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Hellenica

Testi e strumenti di letteratura greca


antica, medievale e umanistica

Collana diretta da Enrico V. Maltese


19
In copertina: Meleagro. Dafne, II sec. d.C., “Casa del Pavimento Rosso”, pannello
inferiore: particolare (vd. qui, pp. 35 sg. e n. 31; 72; 75-76; fonte iconografica: F. Ci-
mok, Antioch Mosaics. A Corpus, Istanbul 2000).
Francesca D’Alfonso

Euripide in Giovanni Malala

Edizioni dell’Orso
Alessandria
Volume stampato con il contributo di fondi del Dipartimento di Filologia, Lin-
guistica e Tradizione Classica “Augusto Rostagni” dell’Università degli Studi di
Torino

© 2006
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Redazione: Margherita I. Grasso

È vietata la riproduzione, anche parziale, non autorizzata, con qualsiasi mezzo effettuata, com-
presa la fotocopia, anche a uso interno e didattico. L’illecito sarà penalmente perseguibile a
norma dell’art. 171 della Legge n. 633 del 22.04.1941

ISBN 88-7694-901-1
Premessa

Le citazioni poetiche presenti nella Chronographia di Giovanni Malala


mirano a un arricchimento del racconto cronachistico, senza altre impli-
cazioni di natura filologica o storica. Euripide è il poeta tragico che più si
presta a fornire plots (e a volte anche versi) che possano illustrare le com-
plesse vicende mitiche dell’umanità pagana, anche se per il cronista ciò
non implica il rifiuto di altre “versioni”, spesso discordanti ma più adatte
all’interpretatio christiana. Il risultato è una contaminatio spesso sconcer-
tante, che si configura come il tratto più riconoscibile della tecnica espo-
sitiva di Giovanni Malala.
Come considerare tali citazioni euripidee? È legittimo ridurle a inserti
eccentrici e considerare la Chronographia solo come un collettore di di-
sparate versioni mitiche, di ascendenza spesso insondabile? E ancora: è
possibile ravvisare nella tecnica redazionale di Malala traccia di una co-
noscenza non mediata dei testi euripidei e dunque ipotizzare la diffusio-
ne (seppur parziale) ancora nel V-VI sec. d.C. di tragedie oggi perdute?
Il tentativo di rispondere a tali quesiti non esclude la consapevolezza di
operare su un terreno accidentato e pieno di ombre, ben rappresentativo
di quel secolo liminare che fu il VI d.C. Tuttavia, l’analisi delle citazioni,
inserite nel loro più o meno ampio contesto, contribuisce a un quadro
composito, dal quale emerge come la disinvoltura malaliana nella fusione
di fonti diverse e spesso opposte conviva a volte con la conoscenza (an-
che diretta) dei testi.
Legittimare Malala come fonte di alcuni drammi euripidei (soprattutto
di quelli “perduti”) non significa farne un testimone fedele e imparziale,
ma riconoscere le potenzialità informative insite nella sua maniera pur
acritica di raccogliere notizie, dati, curiosità mitico-storiche, plots o brani
tragici.
Nel licenziare questo lavoro rivolgo un pensiero grato alla prof.ssa Bru-
na Marilena Palumbo, costante punto di riferimento nei miei percorsi di
ricerca. Ringrazio Guido Cortassa e, in modo speciale, Anna Maria Tara-
gna per l’aiuto fornito nella revisione del volume, ed E. V. Maltese per la
disponibilità con cui lo ha seguito e accolto nella collana «Hellenica».
F. D’A.
a Giampiero
L’attendibilità delle citazioni di Giovanni Malala

Euripide è il poeta antico più citato nella Chronographia di Giovanni


Malala, invocato a testimone della versione “poetica” del mito, erronea e
inaccettabile per un cristiano ma pur sempre passibile di una rilettura ra-
zionalistica.1 L’avverbio poihtikw`", che accompagna sistematicamente il
riferimento alla versione che del mito dette il tragediografo (e.g.: oJ ga;r
sofwvtato" Eujripivdh" poihtikw`" ejxevqeto dra`ma, 38, 3-5 Th.), connota in
Malala l’arbitraria “licenza poetica” che avalla leggende incredibili ed
empie.2 Il cronista è interessato soprattutto al contenuto mitico dei
drammi (solo in un caso cita verbatim versi euripidei senza ulteriori rife-
rimenti mitici: 93, 85-88 Th. = Andr. 774-776; Hrcl. 540), cui affianca
quasi costantemente la versione evemerizzante che disinnesca le poten-
zialità eversive del mito pagano, rendendolo coerente con l’interpretatio
christiana della storia.
L’interesse della testimonianza malaliana consiste soprattutto nel fatto
che il cronista cita per lo più tragedie “perdute” (otto su tredici) di cui si
conoscono solo pochi frammenti e per le quali è ancora sub iudice la rico-
struzione dell’azione drammatica. Non è dunque un caso che uno dei
primi studi di grande rilievo sulla Chronographia malaliana, vale a dire la
lettera di Richard Bentley a John Mill, costituisca anche una pietra milia-
re della filologia euripidea.3
È evidente che tali citazioni sollevano non solo problemi interpretativi

1
Sul rapporto tra Malala e le tradizioni mitiche vd. Hörling 1980; Reinert 1985; vd.
anche Jeffreys 1978; Scott 1990, pp. 147 sgg.
2
Sulla terminologia malaliana nelle citazioni (sofov"/sofwvtato", ejktivqhmi, etc.) vd.
Reinert 1985, pp. 35 n. 32 e 41 n. 91; Jeffreys 1990, p. 215; Jeffreys 1996, p. 56;
Hörling 1980, p. 139; sulle modalità di citazione di Malala rimando anche a un mio
lavoro recente, D’Alfonso 2004.
3
Prima della pubblicazione dell’editio princeps del 1691, John Mill chiese a R. Bent-
ley un giudizio sull’opera che si tradusse in una lettera-trattato di notevole impor-
tanza, da cui derivò subito grande fama al giovane studioso (la lettera fu aggiunta al-
la fine dell’e. p. malaliana; vd. ora Bentley [1962], pp. 5-24). Per la tormentata vi-
cenda editoriale della Chronographia vd. Croke 1990b.
2 Euripide in Giovanni Malala

legati alla natura del testo malaliano, ma anche questioni di fondo più
ampie, relative alla sopravvivenza e circolazione di drammi euripidei nel
periodo tardo-antico e proto-bizantino. L’ipotesi di Ph. H. Bourier secon-
do cui Malala citerebbe quasi sempre di seconda mano e non avrebbe
avuto alcuna diretta conoscenza del testo euripideo venne contestata con
validi argomenti da Edwin Patzig,4 secondo il quale è proprio il metodo
comparativo usato dal cronista, che affianca di consueto una testimonian-
za razionalizzante (Cefalione, Timoteo, etc.: vd. infra, pp. 14 sg. n. 13) a
una “poetica” (i.e. inverosimile), a valere a conferma della conoscenza di-
retta di molti poeti citati e in particolare di Euripide (cfr. soprattutto la ci-
tazione dell’Alcmeone o del Meleagro all’interno di una lista di re attici che
deriva dall’Africanus Barbarus, o gli ampi brani dell’Ifigenia Taurica).5

4
Secondo Bourier, tutto ciò che viene citato da Malala risale al medium di quattro
cronisti (Timoteo, Domnino, Nestoriano e una fonte anonima), le cui opere sono
andate perdute. Anche le citazioni euripidee non risulterebbero di conseguenza in-
dice di una lettura diretta (Bourier 1899-1900; non vidi: per una descrizione accura-
ta della dissertazione di Bourier vd. Patzig 1901b e ora Jeffreys 1990, pp. 198 sgg.).
Favorevole a un ruolo attivo da parte di Malala nella citazione e rielaborazione delle
fonti (mitografiche, storiche e poetiche) è S. Reinert, che contesta il giudizio di Bou-
rier sulla “passività” del cronista. Anche la sostanziale uniformità linguistica della
Chronographia indica come Malala sottoponesse tutte le sue fonti a una rilettura au-
tonoma: Reinert 1985, pp. 29 sgg. n. 6; così ora anche Kokoszko 1998, pp. 8 sg. Più
cauta la posizione di E. Jeffreys che, pur riconoscendo la possibilità di una qualche
conoscenza diretta (Jeffreys 1979, pp. 222 sgg.), ritiene improbabile un «direct ac-
cess to Euripides» (Jeffreys 1990, p. 179; tuttavia, complessivamente il giudizio è ri-
duttivo: «These scarps are of little textual significance in the history of the transmis-
sion of the Euripidean plays», ibid.). Di recente P. Carrara ha ribadito la scarsa at-
tendibilità di Malala che si sarebbe servito di opere mitografiche o al massimo di hy-
potheseis da cui traeva il verso incipitario del dramma (vd. infra, Cretenses: p. 69).
Agli argumenta delle tragedie come fonte privilegiata di Malala pensava già Wila-
mowitz 1875, p. 184 n. 5; vd. sull’argomento anche Wolf 1916.
5
Patzig 1901b, pp. 609-611. In particolare, la citazione dell’Alcmeone è collocata al-
l’interno di una lista di re attici che Malala riprendeva da Giulio Africano (kaqw;"
∆Afrikano;" oJ sofwvtato" cronogravfo" ejxevqeto, 51, 83-84 Th.): … kai; meta; Aijscuv-
lon ejbasivleusen aujtw`n ∆Akmaivwn e[th duvo: peri; ou| Eujripivdh" oJ sofwvtato" dra`ma
ejxevqeto. kai; meta; ∆Akmaivonta ejbasivleusan ktl. (51, 79-81 Th.: sulla lista degli ar-
conti, o re a vita, vd. Musti 1994, p. 151 tav. 14; sull’arconte Alcmeone, Wilhelm
1894). La lista compare in Eus. Chron. I 188 (triakosto;" de; meta; Aijscuvlon ∆Aqh-
naivwn basileuvei ∆Alkmaivwn e[th bV), fonte probabilmente di Giulio Africano; cfr.
anche schol. Vell. Pat. I 8; Poll. VIII 10. Più sintetica la versione di Giovanni Antio-
cheno (24.4, 3-4 Roberto eJxh`" Aijscuvlo" kai; e{teroi) e di Cedreno (I 145, 17-146,
1), che sostituisce il nome di Alcmeone con quello di Alcibiade (… meq∆ o}n ∆Alki-
biavdh" e[th duvo, ei\ta a[lloi ihV, ktl.): in nessuna compare il riferimento a Euripide,
L’attendibilità delle citazioni 3

D’altra parte è indubbio che l’interesse malaliano per i plots drammati-


ci rende plausibile anche l’ipotesi che il cronista si servisse semplicemen-
te delle raccolte mitografiche6 o al più delle hypotheseis tarde (i cdd. Ta-
les from Euripides), che ebbero una grande diffusione in età imperiale.7
Ciò sembrerebbe di nuovo escludere un rapporto diretto con il testo, ma
va ricordato che la natura di tali raccolte subì nel tempo un’evoluzione
che ne trasformò la facies originaria (semplici argumenta ordinati alfabe-
ticamente, con citazione del verso incipitario):8 non solo accanto al crite-

che si riconferma prettamente “malaliano”. Il nome di ∆Alkmaivwn (∆Akmaivwn O:


∆Alkmaivwn corr. Gelzer) induce il cronista a una confusione tra il nome del re-ar-
conte attico e l’omonimo eroe argivo, sulla cui tormentata vicenda Euripide aveva
composto due tragedie (Alcmeone a Psofis e Alcmeone a Corinto): vd. van Looy
1998a. L’interruzione della lista degli arconti con l’inserimento della stringata cita-
zione euripidea non può appartenere alla fonte storica di Malala, come sostenne con
decisione Edwin Patzig («diese Angabe hat nie und nimmer in der chronistichen
Vorlage gestanden»: Patzig 1901b, p. 610), e costituisce perciò un’importante prova
della conoscenza autonoma delle opere euripidee da parte del cronista antiocheno.
Sull’importanza di Sesto Giulio Africano come fonte, diretta o indiretta, di Malala
vd. ora Huxley 1987; vd. anche Moravcsik 19582, p. 330.
6
Fonti della Bibliotheca di [Apollodoro] erano sia mitografi come Ferecide, Acusi-
lao, Asclepiade di Tragilo sia le hypotheseis tragiche: così Robert 1873, pp. 82-83;
Wilamowitz 1875, pp. 182-183; vd. ora Huys 1997, che prende in esame tutte le ci-
tazioni euripidee presenti nella Bibliotheca, giungendo alla conclusione che essa
«does not depend directly on the original source but constitutes a late phase of
mythographical activity going back to Hellenistic scholarship» (p. 327).
7
Si distinguono dalle hypotheseis di derivazione aristofanea per la mancanza di par-
ticolari eruditi: fu Wilamowitz a paragonarle ai Tales from Shakespeare di Charles e
Mary Lamb (1889, pp. 134 n. 19, 170); di qui la definizione di Zuntz Tales from Eu-
ripides (1955, p. 135; sul significato del termine vd. soprattutto Holwerda 1976).
Per uno studio accurato di tutte le testimonianze vd. ora van Rossum-Steenbeek
1998, che preferisce la definizione di «narrative hypotheseis» anche per i Tales from
Sophocles (cfr. P. Oxy. 3656, II sec. d.C.); cfr. anche Pechstein 1998, pp. 196-204.
Discussa è la paternità di tale raccolta: in base alla testimonianza di Sesto Empirico
sono state attribuite a Dicearco (Sext. Emp. Adv. Math. 3, 3 = 78 Wehrli), ma per-
mangono dei dubbi: contro tali ipotesi sono Wilamowitz 1875 (p. 184), Zuntz 1965
(p. 146), Rusten 1982, Carrara 1992; a favore Haslam 1975 (spec. pp. 150-155), Tui-
lier 1983 (pp. 21-22), e soprattutto Luppe 1990, secondo cui Dicearco scrisse un
compendio di trame tragiche che poi confluì nelle hypotheseis a lui attribuite. Vd.
ora anche van Rossum-Steenbeek 1998, pp. 1 sgg.; Liapis 2001. Sulla dubbia atten-
dibilità della testimonianza di Sesto Empirico vd. Kassel 1985.
8
In epoca romana ciascuna hypothesis fu svincolata dalla raccolta e collocata, prima
dell’ajrchv e spesso insieme a un’hypothesis “erudita”, prima della tragedia di cui
riassumeva la trama: vd. Luppe 1996.
4 Euripide in Giovanni Malala

rio alfabetico compare almeno in un caso (Pap. IFAO, inv. PSP 248)9 un
ordinamento di tipo tematico, ma da un’importante testimonianza di
epoca bizantina (XI sec.) risulta che insieme alle hypotheseis venivano ci-
tati anche i prologhi. Si tratta della nota citazione di Giovanni Logoteta
che in un commento retorico al Peri; meqovdou deinovthto" di Ermogene
riporta, insieme alle hypotheseis della Melanippide saggia, del Piritoo e
della Stenebea (tragedie escluse dalla Selezione),10 parti del prologo delle
tre tragedie; è verosimile che in questa facies (hypoth. + prologo) si pre-
sentasse anche la fonte cui Giovanni e Gregorio avevano attinto e che
dunque esistesse un’edizione così configurata in età tardo-antica o proto-
bizantina.11 L’uso delle hypotheseis come fonti del mito tragico non esclu-
de dunque di per sé la disponibilità di sezioni del testo da parte di Mala-
la; in alcuni casi, l’analisi delle citazioni del cronista, grazie al raffronto
con i frammenti papiracei, permette di sostenere tale ipotesi con un certo
margine di plausibilità (cfr. Stheneboea, Danae, Antiope, Cretenses).12
Anche la citazione di drammi “perduti” non implica necessariamente
una conoscenza indiretta, perché ritrovamenti papiracei coevi testimo-
niano la circolazione di tali opere (o di parti di esse) ancora nel V-VI sec.

9
Cfr. Papathomopoulos 1964.
10
Le stesse citazioni compaiono in Gregorio di Corinto, che cita anche un fram-
mento del Poliido di Euripide (Rhetores Graeci VII 1321 Waltz), ed è molto proba-
bile che entrambi risalissero a una fonte comune: Rabe 1908, pp. 130 sgg.; vd. ora
Luppe 1996, pp. 216 sgg.; vd. anche Zuntz 1955, pp. 136 sgg. Vd. infra, p. 46 n. 75.
11
Per l’analisi di tali testimonianze vd. soprattutto Luppe 1996; cfr. anche Sutton
1988; Carrara 1992, p. 40 e n. 27. Meno probabile appare la possibilità che collezio-
ni di hypotheseis continuassero a essere accessibili fino al XII sec. d.C.: così Sutton
1988, pp. 91 sg.; contra Luppe 1996, pp. 217 sg. Interessante è anche la testimonian-
za di Moses di Chores (oggi Chorenazi), studioso armeno dell’VIII-IX sec. che nei
suoi Progymnasmata (III 3, in armeno) riferisce del contenuto dell’Auge di Euripide
(vd. già Wilamowitz 1875, p. 184). La sua conoscenza non deriva dalla raccolta di
hypotheseis ordinate alfabeticamente, ma da una versione abbreviata, come dimo-
stra il P. Colon. 1 (II sec. d.C.) che riporta l’inizio dell’hypothesis corrispondente
all’hypothesis di Moses. In un’altra opera (De refutatione III 4), Moses riferisce la
trama delle Peliadi, mostrando di conoscerne il testo: vd. Luppe 1996, pp. 221-223;
Canfora 1995, pp. 162-164.
12
Per una lettura diretta di drammi euripidei esclusi dalla Selezione ancora nel V-VI
sec. d.C. e in particolare per l’importanza della testimonianza di Malala, vd. Pertusi
1957, pp. 19 sg.; Cantarella 1964, pp. 45-46; Cantarella 1970; Zuntz 1965, p. 355;
Tuilier 1968, pp. 122 e n. 2, p. 135 n. 2; vd. anche Alpers 1981, p. 105 e n. 24. Per
un quadro esaustivo del Fortleben euripideo vd. Funke 1965-1966 (le citazioni di
Malala vengono definite di «diverso valore»: p. 276; cfr. già Schmid 1940, p. 832);
cfr. anche Jouan-van Looy 1998, pp. XXXVII-LIV.
L’attendibilità delle citazioni 5

d.C.;13 anche il prologo spurio della Danae, conservato in P (Palat. gr.


287, f. 147v [= 1132 K.]) insieme all’hypothesis, che Malala mostra di co-
noscere, è molto probabilmente opera di uno studioso vissuto tra il V e il
VI sec. d.C. (forse Eugenio il grammatico, autore di studi sulla colome-
tria dei tragici e di una monografia metrica),14 che si servì di un codice
euripideo che conteneva ancora la tragedia. Nel XII sec. Tzetze conosce
drammi satireschi “perduti” (Autolico: Chil. VIII 435-437; 443-451;
Sileo: Prolegomena de comoedia, XIa Prooem. II 63 Koster) e almeno in
un caso (Autolico) utilizza dei termini che sembrano tradire un’effettiva
lettura dell’opera.15
La disponibilità di testi euripidei non significa tuttavia che Malala ne
facesse effettivamente uso, come ha sostenuto di recente P. Carrara: «The
problem is, of course, not “if” John was able to read tragedies of Euripi-
des (…). The problem is “how far” John utilized a direct reading for his
compilation: the answer is, in my opinion, that he did not».16 È evidente
che la fitta stratificazione di fonti e interpretazioni e l’immissione di va-
rianti mitiche rare (cfr. Meleager, Stheneboea), isolate ma non necessaria-
mente seriori, sembrano compromettere l’attendibilità di Malala e indu-
cono l’interprete moderno a una diffidenza spesso giustificata.
Tuttavia, è necessario a mio avviso riconsiderare la questione assumen-
do il punto di vista del cronista ed evitando che lo scetticismo, anche se
legittimo, impedisca di cogliere ciò che di “euripideo” può essersi con-
servato attraverso le maglie della sua interpretatio. Le citazioni dei poeti
servono a Malala per porre a confronto le versioni mitiche del passato
con quelle “storiche” e dunque subiscono necessariamente una violenza

13
Per un quadro delle scoperte papiracee dagli inizi del Novecento si rimanda a
Jouan-van Looy 1998, pp. LV-LVIII (con bibliografia); vd. anche Collard 1995, pp.
1 sg.; Cavallo-Maehler 1987, pp. 30 e 52; vd. ora Cavallo 2002, pp. 89 sgg. Appar-
tengono ancora al V-VI sec. papiri contenenti parti di tragedie euripidee “perdute”:
Melanippide desm. (495 K.) e Phaeton (772a K.): per l’importante testimonianza del
Codex Claromontanus (VI sec. d.C.) che conserva frammenti del Phaeton (ff. 162-
163 = Par. gr. 107B, ff. 1-2) vd. ora van Looy 2002a, p. 244 n. 53.
14
Vd. West 1981, p. 76 (vd. infra, pp. 58 sg. n. 118).
15
A favore di una lettura diretta da parte di Tzetze anche di drammi non presenti
né nella Selezione né nel gruppo alfabetico: Masciadri 1987; Luppe 1996 (in part.
pp. 219-221); più cauto Pechstein 1998, pp. 51-56. Vd. anche Tuilier 1968, p. 134 e
nn. 4-5; Wilson 1983, p. 303. Sulla conoscenza diretta dei drammi “alfabetici” da
parte di Psello si mostra cauto ora Magnelli 2003, pp. 203 sgg.; vd. anche Conca,
2002, pp. 43 sgg. Sulle conoscenze di Teodoro Prodromo (XII sec.) vd. ancora Ma-
gnelli 2003.
16
Carrara 1987, p. 23 n. 20.
6 Euripide in Giovanni Malala

interpretativa. Il suo interesse non è certo filologico né storico, ma è pur


sempre un interesse e il mio studio sulle citazioni euripidee mira a rico-
struirne i limiti ma anche le potenzialità. Il cronista è vissuto a lungo ad
Antiochia,17 città fiorente sotto il profilo culturale, in cui erano ancora
ben visibili le tracce della fortuna delle tragedie di Euripide, che offriva-
no il soggetto per la decorazione dei pavimenti musivi.18 Ben attestata è
anche la fortuna delle opere teatrali, che pur adattate per mimi e panto-
mime, rappresentavano una continua occasione di confronto con l’antica
tradizione letteraria ellenica. Libanio nel IV sec. ne è importante testimo-
ne, perché fa spesso riferimento alle performances teatrali e alle ricche at-
tività culturali della città (Or. 10; 11, 240 sgg.),19 e lo stesso Malala un se-
colo più tardi riferisce della perdurante esistenza di feste pagane in onore
di Afrodite e Dioniso (216, 31-41; cfr. anche 217, 84 sgg.; 220, 42 sgg.;
236, 84 sgg. Th.).20 Un interesse così vasto per i miti tragici presuppone
la circolazione ad Antiochia di antologie, copioni per attori, hypotheseis,
etc., che rendessero possibile l’accesso, anche se parziale, ai testi.21
È dunque evidente che l’interesse del cronista per le testimonianze dei
poihtaiv e di Euripide in particolare ben si concilia con i gusti culturali
ma anche “popolari” della sua città: la disinvoltura nell’accostare varianti
mitiche di diversa provenienza riflette insieme lo “stile” cronachistico e i

17
Giovanni Malala nacque ad Antiochia alla fine del V sec. d.C. e visse prevalente-
mente nella sua città natale, da cui si trasferì per recarsi a Bisanzio negli ultimi anni
della sua vita (la morte va collocata presumibilmente intorno al 574 d.C.): il proble-
ma delle effettive identità e datazione del cronista è stato a lungo al centro di studi e
polemiche, perché i testimonia si riferiscono a diversi Giovanni antiocheni: sull’in-
tricata questione vd. da ultimo Croke 1990a, p. 3; Croke 1990c.
18
Sui mosaici di Antiochia vd. infra, Addendum, pp. 71 sgg. Per la storia della città
si rimanda a Downey 1961.
19
Sull’importanza dei luoghi deputati ai giochi olimpici ad Antiochia vd. soprattut-
to l’Or. 10 (Peri; tou` Plevqrou) e il commento di Martin 1988, pp. 215 sgg.
20
Ad Antiochia esistevano due teatri, l’uno dedicato a Dioniso (Teatro del monte
Silpio), l’altro a Zeus Olimpio (Dafne). Fino al 520 d.C. vennero svolti giochi olim-
pici secondo l’ordinamento della tradizione ellenica: vd. Downey 1961, pp. 197;
230-235. Sull’argomento vd. ora Huskinson 2002-2003, pp. 158 sgg.
21
Com’è noto l’appellativo “Malala” (“retore”) rimanda a un livello culturale medio
o “scolastico” (Cantarella 1970, p. 61 n.1; Reinert 1985, p. 30 n. 6); secondo S. Rei-
nert, l’interpretazione cui il cronista sottoponeva i testi (krivsi"), ultimo stadio dopo
la diovrqwsi", l’ajnavgnwsi" e l’ejxhvghsi", poteva avere come destinatario la scuola,
«colleagues who would appreciate its inspiration and underlying familiarity with
classical poetry». Anche la lingua usata rifletterebbe una sorta di «passing conversa-
tion in a chancery corridor»: Reinert 1985, p. 27. Per il commercio librario ad An-
tiochia nel IV sec. d.C. vd. Norman 1960.
L’attendibilità delle citazioni 7

gusti del destinatario,22 ma a mio avviso non deve alimentare troppo il


pregiudizio che tradizionalmente grava sull’attendibilità delle citazioni
malaliane.23

22
H.-G. Beck contesta la communis opinio secondo cui la cronachistica sarebbe
opera dei monaci, che ne erano anche i fruitori privilegiati (1965, p. 193); anche «der
Charakter der “Volkstümlichkeit”» non ha nulla a che fare «mit “mönchischem
Charakter”» (p. 195) ma riflette la mentalità bizantina, che per molti aspetti (in-
teresse per i fatti straordinari, curiosità naturali, etc.) è erede della storiografia elle-
nistica (p. 197); vd. anche Marasco 1997, pp. 29 sg. Per il tradizionale giudizio sulla
Chronographia malaliana come Trivialliteratur vd. Hunger 1978, I, p. 321. Sulla
lingua di Malala vd. Weierholt 1963; James-Jeffreys-Jeffreys 1990; Wyatt 1976, pp.
122 sgg.; per un quadro complessivo vd. ora Jeffreys 2003.
23
È necessario superare l’insofferenza, anche se per molti versi condivisibile, che
spinse Bentley, impegnato in una celebre rilettura della Chronographia, a esclamare:
«Pudet hercle, ut verum fatear, pigetque bonas horas, quae haud paulo melius collo-
cari possent, in tam ingrato et ignobili labore consumere» (Bentley [1962], p. 241).
I drammi noti

È opportuno iniziare l’analisi dei diversi loci partendo dai drammi a noi
noti (Iphigenia Taurica, Bacchantes, Andromacha, Heraclidae, Hippolytus
e il dramma satiresco Cyclops), per verificare il modus operandi di Malala
e la natura e portata delle sue “deformazioni”. Quando il cronista cita ef-
fettivamente il testo tragico (Iph. Taur., Ba., Andr., Hrcl.) è a suo modo
“fedele” al testo, per quanto gli sia estranea qualsiasi cura per la corretta
citazione testuale. Un maggiore stravolgimento è invece ravvisabile lì do-
ve expressis verbis afferma di dipendere da altre fonti, per lo più evemeri-
stiche, che costituiscono dei filtri necessariamente deformanti (cfr. Hipp.,
Cycl.). Tale diverso modus operandi, più “fedele” nel primo caso, molto
più arbitrario nel secondo, va tenuto presente nell’analisi dei passi in cui
il cronista fa riferimento alle tragedie euripidee “perdute”, per le quali
non si può spesso operare alcun raffronto.

Iphigenia Taurica (Chron. 104, 56-107, 24 Th.)


Il passo che si presta meglio a questo fine riguarda il racconto del mito di
Ifigenia e di Oreste nella terra dei Tauri (Chersoneso Taurico), oggetto
dell’Ifigenia Taurica euripidea: il cronista a metà della sua narrazione cita
esplicitamente il tragediografo ma non il titolo del dramma da cui ha at-
tinto ampiamente versi e trama (106, 89-90 Th.): kaqw;" oJ sofwvtato" Euj-
ripivdh" ejxevqeto dra`ma poihtikw`", w|n mevro" ojlivgon ejsti; tau`ta. Nel bra-
no malaliano si passa da citazioni più o meno fedeli a parafrasi o a vere e
proprie rielaborazioni del testo tragico. Inoltre, dal confronto tra l’Iph.
Taur. e il racconto del cronista si può appurare non solo l’effettiva dipen-
denza dal testo tragico, ma anche come esso esercitasse una sorta di in-
flusso sullo stile malaliano, che appare disseminato di discorsi diretti.
Nella tabella che segue riporto i brani malaliani1 che dipendono più o
meno direttamente dal testo euripideo:

1
Cito per esteso solo nei casi necessari.
10 Euripide in Giovanni Malala

a. oJ de; ∆Orevsth" […] poihvsa" qusivan Iph. Taur. 82-83


h/[tei th;n Puqivan ejkfugei'n th`" ma- OR. ejlqw;n dev s∆ hjrwvthsa pw`" prochlavtou
niwvdou" novsou (104, 58-60 Th.). maniva" a]n e[lqoim∆ ej" tevlo" povnwn t∆ ejmw`n

b. kai; ajnelqovntwn aujtw`n ejk tou` ploiv- 69-70


ou prosevscen oJ ∆Orevsth" iJero;n eJ- OR. Pulavdh, dokei` soi mevlaqra tau`t∆ ei\nai qea`"
stw;" wJ" ajpo; milivwn duvo th`" qa- e[nq∆ ∆Argovqen nau`n pontivan ejsteivlamen…
lavtth" kai; qanovntwn ajnqrwvpwn ejr-
rimmevna ojsteva. kai; levgei Pulavdh/
{oJ ∆Orevsth"}: “dokei` soi qea`" ei\nai
tavde mevlaqra, e[nqa su;n nhusi;n 75
h{kamen; oJrw` de; kai; tw`n qanovntwn PU. tw`n katqanovntwn g∆ ajkroqivnia xevnwn
xevnwn ta; ojsteva” (104-105, 71-74
Th.)

c. kai; proseschkw;" Pulavdh" levgei 102-105


tw/` ∆Orevsth/: “fuvgwmen, eja;n sw- OR. […] ajlla; pri;n qanei`n new;" e[pi
qhsovmeqa”. oJ de; ∆Orevsth" e[fh: “ouj feuvgwmen, h|/per deu`r∆ ejnaustolhvsamen.
feuvgomen: ou[te ga;r feuvgein eijwvqa- PU. feuvgein me;n oujk ajnekto;n oujd∆ eijwvqamen,
men oujde; to;n crhsmo;n tou` qeou` to;n tou` qeou` de; crhsmo;n ouj kakistevon.
kakisteuvsomen” (105, 74-77 Th.)

d. touvtou" de; eJwrakovte" boukovloi e[- 238-239


dramon pro;" th;n ∆Ifigevneian, lev- BOU. ∆Agamevmnonov" te kai; Klutaimnhvstra" tevknon,
gonte" aujth/`: “∆Agamevmnono" kai; a[koue kainw`n ejx ejmou` khrugmavtwn.
Klutaimnhvstrh" kovrh, h{kasi duvo 241-242
neanivskoi para; th;n kuanevan”. hJ de; BOU. h{kousin ej" gh`n, kuanevan Sumplhgavda
pro;" aujtouv": “potapoiv; tivno" gh`"; tiv plavth/ fugovnte", divptucoi neanivai, ktl.
tou[noma e[cousin oiJ xevnoi…” (105, 246
78-81 Th.) IF. podapoiv… tivno" gh`" o[nom∆ e[cousin oiJ xevnoi…

e. oiJ de; boukovloi levgousin aujth/`: “e{- 249-251


tero" pro;" to;n e{teron e[fh, Pulavdh: BOU. Pulavdh" ejklhv/zeq∆ a{tero" pro;" qatevrou
tou` de; suzuvgou to; o[noma oujk i[smen: IF. tou' xuzuvgou de; tou` xevnou tiv tou[nom∆ h\n…
oujde; ga;r e[fh” (105, 84-106, 86 Th.) BOU. oujdei;" tovd∆ oi\den: ouj ga;r eijshkouvsamen.

f. hJ de; pro;" aujtouv": “tiv ga;r koino;n 254-255


boukovloi" ejn qalavtth/;” oiJ de; ei\- IF. kai; tiv" qalavssh" boukovloi" koinwniva…
pon: “bou`" h{kamen nivyai ejn aJliva/ BOU. bou`" h[lqomen nivyonte" ejnaliva/ drovsw/.
drovsw/” (106, 86-88 Th.)

g. kai; desmeuqevntwn aujtw`n ejkevleu- 468-469


sen ajforisqh`nai to;n e{na, ktl. IF. mevqete tw`n xevnwn cevra",
(106, 91 Th.) wJ" o[nte" iJeroi; mhkevt∆ w\si devsmioi.

h. kai; ejphrwvthsen aujto;n hJ ∆Ifigevneia, 495


poiva" a[n ei[h cwvra". oJ de; e[fh: “cwv- IF. poiva" polivth" patrivdo" ”Ellhno" gegwv"…
ra" me;n ÔEllavdo", povlew" de; Mu- 500
khvnh" oJ dustuch;" pavreimi” (106, OR. to; me;n divkaion Dustuch;" kaloivmeq∆ a[n.
94-95 Th.) 510
OR. ejk tw`n Mukhnw`n ãg jÃ, ai{ pot j h\san o[lbiai.
I drammi noti 11

i. kai; gravyasa eij" divptucon ejpevdw- 727-728


ken aujtw/`, eijpou`sa: “ijdou; to; zh`n hJ IF. devltou me;n ai{de poluvquroi diaptucaiv,
qeov" soi parevscen di∆ ejmou`” (107, xevnoi, pavreisin: ktl.
10-11 Th.)

oJ de; (sc. Pulavdh") ejpwmovsato aujth/̀ 791-792


o{ti: eij" ta;" cei`ra" aujtou` divdwmi PU. ijdouv, fevrw soi devlton ajpodivdwmiv te,
aujto; kai; pro;" se; aujto;n fevrw (107, ÔOrevsta, th`sde sh`" kasignhvth" pavra.
12-14 Th.)

j. novmisasa dev, o{ti oujk e[stin aujtov", 822-823 (?)


levgei o{ti: “oJ ejmo;" ajdelfo;" tou` Pe- OR. a} d∆ ei\don aujtov", tavde fravsw tekmhvria:
lopeivou gevnou" shvmantron e[cei ej- Pevlopo" palaia;n ejn dovmoi" lovgchn patrov",
laivan ejn tw`/ w[mw/” (107, 19-21) ktl.

a. l’espressione hJ maniwvdh" novso", presente per lo più in testi medici (cfr. e.g.
Hipp. Aër. 7, 23 maniwvdea noseuvmata), riflette la connotazione euripidea
della “follia” di Oreste, vittima delle Erinni, come novso";2 la iunctura ricorre
nello schol. Eur. Or. 333 tiv" a[ra, fhsiv, tou`ton eJlehvsei, tiv" de; oJ kivnduno"
ou|to" kai; hJ maniwvdh" novso" ejpevrcetai ejpi; se; to;n mevleon, tacuvnwn se kai;
ejxegeivrwn. toutevstin: a[ra daivmwn ti" ejpipevmpei touvtw/ ta;" ∆Erinuva";
b. il testo è un’evidente parafrasi dell’Iph. Taur., con la ripresa del discorso di-
retto che solo in parte riproduce il testo drammatico. Si notano l’inversione
dell’ordo verborum (cfr. Chron. dokei` soi qea`" ei\nai tavde mevlaqra; Eur.
Iph. Taur. 69 Pulavdh, dokei` soi mevlaqra tau`t∆ ei\nai qea`") e una sorta di
contrazione nelle battute (nell’Iph. Taur. è Pilade al v. 75 a parlare di «spoglie
degli stranieri uccisi», dopo un breve dialogo con Oreste, mentre in Malala la
descrizione del tempio e dei resti sacrificali è affidata al solo Oreste; cfr. an-
che Iph. Taur. 74 qrigkoi`" d∆ uJp∆ aujtoi`" sku`l∆ oJra`/" hjrthmevna…);
c. in questo caso si nota come Malala abbia invertito i ruoli: se nell’Iph. Taur.
(vv. 102 sgg.), secondo la testimonianza di L, è Oreste a suggerire la fuga per
evitare una sicura morte, mentre Pilade esorta a resistere e a mostrare corag-
gio, nella Chronographia i ruoli sono invertiti, anche se si osserva una relativa
fedeltà al testo tragico (cfr. Chron. ou[te ga;r feuvgein eijwvqamen oujde; to;n crh-
smo;n tou` qeou` kakisteuvsomen; Iph. Taur. 104-105: feuvgein me;n oujk ajnek-
to;n oujd∆ eijwvqamen / to;n tou` qeou` de; crhsmo;n ouj kakistevon);3
d. Malala offre in questo caso un interessante contributo alla costituzione del
testo euripideo: come già faceva notare F. Blaydes, il Laur. 32, 2 presenta la
lezione kuanea`n Sumplhgavdwn, con un anomalo genitivo dorico che indusse

2
Nell’Oreste ben diciannove occorrenze (10, 34, 43, 211, 227, 229, 232, 282, 304,
314, 395, 407, 480, 792, 800, 831, 881, 883, 1016) rispetto alle due di Eschilo (Eum.
479, 942) e all’una di Sofocle (El. 1070).
3
Vogel proponeva di correggere kakistevon di L con oujk aijkistevon, ma la congiun-
ta testimonianza di Malala invita a non intervenire; D. Sansone congettura ouj kakw-
tevon: cfr. Sansone 1981, v. 105 appar.
12 Euripide in Giovanni Malala

il filologo inglese a intervenire sul testo, correggendo in kuaneva" Sumplhgav-


da". Tuttavia, anche il cronista riporta kuanevan (h{kasi duvo neanivskoi para;
th;n kuanevan, con kuanevan concordato erroneamente forse con gh`n che im-
mediatamente lo precede nel testo euripideo: v. 241 h{kousin ej" gh`n, kuanev-
a" Sumplhgavda"), e ciò vale a conferma della lezione del cod. (KUANEAN),
che sembrerebbe da conservare («si illud kuanevan antiquitatis causa servare
velis, quandoquidem qua vixit Malelas [sic] tempestate jam in libris invetera-
verat»).4 Inoltre, Malala concorda con il Laurenziano e il P. Hibeh 24, che ri-
portano entrambi la lezione o[noma al v. 246: Chron. potapoiv… tivno" gh`"… tiv
tou[noma e[cousin oiJ xevnoi… cfr. Iph. Taur. 246 podapoiv… tivno" gh`" o[nom∆ e[cou-
sin oiJ xevnoi…5
e. il primo episodio della tragedia, in cui un bovaro appare nelle vesti di mes-
saggero, è rielaborato ampiamente da Malala, che fa dell’interlocutore di Ifi-
genia dei boukovloi (al plur.), evidentemente perché anche nel dramma il bo-
varo si riferisce spesso a quanto ha appena visto come a un’esperienza collet-
tiva (v. 251 ouj ga;r eijshkouvsamen; 255 bou`" h[lqomen nivyonte" ejnaliva/ drov-
sw/; 261 povnton eijsebavvllomen, etc.): anche questa “svista” tradisce a mio av-
viso la lettura diretta della tragedia da parte del cronista. Di nuovo si consta-
ta la ripresa di intere espressioni (Chron. e{tero" pro;" to;n e{teron; Iph. Taur.
249 a{tero" pro;" qatevrou) o di abbreviazioni (Chron. tou` de; suzuvgou to;
o[noma oujk i[smen; Iph. Taur. 250 tou' xuzuvgou de; tou` xevnou tiv tou[nom∆ h\n;);
f. anche in questo passo, pur nella rielaborazione lessicale e sintattica (Chron.
koinovn / Iph. Taur. koinwniva; Chron. h{kamen nivyai / Iph. Taur. h[lqomen
nivyonte"), la dipendenza dal testo tragico è molto evidente;
g-i. prosegue la parafrasi;
h. accanto alla rielaborazione del testo tragico, si nota la ripresa dell’aggettivo
dustuchv", che Oreste attribuisce molto probabilmente a se stesso nel presen-
tarsi all’ignara sorella (Iph. Taur. 500 to; me;n divkaion Dustuch;" kaloivmeq∆
a[n): anche in questo caso si tratta di una congettura basata sulla testimonian-
za malaliana, perché L riporta dustucei`" legandolo alla persona del verbo
(kaloivmeq∆), anche se nella serrata sticomitia Oreste si esprime sempre al
plurale per far riferimento a sé e alla propria esperienza (vd. vv. 501 sgg.);
j. più enigmatica è la descrizione del riconoscimento di Oreste da parte di Ifi-
genia: dal confronto con il testo tragico emerge una distanza non giustificabi-
le con un normale Mißverständnis. Nell’Iph. Taur. la prova decisiva è data

4
Bentley [1962], p. 295, secondo cui, per conservare questa lezione, si potrebbe in-
tervenire sul testo del v. 242, sostituendo plavth/ con pevtran (… kuanevan Sumplh-
gavdwn / pevtran fugovnte" …), in base al confronto con Iph. Taur. 746 (kajgw; se; swv-
sw kuaneva" e[xw pevtra"), 889-890 (… dia; kuaneva" mh;n / stenopovrou pevtra" …).
Wecklein (1898) optava per kuaneva" Sumplhgavdwn, Platnauer (1938) per kuanevan
Sumplhgavda; vd. ora Sansone 1981, v. 241 appar.
5
Sul testo si è spesso intervenuti: gh`" novmon Nauck; gh`" sch`m∆ Monk, Diggle. Anche
in relazione alla testimonianza di Malala, Sansone 1981 nella recente edizione teub-
neriana conserva il testo tràdito.
I drammi noti 13

dalla descrizione dell’antica lancia di Pelope, con la quale l’eroe aveva ucciso
Enomao e che era conservata nella reggia argiva proprio nella stanza di Ifige-
nia (vv. 822 sgg.);6 il racconto malaliano introduce una variante inaspettata e
anomala: il tekmhvrion è un tatuaggio di olivo sulla spalla che distingue i veri
discendenti di Pelope. Oreste mostrerà alla sorella to; Pelovpeion suvsshmon e
ciò garantirà finalmente il riconoscimento (Chron. 107, 21 sgg.). La leggenda
sembra non avere alcun legame con il testo euripideo (forse il punto di par-
tenza può essere il fraintendimento di Pevlopo" palaia;n ≈ ejlaivan?), anche
se non è priva di riscontri.7

Dal confronto tra il brano della Chronographia e la tragedia si evince la na-


tura della “fedeltà” malaliana alla fonte poetica: essa si esprime soprattut-
to attraverso la conservazione saltuaria del discorso diretto e la ripresa di
alcune iuncturae tragiche. Anche alcune “deformazioni” si spiegano me-
glio come il frutto di una lettura poco avvertita del testo tragico, non me-
diata dalla tradizione erudita, piuttosto che come un segno della dipen-
denza da fonti intermedie; così ad esempio, la confusione tra la Scizia e
l’Aulide, che precede il racconto mitico su Ifigenia (104, 70 Th. ejpi; th;n
Aujlivda cwvran th`" Skuqiva"), sembra basarsi sulle “conoscenze” persona-
li di Malala, che dunque legge e fraintende in modo autonomo i versi eu-
ripidei. Inoltre, va notato come i discorsi diretti conservino più fedelmen-
te delle parti narrative la dizione tragica: elemento prezioso per giudicare
quei brani della Chronographia che fanno riferimento a tragedie euripidee
“perdute” e nei quali ricorrono, analogamente, orationes rectae.8 La pos-
sibilità che esse siano la traccia di una lettura diretta della tragedia (o di
parti di essa, come il prologo) resta verosimile proprio sulla scorta di
quanto si è potuto verificare nel caso dell’Ifigenia Taurica.

