio di Fenice» (per la prima lettura vd. ora McQueen 2000, pp. 125
sg.). Cfr. anche Paus. V 25, 12; [Apoll.] Bibl. III 1, 1.
106
Schneidewin 1848, p. 534 sg. Vd. da ultimo Diggle 1988, p. 165; fr. 2 van Looy
2002b; Kannicht conserva Qavso" (819, 9 K.).
107
Vd. il commento allo scolio euripideo di Mastronarde 1994, pp. 218 sg.
108
Il legame tra Agenore e Siro è attestato solo in fonti tarde (Eustath. In Dion. Pe-
rieg. 899). La sua figura evanescente è meglio precisata solo da Malala, che gli attri-
buisce l’invenzione dell’aritmetica e l’insegnamento della dottrina della metempsi-
cosi, wJ" Klhvmio" oJ sofwvtato" sunegravyato: 25, 16-20 Th.: vd. Eitrem 1932.
56 Euripide in Giovanni Malala
109
Il racconto di [Apollodoro] riguarda la genealogia di Agenore, e fa riferimento
sia al ratto della figlia Europa da parte di Zeus trasformato in toro (tau`ro" ceirohv-
qh" genovmeno") sia alla spartizione delle terre tra i figli di Agenore: in primis Fenice
e Cilice, che danno effettivamente il loro nome alla Fenicia e alla Cilicia; vengono
nominati anche Cadmo e la madre Telefassa senza relazione con l’eponimia; quindi
viene citato Taso, che dà il nome all’isola omonima; si può notare una certa conso-
nanza con i versi del prologo del Frisso secondo, in cui dopo Fenice e Cilice viene
nominato appunto Taso. Cfr. anche Diod. Bibl. IV 2, 1; schol. Aesch. Th. 486 a-c.
110
Van Looy 2002b, pp. 353 sgg.
111
Acrisio, re di Argo, voleva in tal modo impedire alla figlia di avere un figlio che
secondo un oracolo lo avrebbe ucciso: vd. [Apoll.] Bibl. II 4, 1.
I drammi “perduti” 57
112
Utile anche il confronto con le imprese di Perseo narrate da Nonno (D. XVIII
291 sgg.; XXV 31 sgg.): Gigli 1981. Per le particolarità “antiche” della versione ma-
laliana vd. supra, p. 38 n. 40.
113
Questo cronista è citato solo da Malala con grafie differenti (Bovttio", Bwvttio",
Bouvttio"): Th., appar. ad loc.; Jeffreys 1990, p. 174.
114
Cfr. Hörling 1980, pp. 85-86. Il motivo è già presente in Hor. Carm. III 16, 7 sgg.
(«… fore enim tutum iter et patens / converso in pretium deo»); cfr. anche Myth.
Vat. III 3, 5. L’interpretazione evemeristica presente anche in Luciano (Gall. 13) di-
pende probabilmente dalla rilettura del mito di Danae operata da Menippo di Ga-
dara: cfr. Rein 1926, p. 116. Va notato che anche in alcuni frammenti della Danae
58 Euripide in Giovanni Malala
Perseo e sul rapporto preferenziale che lo lega a Zeus, che consentirà al-
l’eroe di godere di eccezionali prerogative; questo segmento del brano
malaliano presenta un’espressione (Perseva, to;n proeirhmevnon) che se-
gnala di consueto in Malala il ritorno alla fonte precedente,115 ed è dun-
que probabile che anche il riferimento all’«alato Perseo» dipenda da Eu-
ripide, con cui il cronista aveva iniziato la sua narrazione. L’epiteto
pterwtov" è glossato con perivgorgo", che cela un’allusione alle numerose
imprese che Perseo compirà grazie alla testa di Medusa, imprese che ven-
gono profetizzate al giovane dallo stesso Zeus (nika/`" pavnta" tou;" pole-
mivou" ejx aujtou`` ktl., 25, 38-26, 41 Th.; vd. infra, pp. 60 sgg.).
La tragedia euripidea fonte di Malala è sicuramente la Danae, in cui il
tragediografo trattava solo le fasi iniziali della vicenda;116 della tragedia,
insieme a un numero limitato di frammenti tràditi per via indiretta, il
cod. P, ff. 147v-148r, conserva l’hypothesis, l’index personarum e il prolo-
go spurio (fr. [1132 K.]).117 Non è certo che tutta questa sezione sia ope-
ra della stessa mano: se il prologo si può definire con buona certezza un
falso di epoca protobizantina,118 l’hypothesis presenta delle incongruenze
euripidea (324-325 K.) ricorre la riflessione sull’oro come grande tentazione dell’u-
manità, e ciò sembra implicare che già in Euripide il mito tradizionale venisse sotto-
posto a una scettica razionalizzazione.
115
Sull’uso di oJ proeirhmevno" al posto del pronome dimostrativo nelle hypotheseis
vd. ora van Rossum-Steenbeek 1998, p. 9 e n. 29.
116
Secondo la testimonianza di Polluce (IV 111), il coro era costituito da donne. I
frr. sono tràditi per lo più da Stobeo e dunque poco aiutano a ricostruire la partico-
lare maniera euripidea di trattare il mito: vd. ora van Looy 2000b, pp. 55 sgg.; sulla
testimonianza di Malala vd. anche Aélion 1986, pp. 153 sg.
117
In P, ff. 147r-148r, si susseguono: la fine dell’Iph. Aul. (1578-1629); l’hypothesis
della Danae (f. 147v, col. I 6 = 18 righe); personarum index; fr. spurio dell’incipit del-
la Danae (1-65: [1132] K.); nel cod. L (f. 154r) è presente l’explicit dell’Iph. Aul.
(scritto dalla stessa mano), mentre in P tutta questa sezione (explicit Iph. Aul., hy-
poth., dramatis personae, prologo della Danae) è scritta da un’altra mano: secondo
Turyn (1965, p. 127) il rubricatore va identificato con Giovanni Catraris, che inter-
venne anche sul ms. di Eschilo G (Marc. gr. 616), scritto intorno al 1320-1325 (così
anche Zuntz 1965, pp. 139 e 289; Turyn 1957, pp. 275 e 259 sg. n. 244; Irigoin 1974,
pp. 206 sgg.). La paternità del frammento in precedenza era stata attribuita da
Wünsch (1896, pp. 145-147) a Marco Musuro; tuttavia l’analisi metrica dimostra, se-
condo West (1981, pp. 73 sgg.), che sia l’explicit spurio dell’Iph. Aul. sia il frammen-
to della Danae sono opera di uno studioso vissuto tra V e VI sec. d.C. (cfr. anche Wil-
son 1983, p. 383). Per traduzione e commento vd. ora Euripide 2003, pp. 124-126.
118
I due brani poetici, sicuramente spurii (Iph. Aul. 1578-1629; Danae, fr. [1132]
K.), sono stati attribuiti con buone argomentazioni da West (1981, p. 76) a un dotto
protobizantino, probabilmente Eugenio Grammatico, autore di studi sulla colome-
I drammi “perduti” 59
tria dei tragici e di una monografia metrica. Su questa figura vd. Reynolds-Wilson
19873, p. 52. Secondo West è probabile che il manoscritto integrato dal dotto proto-
bizantino (o un’antica copia derivata da questo) sia rimasto nascosto per secoli in
qualche biblioteca minore di Costantinopoli e non venisse scoperto fino al XII sec.
Teodoro Prodromo (XII sec.) imita apparentemente la Danae (Rodante e Dosiclea II
70: cfr. [1132], v. 24 K.): sulle sue conoscenze dei testi tragici vd. ora Magnelli 2003.
119
Luppe 1991a; Luppe 1993. Anche West non esclude che l’hypothesis sia autenti-
ca (1981, p. 78 n. 49). Al contrario, secondo Kannicht 1992 le affinità tra hyp. ll. 11-
13 e Luc. Dial. mar. 12, 1, le anomalie dello stile rispetto alla dizione tradizionale e
infine la stessa posizione occupata dall’hypothesis nel codice (tra due “falsi”) dimo-
strerebbero che si tratta di un’imitazione tarda. Che l’hypothesis e il prologo fossero
opera di uno stesso falsario, che attingeva al testo lucianeo, era già la tesi di Zieliński
(1925, pp. 297 sgg.) e di Rein (1926, pp. 124 sg.). Rein dà molta importanza alle te-
stimonianze di Luciano che in alcuni suoi dialoghi fa riferimento al mito di Danae
(cfr. Dial. deor. 5, 2; Timon 41; Somn. 13; etc.), perché ciò varrebbe a conferma della
conoscenza del testo tragico: sugli eccessi interpretativi di Rein vd. Kannicht 1992,
p. 34 n. 5; van Looy 2000b, pp. 59 sg. Vd. anche Schmid 1940, p. 595 e n. 9.