6
L’uccisione di Enomao con una lancia è variante rara; secondo la vulgata il re di Pi-
sa morì cadendo dal carro manomesso dall’auriga Mirtilo, mentre gareggiava con
Pelope che voleva in moglie Ippodamia (Pher. FGrHist 3 F 37a = 185 Dolcetti =
schol. Ap. Rh. I 752; Ap. Rh. I 752 sgg.; meno esplicito è Pind. Ol. 1, 75 sgg., che ta-
ce dell’astuzia dell’auriga e attribuisce la vittoria solo alla velocità dei cavalli donati
a Pelope da Poseidone). In [Apoll.] Epit. 2, IX, si fa allusione all’uccisione di Eno-
mao da parte di Pelope (kata; dev tina" [sc. to;n Oijnovmaon] ajnaireqh`nai uJpo; tou`
Pevlopo").
7
Secondo Bentley ([1962], p. 296) ejlaivan sta per ejlevfanta (cfr. Pind. Ol. 1, 27 ej-
levfanti faivdimon w\mon kekadmevnon; vd. anche Paus. V 13, 3). Sulla spalla d’avorio
come segno di riconoscimento dei Pelopidi vd. anche Tzetz. schol. Lycophr. 152, do-
ve si fa contestualmente riferimento anche alla lovgch, gnwvrisma per gli Spartani.
Sul tenore arcaico della leggenda vd. Detienne 1990, pp. 70 e 199 n. 36. Sull’olivo
legato alla nascita di Meleagro vd. infra, pp. 36 sgg.
8
Sull’uso del discorso diretto in Malala vd. Wyatt 1976, pp. 114 sgg.
14 Euripide in Giovanni Malala

Bacchantes (Chron. 31, 9-12 Th.)


Il riferimento alle Baccanti euripidee fa parte di un brano in cui Malala
ricorre a più fonti (E. Jeffreys parla opportunamente di «clusters of refe-
rences»: 1990, p. 170),9 e probabilmente si configura come una citazione
“a memoria”. In questo caso essa è funzionale alla rilettura razionalistica
del mito di Dioniso e Penteo,10 in relazione alla quale tutti gli argomenti
a favore della nascita divina di Dioniso vengono sistematicamente
“smontati”: sua madre era Semele, figlia di Cadmo e sorella di Agave,
che aveva avuto una relazione adulterina con un certo Polimedone, figlio
di Eterione della stirpe di Pico Zeus;11 Dioniso nacque prima del tempo
– dopo sette mesi di gestazione – perché Semele subì un forte spavento
durante un temporale pieno di lampi (kai; ejn tw/̀ e[cein aujth;n ejn gastri;
to;n pai`da ceimw`no" o[nto" ejgevnonto ajstrapai; megavlai kai; brontaiv: 30,
61-63 Th.); il bimbo fu allevato a Nusiva dove apprese la coltura della vi-
te e la scienza dei misteri, e ciò gli valse la divinizzazione (da cui il nome
Diov-nuso");12 la natura mortale di Dioniso trovava una conferma nella
tomba sita a Delfi la cui epigrafe suonava in modo esplicito e incontro-
vertibile (ejnqavde kei``tai qanw;n Diovnuso" ejk Semevlh", 32, 37 Th.).13

9
Il cronista fa riferimento a Palefato (30, 68-69 Th.), a Dinarco, a Filocoro e a Cefa-
lione (32, 38-39 Th.). Secondo S. Reinert (1985, pp. 5 e 20 sgg.), Malala si serve in
realtà solo di due fonti, delle Baccanti euripidee e, per la parte finale sulla tomba di
Dioniso, del Chronicon di Eusebio: il brano si configurerebbe come una reinterpre-
tazione della vicenda di Dioniso «in terms of contemporary categories of secular,
political experience» (p. 17), condotta dal cronista sulla falsariga della tragedia, che
conosceva integralmente o per excerpta (vd. anche pp. 4 e 26).
10
Così anche Reinert 1985, p. 14.
11
Zeus è Pi`ko" Zeuv", un re dell’Italia dai molti figli e figlie, che, secondo una tradi-
zione molto probabilmente nota al cronista, furono i principali artefici della diviniz-
zazione del padre (cfr. Diod. Bibl. VI 5, etc.). La sua storia si conserva solo negli Ex-
cerpta Latina Barbari e nel libro I della Chronographia malaliana (8 sgg. Th.), in cui
si narra come Crono, re assiro, lasciasse il suo trono al figlio Pico-Zeus per recarsi in
Occidente, dove in seguito venne raggiunto dal figlio che lo uccise e divenne re del-
l’Italia; secondo B. Garstad la storia di Cadmo come è riferita da Nonno di Panopo-
li (Cadmo assiro) potrebbe rappresentare il modello su cui è stata costruita quella di
Pico-Zeus: Garstad 2003; vd. anche Garstad 2002 e Hörling 1980, pp. 63 sgg.
12
Su tale paretimologia vd. Reinert 1985, pp. 7 e 34 n. 26. Sulla divinizzazione di
Dioniso in quanto “scopritore” del vino vd. già Eus. Praep. Ev. II 2, 3-5, probabile
fonte di Malala: cfr. sull’argomento Jeffreys 1990, p. 170; Hörling 1980, pp. 55 sgg.
e 105-110; Reinert 1985, pp. 7 sgg. e 34 n. 31.
13
La notizia era tratta probabilmente da Eusebio, la cui fonte era Filocoro via Di-
narco (così Reinert 1985, p. 21). Il riferimento a Cefalione appare un’aggiunta: su
I drammi noti 15

Malala ricorre alla citazione di alcuni versi delle Baccanti euripidee in


relazione al conflitto tra Dioniso e Penteo: anche in questo caso, il croni-
sta ha spogliato la vicenda dei tratti misterici che tradizionalmente la
connotavano, e ha trasformato la vicenda in un semplice conflitto tra cu-
gini per ottenere il potere sulla Beozia. La decapitazione di Penteo è stata
opera del nemico Dioniso, e non della madre Agave, che fu solo colpevo-
le di aver creduto ingenuamente in una possibile riconciliazione tra i cu-
gini (31, 21-23 Th. dia; tou`to de; levgousin th;n ∆Agauvhn ajpokefalivsasan
to;n i[dion aujth`" uiJovn, diovti e[peisen to;n Penqeva filiwqh`nai tw/̀ Dionuvsw/
kai; aijtiva gevgone tou` qanavtou tou' ijdivou aujth`" uiJou`).14
Nello scontro tra Penteo e Dioniso, giocano un ruolo anche le offensi-
ve insinuazioni di Penteo sulla nascita illegittima del cugino; a tale pro-
posito, Malala introduce una citazione dalle Baccanti euripidee, estrapo-
lando suo more i versi in cui Dioniso lamenta le calunnie contro la sua
paternità divina (Ba. 26 sgg.),15 ma attribuendoli erroneamente a Penteo,
l’eroe razionale della tragedia:
Ba. 26 sgg.
DIO. ejpeiv m∆ ajdelfai; mhtrov", a}" h{kista crh`n,
Diovnuson oujk e[faskon ejkfu`nai Diov",
Semevlhn de; numfeuqei`san ejk qnhtou` tino"
ej" Zh`n∆ ajnafevrein th;n aJmartivan levcou",
Kavdmou sofivsmaq∆, w|n nin ou{neka ktanei`n
Zh`n∆ ejxekaucw`nq∆, o{ti gavmou" ejyeuvsato.

Chron. 31, 9-12 Th.


dia; tou``to de; kai; oJ Eujripivdh" meta; crovnou" euJrhkw;" to; toiou``ton suvggram-

quest’ultimo, che Suda, s.v. Kefalivwn h] Kefavlwn, definisce rJhvtwr kai; iJstorikov" (k
1449 Adler = FGrHist 93 T 1), si sa ben poco: compose un’opera storica in nove li-
bri, ognuno dei quali intitolato a una Musa, che trattava di un ampio periodo stori-
co (dal regno di Semiramide ad Alessandro Magno). Lo stile di Cefalione, che Fozio
definiva eccessivamente conciso (tou` proshvkonto" plevon th/` suntomiva/ ajpocrwvme-
no", Phot. Bibl. 68, 34 = FGrHist 93 T 2), era caratterizzato dal ricorso desultorio a
diverse fonti, probabilmente non sempre consultate di prima mano. Spiccava inoltre
un netto intento razionalistico nella reinterpretazione del mito e della storia antichi,
che è ben riconoscibile anche nelle citazioni malaliane: per un quadro completo del-
le testimonianze su Cefalione vd. FGrHist 93; Jacoby 1921; Reinert 1985, p. 40 nn.
86-87.
14
Sulle affinità tra la “riabilitazione” di Agave e quella di Fedra (Chron. 64-65 Th.:
vd. infra, pp. 18 sg.) vd. Reinert 1985, p. 19.
15
La calunnia sulle origini oscure di Dioniso era opera di Cadmo e delle sorelle di
Semele (Ba. 26 sgg.); sulla lettura malaliana vd. anche Bentley [1962], p. 261.
16 Euripide in Giovanni Malala

ma ãperi;Ã tw`n Bakcw`n ejxevqeto dra`ma poihtikw`" (Sl) wJ" ajpo; Penqevw" eijpw;n
tau``ta: Semevlh de; loceuqei``sa ejk brotou`` tino" eij" Zh``na fevrousa th;n aJmar-
tivan levcou".16

Nella citazione, l’incipit del v. 3 delle Baccanti (Semevlh loceuqei``s∆ aj-


straphfovrw/ puriv) è fuso insieme con i vv. 28-29 (Semevlhn de; numfeu-
qei`san ejk qnhtou` tino" / ej" Zh`n∆ ajnafevrein th;n aJmartivan levcou"); i
versi non sono tràditi per via indiretta, se si eccettua la testimonianza del
Christus patiens, in cui la Vergine Qeotovko", rivolgendosi a Giuseppe di
Arimatea, si lamenta di coloro che non accolsero il Salvatore e calunnia-
rono la sua maternità divina, usando le stesse parole del Dioniso euripi-
deo (vv. 1547 sgg. Tuilier):
ajll∆ ejggenei`" sh`" mhtrov", ou}" h{kist∆ ejcrh`n
qaumasta; polla; sfivsin ejxeirgasmevnon
a[rrht∆ ajmuhvtoisin eijdevnai brotoi`"
swth`rav s∆ oujk e[faskon ejkfu`nai Qeou`
ajllav me numfeuqei`san ejk qnhtou` tino;"
tekei`n s∆ ejlhvroun kai; gavmou" yeusamevnhn
levcou" aJmavrthm∆ ej" Qeovn m∆ ajnafevrein:

Va notato come rispetto al Christus patiens, che pur nella rielaborazione


centonica si rivela fedele al testo tragico,17 la citazione malaliana sembri
tradire una reminiscenza mnemonica, perché l’errore è reso possibile
dalla somiglianza degli incipit dei diversi passi (vd. anche l’omoteleuto
dei due verbi numfeuqei`san: v. 28 / loceuqei``s(a): v. 3).18

16
levcou" è congettura del Chilmeadus, O riporta levgei; «alla maniera poetica»
(corrispondente al gr. poihtikw`") compare solo nella traduzione slava (Sl). Va notata
la singolarità dell’espressione malaliana (Euripide compose la sua tragedia dopo
aver scoperto uno scritto sul mito): per Reinert si tratterebbe di un espediente del
cronista per giustificare la scelta della tragedia come fonte del suo racconto (1985,
p. 4).
17
La Vergine rievoca l’ostilità degli ejggenei`" sh`" mhtrov" così come Dioniso accusa
ajdelfai; mhtrov" (Ba. 26): sulla raffinatezza della tecnica centonica dell’autore del
Christus patiens (Gregorio di Nazianzo?) vd. Trisoglio 1981. Per l’importanza del-
l’opera ai fini della costituzione del testo delle Baccanti vd. ora Conca 2002, pp. 54
sgg. (con bibliografia).
18
Secondo Reinert la citazione tradisce una lettura diretta della tragedia o di parti di
essa (1985, p. 4). Per una “citazione a memoria” è Jeffreys 1990, p. 179.
I drammi noti 17

Andromacha; Heraclidae (Chron. 93, 85-88 Th.)


Un particolare esempio di citazione “a memoria”, priva di riferimenti
espliciti a Euripide o alle sue tragedie, ricorre in Chron. 93, 85-88 Th., al-
l’interno di un brano sulle vicende di Troia per le quali Malala si serviva
come fonte non di Omero ma di Ditti il Cretese.19 Il cronista narra come
Teucro, accorso a Troia da Salamina di Cipro per venire in aiuto del fra-
tello Aiace, incontrasse Pirro dal quale venne a sapere tutte le fasi della
vicenda, e in particolare l’onore reso alle spoglie di Aiace da parte del fi-
glio di Achille. Ammirato esclamò:
oujde;n xevnon pepoivhka": ejkeivnh" ga;r th`" ∆Acillevw" qeiva" freno;" uJpavrcei"
uiJov". Leivyana ga;r tw`n ajgaqw`n ajndrw`n ajfairei`tai oJ crovno", hJ de; ajreth;
kai; qanou`sa lavmpei.

Nel discorso sono riportate due citazioni euripidee appartenenti a due


tragedie diverse: la più ampia è tratta da uno stasimo dell’Andromaca, in
cui il coro loda la virtù del vecchio Peleo (774-776), e si distingue per la
notevole fedeltà al testo tragico, rara in Malala (… ou[toi leivyana tw`n aj-
gaqw`n / ajndrw`n ajfairei`tai crovno": aJ d∆ ajreta; / kai; qanou`si lavmpei).20
L’altra citazione è molto più breve (qeiva" freno;") ma appartiene a una
frase che condivide con il passo euripideo il tenore complessivo: anche in
questo caso le parole sono rivolte a una figlia (Macaria) che come Pirro è
degna del valore paterno (Hrcl. 539 sgg. w\ tevknon, oujk e[st∆ a[lloqen to;
so;n kavra / ajll∆ ejx ejkeivnou spevrma th`" qeiva" freno;" / pevfuka" ÔHrav-
kleio": ktl.).
Le citazioni “a memoria” prive di riferimento all’autore (Euripide) ap-
paiono estranee al modus operandi malaliano e costituiscono un unicum;

19
Va ricordato che Malala è il più importante testimone della versione greca di Ditti
il Cretese, di cui fino agli inizi del 1900 si conosceva solo la traduzione latina di Lu-
cio Settimio (Eisenhut 19732). Nel 1907 la pubblicazione del P. Tebt. dimostrò l’ef-
fettiva esistenza di una versione greca di Ditti (vd. Grenfell-Hunt-Good 1907; vd.
anche P. Oxy. 2539 in Barns 1966): cfr. Patzig 1908, pp. 382 sgg.; Wyatt 1976, pp. 15
sgg. e 118 sgg.; Kokoszko 1998, pp. 55 sgg.; vd. ora Lapini 1997. Tuttavia la tecni-
ca compositiva malaliana, che tende ad arricchire il racconto con citazioni di diversa
provenienza, rende più complicata la ricostruzione del testo di Ditti: Jeffreys 1978,
pp. 120 sgg.
20
Come notava già il Chilmeadus (apud Dindorf 1831, pp. 127 sg.), in Euripide
leivyana indica il buon nome che il tempo non può sottrarre, mentre Malala si rife-
risce alle “spoglie” di Aiace, che ha citato appena prima (oJ Puvrro" […] tefrwvsa"
to;n Telamwvnion Ai[anta kai; labw;n ejn uJdriva/ e[qaye meta; timh`" megavlh" plhsivon
tou` tuvmbou tou` ∆Acillevw"). Vd. anche qanou`sa pro qanou`si.
18 Euripide in Giovanni Malala

per la prima e più ampia citazione (Andr. 774-776) va notato che essa è
presente nella tradizione gnomologica e paremiografica (Stob. Anth. III
1, 2; Arsen. 13, 19d), per cui si può supporre che il cronista ne avesse
una conoscenza solo mediata.

Hippolytus (Chron. 64, 1-5 Th.)


Il riferimento all’Ippolito euripideo appartiene a una categoria particola-
re di citazioni euripidee, in cui Malala trasforma vistosamente il mito,
sottoponendolo a una decisa rilettura evemeristica. In questo caso, la ci-
tazione malaliana è evidentemente di seconda mano, debitrice di una rie-
laborazione critica già di per sé deformante, e dunque non apporta nulla
sul piano testuale: il riferimento alla versione euripidea serve al cronista
solo per prenderne polemicamente le distanze:
Chron. 64, 1-5 Th.
ejn aujtoi`" de; toi`" crovnoi" ejqrulei`to ejn th`/ Qessaliva/ oJ yeuvsth" povqo" th``"
Faivdra" oJ pro;" ÔIppovluton, to;n provgonon aujth`", uiJo;n de; Qhsevw" ejk pal-
lakh`": peri; h|" oJ sofwvtato" Eujripivdh" meta; tau`ta sunegravyato dra`ma
poihtikw`".

L’elemento più interessante della ricostruzione malaliana è certamente la


swfrwsuvnh di Fedra, che rende l’eroina un modello di virtù ingiusta-
mente misconosciuta;21 la versione “moralistica” è attribuita al retore e
storico Cefalione (I sec. d.C.),22 probabilmente noto a Malala attraverso
Domnino,23 che criticò la vulgata euripidea (65, 33-35 Th.): kaqw;" Kefa-
livwn oJ sofwvtato" sunegravyato tau`ta, levgwn o{ti mavthn peri; th`" swv-
frono" Faivdra" to;n kata; ÔIppovluton povqon ejmuqolovghsan, poihtikw`"
peri; aujth`" plasavmenoi (che con poihtikw`" ci si riferisca anche a Euripi-
de è reso evidente da quanto è sostenuto da Malala all’inizio del brano:
peri; h|" oJ sofwvtato" Eujripivdh" meta; tau`ta sunegravyato dra`ma poih-
tikw`").
In modo singolare, non solo Ippolito è casto e devoto alla dea Artemi-
de (64, 8-11 Th. oJ de; ÔIppovluto" th/` qeva/ h\n tevleio" … swvfrwn de; kai;

21
Cfr. anche Tzetz. Chil. VI 56, 499 sgg. Su questa versione come «Usurpation einer
heidnischen Mythe», vd. Hörling 1980, pp. 127-129; vd. ora Kokoszko 1998, pp.
162 sg. Sulla dipendenza di Tzetze da Malala anche quando cita altri cronisti (Fida-
lio, Cefalione, etc.) vd. Patzig 1901a.
22
Su Cefalione vd. supra, n. 13.
23
Così Müller, FHG, III, 630, e Jeffreys 1990, p. 185.
I drammi noti 19

h{suco"), ma anche Fedra (64, 7-8 Th. th/` de; qeva/ h\n hJ Faivdra teleiva, …
swvfrwn), tanto che il racconto sulla sua novso" amorosa si rivela nient’al-
tro che uno yeuvsth" povqo". L’accusa contro Ippolito che spinge Teseo a
punire ingiustamente il figlio viene da anonime calunnie cittadine (64,
11-12 Th. oJ de; Qhseu;" basileu;" ajkouvsa" ta; qrulouvmena ejn th/` povlei
ktl.) e finisce per coinvolgere anche l’innocente (wJ" pavnu swvfrwn) Fe-
dra che si darà la morte (65, 30 sgg. Th.).

Cyclops (Chron. 87, 80-94 Th.)


Anche la citazione del Ciclope euripideo24 è molto probabilmente “di se-
conda mano”, perché Malala presenta la trama del dramma satiresco at-
traverso la lente deformante dell’interpretazione allegorica di Fidalio (o
Fidia) di Corinto;25 lo dimostrano le espressioni shmaivnwn (87, 82 Th.),
toutevsti (87, 86; 90 Th.), e soprattutto la perifrasi che conclude il brano:
h{ntina eJrmhneivan oJ sofwvtato" Fidavlio" [Feidiva" O] oJ Korivnqio" ejxev-
qeto, eijrhkwv", o{ti oJ sofo;" Eujripivdh" poihtikw`" pavnta metevfrase, mh;
sumfwnhvsa" tw`/ sofwtavtw/ ÔOmhvrw/ ejkqemevnw/ th;n ∆Odussevw" plavnhn
(87, 91-94).26 Il riferimento a Euripide non è dunque significativo in rela-
zione all’effettiva conoscenza dei testi del tragediografo da parte del cro-
nista, perché il dra`ma arriva a Malala già nella sua reinterpretazione ra-
zionalistica, che l’ha reso per molti versi irriconoscibile: Euripide avreb-
be rappresentato il Ciclope come un mostro con tre occhi, allegoria dei

24
In realtà, Malala non cita il nome dell’opera, definita genericamente dra`ma, né fa
riferimento alla presenza dei satiri e di Sileno, ma l’argomento orienta per tale iden-
tificazione.
25
L’ultimo editore della Chronographia (Thurn) opta per Fidavlio", tràdito nella
versione slava (Sl), ma O presenta in questo passo Feidiva" e Feidalivo" in 89, 56
Th.: Fidalio o Fidia di Corinto è citato solo da Malala in relazione ai miti del Ciclo-
pe e di Circe (89, 52-90, 72 Th.). Il nome è probabilmente una dorizzazione del co-
mune Fidhvlio" (Jacoby, FGrHist, Ia, 30, p. 501). Visse intorno al II sec. a.C. e fu
forse autore di un manuale mitologico in versi (così Jeffreys 1978, p. 123 n. 54): cfr.
Jacoby, l.c.; Jeffreys 1990, p. 189. La Jeffreys non esclude una lettura diretta di Fida-
lio da parte di Malala (1990, p. 179).
26
L’analisi di Fidalio comprendeva dunque anche un confronto con la versione
omerica e mirava a enfatizzare le “distanze” euripidee; l’argomento ha interessato
anche i moderni: vd. Wetzel 1965; Lange 2002, pp. 191-223. Com’è noto, l’avventu-
ra odissiaca è stata spesso al centro di rielaborazioni e parodie, soprattutto in ambi-
to comico (cfr. Epich. CGF frr. 81-83; Crat. PGC IV, frr. 143-157; Callia PGC IV, frr.
5-13; etc.): vd. Eitrem 1922, coll. 2335-2336.
20 Euripide in Giovanni Malala

tre fratelli che si spartirono concordemente il potere sull’isola (Sicilia);


inoltre l’accecamento di un occhio del Ciclope da parte di Odisseo (ejtuv-
flwse to;n ojfqalmo;n aujtou` to;n e{na, 87, 87-88 Th.) andrebbe inteso co-
me travestimento metaforico di una vicenda amorosa, in cui il fuoco del
tizzone si trasforma nel fuoco della passione che brucia l’unica figlia di
Polifemo, Elpe, e la spinge a fuggire con i Greci (diovti th;n qugatevra th;n
monogenh` tou` ajdelfou` aujtou` Polufhvmou “Elphn, parqevnon ou\san,
lampavdi puro;" ejrwtikou` kauqei`san, h{rpase, 87, 88-90 Th.).27
La storia dei tre occhi del Ciclope come allegoria dei tre fratelli che do-
minavano la Sicilia in piena concordia non trova altro punto d’appoggio
nel testo euripideo se non nel fatto che in esso si insiste, a differenza che
in Omero,28 sull’affetto fraterno che stranamente lega tali esseri selvaggi.
Mentre si appresta a godere del banchetto e del vino, in quello che è sta-
to definito un «komos mancato»,29 il Ciclope comunica al coro il deside-
rio di dividere tali gioie con i fratelli (Cycl. 507 sgg. uJpavgei m∆ oJ covrto"
eu[frwn / ejpi; kw`mon h\ro" w{rai" / ejpi; Kuvklwpa" ajdelfouv"; 531 ouj crhv
m∆ ajdelfoi`" tou`de prosdou`nai potou`…), mentre i satiri lo esortano a non
spartire il vino con nessuno, per evitare danni e intemperanze (vv. 532
sgg.). Tale “spirito fraterno” potrebbe aver indotto Fidalio a insistere sul-
la concordia che legava i tre fratelli nel governo dell’isola (shmaivnwn tou;"
trei`" ajdelfouv", wJ" sumpaqou`nta" ajllhvloi" kai; diablepomevnou" tou;"
ajllhvlwn tovpou" th`" nhvsou kai; summacou`nta" kai; ejkdikou`nta" ajllhv-

27
La versione mitica è conservata anche da hypoth. Od. 16-37; Ioh. Antioch. fr. 48.2,
17-32 Roberto; Tzetz. Chil. X 360, 934-941; la fonte è Sisifo di Cos, mitografo che
probabilmente attinse a Ditti Cretese (cfr. Patzig 1903, pp. 231 sgg.; Patzig 1893):
«dein per misericordiam Polyphemi in amicitiam receptus filiam regis Arenen, post-
quam Alphenoris socii eius amore deperibat, rapere conatus, ubi res cognita est, in-
terventu parentis puella ablata per vim exactus (est)» (Dict. Lat. VI 5): vd. Jacoby,
FGrHist 50 F 3, Ia, pp. 530 sgg.; Wüst 1937, coll. 1961 sg.; Kokoszko 1998, pp. 55
sg. Secondo Jacoby (l.c.), sia il nome di Elpe in Malala che quello di Alpenore in
Ditti richiamano quello di Elpenore, il giovane compagno di Odisseo che muore ca-
dendo dal tetto in Od. X 552 sgg. Come fa opportunamente notare E. Hörling, die-
tro le espressioni malaliane to;n ojfqalmo;n aujtou` to;n e{na (87, 88 Th.) e th;n qugatev-
ra th;n monogenh` (ibid.) si cela la versione originaria del mito (adottata anche da Eu-
ripide) secondo cui il Ciclope era monocolo (1980, p. 151 n. 29).
28
In Hes. Th. 139 sgg., i Ciclopi sono tre fratelli (Bronte, Sterope e Arge), figli di
Gea (così anche in Eur. Cycl. 648: monw`pa pai`da Gh`") e non della ninfa Toosa (Od. I
71). Sulle affinità tra Euripide ed Esiodo vd. Eitrem 1922, col. 2336. I Ciclopi in
Euripide sono esplicitamente definiti monw`pe" (21) secondo quanto sosteneva Esio-
do (Th. 143) ma non Omero.
29
Rossi 1971.
I drammi noti 21

lou", 87, 82-84 Th.) e a interpretare in tal senso la diffusa rappresenta-


zione iconografica del Ciclope triovfqalmo".30
Singolare è anche la lettura dell’accecamento di un occhio del Ciclope
come allegoria del rapimento della nipote Elpe, figlia di Polifemo, che si
era innamorata perdutamente di un compagno di Odisseo: labw;n ∆Odus-
seu;" lampavda puro;" ejtuvflwse to;n ojfqalmo;n aujtou` to;n e{na, diovti th;n
qugatevra th;n monogenh` tou` ajdelfou` aujtou` Polufhvmou “Elphn, parqev-
non ou\san, lampavdi puro;" ejrwtikou` kauqei`san, h{rpase (87, 87-90
Th.). Secondo Jacoby (FGrHist 50 F 3, Ia, pp. 530 sgg.), l’origine del rac-
conto va rintracciata nell’episodio dell’incontro dei compagni di Odisseo
con la figlia di Antifate, re dei Lestrigoni, che viene loro incontro mentre
si reca alla fonte (Od. X 105 sgg.); da notare che nel racconto malaliano,
che dipende da Sisifo (87, 80 Th.), il re dei Lestrigoni è appunto uno dei
Ciclopi (∆Antivfanto": O; ∆Antivfato": Sl; 86, 65 Th.). È probabile inoltre
che nell’interpretazione tarda si fosse compiuta una fusione tra l’immagi-
ne omerica di Polifemo a[grio" e uJbristhv" e quella di Polifemo innamo-
rato di Galatea (Philox. PMG 821),31 tale da avvalorare la contaminazio-
ne tra le due sfere (eroica ed erotica).

Tuttavia, poiché secondo Malala Fidalio di Corinto fondava la propria inter-


pretazione proprio sul Ciclope euripideo, è lecito tentare di individuarne il
punto di partenza nello stesso dramma satiresco. In due passi Euripide de-
scrive il momento dell’accecamento dell’occhio del mostro facendo ricorso al
termine kovrh:

Cycl. 460 sgg.


Od. Nauphgivan d∆ wJseiv ti" aJrmovzwn ajnh;r
diploi`n calinoi`n truvpanon kwphlatei`,
ou{tw kuklwvsw dalo;n ejn faesfovrw/

30
È noto che nelle rappresentazioni vascolari il Ciclope appare sia monocolo che
con tre occhi, uno frontale e gli altri due nella consueta posizione; non mancano Ci-
clopi con due occhi: vd. Touchefeu-Meynier 1992; Touchefeu-Meynier 1997, pp.
1011 sgg. Interessante è la raffigurazione in un cratere italiota (410 a.C.) che, per la
contestuale presenza di satiri, sembra dipendere dal Ciclope euripideo: il mostro è
ritratto con tre occhi, addormentato accanto a una coppa, mentre tre uomini trasci-
nano un grosso palo e sopraggiungono tre satiri: Touchefeu-Meynier 1992, p. 157,
fig. 27. Vd. Scherling 1952, col. 1816. Anche in ambito letterario la quaestio restava
aperta: cfr. Serv. In Verg. Aen. III 636: «multi Polyphemum dicunt unum habuisse
oculum, alii duos, alii tres».
31
Cfr. Theocr. Id. 6 e 11; Call. Ep. XLVI Pf.; vd. anche Tim. FGrHist 566 F 69;
Prop. III 2, 9 sg.; Nonn. D. XXXIX 257-264; XL 553-557; etc.
22 Euripide in Giovanni Malala

Kuvklwpo" o[yei kai; sunauanw` kovra"

Cycl. 610-611
Co. puri; ga;r tavca
fwsfovrou" ojlei` kovra".

Com’è noto, kovrh indica sia la fanciulla che la pupilla dell’occhio, o per sem-
plice sinonimia o in virtù di una relazione metaforica, forse risalente a Empe-
docle, che ne fa uso nel Peri; fuvsew" (31 F 84, 7-8 D.-K. = 9, 7-8 Gallavotti).
Il filosofo agrigentino, infatti, descrivendo la creazione dell’occhio ad opera
di Afrodite, ricorre a un’immagine che gioca sul duplice significato di kovrh
(bimba / pupilla):

w}" de; tovt∆ ejn mhvnigxin ejergmevnon wjguvgion pu`r


lepth`/sin ãd∆à ojqovnh/si locavzeto kuvklopa kouvrhn

così allora era stata serrata nelle membrane la primordiale fiamma


e con morbidi lini [sc. Afrodite] avviluppò la rotonda pupilla.
(trad. Gallavotti)

Il passo empedocleo è citato da Aristotele (De sens. 2, 437b) e commentato


da Alessandro di Afrodisia (De sens. 23, 8 sgg.), che interpretava l’intera
espressione empedoclea come un’immagine poetica scaturita dall’omonimia
esistente tra kovrh «bambina» (fasciata dai lini) e kovrh «pupilla» (fasciata da
membrane). L’atto della dea viene connotato in modo che evochi «la délica-
tesse féminine; le feu se transforme, dans les mains de l’habilleuse Aphrodite,
en jeune fille, en pupille drapée dans la membrane».32 Platone ne tentava una
spiegazione metaforica, attribuendo lo slittamento semantico al fatto che nel-
la pupilla dell’occhio appare riflessa un’immagine come in uno specchio
(Alc. I, 132e-133a; cfr. anche Alcmae. 24 A 5 D.-K.).33 Nelle parole di Empe-
docle la pupilla-bambina è detta anche «dall’occhio rotondo», in una iunctu-

32
Bollack 1965, p. 325. Sull’originaria accezione dell’agg. kuvklwy «dal rotondo oc-
chio»: vd. Chantraine, DELG, s.v.; vd. anche Traglia 1952, pp. 120 sgg. Secondo J.
Bollack, il passo empedocleo, che risente fortemente di Omero, si configura come
una metafora analogica, in cui l’immagine della pupilla-bambina, avviluppata dalle
fasce, si fonde con quella dell’occhio unico del Ciclope: 1965, p. 301 e n. 2. Vd. an-
che Wright 1981, p. 20.
33
Per una semplice omonimia è invece C. Gallavotti, che porta a confronto il latino
pupula (1975, p. 206). Per un commento approfondito del complesso frammento
vd. Bollack 1969, pp. 314 sgg. Il termine kovrh «pupilla» è attestato nel Fineo sofo-
cleo (fr. 710 Radt: cfr. la parodia in Aristoph. Pl. 633 sgg. e schol. 635) e ampiamente
in Euripide (Med. 922; 1174-1175; Andr. 532; Hec. 972; HF 1111; Ion 876; Or. 389;
etc.).
I drammi noti 23

ra che necessariamente richiama le caratteristiche del kuvklwy per antonoma-


sia.34
Ora, anche i passi citati del Ciclope, pur risentendo del tenore della descrizio-
ne omerica (Od. IX 375 sgg.), rivelavano un compiaciuto gioco di parole sul-
la natura dell’occhio-pupilla (ejn faesfovrw/ … o[yei, vv. 462-463; fwsfovrou"
… kovra", v. 611)35 del Ciclope e sulla circolarità del movimento necessario a
produrre l’accecamento attraverso il tizzone (kuklwvsw ≈ Kuvklwy), che, ol-
tre a tradire forse un’eco empedoclea, potevano offrire il fianco a interpreta-
zioni “fantasiose”. Come nel caso dei tre fratelli ≈ tre occhi, è probabile che
la lettura (eJrmhneiva) di Fidalio forzasse il testo drammatico a proprio uso,
senza però prescinderne completamente.

34
Così Eustath. In Hom. Od. I 21, 32-34 o{ti de; to; Kuvklwy drimevw" h[toi glukevw"
ejrrevqh kai; qhlukw`" ejpi; o[yew", dhloi` oJ eijpw;n “kuvklwpa kovrhn”; II 224, 4-6 wJ" de;
ejk tou` Kuvklwpo" tou` poihtikou` parapoihvsa" ∆Empedoklh`" “kuvklwpa kouvrhn”
e[fh th;n tou` ojfqalmou` kata; lovgon drimuvthto", ejdhlwvqh kai; ajllacou`.
35
Qualche problema è stato ravvisato nell’uso del plurale (kovra"): così Seaford, che
lo definisce «surprising» (1984, p. 214). Da notare anche l’epiteto fwsfovro", sul
quale si esercita l’ironia euripidea, forse con un riferimento alla maggiore luminosità
dell’occhio una volta infuocato (Seaford) o alla sua imminente trasformazione in
«involontario dadoforo» (l’epiteto è proprio di divinità portatrici di fiaccole: Napo-
litano 2003, p. 134). Non si può escludere un riferimento alla teoria empedoclea del
fuoco che riluce nell’occhio come in una lanterna: cfr. Plat. Tim. 45b (fwsfovra …
o[mmata).
I drammi “perduti”

Si è visto come, pur nell’interpretazione evemerizzante del mito antico,


si possa spesso individuare proprio nel testo tragico il punto di partenza
che giustifichi il più o meno voluto Mißverständnis malaliano (Ba., Iph.
Taur., Cycl.). Nel prendere in considerazione i drammi tràditi solo in mo-
do frammentario (di cui a volte non si possiede neppure l’hypothesis), è
più arduo e a volte impossibile operare un confronto di tal genere: in al-
cuni casi (Oed., Meleag.) è difficile anche solo individuare il rapporto
con il plot tragico originale, a causa delle varianti rare ed eccentriche dis-
seminate nel racconto. Tuttavia, anche in tali brani Malala conserva trac-
ce euripidee, che possono riguardare la trama o la focalizzazione su parti-
colari personaggi, come è stato dimostrato anche da ritrovamenti papira-
cei (cfr. Oed.). Se in questi casi, per la natura delle citazioni, il cronista si
serve probabilmente delle hypotheseis, in altri è possibile a mio avviso in-
dividuare un legame più ravvicinato con il testo, segnalato anche dall’uso
del discorso diretto (Sthen., Danae, Cret.; vd. anche Antiope); è interes-
sante che, lì dove è possibile un raffronto, la citazione faccia riferimento
al prologo della tragedia (Sthen., Phrix. B, Danae) o a un brano di grande
notorietà come la rhesis di Pasifae nei Cretesi. Ciò si concilia con quanto
si è osservato a proposito della diffusione ancora in età proto-bizantina
di raccolte di hypotheseis corredate da parti di testo (spec. prologhi: vd.
pp. 4 sg.), che potrebbero dunque configurarsi come una delle fonti del
cronista.