60 Euripide in Giovanni Malala
120
Luppe 1996, pp. 219-221. Sull’importanza della testimonianza di Malala vd. Rein
1926, pp. 109-111.
121
Se è vero che gorgov" nel greco tardo significa «veloce» (vd. già Hesych. g 848
gorgov": eujkivnhto", tacuv"; cfr. Chantraine, DELG, s.v.), tuttavia in questo caso periv-
gorgo", in quanto attributo di Perseo, conserva un più forte legame con il suo eti-
mo, il nome del mostro (Gorgwv) da cui il guerriero mutuava la terribile forza dello
sguardo e per estensione il furore bellico (vd. Hom. Il. VIII 348 sg. ”Ektwr d∆ ajmfi-
peristrwvfa kallivtrica" i{ppou" / Gorgou`" o[mmat∆ e[cwn hjde; brotoloigou` “Arho").
Euripide usa l’epiteto gorgov" per indicare la forza del guerriero (gorgo;" oJplivth":
Andr. 458, 1123) ma anche il suo sguardo (Phoe. 145-149; Su. 322; vd. anche Aesch.
Th. 537 gorgo;n d∆ o[mm∆ e[cwn). Sull’etimologia di gorgov" vd. Leumann 1950, s.v.;
Frisk 1960-1970, s.v. Cfr. anche Collard 1975, p. 192.
122
Malala, come di consueto (cfr. Zeus trasformatosi in satiro per effetto della me-
tempsicosi: Chron. 32, 40 sgg. Th.), interpreta le prerogative dell’eroe pagano come
il risultato di un’iniziazione alla magia ricevuta dallo stesso padre: oJ touvtou path;r
Pi`ko" oJ kai; Zeu;" ejdivdaxen aujto;n pravttein kai; telei``n th;n magganeivan tou`` muse-
I drammi “perduti” 61
seo e del suo terribile potere sugli avversari appartiene alla vulgata miti-
ca,123 ma va notato che esso compare nello stessa associazione (epiteto e
profezia) anche nel prologo (spurio) della Danae ([1132] K.). In questo
caso è Hermes a ricordare la profezia ricevuta da Acrisio a Pito: il dio
Apollo gli aveva annunciato la nascita di un nipote, presentandolo come
«un leone alato» (uJpovpteron levonta) che avrebbe regnato sulla terra ar-
giva e su molte altre (vv. 13-17):124
«Ka\/tav pw" keivnh pote;
eujnh;n krufaivan gnou`sa kai; mh; gnou`sa dh;
uJpovpteron levonta tevxetai patriv,125
o}" th``sdev t∆ a[rxei qajtevra" pollh``" cqonov"».
Taiau``t∆ ajkouvsa" Loxivou manteuvmata
gavmwn ajpeivceq∆: ktl.
rou` skuvfou", didavxa" aujto;n pavnta ta; peri; aujtou`` mustika; kai; dussebh`` planhvma-
ta (25, 35-38 Th.). Vd. Reinert 1985, p. 35 n. 35; Jeffreys et alii 1986, p. 17; cfr. an-
che Hörling 1980, pp. 85 sgg.
123
Sulle prerogative di Perseo (dai sandali alati, invisibile, etc.) vd. [Hes.] Sc. 216-
227; Pind. Pyth. 10, 31 sgg. e 12, 6 sgg.; Pher. FGrHist 3 F 10 = 43 Dolcetti = schol.
Ap. Rh. IV 1091; [Apoll.], Bibl. II 4, 2; etc.
124
Anche il paragone tra il guerriero e il leone è omerico (Il. V 136 sgg.; 161; 299;
476; etc.) e torna nei tragici (vd. per Euripide, Or. 1401-1402; HF 1210 sgg.; etc.):
per una recente analisi della similitudine si rimanda a Curti 2003, pp. 12-25 (con bi-
bliografia); vd. anche Battistella 2005. Il leone è legato alle prerogative regali: cfr.
e.g. il sogno di Agariste di generare un leone ~ Pericle in Hdt. VI 131: vd. il com-
mento di Nenci 1998, pp. 310-311. Ma è in Eracle in particolare che le due metafo-
re del leone e della Gorgone si congiungono per rappresentare la terribile ed esiziale
ferocia dell’eroe: già in Omero Eracle è qumolevwn (Il. V 639), e l’espressione è ri-
presa da Euripide a indicare nelle parole di Anfitrione il lato autodistruttivo di tale
bivh (HF 1210 sg. ijw; pai`, katav-/sceqe levonto" ajgrivou qumovn, ktl.). Se in Hom. Od.
VI 132 sg. gli occhi del leone ~ Odisseo sono «fiammeggianti» (ejn dev oiJ o[sse / daiv-
etai), nell’HF lo sguardo di Eracle è definito più volte «di Gorgone» (131 sg.; 868;
990). Per il rapporto tra lo sguardo e il leone vd. Eur. Syleus fr. 689 K., con le osser-
vazioni di Wilamowitz 1909, pp. 245 e 397. L’associazione delle due metafore è in
Dio Chr. I 68: oJ ∆Alevxandro" gorgo;n ejmblevya" w{sper levwn (su Alessandro ~ leone
vd. anche Plut. Alex. 4-5).
125
P riporta la lezione uJpovpetron corretta da Bentley in uJpovpteron, secondo quanto
richiedono il metro e il senso: Bentley [1962], pp. 260-261.
62 Euripide in Giovanni Malala
Cretenses (Chron. 61, 45-62, 58 = Eur. [41] ii b K.; Chron. 280, 70-
74 Th. = Eur. *471a K.)
Da ultimo, vanno prese in considerazione le citazioni dei Cretesi, presen-
ti in due diversi passi della Chronographia;127 se la seconda si può inten-
dere anche come una citazione “a memoria”, la prima risulta molto più
interessante perché dimostra la conoscenza da parte del cronista non so-
lo della trama della tragedia, ma anche di particolari mitici che possono
derivare soltanto dal Mißverständnis di versi appartenenti alla nota rhesis
di Pasifae, tràdita dalla Pergamena Berolinensis (13217 = 472e K.).
Chron. 61, 45-62, 58 Th. = Eur. [41] ii b K.
ejn de; toi`" proeirhmevnoi" ajnwtevrw crovnoi" th`" Krhvth" ejbasivleusen prw`-
to" oJ Mivnwo", oJ uiJo;" th`" Eujrwvph": o{sti" kai; ejqalassokravtei polemhvsa"
∆Aqhnaivoi" kai; novmou" ejtivqh: peri; ou|, fhsiv, Plavtwn oJ sofwvtato" ejn toi`"
peri; novmwn uJpomnhvmasin ejmnhmovneusen. ejn oi|" crovnoi" h\san oJ Daivdalo"
kai; oJ “Ikaro", qrulouvmenoi e{neken th`" Pasifavh", gunaiko;" tou` Mivnwo"
basilevw" kai; tou` Tauvrou tou` notarivou aujth`": ejx ou| e[teken moiceuqei`sa
uiJo;n to;n klhqevnta Minwvtauron, mesavsanto" th/` moiceiva/ th`" porneiva" tou`
Daidavlou kai; tou` ∆Ikavrou. oJ de; Mivnwo" basileu;" th;n Pasifavhn ajpokleiv-
sa" ejn ãtw/`Ã kouboukleivw/ meta; duvo doulivdwn parei`cen aujth/` trofhvn, kai;
ei[asen aujth;n ejkei`, mhkevti eJwrakw;" aujthvn. kai; ejkeivnh qlibomevnh, wJ" lu-
qei`sa th`" basilikh`" ajxiva", novsw/ blhqei`sa ejteleuvta. oJ de; Daivdalo" kai; oJ
“Ikaro" ejfoneuvqhsan: oJ me;n “Ikaro" feuvgwn th`" froura``", wJ" plevei, ejpontiv-
sqh, oJ de; Daivdalo" ejsfavgh. peri; de; th``" Pasifavh" ejxevqeto dra``ma oJ Eujri-
pivdh" oJ poihthv".
126
A un responso dell’oracolo presente nella Danae (forse nel prologo) fa allusione
Oro (Orth. 282v, 17 = fr. 330a K.) crhsmw/diva Eujripivdh" Danavh/. Cfr. van Looy
2000b, p. 58.
127
Sulla citazione euripidea presente in Chron. 23, 51-65 Th., riferita da alcuni ai
Cretesi ma che più probabilmente appartiene al Frisso, vd. supra, pp. 52 sg. e nn. 94-
96.
I drammi “perduti” 63
Nel descrivere le vicende più note del regno di Minosse, Malala si soffer-
ma sullo scandaloso adulterio di Pasifae, spogliandolo com’è suo uso di
ogni tratto vergognoso e sostituendo all’imbarazzante zoorastia una più
banale moiceiva con un funzionario reale (Tau'ro" oJ notavrio").128 Il croni-
sta ne descrive le conseguenze tragiche che coinvolsero non solo Pasifae
ma anche Dedalo e Icaro, che erano a conoscenza e forse complici del
tradimento. La regina venne rinchiusa in una stanza del palazzo insieme
alle sue ancelle e lì trovò la morte; Icaro tentò la fuga per mare ma an-
negò, mentre il padre venne sgozzato. Il brano si conclude con il riferi-
mento esplicito a Euripide, che compose una tragedia sul personaggio di
Pasifae: peri; de; th``" Pasifavh" ejxevqeto dra``ma oJ Eujripivdh" oJ poihthv".129
Il dramma cui allude il cronista era dunque tutto incentrato sulla figura
di Pasifae e sulle conseguenze della sua più che illecita relazione, e già
Bentley lo identificò con i Cretesi, in cui si dava ampio spazio anche al
ruolo di Dedalo e al destino tragico di Icaro.130 L’ambientazione cretese
offriva a Euripide l’occasione di connotare in modo misterico il coro for-
mato da muvstai e di introdurre tematiche religiose forse di carattere sin-
cretistico.131
128
La tradizione risale a Filocoro (FGrHist 328 F 17a) e a Demone (FGrHist 327 F
5), citati contestualmente da Plut. Thes. 19: Tauro sarebbe uno strathgov" di Minos-
se che ne insidiò il potere e la moglie Pasifae. Tale versione fu poi ripresa da Euse-
bio (Chron. 785 = FGrHist 328 F 17b), che probabilmente è la fonte di Malala: Can-
tarella 1964, p. 45; van Looy 2000a, pp. 306 sg. Su notavrio", prestito latino, vd. Fe-
stugière 1978, p. 239.
129
La testimonianza di Malala si affianca a quella di [Apollodoro] (Bibl. III 1, 4) e
di Igino (Fab. 40), che riportano, con alcune varianti anche significative, la storia di
Pasifae e Minosse, facendo molto probabilmente riferimento alla versione euripi-
dea. Igino non pare dipendere in toto dai Cretesi euripidei: secondo la sua versione
Pasifae si era macchiata lei stessa di empietà contro Afrodite, che le ispirò un amor
infandus per il toro; Minosse punì Dedalo per aver ideato la vacca lignea e lo relegò
in carcere; Dedalo fu liberato dalla stessa Pasifae (che dunque restava o tornava li-
bera): cfr. anche Diod. Bibl. IV 77, 5; Myth. Vat. I 43: vd. ora Eur. [41], pp. 502-504
K. Per una ricostruzione della vicenda mitica vd. van Looy 2000a, pp. 303 sgg.
130
Bentley [1962], pp. 269 sgg. La tradizione indiretta è molto scarsa e solo Porfirio
(De abstin. IV 19, 2) cita una cospicua sezione della parodos (472 K. = 79 A. = 2 van
Looy 2000a = 1 Cozzoli 2001), anche se il testo risulta corrotto in vari punti: vd. ora
Cozzoli 2001, pp. 46 sgg.
131
Il coro, costituito da muvstai di Zeus Ideo, che si dichiarano pastori di Zagreo
64 Euripide in Giovanni Malala
Rispetto alle versioni tràdite dei mitografi, Malala è il testimone più in-
teressante: è vero che il cronista, nel momento in cui depura la storia di
ogni traccia di mostruosità e trasforma il toro in Tau'ro", segue una tradi-
zione antica ma sicuramente estranea alla versione euripidea. Ma la pru-
derie malaliana è nota e non deve a mio avviso inficiare il valore comples-
sivo della testimonianza, anche perché si è più volte verificato come la
contestuale presenza di letture “moderne” (interpretatio christiana, etc.)
ed elementi più antichi sia una costante nella prassi redazionale della
Chronographia. In effetti, nel riferire il conflitto tra l’adultera Pasifae e il
vendicativo Minosse, il cronista mostra di conoscere dei particolari che
risalgono verosimilmente al dramma euripideo (la chiusura della donna e
le sue ancelle ejn ãtw/`Ã kouboukleivw/, la prigionia di Dedalo e Icaro, la fu-
ga finita tragicamente): fonte di tali particolari poteva ben essere l’hy-
pothesis della tragedia, come ritengono per lo più i commentatori moder-
ni,132 ma il confronto con il testo tragico credo possa suggerire un diver-
so tramite, non così generico.
Il ruolo centrale svolto dalla figura di Pasifae nei Cretesi (peri; de; th``"
Pasifavh" ejxevqeto dra``ma oJ Eujripivdh" oJ poihthv": 62, 57 sg. Th.) trova
una conferma nei due testimoni diretti del testo euripideo, che hanno ri-
portato alla luce una serrata sticomitia tra due personaggi, in cui si dibat-
te sul singolare parto appena avvenuto (P. Oxy. 2461 = 472b-d K.),133 e
una lunga rhesis di Pasifae, incastonata all’interno di un episodio di cui si
conservano anche gli interventi di Minosse e del coro (Perg. Berol. 13217
= 472e K.).134 In particolare la pergamena berlinese, databile tra il I e il II
(472, 10-11 K.), presenta delle connotazioni religiose non chiare, forse volutamente
sincretistiche. È discusso il rapporto tra Minosse e il coro: in particolare, le motiva-
zioni del mancato sacrificio del toro a Poseidone da parte del re cretese, che innesca
la vendetta del dio, sono state ricollegate proprio ai suoi rapporti con il culto di Za-
greo, che vietava sacrifici cruenti (vv. 18 sgg.): vd. ora sull’argomento (con biblio-
grafia precedente) Casadio 1990.
132
Cfr. Carrara 1987, p. 22 n. 12; Cozzoli 2001, pp. 12 sg.
133
Il papiro fu pubblicato nel 1962 da Turner (1962, pp. 100 sgg.) ed è stato datato
alla fine del II sec. d.C.; presenta cinque frammenti dalla discussa collocazione; è
difficile identificare con certezza gli interlocutori della sticomitia: secondo Lloyd-
Jones (1963, pp. 448 sg.) e Austin (1968, fr. 81) Minosse discute con il corifeo, men-
tre Cantarella (1964, pp. 56 sgg.) e van Looy (2000a, p. 312) pensano alla nutrice e a
Minosse; da ultimo la Cozzoli, anche in base al riesame del papiro, esclude la pre-
senza di Minosse tra gli interlocutori (2001, pp. 43 sgg.).
134
La pergamena era andata dispersa dopo la seconda Guerra Mondiale, ma fu ri-
trovata nel 1992 nel Museo Nazionale di Varsavia ad opera di G. Poethke: Cozzoli
2001, pp. 42-43.
I drammi “perduti” 65
sec. d.C.,135 riporta una scena decisiva nell’azione drammatica (forse par-
te di un agone)136 che presenta interessanti punti di contatto con il testo
malaliano: dopo i vv. 1-3, probabilmente lirici, da attribuire al coro di
profeti di Zeus Ideo, in cui si consiglia Minosse di celare l’orrendo
parto,137 segue una lunga rhesis di Pasifae (vv. 4-41) in cui l’eroina si giu-
stifica e protesta la propria completa innocenza, facendo ricorso a uno
stile argomentativo di ascendenza sofistica. Alla rhesis fanno seguito un
breve intervento del coro (vv. 42-43), i vv. 44-49 che vanno attribuiti sen-
za dubbio a Minosse, in cui il re cretese emette la sua sentenza di con-
danna per Pasifae e la sua complice (th;n xunergovn, v. 47), e infine un ul-
teriore scambio di battute tra il coro (vv. 50-51) e Minosse (v. 52).138
Esistono delle coincidenze tra il testo malaliano e i vv. tràditi dalla per-
gamena berlinese che vanno a mio avviso sottolineate. In primo luogo, il
riferimento in Malala alla punizione di Minosse ricalca le parole che il re
stesso pronuncia dopo la lunga e abile rhesis di Pasifae:
Chron. 62, 52-54 Th.
oJ de; Mivnwo" basileu;" th;n Pasifavhn ajpokleivsa" ejn ãtw/`Ã kouboukleivw/ me-
ta; duvo doulivdwn parei`cen aujth/` trofhvn, kai; ei[asen aujth;n ejkei`, mhkevti eJw-
rakw;" aujthvn
135
Sul problema della datazione vd. Cozzoli 2001, pp. 41-42.
136
Così van Looy 2000a, p. 313; Cozzoli 2001, p. 102.