Oedipus (Chron. 36, 29-38, 6 Th. = Eur. [48] ii K.)


La citazione dell’Edipo nella Chronographia rappresenta un buon punto di
partenza nell’analisi dei drammi perduti euripidei, perché le scoperte pa-
piracee sono valse a conferma del breve resumé del cronista, che insisteva
sul ruolo centrale svolto dalla Sfinge all’interno della trama tragica. Inol-
tre, esistono a mio avviso altri riferimenti disseminati all’interno del brano
malaliano, che, pur convivendo con interpretazioni palesamente seriori,
possono riflettere la conoscenza più o meno mediata della tragedia.
26 Euripide in Giovanni Malala

In Chron. 36, 29-38, 6 Th., Giovanni Malala racconta il mito di Edipo,


dalla nascita fino alla lotta fratricida dei figli Eteocle e Polinice.1 Il brano
è come al solito il risultato della fusione di diverse fonti e tradizioni, alcu-
ne attestate anche in altri autori, altre completamente isolate.2 In partico-
lare, il cronista cita Palefato (ta; de; progegrammevna tau`ta pavnta oJ sofwv-
tato" Palaivfato" ajlhqh` ejxevqeto, 38, 2-3 Th.), da cui forse dipende la
storia razionalistica sulla Sfinge,3 Euripide (oJ ga;r sofwvtato" Eujripivdh"

1
Dipendono da Malala le versioni di Suda, s.v. Oijdivpou" (oi 34 Adler), di Giovanni
d’Antiochia (fr. 16 Roberto) e di Giorgio Cedreno (I 45, 1-46, 18 Bekker).
2
Secondo il racconto di Malala, dopo il matrimonio tra Laio e Giocasta, il re tebano
ricevette un oracolo che gli ingiungeva di non generare un figlio perché questi si sa-
rebbe unito incestuosamente con la madre. Malgrado l’avvertimento, nacque un
bambino che venne chiamato Iocca (Iwvkka, 36, 32 Th.; ∆Iwvkasto" coni. Valckenaer)
e fu subito abbandonato sui monti con i piedi inchiodati ad un legno. Venne trovato
da un contadino di nome Melibeo (ti" a[groiko" ojnovmati Melivboio", 36, 39 Th.),
che lo allevò dandogli il nome di Edipo dia; to; oijdaivnein tou;" povda" aujtou` (36, 43
Th.). Divenuto adulto, venne a sapere che nella regione c’era una terribile ladra di
nome Sfinge (gunhv ti" ojnovmati Sfivgx, lh/striv", 37, 57 Th.), una vedova violenta che
aveva raccolto intorno a sé una torma di ladri (lh/strikh;n cei`ra, 36, 49 Th.), insie-
me ai quali tendeva agguati a chiunque si inoltrasse tra le montagne della regione.
Lo stesso Laio e i suoi soldati erano stati più volte vittime dei suoi attacchi e solo lo
stratagemma cui ricorse Edipo, che si finse un ladro desideroso di unirsi a lei insie-
me ai suoi compagni, riuscì a sconfiggere la donna. Edipo uccise dunque la Sfinge,
si impadronì delle sue ricchezze e si presentò a Tebe dove venne acclamato re, pro-
vocando una lotta civile tra i sostenitori di Laio e quelli del giovane. Durante questa
lotta venne ucciso Laio. Edipo si sposò con Giocasta perché la regina non voleva
perdere i propri diritti regali (mh; qevlousa ejkblhqh``nai th``" basileiva", 37, 72-73), e
insieme ebbero quattro figli. Il tragico riconoscimento dell’unione incestuosa avven-
ne dopo molti anni (diciannove), a causa delle ripetute domande di Giocasta sulle
origini di Edipo e della rivelazione del vero ruolo di Melibeo. Compresa la terribile
verità, Edipo si accecò, dopo aver affidato il regno ai due figli, che avrebbero dovu-
to governare ejniauto;n par∆ ejniautovn (37, 85-86 Th.). Segue il sintetico racconto
della guerra fratricida, siglato dalla conclusione kai; ejluvqh hJ basileiva tw`n Qhbw`n,
h[toi Boiwtw`n, katascou`sa e[th txqV (38, 1-2 Th.). Per un’analisi dettagliata del bra-
no malaliano e delle sue fonti vd. Robert 1915, I, pp. 501 sgg.
3
La versione di Palefato tramandata nel Peri; ajpivstwn (4 F.) si distacca in parte da
quella malaliana: Sfinge era un’amazzone moglie di Cadmo che, quando venne ab-
bandonata a causa di Armonia, si vendicò radunando intorno a sé molti uomini
(peivsasa pollou;" tw``n politw``n sunapa``rai aujth/`), impadronendosi delle ricchezze
di Cadmo e facendo continue scorrerie ai danni dei Tebani. In tale ricostruzione ra-
zionalistica ai[nigma significava ejnevdra («agguato») e il merito di Edipo fu di «risol-
vere l’enigma», vale a dire di prevenire l’agguato della Sfinge e di ucciderla: cfr. an-
che Eus. 56, 21 Helm. Secondo C. Robert, l’idea che la Sfinge fosse una ladra risali-
I drammi “perduti” 27

poihtikw`" ejxevqeto dra`ma peri; tou` Oijdivpodo" kai; th`" ∆Iokavsth" kai; th`"
Sfiggov", 38, 3-5) e Giulio Africano (ta; ga;r tw`n Qhbw`n basivleia
∆Afrikano;" oJ sofo;" cronogravfo" ejxevqeto, 38, 5-6).4
La tragedia cui fa riferimento è con buona certezza l’Edipo,5 dramma
perduto di Euripide, di difficile ricostruzione poiché i frammenti conser-
vati sono quasi tutti di carattere gnomico.6 Fanno eccezione solo i frr.
541 K. (= schol. Eur. Phoe. 61) e 540-540b K. (P. Oxy. 2459 = fr. 83 Au-
stin 1968), entrambi testimoni di importanti innovazioni nel trattamento
della materia mitica: nel primo caso, i versi citati dallo scolio fanno riferi-
mento all’accecamento di Edipo ad opera dei servitori di Laio, che si
vendicarono così dell’omicidio compiuto dal «figlio di Polibo» (hJmei`" de;
Poluvbou pai`d j ejreivsante" pevdw/ / ejxommatou`men kai; diovllumen kov-
ra"). Ciò implica che nella tragedia Edipo non si accecava per l’orrore

va a Palefato, anche se venne contaminata da Malala con la versione riportata dallo


schol. Eur. Phoe. 26, in cui la Sfinge era la moglie di Macareo, che si ritirò sul monte
Fichio dopo la morte del marito; la fonte sarebbe Socrate Rodio (cfr. schol. Phoe. 45
Swkravth" de; ejgcwrivan aujth;n crhsmolovgon fhsi; duvsgnwsta manteuomevnhn, a{per
ajgnoou``nte" oiJ Qhbai``oi kai; ejnantivw" aujtoi``" crwvmenoi ajpwvlonto): Robert 1915, I,
pp. 495 sgg. Una storia sulla Sfinge come lh/striv" è anche in Paus. IX 26, 2-4; cfr.
anche Philoch. FGrHist 328 F 82; schol. Hes. Th. 326; Tzetz. schol. Lycophr. 7; vd.
anche Edmunds 1981, p. 13; Aélion 1986, p. 111 n. 329. Per le testimonianze più
tarde, che dipendono strettamente da Malala, vd. supra, n. 1.
4
Sulla conoscenza indiretta dei Chronica di Sesto Giulio Africano vd. ora Jeffreys
1990, pp. 172 sg. Sulla fortuna delle interpretazioni razionalistiche di Palefato in
epoca cristiana vd. anche Pépin 1976, pp. 149 sg.
5
La possibilità che Malala si riferisca alla trama delle Fenicie (così Robert 1915, II,
p. 117 n. 59; vd. anche Wilamowitz 1875, p. 184 n. 5) è molto remota, proprio per-
ché in essa sia la Sfinge che Edipo giocano un ruolo marginale: vd. anche Di Grego-
rio 1980, pp. 55 sg. e n. 25.
6
Vd. da ultimo van Looy 2000d, pp. 436 sgg. La ricostruzione della trama della tra-
gedia e delle varianti innovative apportate al plot da Euripide è al centro di una se-
colare vexata quaestio, recentemente rinnovata ma non semplificata dalla pubblica-
zione nel 1962 di P. Oxy. 2459 (540 K.), in cui vengono descritti la Sfinge e il suo
enigma. Anche dell’hypothesis si conserva solo la citazione del verso incipitario ma
non la trama dell’Edipo (P. Oxy. 2455, fr. 4, col. IV, 40-42 = [48] iii K.; vd. Luppe
1985). Ai frammenti va forse aggiunto 539a K. (= fr. trag. adesp. 378 N.2; 1 van Looy
2000d): così Snell 1963. R. Kannicht propose di riconoscere in P. Vindob. G. 29 779
(IV-V sec. d.C.) un commento alla tragedia, ma nella sua recente edizione (p. 570)
ha ritrattato l’ipotesi e ha aderito all’interpretazione di Luppe, che lo attribuisce a
un’hypothesis sofoclea (vd. Luppe 1990-1992, p. 44). Riguardo alla versione di Igino
(Fab. 66), che però non fa alcun riferimento a Euripide, e alle sue relazioni con un
vaso con rilievi di Tanagra vd. Séchan 1926, pp. 437 sgg. e fig. 124.
28 Euripide in Giovanni Malala

scaturito dalla rivelazione del parricidio e dell’incesto, ma veniva punito


“dall’esterno”, per un atto di violenza (l’omicidio di Laio) privo di serie
implicazioni morali.7 Di sicuro interesse è il fr. ossirinchita (540-540b K.)
perché vale a conferma della compendiosa frase malaliana. In esso, infat-
ti, un personaggio (Edipo, un messaggero?) descrive in modo particola-
reggiato non solo il contenuto del celebre enigma (fr. 540a, 1-14 K.), ma
anche la sinistra bellezza della Sfinge (fr. 540, 1-10 K.), e ciò dimostra co-
me nell’Edipo euripideo la risoluzione dell’enigma e l’incontro terrifico
con il mostro occupassero uno spazio drammatico rilevante.8

7
Lo scolio non fa esplicitamente il nome di Euripide (schol. Phoe. 61 ejn de; tw/` Oijdiv-
podi oiJ Lai?ou qeravponte" ejtuvflwsan aujtovn), tanto che L. Deubner (1942, pp. 19
sgg.), sulla scorta di un’ipotesi di F. W. Schneidewin, ha negato che si riferisse all’E-
dipo euripideo. In effetti, dare una collocazione alla scena dell’accecamento all’in-
terno della tragedia si è sempre rivelata un’operazione ardua, poiché implica una ri-
costruzione della vicenda non sempre lineare sotto il profilo logico (Edipo è acceca-
to prima di sposare Giocasta – Di Gregorio, Dingel –, oppure dopo un certo lasso
di tempo, durante il quale l’eroe tebano si è già unito in matrimonio con la madre –
Aélion – e ha forse generato dei figli – Vaio): cfr. Dingel 1970; Di Gregorio 1980,
pp. 67 sgg.; Aélion 1986, pp. 42 sgg.; Vaio 1964. Una conferma dell’antichità e del-
l’autorevolezza di questa versione è stata riconosciuta nell’urna di Volterra (vd. Ro-
bert 1915, I, p. 307 tav. 48), in cui un uomo (Edipo?) viene accecato mentre due sol-
dati lo tengono fermo. Le altre figure presenti possono essere identificate con
Creonte (l’uomo a sinistra con un bastone), Giocasta (la donna che si getta affranta
su Edipo), i figli di Edipo (due bambini sullo sfondo). Importante è l’identificazione
della donna seduta a sinistra, da alcuni considerata Peribea, la madre adottiva di
Edipo, che secondo una tradizione più isolata (cfr. Hyg. Fab. 66) portava lei stessa la
notizia della morte di Polibo a Tebe (Robert 1915, I, pp. 317 sgg.; Séchan 1926, p.
437 n. 6); secondo M. Hose, Peribea permise il riconoscimento di Edipo come l’as-
sassino di Laio, perché si presentò a Tebe con il carro che il giovane aveva sottratto
al padre dopo l’assassinio e aveva portato in dono a Polibo (cfr. Eur. Phoe. 44-45;
schol. Phoe. 1760): Hose 1990, p. 12.
8
Il papiro è stato pubblicato da E. G. Turner nel 1962: l’identificazione è stata per-
messa dai vv. 2-3 del fr. I, già tràditi per via indiretta da Ael. N.A. XII 7 e Athen. XV
701b. Da notare che i vv. 7-9, citati da Plutarco (fr. 136 Sandbach apud Stob. Anth.
IV 20, 68 = Eur. fr. adesp. 541 N.2), furono già attribuiti in via congetturale all’Edipo
euripideo da L. K. Valckenaer. È discussa la posizione occupata dal frammento: l’i-
potesi del prologo (Webster 1967, p. 242) è poco accettata e si pensa piuttosto a una
rhesis di un messaggero (Turner 1962, p. 82; Di Gregorio 1980, p. 60; van Looy
2000d, p. 439) o dello stesso Edipo (Dingel 1970, pp. 94 sgg.), da collocare nella
parte centrale della tragedia (Aélion 1986, pp. 42 sg.). Secondo Turner esiste «a re-
semblance of tone» tra il fr. 541 K. (cfr. ejxommatou`men) e P. Oxy. 2459 (cfr. ejlivpo-
men, 540a, 2 K.) tale da far pensare che appartenessero a una stessa rhesis (l’acceca-
mento e la risoluzione dell’enigma apparterrebbero agli antefatti della tragedia):
I drammi “perduti” 29

Si tratta dunque di un caso isolato ma significativo in cui una scoperta


papiracea restituisce credibilità e attendibilità alla testimonianza del cro-
nista, che citava appunto la Sfinge come protagonista non secondaria
della vicenda (… dra`ma peri; tou` Oijdivpodo" kai; th`" ∆Iokavsth" kai; th`"
Sfiggov", 38, 4-5 Th.).9 Ciò permette anche di valutare più da vicino il
modus operandi di Malala che, pur conoscendo il contenuto del dramma
(forse attraverso l’hypothesis ma non si può escludere una lettura più am-
pia dell’opera),10 non rinunciava al proprio gusto per la contaminazione:
in effetti, anche se il cronista era a conoscenza della trama dell’Edipo (e
dunque plausibilmente della natura mostruosa della Sfinge, dell’enigma,
etc.), ciò non gli impediva di scegliere per il suo racconto la versione ra-
zionalistica più accettabile per il suo uditorio (la Sfinge come ladra da
sconfiggere con l’inganno e la forza). La contaminazione non esclude la
conoscenza di Euripide, ed è dunque probabile che alcune “tracce” della
tragedia si siano conservate anche nel racconto mitico che precede la ci-
tazione, soprattutto lì dove compaiono versioni anomale e isolate.11
Come si è visto, il cronista sottolinea il ruolo centrale giocato non solo
dalla Sfinge ma anche da Giocasta;12 ora, un riflesso di tale focalizzazione
sulla figura della madre-sposa si conserva non solo nei frammenti dell’E-

Turner 1962, p. 83: contra Lloyd-Jones 1963, p. 447; Vaio 1964, p. 55. Un ulteriore
problema è offerto dal v. 2 del fr. 540a K., in cui compare una I pers. plur. (ejlivpo-
men), da intendersi o come pluralis maiestatis (van Looy 2000d, p. 439 n. 24) o come
un riferimento ai molti che tentarono di risolvere l’enigma prima di Edipo (Turner
1962, p. 82; Hose 1990, p. 13 n. 26). Che Edipo combatta la Sfinge insieme a dei
compagni è riferito, oltre che da Malala (37, 60 sgg. Th.), da Philoch. FGrHist 328 F
82 e Tzetz. schol. Lycophr. 7.
9
Si soffermano sull’importanza della testimonianza di Malala soprattutto Vaio 1964,
p. 49 n. 2; Di Gregorio 1980, pp. 55 sg. e n. 25, 71; Dingel 1970, pp. 93 sg.: vd. con-
tra Hose 1990, p. 14 n. 30. Vd. anche Aélion 1986, pp. 42 e 56 n. 131.
10
In effetti P. Oxy. 2459 è del IV sec. d.C., e non si può valutare se appartenesse a
un’antologia di brani tragici (Turner 1962) o a un codice che conteneva l’intero Edi-
po.
11
Gli elementi atipici presenti solo in Malala sono l’oracolo sull’incesto comunicato
a Laio e non a Edipo, il primo nome del bambino (Iocca) e quello del contadino
(a[groiko") che lo trovò sui monti e l’allevò (Melibeo). Sul nome bucolico Melibeo
vd. Robert 1915, I, pp. 503 sgg. Anche il nome della regione in cui si nascondeva la
Sfinge, Moaba (Mwavbh) è innovazione malaliana: la sostituzione di Fivkion con
Mwavbh rientra in quei travestimenti giudaico-cristiani frequenti nei cronisti bizanti-
ni: così Robert 1915, I, p. 502.
12
Sull’importante ruolo di Giocasta nella tragedia vd. già Welcker 1839-1841, II,
pp. 547 sgg.
30 Euripide in Giovanni Malala

dipo tràditi per via indiretta, che fanno spesso riferimento alla complessa
relazione sponsale (543, 544, 545, 545a, 546, 547, 548, 551, 552 K.),13 ma
anche in tutto il brano dedicato da Malala al mito tebano. L’insistenza
sulla sua presenza in tutti i momenti critici della vicenda non trova a vol-
te riscontro in altre fonti né poetiche né mitografiche, e dunque va a mio
avviso segnalata. In primo luogo, Malala afferma che Laio abbandonò il
figlio perché un oracolo gli aveva predetto che si sarebbe unito alla ma-
dre Giocasta: kai; crhsmodothqeiv", o{ti th/` ijdiva/ aujtou` mhtri; ∆Iokavsth/
summighvsetai, ktl. (36, 32-33 Th.). Non c’è nessun riferimento al peri-
colo di parricidio, che secondo la tradizione fu il vero motivo che avreb-
be dovuto trattenere Laio dal generare un figlio (cfr. Eur. Phoe. 17
sgg.).14 La centralità del ruolo di Giocasta trova un’eco nel nome impo-
sto inizialmente al bambino, ∆Iwvkka, che costituisce un ulteriore legame
con la figura materna: ∆Iwvkka fu corretto da Valckenaer con ∆Iwvkasto",
che si ritrova come primo nome di Edipo solo in Mich. Apost. Paroem.
III, 1 kai; touvtwn oiJ ajpovgonoi mevcri Lai?ou kai; ∆Iokavstou, tou` metaklh-
qevnto" Oijdivpodo".15 Inoltre, dopo il racconto dell’uccisione della Sfinge
e di Laio, il cronista spiega il matrimonio tra Edipo e la madre, afferman-
do che fu Giocasta stessa a voler sposare lo straniero per non perdere la
regalità su Tebe: kai; loipo;n hJ ∆Iokavsth, mh; qevlousa ejkblhqh`nai th`" ba-
sileiva", eujqevw" ajgagou`sa to;n Oijdivpoda ejpoivhsen aujto;n basileva, ma-
qou`sa o{ti oujk e[cei gunai`ka (37, 72-74 Th.). Giocasta appare una figura
femminile forte che decide di sposarsi autonomamente,16 pro;" qera-

13
Sul significato complessivo di tali frr. vd. Vaio 1964, pp. 51 sgg. Anche la discussa
interpretazione del fr. 541 K., secondo cui Edipo sarebbe stato accecato dai servitori
di Laio che lo riconobbero come assassino del loro padrone, deve presupporre ne-
cessariamente che le nozze tra Edipo e Giocasta fossero già avvenute: che Giocasta
sposi un Edipo già cieco è evidentemente inverosimile: vd. soprattutto Aélion 1986,
pp. 59 sgg.
14
Secondo la vulgata, Laio riceve dall’oracolo l’ingiunzione di non cercare di avere
un figlio perché questi l’avrebbe ucciso. Il riferimento all’unione incestuosa viene
fatto invece a Edipo dall’oracolo delfico, che il giovane era andato a interrogare una
volta divenuto adulto. La versione malaliana è presente in parte in Nicola Damasce-
no, che fa riferimento a entrambi i rischi (parricidio e incesto) già all’interno del re-
sponso oracolare ricevuto da Laio: qeo;" de; aujtw/` e[crhse pai`da poihvsesqai o{sti"
aujto;n ajpokteivna" th;n mhtevra gunai`ka e{xei (FGrHist 90 F 8). Sui rapporti tra Ni-
cola di Damasco e le versioni sofoclee ed euripidee del mito, vd. Robert 1915, I, pp.
81 sg.; Aélion (1986, p. 30 n. 57) pensa a una confusione tarda.
15
Vd. Robert 1915, II, pp. 26 sg. n. 5.
16
Secondo la tradizione, è Creonte a offrire Giocasta in moglie al vincitore della
Sfinge (cfr. Pher. FGrHist 3 F 95 = 107 Dolcetti; [Apoll.] Bibl. III 5, 8), ed è questa
I drammi “perduti” 31

peivan tw`n th`" povlew" kai; th`" sugklhvtou (ibid. 74-75 Th.), rivelando
tratti non estranei alla immagine che ne dà Euripide (cfr. hJ swvfrwn gunhv
del fr. 545, 1 K.).17 Da ultimo, è Giocasta non solo a chiedere a Edipo da
dove provenga e chi sia suo padre (meta; de; crovnon tina; ejperwvthsen hJ
aujth; ∆Iokavsth to;n Oijdivpoda, povqen ejsti;n kai; tiv" aujtou` pathvr, 37, 78-80
Th.), ma anche a condurre personalmente l’enquête, interrogando Meli-
beo e infine rivelando lei stessa la verità a Edipo (kai; ejperwthvsasa to;n
crovnon e[gnw o{ti uiJo;" aujth`" ejsti: kai; ei\pen aujtw/`, 37, 82-83 Th.).18
Tale focalizzazione sulla figura e sul ruolo drammatico di Giocasta si
concilia perfettamente con lo scarno résumé che il cronista dà della trage-
dia euripidea; inoltre, la mancanza di raffronti per alcuni particolari della
vicenda (l’oracolo sull’incesto, la scelta “politica” di Giocasta di sposare
lo straniero) lascia aperto lo spazio a qualsiasi ipotesi, anche a quella di
una matrice euripidea per alcuni spunti coerenti con la citazione finale: oJ
ga;r sofwvtato" Eujripivdh" poihtikw`" ejxevqeto dra`ma peri; tou` Oijdivpodo"
kai; th`" ∆Iokavsth" kai; th`" Sfiggov".

la versione seguita da Euripide nelle Fenicie (47 sgg.). Il ruolo di Creonte nell’Edipo
è discusso: secondo Robert (1915, I, pp. 305 sgg.) è sin dall’inizio il vero antagonista
di Edipo che offre la mano di Giocasta al giovane straniero solo perché costretto da-
gli eventi (la vittoria sulla Sfinge: vd. fr. 550 K.). Il riferimento nel fr. 551 K. allo
Fqovno" che corrompe l’anima degli uomini sembra individuare il movente delle
azioni di Creonte. Anche l’accecamento di Edipo da parte dei servitori di Laio av-
verrebbe sotto istigazione di Creonte (vd. l’urna di Volterra citata supra, n. 7): vd.
ora van Looy 2000d, pp. 442 sgg.
17
Vd. Aélion 1983, pp. 198 sgg.
18
Interessante il raffronto con il Compendio di Giorgio Cedreno, che per la storia
antica dipende totalmente da Malala (I 46): Giocasta, dopo aver interrogato Meli-
beo, comprende la verità kai; bebaiwqei`sa ajnebovhse. Più che un’aggiunta rispetto
al testo malaliano, il grido di Giocasta si può ben definire un dettaglio drammatico,
una sorta di “grido di vergogna” dinanzi all’impietosa rivelazione (cfr. il grido re-
presso della moglie di Candaule quando scopre di essere stata vista nuda da Gige:
Hdt. I 10, 1 ou[te ajnevbwse aijscunqei`sa; sui raffronti tragici di tale aijscuvnh" bohv
vd. ora Burzacchini 2001, pp. 85 sg.). Com’è noto, la Chronographia malaliana è trà-
dita da un codex unicus dell’XI-XII sec. (Barocciano gr. 182 = O), che ne conserva
però un testo abbreviato, mentre i più tardi testimonia (Excerpta costantiniani, Teo-
fane, il fr. Tusculanum, Cedreno, etc.) riflettono spesso una redazione più ampia del-
l’opera. L’aggiunta di Cedreno può dunque verosimilmente appartenere a Malala e
rappresentare un’interessante notazione di tenore tragico. Per una visione sinottica
dei testi di Malala, Giovanni d’Antiochia (fr. 16 Roberto) e Giorgio Cedreno (l.c.)
vd. Robert 1915, II, pp. 168-171.
32 Euripide in Giovanni Malala

Meleager (Chron. 128, 18-36 Th. = Eur. [46] iii b K.)


Anche in Chron. 128, 18-36 Th., Malala narra il mito di Meleagro met-
tendo insieme particolari rari e isolati con il riferimento alla tragedia eu-
ripidea; tuttavia, in un contesto di certo singolare e di eterogenea ascen-
denza, emergono varianti mitiche che trovano un riscontro proprio in al-
cuni frr. del Meleagro euripideo:
Melevagro" de; oJ tou` Oijnevw" uiJov", ajdelfo;" de; tou`` Tudevw" kai; Dhianeivra",
ejpoivhsen a\qlon mevgan ejn th``/ Kaludwniva/ cwvra/, foneuvsa" kavpron foberovn,
th``" ∆Atalavnth" th``" qugatro;" tou`` Scoinevw" ou[sh" met∆ aujtou`: h{ti" propoihv-
sasa toxeuvei to;n suvagron: ejlumaivneto ga;r ou|to" oJ qh;r pa``san th;n cwvran
ejkeivnhn. Kai; meta; th;n ajnaivresin tou`` qhro;" to; devrma aujtou`` ejcarivsato oJ
Melevagro" th/̀` ∆Atalavnth/, eij" e[rwta aujth``" blhqeiv". ajpelqw;n de; oJ Meleva-
gro" pro;" to;n eJautou`` patevra Oijneva, ajph/thvqh par∆ aujtou`` ta; nikhthvria tou``
qhrov": kai; maqwvn, o{ti th/` ∆Atalavnth/ to; devrma ejcarivsato, ojrgisqei;" kata;
tou`` ijdivou uiJou``, o}n ei\ce qallo;n ejlaiva", fulattovmenon para; th/` ∆Alqaiva/ th/̀`
eJautou`` me;n gunaikiv, mhtri; de; tou`` Meleavgrou, o{ntina qallo;n th``" ejlaiva" hJ
∆Alqaiva e[gkuo" ou\sa ejpiqumhvsasa e[fagen, kai; katapiou``sa to; fuvllon th``"
ejlaiva" eujqevw" tekou``sa sunegevnnhse to; th``" ejlaiva" fuvllon su;n tw/` Meleav-
grw/: peri; ou| crhsmo;" ejdovqh tw/` patri; aujtou`` tw/` Oijnei`` tosou``ton crovnon zh``n
to;n Melevagron o{son crovnon fulavttetai to; fuvllon th``" ejlaiva" to; met∆ auj-
tou`` gennhqevn: o{per fuvllon ojrgisqei;" oJ Oijneu;" eij" pu``r e[bale, kai; ejkauvqh,
ajganakthvsa" kata; tou`` ijdivou uiJou``: kai; paracrh``ma kata; to;n crhsmo;n [Sl] oJ
Melevagro" ejteleuvthsen, wJ" oJ sofo;" Eujripivdh" dra``ma peri; tou`` aujtou`` Me-
leavgrou ejxevqeto.

Secondo la versione malaliana, nella vicenda19 un ruolo di primo piano è


svolto dal padre Oineo che, dopo la vittoriosa caccia al cinghiale calido-
nio, pretende ta; nikhthvria tou`` qhrov", che il giovane Meleagro aveva già

19
Nella storia tradizionale si incrociano due linee mitiche, quella dell’«immortalità
condizionata» (Detienne 1990, p. 68) di Meleagro, il cui destino è legato sin dalla
nascita a un tizzone (dalov"), e quella della caccia contro una bestia feroce (il cin-
ghiale) inviata dalla divinità (Artemide) per punire una dimenticanza umana (Oi-
neo, re degli Etoli, dimentica di offrire sacrifici alla dea). Durante la caccia, il figlio
Meleagro entrò in contesa con i Cureti per le spoglie del cinghiale che l’eroe voleva
donare ad Atalanta e uccise gli zii materni (i Testiadi: in Hom. Il. IX 567 si fa riferi-
mento a un fratello, in Bacch. Ep. 5, 127 sgg., a due, Ificlo e Afarete). Questo delitto
spinse la madre Altea a vendicarsi sul figlio, gettando il tizzone “fatale” nel fuoco. Il
mito è già presente in Omero (Il. IX 529-605), in cui compare il motivo della mh`ni"
di Meleagro, paradigma di quella di Achille: vd. anche Bacch. Ep. 5, 76 sgg.; Phryn.
TrGF 3 F 6 = Paus. X 31, 4; Aesch. Choe. 602-611; [Apoll.] Bibl. I 8; etc. Sulle di-
verse tradizioni vd. van der Kolf 1931; Kakridis 1949, pp. 14 sgg.; Swain 1988.
I drammi “perduti” 33

donato ad Atalanta, la cacciatrice di cui si è innamorato (eij" e[rwta auj-


th``" blhqeiv").20 Ciò provoca l’ira del re che si vendica del figlio gettando
lui stesso nel fuoco il ramo d’olivo cui era legato il destino dell’eroe.21 È
dunque l’ira di Oineo la causa della morte di Meleagro e non, come ri-
porta la tradizione, di Altea.22 Malala concentra su Oineo tutte le cause
scatenanti della tragedia familiare: è Oineo a provare ira quando il figlio
gli comunica che le spoglie del cinghiale sono state già donate ad Atalan-
ta, mentre nella vulgata la scelta di Meleagro genera l’ira negli altri cac-
ciatori ed è causa dell’uccisione degli zii materni da parte dell’eroe; è
sempre Oineo a conoscere grazie a un oracolo (crhsmov") il potere del ra-
mo d’olivo la cui combustione provocherà la morte del giovane, mentre è
noto che per la tradizione è il dolore per la morte dei fratelli che spingerà
Altea a gettare il tizzone nel fuoco. Anche il riferimento in Malala alle
spoglie del cinghiale come nikhthvria («prize of victory»: LSJ, s.v. II)
piuttosto che come la «pelle» (devro") introduce una connotazione agoni-
stica che sembra avvalorare i tratti maschili della contesa (cfr. anche
[Apoll.] Bibl. I 8, 2 [sc. Oijneu;"] kai; tw/̀ kteivnanti to;n qh`ra th;n dora;n
dwvsein ajristei`on ejphggeivlato).23

20
Il ruolo di Atalanta, come causa della contesa per la pelle del cinghiale tra Melea-
gro e gli zii materni, sembra sia stata un’innovazione euripidea: vd. ora van Looy
2000c, pp. 407 sgg.
21
Secondo la versione malaliana, il padre viene a sapere del legame tra il ramo d’oli-
vo e il destino di Meleagro attraverso un oracolo (128, 30-32 Th.). Anche in questo
caso si tratta di un unicum.
22
In Omero è Altea, adirata per la morte del fratello, a maledire il figlio e a invocare
l’Erinni che «l’ascoltò» (e[kluen: Il. IX 572); secondo Pausania (X 31, 4), nelle Eoie
e nella Miniade Meleagro viene ucciso in battaglia da Apollo, chiamato in aiuto dai
Cureti (cfr. anche [Hes.] frr. 25, 12 e 280, 2); sempre secondo Pausania (ibid.) il mo-
tivo del tizzone fu sviluppato da Frinico che nelle Pleuronie fece allusione al legame
fatale tra Meleagro e il dalov" (TrGF 3 F 6): così anche Bacch. Ep. 5; Aesch. Choe.
604 sgg.; Diod. Bibl. IV 34; etc.; secondo tali versioni il tizzone viene gettato nel
fuoco da Altea. Già Pausania non riteneva Frinico “inventore” della versione mitica,
probabilmente già presente in Stesicoro (Suotherai: PMG 222): così Croiset 1970,
pp. 405-412; vd. anche Maehler 1982-1997, I, 2, pp. 80 sgg.; Aélion 1986, pp. 187
sgg.; Irigoin 1993, pp. 117 sgg.
23
Il ruolo di Oineo, che appare un’innovazione malaliana, non è però privo di plau-
sibilità sul piano mitico: in effetti Oijneuv" non è solo «l’uomo del vino», pacifico col-
tivatore, ma è anche collegato strettamente al mondo della guerra, come dimostrano
le tradizioni sulla conquista di Oleno e il conseguente rapimento di Peribea
([Apoll.] Bibl. I 8, 4), o, su un altro versante, il nome delle sue figlie (Deianira da
dhvio" «distruttore» e ajnhvr, e Gorga: vd. [Apoll.] Bibl. I 8, 1). Anche riguardo al pa-
dre di Oineo, che secondo Ecateo si chiamava Fizio, il «Piantatore» (Hec. FGrHist
34 Euripide in Giovanni Malala

La versione malaliana del mito è dunque singolare e non sembra avere


paralleli non solo nella tradizione tragica ma anche nelle redazioni dei
mitografi.24 Del Meleagro euripideo si conoscono alcuni frammenti ma
non l’hypothesis, per cui non è semplice ricostruire lo svolgimento del
dramma,25 anche se sembra probabile che il tragediografo insistesse sul
ruolo di Altea, che causava la morte del figlio gettando il tizzone nel fuo-
co, forse anche a causa della gelosia per Atalanta.26 Si tratta dunque di
pochi elementi che non permettono un raffronto con il racconto malalia-
no che pure il cronista attribuisce esplicitamente a Euripide (128, 35-36
Th.: wJ" oJ sofo;" Eujripivdh" dra``ma peri; tou`` aujtou`` Meleavgrou ejxevqeto).
L’unico tratto sicuramente euripideo è il ruolo giocato dalla passione di
Meleagro per Atalanta: kai; meta; th;n ajnaivresin tou`` qhro;" to; devrma auj-
tou`` ejcarivsato oJ Melevagro" th/` ∆Atalavnth/, eij" e[rwta aujth``" blhqeiv"
(ibid. 128, 22-23). In relazione al ruolo di Oineo, così enfatizzato dal cro-
nista, si possono solo addurre come raffronti il discorso che un messag-
gero rivolge probabilmente al re (frr. 530, 531, 531a K. = 17-19 van Looy
2000c) e i contrasti dialogici tra Meleagro e il padre, che si evincono dal
confronto con il Meleager di Accio (cfr. fr. VIII Dangel).27

1 F 15 = Athen. II 356), un’altra tradizione proponeva il nome di Porteo o Portao-


ne, il «Distruttore» (Hom. Il. XIV 115 sgg.; [Apoll.] Bibl. I 7, 10; Anton. Lib. Met.
II 1, 1). Sulla doppia natura di Oineo (pacifico coltivatore e guerriero) vd. Robert
1920, pp. 86 sg. Proprio nel Meleagro, Euripide faceva del giovane un figlio di Ares:
“Arh" ∆Alqaiva/ sunh`lqe kai; Melevagron poivhsa" […] wJ" Eujripivdh" ejn Meleavgrw/
([Plut.] Parall. min. 26, 312a = fr. 3 van Looy 2000c).
24
Insistono sul ruolo merkwürdig di Oineo in Malala sia van der Kolf 1931, col. 458,
che Hanslik 1937, col. 2200. Un’ulteriore variante è riferita da Plutarco (Parall. min.
26, 312a), in cui secondo Detienne (1990, p. 69) non si parla di un tizzone ma di
una lancia o spiedo (ma il testo è corrotto: fr. 3 van Looy 2000c).
25
Dei 64 versi totali 37 sono di carattere gnomico: van Looy 2000c, p. 406. Per le
diverse ipotesi sullo svolgimento della tragedia vd. ora ibid. pp. 406 sgg.
26
È questa l’ipotesi di Th. Zieliński, che si fonda anche sulle rappresentazioni va-
scolari: 1905, pp. 1 sgg. Tuttavia nessun frammento conserva un esplicito riferimen-
to all’atto fatale di Altea.
27
Vd. Dangel 1995, p. 354. Nel fr. 517 K. (= fr. *14 van Looy 2000c) non è chiaro
chi pronunci le parole sul destino funesto celato nel nome di Meleagro (Melevagre,
melevan gavr pot∆ ajgreuvsei" a[gran): F. G. Welcker attribuiva il frammento ad Altea
che ricordava all’eroe il suo triste destino (1839-1841, II p. 755); secondo Hartung
invece si tratterebbe delle Parche che profetizzavano al bambino il suo destino
(1843-1844, I, p. 142); Proclo, che riporta il verso, critica la paretimologia euripidea
insistendo sull’illogicità di una simile scelta “paterna”: ouj ga;r eijko;" to;n patevra auj-
tou` ajpaivsion o[noma qevsqai tw/̀ paidiv (In Plat. Cratyl. 85, p. 39, 19-23 Pasquali). A
favore della verosimiglianza di tale etimologia è Robert 1920, p. 88 n. 1. Sull’altra
I drammi “perduti” 35