137
C. Collard attribuisce il v. 1 (trim. ia.) a Minosse e i vv. 2-3 al coro: 1995, p. 68
(così anche van Looy 2000a, p. 313); Cantarella (1964, F 4), Austin (1968, fr. 82),
Cozzoli (2001, p. 102) e Kannicht (472e K.) attribuiscono i vv. 1-3 al coro.
138
Per un’analisi accurata del frammento vd. Cantarella 1964, pp. 69 sgg.; Cozzoli
2001, pp. 102 sgg.
139
Secondo Euripide, Minosse imprigiona Pasifae e la sua xunergov", probabilmente
66 Euripide in Giovanni Malala
Ricorrono qui due temi significativi: la morte per novso" e la perdita della
basilikh; ajxiva: il primo ha un preciso e reiterato riscontro nella rhesis di
Pasifae (12, 20, 25?, 35)140 e si combina con l’altro soprattutto ai vv. 27
sgg.:
ka[peit∆ ajutei`" kai; su; martuvrh/ qeouv"
aujto;" tavd∆ e[rxa" kai; kataiscuvna" ejmev:
kajgw; me;n hJ tekou`sa koujde;n aijtiva
e[kruya plhgh;n daivmono" qehvlaton,
su; d∆ – eujpreph` ga;r kajpideivxasqai kalav –
th`" sh`" gunaikov", w\ kavkist∆ ajndrw`n, fronw`n,
wJ" ouj meqevxwn pa`si khruvssei" tavde.
suv toiv m∆ ajpovllu", sh; ga;r hJ ∆x[am]artiva,
ejk sou` nosou`men.
un’ancella o la nutrice, perché aveva svolto un ruolo nel favorire l’unione con il to-
ro. Per i raffronti iconografici, vd. ora Cozzoli 2001, pp. 112 sg.
140
Sulla passione di Pasifae per il toro come novso" cfr. Bacch. fr. 26 M.: vd. l’analisi
di Cantarella 1964, pp. 79 sg.
141
Minosse, per ottenere il riconoscimento divino della sua talassocrazia, aveva chie-
I drammi “perduti” 67
sto a Poseidone di far emergere dal mare un toro che gli avrebbe poi sacrificato; do-
po essere stato esaudito dal dio, mancò alla sua promessa e Poseidone si vendicò
ispirando la zoorastria in Pasifae ([Apoll.] Bibl. III 1, 3-4; Diod. Bibl. IV 77, 5; etc.).
Secondo Diodoro (IV 60, 3-4), Minosse talassocrate era nipote del primo Minosse,
figlio di Zeus.
142
La iunctura si è conservata in Tommaso Magistro, Ecl. 178, 3-4 qehvlaton: to;
qeovqen ejlqovn: levgetai de; ajei; ejpi; kakou`, oi|on qehvlato" plhghv.
143
Cozzoli 2001, pp. 39 sg., 108 sg. Contro l’influsso della sofistica nell’argomenta-
zione di Pasifae è invece Cantarella 1964, pp. 78 sgg.; 129 sgg.
68 Euripide in Giovanni Malala
144
Sulla morte di Dedalo non si hanno ulteriori notizie se si eccettua il riferimento
di Alessandro Poliistore (apud Steph. Byz. Ethn. 216, s.v. Daivdala), secondo cui fu
ucciso in Licia da un serpente (kai; uJpo; cersuvdrou dhcqevnta teleuth`sai kai; ejkei`
tafh`nai kai; ktisqh`nai povlin fhsi;n ∆Alevxandro" ejn Lukiakoi`"): cfr. Robert 1901,
col. 2002. Secondo la vulgata, Dedalo riusciva a fuggire da Creta e giungeva in Sici-
lia dove era accolto con favore da Cocalo.
145
Garzya avanza l’ipotesi che si fossero conservate parti «assez étendues» dei Cre-
tesi in epoca bizantina, sulla base della dettagliata descrizione della passione di Pasi-
fae presente in Niceforo Basilace, retore del XII sec. (To; kata; Pasifavhn =
Progymn. 12 Pignani); nel brano sono ravvisabili punti di contatto con Ov. Ars am. I
289 sgg., che ha come modello Euripide ma che non poteva esser noto a Niceforo.
Di qui l’ipotesi di una conoscenza diretta da parte del retore di alcuni brani dei Cre-
tesi: Garzya 1974.
146
Kannicht attribuisce il frammento con qualche riserva ai Cretesi; così anche Coz-
zoli 2001 (fr. °10); lo inserisce tra i testimonia Cantarella 1964 (T 2).
147
Così anche Nauck (472 N.2, appar. p. 506 : «huc respicit Ioh. Malalas p. 359, 17:
I drammi “perduti” 69
ejn de; th`/ aujtou` [sc. ÔUpativa"] basileiva/ e[paqen uJpo; qeomhniva" hJ Krhvth
nh`so" megavlh (Sl), h{ti" ei\cen ejn mevsw/ qalavssh" uJparcouvsa" povlei" eJka-
tovn, kaqw;" peri; th`" aujth`" nhvsou ejxevqeto oJ sofwvtato" Eujripivdh".
hJ Krhvth nh`so" … Eujripivdh"»); Austin 1968, fr. 79; Van Looy 2000a, p. 323 n. 41;
fr. 1 Cozzoli 2001.
148
Cozzoli 2001, pp. 116-117, sottolinea come nella tradizione «si parli di ‘Creta
dalle cento città’ su cui regnava Minosse e non di ‘cento città in mezzo al mare sog-
gette a Creta’. Evidentemente Malala o la sua fonte hanno frainteso il verso euripi-
deo».
149
Carrara 1987, p. 24.
150
Così anche a p. 23 n. 20: «The problem is “how far” John utilized a direct rea-
ding for his compilation: the answer is, in my opinion, that he did not».
151
Cfr. le glosse esichiane nh`soi (n 531 L. tovpoi ejn mevsw/ qalavvssh") e eJkatovnpolin
(e 1281 L. eJkato;n povlei" e[cousan), che richiamano al contempo il testo euripideo
e quello malaliano: vd. Cozzoli 2001, p. 117.
Addendum
1
Vd. Stillwell 1938 e 1941; Levi 1947; Campbell 1988; Kondoleon 2000; Cimok
2000.
2
È questa la teoria di K. Weitzmann, che ha sostenuto il carattere euripideo dei sog-
getti di molti mosaici antiocheni: Weitzmann 1941 e 1949, pp. 202 sg. Secondo lo
studioso, inoltre, la somiglianza tra lo schema compositivo ravvisabile in alcune mi-
niature bizantine di codd. del X-XII sec. d.C. e nei mosaici a soggetto “euripideo”
dimostra che fonte di entrambi erano le illustrazioni dei papiri e codici euripidei,
che come una sorta di “narrazione ciclica” accompagnavano il testo. Tale ipotesi
porta con sé importanti conseguenze, perché, quando l’illustrazione riguarda dram-
mi “perduti” (cfr. Eur. Aegeus, Ino, Peliades nella “Jealousy Miniature” del Marc. gr.
479 contenente i Cynegetica di Oppiano; Stheneboea nel cofanetto di Veroli), si deve
supporre che fino al 1204 d.C. essi fossero ancora presenti almeno nella Biblioteca
di Costantinopoli: Weitzmann 1949, pp. 160 sgg. e 195 sgg. Vd. anche Weitzmann
1951, pp. 93 sgg.; 131-138; 152 sgg.
3
Così Levi 1947, p. 76 n. 54.
4
A favore dell’ipotesi dell’epitome è ora Huskinson 2002-2003, p. 143.
5
Così la Huskinson: «Great tragedies of the past may have been appreciated as
72 Le citazioni di Euripide in Giovanni Malala
tokens of a Greek literary heritage, but in Antioch […] their stories were more
likely to have been performed in recitations and pantomimes, and at private sympo-
sia rather than in public venues»: 2002-2003, p. 160.
6
Per la descrizione del pavimento musivo vd. supra, p. 36 n. 31.
7
Cfr. il mosaico di “Metioco e Partenope” (Dafne, II-III sec. d.C.); vd. anche il mo-
saico di Zeugma-Belkis (200 d.C.) con analogo soggetto: per un’analisi del rapporto
tra la raffigurazione musiva e il romanzo vd. ora Hägg-Utas 2003, pp. 57-64. Cfr. an-
che la “Casa di Ifigenia” (Seleucia, II-III sec. d.C.), con il pavimento musivo che
molto probabilmente raffigura una scena dell’Ifigenia in Aulide di Euripide (Fig. 2):
Weitzmann 1941, pp. 242-244; Huskinson 2002-2003, pp. 141 sgg.