Notevole è anche la presenza di Tideo nella parte conclusiva della tra-


gedia (537 K. = schol. Pind. Nem. 10, 12b), perché la tradizione lo consi-
derava il figlio che Oineo ebbe da Peribea, dopo il suicidio di Altea (cfr.
[Apoll.] Bibl. I 8, 4);28 Euripide, al contrario, nel fr. 537 K. fa di Tideo
già il fratello di Meleagro (cfr. anche Suppl. 904 sgg.), al quale forse una
divinità profetizza l’efferato destino (eij" ajndrobrw`ta" hJdona;" ajfivxetai /
kavrhna pursai`" gevnusi Melanivppou spavsa").29 Si tratta di un’impor-
tante consonanza con la testimonianza di Malala, che definisce Meleagro
ajdelfo;" de; tou` Tudevw" kai; Dhianeivra" (128, 18-19 Th.) e colloca il ma-
trimonio con ∆Erivboia (sic) prima di quello con Altea: o{sti" Oijneu;" ajga-
govmeno" gunai`ka ojnovmati ∆Erivboian e[scen ejx aujth`" to;n Tudeva, kai; ejte-
leuvthsen hJ ∆Erivboia kai; hjgavgeto eJtevran gunai`ka ojnovmati ∆Alqaivan:
kai; e[scen ejx aujth`" to;n Melevagron kai; qugatevra ojnovmati Dhiavneiran
(127, 87-90 Th.). Proprio in relazione ai ruoli “anomali” di Oineo e Ti-
deo si può portare a confronto una rappresentazione vascolare che è sta-
ta considerata un’illustrazione del dramma euripideo, in cui accanto a
Meleagro morente sono presenti proprio Oineo e Tideo. Si tratta di
un’anfora di Armento conservata nel Museo Nazionale di Napoli
(80854), in cui il giovane è rappresentato all’interno di un edificio a sei
colonne ioniche (forse l’ejkkuvklhma), sorretto da Tideo e Deianira, men-
tre una donna (senza iscrizione: Altea o Atalanta) corre disperata verso
di lui. Al lato destro, in basso, compare la figura di un uomo barbuto con
lo scettro che l’iscrizione identifica con Oineo, sormontato dalla figura di
Afrodite e di Fqovno"; ai piedi della struttura architettonica stanno seduti
afflitti Peleo e Teseo, che avevano partecipato alla caccia al cinghiale.30 Il
dipinto si distingue proprio per l’originalità della scena rappresentata e
per la contestuale presenza di due figure (Tideo e Oineo) tradizional-
mente ignorate nella vulgata mitica, alle quali invece dava rilievo Malala,
facendo esplicito riferimento alla versione euripidea.
Un’altra interessante testimonianza iconografica viene proprio dai mosaici di
Antiochia, da uno dei pannelli del cosiddetto “Pavimento rosso” ritrovato a

etimologia (para; to; mevlein th`" a[gra") vd. schol. Hom. Il. IX 543; Etym. Gud. 385,
28: vd. fr. 517 K. appar. Un ruolo più attivo di Oineo nella caccia e nella quaestio a
proposito della pelle del cinghiale è attestato sugli specchi etruschi: vd. Stasinopou-
lou-Kakarouga 1997, p. 919.
28
Vd. ora van Looy 2000c, pp. 406 sg. Su Tideo vd. [Apoll.] Bibl. I 8, 5.
29
Cfr. Séchan 1926, p. 432 n. 4; Webster 1967, p. 236.
30
Vd. Simon 1981, pp. 579 sg. (tav. 4); Woodford-Daltrop 1992, n. 42; cfr. anche
l’analisi di Séchan 1926, pp. 431 sgg. e fig. 123.
36 Euripide in Giovanni Malala

Dafne e risalente al II-III sec. d.C.31 In esso (Fig. 4) vengono raffigurati tre
personaggi (una donna cacciatrice [a sinistra], un giovane cacciatore [centro]
e un altro personaggio [a destra]), e in basso un cinghiale morto: la scena ri-
trae evidentemente il momento conclusivo della caccia al cinghiale calidonio,
in cui inizia la contesa per le spoglie della fiera che Meleagro ha deciso di do-
nare ad Atalanta. Anche per il contestuale riferimento a soggetti euripidei ne-
gli altri pannelli del “Pavimento rosso”, si è ipotizzato con un buon margine
di verosimiglianza che anche questo mosaico riflettesse una scena tragica
tratta dal Meleagro. È discussa l’identità del secondo cacciatore, verso il qua-
le si volge irato Meleagro, perché il volto giovanile è il risultato di un restauro
successivo e dunque non si può escludere che si tratti di Oineo, di norma
barbuto.32 Se si tratta della rappresentazione del conflitto tra Meleagro e il
padre avvenuta dopo l’uccisione del cinghiale (così Weitzmann 1941, pp. 236
sg.), va segnalata a mio avviso la somiglianza tra il pannello e la versione ma-
laliana che ne sembra l’esatta descrizione: ajpelqw;n de; oJ Melevagro" pro;"
to;n eJautou`` patevra Oijneva, ajph/thvqh par∆ aujtou`` ta; nikhthvria tou`` qhrov": kai;
maqwvn, o{ti th/̀` ∆Atalavnth/ to; devrma ejcarivsato, ojrgisqei;" kata; tou`` ijdivou
uiJou``, ktl.33

Tuttavia le singolarità malaliane non si fermano qui: il cronista non asso-


cia il destino di Meleagro a un tizzone ma a un ramoscello d’olivo (qal-
lo;" th``" ejlaiva") che Altea avrebbe partorito insieme al bambino poiché
durante la gravidanza ne aveva mangiato il germoglio (katapiou``sa to;
fuvllon th``" ejlaiva" eujqevw" tekou``sa sunegevnnhse to; th``" ejlaiva" fuvllon
su;n tw/` Meleavgrw/, 128, 29-30 Th.). La condivisione del destino tra il ra-
mo e il bambino viene dunque rafforzata dalla “comune nascita” in una
storia che accentua i tratti favolistici che già distinguono il mito di Melea-
gro. A tale versione alternativa fa indirettamente allusione solo Tzetzes

31
Il mosaico della casa del “Pavimento rosso” (Fig. 3) presenta otto pannelli su uno
sfondo rosso: nei quattro pannelli laterali e in quello centrale (molto danneggiato)
sono rappresentate scene mitologiche, con tre figure umane disposte in una relazio-
ne spaziale in cui si riconosce un modello “teatrale”: vd. Weitzmann 1941, pp. 241
sg. e ora Huskinson 2002-2003, p. 139. I soggetti sembrano accomunati dal tema
della passione amorosa e dei suoi effetti rovinosi: Fedra e Ippolito; Atalanta e Me-
leagro (Fig. 4); Stenebea e Bellerofonte [?]; Paride ed Elena [?], Medea e i figli; se-
condo Weitzmann, l’analisi dei soggetti di cui sono noti i modelli teatrali (Medea, Ip-
polito, Troiane, Elena) permette di verificare il rapporto tra testo e immagine «which
turns out to be as close as possible»: 1941, p. 241.
32
La rappresentazione di Oineo in vesti di cacciatore trova riscontro anche in alcuni
sarcofaghi studiati da C. Robert (apud Weitzmann 1941, pp. 235 sgg.).
33
Già Hartung riteneva che in questa frase malaliana si conservasse traccia della tra-
ma della tragedia (1843-1844, I, p. 149).
I drammi “perduti” 37

(schol. Lycophr. 492 tine;" de; fullavda ejlaiva" ouj da`da ei\naiv fasin, h}n ejn
th/` kuhvsei fagou`sa tw/` Meleavgrw/ ejn th/` gennhvsei suntevtoke kai; ejfuv-
latten ajkribw`" uJpo; tw`n mavntewn tou`to maqou`sa wJ" e[st∆ a]n fulavttoito
hJ fulla;" ajblabhv", ajblabh;" kai; oJ Melevagro" e[stai, eij de; fqarh/` kai; oJ
Melevagro" sumfqarhvsetai).34 Il dato appare anomalo, anche se il moti-
vo è antico e affonda le proprie radici nelle tradizioni epicorie, soprattut-
to ateniesi. Come afferma F. Vian, «l’olivier est l’arbre ‘fatal’» cui sono
associati il culto di Zeus Movrio", le dodici morivai (olivi sacri) del giardi-
no di Academo e altre antiche tradizioni (cfr. il ramoscello d’olivo che
ogni neonato maschio riceve alla nascita: Hesych. s 1791 L. stevfanon
ejkfevrein);35 inoltre, com’è noto, l’olivo, sacro ad Atena, svolge un ruolo
nei rituali iniziatici dell’efebia perché rappresenta il passaggio dallo stato
selvaggio a quello di cittadino, il cui compito è anche di proteggere le ci-
vili coltivazioni.36 Il rapporto tra Meleagro e l’olivo non è dunque così

34
Tzetze attribuisce a Soterico un’opera intitolata Kaludwniakav (schol. Lycophr.
486): cfr. anche Tzetz. Chil. VII 102, 69 sg. L. Su questa testimonianza vd. van der
Kolf 1931, col. 458. La nascita simultanea della pianta e del bambino ricorda il so-
gno di Astiage riferito da Erodoto (I 108), in cui il re persiano vide la propria figlia
“partorire” una vite che crescendo coprì tutta l’Asia; in modo analogo Clitennestra
nell’Elettra sofoclea (419-423) sogna che dallo scettro di Agamennone germogli un
ramo d’olivo che ricopre tutta la regione di Micene: vd. Detienne 1990, pp. 69 sg.
Se si vuole operare un confronto tra il linguaggio malaliano e quello poetico, va no-
tato che «partorire un qallov"» appare una variante della nota espressione «genera-
re un qavlo"» (cfr. e.g. Hom. Il. XXII 87 … fivlon qavlo", o}n tevkon aujthv; H.H. 2, 66
kouvrhn th;n e[tekon, glukero;n qavlo" ktl.; 187 pai`d∆ ejpi; kovlpw/ e[cousa nevon qavlo":
ktl.; vd. anche Pind. Ol. 2, 45 … ∆Adrastida`n qavlo" ajrwgo;n dovmoi"; ibid. 6, 68: …
semno;n qavlo" ∆Alkai>da'n, ktl.; Aesch. Eum. 666 ajll∆ oi|on e[rno" ou[ti" a]n tevkoi
qeav; Eur. Iph. Taur. 170 sg. w\ kata; gaiva" ∆Agamemnovnion / qavlo", ktl.; 209 sg.; 232;
etc.). Su qallov" / qavlo" vd. Broccia 1951, pp. 56 sgg. La contestuale “nascita” del
ramoscello e del bambino richiama, pur con ovvie forzature, la descrizione eschilea
della nascita di Meleagro (Choe. 602-612), in cui il legame fatale tra il tizzone e Me-
leagro è rappresentato icasticamente dall’immagine del legno coevo-compagno
(h{lix) che condivide il destino del fanciullo appena dopo il parto (vv. 607 sgg.: …
paido;" dafoino;n / dalo;n h{lik∆, ejpei; molw;n / matrovqen kelavdhse; cfr. schol. Choe.
608-609 ejxovte pesw;n ajpo; th`" mhtro;" ejbovhse, toutevstin ejxovte gegevnnhtai); cfr. an-
che Ov. Met. VIII 451 sgg.
35
Vian 1952, p. 256. Secondo J. Harrison ad Atene nel V sec. si era instaurato un
rapporto assai stretto tra le Moi`rai e le Morivai, tanto che le prime vennero consi-
derate forme molteplici dell’albero d’olivo; il racconto malaliano sul ramo d’olivo e
Meleagro viene definito dalla studiosa «a less familiar and for my purpose very per-
tinent version»: Harrison 1895, p. 89.
36
Anche gli efebi di Dreros (Creta) completavano il loro iter iniziatico piantando un
38 Euripide in Giovanni Malala

poco plausibile né necessariamente frutto di un’elucubrazione seriore.


G. Knaack, che ha dato ampio risalto alla testimonianza malaliana, ha in-
dividuato altri raffronti che permettono di osservare come il ramoscello
fosse spesso ambiguamente legato alla vita del nascituro, come buon au-
spicio ma anche come fragile Doppelgänger.37 Non si può escludere che,
come sostiene M. Detienne, il cronista abbia conservato realmente una
versione sul “doppio” di Meleagro, di pari dignità rispetto ad altre più
note; anche il ruolo di Oineo, che distrugge personalmente la pianta d’o-
livo e dunque Meleagro, ha una sua plausibilità sul piano antropologico
come espressione del conflitto tra il mondo della caccia e della guerra
(cinghiale) e il mondo della coltivazione (olivo).38
Anche se non si può dunque liquidare la versione malaliana del mito
come un’invenzione,39 resta aperto il problema della fonte cui attinge il
cronista, che fa riferimento solo all’autorità di Euripide. È possibile che
Malala abbia conservato elementi euripidei (l’incontro tra Oineo e Me-
leagro per ta; nikhthvria tou`` qhrov", la passione del giovane per Atalanta,
il rapporto con Tideo) e ne abbia contestualmente inseriti altri (l’ira di
Oineo, il crhsmo;", il qallo;" th``" ejlaiva"), tratti da fonti mitografiche o
poetiche di cui non si hanno ulteriori riscontri? Si è notato come le ‘ano-
malie’ malaliane riguardo alla trama delle tragedie “perdute” di Euripide
siano state a volte riscattate da ritrovamenti papiracei,40 per cui credo

olivo: vd. Detienne 1990, pp. 76 sgg.; sulle tradizioni legate all’olivo durante le Pa-
natenee vd. Vian 1952, pp. 255 sgg.
37
Cfr. Artem. Onir. II 10; Theocr. Id. 2, 23 sgg.: Knaack 1894.
38
Interessante è che il motivo del parto del ramoscello o pezzo di legno appartenga
alla genealogia di Oineo: secondo Ecateo (FGrHist 1 F 15), il nonno Oresteo vide la
sua cagna partorire un pezzo di legno (stevleco"), lo seppellì e ne nacque la vite: in
onore di tale prodigio, Oresteo chiamò suo figlio Fuvtio", che a sua volta chiamò il
figlio Oijneuv": oiJ ga;r palaioiv, fhsin, ”Ellhne" oi[na" ejkavloun ta;" ajmpevlou"; vd.
Knaack 1894, pp. 312 sg.; Detienne 1990, pp. 74 sg.
39
«… quo Parcarum personam ex historia removeret»: così Hartung 1843-1844, I,
pp. 140 sg. Sul ruolo delle Moire in [Apoll.] Bibl. I 8, 2 vd. ora Braswell 1991.
40
Cfr. l’Oedipus, supra, pp. 25 sgg.; anche per la morte di Perseo, Malala adotta una
versione isolata ma probabilmente antica: l’eroe viene ucciso dal padre di Androme-
da, Cefeo, contro il quale, in quanto cieco, non ebbe nessun potere la testa della
Gorgone (28, 13-25 Th.). Secondo Aélion, lo scontro tra Perseo e Cefeo riflette un
conflitto per il potere, in cui la coppia Andromeda-mostro marino giocava lo stesso
ruolo della coppia Arianna-Minotauro: si tratterebbe dunque di «un état ancien de
la légende, où le monstre marin était non pas un fléau, mais un auxiliaire du pouvoir
du roi […] et où, en le tuant, Persée s’opposait au roi et menaçait son pouvoir» (Aé-
lion 1986, p. 181). Da segnalare che anche nell’Andromeda di Euripide è controver-
I drammi “perduti” 39

che anche in questo caso sia necessario sospendere prudentemente il giu-


dizio sulla paternità di varianti mitiche che risultano non inverosimili sul
piano mitico-religioso.

Antiope (Chron. 32, 40-36, 28 Th. = Eur. [12] iv c K.)


La citazione dell’Antiope euripidea presenta la consueta mistione di va-
rianti mitiche: al tragediografo viene attribuito il particolare della trasfor-
mazione di Zeus in satiro, cui segue una spiegazione di stampo raziona-
listico che sembra trovare un punto di partenza proprio nel testo tragico.
Il mito di Antiope, narrato in Chron. 32-36 Th., presentava già nelle
tradizioni mitografiche molte varianti41 e subì un’interessante evoluzione
soprattutto in epoca tardo-antica: le relazioni di Antiope con Zeus-satiro
favorirono l’inserimento del mito in un contesto dionisiaco e diedero
l’avvio a un’interpretazione misterica della sua vicenda.42 La prima atte-
stazione in questo senso si trova in Ermesianatte (Leon. fr. 7, 15 sgg. =
Athen. XIII 71), ma è soprattutto in epoca imperiale che l’eroina diviene
una muvsth" e la sua storia paradigma delle insidiose ma proficue relazioni
con la divinità.43 La citazione malaliana risente di tale tenore misterico,

sa la natura del rapporto tra Cefeo e Perseo (vd. frr. 140, 141, 142, 143, 151 K.): così
van Looy 1998b, pp. 159 sgg.
41
Antiope, figlia del tebano Nitteo (o del fiume Asopo: Asio, fr. 1 Bernabé = Paus.
II 6, 4), fu sedotta da Zeus che si unì a lei sotto forma di satiro; rimasta gravida ab-
bandonò la casa paterna, trovando rifugio presso il re di Sicione Epopeo; in seguito
il padre incaricò il fratello Lico di riprendersi con la forza Antiope, che venne ripor-
tata a Tebe e affidata alla custodia di Dirce, moglie di Lico; durante il tragitto da Si-
cione a Tebe ella partorì due gemelli, Anfione e Zeto, che fu costretta ad abbando-
nare. Dirce maltrattava sistematicamente l’eroina, probabilmente perché gelosa del-
la sua bellezza, per cui, quando Antiope riuscì a fuggire e a ricongiungersi con i suoi
figli, essi la vendicarono uccidendo Lico e Dirce. Le principali fonti sono Hyg. Fab.
8; [Apoll.] Bibl. III 5; schol. Ap. Rh. IV 1090 (vd. Eur. [12], pp. 274-276 K.) La sto-
ria si presenta come un intreccio di odi e vendette, che tradiscono molto probabil-
mente i difficili rapporti tra Tebe e Sicione: vd. van Looy 1998c, pp. 213 sgg.; sui
rapporti tra mito e storia vd. Vian 1963, pp. 194 sgg. Anche le vicende successive al
ritorno di Anfione e Zeto con la madre a Tebe presentano molte varianti mitiche:
vd. ora van Looy 1998c, pp. 219 sgg.
42
Probabilmente tale relazione tra Antiope e Dioniso risale proprio ad Euripide
(Burkert 1972, p. 93); nelle fonti più antiche essa non compare: cfr. Hom. Od. XI
260-265; Hes. fr. 182 M.-W.; Asi. fr. 1 Bernabé. Sul carattere dionisiaco di tale tra-
sformazione vd. anche Kambitsis 1972, p. 78.
43
Vd. soprattutto Clark 1995.
40 Euripide in Giovanni Malala

anche se il cronista apporta alla vulgata delle modifiche di stampo razio-


nalistico: Antiope è una sacerdotessa del tempio di Helios (iJevreia tou`
naou` ÔHlivou, 32, 41 Th.), iniziata ai misteri dionisiaci (h{ti" ejdidavcqh th;n
hJliakh;n eujch;n h[toi mustagwgivan tw`n Dionusiakw`n bakceumavtwn kaj-
kei`qen ejlevgeto bavkch, 32, 43-44 Th.),44 ma non è Zeus a unirsi a lei
bensì Theoboo, un “funzionario” (sugklhtikov") del re Lico, cugino di
Dirce e legato alla stirpe di Pico Zeus,45 che la seduce lasciandola gravi-
da. Si tratta di un elemento di primaria importanza per il cronista, che
per il resto della storia si attiene abbastanza fedelmente alla tradizione.
La rilettura del mito è esplicitamente attribuita da Malala a Cefalione
(35, 22-36, 23 Th. = FGrHist 93 F 5) che meta; ajlhqeiva", e dunque in
modo volutamente razionalistico, ha spogliato il racconto dei tratti “poe-
tici”, che riguardavano probabilmente soprattutto la paternità divina di
Anfione e Zeto.46 In effetti, senza soluzione di continuità, alla citazione
di Cefalione fa seguito quella di Euripide,47 che invece poihtikw`" attri-
buiva la paternità dei gemelli a Zeus trasformatosi in satiro.48 Il rapporto
tra Theoboo e Zeus viene risolto invocando la dottrina della metempsi-
cosi,49 che spiegherebbe come Zeus (Pico) avesse usurpato la reale pater-
nità a Theoboo, vero padre dei gemelli ed eponimo della città di Tebe.50
A completare il racconto su Antiope, il cronista inserisce inoltre una
spiegazione paretimologica che gli permette di rendere la testimonianza
euripidea non così dissonante con la ricostruzione razionalistica prece-
dente (36, 23-28 Th.):

44
Sul culto di Helios in Malala (anche riferito a Dioniso) vd. Reinert 1985, pp. 36
sg. n. 45 e 38 n. 61.
45
Su Pi`ko" Zeuv" vd. supra, p. 14 n. 11.
46
Sulla versione di Cefalione vd. Clark 1995, pp. 107 sgg.
47
La tragedia euripidea, di cronologia incerta, è nota attraverso cospicui frammenti;
lo svolgimento dell’azione può essere ricostruito attraverso le opere dei mitografi
che fanno esplicitamente riferimento a Euripide: vd. ora van Looy 1998c, pp. 223
sgg.
48
Il riferimento al mito è presente in opere tarde: Luc. JTr 2, 9; schol. Ap. Rh. IV
1090 (oJ Zeu;" Satuvrw/ oJmoiwqei;" fqeivrei); Nonn. D. VII 123 (e{bdomo" ∆Antiovphn
Satuvrw/ doloventi sunavptei: si tratta dell’enumerazione delle dodici conquiste di
Zeus sotto l’influsso potente di Eros); cfr. anche XVI 242-243; XXXI 216-217. Vd.
anche Vita Barlaam et Joasaph 406, 31-408, 11 e A.P. IX 48.
49
Malala interpreta le storie di trasformazioni mitiche «mit den Methoden des Pa-
laiphatismus», rifiutandone anche l’interpretazione “spirituale”, che ne faceva
esempi di metensomatosi o metempsicosi: così Hörling 1980, pp. 78 sgg. Per il pas-
so su Antiope, vd. ibid. pp. 86 sgg.
50
Vd. Clark 1995, pp. 173 sg.
I drammi “perduti” 41

oJ ga;r sofwvtato" Eujripivdh" poihtikw`" ejxevqeto dra`ma, wJ" o{ti oJ Zeu;" eij" sav-
turon metablhqei;"51 e[fqeiren th;n ∆Antiovphn, kajkei`qen ejgennhvqh oJ Zh`qo"
kai; oJ ∆Amfivwn oiJ mousikoiv. kata; de; metavstasin metemyucwvsew" katacqevn-
ta to;n patevra aujtw`n Qeovboon ejk tou` Pivkou Dio;" ei\pen, o{ti oJ Zeu;" meta-
blhqei;" eij" savturon, o{ ejstin kata; th;n Boiwtw`n glw`ssan eij" a[llo sw`ma euj-
televsteron, e[fqeiren th;n ∆Antiovphn.52

Tale spiegazione paretimologica sembra priva di ulteriori riscontri, se si


eccettua la glossa presente nell’Etymologicum Magnum (709, 6 Gaisford)
che potrebbe in parte adattarsi al sw`ma eujtelevsteron cui allude il croni-
sta (Savturo": para; to; savqh, to; aijdoi``on, savqhro" kai; savturo": katwfe-
re;" ga;r to; gevno" tw``n satuvrwn).53 Un’eco della spiegazione di Malala si
può ravvisare in Tzetze, che così descrive il dramma satiresco (schol. Ly-
cophr. 63-64): hJ saturikh; [sc. poivhsi"] de; ajpo; tw`n satuvrwn ejklhvqh tw`n
euJrwvntwn aujth;n h[toi gewrgw`n kai; eujtelw`n ajnqrwvpwn.54 Il ricorso all’e-
timologia per razionalizzare quanto di straordinario tramandava il mito
greco non è raro in Malala (cfr. Diovnuso" in Chron. 30, 69-71 Th.; i gi-
ganti drakontovpode", 5, 39 sgg. Th.; etc.)55 e può ben derivare dalla sua
fonte (Cefalione).56 È noto tuttavia che etimologie e paretimologie erano
frequenti anche nelle tragedie euripidee (cfr. e.g. Or. 1008 tav t∆ ejpwvnuma
dei`pna Quevstou; cfr. schol. ad loc. ejpwvnuma aujta; ei\pe paretumologw`n
to;n Quevsthn para; th;n quvsin tw`n tevknwn aujtou`; Phoe. 636-637 … ajlh-
qw`" d∆ o[noma Poluneivkh path;r / e[qetov soi qeiva/ pronoiva/ neikevwn ejpwv-
numon; cfr. schol. ad loc. paretumologei`` to; o[noma Poluneivkou"; Tro.
989-990 ta; mw``ra ga;r pavnt∆ ejsti;n ∆Afrodivth brotoi``" / kai; tou[nom∆ ojrqw``"
ajfrosuvnh" a[rcei qea``").57 Inoltre proprio nell’Antiope il poeta ne faceva

51
L’espressione è tratta da Cedreno (I 44, 20).
52
Analoga è la versione di Cedreno, che dipende da Malala (I 44-45).
53
Cfr. Hesych. s 257 L. savturoi: morfai; ajprepei`".
54
Per i rapporti tra Tzetze e Malala vd. Patzig 1901a. L’etimologia di savturo" è in
realtà sconosciuta: vd. Chantraine, DELG, s.v.
55
Giovanni Malala ricorre spesso a raffronti tra differenti “dialetti” o lingue: così
e.g. in Chron. 45, 5-6 Th. ta;" de; eujmovrfou" gunai`ka" oiJ Molossai``oi th``/ ijdiva/ glwvs-
sh/ kovra" ejkavloun.
56
Del resto anche gli altri nomi citati dal cronista nel brano su Antiope sono nomi
parlanti che appartengono a un ambito misterico (Antiope «che guarda oltre»; Nit-
teo da nuvx; Epopeo, cfr. ejpovpth"; etc.): vd. le testimonianze raccolte da Clark 1995,
pp. 69 sgg. Il ricorso all’etimologia per rifiutare il contenuto meraviglioso del mito
antico è frequente in Malala: il Minotauro diventa Tauro (Tau'ro": Chron. 61, 50
Th.), nome proprio, così come Cicno (Kuvkno") nel mito di Leda: vd. Hörling 1980,
pp. 88 sg.
57
Per le false etimologie vd. anche Procl. In Plat. Cratyl. 85, 10: … i{na mh; to;n Me-
42 Euripide in Giovanni Malala

uso in relazione ai nomi dei due gemelli, Anfione e Zeto, all’interno del
prologo, in cui il pastore che aveva allevato i due gemelli rivolgeva una
preghiera a Dioniso. Il nome di Zeto si spiegherebbe con le difficoltà di
Antiope nel «cercare» (zhtei`n) un luogo adatto per partorire:
181 K. (Et. Magn. s.v. Zh`qo", p. 411, 12 G. = fr. 2 van Looy 1998c)
to;n me;n kivklhske58 Zh`qon: ejzhvthse gavr
tovkoisin eujmavreian hJ tekou`sav nin.59

Più controversa l’etimologia di Anfione se è vero che già Aristofane si fa-


ceva beffe dell’idea euripidea di legare il nome al luogo (un incrocio?:
a[mfodon) in cui i gemelli vennero generati:
182 K. appar. (Et. Magn. s.v. ∆Amfivwn, p. 92, 24 G. = fr. 3 van Looy 1998c)
levgei de; Eujripivdh" oJ tragiko;" ejtumologw``n to; ∆Amfivwn, o{ti ∆Amfivwn ejklhvqh
para; to; para; th;n a[mfodon h[goun para; th;n oJdo;n gennhqh``nai. oJ de; ∆Aristo-
favnh" kwmikeuovmeno" levgei o{ti oujkou``n “Amfodo" w[feilen klhqh`nai (cfr.
Poll. IX 36 tau`ta de; kai; a[mfoda e[stin euJrei`n keklhmevna ouj par∆ ∆Aristo-
favnei movnon, eijpovnti ejn Qesmoforiazouvsai" «a[mfodon ejcrh``n aujtw``/ teqei`-
sqai tou[noma»).60

A tali testimonianze va affiancato a mio avviso un frammento dell’Antio-


pe citato da Clemente Alessandrino (Strom. V 14, 111, 2 = 210 K.; 34 van
Looy 1998c)61 in cui Anfione contestava la versione materna riguardo al
proprio concepimento divino. Il frammento è l’unico ad alludere, anche
se non chiaramente, alla trasformazione in satiro di Zeus:

levagron w{sper Eujripivdh" (fr. 517 K.) kakw``" ejtumologhvsh/ ãdia; th;n melevan a[granÃ;
Eustath. In Hom. Il. II 345, 18 Eujripivdh" de; to;n Oijdivpoun ejtumologh`sai qelhvsa" ej-
pevkruye me;n to; safev", o} dh; ajreth; ejtumologiva" ejstivn, ktl. Sull’argomento vd. Kan-
nicht 1969, II, p. 21 (ad Hel. 13-15); Kambitsis 1972, pp. 26-27; van Looy 1973.
58
L’imperativo kivklhske venne corretto da N. Wecklein in kiklhvskw, perché altri-
menti non si comprenderebbe da chi il pastore avesse ricevuto l’ordine di dare il no-
me di Zeto (apud Kambitsis 1972, fr. II); Mette (1981-1982, fr. 235) conserva la le-
zione tràdita interpretandola come una forma di imperfetto privo di aumento (il
sogg. sarebbe la moglie del pastore). Contro la legittimità dell’intervento testuale
vd. Luppe 1984, p. 53. Accetta ora l’imperativo R. Kannicht (181 appar. K.).
59
Cfr. anche Et. Gud. s.v. Zh`qo", 230, 54 S. Eujripivdh" safw`" ejtumologei`` ejn ∆An-
tiovph/ «zhth`sai ga;r tovkoisin eujmavreian hJ tekou`sav gunhv».
60
Per il significato di a[mfodo" vd. Kambitsis 1972, pp. 27-28. Cfr. anche Schmid
1940, p. 561 n. 7.
61
Lo stesso frammento è citato da Eusebio, Praep. Ev. XIII 13, 38. In Giovanni Da-
masceno (Canon. iamb. 2, 22 = 210, p. 300 appar. K.) è citato solo il v. 2 con la lezio-
ne qhrov", contro fwtov" degli altri due testimoni.
I drammi “perduti” 43

oujde; ga;r lavqra/ dokw``


fwto;" kakouvrgou schvmat∆ ejkmimouvmenon
soi; Zh``n∆ ej" eujnh;n w{sper a[nqrwpon molei``n.

né credo infatti che di nascosto


imitando l’aspetto di un essere malvagio
Zeus come un uomo ti si sia infilato nel letto.

F. W. Schmid62 propose di correggere fwtov" in qhrov", che renderebbe


più esplicito il riferimento alla trasformazione di Zeus in satiro, razza mi-
sta che lo stesso Euripide definisce qh`re" (Cycl. 624; cfr. Soph. Ichn. fr.
314, v. 221 R.); d’altra parte l’epiteto kakou`rgo" è di consueto riferito a
esseri umani (vd. in Eur. El. 953; Ion 832; etc.; in particolare El. 219
fw``ta" kakouvrgou"), ma anche a esseri che condividono caratteristiche
umane e ferine (cfr. anche panou`rgo" detto del Ciclope in Eur. Cycl. 441-
442 a[koue dhv nun h}n e[cw timwrivan / qhro;" panouvrgou sh`" te douleiva"
fughvn).63 Tuttavia, la concordanza delle due fonti nel presentare la lezio-
ne fwtov" deve ispirare prudenza sulla necessità della congettura.64 Inol-
tre, a mio avviso, la iunctura fwto;" kakouvrgou schvmat(a) richiama la
spiegazione malaliana su savturo" quale semplice uomo volgare (ei\pen,
o{ti oJ Zeu;" metablhqei;" eij" savturon, o{ ejstin kata; th;n Boiwtw`n glw`s-
san eij" a[llo sw`ma eujtelevsteron, ktl., 36, 27-28 Th.): l’insistenza di
Anfione sull’aspetto brutale dell’uomo (vd. anche v. 3 w{sper a[nqrwpon)
che si unì ad Antiope può essere alla base della rilettura malaliana; anche
il fatto che nella tragedia i nomi di Anfione e Zeto venivano paretimolo-
gizzati rende almeno plausibile l’ipotesi che anche per Zeus-satiro acca-
desse qualcosa di analogo.65
La citazione del cronista, per quanto esigua, potrebbe dunque far rife-
rimento non genericamente a un elemento della trama (Zeus satiro), de-
sunto magari attraverso un’hypothesis,66 ma a un passo della tragedia, di

62
Così anche R. Kannicht: 210, p. 300 appar. K.
63
Qhvr è anche il centauro in Soph. Tr. 556. Analogamente il verbo kakourgei`n è at-
tribuito anche ad animali (cani in Plat. Resp. 416a; cavalli in Xen. Oec. 3, 11).
64
Van Looy conserva fwtov" (34 van Looy 1998c); decisamente a favore di qhrov" è
Kambitsis secondo il quale la lezione trova una conferma nell’espressione w{sper
a[nqrwpon al v. 3 che altrimenti risulterebbe pleonastica (1972, pp. 78-79).
65
Non si deve confondere il riferimento alla metempsicosi con la paretimologia del-
la parola savturo": quest’ultima non conferisce «a mystic significance in the word
‘satyr’», come sostiene Clark (1995, p. 173), ma anzi aspira a “despiritualizzare” l’u-
nione tra il satiro (inteso come uomo rozzo) e Antiope.
66
D’altra parte proprio il motivo della trasformazione di Zeus in satiro non sembra
44 Euripide in Giovanni Malala

particolare interesse soprattutto per un autore che doveva conciliare i da-


ti mitici con una più condivisa interpretatio christiana.67 Anche nella cita-
zione delle Baccanti euripidee (Chron. 31, 9-12 Th.), Malala rielabora
proprio i versi (3 e 26 sgg.) in cui Dioniso deplorava le calunnie di chi
aveva affermato che il dio non era figlio di Zeus ma di un uomo qualsiasi,
unitosi alla madre in modo disonesto.68 Oltre a valere a conferma del
particolare interesse del cronista per il tema delle false paternità divine, il
raffronto mostra come egli attingesse pur con errori al testo tragico; nel
caso dell’Antiope, il ricorso alla glossa dialettologica (o{ ejstin kata; th;n
Boiwtw`n glw`ssan eij" a[llo sw`ma eujtelevsteron) potrebbe spiegarsi con
la presenza nel testo euripideo di una paretimologia, che servisse a conci-
liare le discordi versioni di Anfione e Antiope sulla natura dell’“uomo”
che sedusse l’eroina.

Stheneboea? (Chron. 59, 1-60, 26 Th. = Eur. [61] ii d K.)


La coesistenza di versioni mitiche anomale e spesso isolate e di riferimen-
ti alla trama o a passi delle tragedie euripidee si può ancora constatare
nel IV libro della Chronographia, là dove Malala racconta la storia dell’a-
more adulterino di Stenebea, moglie di Preto, per Bellerofonte. Dall’ana-
lisi del brano si ricava la presenza all’interno di orationes rectae di echi
del testo tragico, verificabili attraverso il confronto con frammenti del
prologo tràditi insieme all’hypothesis della Stenebea. Malala si sofferma
soprattutto sulle fasi iniziali della vicenda quali sono già narrate in Hom.
Il. VI 160-177 (il cronista segue la storia di Bellerofonte fino al suo arrivo
presso Iobate e non fa nessun riferimento alla lotta contro la Chimera).
L’elemento più rilevante del racconto malaliano è il continuo focus sul
dissidio interiore dei vari personaggi, che vengono spesso presentati
“drammaticamente”, mentre dialogano l’uno con l’altro o con se stessi:
Bellerofonte, Stenebea, Preto e infine Iobate professano esplicitamente le
perplessità o gli scrupoli morali che ostacolano la realizzazione pratica
dei loro desideri.69 Il brano termina con il riferimento a Euripide, proba-

risalire con certezza a un’hypothesis, perché non è citato da Igino e da [Apollodo-


ro], che dipendono probabilmente da essa (Zuntz 1955, p. 141 n. 6), ma solo da
Malala e dallo schol. Ap. Rh.: vd. Luppe 1984, p. 52.
67
Per il giudizio negativo sui satiri in età tardo-antica, sia in area pagana che cristia-
na, vd. le testimonianze raccolte da Clark 1995, pp. 127 sgg.
68
Vd. supra, pp. 14 sgg.
69
Cfr. anche Hörling 1980, pp. 110 sg.
I drammi “perduti” 45

bilmente la fonte del racconto mitico malaliano: kai; ta; aujta; e[graye tw/`
ijdivw/ gambrw/` kai; ta; loipav, kaqw;" sunegravyato Eujripivdh" oJ tragiko;"
poihthv", plhrwvsa" to; dra`ma (60, 25-26 Th.).70 Non viene dunque citato,
come spesso accade in Malala, il titolo del dramma, ma è noto che il mito
venne trattato da Euripide in due tragedie (Stenebea e Bellerofonte), di
cui si conservano le hypotheseis e alcuni frammenti (anche cospicui nel
caso della Stenebea). Soggetto della prima tragedia erano non solo le im-
mediate conseguenze del rifiuto da parte di Bellerofonte di cedere alle ri-
chieste di Stenebea (viaggio in Caria presso Iobate,71 scontro con la Chi-
mera), ma anche il successivo ritorno dell’eroe vincitore a Tirinto e la
vendetta perpetrata sui coniugi con la morte di Stenebea.72 Nel Belle-
rofonte veniva invece trattata la fine tragica dell’eroe corinzio, vera neme-
sis dell’uccisione di Stenebea e insieme monito contro la hybris: Belle-
rofonte era disarcionato da Pegaso, come in precedenza la stessa Stene-
bea, mentre cercava di raggiungere l’Olimpo, aspirazione tradizional-
mente pa;r divkan (Pind. Isthm. 7, 47),73 e terminava i suoi giorni nella
«pianura degli erranti», zoppo e miserando (cfr. Il. VI 201-202 h[toi oJ

70
Tutto il passo è riportato anche negli Excerpta de virtutibus et vitiis di Costantino
VII Porfirogenito (= EV 1, 1159). In questo caso, la conclusione è più abbreviata:
kai; tau`ta e[graye tw`/ ijdivw/ gambrw/` kai; ta; loipav, kaqw;" sunegravyato Eujripivdh"
(vd. p. 60 Th., appar.).
71
Euripide fa di Iobate un re cario, piuttosto che licio come voleva la tradizione (cfr.
Hom. Il. VI 168 sgg.), una innovazione che forse serviva al tragediografo per rende-
re più veloce il viaggio (e il ritorno) di Bellerofonte da Tirinto: così Jouan 2002, pp.
16 sg.
72
In base a quanto riferito nell’hypothesis ([61] ii a K.), nella Stenebea euripidea ve-
nivano descritte molte fasi della vicenda, lontane sia cronologicamente che spazial-
mente (viaggio di Bellerofonte in Caria, combattimento contro la Chimera, ritorno a
Tirinto, nuovo viaggio su Pegaso insieme a Stenebea, nuovo rientro a Tirinto, forse
come deus ex machina), che hanno destato sempre molte perplessità nei commenta-
tori: vd. ora Jouan 2002, pp. 8 sgg. L’eroe si vendicava su Stenebea, che dopo il suo
ritorno aveva tentato di nuovo di corromperlo, facendola salire con l’inganno su Pe-
gaso per poi disarcionarla durante il volo. In tal modo Bellerofonte puniva entrambi
i coniugi, th``" me;n eij" to; zh``n, tou`` de; eij" to; lupei``sqai ([61] ii a, ll. 35 sg. K.; vd. an-
che van Rossum-Steenbeek 1998, pp. 209-211). La vendetta su Stenebea sembra
un’invenzione di Euripide e tale tema, in modo singolare, non verrà più ripreso in
seguito (vd. Jouan 2002, p. 2). Sulla trattazione del mito in Euripide vd. anche Aé-
lion 1986, pp. 187 sgg.
73
Sul rapporto tra Pegaso e Bellerofonte vd. Hes. Th. 325 ma soprattutto Pind. Ol.
13, 63 sgg.; Isthm. 7, 44-47; secondo Omero, che non parla del cavallo alato, Belle-
rofonte cadde in odio agli dèi e fu condannato a vagare nella pianura Alea (Il. VI
200 sgg.). Vd. anche Ibyc. SLG 223, 21-23.
46 Euripide in Giovanni Malala

ka;p pedivon to; ∆Alhvi>on oi\o" ajla`to / o}n qumo;n katevdwn, pavton ajnqrwvpwn
ajleeivnwn).74
Ora, nel brano malaliano il cronista sembrerebbe far riferimento alla
Stenebea, in cui secondo l’hypothesis venivano riportate le fasi iniziali del
mito, piuttosto che al Bellerofonte, in cui si svolgono le vicende conclusi-
ve della vita dell’eroe. È interessante che testimone principale della Ste-
nebea sia un autore bizantino del XII sec., Giovanni Logoteta, che ripor-
ta non solo l’hypothesis del dramma ([61] ii a K.), ma anche un’ampia se-
zione del prologo pronunciato da Bellerofonte (661 K.).75 Si tratta di una
delle più significative testimonianze della sopravvivenza di tragedie euri-
pidee escluse dalla selezione tardo-antica, che getta una luce, anche se
controversa, sulla possibile conservazione di sillogi di hypotheseis anche
in età medievale.76
Tuttavia, proprio dal confronto con la testimonianza di Giovanni Lo-
goteta, si nota nel racconto malaliano la presenza di alcuni elementi che
non si conciliano facilmente con la Stenebea euripidea: in primo luogo il
cronista, che insiste come si è detto sul rovello interiore che tormenta i
differenti personaggi, si sofferma sul comportamento di Iobate, che ap-
pare meno lineare rispetto a quanto riferito nell’hypothesis. Se nella tra-
gedia, infatti, il re cario, dopo aver ricevuto da Preto la lettera che gli in-
giunge di procurare la morte a Bellerofonte, obbedisce immediatamente
(oJ de; toi`" gegrammevnoi" ajkovlouqa pravttwn prosevtaxen aujtw/` diakin-
duneu`sai pro;" th;n Civmairan: [61] ii a, ll. 17-19 K.), nel racconto di Ma-
lala, come già in Omero (Il. VI 172 sgg.), Iobate inizialmente accoglie il
giovane come un ospite gradito e legge la lettera solo dopo alcuni giorni;
anche per lui, come già per Preto, i diritti dell’ospite impediscono ora di
eseguire la richiesta di morte e danno àdito a una serie di dubbi, che lo
indurranno a scrivere a sua volta una lettera al genero per chiedergli cosa
fare (60, 21-26 Th.):

74
Vd. anche Aristoph. Ach. 426-427; Pax 147-148; sul Bellerophontes euripideo vd.
ora Jouan 2000.
75
Giovanni Logoteta, grammatico del XII sec. d.C., in un commento retorico al Pe-
ri; meqovdou deinovthto" di Ermogene (ed. Rabe 1908; van Rossum-Steenbeek 1998,
n. 16 fr. 5) riporta le hypotheseis della Melanippide saggia, del Piritoo e della Stene-
bea. Le stesse citazioni compaiono in parte in Gregorio di Corinto (Rhetores Graeci
VII, 1321 Waltz): vd. Hunger 1978, I, pp. 84 sg.; II, pp. 30-33; Wilson 1983, pp.
288 sgg. Le hypotheseis della Melanippide e della Stenebea corrispondono a quelle
trovate nel P. Oxy. 2455, e per la Melanippide a quella presente in un papiro pubbli-
cato di recente (Daniel 1991, n. 2 pp. 3 sg.); vd. Luppe 1991b; Luppe 1996.
76
Vd. supra, pp. 4 sgg.
I drammi “perduti” 47

kai; dexavmeno" ta; gravmmata kai; ajnagnou;" ta; grafevnta aujtw/`, kai; eijdw;" oJ
∆Iwbavth", o{ti sunevfagen aujtw/` ei\pe kaq∆ eJautovn, o{ti ma``llon kathgorei``tai
ou|to": eij ga;r sunh/vdei kakw/`, oujk a]n hJ divkh ejpoivhsen aujto;n fagei``n met∆ ej-
mou``, o{ti novmo" ejsti;n ”Ellhsi tw`/ sunesqivonti mh; poiei`n kakw`". kai; ta; aujta;
e[graye tw`/ ijdivw/ gambrw`/ kai; ta; loipav, kaqw;" sunegravyato Eujripivdh" oJ
tragiko;" poihthv", plhrwvsa" to; dra`ma.

Già Omero poneva un lasso di tempo di nove giorni tra l’arrivo di Belle-
rofonte in Licia e la lettura dei shvmata lugrav da parte di Iobate,77 ma il
re non manifestava alcuna difficoltà nel mettere in atto quanto richiesto
(Il. VI 178-180 aujta;r ejpei; dh; sh`ma kako;n paredevxato gambrou`, /
prw`ton mevn rJa Civmairan ajmaimakevthn ejkevleuse / pefnevmen: ktl.); il
motivo delle perplessità di natura morale di Iobate è presente nelle fonti
più tarde,78 anche se manca in esse qualsiasi cenno a un’ulteriore comu-
nicazione tra suocero e genero. Si tratta di un’aggiunta malaliana (cfr.
N.2, p. 568: «Iohannes Malalas postquam de Proeto, Sthenoboea, Belle-
rophonte, Iobata suo more quaedam narravit, etc.»),79 oppure il cronista
conosceva davvero un dramma euripideo in cui veniva dato più rilievo
alla figura di Iobate? Va ricordato che effettivamente Iobate svolgeva un
ruolo importante nel mito, perché, dopo il superamento delle difficili
prove (Chimera, Solimi, Amazzoni) da parte di Bellerofonte, egli ricono-
sceva di essersi sbagliato e ricompensava l’eroe dandogli in sposa un’altra
sua figlia (Filonoe o Cassandra) e associandolo al suo regno ([Apoll.]
Bibl. II 3, 2).80 Inoltre, è certo che l’esitazione del re licio nel mettere in
atto le richieste di Preto e il suo ripensamento sulle virtù del giovane
ospite erano trattate in una tragedia antica: la trama è conservata nei Tra-
godumena di Asclepiade di Tragilo (IV sec. a.C.) (FGrHist 12 F 13 =

77
Il. VI 174 sg.
78
Hyg. Fab. 57 «at Proetus re audita conscripsit tabellas de ea re et mittit eum ad
Iobatam regem, patrem Stheneboeae. quibus lectis talem virum interficere noluit
sed ad Chimaeram eum interficiendum misit, quae…»; Tzetz. schol. Lycophr. 17, p.
16, 11-15 Scheer kai; ∆Iobavth" oJmoivw" q∆ hJmevra" aujtw/` sunestiwvmeno" h\n: th;n
dekavthn de; to; gravmma diadexavmeno" ejpei; mhde; aujto;" ei\cen aujto;n ajnelei``n dia; to;
sumfagei``n met∆ aujtou`` keleuvei tou``ton ajpelqei``n kai; polemh``sai Cimaivra/, ei\ta So-
luvmoi", ei\t∆ ∆Amazovsin; Diod. Bibl. VI 9 oJ de; [sc. ∆Iobavth"] mh; boulovmeno" aujto;n aj-
polevsai, th/` purpnovw/ Cimaivra/ ejkevleuse sunavyai mavchn.
79
Cfr. ora [61] ii d K. (p. 647).
80
Kasavndra è il nome della figlia secondo Asclepiade di Tragilo (FGrHist 12 F 13).
Cfr. Hom. Il. VI 192; Hes. fr. 43a, 88 sgg.; etc. Secondo Plutarco (De mul. virt.
248a), invece, Iobate fu sempre ostile e iniquo (ajdikwvtato") nei confronti di Belle-
rofonte; così anche in un epigramma tardo conservato nell’A.P. (III 15, 3 ajgennhv").
48 Euripide in Giovanni Malala

schol. AB Hom. Il. VI 155), e, proprio per l’importanza del ruolo del re
licio nello svolgimento della vicenda, la tragedia venne identificata con lo
Iobate di Sofocle, di cui si conoscono solo tre esigui frammenti (TrGF,
IV, frr. 297-299, p. 268 Radt).81 La testimonianza di Malala, anche se di-
scordante rispetto all’hypothesis, può dunque conservare traccia di una
variante mitica, come si è visto, non priva di riscontri.
Altri elementi nel racconto malaliano risultano originali: quando Stene-
bea decide di denunciare falsamente al marito il comportamento di Bel-
lerofonte, fa allusione a un favrmakon con il quale il giovane potrebbe
tentare di ucciderla a causa della sua castità (59, 10-12 Th.):
ejra`/` mou oJ Bellerofovnth" kai; ejpevrcetaiv moi, kai; mh; favrmakovn moi dwvsei
kai; qavnw fulavttousav soi swfrosuvnhn, wJ" ajndro;" ejrw``sa, kai; fobou``mai.

Com’è noto, favrmakon e swfrosuvnh sono parole chiave anche di un’al-


tra tragedia euripidea in cui viene in modo simile sviluppato il Potiphar-
motiv (Hipp. 388 sgg.; 477 sgg.; 507 sgg.), e dunque appaiono plausibili
riecheggiamenti, pur nella consueta deformazione malaliana, di un testo
tragico. Va notato inoltre che il riferimento a Stenebea e al veleno come
espediente per sfuggire al desiderio frustrato di adulterio è presente già
in Aristofane (Ran. 1049-1052) proprio in merito alla maniera euripidea
di trattare il mito (= Eur. [61] ii c K.):
EU. kai; tiv blavptous∆, w\ scevtli∆ ajndrw``n, th;n povlin aJmai; Sqenevboiai…
AI. o{ti gennaiva" kai; gennaivwn ajndrw``n ajlovcou" ajnevpeisa"
kwvnea pivnein aijscunqeivsa" dia; tou;" sou;" Bellerofovnta".
EU. povteron d∆ oujk o[nta lovgon tou`ton peri; th`" Faivdra" xunevqhka…

Secondo lo schol. 1051, pollai; th;n Sqenevboian mimhsavmenai poiou`sai


kwvneion ejteleuvthsan; così anche lo schol. 1043c ejlqovnto" ou\n ejkei``se
Bellerofovntou kai; kaqarou`` fanevnto" mh; fevrousa th;n aijscuvnhn hJ
Sqenevboia kwneivw/ ejcrhvsato.82 Il motivo del suicidio di Stenebea è con-
servato anche in Igino (Fab. 243 «Stheneboea Iobatis filia, uxor Proeti,
propter amorem Bellerophontis [sc. ipsa se interficit]»; 57 «At rex [sc.
Iobates] uirtutes eius laudans alteram filiam dedit ei in matrimonium.
Stheneboea re audita ipsa se interficit»), ma resta “anomalo” e isolato ri-
spetto alla vulgata, secondo cui Stenebea viene uccisa da Bellerofonte
(cfr. hypothesis della Stenebea). Se si considerano i versi di Aristofane, si

81
Aélion 1986, p. 192. Sul ruolo di Iobate vd. anche Schmid 1940, p. 392 e n. 6.
82
Secondo Welcker (1839-1841, II, p. 784), Stenebea poteva aver fatto ricorso a un
veleno, forse nel Bellerofonte (Blaydes 1889, ad v. 1050, p. 417).
I drammi “perduti” 49

nota tuttavia come il riferimento al suicidio sia vago e il rapporto tra le


donne innamorate che ricorrono a un favrmakon e Stenebea stia nella co-
mune passione adulterina piuttosto che nel tipo di morte cui andò incon-
tro l’eroina. È probabile dunque che nella tragedia euripidea Stenebea
minacciasse soltanto il ricorso a un favrmakon che mettesse fine alla pas-
sione amorosa, come del resto fa ripetutamente Fedra nell’Ippolito, e che
a questo motivo, ormai topico nelle novsoi amorose, alludesse il comico
nei versi citati.83
Resta degno di nota il fatto che Malala, pur nelle consuete approssima-
zione e deformazione dei fatti, conservi traccia di un elemento raro (il
favrmakon), all’interno di un dialogo che presenta anche altri aspetti inte-
ressanti. Nel brano citato (59, 10-12 Th.), Stenebea manifesta ipocrita-
mente al marito il proposito di uccidersi per conservare la castità: kai;
qavnw fulavttousav soi swfrosuvnhn. Ora, nel prologo della Stenebea (fr.
661 K.),84 pronunciato da Bellerofonte, molto spazio occupava il motivo
della novso" amorosa (cui tradizionalmente è associato il favrmakon, filtro
o veleno, che mette fine alle sofferenze),85 e della temperanza (swfro-
suvnh) che le si oppone:86 il desiderio di morire per conservare la swfro-
suvnh è manifestato dall’eroe al v. 26, evidentemente corrotto (kai; qanei`n
ge swfronw`n), espunto da Wilamowitz e ricostruito congetturalmente da
D. Korzeniewski (fr. 661, 26 K. Êou[koun nomivzw kai; qanei`n ge sw-
fronw`nÊ),87 che sembra riecheggiare nella frase malaliana già citata.

83
Cfr. Tzetz. Ad Aristoph. Ran. 1051 pollai; ga;r tw`n uJperovcwn gunai``ke" wJ" hJ Sqe-
nevboia ejrasqei``saiv tinwn kai; tw``n ejrwmevnwn oujci; tucou``sai farmavkoi" auJta;" die-
crhvsanto. hJ de; Sqenevboia ktl. Così anche K. Dover (1993, p. 324): «The point
seems to be that women were incited by the stories of Phaidra and Stheneboia to
desire adultery, and then, when spurned or detected, committed suicide». Sulla
“malattia” di Stenebea vd. anche Zühlke 1961, pp. 208 sgg.
84
Il prologo è sicuramente mutilo, forse di alcune decine di versi: Zühlke 1961, pp.
209 sgg.; Korzeniewski 1964, pp. 52 sgg. Sulla possibilità che anche il pannello late-
rale destro del mosaico del “Pavimento rosso” (Fig. 3) raffiguri la scena del prologo
della Stenebea vd. Weitzmann 1941, pp. 237 sg.
85
Fr. 661, 6 K. toia``/de Proi``to" ãgh`"Ã a[nax novsw/ nosei`; v. 20 oujd∆ eij" nosou`nta" uJ-
brivsai dovmou" xevno".
86
Cfr. anche ibid., vv. 24 sg. oJ d∆ eij" to; sw`fron ejp∆ ajrethvn t∆ a[gwn e[rw" / zhlwto;"
ajnqrwvpoisin, w|n ei[hn ejgwv. Vd. Schmid 1940, p. 391.
87
Korzeniewski 1964, pp. 50 sg.; vd. anche Jouan 2002, fr. 1, 26. Braet (1973, p. 95)
considera il v. 26 «parfaitement compréhensible»; più cauto Collard 1995, p. 94.
Per una rassegna delle diverse interpretazioni vd. Zühlke (1961, p. 204), che tradu-
ce così il verso: «Doch glaube ich nicht, wegen meiner Sittsamkeit auch sterben zu
müssen».
50 Euripide in Giovanni Malala

Infine, vorrei richiamare l’attenzione su una frase attribuita da Malala a


Bellerofonte, che proprio perché priva di ulteriori riscontri (nei mitogra-
fi, nelle hypotheseis, etc.) lascia aperto il problema della fonte da cui è at-
tinta (59, 5-6 Th.):
cameuvretovn [camaieuvretovn EV] me eu|ren oJ basileu;" Proi`to" pro; th``" ba-
sileiva" aujtou` kai; ajneqrevyato kai; timh``" me hjxivwsen uiJou` sunesqivein aujtw/`

Solo il lessico Suda riporta la frase in forma abbreviata, senza ulteriori


commenti (s.v. camaieuvreto", c 66 Adler): camaieuvretovn me eu|ren kai;
ajneqrevyato. Il termine camaieuvreto" (o cameuvreto") è un hapax co-
struito sul componente camai- / cam-, molto prolifico.88 Malala usa solo
in tre casi l’avverbio camaiv (64, 18 Th. e[pese camaiv; 145, 7 Th. e[keito
camaiv; 211, 18 Th. keivmenon camaiv), ma mai suoi composti, e questo po-
trebbe deporre a favore dell’autenticità della citazione, tanto più che tali
composti hanno un’ampia occorrenza nella poesia greca antica e anche in
Euripide.89 In Malala inoltre si nota la particolare ridondanza della iunc-
tura che ripete il verbo del composto (cameuvretovn – oppure camaieuvre-
tovn – me eu|ren), attribuibile forse al trasandato stile del cronista ma si-
gnificativamente presente anche in alcuni passi euripidei. Nelle Baccanti,
il messaggero riferisce così le fasi salienti della terribile morte di Penteo
(vv. 1111 sgg.)
uJyou` de; qavsswn uJyovqen camaipethv"
pivptei pro;" ou\da" murivoi" oijmwvgmasin
Penqeuv": ktl.90

Come faceva notare lo stesso Dodds,91 anche nelle Troiane (506 sgg.)
composto e verbo si susseguono a poca distanza:

88
Per l’associazione dell’avverbio camaiv con il verbo euJrivskw cfr. Arist. fr. 45 Rose
(camai; keivmeno" euJrevqh). Cfr. Chantraine, DELG, s.v. camaiv (p. 1245).
89
camaipethv": Or. 1491; Ba. 1111; Cycl. 386; Tro. 507; cameuvnh: fr. 676 N.2; Rh. 9,
852.
90
Il cod. P (Palat. gr. 287) riporta la lezione camaipethv" («precipite fino a terra»)
corretta da P. Maas in camairifhv" (Chr. pat. 1430), che tuttavia è attestato solo in
Eustazio (In Hom. Il. IV, 653, 5-6 to; de; camai; ejkpeso;n camairife;" levgetai);
Dodds (19602, p. 216) accetta la correzione proprio per evitare la ripetizione del
verbo pivptw (ma vd. al v. 1111 uJyou`… uJyovqen), anche se di recente J. Roux ha ri-
pristinato camairiphv" «qu’il est inutile de corriger, car il produit un redoublement
expressif à côté de pivptei» (Roux 1970, p. 581). Sul valore delle citazioni di Eusta-
zio, vd. Miller 1940; Tuilier 1968, pp. 134-136.
91
Dodds 19602, p. 216.
I drammi “perduti” 51

a[gete to;n aJbro;n dhv pot∆ ejn Troiva/ povda,


nu``n d∆ o[nta dou``lon, stibavda pro;" camaipeth'
pevtrinav te krhvdemn∆, wJ" pesou``s∆ ajpofqarw``
dakruvoi" kataxanqei``sa. ktl.

Va notato, inoltre, che un’altra ridondanza simile è presente nella Medea


(vv. 1169 sg.), in cui non compare un composto di camaiv ma semplice-
mente l’avverbio (… kai; movli" fqavnei / qrovnoisin ejmpesou`sa mh; camai;
pesei`n). La frase attribuita da Malala a Bellerofonte potrebbe conservare
dunque traccia di un verso euripideo, in cui l’eroe corinzio riconosceva i
propri doveri di ospite, perché Preto «lo aveva trovato [prostrato] a terra
e nutrito».
Il problema della fonte da cui Malala attingeva tali elementi è evidente-
mente aperto: la presenza di elementi rari, in parte consonanti con alcu-
ne espressioni presenti nel prologo della Stenebea citato da un autore tar-
do come Giovanni Logoteta, rende non così remota la possibilità di una
conoscenza più “ravvicinata”. Di certo è evidente che anche in questo ca-
so il cronista è particolarmente interessato alla trama della tragedia e ai
differenti comportamenti dei personaggi, e che di conseguenza le sue
fonti non potevano essere le antologie a carattere gnomologico che pure
hanno conservato molti versi isolati delle tragedie euripidee perdute. È
più probabile un rapporto con le hypotheseis, ma si è visto come nel caso
della Stenebea esistano delle differenze non imputabili tout-court alla fan-
tasia del cronista; la conoscenza di versi euripidei, forse solo del prologo
(cfr. Giovanni Logoteta), più o meno direttamente attinta, resta a mio av-
viso un’ipotesi credibile.

Phrixus B? (Chron. 23, 51-65 Th. = Eur. 820 [b] appar. K.)
Anche questa citazione euripidea, attribuibile ai Cretesi o al Frisso (vd.
oltre), è inserita all’interno di una rilettura evemeristica del mito antico;
tuttavia, il confronto con l’hypothesis e il prologo del dramma cui molto
probabilmente fa riferimento il cronista permette di avanzare un’ipotesi
sulla fonte della citazione.
Nel passo, la storia del ratto di Europa da parte di Zeus mutatosi in to-
ro viene riletta, come spesso in Giovanni Malala, in chiave evemerizzante
(il dio diventa Tau`ro" oJ th`" Krhvth" basileuv", che con tracotanza rapisce
Europa da Tiro portandola con sé a Creta: 22, 46-23, 47 Th.), probabil-
mente per influsso della lettura che ne diede Palefato (De incred. 15 F.).92

92
Hörling 1980, pp. 83-85. Secondo la lettura razionalizzante, era il nome del re di
52 Euripide in Giovanni Malala

Il riferimento alla versione pagana del mito è introdotto dalla citazione di


Euripide, attraverso il consueto formulario (23, 51-53 Th.):93
ejx h|" e[scen uiJo;n to;n Mivnw, kaqw;" kai; Eujripivdh" oJ sofwvtato" poihtikw``"
sunegravyato, o{" fhsi, Zeu;" metablhqei;" eij" Tau`ron th;n Eujrwvphn h{rpa-
sen.

La citazione sembra riguardare quanto segue l’espressione o{" fhsi e


dunque il rapimento di Europa da parte di Zeus trasformatosi in toro,94
ma il collegamento con la parte precedente non permette di escludere
che il cronista trovasse in Euripide anche il riferimento alla nascita di Mi-
nosse (ejx h|" e[scen uiJo;n to;n Mivnw, kaqw;" kai; Eujripivdh" ktl.). Non vie-
ne citato il titolo della tragedia in cui compare tale allusione al ratto di
Europa, ma il confronto con un passo dei Catasterismi attribuiti ad Era-
tostene (1, 14 Robert = fr. 820 [a] appar. K.), in cui essa è esplicitamente
attribuita al Frisso (Tauvrou: ou|to" levgetai ejn toi`" a[stroi" teqh``nai dia;
to; Eujrwvphn ajgagei``n ejk Foinivkh" eij" Krhvthn ajsfalw`" dia; tou`` pelav-
gou", wJ" Eujripivdh" fhsi;n ejn tw`/ Frivxw/: ktl.), orientò già Richard Ben-
tley verso tale tragedia.95 Concorrente attribuzione resta quella ai Cretesi,
sostenuta già da R. Cantarella e ripresa recentemente ma con prudenza
da P. Carrara, perché si tratta di una tragedia che Malala mostra di cono-

Creta (Tau`ro") a prestarsi a comprensibili fraintendimenti, tanto che con il passare


del tempo il ratto di Europa divenne un fatto prodigioso, compiuto da un toro
(tau`ro"), travestimento zoomorfo di una divinità (Zeus): cfr. anche Olympiod. In
Plat. Gorg. 44, 5; Tzetz. schol. Lycophr. 1299; 1301; Chil. I, 19, 520 sgg. Va distinto
da Tauro oJ notavrio": vd. infra, p. 63 e n. 128. Anche il rapporto tra Tau`ro" e Zeus è
spiegato da Malala in chiave evemerizzante, come una semplice parentela da parte
di madre: e[ktisen de; ejn th/` aujth/` Krhvth/ nhvsw/ oJ aujto;" Tau`ro" basileu;" povlin me-
gavlhn, h}n ejkavlesen Govrtunan eij" o[noma th``" aujtou` mhtro;" th``" ejk gevnou" Pivkou
Diov" (23, 53-55 Th.). Su Pi`ko" Zeuv" vd. supra, p. 14 n. 11.
93
Vd. Hörling 1980, p. 139; Reinert 1985, pp. 35 n. 32 e 41 n. 91; Jeffreys 1996, p.
56; Jeffreys 1990, pp. 214 sg.
94
R. Cantarella integra o{" fhsiãn o{tià (Cantarella 1964, T2). Secondo C. Corbato,
nelle parole che seguono ão{tià andrebbe ravvisato il verso incipitario pronunciato
da Minosse (1965, p. 194).
95
Bentley [1962], p. 297. Tale attribuzione è approvata da Nauck (Phrixus, fr. 820
N.2), che ai due passi aggiunge la versione di Igino (De astr. II 21 «[Taurus] hic dici-
tur inter astra esse constitutus, quod Europam incolumen transvexerit Cretam, ut
Euripides dicit»); così nella recente edizione di van Looy 2002b, fr. 3; Kannicht, nel-
l’edizione dei frammenti euripidei, attribuisce la citazione al Frisso (820 [a] K.), ma
con qualche riserva (cfr. Cretenses *471a, appar. p. 505 K.); cfr. anche Webster 1967,
p. 132 n. 26.
I drammi “perduti” 53

scere e di cui probabilmente cita il verso incipitario.96 Tuttavia, esistono a


mio avviso ulteriori elementi per orientarsi a favore del Frisso.
Euripide scrisse due tragedie con questo titolo, secondo quanto testi-
moniava già lo schol. Aristoph. Ran. 1225 (fr. 819 K.), che riportava l’in-
cipit del Frisso secondo.97 La notizia fu contestata da Tzetze che, pur rico-
noscendo l’esistenza di due tragedie, riteneva che il fr. 819 K. fosse l’ini-
zio del Frisso primo, e citava un differente incipit (818c K. = 821 N2.) per
il Frisso secondo.98 Sulla scorta delle perentorie affermazioni di Wila-
mowitz («somniasse eos, qui duplicem Phrixum extitisse dixerunt, inde
concluditur, quod eidem priorem tragoediam a fragm. 818 [821 K.] ince-
pisse perhibent. Ita enim ne potest quidem ulla incipere tragoedia»),99
l’attendibilità degli scolii e di Tzetze fu tenuta in poco conto anche da
chi riconosceva la possibile esistenza di due tragedie.100 Lo status quae-
stionis è stato decisamente rimesso in discussione dal ritrovamento di

96
Cantarella attribuisce la citazione ai Cretesi (1964, T 2), pur non escludendo il
Frisso (i versi comparirebbero «in un corale, ma non nell’azione drammatica»: p. 46;
vd. anche Corbato 1965, p. 194); l’ipotesi è accolta con prudenza anche da P. Carra-
ra (1987, p. 20 n. 5), per il quale l’unico frammento euripideo è Zeu;" … h{rpase: «It
could be a reference to a particular moment of the Cretans (perhaps to preceding
events)»; cfr. anche Luppe 1996, p. 217. Non prende posizione al riguardo Cozzoli
nella recente edizione dei Cretesi (2001, T 4).
97
I due drammi trattavano del mito di Frisso, figlio di Atamante e di Nefele, che fu
vittima delle cospirazioni di Ino, seconda moglie di Atamante. Accusato di essere la
causa della carestia provocata ad arte dalla matrigna, Frisso doveva essere sacrifica-
to secondo le indicazioni di un falso oracolo. A risolvere la situazione tragica, cui,
secondo la testimonianza di Ferecide (FGrHist 3 F 98 = 112 Dolcetti = schol. Pind.
Pyth. 4, 288a), il giovane si esponeva di buon grado spinto dal desiderio di immolar-
si, intervenivano prima un servo fedele e poi, in modo risolutivo, Nefele; la madre
salvava Frisso e la sorella Elle facendoli fuggire su un ariete dal vello d’oro che li
avrebbe trasportati in volo verso il Chersoneso, dove la fanciulla trovò la morte ca-
dendo nel tratto di mare che prese da lei il nome, l’Ellesponto: per una ricostruzio-
ne dettagliata delle diverse, e spesso contraddittorie, versioni mitiche rimando a van
Looy 2002b, pp. 339-346.
98
Ad Aristoph. Ran. 1225 (IV, 3, pp. 1047 sgg. Koster). A giustificare l’errore di
Tzetze potrebbe valere l’ipotesi di Webster, secondo cui il grammatico usava una
raccolta di hypotheseis in cui la sequenza delle tragedie obbediva a criteri contenuti-
stici (dalle hypotheseis a noi note delle due versioni, sembra infatti che fosse il Frisso
primo a presentare la conclusione mitica della vicenda): Webster 1967, p. 131.
99
Wilamowitz 1875, p. 158.
100
Così Nauck2 (p. 627): «falsum esse quod de alterius Phrixi initio perhibet Tzet-
zes, recte iudicat Wilamowitz-Moellendorff: nullo enim modo fieri potuit ut fr. 821
initium esset tragoediae».
54 Euripide in Giovanni Malala

due papiri (P. Oxy. 2455, frr. 14 e 16; 17: II sec. d.C.; P. Oxy. 3652: III
d.C. = [76] ii a K.),101 contenenti le hypotheseis delle tragedie euripidee:
oltre a valere a conferma dell’esistenza di due drammi, i riassunti hanno
dimostrato che effettivamente il fr. 819 K. era l’incipit del Frisso secondo
e il fr. 818c K. quello del Frisso primo, come sosteneva lo scolio alle Rane
aristofanee (contro Tzetze).102
Il Frisso primo inizia con lo sfogo di Atamante, che piange le proprie
disgrazie familiari e la pericolosa gelosia di Ino verso i figli di primo letto
(Frisso ed Elle), e presenta un tono patetico e uno stile metaforico così
marcati da generare le perplessità di Wilamowitz e di Nauck.103 Diverso
è il tono del prologo del Frisso secondo (819 K.), in cui Ino in modo pa-
cato rievoca le vicissitudini del padre Cadmo, costretto a lasciare Sidone
per cercare, insieme ai fratelli, la sorella Europa rapita da Zeus. Il passo,
fittamente disseminato di nomi geografici (Sidwvnion… a[stu, v. 1; Qh-
baivan cqovna, v. 2; Dirkai`on… pevdon, v. 4; pediva Foinivkh", v. 5; Kili-
kiva, v. 7), termina con il riferimento alla divisione delle terre (e alla con-
seguente eponimia) da parte dei figli di Agenore:104
Sidwvniovn pot∆ a[stu Kavdmo" ejklipwvn,
∆Aghvnoro" pai`", h\lqe Qhbaivan cqovna
Foi`nix pefukwv", ejk d∆ ajmeivbeitai gevno"
ÔEllhnikovn, Dirkai``on oijkhvsa" pevdon:
h/| d∆ h\lq∆ ajnavgkh/ pediva Foinivkh" lipwvn
levgoim∆ a[n. h\san trei`" ∆Aghvnoro" kovroi:
Kivlix, ajf∆ ou| kai; Kilikiva kiklhvsketai,
Foi``nivx ãq∆Ã, o{qen per tou[nom∆ hJ cwvra fevrei,
kai; Qavso"

Al nome di Cilice e di Fenice viene associato quello di Taso, che però


nella genealogia pur molto complicata di Agenore non risulta essere fi-
glio, ma fratello o nipote del re fenicio.105 Tuttavia anche la congettura di

101
Per una descrizione accurata di P. Oxy. 2455 vd. ora van Rossum-Steenbeek
1998, pp. 20 sg.; per il Phrixus II, ibid. p. 224.
102
Questi gli incipit: Frisso primo, 818c K., eij me;n tovd∆ h\mar prw`ton h\n kakoumevnw/;
Frisso secondo, 819 K., Sidwvniovn pot∆ a[stu Kavdmo" ejklipwvn.
103
Cfr. 818c, 2 K. (kai; mh; makra;n dh; dia; povnwn ejnaustovloun, «e se non avessi da
tempo navigato su un mare di sofferenze»), cui si contrappone l’immagine del pule-
dro appena domato, che ancora si dibatte riottoso (vv. 3-4).
104
Il prologo è tràdito dallo schol. Aristoph. Ran. 1225-1226a (vv. 1-2), da Tzetz. Ad
Aristoph. Ran. 1225 (IV, 3, pp. 1047 sgg. Koster) (vv. 1-6), e dallo schol. Eur. Phoe. 6
(vv. 6-9).
105
La genealogia di Agenore è molto complessa (Dümmler 1893): un riferimento al-
I drammi “perduti” 55

Schneidewin, generalmente accolta, che sostituisce l’unanime Qavso" dei


codici con Kavdmo",106 non è totalmente convincente, perché la divisione
delle terre e la conseguente eponimia non riguardano in questa fase Cad-
mo, cui è riservato un destino più sofferto ma anche più glorioso.107
Ora, se si torna a considerare il passo malaliano, si può notare come ul-
teriori analogie con il prologo del Frisso secondo rafforzino l’ipotesi di
Bentley sull’appartenenza della citazione alla tragedia omonima. In effet-
ti, il riferimento al rapimento di Europa ben si adatta alla rievocazione
delle ricerche dei figli di Agenore che apre il Frisso secondo, e poteva tro-
vare posto proprio nel prologo. Va notato che tale riferimento manca
nell’hypothesis, molto più concisa, che sintetizza le fasi principali della vi-
cenda ([76] ii a K.). Inoltre, anche in Malala il racconto sulle vicissitudini
di Europa si conclude, come nel prologo del Frisso secondo, con il riferi-
mento alla spartizione delle terre da parte di Agenore a favore dei figli
impegnati nella infruttuosa quête (23, 60-65 Th.):
mevllwn de; teleuta``n oJ aujto;" basileu;" ∆Aghvnwr dietavxato pa``san h}n uJpev-
taxe gh``n merivsasqai tou;" trei`" aujtou` uiJouv". kai; e[laben oJ Foi`nix th;n Tuv-
ron kai; th;n aujth`" ejnorivan, kalevsa" th;n uJp∆ aujto;n genomevnhn gh``n Foi-
nivkhn: oJmoivw" de; kai; oJ Suvro", eij" to; i[dion o[noma kalevsa" th;n ejpilacou``san
aujtw``/ cwvran Surivan: wjsauvtw" de; kai; oJ Kivlix to; ejpilagcavnon aujtw``/ kli``ma
ejkavlesen Kilikivan eij" to; i[dion aujtou`` o[noma.108

l’isola di Taso come «colonia fenicia» ricorre in Hdt. II 44, in cui viene descritto il
tempio di Eracle fondato dai Fenici, giunti nell’isola mentre cercavano Europa (aj-
pikovmhn de; kai; ej" Qavson, ejn th`/ eu|ron iJro;n ÔHraklevo" uJpo; Foinivkwn iJdrumevnon,
oi} kat∆ Eujrwvph" zhvthsin ejkplwvsante" Qavson e[ktisan): vd. Wiedemann 1890, pp.
210 sg. È interessante che anche Malala, nel cap. immediatamente successivo (23
Th.), parli di Eracle Tirio, la diffusione del cui culto era miticamente legata alle pe-
regrinazioni dei figli di Agenore. Sempre Erodoto attribuisce a Taso l’eponimia del-
l’isola (VI 47 [sc. ta; mevtalla] ta; oiJ Foivnike" ajneu`ron oiJ meta; Qavsou ktivsante"
th;n nh``son tauvthn, h{ti" nu``n ejpi; tou`` Qavsou touvtou tou`` Foivniko" to; ou[noma e[sce):
l’espressione tou`` Qavsou touvtou tou`` Foivniko" può essere intesa come «Taso il Feni-
cio» o «Taso figlio di Fenice» (per la prima lettura vd. ora McQueen 2000, pp. 125
sg.). Cfr. anche Paus. V 25, 12; [Apoll.] Bibl. III 1, 1.
106
Schneidewin 1848, p. 534 sg. Vd. da ultimo Diggle 1988, p. 165; fr. 2 van Looy
2002b; Kannicht conserva Qavso" (819, 9 K.).
107
Vd. il commento allo scolio euripideo di Mastronarde 1994, pp. 218 sg.
108
Il legame tra Agenore e Siro è attestato solo in fonti tarde (Eustath. In Dion. Pe-
rieg. 899). La sua figura evanescente è meglio precisata solo da Malala, che gli attri-
buisce l’invenzione dell’aritmetica e l’insegnamento della dottrina della metempsi-
cosi, wJ" Klhvmio" oJ sofwvtato" sunegravyato: 25, 16-20 Th.: vd. Eitrem 1932.
56 Euripide in Giovanni Malala

Evidenti consonanze avvicinano il passo malaliano al racconto presente


nella Bibliotheca di [Apollodoro] (III 1, 1),109 che dimostra altrove (I 9,
1) di conoscere la trama del Frisso (probabilmente il Frisso I);110 tuttavia,
rispetto alla generica ricostruzione del mitografo, il cronista aggiunge la
citazione euripidea (23, 51-53 Th. kaqw;" kai; Eujripivdh" oJ sofwvtato"
poihtikw``" sunegravyato, o{" fhsi Zeu;" metablhqei;" eij" Tau`ron th;n
Eujrwvphn h{rpasen) che, insieme all’enumerazione delle diverse sorti dei
fratelli di Cadmo, richiama in modo singolare il prologo del Frisso secon-
do. A mio avviso, tali elementi potrebbero suggerire che fonte del croni-
sta fosse appunto il prologo del Frisso secondo, forse a lui noto attraverso
una raccolta di hypotheseis, che non si limitassero a citare il verso incipi-
tario (il quale, certamente, non corrisponde alla citazione malaliana, né
per il Frisso primo né per il Frisso secondo: vd. supra, n. 102), bensì anche
il prologo delle tragedie.

Danae (Chron. 25, 24-26, 41 Th. = Eur. [20] ii K.)