8
Anche nell’analisi delle citazioni euripidee presenti in Malala si è constatato come
fosse probabile che, accanto alle hypotheseis dei drammi o a raccolte mitografiche, il
cronista avesse a disposizione codici con prologhi (Stenebea, Danae) o rheseis parti-
colarmente significative (cfr. la rhesis di Pasifae nei Cretesi).
Addendum 73
Fig. 5. “Casa di Dioniso e Arianna”. Seleucia, II-III sec. d.C. Terzo pan-
nello: Andromeda e Perseo.
Abbreviazioni bibliografiche
Edizioni
La Chronographia di Giovanni Malala è citata secondo il testo di I. Thurn (= Th.):
Ioannis Malalae Chronographia, Berolini et Novi Eboraci 2000, con riferimento alla
p. e alle ll.
Per i frammenti euripidei si usa l’edizione curata da R. Kannicht (= K.), Tragico-
rum Graecorum Fragmenta, 5, Euripides, I-II, Göttingen 2004 (quando si tratta di
testimonia si indica tra parentesi quadre il numero d’ordine della tragedia).
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ét. et trad. par F. Jouan-H. van Looy, Paris.
Euripide 2002 Euripide, Fragments. 3e partie. (Sthénébée-Chrysippos), texte ét.
et trad. par F. Jouan-H. van Looy, Paris.
Euripide 2003 Euripide, Fragments de drames non identifiés. 4e partie, texte ét.
et trad. par F. Jouan-H. van Looy, Paris.
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J. Irigoin et trad. par J. Duchemin et L. Bardollet, Paris.
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Abbreviazioni bibliografiche 87
CALLIAS ERATOSTHENES
PGC IV, ff. 5-13: 19 n. 26 Cat. 1, 14 Robert: 52
CEPHALIO EURIPIDES
FGrHist 93 T 1: 14 sg. n. 13; 93 T 2: 14 Andr. 458: 60 n. 121; 532: 22 n. 33;
sg. n. 13; 93 F 5: 40 774-776: 1, 17 sg.; 1123: 60 n. 121
Andromeda frr. 140, 141, 142, 143, 151
CHRISTUS PATIENS Kannicht: 39 n. 40
1430 Tuilier: 50 n. 90; 1547 sgg.: 16 n. 17 Antiope [12] iv c Kannicht: 39-44; fr.
181: 42 e n. 58; 182: 42; 210: 42 e n. 61,
CLEMENS ALEXANDRINUS 43 n. 62
Strom. V 14, 111, 2: 42 Ba. 3: 16, 44; 26: 16 n. 17; 26 sgg.: 15,
44; 28-29: 16; 1111 sgg.: 50 e nn. 89-
CRATINUS 90
PGC IV, frr. 143-157: 19 n. 26 Cretenses [41] ii b Kannicht: 62-68, 63
n. 129; fr. *471a: 52 n. 95, 63, 68-69;
DEMON 472: 63 n. 130; vv. 2 sg.: 68 e n. 147; vv.
FGrHist 327 F 5: 63 n. 128 10-11: 63 sg. n. 131; vv. 18 sgg.: 64 n.
131; 472b-d: 64 e n. 133; 472e: 62, 64 e
DICTYS CRETENSIS n. 134; vv. 1-3: 65 e n. 137; vv. 12, 20,
Dict. Lat. VI 5: 20 n. 27 25, 35: 66; vv. 27 sgg.: 66; v. 30: 67 e n.
P. Oxy. 2539: 17 n. 19 142; vv. 34-35: 67; vv. 35-37: 67, 68; vv.
P. Tebt.: 17 n. 19 46 sgg.: 65; v. 47: 65 e n. 139; v. 49: 66,
68
DIO CHRYSOSTOMOS Cycl. 21: 20 n. 28; 386: 50 n. 89; 441-
I 68: 61 n. 124 442: 43; 460 sgg.: 21 sg.; 462-463: 23;
507 sgg.: 20; 531: 20; 532 sgg.: 20; 610-
DIODORUS SICULUS 611: 22; 611: 23 e n. 35; 624: 43; 648:
IV 2, 1: 56 n. 109; IV 34: 33 n. 22; IV 20 n. 28
Indici 93
Danae [20] ii Kannicht: 56-62; frr. 324- sgg.: 31 n. 16; 145-149: 60 n. 121; 636-
325: 57 sg. n. 114; 330a: 62 n. 126; 637: 41
[1132]: 5, 58 e nn. 117-118, 60; vv.13- Phrixus I fr. 818c Kannicht: 53, 54 e n.
17: 61; v. 24: 59 n. 118 102; 818c, v. 2: 54 n. 103
El. 219: 43; 953: 43 Phrixus II fr. 819 Kannicht: 53 e n. 98,
Hec. 972: 22 n. 33 54 e n. 102; 819, 9: 55 n. 106; 820 [a]:
HF 131 sg.: 61 n. 124; 868: 61 n. 124; 52 e n. 95; 820 [b] appar.: 51-56; 52 n.
990: 61 n. 124; 1111: 22 n. 33; 1210 95
sgg.: 61 n. 124 [Rhesus] 9, 852: 50 n. 89
Hipp. 388 sgg.: 48; 477 sgg.: 48; 507 Stheneboea [61] ii a, ll. 17-19 Kannicht:
sgg.: 48 46; ll. 35 sg.: 45 n. 72; [61] ii c: 48; [61]
Hrcl. 539 sgg.: 17 sg.; 540: 1 ii d: 44-51; 47 n. 79; fr. 661: 46, 49; v. 6:
Ion 832: 43; 876: 22 n. 33 49 n. 85; vv. 24 sg.: 49 n. 86; v. 26: 49 e
Iph. Aul. 1578-1629: 58 nn. 117-118 n. 87
Iph. Taur. 69-70: 10 sg.; 69: 11; 74: 11; Suppl. 904 sgg.: 35
75: 10 sg.; 77: 11; 82-83: 10 sg.; 102- Syleus fr. 689 Kannicht: 61 n. 124
105: 10 sg.; 104-105: 11; 170 sg.: 37 n. Tro. 506 sgg.: 50 sg.; 507: 50 n. 89; 989-
34; 209 sg. 37 n. 34; 232: 37 n. 34: 238- 990: 41
239: 10-12; 241: 12; 241-242: 10-12; schol. Or. 333: 11; 1008: 41
242: 12 n. 4; 246: 10, 12; 249-251: 10, schol. Phoe. 6 : 54 n. 104; 26: 27 n. 3;
12; 249: 12; 250: 12; 251: 12; 254-255: 45: 27 n. 3; 61: 27, 28 n. 7; 636-37: 41;
10, 12; 255: 12; 261: 12; 468-469: 10; 1760: 28 n. 7
495: 10; 500: 10, 12; 501 sgg.: 12; 510:
10; 727-728: 11 sg.; 746: 12 n. 4; 791- EUSEBIUS
792: 11 sg.; 822 sgg.: 13; 822-823: 11- Chron. I 188: 2 n. 5; 56, 21 Helm: 26 n.
13; 889-890: 12 n. 4 3; 785 (= FGrHist 328 F 17b): 63 n.
Medea 922: 22 n. 33; 1169 sg.: 51; 128; Praep. Ev. II 2, 3-5: 14 n. 12; XIII
1174-1175: 22 n. 33 13, 38: 42 n. 61
Melanippide fr. 495 Kannicht: 5 n. 13
Meleager [46] iii b Kannicht: 32-39; EUSTATHIUS
517: 34 n. 27, 42 n. 57; 530- 531a: 34; In Hom. Il. II 345, 18: 42 n. 57; IV 653,
537: 35; fr. 3 van Looy: 34 nn. 23-24 5-6: 50 n. 90
Oedipus [48] ii Kannicht: 25-31; fr. In Hom. Od. I 21, 32-34: 23 n. 34; II
539a: 27 n. 6; 540-540b: 27-28; 540, vv. 224, 4-6: 23 n. 34
1-10: 28; 540a, vv. 1-14: 28, 29 n. 8; In Dion. Perieg. 899: 55 n. 108
540a, v. 2: 28 sg. n. 8; 541: 27, 28 n. 8,
30 n. 13; 543, 544, 545: 30; 545, v. 1: EXCERPTA CONSTANTINIANA
31; 545a, 546, 547, 548: 30; 550: 31 n. EV 1, 1159: 45 n. 70
16; 551: 30, 31 n. 16; 552: 30
Or. 10, 34, 43, 211, 227, 229, 232, 282, GREGORIUS CORINTHIUS
304, 314, 395, 407, 480, 792, 800, 831, Rhetores Graeci VII 1321 Waltz: 4 n.