Che Malala traesse la sua conoscenza delle tragedie euripidee solo dalle
raccolte mitografiche e non direttamente dalla hypotheseis è messo in
dubbio dal passo in cui il cronista cita la Danae euripidea. In esso si può
individuare anche un richiamo al testo tragico, che in modo singolare ap-
partiene al prologo (spurio) tràdito insieme all’hypothesis nel cod. P.
Nel libro II della Chronographia (25, 24-28, 25 Th.), viene narrato il
mito di Danae e Perseo, dalla trasformazione di Zeus in oro fino alle
straordinarie imprese di Perseo contro Medusa (26, 41-55 Th.). Il rap-
porto con la tragedia riguarda le fasi iniziali della vicenda: il cronista rife-
risce la versione tradizionale del mito secondo cui Zeus per sedurre la
fanciulla si trasformò in una pioggia d’oro, penetrando così nella camera
(sotterranea?) in cui Danae era stata rinchiusa dal padre Acrisio.111 Alla

109
Il racconto di [Apollodoro] riguarda la genealogia di Agenore, e fa riferimento
sia al ratto della figlia Europa da parte di Zeus trasformato in toro (tau`ro" ceirohv-
qh" genovmeno") sia alla spartizione delle terre tra i figli di Agenore: in primis Fenice
e Cilice, che danno effettivamente il loro nome alla Fenicia e alla Cilicia; vengono
nominati anche Cadmo e la madre Telefassa senza relazione con l’eponimia; quindi
viene citato Taso, che dà il nome all’isola omonima; si può notare una certa conso-
nanza con i versi del prologo del Frisso secondo, in cui dopo Fenice e Cilice viene
nominato appunto Taso. Cfr. anche Diod. Bibl. IV 2, 1; schol. Aesch. Th. 486 a-c.
110
Van Looy 2002b, pp. 353 sgg.
111
Acrisio, re di Argo, voleva in tal modo impedire alla figlia di avere un figlio che
secondo un oracolo lo avrebbe ucciso: vd. [Apoll.] Bibl. II 4, 1.
I drammi “perduti” 57

nascita di Perseo, il re argivo fece rinchiudere la figlia e il nipote in una


cassa e li abbandonò in mare (25, 24-26, 41 Th.):
oJ de; proeirhmevno" Pi`ko" oJ kai; Zeu;" ejn toi`" ajnwtevroi" crovnoi" e[scen meta;
to;n ÔErmh`n kai; to;n ÔHrakleva kai a[llon uiJovn, to;n Perseva ajpo; eujprepou`"
gunaiko;" ojnovmati Danavh", qugatro;" tou` ∆Akrisivou tou` katagomevnou ejk th`"
∆Argeivwn cwvra": peri; h|" ejmuqolovghsen Eujripivdh" oJ sofwvtato" ejn th/` sun-
tavxei tou`` aujtou`` dravmato" ejn kibwtivw/ tini; blhqei``san kai rJifei``san kata;
qavlassan [k. q. Sl] th;n Danavhn, wJ" fqarei``san uJpo; Dio;" matablhqevnto" eij"
crusovn. oJ de; sofwvtato" Bouvttio", iJstoriko;" cronogravfo", ejxevqeto wJ" oJ
aujto;" Pi``ko" oJ kai; Zeu;" ou\san tauvthn ejn kouboukleivw/ parakeimevnw/ th``/
qalavssh/ pollw/̀` crusw/` peivsa" hjdunhvqh protreyavmeno": h{ntina aJrpavsa"
wJ" pavnu eujpreph`` e[fqeiren, kai; ejx aujth``" e[scen uiJo;n ojnovmati Perseva, to;n
proeirhmevnon. o{ntina pterwto;n gravfousin dia; to; ejk paidovqen perivgorgon
ei\nai to;n pai``da: o{qen kai; oJ touvtou path;r Pi`ko" oJ kai; Zeu;" ejdivdaxen aujto;n
pravttein kai; telei``n th;n magganeivan tou`` muserou` skuvfou", didavxa" aujto;n
pavnta ta; peri; aujtou`` mustika; kai; dussebh`` planhvmata, kai; levgwn aujtw/`,
o{ti: «nika/`" pavnta" tou;" polemivou" ejx aujtou`` kai; tou;" ejcqrouv" sou kai; pavn-
ta a[nqrwpon ejnantivon kai; pavnta" tou;" blevponta" ejn aujtw/` tw/` proswvpw/ th``"
Gorgovnh" tufloumevnou" kai; mevnonta" wjsei; nekrou;" kai; katasfazomevnou"
uJpov sou».

Come è frequente in Malala, le fonti cui ricorre il cronista sono varia-


mente intrecciate, soprattutto per quanto riguarda la parte iniziale del
mito (l’ampio resoconto delle imprese di Perseo risale invece molto pro-
babilmente a fonti mitografiche).112 Il brano sulla nascita di Perseo fa
esplicito riferimento a Euripide che in un suo dramma aveva narrato la
storia della miracolosa seduzione; dopo la citazione euripidea, il cronista
inserisce una parentesi razionalizzante, attribuendone la paternità a un
certo Buttio (oJ de; sofwvtato" Bouvttio", iJstoriko;" cronogravfo"),113 se-
condo il quale il metallo sarebbe stato veicolo di corruzione piuttosto
che mezzo misterioso di trasformazione.114 Il discorso torna quindi su

112
Utile anche il confronto con le imprese di Perseo narrate da Nonno (D. XVIII
291 sgg.; XXV 31 sgg.): Gigli 1981. Per le particolarità “antiche” della versione ma-
laliana vd. supra, p. 38 n. 40.
113
Questo cronista è citato solo da Malala con grafie differenti (Bovttio", Bwvttio",
Bouvttio"): Th., appar. ad loc.; Jeffreys 1990, p. 174.
114
Cfr. Hörling 1980, pp. 85-86. Il motivo è già presente in Hor. Carm. III 16, 7 sgg.
(«… fore enim tutum iter et patens / converso in pretium deo»); cfr. anche Myth.
Vat. III 3, 5. L’interpretazione evemeristica presente anche in Luciano (Gall. 13) di-
pende probabilmente dalla rilettura del mito di Danae operata da Menippo di Ga-
dara: cfr. Rein 1926, p. 116. Va notato che anche in alcuni frammenti della Danae
58 Euripide in Giovanni Malala

Perseo e sul rapporto preferenziale che lo lega a Zeus, che consentirà al-
l’eroe di godere di eccezionali prerogative; questo segmento del brano
malaliano presenta un’espressione (Perseva, to;n proeirhmevnon) che se-
gnala di consueto in Malala il ritorno alla fonte precedente,115 ed è dun-
que probabile che anche il riferimento all’«alato Perseo» dipenda da Eu-
ripide, con cui il cronista aveva iniziato la sua narrazione. L’epiteto
pterwtov" è glossato con perivgorgo", che cela un’allusione alle numerose
imprese che Perseo compirà grazie alla testa di Medusa, imprese che ven-
gono profetizzate al giovane dallo stesso Zeus (nika/`" pavnta" tou;" pole-
mivou" ejx aujtou`` ktl., 25, 38-26, 41 Th.; vd. infra, pp. 60 sgg.).
La tragedia euripidea fonte di Malala è sicuramente la Danae, in cui il
tragediografo trattava solo le fasi iniziali della vicenda;116 della tragedia,
insieme a un numero limitato di frammenti tràditi per via indiretta, il
cod. P, ff. 147v-148r, conserva l’hypothesis, l’index personarum e il prolo-
go spurio (fr. [1132 K.]).117 Non è certo che tutta questa sezione sia ope-
ra della stessa mano: se il prologo si può definire con buona certezza un
falso di epoca protobizantina,118 l’hypothesis presenta delle incongruenze

euripidea (324-325 K.) ricorre la riflessione sull’oro come grande tentazione dell’u-
manità, e ciò sembra implicare che già in Euripide il mito tradizionale venisse sotto-
posto a una scettica razionalizzazione.
115
Sull’uso di oJ proeirhmevno" al posto del pronome dimostrativo nelle hypotheseis
vd. ora van Rossum-Steenbeek 1998, p. 9 e n. 29.
116
Secondo la testimonianza di Polluce (IV 111), il coro era costituito da donne. I
frr. sono tràditi per lo più da Stobeo e dunque poco aiutano a ricostruire la partico-
lare maniera euripidea di trattare il mito: vd. ora van Looy 2000b, pp. 55 sgg.; sulla
testimonianza di Malala vd. anche Aélion 1986, pp. 153 sg.
117
In P, ff. 147r-148r, si susseguono: la fine dell’Iph. Aul. (1578-1629); l’hypothesis
della Danae (f. 147v, col. I 6 = 18 righe); personarum index; fr. spurio dell’incipit del-
la Danae (1-65: [1132] K.); nel cod. L (f. 154r) è presente l’explicit dell’Iph. Aul.
(scritto dalla stessa mano), mentre in P tutta questa sezione (explicit Iph. Aul., hy-
poth., dramatis personae, prologo della Danae) è scritta da un’altra mano: secondo
Turyn (1965, p. 127) il rubricatore va identificato con Giovanni Catraris, che inter-
venne anche sul ms. di Eschilo G (Marc. gr. 616), scritto intorno al 1320-1325 (così
anche Zuntz 1965, pp. 139 e 289; Turyn 1957, pp. 275 e 259 sg. n. 244; Irigoin 1974,
pp. 206 sgg.). La paternità del frammento in precedenza era stata attribuita da
Wünsch (1896, pp. 145-147) a Marco Musuro; tuttavia l’analisi metrica dimostra, se-
condo West (1981, pp. 73 sgg.), che sia l’explicit spurio dell’Iph. Aul. sia il frammen-
to della Danae sono opera di uno studioso vissuto tra V e VI sec. d.C. (cfr. anche Wil-
son 1983, p. 383). Per traduzione e commento vd. ora Euripide 2003, pp. 124-126.
118
I due brani poetici, sicuramente spurii (Iph. Aul. 1578-1629; Danae, fr. [1132]
K.), sono stati attribuiti con buone argomentazioni da West (1981, p. 76) a un dotto
protobizantino, probabilmente Eugenio Grammatico, autore di studi sulla colome-
I drammi “perduti” 59

che non si spiegherebbero se entrambi fossero opera dello stesso autore.


Secondo Luppe essa si configura piuttosto come una versione “abbrevia-
ta” rispetto al modello dei cosiddetti Tales from Euripides, senza che ciò
ne escluda necessariamente l’autenticità. Anche le affinità tra l’hypothesis
e Luciano (Dial. mar. 12, 1; 14, 1) possono essere interpretate come il se-
gno della comune dipendenza dall’hypothesis originale, tanto più che sil-
logi di argumenta euripidei sono ben testimoniate per il II-III sec. d.C.119
Ora, a tale proposito è interessante notare che anche il brano malaliano
sembra rivelare la conoscenza dell’hypothesis, perché condivide con essa
alcune espressioni che non ricorrono altrove se non nei passi lucianei ora
citati:
Chron. 25, 28 sg. Th. Hypoth. ll. 9 sg. … eij" Luc. Dial. mar. 12, 1 Kallivsthn,
ejn kibwtivw/ tini; blh- kibwto;n ajmfotevrou", thvn w\ Dwriv, kovrhn ei\don ej" kibwto;n
qei`san te / mhtevra kai; to; brev- uJpo; tou` patro;" ejmblhqei`san
fo", ejnevbale Luc. Dial. mar. 14, 1 ajlla; i[ste,
oi\mai, w\ ∆Ifiavnassa, to;n Per-
seva, to; th`" Danavh" paidivon, o}
meta; th`" mhtro;" ejn th/` kibwtw'/
ejmblhqe;n ej" th;n qavlattan
Chron. 25, 29 Th. rJi- Hypoth. ll. 10 sg. keleuv-
fei`san kata; qavlas- ei rJivptein / kata; th`" qa-
san [k. q. Sl] th;n Da- lavssh"
navhn

tria dei tragici e di una monografia metrica. Su questa figura vd. Reynolds-Wilson
19873, p. 52. Secondo West è probabile che il manoscritto integrato dal dotto proto-
bizantino (o un’antica copia derivata da questo) sia rimasto nascosto per secoli in
qualche biblioteca minore di Costantinopoli e non venisse scoperto fino al XII sec.
Teodoro Prodromo (XII sec.) imita apparentemente la Danae (Rodante e Dosiclea II
70: cfr. [1132], v. 24 K.): sulle sue conoscenze dei testi tragici vd. ora Magnelli 2003.
119
Luppe 1991a; Luppe 1993. Anche West non esclude che l’hypothesis sia autenti-
ca (1981, p. 78 n. 49). Al contrario, secondo Kannicht 1992 le affinità tra hyp. ll. 11-
13 e Luc. Dial. mar. 12, 1, le anomalie dello stile rispetto alla dizione tradizionale e
infine la stessa posizione occupata dall’hypothesis nel codice (tra due “falsi”) dimo-
strerebbero che si tratta di un’imitazione tarda. Che l’hypothesis e il prologo fossero
opera di uno stesso falsario, che attingeva al testo lucianeo, era già la tesi di Zieliński
(1925, pp. 297 sgg.) e di Rein (1926, pp. 124 sg.). Rein dà molta importanza alle te-
stimonianze di Luciano che in alcuni suoi dialoghi fa riferimento al mito di Danae
(cfr. Dial. deor. 5, 2; Timon 41; Somn. 13; etc.), perché ciò varrebbe a conferma della
conoscenza del testo tragico: sugli eccessi interpretativi di Rein vd. Kannicht 1992,
p. 34 n. 5; van Looy 2000b, pp. 59 sg. Vd. anche Schmid 1940, p. 595 e n. 9.
60 Euripide in Giovanni Malala

Dal confronto si evincono in modo chiaro le consonanze espressive: in


primo luogo kibwvtion (Mal.) / kibwtov" (Luc.; hypoth.) rispetto a lavrnax
come nella tradizione (cfr. Pher. FGrHist 3 F 10 = 43 Dolcetti = schol.
Ap. Rh. IV 1091; [Apoll.] Bibl. II 4, 1; vd. Sim. PMG 543, 1 sg.); anche
nella scelta dei verbi (bavllw, rJivptw) si nota un evidente rapporto tra le
fonti (vd. al contrario Pher. l.c.: eij" lavrnaka ejmbibavzei aujth;n meta; tou`
paidov": kai; kleivsa" katapontoi``). È dunque molto probabile che il cro-
nista conoscesse il contenuto della Danae euripidea attraverso la sua hy-
pothesis, ma non è chiaro se si debba presupporre come fonte una raccol-
ta di hypotheseis o uno o più codici euripidei corredati di argumenta
(Luppe).120
A tale proposito risulta interessante prendere in considerazione anche
quanto nel brano malaliano fa seguito alla breve parentesi razionalizzante
attribuita a Buttio. Il cronista torna ad analizzare i tratti “poetici” del mi-
to e cerca di spiegare il significato della natura alata di Perseo come sim-
bolo e pegno delle future vittorie dell’eroe (25, 34 sgg. Th.). Ora tale ele-
mento compare non nell’hypothesis della Danae, ma nel prologo spurio
([1132] K.) che nel cod. P segue l’argumentum e l’index personarum.
Malala spiega l’epiteto pterwtov" con perivgorgo", il cui significato fon-
de in sé il motivo della velocità con quello del terrifico potere conferito
all’eroe dalla testa della Gorgone.121 Tale potere viene profetizzato a Per-
seo da Zeus stesso, che gli annuncia il suo destino di vincitore inesorabile
dei nemici grazie al provswpon th``" Gorgovnh" (25, 38-26, 41 Th. nika/`"
pavnta" tou;" polemivou" ejx aujtou`` kai; tou;" ejcqrouv" sou kai; pavnta a[n-
qrwpon ejnantivon ktl.).122 È vero che il motivo della natura alata di Per-

120
Luppe 1996, pp. 219-221. Sull’importanza della testimonianza di Malala vd. Rein
1926, pp. 109-111.
121
Se è vero che gorgov" nel greco tardo significa «veloce» (vd. già Hesych. g 848
gorgov": eujkivnhto", tacuv"; cfr. Chantraine, DELG, s.v.), tuttavia in questo caso periv-
gorgo", in quanto attributo di Perseo, conserva un più forte legame con il suo eti-
mo, il nome del mostro (Gorgwv) da cui il guerriero mutuava la terribile forza dello
sguardo e per estensione il furore bellico (vd. Hom. Il. VIII 348 sg. ”Ektwr d∆ ajmfi-
peristrwvfa kallivtrica" i{ppou" / Gorgou`" o[mmat∆ e[cwn hjde; brotoloigou` “Arho").
Euripide usa l’epiteto gorgov" per indicare la forza del guerriero (gorgo;" oJplivth":
Andr. 458, 1123) ma anche il suo sguardo (Phoe. 145-149; Su. 322; vd. anche Aesch.
Th. 537 gorgo;n d∆ o[mm∆ e[cwn). Sull’etimologia di gorgov" vd. Leumann 1950, s.v.;
Frisk 1960-1970, s.v. Cfr. anche Collard 1975, p. 192.
122
Malala, come di consueto (cfr. Zeus trasformatosi in satiro per effetto della me-
tempsicosi: Chron. 32, 40 sgg. Th.), interpreta le prerogative dell’eroe pagano come
il risultato di un’iniziazione alla magia ricevuta dallo stesso padre: oJ touvtou path;r
Pi`ko" oJ kai; Zeu;" ejdivdaxen aujto;n pravttein kai; telei``n th;n magganeivan tou`` muse-
I drammi “perduti” 61

seo e del suo terribile potere sugli avversari appartiene alla vulgata miti-
ca,123 ma va notato che esso compare nello stessa associazione (epiteto e
profezia) anche nel prologo (spurio) della Danae ([1132] K.). In questo
caso è Hermes a ricordare la profezia ricevuta da Acrisio a Pito: il dio
Apollo gli aveva annunciato la nascita di un nipote, presentandolo come
«un leone alato» (uJpovpteron levonta) che avrebbe regnato sulla terra ar-
giva e su molte altre (vv. 13-17):124
«Ka\/tav pw" keivnh pote;
eujnh;n krufaivan gnou`sa kai; mh; gnou`sa dh;
uJpovpteron levonta tevxetai patriv,125
o}" th``sdev t∆ a[rxei qajtevra" pollh``" cqonov"».
Taiau``t∆ ajkouvsa" Loxivou manteuvmata
gavmwn ajpeivceq∆: ktl.

«E un giorno quella [sc. Danae]


avrebbe conosciuto un’unione segreta e senza saperlo
avrebbe generato per il padre un leone alato
che avrebbe regnato su questa terra e su molte altre».

rou` skuvfou", didavxa" aujto;n pavnta ta; peri; aujtou`` mustika; kai; dussebh`` planhvma-
ta (25, 35-38 Th.). Vd. Reinert 1985, p. 35 n. 35; Jeffreys et alii 1986, p. 17; cfr. an-
che Hörling 1980, pp. 85 sgg.
123
Sulle prerogative di Perseo (dai sandali alati, invisibile, etc.) vd. [Hes.] Sc. 216-
227; Pind. Pyth. 10, 31 sgg. e 12, 6 sgg.; Pher. FGrHist 3 F 10 = 43 Dolcetti = schol.
Ap. Rh. IV 1091; [Apoll.], Bibl. II 4, 2; etc.
124
Anche il paragone tra il guerriero e il leone è omerico (Il. V 136 sgg.; 161; 299;
476; etc.) e torna nei tragici (vd. per Euripide, Or. 1401-1402; HF 1210 sgg.; etc.):
per una recente analisi della similitudine si rimanda a Curti 2003, pp. 12-25 (con bi-
bliografia); vd. anche Battistella 2005. Il leone è legato alle prerogative regali: cfr.
e.g. il sogno di Agariste di generare un leone ~ Pericle in Hdt. VI 131: vd. il com-
mento di Nenci 1998, pp. 310-311. Ma è in Eracle in particolare che le due metafo-
re del leone e della Gorgone si congiungono per rappresentare la terribile ed esiziale
ferocia dell’eroe: già in Omero Eracle è qumolevwn (Il. V 639), e l’espressione è ri-
presa da Euripide a indicare nelle parole di Anfitrione il lato autodistruttivo di tale
bivh (HF 1210 sg. ijw; pai`, katav-/sceqe levonto" ajgrivou qumovn, ktl.). Se in Hom. Od.
VI 132 sg. gli occhi del leone ~ Odisseo sono «fiammeggianti» (ejn dev oiJ o[sse / daiv-
etai), nell’HF lo sguardo di Eracle è definito più volte «di Gorgone» (131 sg.; 868;
990). Per il rapporto tra lo sguardo e il leone vd. Eur. Syleus fr. 689 K., con le osser-
vazioni di Wilamowitz 1909, pp. 245 e 397. L’associazione delle due metafore è in
Dio Chr. I 68: oJ ∆Alevxandro" gorgo;n ejmblevya" w{sper levwn (su Alessandro ~ leone
vd. anche Plut. Alex. 4-5).
125
P riporta la lezione uJpovpetron corretta da Bentley in uJpovpteron, secondo quanto
richiedono il metro e il senso: Bentley [1962], pp. 260-261.
62 Euripide in Giovanni Malala

Dopo aver udito la predizione del Lossia,


egli si astenne dalle nozze …

Il ruolo della profezia non sembra sconosciuto dunque neppure a Mala-


la, anche se il cronista trasforma suo more i fatti, attribuendo a Zeus la
funzione di vaticinatore.126 Che tali analogie celino la conoscenza dei pri-
mi versi della tragedia, come si è potuto ipotizzare anche in altri casi, re-
sta una possibilità, anche se la questione è complicata dalla natura spuria
del prologo quale è a noi pervenuto attraverso il cod. P.

Cretenses (Chron. 61, 45-62, 58 = Eur. [41] ii b K.; Chron. 280, 70-
74 Th. = Eur. *471a K.)
Da ultimo, vanno prese in considerazione le citazioni dei Cretesi, presen-
ti in due diversi passi della Chronographia;127 se la seconda si può inten-
dere anche come una citazione “a memoria”, la prima risulta molto più
interessante perché dimostra la conoscenza da parte del cronista non so-
lo della trama della tragedia, ma anche di particolari mitici che possono
derivare soltanto dal Mißverständnis di versi appartenenti alla nota rhesis
di Pasifae, tràdita dalla Pergamena Berolinensis (13217 = 472e K.).
Chron. 61, 45-62, 58 Th. = Eur. [41] ii b K.
ejn de; toi`" proeirhmevnoi" ajnwtevrw crovnoi" th`" Krhvth" ejbasivleusen prw`-
to" oJ Mivnwo", oJ uiJo;" th`" Eujrwvph": o{sti" kai; ejqalassokravtei polemhvsa"
∆Aqhnaivoi" kai; novmou" ejtivqh: peri; ou|, fhsiv, Plavtwn oJ sofwvtato" ejn toi`"
peri; novmwn uJpomnhvmasin ejmnhmovneusen. ejn oi|" crovnoi" h\san oJ Daivdalo"
kai; oJ “Ikaro", qrulouvmenoi e{neken th`" Pasifavh", gunaiko;" tou` Mivnwo"
basilevw" kai; tou` Tauvrou tou` notarivou aujth`": ejx ou| e[teken moiceuqei`sa
uiJo;n to;n klhqevnta Minwvtauron, mesavsanto" th/` moiceiva/ th`" porneiva" tou`
Daidavlou kai; tou` ∆Ikavrou. oJ de; Mivnwo" basileu;" th;n Pasifavhn ajpokleiv-
sa" ejn ãtw/`Ã kouboukleivw/ meta; duvo doulivdwn parei`cen aujth/` trofhvn, kai;
ei[asen aujth;n ejkei`, mhkevti eJwrakw;" aujthvn. kai; ejkeivnh qlibomevnh, wJ" lu-
qei`sa th`" basilikh`" ajxiva", novsw/ blhqei`sa ejteleuvta. oJ de; Daivdalo" kai; oJ
“Ikaro" ejfoneuvqhsan: oJ me;n “Ikaro" feuvgwn th`" froura``", wJ" plevei, ejpontiv-
sqh, oJ de; Daivdalo" ejsfavgh. peri; de; th``" Pasifavh" ejxevqeto dra``ma oJ Eujri-
pivdh" oJ poihthv".

126
A un responso dell’oracolo presente nella Danae (forse nel prologo) fa allusione
Oro (Orth. 282v, 17 = fr. 330a K.) crhsmw/diva Eujripivdh" Danavh/. Cfr. van Looy
2000b, p. 58.
127
Sulla citazione euripidea presente in Chron. 23, 51-65 Th., riferita da alcuni ai
Cretesi ma che più probabilmente appartiene al Frisso, vd. supra, pp. 52 sg. e nn. 94-
96.
I drammi “perduti” 63

Chron. 280, 70-74 Th. = Eur. *471a K.


ejn de; th`/ aujtou` [sc. ÔUpativa"] basileiva/ e[paqen uJpo; qeomhniva" hJ Krhvth nh`-
so" megavlh (Sl), h{ti" ei\cen ejn mevsw/ qalavssh" uJparcouvsa" povlei" ejkato;n
kaqwv", peri; th`" aujth`" nhvsou ejxevqeto oJ sofwvtato" Eujripivdh".

Nel descrivere le vicende più note del regno di Minosse, Malala si soffer-
ma sullo scandaloso adulterio di Pasifae, spogliandolo com’è suo uso di
ogni tratto vergognoso e sostituendo all’imbarazzante zoorastia una più
banale moiceiva con un funzionario reale (Tau'ro" oJ notavrio").128 Il croni-
sta ne descrive le conseguenze tragiche che coinvolsero non solo Pasifae
ma anche Dedalo e Icaro, che erano a conoscenza e forse complici del
tradimento. La regina venne rinchiusa in una stanza del palazzo insieme
alle sue ancelle e lì trovò la morte; Icaro tentò la fuga per mare ma an-
negò, mentre il padre venne sgozzato. Il brano si conclude con il riferi-
mento esplicito a Euripide, che compose una tragedia sul personaggio di
Pasifae: peri; de; th``" Pasifavh" ejxevqeto dra``ma oJ Eujripivdh" oJ poihthv".129
Il dramma cui allude il cronista era dunque tutto incentrato sulla figura
di Pasifae e sulle conseguenze della sua più che illecita relazione, e già
Bentley lo identificò con i Cretesi, in cui si dava ampio spazio anche al
ruolo di Dedalo e al destino tragico di Icaro.130 L’ambientazione cretese
offriva a Euripide l’occasione di connotare in modo misterico il coro for-
mato da muvstai e di introdurre tematiche religiose forse di carattere sin-
cretistico.131

128
La tradizione risale a Filocoro (FGrHist 328 F 17a) e a Demone (FGrHist 327 F
5), citati contestualmente da Plut. Thes. 19: Tauro sarebbe uno strathgov" di Minos-
se che ne insidiò il potere e la moglie Pasifae. Tale versione fu poi ripresa da Euse-
bio (Chron. 785 = FGrHist 328 F 17b), che probabilmente è la fonte di Malala: Can-
tarella 1964, p. 45; van Looy 2000a, pp. 306 sg. Su notavrio", prestito latino, vd. Fe-
stugière 1978, p. 239.
129
La testimonianza di Malala si affianca a quella di [Apollodoro] (Bibl. III 1, 4) e
di Igino (Fab. 40), che riportano, con alcune varianti anche significative, la storia di
Pasifae e Minosse, facendo molto probabilmente riferimento alla versione euripi-
dea. Igino non pare dipendere in toto dai Cretesi euripidei: secondo la sua versione
Pasifae si era macchiata lei stessa di empietà contro Afrodite, che le ispirò un amor
infandus per il toro; Minosse punì Dedalo per aver ideato la vacca lignea e lo relegò
in carcere; Dedalo fu liberato dalla stessa Pasifae (che dunque restava o tornava li-
bera): cfr. anche Diod. Bibl. IV 77, 5; Myth. Vat. I 43: vd. ora Eur. [41], pp. 502-504
K. Per una ricostruzione della vicenda mitica vd. van Looy 2000a, pp. 303 sgg.
130
Bentley [1962], pp. 269 sgg. La tradizione indiretta è molto scarsa e solo Porfirio
(De abstin. IV 19, 2) cita una cospicua sezione della parodos (472 K. = 79 A. = 2 van
Looy 2000a = 1 Cozzoli 2001), anche se il testo risulta corrotto in vari punti: vd. ora
Cozzoli 2001, pp. 46 sgg.
131
Il coro, costituito da muvstai di Zeus Ideo, che si dichiarano pastori di Zagreo
64 Euripide in Giovanni Malala

Rispetto alle versioni tràdite dei mitografi, Malala è il testimone più in-
teressante: è vero che il cronista, nel momento in cui depura la storia di
ogni traccia di mostruosità e trasforma il toro in Tau'ro", segue una tradi-
zione antica ma sicuramente estranea alla versione euripidea. Ma la pru-
derie malaliana è nota e non deve a mio avviso inficiare il valore comples-
sivo della testimonianza, anche perché si è più volte verificato come la
contestuale presenza di letture “moderne” (interpretatio christiana, etc.)
ed elementi più antichi sia una costante nella prassi redazionale della
Chronographia. In effetti, nel riferire il conflitto tra l’adultera Pasifae e il
vendicativo Minosse, il cronista mostra di conoscere dei particolari che
risalgono verosimilmente al dramma euripideo (la chiusura della donna e
le sue ancelle ejn ãtw/`Ã kouboukleivw/, la prigionia di Dedalo e Icaro, la fu-
ga finita tragicamente): fonte di tali particolari poteva ben essere l’hy-
pothesis della tragedia, come ritengono per lo più i commentatori moder-
ni,132 ma il confronto con il testo tragico credo possa suggerire un diver-
so tramite, non così generico.
Il ruolo centrale svolto dalla figura di Pasifae nei Cretesi (peri; de; th``"
Pasifavh" ejxevqeto dra``ma oJ Eujripivdh" oJ poihthv": 62, 57 sg. Th.) trova
una conferma nei due testimoni diretti del testo euripideo, che hanno ri-
portato alla luce una serrata sticomitia tra due personaggi, in cui si dibat-
te sul singolare parto appena avvenuto (P. Oxy. 2461 = 472b-d K.),133 e
una lunga rhesis di Pasifae, incastonata all’interno di un episodio di cui si
conservano anche gli interventi di Minosse e del coro (Perg. Berol. 13217
= 472e K.).134 In particolare la pergamena berlinese, databile tra il I e il II

(472, 10-11 K.), presenta delle connotazioni religiose non chiare, forse volutamente
sincretistiche. È discusso il rapporto tra Minosse e il coro: in particolare, le motiva-
zioni del mancato sacrificio del toro a Poseidone da parte del re cretese, che innesca
la vendetta del dio, sono state ricollegate proprio ai suoi rapporti con il culto di Za-
greo, che vietava sacrifici cruenti (vv. 18 sgg.): vd. ora sull’argomento (con biblio-
grafia precedente) Casadio 1990.
132
Cfr. Carrara 1987, p. 22 n. 12; Cozzoli 2001, pp. 12 sg.
133
Il papiro fu pubblicato nel 1962 da Turner (1962, pp. 100 sgg.) ed è stato datato
alla fine del II sec. d.C.; presenta cinque frammenti dalla discussa collocazione; è
difficile identificare con certezza gli interlocutori della sticomitia: secondo Lloyd-
Jones (1963, pp. 448 sg.) e Austin (1968, fr. 81) Minosse discute con il corifeo, men-
tre Cantarella (1964, pp. 56 sgg.) e van Looy (2000a, p. 312) pensano alla nutrice e a
Minosse; da ultimo la Cozzoli, anche in base al riesame del papiro, esclude la pre-
senza di Minosse tra gli interlocutori (2001, pp. 43 sgg.).
134
La pergamena era andata dispersa dopo la seconda Guerra Mondiale, ma fu ri-
trovata nel 1992 nel Museo Nazionale di Varsavia ad opera di G. Poethke: Cozzoli
2001, pp. 42-43.
I drammi “perduti” 65

sec. d.C.,135 riporta una scena decisiva nell’azione drammatica (forse par-
te di un agone)136 che presenta interessanti punti di contatto con il testo
malaliano: dopo i vv. 1-3, probabilmente lirici, da attribuire al coro di
profeti di Zeus Ideo, in cui si consiglia Minosse di celare l’orrendo
parto,137 segue una lunga rhesis di Pasifae (vv. 4-41) in cui l’eroina si giu-
stifica e protesta la propria completa innocenza, facendo ricorso a uno
stile argomentativo di ascendenza sofistica. Alla rhesis fanno seguito un
breve intervento del coro (vv. 42-43), i vv. 44-49 che vanno attribuiti sen-
za dubbio a Minosse, in cui il re cretese emette la sua sentenza di con-
danna per Pasifae e la sua complice (th;n xunergovn, v. 47), e infine un ul-
teriore scambio di battute tra il coro (vv. 50-51) e Minosse (v. 52).138
Esistono delle coincidenze tra il testo malaliano e i vv. tràditi dalla per-
gamena berlinese che vanno a mio avviso sottolineate. In primo luogo, il
riferimento in Malala alla punizione di Minosse ricalca le parole che il re
stesso pronuncia dopo la lunga e abile rhesis di Pasifae:
Chron. 62, 52-54 Th.
oJ de; Mivnwo" basileu;" th;n Pasifavhn ajpokleivsa" ejn ãtw/`Ã kouboukleivw/ me-
ta; duvo doulivdwn parei`cen aujth/` trofhvn, kai; ei[asen aujth;n ejkei`, mhkevti eJw-
rakw;" aujthvn

Perg. Berol. 13217 = 472e K., vv. 46 sgg.


lavzusqe th;n pano[u`rgon, wJ]" kalw`" qavnh/,
kai; th;n xunergo;n [thvnde, d]wmavtwn d∆ e[sw
[a[go]nte" aujta;" ei{r[xat∆ ej" krupt]hvrion,
[wJ" m]hkevt∆ eijsivd[wsin hJlivou k]uvklon.

Prendete la scellerata perché faccia una bella morte


e questa sua complice, conducetele
dentro la casa e rinchiudetele nel [sotterraneo?]
affinché non vedano più il disco del sole.
(trad. Cozzoli)

Oltre al riferimento alla complicità e alla conseguente punizione di altre


persone accanto a Pasifae (una nel testo, due nella Chronographia),139 va

135
Sul problema della datazione vd. Cozzoli 2001, pp. 41-42.
136
Così van Looy 2000a, p. 313; Cozzoli 2001, p. 102.
137
C. Collard attribuisce il v. 1 (trim. ia.) a Minosse e i vv. 2-3 al coro: 1995, p. 68
(così anche van Looy 2000a, p. 313); Cantarella (1964, F 4), Austin (1968, fr. 82),
Cozzoli (2001, p. 102) e Kannicht (472e K.) attribuiscono i vv. 1-3 al coro.
138
Per un’analisi accurata del frammento vd. Cantarella 1964, pp. 69 sgg.; Cozzoli
2001, pp. 102 sgg.
139
Secondo Euripide, Minosse imprigiona Pasifae e la sua xunergov", probabilmente
66 Euripide in Giovanni Malala

notata in particolare l’espressione malaliana kai; ei[asen aujth;n ejkei`,


mhkevti eJwrakw;" aujthvn, che sembra la parafrasi, pur distorta, del v. 49:
[wJ" m]hkevt∆ eijsivd[wsin hJlivou k]uvklon.
In secondo luogo, degna di attenzione è la frase utilizzata da Malala per
spiegare le ragioni della morte di Pasifae (62, 54-55 Th.):
kai; ejkeivnh qlibomevnh, wJ" luqei`sa th`" basilikh`" ajxiva", novsw/ blhqei`sa ej-
teleuvta.

Ricorrono qui due temi significativi: la morte per novso" e la perdita della
basilikh; ajxiva: il primo ha un preciso e reiterato riscontro nella rhesis di
Pasifae (12, 20, 25?, 35)140 e si combina con l’altro soprattutto ai vv. 27
sgg.:
ka[peit∆ ajutei`" kai; su; martuvrh/ qeouv"
aujto;" tavd∆ e[rxa" kai; kataiscuvna" ejmev:
kajgw; me;n hJ tekou`sa koujde;n aijtiva
e[kruya plhgh;n daivmono" qehvlaton,
su; d∆ – eujpreph` ga;r kajpideivxasqai kalav –
th`" sh`" gunaikov", w\ kavkist∆ ajndrw`n, fronw`n,
wJ" ouj meqevxwn pa`si khruvssei" tavde.
suv toiv m∆ ajpovllu", sh; ga;r hJ ∆x[am]artiva,
ejk sou` nosou`men.

Ed ora tu gridi e chiami come testimoni gli dei


proprio tu che hai compiuto questi misfatti e mi hai svergognato.
Ed io che l’ho generato, anche se per nulla colpevole,
ho nascosto il colpo inferto dal volere divino.
Ma tu queste cose di tua moglie, o il più sciagurato degli uomini,
ritenendole nobili e belle sì da essere mostrate,
le divulghi a tutti come se non ne dovessi essere partecipe.
Tu sei la mia rovina, tua è infatti la colpa,
per causa tua io sono malata.
(trad. Cozzoli)

Secondo Pasifae, è Minosse il vero colpevole, sia perché il suo comporta-


mento empio ha provocato l’ira e la punizione di Poseidone,141 sia per-

un’ancella o la nutrice, perché aveva svolto un ruolo nel favorire l’unione con il to-
ro. Per i raffronti iconografici, vd. ora Cozzoli 2001, pp. 112 sg.
140
Sulla passione di Pasifae per il toro come novso" cfr. Bacch. fr. 26 M.: vd. l’analisi
di Cantarella 1964, pp. 79 sg.
141
Minosse, per ottenere il riconoscimento divino della sua talassocrazia, aveva chie-
I drammi “perduti” 67

ché ha rivelato pubblicamente l’orrenda unione, esponendo la moglie al


disonore. La perdita dell’onore per la rivelazione pubblica del suo parto
è una concausa della rovina di Pasifae, già colpita dagli dèi (plhgh; qehv-
lato" al v. 30).142 Come ha sottolineato A. T. Cozzoli, il motivo dell’eu[-
kleia e dell’ajgaqh; dovxa, che una donna di stirpe regale deve necessaria-
mente conservare, accomuna il personaggio di Fedra con quello di Pasi-
fae, e viene declinato dalla regina cretese con una certa capziosità pro-
pria del discorso sofistico.143 La frase conclusiva (suv toiv m∆ ajpolluv", sh;
ga;r hJ ∆x[am]artiva, / ejk sou` nosou`men, vv. 34-35), con il contestuale rife-
rimento alla morte e alla novso", e il motivo della sofferenza causata dal
disonore trovano un preciso raffronto nella sintesi malaliana: kai; ejkeivnh
qlibomevnh, wJ" luqei`sa th`" basilikh`" ajxiva", novsw/ blhqei`sa ejteleuvta
(l.c.).
Infine, è singolare che anche il destino riservato secondo il cronista a
Dedalo e Icaro, che almeno nel caso di Dedalo è versione unica e isolata,
trovi un punto d’appoggio di nuovo nella rhesis di Pasifae: subito dopo
aver pronunciato le parole citate, l’eroina con sarcasmo invita il marito a
compiere uno dei suoi consueti atti di ferocia (vv. 35-37):
pro;" tavd∆ ei[te pontivan
kteivnein dokei` soi, kte[i`]n∆: ejpivstasai dev toi
miaifovn∆ e[rga kai; sfa≥g≥a;≥" ajndroktovnou":

Perciò se vuoi uccidermi in mare, uccidimi;


sei certo esperto in azioni sanguinarie, in scannamenti e delitti.
(trad. Cozzoli)

Ricorre il riferimento alla morte per annegamento e allo sgozzamento,


che in Malala sono rispettivamente il destino di morte di Icaro e di Deda-
lo (oJ de; Daivdalo" kai; oJ “Ikaro" ejfoneuvqhsan: oJ me;n “Ikaro" feuvgwn
th`" froura``", wJ" plevei, ejpontivsqh, oJ de; Daivdalo" ejsfavgh, 62, 55-57). Va
notato che, se il mito della morte in mare di Icaro era di larga e univoca

sto a Poseidone di far emergere dal mare un toro che gli avrebbe poi sacrificato; do-
po essere stato esaudito dal dio, mancò alla sua promessa e Poseidone si vendicò
ispirando la zoorastria in Pasifae ([Apoll.] Bibl. III 1, 3-4; Diod. Bibl. IV 77, 5; etc.).
Secondo Diodoro (IV 60, 3-4), Minosse talassocrate era nipote del primo Minosse,
figlio di Zeus.
142
La iunctura si è conservata in Tommaso Magistro, Ecl. 178, 3-4 qehvlaton: to;
qeovqen ejlqovn: levgetai de; ajei; ejpi; kakou`, oi|on qehvlato" plhghv.
143
Cozzoli 2001, pp. 39 sg., 108 sg. Contro l’influsso della sofistica nell’argomenta-
zione di Pasifae è invece Cantarella 1964, pp. 78 sgg.; 129 sgg.
68 Euripide in Giovanni Malala

tradizione, nel caso di Dedalo si è di fronte a una versione priva di ulte-


riori riscontri: in nessun altro testo (poetico o mitografico) si fa allusione
a una morte cruenta del celebre inventore e tanto meno a uno sgozza-
mento.144 È lecito dunque chiedersi da dove Malala abbia attinto una si-
mile tradizione, e l’unico raffronto possibile sono allo stato attuale pro-
prio i versi tràditi dalla Pergamena Berolinensis: il Mißverständnis sulla
morte di Dedalo non si spiega se non con una lettura diretta del brano
tragico.
Ciò che rende interessante e significativo il testo malaliano è inoltre che
le analogie riscontrate riguardino in gran parte la rhesis di Pasifae; anche
se il cronista fa riferimento agli antefatti della vicenda (amore per Tauro,
etc.), il sintetico brano è incentrato sul conflitto tra Pasifae e Minosse,
con coincidenze anche verbali (cfr. Eur. fr. 472e, 49 [wJ" m]hkevt∆ eijsiv-
d[wsin ≈ Chron. 62, 54 Th. mhkevti eJwrakw;" aujthvn; fr. 472e, 37 K.
sfa[ga;]" ≈ Chron. 62, 57 Th. ejsfavgh), che sembrano tradire una fonte
meno generica di una hypothesis. Anche la citazione finale, che sottolinea
il ruolo centrale di Pasifae nello svolgimento dell’azione (peri; de; th``" Pa-
sifavh" ejxevqeto dra``ma oJ Eujripivdh" oJ poihthv"), trascurando altri perso-
naggi pur di rilievo nel dramma (cfr. e.g. il coro di muvstai che pure dà il
titolo alla tragedia), avvalora l’ipotesi che Malala fosse “influenzato” dal-
la lettura di brani quale quello conservato dalla pergamena berlinese.145
Una citazione vera e propria dai Cretesi euripidei è stata individuata in
Chron. 280, 70-74 Th. (*471a K.),146 in cui Malala sembra riecheggiare i
vv. 2-3 della parodos citata da Porfirio (De abstin. IV 19, 2 = 472, 2 sg. K.:
kai; tou` megavlou Zhnov", ajnavsswn / Krhvth" eJkatomptolievqrou):147

144
Sulla morte di Dedalo non si hanno ulteriori notizie se si eccettua il riferimento
di Alessandro Poliistore (apud Steph. Byz. Ethn. 216, s.v. Daivdala), secondo cui fu
ucciso in Licia da un serpente (kai; uJpo; cersuvdrou dhcqevnta teleuth`sai kai; ejkei`
tafh`nai kai; ktisqh`nai povlin fhsi;n ∆Alevxandro" ejn Lukiakoi`"): cfr. Robert 1901,
col. 2002. Secondo la vulgata, Dedalo riusciva a fuggire da Creta e giungeva in Sici-
lia dove era accolto con favore da Cocalo.
145
Garzya avanza l’ipotesi che si fossero conservate parti «assez étendues» dei Cre-
tesi in epoca bizantina, sulla base della dettagliata descrizione della passione di Pasi-
fae presente in Niceforo Basilace, retore del XII sec. (To; kata; Pasifavhn =
Progymn. 12 Pignani); nel brano sono ravvisabili punti di contatto con Ov. Ars am. I
289 sgg., che ha come modello Euripide ma che non poteva esser noto a Niceforo.
Di qui l’ipotesi di una conoscenza diretta da parte del retore di alcuni brani dei Cre-
tesi: Garzya 1974.
146
Kannicht attribuisce il frammento con qualche riserva ai Cretesi; così anche Coz-
zoli 2001 (fr. °10); lo inserisce tra i testimonia Cantarella 1964 (T 2).
147
Così anche Nauck (472 N.2, appar. p. 506 : «huc respicit Ioh. Malalas p. 359, 17:
I drammi “perduti” 69

ejn de; th`/ aujtou` [sc. ÔUpativa"] basileiva/ e[paqen uJpo; qeomhniva" hJ Krhvth
nh`so" megavlh (Sl), h{ti" ei\cen ejn mevsw/ qalavssh" uJparcouvsa" povlei" eJka-
tovn, kaqw;" peri; th`" aujth`" nhvsou ejxevqeto oJ sofwvtato" Eujripivdh".

L’epiteto euripideo, di ascendenza omerica (Il. II 649 a[lloi q∆ oi} Krhvthn


eJkatovmpolin ajmfenevmonto), viene parafrasato dal cronista con una certa
libertà, al limite del fraintendimento.148 Di recente è tornato sull’argo-
mento P. Carrara, sostenendo che non c’è rapporto tra la frase malaliana
e il v. 3 della parodos, e che la citazione riguarda invece il verso incipitario
della tragedia (perduto), in cui, come accade spesso in Euripide (cfr.
Alc.; Androm.; Ba.; etc.), doveva essere presente una notazione geografi-
ca.149 L’ipotesi di Carrara si fonda su una petizione di principio, molto
verosimile ma non così cogente: Malala non ha mai letto le tragedie di
Euripide e specialmente quelle “perdute” non tanto perché nel VI sec.
d.C. non ne avesse più la possibilità, ma perché «he was surely not inte-
rested in doing so in order to prepare his chronological compilation»
(l.c., p. 23).150 Le sue fonti privilegiate erano invece le hypotheseis dalle
quali poteva trarre solo il verso incipitario della tragedia.
In realtà, sulla base di quanto emerso dall’analisi dei brani malaliani, ri-
tengo che non si possa escludere un rapporto più “ravvicinato” con i te-
sti tragici; in questo caso, anche se resta probabile l’ipotesi che si tratti di
un verso incipitario, la citazione potrebbe rientrare tra quelle “a memo-
ria”: l’espressione kaqw;" peri; th`" aujth`" nhvsou ejxevqeto circoscrive il ri-
ferimento euripideo alla descrizione dell’isola e non, come di consueto,
all’argomento o ai personaggi di una tragedia, e questo può avvalorare
l’ipotesi che il cronista riecheggi semplicemente un verso famoso.151

hJ Krhvth nh`so" … Eujripivdh"»); Austin 1968, fr. 79; Van Looy 2000a, p. 323 n. 41;
fr. 1 Cozzoli 2001.
148
Cozzoli 2001, pp. 116-117, sottolinea come nella tradizione «si parli di ‘Creta
dalle cento città’ su cui regnava Minosse e non di ‘cento città in mezzo al mare sog-
gette a Creta’. Evidentemente Malala o la sua fonte hanno frainteso il verso euripi-
deo».
149
Carrara 1987, p. 24.
150
Così anche a p. 23 n. 20: «The problem is “how far” John utilized a direct rea-
ding for his compilation: the answer is, in my opinion, that he did not».
151
Cfr. le glosse esichiane nh`soi (n 531 L. tovpoi ejn mevsw/ qalavvssh") e eJkatovnpolin
(e 1281 L. eJkato;n povlei" e[cousan), che richiamano al contempo il testo euripideo
e quello malaliano: vd. Cozzoli 2001, p. 117.
Addendum

Durante gli scavi effettuati ad Antiochia e a Seleucia Pieria dall’Univer-


sità di Princeton (1932-1939) furono portati alla luce centinaia di mosaici
policromi, molti dei quali in case private, appartenenti a un periodo che
va dal I al VI sec. d.C.1 Alcuni di questi pavimenti musivi presentano te-
mi mitici che rimandano a drammi euripidei,2 ma è noto quanto sia con-
troverso il problema del rapporto tra testi drammatici e rappresentazioni
iconografiche: dinanzi a immagini mitologiche resta sempre aperta, infat-
ti, la possibilità che si tratti di illustrazione di semplici miti e non della lo-
ro rielaborazione drammatica.3 In alcuni casi, la presenza di elementi ar-
chitettonici (“stage architecture”: tempietti, colonne, etc: vd. Figg. 1, 2, 5)
aiuta a superare l’aporia interpretativa e a orientare verso una scena tra-
gica (intesa come scena clou o come epitome dell’intera opera).4 Pur am-
mettendo il significato “teatrale” di tali raffigurazioni musive, non si può
escludere tuttavia che esse si riferissero anche ad altri generi di perfor-
mance (mimi, pantomime, etc.), particolarmente diffusi nel mondo tar-
do-antico e nella stessa Antiochia (cfr. Luc. De salt.).5

1
Vd. Stillwell 1938 e 1941; Levi 1947; Campbell 1988; Kondoleon 2000; Cimok
2000.
2
È questa la teoria di K. Weitzmann, che ha sostenuto il carattere euripideo dei sog-
getti di molti mosaici antiocheni: Weitzmann 1941 e 1949, pp. 202 sg. Secondo lo
studioso, inoltre, la somiglianza tra lo schema compositivo ravvisabile in alcune mi-
niature bizantine di codd. del X-XII sec. d.C. e nei mosaici a soggetto “euripideo”
dimostra che fonte di entrambi erano le illustrazioni dei papiri e codici euripidei,
che come una sorta di “narrazione ciclica” accompagnavano il testo. Tale ipotesi
porta con sé importanti conseguenze, perché, quando l’illustrazione riguarda dram-
mi “perduti” (cfr. Eur. Aegeus, Ino, Peliades nella “Jealousy Miniature” del Marc. gr.
479 contenente i Cynegetica di Oppiano; Stheneboea nel cofanetto di Veroli), si deve
supporre che fino al 1204 d.C. essi fossero ancora presenti almeno nella Biblioteca
di Costantinopoli: Weitzmann 1949, pp. 160 sgg. e 195 sgg. Vd. anche Weitzmann
1951, pp. 93 sgg.; 131-138; 152 sgg.
3
Così Levi 1947, p. 76 n. 54.
4
A favore dell’ipotesi dell’epitome è ora Huskinson 2002-2003, p. 143.
5
Così la Huskinson: «Great tragedies of the past may have been appreciated as
72 Le citazioni di Euripide in Giovanni Malala

Ma al di là di una precisa identificazione teatrale, ciò che risulta inte-


ressante anche ai fini del “problema malaliano” è il gusto testimoniato
dai mosaici per la selezione di particolari scene mitico ~ teatrali (vd. so-
prattutto la “Casa dal Pavimento Rosso”, Fig. 3; vd. anche il mosaico di
Perseo e Andromeda nella “Casa di Dioniso e Arianna”, Fig. 5):6 in essi
si assiste a una sorta di focalizzazione su scene particolarmente significa-
tive accomunate da un Leitmotiv (per es. gli effetti funesti della passione
amorosa: Fig. 3) e molto probabilmente selezionate anche nelle perfor-
mances. Anche il rapporto, ben attestato per la “Casa di Menandro”, tra
le raffigurazioni musive e il reale contesto simposiale (il symposium è evo-
cato non solo dalle immagini “teatrali” ma dal luogo stesso in cui sono
collocate, vale a dire in un triclinium) sembra attestare l’esistenza di una
sorta di “circolarità” tra performance e immagine: la selezione di scene
può dunque verosimilmente riflettere l’uso simposiale di recitazioni di
brani letterari (rheseis tragiche, mimi, brani di romanzi ellenistici),7 che
continuava anche in epoca tardo-antica e che presuppone la circolazione
di testi oggi perduti.8

tokens of a Greek literary heritage, but in Antioch […] their stories were more
likely to have been performed in recitations and pantomimes, and at private sympo-
sia rather than in public venues»: 2002-2003, p. 160.
6
Per la descrizione del pavimento musivo vd. supra, p. 36 n. 31.
7
Cfr. il mosaico di “Metioco e Partenope” (Dafne, II-III sec. d.C.); vd. anche il mo-
saico di Zeugma-Belkis (200 d.C.) con analogo soggetto: per un’analisi del rapporto
tra la raffigurazione musiva e il romanzo vd. ora Hägg-Utas 2003, pp. 57-64. Cfr. an-
che la “Casa di Ifigenia” (Seleucia, II-III sec. d.C.), con il pavimento musivo che
molto probabilmente raffigura una scena dell’Ifigenia in Aulide di Euripide (Fig. 2):
Weitzmann 1941, pp. 242-244; Huskinson 2002-2003, pp. 141 sgg.
8
Anche nell’analisi delle citazioni euripidee presenti in Malala si è constatato come
fosse probabile che, accanto alle hypotheseis dei drammi o a raccolte mitografiche, il
cronista avesse a disposizione codici con prologhi (Stenebea, Danae) o rheseis parti-
colarmente significative (cfr. la rhesis di Pasifae nei Cretesi).
Addendum 73

Fig. 1. “Casa delle Maschere”. Dafne (sobborgo di Antiochia), IV sec. d.C.


74 Le citazioni di Euripide in Giovanni Malala

Fig. 2. “Casa di Ifigenia”. Seleucia, II-III sec. d.C. Ifigenia, Clitennestra e


Agamennone.
Addendum 75

Fig. 3. “Casa del Pavimento Rosso”. Dafne, II sec. d.C.


76 Le citazioni di Euripide in Giovanni Malala

Fig. 4. “Casa del Pavimento Rosso”. Pannello inferiore: Atalanta, Melea-


gro e il cinghiale calidonio, un cacciatore (?).
Addendum 77

Fig. 5. “Casa di Dioniso e Arianna”. Seleucia, II-III sec. d.C. Terzo pan-
nello: Andromeda e Perseo.
Abbreviazioni bibliografiche

Edizioni
La Chronographia di Giovanni Malala è citata secondo il testo di I. Thurn (= Th.):
Ioannis Malalae Chronographia, Berolini et Novi Eboraci 2000, con riferimento alla
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Per i frammenti euripidei si usa l’edizione curata da R. Kannicht (= K.), Tragico-
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Indici

Indice dei passi citati I 8, 4: 33 n. 23, 35; I 8, 5: 35 n. 28; I 9,


1: 56; II 3, 2: 47; II 4, 1: 56 n. 111, 60;
II 4, 2: 61 n. 123; III 1, 1: 55 n. 105, 56
ACCIUS e n. 109; III 1, 3-4: 67 n. 141; III 1, 4:
Meleager fr. VIII Dangel: 34 63 n. 129; III 5: 39 n. 41; III 5, 8: 30 n.
16
AELIANUS Epit. 2, IX: 13 n. 6
N.A. XII 7: 28 n. 8
APOLLONIUS RHODIUS
AESCHYLUS I 752 sgg.: 13 n. 6
Choe. 602-611: 32 n. 19, 37 n. 34; 604 schol. I 752: 13 n. 6; IV 1090: 39 n. 41,
sgg.: 33 n. 22 40 n. 48; IV 1091: 60, 61 n. 123
Eum. 479: 11 n. 2; 666: 37 n. 34; 942:
11 n. 2 ARISTOPHANES
Th. 537: 60 n. 121 Ach. 426-427: 46 n. 74
schol. Choe. 608-609: 37 n. 34 Pax 147-148: 46 n. 74
schol. Th. 486 a-c: 56 n. 109 Pl. 633 sgg.: 22 n. 33
Ran. 1049-1052: 48
ALCMAEON schol. Pl. 635: 22 n. 33
24 A 5 Diels-Kranz: 22 schol. Ran. 1043c: 48; 1051: 48; 1225:
53; 1225-1226a: 54 n. 104
ALEXANDER APHRODISIENSIS
De sens. 23, 8 sgg.: 22 ARISTOTELES
De sens. 2, 437b: 22
ALEXANDER POLYHISTOR fr. 45 Rose: 50 n. 88
apud Steph. Byz. Ethn. 216, s.v. Daivda-
la: 68 n. 144 ARSENIUS
13, 19d: 18
ANTHOLOGIA PALATINA
III 15, 3: 47 n. 80; IX 48: 40 n. 48 ARTEMIDORUS
Onir. II 10: 38 n. 37
ANTONINUS LIBERALIS
Met. II 1, 1: 34 n. 23 ASCLEPIADES TRAGILENSIS
FGrHist 12 F 13: 47 e n. 80
[APOLLODORUS]
Bibl. I 7, 10: 34 n. 23; I 8: 32 n. 19; I 8, ASIUS
1: 33 n. 23; I 8, 2: 33 e n. 23, 38 n. 39; fr. 1 Bernabé: 39 nn. 41-42
92 Indici

ATHENAEUS 60, 3-4: 67 n. 141; IV 77, 5: 63 n. 129,


II 356: 34 n. 23; XIII 71: 39; XV 701b: 67 n. 141; VI 5: 14 n. 11; VI 9: 47 n. 78
28 n. 8
EMPEDOCLES
BACCHYLIDES 31 F 84, 7-8 Diels-Kranz: 22 sg.
Ep. 5: 33 n. 22; 5, 76 sgg.: 32 n. 19; 5,
127: 32 n. 19 EPICHARMUS
fr. 26 Maehler: 66 n. 140 CGF frr. 81-83: 19 n. 26

CALLIAS ERATOSTHENES
PGC IV, ff. 5-13: 19 n. 26 Cat. 1, 14 Robert: 52

CALLIMACHUS ETYMOLOGICUM GUDIANUM


Ep. XLVI Pfeiffer: 21 n. 31 230, 54 Sturz: 42 n. 59; 385, 28: 35 n.
27
CEDRENUS GEORGIUS
I 44, 20: 41 n. 51; I 44-45: 41 n. 52; I ETYMOLOGICUM MAGNUM
45, 1-46, 18: 26 n. 1; I 46: 31 n. 18; I 92, 24 Gaisford: 42; 411, 12: 42; 709, 6:
145, 17-146, 1: 2 n. 5 41

CEPHALIO EURIPIDES
FGrHist 93 T 1: 14 sg. n. 13; 93 T 2: 14 Andr. 458: 60 n. 121; 532: 22 n. 33;
sg. n. 13; 93 F 5: 40 774-776: 1, 17 sg.; 1123: 60 n. 121
Andromeda frr. 140, 141, 142, 143, 151
CHRISTUS PATIENS Kannicht: 39 n. 40
1430 Tuilier: 50 n. 90; 1547 sgg.: 16 n. 17 Antiope [12] iv c Kannicht: 39-44; fr.
181: 42 e n. 58; 182: 42; 210: 42 e n. 61,
CLEMENS ALEXANDRINUS 43 n. 62
Strom. V 14, 111, 2: 42 Ba. 3: 16, 44; 26: 16 n. 17; 26 sgg.: 15,
44; 28-29: 16; 1111 sgg.: 50 e nn. 89-
CRATINUS 90
PGC IV, frr. 143-157: 19 n. 26 Cretenses [41] ii b Kannicht: 62-68, 63
n. 129; fr. *471a: 52 n. 95, 63, 68-69;
DEMON 472: 63 n. 130; vv. 2 sg.: 68 e n. 147; vv.
FGrHist 327 F 5: 63 n. 128 10-11: 63 sg. n. 131; vv. 18 sgg.: 64 n.
131; 472b-d: 64 e n. 133; 472e: 62, 64 e
DICTYS CRETENSIS n. 134; vv. 1-3: 65 e n. 137; vv. 12, 20,
Dict. Lat. VI 5: 20 n. 27 25, 35: 66; vv. 27 sgg.: 66; v. 30: 67 e n.
P. Oxy. 2539: 17 n. 19 142; vv. 34-35: 67; vv. 35-37: 67, 68; vv.
P. Tebt.: 17 n. 19 46 sgg.: 65; v. 47: 65 e n. 139; v. 49: 66,
68
DIO CHRYSOSTOMOS Cycl. 21: 20 n. 28; 386: 50 n. 89; 441-
I 68: 61 n. 124 442: 43; 460 sgg.: 21 sg.; 462-463: 23;
507 sgg.: 20; 531: 20; 532 sgg.: 20; 610-
DIODORUS SICULUS 611: 22; 611: 23 e n. 35; 624: 43; 648:
IV 2, 1: 56 n. 109; IV 34: 33 n. 22; IV 20 n. 28
Indici 93

Danae [20] ii Kannicht: 56-62; frr. 324- sgg.: 31 n. 16; 145-149: 60 n. 121; 636-
325: 57 sg. n. 114; 330a: 62 n. 126; 637: 41
[1132]: 5, 58 e nn. 117-118, 60; vv.13- Phrixus I fr. 818c Kannicht: 53, 54 e n.
17: 61; v. 24: 59 n. 118 102; 818c, v. 2: 54 n. 103
El. 219: 43; 953: 43 Phrixus II fr. 819 Kannicht: 53 e n. 98,
Hec. 972: 22 n. 33 54 e n. 102; 819, 9: 55 n. 106; 820 [a]:
HF 131 sg.: 61 n. 124; 868: 61 n. 124; 52 e n. 95; 820 [b] appar.: 51-56; 52 n.
990: 61 n. 124; 1111: 22 n. 33; 1210 95
sgg.: 61 n. 124 [Rhesus] 9, 852: 50 n. 89
Hipp. 388 sgg.: 48; 477 sgg.: 48; 507 Stheneboea [61] ii a, ll. 17-19 Kannicht:
sgg.: 48 46; ll. 35 sg.: 45 n. 72; [61] ii c: 48; [61]
Hrcl. 539 sgg.: 17 sg.; 540: 1 ii d: 44-51; 47 n. 79; fr. 661: 46, 49; v. 6:
Ion 832: 43; 876: 22 n. 33 49 n. 85; vv. 24 sg.: 49 n. 86; v. 26: 49 e
Iph. Aul. 1578-1629: 58 nn. 117-118 n. 87
Iph. Taur. 69-70: 10 sg.; 69: 11; 74: 11; Suppl. 904 sgg.: 35
75: 10 sg.; 77: 11; 82-83: 10 sg.; 102- Syleus fr. 689 Kannicht: 61 n. 124
105: 10 sg.; 104-105: 11; 170 sg.: 37 n. Tro. 506 sgg.: 50 sg.; 507: 50 n. 89; 989-
34; 209 sg. 37 n. 34; 232: 37 n. 34: 238- 990: 41
239: 10-12; 241: 12; 241-242: 10-12; schol. Or. 333: 11; 1008: 41
242: 12 n. 4; 246: 10, 12; 249-251: 10, schol. Phoe. 6 : 54 n. 104; 26: 27 n. 3;
12; 249: 12; 250: 12; 251: 12; 254-255: 45: 27 n. 3; 61: 27, 28 n. 7; 636-37: 41;
10, 12; 255: 12; 261: 12; 468-469: 10; 1760: 28 n. 7
495: 10; 500: 10, 12; 501 sgg.: 12; 510:
10; 727-728: 11 sg.; 746: 12 n. 4; 791- EUSEBIUS
792: 11 sg.; 822 sgg.: 13; 822-823: 11- Chron. I 188: 2 n. 5; 56, 21 Helm: 26 n.
13; 889-890: 12 n. 4 3; 785 (= FGrHist 328 F 17b): 63 n.
Medea 922: 22 n. 33; 1169 sg.: 51; 128; Praep. Ev. II 2, 3-5: 14 n. 12; XIII
1174-1175: 22 n. 33 13, 38: 42 n. 61
Melanippide fr. 495 Kannicht: 5 n. 13
Meleager [46] iii b Kannicht: 32-39; EUSTATHIUS
517: 34 n. 27, 42 n. 57; 530- 531a: 34; In Hom. Il. II 345, 18: 42 n. 57; IV 653,
537: 35; fr. 3 van Looy: 34 nn. 23-24 5-6: 50 n. 90
Oedipus [48] ii Kannicht: 25-31; fr. In Hom. Od. I 21, 32-34: 23 n. 34; II
539a: 27 n. 6; 540-540b: 27-28; 540, vv. 224, 4-6: 23 n. 34
1-10: 28; 540a, vv. 1-14: 28, 29 n. 8; In Dion. Perieg. 899: 55 n. 108
540a, v. 2: 28 sg. n. 8; 541: 27, 28 n. 8,
30 n. 13; 543, 544, 545: 30; 545, v. 1: EXCERPTA CONSTANTINIANA
31; 545a, 546, 547, 548: 30; 550: 31 n. EV 1, 1159: 45 n. 70
16; 551: 30, 31 n. 16; 552: 30
Or. 10, 34, 43, 211, 227, 229, 232, 282, GREGORIUS CORINTHIUS
304, 314, 395, 407, 480, 792, 800, 831, Rhetores Graeci VII 1321 Waltz: 4 n.
881, 883, 1016: 11 n. 2; 333: 11; 389: 22 10, 46 n. 75
n. 33; 1008: 41; 1401-1402: 61 n. 124;
1491: 50 n. 89 HECATEUS
Phaethon fr. 772a Kannicht: 5 n. 13 FGrHist 1 F 15: 33 sg. n. 23, 38 n. 38
Phoe. 17 sgg.: 30; 44-45: 28 n. 7; 47
94 Indici

HERMESIANAX HYGINUS
Leon. fr. 7, 15 sgg.: 39 De astr. II 21: 52 n. 95
Fab. 8: 39 n. 41; 40: 63 n. 129; 57: 47 n.
HERODOTUS 78, 48; 66: 27 n. 6, 28 n. 7; 243: 48
I 10, 1: 31 n. 18; I 108: 37 n. 34; II 44:
55 n. 105; VI 47: 55 n. 105; VI 131: 61 HYMNI HOMERICI
n. 124 2, 66: 37 n. 34; 2, 187: 37 n. 34

HESIODUS HYPOTHESEIS
Th. 139 sgg.: 20 n. 28; 143: 20 n. 28; hypoth. Danae (= cod. P, f. 147v, col. I
325: 45 n. 73 6): 5, 58 e n. 117, 60
fr. 25, 12 Merkelbach-West: 33 n. 22; hypoth. Od. 16-37: 20 n. 27
43a, 88 sgg.: 47 n. 80; 182: 39 n. 42; hypoth. Stheneb. (= [61] ii a Kannicht):
280, 2: 33 n. 22 4 e n. 10, 45 n. 72, 46 e n. 75
[Sc.] 216-227: 61 n. 123 Pap. IFAO, inv. PSP 248: 4
schol. Th. 326: 27 n. 3 P. Colon. 1: 4 n. 11
P. Oxy. 2455: 46 n. 75
HESYCHIUS P. Oxy. 2455, fr. 4, col. IV, 40-42 (=
gorgov" (g 848 Latte): 60 n. 121; eJka- [48] iii Kannicht): 27 n. 6
tovnpolin (e 1281): 69 n. 151; nh`soi (n P. Oxy. 2455, frr. 14 e 16 (=[76] ii a
531): 69 n. 151; savturoi (s 257): 41 n. Kannicht): 54 e n. 101, 55
53; stevfanon ejkfevrein (s 1791): 37 P. Oxy. 3652: 54
P. Oxy. 3656: 3 n. 7
HIPPOCRATES P. Vindob. G. 29 779: 27 n. 6
Aër. 7, 23: 11
IBYCUS
HOMERUS SLG 223, 21-23: 45 n. 73
Il. II 649: 69; V 136 sgg.: 61 n. 124; V
161: 61 n. 124; V 299: 61 n. 124; V 476: IOANNES ANTIOCHENUS
61 n. 124; V 639: 61 n. 124; VI 160- fr. 16 Roberto: 26 n. 1, 31 n. 18; 24.4, 3-
177: 44; VI 168 sgg.: 45 n. 71;VI 172 4: 2 n. 5; 48.2, 17-32: 20 n. 27
sgg.: 46; VI 174 sg.: 47 e n. 77; VI 178-
180: 47; VI 192: 47 n. 80; VI 200 sgg.: IOANNES DAMASCENUS
45 n. 73; VI 201-202: 45; VIII 348 sg.: Canon. Iamb. 2, 22: 42 n. 61
60 n. 121; IX 529-605: 32 n. 19; IX
567: 32 n. 19; IX 572: 33 n. 22; XIV IOANNES LOGOTHETAS
115 sgg.: 34 n. 23; XXII 87: 37 n. 34 Comm. ad [Hermogenis] p. meq. dein.
Od. I 71: 20 n. 28; VI 132 sg.: 61 n. 447, 14-33 Rabe: 4 e n. 10, 46 e n. 75
124; IX 375 sgg.: 23; X 105 sgg.: 21; X
552 sgg.: 20 n. 27; XI 260-265: 39 n. 42 IOANNES MALALAS
schol. AB Hom. Il VI 155: 48; Il. IX Chron. 5, 39 sgg. Thurn: 41; 8 sgg.: 14
543: 35 n. 27 n. 11; 22, 46-23, 47: 51; 23, 51-65: 51-
56, 62 n. 127; 25, 16-20: 55 n. 108; 25,
HORATIUS 24-26, 41: 56-62; 25, 24-28, 25: 56; 25,
Carm. III 16, 7 sgg.: 57 n. 114 28 sg.: 59; 25, 29: 59; 25, 34 sgg.: 60;
26, 41-55: 56; 28, 13-25: 38 n. 40; 30,
Indici 95

61-63: 14; 30, 68-69: 14 n. 9; 30, 69-71: 31 sgg.: 57 n. 112; XXXI 216-217: 40
41; 31, 9-12: 14-16, 44; 31, 21-23: 15; n. 48; XXXIX 257-264: 21 n. 31; XL
32, 37: 14; 32, 38-39: 14 n. 9; 32, 40 553-557: 21 n. 31
sgg.: 60 n. 122; 32, 40-36, 28: 39-44; 36,
29-38, 6: 25-31; 38, 3-5: 1; 45, 5-6: 41 n. OLYMPIODORUS
55; 51, 79-81: 2 n. 5; 51, 83-84: 2 n. 5; In Plat. Gorg. 44, 5: 52 n. 92
59, 1-60, 26: 44-51; 61, 45-62, 58: 62-
69; 61, 50: 41 n. 56; 64, 1-5: 18-19; 64, ORUS
7-8: 19; 64, 8-11: 18 sg.; 64, 11-12: 19; Orth. 282v, 17: 62 n. 126
64, 18: 50; 64-65: 15 n. 14; 65, 30 sgg.:
19; 65, 33-35: 18; 86, 65: 21; 87, 80-94: OVIDIUS
19-23; 89, 52-90, 72: 19 n. 25; 89, 56: Ars am. I 289 sgg.: 68 n. 145
19 n. 25; 93, 85-88: 1, 17-18; 104, 56- Met. VIII 451 sgg.: 37 n. 34
107, 24: 9-13; 127, 87-90: 35; 128, 18-
36: 32-39; 145, 7: 50; 211, 18: 50; 216, PALAEPHATUS
31-41: 6; 217, 84 sgg.: 6; 220, 42 sgg.: 6; De incred. 4 Festa: 26 n. 3; 15: 51
236, 84 sgg.: 6; 280, 70-74: 63, 68-69
PAPYRI
LIBANIUS Pap. IFAO, inv. PSP 248: vd. Hypothe-
Or. 10: 6 e n. 19; 11, 240 sgg.: 6 seis
P. Colon. 1: vd. Hypotheseis
LUCIANUS P. Oxy. 2455: vd. Hypotheseis
De salt. (passim): 71 P.Oxy. 2459 (= 540-540b Kannicht): 27
Dial. deor. 5, 2: 59 n. 119 e n. 6, 28 n. 8, 29 n. 10
Dial. mar. 12, 1: 59 e n. 119; 14, 1: 59 P. Oxy. 2461 (= 472b-d Kannicht): 64 e
Gall. 13: 57 n. 114 n. 133
JTr 2, 9: 40 n. 48 P. Oxy. 2539: vd. Dictys Cretensis
Somn. 13: 59 n. 119 P. Oxy. 3652: vd. Hypotheseis
Timon 41: 59 n. 119 P. Oxy. 3656: vd. Hypotheseis
Perg. Berol. 13217 (= 472e Kannicht):
MOSES CHORENSIS 64 sg.
De refut. III 4: 4 n. 11 P. Tebt.: vd. Dictys Cretensis
Progymn. III 3: 4 n. 11 P. Vindob. G. 29 779: vd. Hypotheseis

MYTHOGRAPHUS VATICANUS PAUSANIAS


I 43: 63 n. 129; III 3, 5: 57 n. 114 II 6, 4: 39 n. 41; V 13, 3: 13 n. 7; V 25,
12: 55 n. 105; IX 26, 2-4: 27 n. 3; X 31,
NICEPHORUS BASILACES 4: 32 n. 19, 33 n. 22
Progymn. 12 Pignani: 68 n. 145
PHERECYDES
NICOLAUS DAMASCENUS FGrHist 3 F 10 = 43 Dolcetti: 60, 61 n.
FGrHist 90 F 8: 30 n. 14 123; 3 F 37a = 185: 13 n. 6; 3 F 95 =
107: 30 n. 16; 3 F 98 = 112: 53 n. 97
NONNUS
D. VII 123: 40 n. 48; XVI 242-243: 40 PHIDELIUS CORINTHIUS
n. 48; XVIII 291 sgg.: 57 n. 112; XXV FGrHist Ia, 30: 19 n. 25
96 Indici

PHILOCHORUS PROPERTIUS
FGrHist 328 F 17a: 63 n. 128; 328 F III 2, 9 sg.: 21 n. 31
82: 27 n. 3, 29 n. 8
SERVIUS
PHILOXENUS In Verg. Aen. III 636: 21 n. 30
PMG 821: 21
SEXTUS EMPIRICUS
PHOTIUS Adv. Math. 3, 3 = 78 Wehrli: 3 n. 7
Bibl. 68, 34: 15 n. 13
SIMONIDES
PHRYNICHUS PMG 543,1 sg.: 60
TrGF 3 F 6: 32 n. 19, 33 n. 22
SOPHOCLES
PINDARUS El. 419-423: 37 n. 34; 1070: 11 n. 2
Isthm. 7, 44-47: 45 n. 73; 7, 47: 45 Ichneutae fr. 314, v. 221 Radt: 43
Ol. 1, 27: 13 n. 7; 1, 75 sgg.: 13 n. 6; 2, Iobates frr. 297-299: 48
45: 37 n. 34; 6, 68: 37 n. 34; 13, 63 sgg.: Phineus fr. 710: 22 n. 33
45 n. 73 Tr. 556: 43 n. 63
Pyth. 10, 31 sgg.: 61 n. 123; 12, 6 sgg.:
61 n. 123 STEPHANUS BYZANTIUS
schol. Nem. 10, 12b: 35 Ethn. 216 s.v. Daivdala: 68 n. 144
schol. Pyth. 4, 288a: 53 n. 97
STESICHORUS
PLATO PMG 222: 33 n. 22
Alc. I 132e-133a: 22
Resp. 416a: 43 n. 63
STOBAEUS
Tim. 45b: 23 n. 35
Anth. III 1, 2: 18; IV 20, 68: 28 n. 8
PLUTARCHUS
SUDA
Alex. 4-5: 61 n. 124
Kefalivwn (k 1449 Adler): 15 n. 13; Oij-
De mul. virt. 248a: 47 n. 80
Thes. 19: 63 n. 128 divpou" (oi 34): 26 n. 1; camaieuvreto"
fr. 136 Sandbach: 28 n. 8 (c 66): 50

[PLUTARCHUS] THEOCRITUS
Parall. min. 26, 312a: 34 nn. 23-24 Id. 2, 23 sgg.: 38 n. 37; 6: 21 n. 31; 11:
21 n. 31
POLLUX
IV 111: 58 n. 116; VIII 10: 2 n. 5; IX THEODORUS PRODROMUS
36: 42 Rhod. et Dos. II 70: 59 n. 118

PORPHYRIUS THOMAS MAGISTER


De abstin. IV 19, 2: 63 n. 130, 68 Ecl. 178, 3-4: 67 n. 142

PROCLUS TIMAEUS
In Plat. Cratyl. 85, p. 39, 19-23 Pasqua- FGrHist 566 F 69: 21 n. 31
li: 34 n. 27; 85, 10: 41 sg. n. 57
Indici 97

TZETZES Alcibiade: 2 n. 5
Ad Aristoph. Ran. 1051: 49 n. 83; 1225- Alcmeone: 2 n. 5
1226a: 53 e n. 98, 54 n. 104 Alea (pianura): 45 e n. 73
Chil. I 19, 520 sgg. Leone: 52 n. 92; VI Alessandro Magno: 15 n. 13, 61 n. 124
56, 499 sgg.: 18 n. 21; VII 102, 69 sg.: Alpenore: 20 n. 27
37 n. 34; VIII 435-437: 5; VIII 443- Alpers K.: 4 n. 12
451: 5; X 360, 934-941: 20 n. 27 Altea: 32 n. 19, 33 e n. 22 , 34 e nn. 26-
Proleg. de comoedia, XIa Prooem. II, 27, 35, 36
63 Koster: 5 Amazzoni: 47
schol. Lycophr. 7 Scheer: 27 n. 3, 29 n. Andromeda: 38 n. 40, 72, Fig. 5
8; 17: 47 n. 78; 63-64: 41; 152: 13 n. 7; Anfione: 39 n. 41, 40, 42, 43, 44
486: 37 n. 34; 492: 37 e n. 34; 1299: 52 Anfitrione: 61 n. 124
n. 92; 1301: 52 n. 92 Antifate: 21
Antiochia: 6 e nn. 17-21, 35, 71 e n. 5
VELLEIUS PATERCULUS Antiope: 39 e nn. 41-42, 40 e n. 49, 41 n.
schol. I 8: 2 n. 5 56, 42, 43 e n. 65, 44
Apollo: 33 n. 22, 61
VITA BARLAAM ET IOASAPH Ares: 34 n. 23
406, 31-408, 11: 40 n. 48 Arge: 20 n. 28
Argo: 56 n. 111
XENOPHON Arianna: 38 n. 40, 72, Fig. 5
Oec. 3, 11: 43 n. 63 Armonia: 26 n. 3
Artemide: 18, 32 n. 19
Asclepiade di Tragilo: 3 n. 6, 47 e n. 80
Asopo: 39 n. 41
Astiage: 37 n. 34
Atalanta: 32 n. 19, 33 e n. 20, 34, 35, 36 e
n. 31, 38, Fig. 4
Indice dei nomi Atamante: 53 n. 97, 54
Atena: 37
Austin C.: 27, 64 n. 133, 65 n. 137, 69 n.
Academo: 37 147
Achille: 17, 32 n. 19
Acrisio: 56 e n. 111, 61 Barns J. W. B.: 17 n. 19
Acusilao: 3 n. 6 Battistella C.: 61 n. 124
Aélion R.: 27 n. 3, 28 nn. 7-8, 29 n. 9, 30 Beck H.-G.: 7 n. 22
nn. 13-14, 31 n. 17, 33 n. 22, 38 n. 40, Bellerofonte: 36 n. 31, 44, 45 e nn. 71-73,
45 n. 72, 48 n. 81, 58 n. 116 46, 47 e n. 80, 48, 49, 50, 51
Afarete: 32 n. 19 Bentley R.: 1 e n. 3, 7 n. 23, 12 n. 4, 13 n.
Afrodite: 6, 22, 35, 63 n. 129 7, 15 n. 15, 52 e n. 95, 55, 61 n. 125, 63
Agamennone: 37 n. 34, Fig. 2 e n. 130
Agariste: 61 n. 124 Beozia: 15
Agave: 14, 15 e n. 14 Bisanzio (Costantinopoli): 6 n. 17, 59 n.
Agenore: 54 e n. 105, 55 e n. 108, 56 n. 118, 71 n. 2
109 Blaydes F.: 11, 48 n. 82
Aiace: 17 e n. 20 Bollack J.: 22 e nn. 32-33
98 Indici