881, 883, 1016: 11 n. 2; 333: 11; 389: 22 10, 46 n. 75
n. 33; 1008: 41; 1401-1402: 61 n. 124;
1491: 50 n. 89 HECATEUS
Phaethon fr. 772a Kannicht: 5 n. 13 FGrHist 1 F 15: 33 sg. n. 23, 38 n. 38
Phoe. 17 sgg.: 30; 44-45: 28 n. 7; 47
94 Indici
HERMESIANAX HYGINUS
Leon. fr. 7, 15 sgg.: 39 De astr. II 21: 52 n. 95
Fab. 8: 39 n. 41; 40: 63 n. 129; 57: 47 n.
HERODOTUS 78, 48; 66: 27 n. 6, 28 n. 7; 243: 48
I 10, 1: 31 n. 18; I 108: 37 n. 34; II 44:
55 n. 105; VI 47: 55 n. 105; VI 131: 61 HYMNI HOMERICI
n. 124 2, 66: 37 n. 34; 2, 187: 37 n. 34
HESIODUS HYPOTHESEIS
Th. 139 sgg.: 20 n. 28; 143: 20 n. 28; hypoth. Danae (= cod. P, f. 147v, col. I
325: 45 n. 73 6): 5, 58 e n. 117, 60
fr. 25, 12 Merkelbach-West: 33 n. 22; hypoth. Od. 16-37: 20 n. 27
43a, 88 sgg.: 47 n. 80; 182: 39 n. 42; hypoth. Stheneb. (= [61] ii a Kannicht):
280, 2: 33 n. 22 4 e n. 10, 45 n. 72, 46 e n. 75
[Sc.] 216-227: 61 n. 123 Pap. IFAO, inv. PSP 248: 4
schol. Th. 326: 27 n. 3 P. Colon. 1: 4 n. 11
P. Oxy. 2455: 46 n. 75
HESYCHIUS P. Oxy. 2455, fr. 4, col. IV, 40-42 (=
gorgov" (g 848 Latte): 60 n. 121; eJka- [48] iii Kannicht): 27 n. 6
tovnpolin (e 1281): 69 n. 151; nh`soi (n P. Oxy. 2455, frr. 14 e 16 (=[76] ii a
531): 69 n. 151; savturoi (s 257): 41 n. Kannicht): 54 e n. 101, 55
53; stevfanon ejkfevrein (s 1791): 37 P. Oxy. 3652: 54
P. Oxy. 3656: 3 n. 7
HIPPOCRATES P. Vindob. G. 29 779: 27 n. 6
Aër. 7, 23: 11
IBYCUS
HOMERUS SLG 223, 21-23: 45 n. 73
Il. II 649: 69; V 136 sgg.: 61 n. 124; V
161: 61 n. 124; V 299: 61 n. 124; V 476: IOANNES ANTIOCHENUS
61 n. 124; V 639: 61 n. 124; VI 160- fr. 16 Roberto: 26 n. 1, 31 n. 18; 24.4, 3-
177: 44; VI 168 sgg.: 45 n. 71;VI 172 4: 2 n. 5; 48.2, 17-32: 20 n. 27
sgg.: 46; VI 174 sg.: 47 e n. 77; VI 178-
180: 47; VI 192: 47 n. 80; VI 200 sgg.: IOANNES DAMASCENUS
45 n. 73; VI 201-202: 45; VIII 348 sg.: Canon. Iamb. 2, 22: 42 n. 61
60 n. 121; IX 529-605: 32 n. 19; IX
567: 32 n. 19; IX 572: 33 n. 22; XIV IOANNES LOGOTHETAS
115 sgg.: 34 n. 23; XXII 87: 37 n. 34 Comm. ad [Hermogenis] p. meq. dein.
Od. I 71: 20 n. 28; VI 132 sg.: 61 n. 447, 14-33 Rabe: 4 e n. 10, 46 e n. 75
124; IX 375 sgg.: 23; X 105 sgg.: 21; X
552 sgg.: 20 n. 27; XI 260-265: 39 n. 42 IOANNES MALALAS
schol. AB Hom. Il VI 155: 48; Il. IX Chron. 5, 39 sgg. Thurn: 41; 8 sgg.: 14
543: 35 n. 27 n. 11; 22, 46-23, 47: 51; 23, 51-65: 51-
56, 62 n. 127; 25, 16-20: 55 n. 108; 25,
HORATIUS 24-26, 41: 56-62; 25, 24-28, 25: 56; 25,
Carm. III 16, 7 sgg.: 57 n. 114 28 sg.: 59; 25, 29: 59; 25, 34 sgg.: 60;
26, 41-55: 56; 28, 13-25: 38 n. 40; 30,
Indici 95
61-63: 14; 30, 68-69: 14 n. 9; 30, 69-71: 31 sgg.: 57 n. 112; XXXI 216-217: 40
41; 31, 9-12: 14-16, 44; 31, 21-23: 15; n. 48; XXXIX 257-264: 21 n. 31; XL
32, 37: 14; 32, 38-39: 14 n. 9; 32, 40 553-557: 21 n. 31
sgg.: 60 n. 122; 32, 40-36, 28: 39-44; 36,
29-38, 6: 25-31; 38, 3-5: 1; 45, 5-6: 41 n. OLYMPIODORUS
55; 51, 79-81: 2 n. 5; 51, 83-84: 2 n. 5; In Plat. Gorg. 44, 5: 52 n. 92
59, 1-60, 26: 44-51; 61, 45-62, 58: 62-
69; 61, 50: 41 n. 56; 64, 1-5: 18-19; 64, ORUS
7-8: 19; 64, 8-11: 18 sg.; 64, 11-12: 19; Orth. 282v, 17: 62 n. 126
64, 18: 50; 64-65: 15 n. 14; 65, 30 sgg.:
19; 65, 33-35: 18; 86, 65: 21; 87, 80-94: OVIDIUS
19-23; 89, 52-90, 72: 19 n. 25; 89, 56: Ars am. I 289 sgg.: 68 n. 145
19 n. 25; 93, 85-88: 1, 17-18; 104, 56- Met. VIII 451 sgg.: 37 n. 34
107, 24: 9-13; 127, 87-90: 35; 128, 18-
36: 32-39; 145, 7: 50; 211, 18: 50; 216, PALAEPHATUS
31-41: 6; 217, 84 sgg.: 6; 220, 42 sgg.: 6; De incred. 4 Festa: 26 n. 3; 15: 51
236, 84 sgg.: 6; 280, 70-74: 63, 68-69
PAPYRI
LIBANIUS Pap. IFAO, inv. PSP 248: vd. Hypothe-
Or. 10: 6 e n. 19; 11, 240 sgg.: 6 seis
P. Colon. 1: vd. Hypotheseis
LUCIANUS P. Oxy. 2455: vd. Hypotheseis
De salt. (passim): 71 P.Oxy. 2459 (= 540-540b Kannicht): 27
Dial. deor. 5, 2: 59 n. 119 e n. 6, 28 n. 8, 29 n. 10
Dial. mar. 12, 1: 59 e n. 119; 14, 1: 59 P. Oxy. 2461 (= 472b-d Kannicht): 64 e
Gall. 13: 57 n. 114 n. 133
JTr 2, 9: 40 n. 48 P. Oxy. 2539: vd. Dictys Cretensis
Somn. 13: 59 n. 119 P. Oxy. 3652: vd. Hypotheseis
Timon 41: 59 n. 119 P. Oxy. 3656: vd. Hypotheseis
Perg. Berol. 13217 (= 472e Kannicht):
MOSES CHORENSIS 64 sg.
De refut. III 4: 4 n. 11 P. Tebt.: vd. Dictys Cretensis
Progymn. III 3: 4 n. 11 P. Vindob. G. 29 779: vd. Hypotheseis
PHILOCHORUS PROPERTIUS
FGrHist 328 F 17a: 63 n. 128; 328 F III 2, 9 sg.: 21 n. 31
82: 27 n. 3, 29 n. 8
SERVIUS
PHILOXENUS In Verg. Aen. III 636: 21 n. 30
PMG 821: 21
SEXTUS EMPIRICUS
PHOTIUS Adv. Math. 3, 3 = 78 Wehrli: 3 n. 7
Bibl. 68, 34: 15 n. 13
SIMONIDES
PHRYNICHUS PMG 543,1 sg.: 60
TrGF 3 F 6: 32 n. 19, 33 n. 22
SOPHOCLES
PINDARUS El. 419-423: 37 n. 34; 1070: 11 n. 2
Isthm. 7, 44-47: 45 n. 73; 7, 47: 45 Ichneutae fr. 314, v. 221 Radt: 43
Ol. 1, 27: 13 n. 7; 1, 75 sgg.: 13 n. 6; 2, Iobates frr. 297-299: 48
45: 37 n. 34; 6, 68: 37 n. 34; 13, 63 sgg.: Phineus fr. 710: 22 n. 33
45 n. 73 Tr. 556: 43 n. 63
Pyth. 10, 31 sgg.: 61 n. 123; 12, 6 sgg.:
61 n. 123 STEPHANUS BYZANTIUS
schol. Nem. 10, 12b: 35 Ethn. 216 s.v. Daivdala: 68 n. 144
schol. Pyth. 4, 288a: 53 n. 97
STESICHORUS
PLATO PMG 222: 33 n. 22
Alc. I 132e-133a: 22
Resp. 416a: 43 n. 63
STOBAEUS
Tim. 45b: 23 n. 35
Anth. III 1, 2: 18; IV 20, 68: 28 n. 8
PLUTARCHUS
SUDA
Alex. 4-5: 61 n. 124
Kefalivwn (k 1449 Adler): 15 n. 13; Oij-
De mul. virt. 248a: 47 n. 80
Thes. 19: 63 n. 128 divpou" (oi 34): 26 n. 1; camaieuvreto"
fr. 136 Sandbach: 28 n. 8 (c 66): 50
[PLUTARCHUS] THEOCRITUS
Parall. min. 26, 312a: 34 nn. 23-24 Id. 2, 23 sgg.: 38 n. 37; 6: 21 n. 31; 11:
21 n. 31
POLLUX
IV 111: 58 n. 116; VIII 10: 2 n. 5; IX THEODORUS PRODROMUS
36: 42 Rhod. et Dos. II 70: 59 n. 118
PROCLUS TIMAEUS
In Plat. Cratyl. 85, p. 39, 19-23 Pasqua- FGrHist 566 F 69: 21 n. 31
li: 34 n. 27; 85, 10: 41 sg. n. 57
Indici 97
TZETZES Alcibiade: 2 n. 5
Ad Aristoph. Ran. 1051: 49 n. 83; 1225- Alcmeone: 2 n. 5
1226a: 53 e n. 98, 54 n. 104 Alea (pianura): 45 e n. 73
Chil. I 19, 520 sgg. Leone: 52 n. 92; VI Alessandro Magno: 15 n. 13, 61 n. 124
56, 499 sgg.: 18 n. 21; VII 102, 69 sg.: Alpenore: 20 n. 27
37 n. 34; VIII 435-437: 5; VIII 443- Alpers K.: 4 n. 12
451: 5; X 360, 934-941: 20 n. 27 Altea: 32 n. 19, 33 e n. 22 , 34 e nn. 26-
Proleg. de comoedia, XIa Prooem. II, 27, 35, 36
63 Koster: 5 Amazzoni: 47
schol. Lycophr. 7 Scheer: 27 n. 3, 29 n. Andromeda: 38 n. 40, 72, Fig. 5
8; 17: 47 n. 78; 63-64: 41; 152: 13 n. 7; Anfione: 39 n. 41, 40, 42, 43, 44
486: 37 n. 34; 492: 37 e n. 34; 1299: 52 Anfitrione: 61 n. 124
n. 92; 1301: 52 n. 92 Antifate: 21
Antiochia: 6 e nn. 17-21, 35, 71 e n. 5
VELLEIUS PATERCULUS Antiope: 39 e nn. 41-42, 40 e n. 49, 41 n.
schol. I 8: 2 n. 5 56, 42, 43 e n. 65, 44
Apollo: 33 n. 22, 61
VITA BARLAAM ET IOASAPH Ares: 34 n. 23
406, 31-408, 11: 40 n. 48 Arge: 20 n. 28
Argo: 56 n. 111
XENOPHON Arianna: 38 n. 40, 72, Fig. 5
Oec. 3, 11: 43 n. 63 Armonia: 26 n. 3
Artemide: 18, 32 n. 19
Asclepiade di Tragilo: 3 n. 6, 47 e n. 80
Asopo: 39 n. 41
Astiage: 37 n. 34
Atalanta: 32 n. 19, 33 e n. 20, 34, 35, 36 e
n. 31, 38, Fig. 4
Indice dei nomi Atamante: 53 n. 97, 54
Atena: 37
Austin C.: 27, 64 n. 133, 65 n. 137, 69 n.
Academo: 37 147
Achille: 17, 32 n. 19
Acrisio: 56 e n. 111, 61 Barns J. W. B.: 17 n. 19
Acusilao: 3 n. 6 Battistella C.: 61 n. 124
Aélion R.: 27 n. 3, 28 nn. 7-8, 29 n. 9, 30 Beck H.-G.: 7 n. 22
nn. 13-14, 31 n. 17, 33 n. 22, 38 n. 40, Bellerofonte: 36 n. 31, 44, 45 e nn. 71-73,
45 n. 72, 48 n. 81, 58 n. 116 46, 47 e n. 80, 48, 49, 50, 51
Afarete: 32 n. 19 Bentley R.: 1 e n. 3, 7 n. 23, 12 n. 4, 13 n.
Afrodite: 6, 22, 35, 63 n. 129 7, 15 n. 15, 52 e n. 95, 55, 61 n. 125, 63
Agamennone: 37 n. 34, Fig. 2 e n. 130
Agariste: 61 n. 124 Beozia: 15
Agave: 14, 15 e n. 14 Bisanzio (Costantinopoli): 6 n. 17, 59 n.
Agenore: 54 e n. 105, 55 e n. 108, 56 n. 118, 71 n. 2
109 Blaydes F.: 11, 48 n. 82
Aiace: 17 e n. 20 Bollack J.: 22 e nn. 32-33
98 Indici
Premessa p. V
I drammi noti 9
Iphigenia Taurica 9
Bacchantes 14
Andromacha; Heraclidae 17
Hippolytus 18
Cyclops 19
I drammi “perduti” 25
Oedipus 25
Meleager 32
Antiope 39
Stheneboea 44
Phrixus B 51
Danae 56
Cretenses 62
Addendum 71
Abbreviazioni bibliografiche 79
in preparazione:
20. Gregorio Magno, I «Dialogi» (libri I, III e IV), nella versione greca di pa-
pa Zaccaria, edizione critica a cura di Manolis Papathomopoulos e Gian-
paolo Rigotti.
21. B. Snell, Gli antichi Greci e noi. In appendice Nove giorni di latino, pre-
fazione di Hartmut Erbse, edizione italiana a cura di Marilena Amerise.
22. Davide Muratore, La biblioteca del cardinal Nicolò Ridolfi, in due tomi.
23. Enrico Livrea, PARAKME. Studi ellenistici e tardoantichi (1995-2002).
24. Cassia, I versi profani, introduzione, testo critico, traduzione e commen-
to a cura di Domenico Accorinti.
25. Sergio Aprosio, Per la storia del perfetto greco: e[cw con participio aoristo
attivo.
26. Walter Lapini, Studi posidippidei.
27. Epigrammata Graeca de poetis (EGPoet) saec. I-XII p. Chr. n., introdu-
zione, edizione e commento a cura di Gianfranco Agosti ed Enrico Ma-
gnelli.
28. Giovanni di Gaza, Descrizione del quadro cosmico, introduzione, testo
critico e commento a cura di D. Gigli Piccardi, traduzione di F. Bargelli-
ni.
29. Mariangela Caprara, Epica biblica greca. Storia di un genere mancato.
30. Nonno e i suoi lettori, a cura di Sergio Audano.
31. Rocco Schembra, La prima redazione dei centoni omerici. Traduzione e
commento.
Medioevo greco
Rivista di storia e filologia bizantina
“0” (2000)
C. Billò, Manuele Crisolora, «Confronto tra l’Antica e la Nuova Roma» –
S. Borsari, La chiesa di San Marco a Negroponte – L. Bossina, La bestia e l’e-
nigma. Tradizione classica e cristiana in Niceta Coniata – F. Ciccolella, Basil
and the Jews: two poems of the ninth century – W. Haberstumpf, Due dina-
stie occidentali nell’Oriente franco-greco: la Morea tra gli Angioini e i Savoia
(1295-1334) – I. A. Liverani, In margine agli autografi eustaziani: a proposi-
to della grafia ou{tw / ou{tw" – E. Nardi, «Bella come luna, fulgida come il so-
le»: un appunto sulla donna nei testi bizantini dell’XI e XII secolo – A. Ni-
colotti, Sul metodo per lo studio dei testi liturgici. In margine alla liturgia eu-
caristica bizantina – A. Rigo, Ancora sulle «Vitae» di Romylos di Vidin
(BHG 2383 e 2384) – M. Scorsone, Gli “Erwte" qei'oi di Simeone il Nuovo
Teologo: ermeneutica di un’intitolazione apocrifa – A. Tessier, Docmi in epo-
ca paleologa? – F. Tissoni, Note critiche ed esegetiche ai canti 28-34 delle
«Dionisiache» di Nonno di Panopoli [ISBN 88-7694-501-6]
1 (2001)
D. Accorinti, Quaestiunculae Nonnianae – C. Billò, Note al testo dei
«Praecepta educationis regiae» di Manuele II Paleologo – L. Bossina, Per
un’edizione della «Catena dei Tre Padri» sul «Cantico»: Cirillo di Alessan-
dria o Nilo “Ancirano”? – G. Breccia, «Con assennato coraggio…». L’arte
della guerra a Bisanzio tra Oriente e Occidente – M. Corsano, Teodoreto di
Cirro e l’esegesi del «Libro di Ruth» – G. Cortassa, Un filologo di Bisanzio
e il suo committente: la lettera 88 dell’“Anonimo di Londra” – F. A. Farello,
Niceforo Foca e la riconquista di Creta – P. Guran, L’auréole de l’empereur.