Bourier Ph. H.: 2 e n. 4 Corbato C.: 52 n. 94, 53 n. 96


Braet A. M.: 49 n. 87 Cozzoli A. T.: 53 n. 96, 63 n. 130, 64 nn.
Braswell B. K.: 38 n. 39 132-134, 65 e nn. 135-138, 66 e n. 139,
Broccia L.: 37 n. 34 67 e n. 143, 68 n. 146, 69 nn. 147-148 e
Bronte: 20 n. 28 151
Burkert W.: 39 n. 42 Creonte: 28 n. 7, 30 n. 16
Burzacchini G.: 31 n. 18 Creta: 37 n. 36, 51, 52 nn. 92 e 95, 68 n.
Buttio: 57 e n. 113, 60 144, 69 n. 148
Croiset M.: 33 n. 22
Cadmo: 14 e n. 11, 15 n. 15, 26 n. 3, 54, Croke B.: 1 n. 3, 6 n. 17
55, 56 e n. 109 Crono: 14 n. 11
Campbell S.: 71 n. 1 Cureti: 32 n. 19, 33 n. 22
Candaule: 31 n. 18 Curti M.: 61 n. 124
Canfora L.: 4 n. 11
Cantarella R.: 4 n. 12, 6 n. 21, 52 e n. 94, Dafne (sobborgo di Antiochia): 6 n. 20,
53 n. 96, 63 n. 128, 64 n. 133, 65 nn. 36 e n. 31, 72 n. 7, Figg. 1 e 3
137-138, 66 n. 140, 67 n. 143, 68 n. 146 D’Alfonso F.: 1 n. 2
Caria: 45 e n. 72 Daltrop G.: 35 n. 30
Carrara P.: 2 n. 4, 3 n. 7, 4 n. 11, 5 e n. 16, Danae: 56, 57 n. 114, 59 n. 119
52, 53 n. 96, 64 n. 132, 69 e n. 149 Dangel J.: 34 n. 27
Casadio G.: 64 n. 131 Daniel R. W.: 46 n. 75
Cassandra: 47 e n. 80 Dedalo: 63 e n. 129, 64, 67, 68 e n. 144
Cavallo G.: 5 n. 13 Deianira: 33 n. 23, 35
Cefalione: 2, 14 nn. 9 e 13, 18 e nn. 21- Delfi: 14
22, 40 e n. 46, 41 Detienne M.: 13 n. 7, 32 n. 19, 34 n. 24,
Cefeo: 38 n. 40 37 n. 34, 38 e nn. 36 e 38
Chantraine P.: 22 n. 32, 41 n. 54, 50 n. Deubner L.: 28 n. 7
88, 60 n. 121 Dicearco: 3 n. 7
Chersoneso Taurico: 9, 53 n. 97 Diggle J.: 12 n. 5, 55 n. 106
Chilmeadus (Chilmead) Ed.: 16 n. 16, 17 Di Gregorio L.: 27 n. 5, 28 nn. 7-8, 29 n.
n. 20 9
Chimera: 44, 45 e n. 72, 47 Dinarco: 14 nn. 9 e 13
Ciclope: 19 e n. 25, 20 e n. 27, 21 e n. 30, Dindorf L.: 17 n. 20
22 n. 32, 23, 43 Dingel J.: 28 nn. 7-8, 29 n. 9
Cicno: 41 n. 56 Dioniso: 6 e n. 20, 14 e nn. 9 e 12, 15 e n.
Cilice: 54, 56 n. 109 15, 16 e n. 17, 39 n. 42, 40 n. 44, 42, 44,
Cilicia: 56 n. 109 72, Fig. 5
Cimok F.: 71 n. 1 Dirce: 39 n. 41, 40
Circe: 19 n. 25 Ditti Cretese: 17 e n. 19, 20 n. 27
Clark C. P.: 39 n. 43, 40 nn. 46 e 50, 41 n. Dodds E. R.: 50 e nn. 90-91
56, 43 n. 65, 44 n. 67 Domnino: 2 n. 4, 18
Clitennestra: 37 n. 34, Fig. 2 Dover K.: 49 n. 83
Cocalo: 68 n. 144 Downey G.: 6 nn. 18 e 20
Collard C.: 5 n. 13, 49 n. 87, 60 n. 121, 65 Dreros (Creta): 37 n. 36
n. 137 Dümmler F.: 54 n. 105
Conca F.: 5 n. 15, 16 n. 17
Indici 99

Edipo: 26 e nn. 2-3, 27 e n. 5, 28 nn. 7-8, Gea: 20 n. 28


29 n. 11, 30 e nn. 13-14, 31 e n. 16 Gige: 31 n. 18
Edmunds L.: 27 n. 3 Gigli D.: 57 n. 112
Eitrem S.: 19 n. 26, 20 n. 28, 55 n. 108 Giocasta: 26 n. 2, 28 n. 7, 29 e n. 12, 30 e
Elena: 36 n. 31 nn. 13 e 16, 31 e nn. 16 e 18
Elle: 53 n. 97, 54 Giovanni Catraris: 58 n. 117
Ellesponto: 53 n. 97 Giovanni Logoteta: 4, 46 e n. 75, 51
Elpe: 20 e n. 27, 21 Giovanni Malala: passim
Elpenore: 20 n. 27 Giulio Africano: 2 n. 5, 27 e n. 4
Enomao: 13 e n. 6 Giuseppe di Arimatea: 16
Epopeo: 39 n. 41, 41 n. 56 Good P.: 17 n. 19
Eracle: 55 n. 105, 61 n. 124 Gorga: 33 n. 23
Erinni: 11, 33 n. 22 Gorgone: 38 n. 40, 60 e n. 121, 61 n. 124
Ermogene: 4, 46 n. 75 Gregorio di Corinto: 4 e n. 10, 46 n. 75
Eros: 40 n. 48 Gregorio di Nazianzo: 16 n. 17
Eteocle: 26 Grenfell B.: 17 n. 19
Eterione: 14
Etoli: 32 n. 19 Hägg T.: 72 n. 7
Eugenio Grammatico: 5 e n. 14, 58 n. 118 Hanslik R.: 34 n. 24
Euripide: passim Harrison J. E.: 37 n. 35
Europa: 51, 52 e nn. 92 e 95, 54, 55 e n. Hartung I. A.: 34 n. 27, 36 n. 33, 38 n. 39
105, 56 n. 109 Haslam M. W.: 3 n. 7
Eusebio: 2 n. 5, 14 nn. 9 e 12-13, 26 n. 3, Helios: 40 e n. 44
42 n. 61, 63 n. 128 Hermes: 61
Hörling E.: 1 nn. 1-2, 14 nn. 11-12, 18 n.
Fedra: 15 n. 14, 18-19, 36 n. 31, 49, 67 21, 20 n. 27, 40 n. 49, 41 n. 56, 44 n. 69,
Fenice: 54, 55 n. 105, 56 n. 109 51 n. 92, 52 n. 93, 57 n. 114, 61 n. 122
Fenici: 55 n. 105 Holwerda D.: 3 n. 7
Fenicia: 56 n. 109 Hose M.: 28 n. 7, 29 nn. 8-9
Ferecide: 3 n. 6, 13 n. 6, 30 n. 16, 53 n. Hunger H.: 7 n. 22, 46 n. 75
97, 60, 61 n. 123 Hunt A.: 17 n. 19
Festugière A. J.: 63 n. 128 Huskinson J.: 6 n. 20, 36 n. 31, 71 nn. 4-
Fichio (monte): 27 n. 3 5, 72 n. 7
Fidalio (o Fidia) di Corinto: 18 n. 21, 19 e Huxley G.: 3 n. 5
nn. 25-26, 20, 21, 23 Huys M.: 3 n. 6
Filocoro: 14 nn. 9 e 13
Filonoe: 47 Icaro: 63, 64, 67
Fizio: 33 n. 23, 38 n. 38 Ificlo: 32 n. 19
Frisk H.: 60 n. 121 Ifigenia: 9, 12, 13, 72 n. 7, Fig. 2
Frisso: 53 e n. 97, 54 Ino: 53 n. 97, 54
Funke H.: 4 n. 12 Iobate: 44, 45 e n. 71, 46, 47 e n. 80, 48 n.
81
Galatea: 21 e n. 31 Iocca: 26 n. 2, 29 n. 11
Gallavotti C.: 22 e n. 33 Ippodamia: 13 n. 6
Garstad B.: 14 n. 11 Ippolito: 18, 19, 36 n. 31
Garzya A.: 68 n. 145 Irigoin J.: 33 n. 22, 58 n. 117
100 Indici

Italia: 14 n. 11 Maehler H.: 5 n. 13, 33 n. 22


Magnelli E.: 5 n. 15, 59 n. 118
Jacoby F.: 15 n. 13, 19 n. 25, 20 n. 27, 21 Marasco G.: 7 n. 22
James A.: 7 n. 22 Marco Musuro: 58 n. 117
Jeffreys E.: 1 nn. 1-2, 2 n. 4, 7 n. 22, 14 e Martin J.: 6 n. 19
n. 12, 16 n. 18, 17 n. 19, 18 n. 23, 19 n. Masciadri V.: 5 n. 15
25, 27 n. 4, 52 n. 93, 57 n. 113, 61 n. 122 Mastronarde D. J.: 55 n. 107
Jeffreys M.: 7 n. 22 McQueen E. I.: 55 n. 105
Jouan F.: 4 n. 12, 5 n. 13, 45 nn. 71-72, 46 Medea: 36 n. 31
n. 74, 49 n. 87 Medusa: 56, 58
Meleagro: 13 n. 7, 32 e n. 19, 33 e nn. 20-
Kakridis J.: 32 n. 19 22, 34 e n. 27, 35, 36 e n. 31, 37 e nn.
Kambitsis J.: 39 n. 42, 42 nn. 57-58 e 60, 34-35, 38, Fig. 4
43 n. 64 Melibeo: 26 n. 2, 29 n. 11, 31 e n. 18
Kannicht R.: 27 n. 6, 42 nn. 57-58, 43 n. Menandro: 72
62, 52 n. 95, 55 n. 106, 59 n. 119, 65 n. Menippo di Gadara: 57 n. 114
137, 68 n. 146 Metioco: 72 n. 7
Kassel R.: 3 n. 7 Mette H. J.: 42 n. 58
Knaack G.: 38 e nn. 37-38 Micene: 37 n. 34
Kokoszko M.: 2 n. 4, 17 n. 19, 18 n. 21, Mill J.: 1 e n. 3
20 n. 27 Miller H. W.: 50 n. 90
Kondoleon C.: 71 n. 1 Minosse: 52 e n. 94, 63 e nn. 128-129, 64
Korzeniewski D.: 49 e nn. 84 e 87 e nn. 131 e 133, 65 e nn. 137 e 139, 66 e
n. 141, 68, 69 n. 148
Laio: 26 n. 2, 27, 28 e n. 7, 29 n. 11, 30 e Minotauro: 38 n. 40, 41 n. 56
nn. 13-14, 31 n. 16 Mirtilo: 13 n. 6
Lamb Ch. & M.: 3 n. 7 Moaba: 29 n. 11
Lange K.: 19 n. 26 Moire (Parche): 34 n. 27, 38 n. 39
Lapini W.: 17 n. 19 Moravcsik G.: 3 n. 5
Leda: 41 n. 56 Moses di Chores: 4 n. 11
Lestrigoni: 21 Müller K.: 18 n. 23
Leumann M.: 60 n. 121 Musti D.: 2 n. 5
Levi D.: 71 nn. 1 e 3
Liapis V.: 3 n. 7 Nauck A.: 12 n. 5, 52 n. 95, 53 n. 100, 54,
Libanio: 6 68 n. 147
Licia: 47, 68 n. 144 Nefele: 53 n. 97
Lico: 39 n. 41, 40 Nenci G.: 61 n. 124
Lloyd-Jones H.: 29 n. 8, 64 n. 133 Nestoriano: 2 n. 4
Lucio Settimio: 17 n. 19 Nicola Damasceno: 30 n. 14
Luppe W.: 3 nn. 7-8, 4 nn. 10-11, 5 n. 15, Nitteo: 39 n. 41, 41 n. 56
27 n. 6, 42 n. 58, 44 n. 66, 46 n. 75, 53 Norman A. F.: 6 n. 21
n. 96, 59 e n. 119, 60 e n. 120
Odisseo: 20 e n. 27, 21, 61 n. 124
Maas P.: 50 n. 90 Oineo: 32 e n. 19, 33 e n. 23, 34 e nn. 23-
Macareo: 27 n. 3 24, 35 e n. 27, 36 e n. 32, 38 e n. 38
Macaria: 17 Oleno: 33 n. 23
Indici 101

Olimpo: 45 Rabe H.: 4 n. 10, 46 n. 75


Omero: 17, 20 e n. 28, 22 n. 32 Rein E.: 57 n. 114, 59 n. 119, 60 n. 120
Oppiano: 71 n. 2 Reinert S. W.: 1 nn. 1-2, 2 n. 4, 6 n. 21, 14
Oreste: 9, 11, 12, 13 nn. 9-10 e 12-13, 15 n. 14, 16 nn. 16 e
Oresteo: 38 n. 38 18, 40 n. 44, 52 n. 93, 61 n. 122
Reynolds I. D.: 59 n. 118
Palefato: 14 n. 9, 26 e n. 3, 27 n. 4, 51 Robert C.: 3 n. 6, 26 nn. 2-3, 27 n. 5, 28
Panatenee: 38 n. 36 n. 7, 29 n. 11, 30 nn. 14-15, 31 nn. 16 e
Papathomopoulos M.: 4 n. 9 18, 34 nn. 23 e 27, 36 n. 32, 52, 68 n.
Parche (Moire): 34 n. 27, 38 n. 39 144
Paride: 36 n. 31 Rossi L. E.: 20 n. 29
Partenope: 72 n. 7 Roux J.: 50 n. 90
Pasifae: 25, 62, 63 e nn. 128-129, 64, 65 e Rusten J.: 3 n. 7
n. 139, 66 e n. 140, 67 e nn. 141 e 143,
68 e n. 145, 72 n. 8 Salamina di Cipro: 17
Patzig E.: 2 e nn. 4-5, 17 n. 19, 18 n. 21, Sansone D.: 11 n. 3, 12 nn. 4-5
20 n. 27, 41 n. 54 Scherling K.: 21 n. 30
Pechstein N.: 3 n. 7, 5 n. 15 Schmid W.: 4 n. 12, 42 n. 60, 43, 48 n. 81,
Pegaso: 45 e nn. 72-73 49 n. 86, 59 n. 119
Peleo: 17, 35 Schneidewin F. W.: 28 n. 7, 55 e n. 106
Pelope: 13 e n. 6 Scizia: 13
Pelopidi: 13 n. 7 Scott R.: 1 n. 1
Penteo: 14-15, 50 Seaford R. A.: 23 n. 35
Pépin J.: 27 n. 4 Séchan L.: 27 n. 6, 28 n. 7, 35 nn. 29-30
Peribea: 28 n. 7, 33 n. 23, 35 Seleucia Pieria: 71, 72 n. 7, Figg. 2 e 5
Pericle: 61 n. 124 Semele: 14, 15 n. 15
Perseo: 38 n. 40, 56, 57 e n. 112, 58, 60 e Semiramide: 15 n. 13
n. 121, 61 n. 123, 72, Fig. 5 Sfinge: 25, 26 e nn. 2-3, 27 nn. 5-6, 28, 29
Pertusi A.: 4 n. 12 e nn. 8 e 11, 30 e n. 16
Pico Zeus: 14 e n. 11, 40 e n. 45 Sicilia: 20, 68 n. 144
Pilade: 11 Sicione: 39 n. 41
Pirro: 17 Sidone: 54
Pisa (Elide): 13 n. 6 Sileno: 19 n. 24, 20
Pito: 61 Silpio (monte): 6 n. 20
Platnauer M: 12 n. 4 Simon E.: 35 n. 30
Poethke G.: 64 n. 134 Siro: 55 n. 108
Polibo: 27, 28 n. 7 Sisifo di Cos: 20 n. 27, 21
Polifemo: 20, 21 Snell B.: 27 n. 6
Polimedone: 14 Socrate Rodio: 27 n. 3
Polinice: 26 Solimi: 47
Portaone: 34 n. 23 Soterico: 37 n. 34
Porteo: 34 n. 23 Stasinopoulou-Kakarouga E.: 35 n. 27
Poseidone: 13 n. 6, 64 n. 131, 66 e n. 141 Stenebea: 36 n. 31, 44, 45 e n. 72, 48 e n.
Preto: 44, 46, 47, 51 82, 49 e n. 83
Psello Michele: 5 n. 15 Sterope: 20 n. 28
Stillwell R.: 71 n. 1
102 Indici

Sutton D. F.: 4 n. 11 van Rossum-Steenbeek M.: 3 n. 7, 45 n.


Swain: 32 n. 19 72, 46 n. 75, 54 n. 101, 58 n. 115
Vergine Qeotovko": 16 e n. 17
Tanagra: 27 n. 6 Veroli: 71 n. 2
Taso (figlio di Agenore): 54, 55 n. 105, 56 Vian F.: 37 e n. 35, 38 n. 36, 39 n. 41
n. 109 Volterra: 28 n. 7, 31 n. 16
Tauro: 41 n. 56, 52 n. 92, 63 e n. 128, 68,
52 n. 95 Waltz P.: 4 n. 10, 46 n. 75
Tebe: 26 n. 2, 28 n. 7, 30, 39 n. 41, 40 Webster T. B. L.: 28 n. 8, 35 n. 29, 52 n.
Telefassa: 56 n. 109 95, 53 n. 98
Teodoro Prodromo: 5 n. 15, 59 n. 118 Wecklein N.: 12 n. 4, 42 n. 58
Teseo: 19, 35 Weierholt K.: 7 n. 22
Testiadi: 32 n. 19 Weitzmann K.: 36 e nn. 31-32, 49 n. 84,
Teucro: 17 71 n. 2, 72 n. 7
Theoboo: 40 Welcker F. G.: 29 n. 12, 34 n. 27, 48 n. 82
Thurn I.: 19 n. 25 West M. L.: 5 n. 14, 58 nn. 117-118, 59 n.
Tideo: 35 e n. 28, 38 119
Timoteo: 2 e n. 4 Wetzel W.: 19 n. 26
Tirinto: 45 e nn. 71-72 Wiedemann A.: 55 n. 105
Tiro: 51 Wilamowitz-Moellendorff U. von: 2 n. 4,
Toosa: 20 n. 28 3 nn. 6-7, 4 n. 11, 27 n. 5, 49, 53 e nn.
Touchefeu-Meynier O.: 21 n. 30 99-100, 54, 61 n. 124
Traglia A.: 22 n. 32 Wilhelm A.: 2 n. 5
Trisoglio F.: 16 n. 17 Wilson N. G.: 5 n. 15, 46 n. 75, 58 n. 117,
Troia: 17 59 n. 118
Tuilier A.: 3 n. 7, 4 n. 12, 5 n. 15, 16, 50 n. Wolf P.: 2 n. 4
90 Woodford S.: 35 n. 30
Turner E. G.: 28 n. 8, 29 n. 10, 64 n. 133 Wright M. R.: 22 n. 32
Turyn A.: 58 n. 117 Wünsch R.: 58 n. 117
Wüst E.: 20 n. 27
Utas B.: 72 n. 7 Wyatt J. A.: 7 n. 22, 13 n. 8, 17 n. 19

Vaio J.: 28 n. 7, 29 nn. 8-9, 30 n. 13 Zagreo: 63 n. 131


Valckenaer L. K.: 26 n. 2, 28 n. 8, 30 Zeto: 39 n. 41, 40, 42 e n. 58, 43
van der Kolf: 32 n. 19, 34 n. 24, 37 n. Zeugma-Belkis: 72 n. 7
34 Zeus: 6 n. 20, 14 e n. 11, 37, 39 e n. 41, 40
van Looy H.: 4 n. 12, 5 n. 13, 27 n. 6, 28 e nn. 45 e 48, 42, 43 e n. 66, 44, 51, 52
n. 8, 31 n. 16, 33 n. 20, 34 e nn. 23-25 e e n. 92, 54, 56 e n. 109, 58, 60 e n. 122,
27, 35 n. 28, 39 nn. 40-41, 40 n. 47, 42 62, 63 n. 131, 65, 67 n. 141
e n. 57, 43 n. 64, 52 n. 95, 53 n. 97, 55 Zieliński Th.: 34 n. 26, 59 n. 119
n. 106, 56 n. 110, 58 n. 116, 59 n. 119, Zühlke B.: 49 nn. 83-84 e 87
62 n. 126, 63 nn. 128-130, 64 n. 133, 65 Zuntz G.: 3 n. 7, 4 nn. 10 e 12, 44 n. 66,
nn. 136-137, 69 n. 147 58 n. 117
Indice

Premessa p. V

L’attendibilità delle citazioni di Giovanni Malala 1

I drammi noti 9
Iphigenia Taurica 9
Bacchantes 14
Andromacha; Heraclidae 17
Hippolytus 18
Cyclops 19

I drammi “perduti” 25
Oedipus 25
Meleager 32
Antiope 39
Stheneboea 44
Phrixus B 51
Danae 56
Cretenses 62

Addendum 71

Abbreviazioni bibliografiche 79

Indice dei passi citati 91

Indice dei nomi 97


Hellenica
Testi e strumenti di letteratura greca
antica, medievale e umanistica

1. Francesco Filelfo, De psychagogia (Peri; yucagwgiva"), editio princeps


dal Laurenziano 58, 15, a cura di Guido Cortassa ed Enrico V. Maltese,
1997, pp. VIII + 152 [ISBN 88-7694-259-9]
2. Cecaumeno, Raccomandazioni e consigli di un galantuomo (Strath-
gikovn), testo critico, traduzione e note a cura di Maria Dora Spadaro,
1998, pp. 256 [ISBN 88-7694-320-X]
3. Luigi Lehnus, Nuova bibliografia callimachea (1489-1998), 2000, pp. XIV
+ 514 [ISBN 88-7694-416-8]
4. Nigel G. Wilson, Da Bisanzio all’Italia. Gli studi greci nell’Umanesimo
italiano, edizione italiana rivista e aggiornata, 2000, pp. X + 230 [ISBN
88-7694-462-1]
5. Cinque poeti bizantini. Anacreontee dal Barberiniano greco 310, testo cri-
tico, introduzione, traduzione e note a cura di Federica Ciccolella, 2000,
pp. LXIV + 296 [ISBN 88-7694-494-X]
6. Francesco Tissoni, Cristodoro. Un’introduzione e un commento, 2000,
pp. 258 [ISBN 88-7694-463-X]
7. Anna Maria Taragna, Logoi historias. Discorsi e lettere nella prima storio-
grafia retorica bizantina, 2000, pp. 278 [ISBN 88-7694-495-8]
8. Gregorio Magno, Vita di s. Benedetto, nella versione greca di papa Zac-
caria, edizione critica a cura di Gianpaolo Rigotti, 2001, pp. XLIV + 152
[ISBN 88-7694-583-0]
9. Elio Promoto Alessandrino, Manuale della salute (Dunamerovn), testo cri-
tico, traduzione e note a cura di Daria Crismani, 2002, pp. 284 [ISBN
88-7694-596-2]
10. Des Géants à Dionysos. Mélanges de mythologie et de poésie grecques of-
ferts à Francis Vian, édités par Domenico Accorinti et Pierre Chuvin,
2003, pp. XL + 648 [ISBN 88-7694-662-4]
11. Selecta colligere, I. Akten des Kolloquiums „Sammeln, Neuordnen, Neues
Schaffen. Methoden der Überlieferung von Texten in der Spätantike und in
Byzanz“ (Jena, 21.-23. November 2002), herausgegeben von Rosa Maria
Piccione und Matthias Perkams, 2003, pp. XIV + 202 [ISBN 88-7694-
683-7]
12. Nonno di Panopoli, Parafrasi del Vangelo di S. Giovanni. Canto tredicesi-
mo, introduzione, testo critico, traduzione e commento a cura di Claudia
Greco, 2004, pp. VI + 186 [ISBN 88-7694-744-2]
13. Emanuele Lelli, Critica e polemiche letterarie nei «Giambi» di Callimaco,
2004, pp. VI + 166 [ISBN 88-7694-745-0]
14. Ferecide di Atene, Testimonianze e frammenti, introduzione, testo, tra-
duzione e commento a cura di Paola Dolcetti, 2004, pp. IV + 428
[ISBN 88-7694-798-1]
15. Luca Bettarini, Corpus delle defixiones di Selinunte, edizione e commen-
to, prefazione di Bruna Marinella Palumbo Stracca, 2005, pp. XII + 188
[ISBN 88-7694-836-8]
16. Demetrio Triclinio, Scolii metrici alla tetrade sofoclea, edizione critica a
cura di Andrea Tessier, 2005, pp. LXVIII + 172, tavv. 5 [ISBN 88-
7694-846-5]
17. Francis Vian, L’épopée posthomérique. Recueil d’études, édité par Dome-
nico Accorinti, 2005, pp. XIV + 662 [ISBN 88-7694-862-7]
18. Selecta colligere, II. Beiträge zur Technik des Sammelns und Kompilierens
griechischer Texte von der Antike bis zum Humanismus, herausgegeben
von Rosa Maria Piccione und Matthias Perkams, 2005, pp. X + 492
[ISBN 88-7694-885-6]

in preparazione:

20. Gregorio Magno, I «Dialogi» (libri I, III e IV), nella versione greca di pa-
pa Zaccaria, edizione critica a cura di Manolis Papathomopoulos e Gian-
paolo Rigotti.
21. B. Snell, Gli antichi Greci e noi. In appendice Nove giorni di latino, pre-
fazione di Hartmut Erbse, edizione italiana a cura di Marilena Amerise.
22. Davide Muratore, La biblioteca del cardinal Nicolò Ridolfi, in due tomi.
23. Enrico Livrea, PARAKME. Studi ellenistici e tardoantichi (1995-2002).
24. Cassia, I versi profani, introduzione, testo critico, traduzione e commen-
to a cura di Domenico Accorinti.
25. Sergio Aprosio, Per la storia del perfetto greco: e[cw con participio aoristo
attivo.
26. Walter Lapini, Studi posidippidei.
27. Epigrammata Graeca de poetis (EGPoet) saec. I-XII p. Chr. n., introdu-
zione, edizione e commento a cura di Gianfranco Agosti ed Enrico Ma-
gnelli.
28. Giovanni di Gaza, Descrizione del quadro cosmico, introduzione, testo
critico e commento a cura di D. Gigli Piccardi, traduzione di F. Bargelli-
ni.
29. Mariangela Caprara, Epica biblica greca. Storia di un genere mancato.
30. Nonno e i suoi lettori, a cura di Sergio Audano.
31. Rocco Schembra, La prima redazione dei centoni omerici. Traduzione e
commento.
Medioevo greco
Rivista di storia e filologia bizantina

“0” (2000)
C. Billò, Manuele Crisolora, «Confronto tra l’Antica e la Nuova Roma» –
S. Borsari, La chiesa di San Marco a Negroponte – L. Bossina, La bestia e l’e-
nigma. Tradizione classica e cristiana in Niceta Coniata – F. Ciccolella, Basil
and the Jews: two poems of the ninth century – W. Haberstumpf, Due dina-
stie occidentali nell’Oriente franco-greco: la Morea tra gli Angioini e i Savoia
(1295-1334) – I. A. Liverani, In margine agli autografi eustaziani: a proposi-
to della grafia ou{tw / ou{tw" – E. Nardi, «Bella come luna, fulgida come il so-
le»: un appunto sulla donna nei testi bizantini dell’XI e XII secolo – A. Ni-
colotti, Sul metodo per lo studio dei testi liturgici. In margine alla liturgia eu-
caristica bizantina – A. Rigo, Ancora sulle «Vitae» di Romylos di Vidin
(BHG 2383 e 2384) – M. Scorsone, Gli “Erwte" qei'oi di Simeone il Nuovo
Teologo: ermeneutica di un’intitolazione apocrifa – A. Tessier, Docmi in epo-
ca paleologa? – F. Tissoni, Note critiche ed esegetiche ai canti 28-34 delle
«Dionisiache» di Nonno di Panopoli [ISBN 88-7694-501-6]

1 (2001)
D. Accorinti, Quaestiunculae Nonnianae – C. Billò, Note al testo dei
«Praecepta educationis regiae» di Manuele II Paleologo – L. Bossina, Per
un’edizione della «Catena dei Tre Padri» sul «Cantico»: Cirillo di Alessan-
dria o Nilo “Ancirano”? – G. Breccia, «Con assennato coraggio…». L’arte
della guerra a Bisanzio tra Oriente e Occidente – M. Corsano, Teodoreto di
Cirro e l’esegesi del «Libro di Ruth» – G. Cortassa, Un filologo di Bisanzio
e il suo committente: la lettera 88 dell’“Anonimo di Londra” – F. A. Farello,
Niceforo Foca e la riconquista di Creta – P. Guran, L’auréole de l’empereur.
Témoignage iconographique de la légende de Barlaam et Josaphat – I. A. Li-
verani, Sul sistema di interpunzione in Eustazio di Tessalonica – P. Odorico,
Idéologie politique, production littéraire et patronage au Xe siècle: l’empereur
Constantin VII et le synaxariste Évariste – J. Signes Codoñer, L’identité des
Byzantins dans un passage d’Ibn Battuta – L. Silvano, Per la cronologia del-
le lezioni di Angelo Poliziano sull’«Odissea». – Recensioni – Schede e se-
gnalazioni bibliografiche [ISSN 1593-456X]

2 (2002)
Ch. P. Baloglou: The Economic Thought of Ibn Khaldoun and Georgios Ge-
mistos Plethon: Some Comparative Parallels and Links – F. Bertolo: Gio-
vanni di Corone o Giovanni Mosco? – C. Billò: La «Laudatio in s. Iohan-
nem Baptistam» di Manuele II Paleologo – L. Bossina: Trasposizioni di fo-
gli nel Vindobonense theol. gr. 314: come ripristinare il testo di Teodoreto e
della «Catena dei Tre Padri» – M. Broggini: Metrica prosodica e sensibilità
accentativa in Sinesio: una nota agli «Inni» VI-VIII – I. A. Liverani: L’edi-
tio princeps dei «Commentarii all’Odissea» di Eustazio di Tessalonica – P.
Odorico: «Lascia le cose fresche e candide». À propos d’un récent compte-
rendu et d’un moins récent livre – M. Ornaghi: Kwmw/dotragw/diva, amori e
seduzioni di fanciulle: Alceo comico e Anassandride in «Suda» – R. M. Pic-
cione: In margine a una recente edizione dell’«Antholognomicon» di Orio-
ne – G. Ravegnani: I corpi dell’esercito bizantino nella guerra gotica – A.
Rhoby: Beitrag zur Geschichte Athens im späten 16. Jahrhundert: Untersu-
chung der Briefe des Theodosios Zygomalas und Symeon Kabasilas an Mar-
tin Crusius – L. Russo: Tancredi e i Bizantini. Sui «Gesta Tancredi in expe-
ditione Hierosolymitana» di Rodolfo di Caen – P. Schreiner: L’uomo bizan-
tino e la natura – L. Silvano: Angelo Poliziano: prolusione a un corso
sull’«Odissea» – F. Tissoni: «Anthologia Palatina» IX 203: Fozio, Leone il
Filosofo e Achille Tazio moralizzato. – Recensioni – Schede e segnalazioni
bibliografiche [ISSN 1593-456X]

3 (2003)
G. Agosti, Contributi a Nonno, Dionisiache 25-38 – Ch. P. Baloglou, Geor-
ge Finlay and Georgios Gemistos Plethon. New evidence from Finlay’s re-
cords – A. Barbieri, La circolazione dei testi menandrei nei “secoli ferrei” di
Bisanzio: la testimonianza dell’epistolario di Teofilatto Simocatta – G. Brec-
cia, «Magis consilio quam viribus». Ruggero II di Sicilia e la guerra – P. Co-
betto Ghiggia, Suid. a 1892 Adler ajnavkaion e la carcerazione di schiavi e li-
berti – G. Cortassa, Surmaiografei'n e l’antica minuscola libraria greca –
W. Haberstumpf, L’isola di Thermia tra Bizantini e dinasti italiani (secoli
XIV-XVII). I Gozzadini da Bologna: realtà latine e reminiscenze greche alla
periferia dell’impero – A. Kiesewetter, Markgraf Theodoros Palaiologos von
Monferrat (1306-1338), seine «Enseignemens» und Byzanz – E. Magnelli,
Reminiscenze classiche e cristiane nei tetrastici di Teodoro Prodromo sulle
Scritture – E. van Opstall, Jean et l’«Anthologie». Vers une édition de la
poésie de Jean le Géomètre – D. R. Reinsch, Il Conquistatore di Costanti-
nopoli nel 1453: erede legittimo dell’imperatore di Bisanzio o temporaneo
usurpatore? Alle origini della questione: appartiene la Turchia all’Europa? –
F. Rizzo Nervo, «Lascia ‹perdere› …». A proposito di un recente intervento
e di una recente traduzione del «Dighenìs Akritis» – U. Roberto, Il «Bre-
viarium» di Eutropio nella cultura greca tardoantica e bizantina: la versione
attribuita a Capitone Licio – L. Silvano, Citazioni polizianee dal «Lessico»
dello Pseudo-Zonara: una postilla sulla fortuna del testo in età umanistica –
Francesco Tissoni, Gli epigrammi di Areta. – Recensioni – Schede e se-
gnalazioni bibliografiche [ISSN 1593-456X]

4 (2004)
D. Accorinti, A proposito di una recente edizione critica di alcune omelie
di Proclo di Costantinopoli – M. Balard, Costantinopoli nella prima metà
del Quattrocento – M. Balivet, Le soufi et le basileus: Haci Bayram Veli et
Manuel II Paléologue – D. Bianconi, «Haec tracta sunt ex Dionysio Alicar-
nasseo». Francesco Filelfo e il Vaticano Urb. gr. 105 – L. Bossina, F. Fatti,
Gregorio a due voci – G. Cortassa, Da Teofilatto Simocatta ad Areta: le
“tombe” di Marco Aurelio – M. Curnis, Addendum euripideum alla teico-
scopia di Phoe. 99-155: Demetrio Triclinio ed esegesi metrica bizantina – F.
D’Alfonso: Pindaro / Pisandro e i giganti anguipedi in Giovanni Malala
(pp. 5, 47-6, 65 Thurn) – M. Di Branco, Il Marchese di Monferrato nel
Masâlik al-ab≠âr fî mamâlik al-am≠âr di al-‘Umarî – G. Di Gangi, C. M.
Lebole, La Calabria bizantina e la morte: aspetti topografici e culturali –
Ph. Gardette, La représentation des juifs byzantins (romaniotes) dans la
culture séfarade du 13e au 15e siècles – E. Magnelli, Il “nuovo” epigramma
sulle «Categorie» di Aristotele – D. Muratore, Le «Epistole» di Euripide
nel Parisinus gr. 2652 – A. Rigo, La politica religiosa degli ultimi Nemanja
in Grecia (Tessaglia ed Epiro). – Recensioni – Schede e segnalazioni bi-
bliografiche [ISSN 1593-456X]

5 (2005)
G. Agosti, Miscellanea epigrafica I. Note letterarie a carmi epigrafici tar-
doantichi – E. Amato, Prolegomeni all’edizione critica dei «Progimnasmi»
di Severo Alessandrino – Ch. P. Baloglou, Marturive" tou Dhmhtrivou
Kudwvnh periv Peloponnhvsou – D. Bianconi, «Gregorio Palamas e oltre».
Qualche riflessione su cultura profana, libri e pratiche intellettuali nella
controversia palamitica – P. Cobetto Ghiggia, «Suida», Teramene di Atene
e Teramene di Ceo – M. Fanelli, Un apoftegma di Simeone il Nuovo Teolo-
go dalla «Vita» in extenso del santo di Niceta Stethatos – D. Gigli Piccar-
di, AEROBATEIN. L’ecfrasi come viaggio in Giovanni di Gaza – E. Ma-
gnelli, Congetture ai carmi minori di Giorgio di Pisidia – E. Merendino,
Letteratura greca e geografia araba nella cultura normanna del XII secolo:
la Siciliae laus del bios di s. Filareto di Calabria – P. Orsini, Quale coscien-
za ebbero i Bizantini della loro cultura grafica? – A. Rhoby, The «Friend-
ship» between Martin Crusius and Theodosios Zygomalas: A Study of their
Correspondence. – Recensioni – Schede e segnalazioni bibliografiche
[ISSN 1593-456X]

Direzione: Guido Cortassa, Enrico V. Maltese, Anna M. Taragna


Quaderni
Centro internazionale di studi
sulla poesia greca e latina
in età tardoantica e medievale

1. La poesia tardoantica e medievale. Atti del I Convegno internazio-


nale di studi. Macerata, 4-5 maggio 1998, a cura di Marcello Sal-
vadore.
K. Thraede, Anfänge frühchristlich-lateinischer Bibelepik: Buchgrenzen
bei Iuvencus – C. Crimi, Motivi e forme dell’anacreontea tardoantica e
bizantina. Una lettura delle due parti del Barberinianus gr. 310 – G. Po-
lara, Tra ‘ars’ e ‘ludus’: tecnica e poetica del «Technopaegnion» di Auso-
nio – E. V. Maltese, Una contemporanea di Fozio, Cassia. Osservazioni
sui versi profani – U. Pizzani, Le presenze classiche nel «Carmen Licen-
tii ad Augustinum» – W. Hörandner, Epigrams on Icons and Sacred
Objects: The Collection of Cod. Marc. gr. 424 – K. Smolak, Die «Psy-
chomachie» des Prudentius als historisches Epos – K. Demoen, La poésie
iambique de Théodore le Stoudite: renouveau de l’épigramme grecque
profane – C. Micaelli, «Carmen adversus Marcionitas»: ispirazione bi-
blica e sua ripresa nei centoni «De lege» e «De nativitate» – F. Fusco,
Giuliano d’Egitto: un epigrammista di età giustinianea – M. G. Bianco,
Poesia, teologia e vita in Gregorio Nazianzeno: carm. 2, 1, 1 – C. More-
schini, Dottrine ciniche ed etica cristiana nella poesia di Gregorio Na-
zianzeno – R. Palla, Quello che avremmo dovuto sapere sull’edizione al-
dina dei «Carmi» di Gregorio Nazianzeno
ISBN 88-7694-555-5

2. La poesia tardoantica e medievale. Atti del II Convegno internazio-


nale di studi. Perugia, 15-16 novembre 2001, a cura di Anna M.
Taragna.
R. Palla, Parole scritte sull’acqua, parole scritte nel vento. Le promesse
dell’amante e altro – A. V. Nazzaro, L’Annunzio dell’angelo a Maria
(Lc. 1, 26-38) nelle riscritture metriche di Giovenco (1, 52-79) e Paolino
di Nola (Carm. 6, 108-138) – M. Kamptner, Tra classicismo e cristiane-
simo: i generi letterari nel carme 18 di Paolino da Nola – K. Smolak, La
cultura letteraria dei ritmi longobardi – C. Crimi, I componimenti poeti-
ci bizantini in onore di Gregorio Nazianzeno – M. G. Moroni, La “via di
mezzo” in Gregorio Nazianzeno – M. Corsano, Sul secondo combatti-
mento della «Psychomachia» di Prudenzio – M. Donnini, L’inno V del
«Peristephanon liber» di Prudenzio ed i «Versus de s. Vincentio» di Ilde-
berto di Lavardin: analogie e variazioni – A. Bruzzone, Il concilium deo-
rum nella poesia panegiristica latina da Claudiano a Sidonio Apollinare –
M. G. Bianco, Autopresentazione e autocomprensione del poeta: la figu-
ra e il ruolo del poeta cristiano nei prologhi, secc. IV-V – A. M. Taragna,
Riso e scherno in Giorgio di Pisidia. Il carme «In Alypium» – E. V. Mal-
tese, Osservazioni sul carme «Contro il Sabbaita» di Michele Psello – J.
Diethart, W. Hörandner, The poetical work of Constantine Stilbes. So-
me remarks on his rhetorical practice – Indici
ISBN 88-7694-762-0

in preparazione:

3. Dulce Melos. Internationales Symposium: Lateinische und grie-


chische christliche Dichtung in Spätantike, Mittelalter und Neu-
zeit. Wien, 15-18.11.2004, hrsg. von K. Smolak.
Finito di stampare nel maggio 2006
da DigitalPrint Service s.r.l. in Segrate (Mi)
per conto delle Edizioni dell’Orso

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