Témoignage iconographique de la légende de Barlaam et Josaphat – I. A. Li-
verani, Sul sistema di interpunzione in Eustazio di Tessalonica – P. Odorico,
Idéologie politique, production littéraire et patronage au Xe siècle: l’empereur
Constantin VII et le synaxariste Évariste – J. Signes Codoñer, L’identité des
Byzantins dans un passage d’Ibn Battuta – L. Silvano, Per la cronologia del-
le lezioni di Angelo Poliziano sull’«Odissea». – Recensioni – Schede e se-
gnalazioni bibliografiche [ISSN 1593-456X]
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Ch. P. Baloglou: The Economic Thought of Ibn Khaldoun and Georgios Ge-
mistos Plethon: Some Comparative Parallels and Links – F. Bertolo: Gio-
vanni di Corone o Giovanni Mosco? – C. Billò: La «Laudatio in s. Iohan-
nem Baptistam» di Manuele II Paleologo – L. Bossina: Trasposizioni di fo-
gli nel Vindobonense theol. gr. 314: come ripristinare il testo di Teodoreto e
della «Catena dei Tre Padri» – M. Broggini: Metrica prosodica e sensibilità
accentativa in Sinesio: una nota agli «Inni» VI-VIII – I. A. Liverani: L’edi-
tio princeps dei «Commentarii all’Odissea» di Eustazio di Tessalonica – P.
Odorico: «Lascia le cose fresche e candide». À propos d’un récent compte-
rendu et d’un moins récent livre – M. Ornaghi: Kwmw/dotragw/diva, amori e
seduzioni di fanciulle: Alceo comico e Anassandride in «Suda» – R. M. Pic-
cione: In margine a una recente edizione dell’«Antholognomicon» di Orio-
ne – G. Ravegnani: I corpi dell’esercito bizantino nella guerra gotica – A.
Rhoby: Beitrag zur Geschichte Athens im späten 16. Jahrhundert: Untersu-
chung der Briefe des Theodosios Zygomalas und Symeon Kabasilas an Mar-
tin Crusius – L. Russo: Tancredi e i Bizantini. Sui «Gesta Tancredi in expe-
ditione Hierosolymitana» di Rodolfo di Caen – P. Schreiner: L’uomo bizan-
tino e la natura – L. Silvano: Angelo Poliziano: prolusione a un corso
sull’«Odissea» – F. Tissoni: «Anthologia Palatina» IX 203: Fozio, Leone il
Filosofo e Achille Tazio moralizzato. – Recensioni – Schede e segnalazioni
bibliografiche [ISSN 1593-456X]
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G. Agosti, Contributi a Nonno, Dionisiache 25-38 – Ch. P. Baloglou, Geor-
ge Finlay and Georgios Gemistos Plethon. New evidence from Finlay’s re-
cords – A. Barbieri, La circolazione dei testi menandrei nei “secoli ferrei” di
Bisanzio: la testimonianza dell’epistolario di Teofilatto Simocatta – G. Brec-
cia, «Magis consilio quam viribus». Ruggero II di Sicilia e la guerra – P. Co-
betto Ghiggia, Suid. a 1892 Adler ajnavkaion e la carcerazione di schiavi e li-
berti – G. Cortassa, Surmaiografei'n e l’antica minuscola libraria greca –
W. Haberstumpf, L’isola di Thermia tra Bizantini e dinasti italiani (secoli
XIV-XVII). I Gozzadini da Bologna: realtà latine e reminiscenze greche alla
periferia dell’impero – A. Kiesewetter, Markgraf Theodoros Palaiologos von
Monferrat (1306-1338), seine «Enseignemens» und Byzanz – E. Magnelli,
Reminiscenze classiche e cristiane nei tetrastici di Teodoro Prodromo sulle
Scritture – E. van Opstall, Jean et l’«Anthologie». Vers une édition de la
poésie de Jean le Géomètre – D. R. Reinsch, Il Conquistatore di Costanti-
nopoli nel 1453: erede legittimo dell’imperatore di Bisanzio o temporaneo
usurpatore? Alle origini della questione: appartiene la Turchia all’Europa? –
F. Rizzo Nervo, «Lascia ‹perdere› …». A proposito di un recente intervento
e di una recente traduzione del «Dighenìs Akritis» – U. Roberto, Il «Bre-
viarium» di Eutropio nella cultura greca tardoantica e bizantina: la versione
attribuita a Capitone Licio – L. Silvano, Citazioni polizianee dal «Lessico»
dello Pseudo-Zonara: una postilla sulla fortuna del testo in età umanistica –
Francesco Tissoni, Gli epigrammi di Areta. – Recensioni – Schede e se-
gnalazioni bibliografiche [ISSN 1593-456X]
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D. Accorinti, A proposito di una recente edizione critica di alcune omelie
di Proclo di Costantinopoli – M. Balard, Costantinopoli nella prima metà
del Quattrocento – M. Balivet, Le soufi et le basileus: Haci Bayram Veli et
Manuel II Paléologue – D. Bianconi, «Haec tracta sunt ex Dionysio Alicar-
nasseo». Francesco Filelfo e il Vaticano Urb. gr. 105 – L. Bossina, F. Fatti,
Gregorio a due voci – G. Cortassa, Da Teofilatto Simocatta ad Areta: le
“tombe” di Marco Aurelio – M. Curnis, Addendum euripideum alla teico-
scopia di Phoe. 99-155: Demetrio Triclinio ed esegesi metrica bizantina – F.
D’Alfonso: Pindaro / Pisandro e i giganti anguipedi in Giovanni Malala
(pp. 5, 47-6, 65 Thurn) – M. Di Branco, Il Marchese di Monferrato nel
Masâlik al-ab≠âr fî mamâlik al-am≠âr di al-‘Umarî – G. Di Gangi, C. M.
Lebole, La Calabria bizantina e la morte: aspetti topografici e culturali –
Ph. Gardette, La représentation des juifs byzantins (romaniotes) dans la
culture séfarade du 13e au 15e siècles – E. Magnelli, Il “nuovo” epigramma
sulle «Categorie» di Aristotele – D. Muratore, Le «Epistole» di Euripide
nel Parisinus gr. 2652 – A. Rigo, La politica religiosa degli ultimi Nemanja
in Grecia (Tessaglia ed Epiro). – Recensioni – Schede e segnalazioni bi-
bliografiche [ISSN 1593-456X]
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G. Agosti, Miscellanea epigrafica I. Note letterarie a carmi epigrafici tar-
doantichi – E. Amato, Prolegomeni all’edizione critica dei «Progimnasmi»
di Severo Alessandrino – Ch. P. Baloglou, Marturive" tou Dhmhtrivou
Kudwvnh periv Peloponnhvsou – D. Bianconi, «Gregorio Palamas e oltre».
Qualche riflessione su cultura profana, libri e pratiche intellettuali nella
controversia palamitica – P. Cobetto Ghiggia, «Suida», Teramene di Atene
e Teramene di Ceo – M. Fanelli, Un apoftegma di Simeone il Nuovo Teolo-
go dalla «Vita» in extenso del santo di Niceta Stethatos – D. Gigli Piccar-
di, AEROBATEIN. L’ecfrasi come viaggio in Giovanni di Gaza – E. Ma-
gnelli, Congetture ai carmi minori di Giorgio di Pisidia – E. Merendino,
Letteratura greca e geografia araba nella cultura normanna del XII secolo:
la Siciliae laus del bios di s. Filareto di Calabria – P. Orsini, Quale coscien-
za ebbero i Bizantini della loro cultura grafica? – A. Rhoby, The «Friend-
ship» between Martin Crusius and Theodosios Zygomalas: A Study of their
Correspondence. – Recensioni – Schede e segnalazioni bibliografiche
[ISSN 1593-456X]
in preparazione: