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López-Pampló,
J. Malé (eds.)
REESCRIPTURES
LITERÀRIES
Laura Di Nicola
(Sapienza. Università de Roma)
1. Ringrazio Stefano Lussana per gli spunti di riflessione, nati dall’occasione, che gen-
tilmente mi ha offerto, di leggere il suo lavoro inedito Il sogno e i sogni, la capacità di sognare
e diventare un sognatore.
re, per riprendere il titolo del bel testo di Lea Melandri (1988). L’amore
per Sibilla è lo spazio dell’io, filtro di conoscenza, di verità, e tensio-
ne vitale verso l’assoluto e l’eterno: Amo, dunque sono recita, emble
maticamente, il titolo di un romanzo del 1927. E così coniuga e intreccia
i diversi stati e strati di sé, di un io che nella scrittura ricompone i fram-
menti intimi di una coscienza lucida e di una passione fusionale.
Il sogno d’amore è da lei inteso come una creatura vivente, di parole
e carne, che identifica il suo stile poetico. Sottesa alla sua stessa esisten-
za c’è la vita incarnata dalla poesia del sogno d’amore che fonda l’ideale
umano dell’opera di Sibilla, inteso come ricerca utopica dell’«uma-
na coppia perfetta». E così esprime la sua arte di vivere: «Ho fatto della
mia vita il capolavoro che avevo sognato di creare con la poesia». Un
concetto che poi diversamente riprende, in modo dissimile — «Ho fatto
della mia vita, come amante indomita, il capolavoro che non ho avu-
to così modo di creare in poesia» (Aleramo 1979: 68) — nella possibilità
e capacità di sognare l’amore «continuo anelito a una sempre fuggente
forma d’accordo fra me e l’uomo, a una mai realizzata armonia, per la
quale tutto sempre ho dato, sangue e ingegno e sentimento», per restare
«fedele alla mia intima legge...» (Aleramo 1979: 147). Sibilla, a poco a
poco, giorno dopo giorno, in una febbre conoscitiva e amorosa verso
il tutto, crea se stessa, «sono andata via via creando me stessa lirica
mente», e aggiunge: «quella che io sono, ho voluto io esserlo» (Aleramo
1979: 19).
I sogni per Aleramo interpretano l’anima, proprio come i libri che
entrano a far parte di un vissuto interno di riscrittura di sé: «le lettu-
re sono commenti alla nostra anima proprio come i sogni» e in ciò
trovano un ampio spazio identitario. Sibilla diviene «una persona
nuova» quando giunge, fino alla sua «tragica coscienza», il pensiero
poetico di Ibsen come promessa di un «accordo» con se stessa: «chia-
mandomi ad assumere intero il peso del mio atto, e ad ubbidire fero
cemente alla mia legge, fece sì ch’io mi trovassi poi ad esistere come
una persona nuova, una neonata adulta, un’isola, una volontà cupa
e rigida sotto l’incantata e tenera apparenza» (Aleramo 1979: 15). Nel
capitolo XVII di Una donna, narra di aver assistito alla rappresenta
zione della «simbolica favola» Casa di bambole di Ibsen: «Sulla sce-
na una povera bambola di sangue e di nervi si rendeva ragione della
propria inconsistenza, e si proponeva di diventar una creatura uma-
na, partendosene dal marito e dai figli» (Aleramo 1993: 158). Nella nota
del suo diario del 24 novembre 1940, specifica: che Ibsen:
[...] E Ibsen, alla giovine solitaria che salutava il sorger del novecen-
to, aveva illuminato il senso di sé, della propria individualità, e dei do-
veri verso di essa. Perché è vero, se avessi ignorato il verbo dell’accigliato
trageda nordico, io forse non avrei, un anno dopo quella notte, lasciata
la casa coniugale e mio figlio. Senza quella voce «ottocentesca», forse
non sarei «divenuta quella che sono» (Aleramo 1979: 14).
Questa malinconia che sale dal fondo del mio essere e minaccia di
sommergermi, che Franco crede derivi dalla sua assenza e che invece
è di tanto anteriore alla di lui apparizione nella mia vita, questa malin-
conia contro la quale ho combattuto tremendamente fin da quando mia
madre impazzì ed io ero giovinetta, questa malinconia con la quale le
contingenze non han che fare o non sono che i pretesti, gli incentivi
transitori, questa malinconia che non ho mai tradotta nella mia poe-
sia per terrore di soggiacerle e di morirne, è per essa è per essa che
ho sempre forsennatamente cercato l’amore, creduto nell’amore «poten
za di miracolo», fino a quest’ultimo che ha nome Franco?
Malinconia dell’essere, della sorte umana e femminea, della terra e
del cielo, soltanto l’amore può aiutarci a sopportarla e a farne cosa di
bellezza e di vita? (Aleramo 1979: 138-139).
sono risolversi e che sembra vadano chiusi bruscamente con una pie-
tra sepolcrale» (Aleramo 1993: 91). Ma dà anche avvio alla narrazione di
sé come una «personalità nuova, tragica e risoluta» (Aleramo 1993: 93).
Raccontare la vita «significa rendere fecondo il dolore: Sibilla chiede
alla scrittura di cambiare la vita» e se «la rinascita come energia, amo-
re per la vita, bellezza è legata alla felicità dell’infanzia e all’immagine
del padre», «la morte, come dolore, miseria, follia è legata all’immagi-
ne della madre» (Zancan 1998: 205). Riscriversi significa allora cercare
la spinta vitale del proprio divenire nel tentativo di coniugare «l’essere»
e «l’agire»: ri-vivere, ri-sognare, re-immaginare, ri-amare sono i ver-
tici di una costante tensione etica-conoscitiva-intellettuale, e emotiva-
sentimentale-pulsionale, che fonda le possibilità di rigenerare e tras
formare, oltre che il proprio sé, anche un’etica del sé: il diritto di essere.
E in esso il diritto alla felicità del genere femminile inteso come «facol-
tà — tutta umana — di pensare, di agire, di sperare» (Aleramo 1978b:
69). Una possibilità per amare se stessa.
La riscrittura del sé, filtrata attraverso l’immaginario poetico, porta
Aleramo a concepire la vita come un’opera letteraria. Il rapporto con
la scrittura esprime, infatti, la «tendenza a intrecciare il senso profondo
della propria vicenda umana con le forme della rappresentazione let
teraria», fino a «ottenere una vita dedicata alla scrittura, una scrittura
che narra e riflette la vita (la sua), una vita rivissuta attraverso la scrit
tura» (Zancan 1988: 14). Concetto che arriva fino al paradosso nel caso
di Trasfigurazione, la lettera non spedita, scritta nel 1912 e apparsa per
la prima volta in rivista nel 1914, in cui svela il suo rapporto amoroso
con Papini alla moglie di lui, annunciandole pubblicamente che ha ri-
nunciato a vederlo — quando, nella realtà, la liaison tra Sibilla e Papini
era ormai finita da anni. Per cui, «la “inutilidad” de la escritura es la
que convierte esta carta, más que cualquier otro elemento, en un ala
rido de venganza que se extiende de la vida real a la página literaria»
(Ardolino e Druet 2015: 202).
Nel romanzo Una donna la nascita del figlio accompagna la sua
stessa rinascita, accostata all’idea della scrittura:
Nelle ore in cui il piccino dormiva nella sua culla bianca accanto a
me, e il silenzio e la penombra regnavano nella camera, io abbandonavo
la briglia alla fantasia, ed era nella mia mente un avvicendarsi di due
distinti progetti: l’uno che riguardava mio figlio [...]; l’altro, che cos
tituiva il primo invincibile impulso verso l’estrinsecazione artistica di
quanto mi commuoveva ora, mi riempiva di sensazioni distinte, rapi-
de, nuove ed ineffabili. Si svolgeva nel mio cervello il piano d’un libro;
cui, nelle maglie del suo io svela la sua intima inclinazione a sognarsi
in una ricerca inesauribile e consapevole del sogno che si nutre delle
possibilità dell’amore e della necessità e del bisogno di comunicarlo ed
esprimerlo.
Insomma, Aleramo vive il suo sogno (e si vive in sogno) nella spinta
a voler capire vivere sentire pensare accogliere e accettare le contraddi-
zioni, le incertezze, i dubbi, le fragilità, i limiti, le paure, dell’amore, e
delle possibilità dell’amore. L’idea, il sentimento, il legame, l’incontro,
la passione, d’amore, trovano slancio nel sostrato più intimo e inconsa-
pevole che è il sogno d’amore: l’aspetto inconscio, spontaneo dell’amore,
che lo rende possibile. Sibilla sogna, innanzitutto, l’amore; e tra il so
gno e l’amore realizza il percorso di crescita di se stessa nelle radici più
intense e sublimi e miracolose di un desiderio di armonia che si eleva
attraverso, e con, la poesia. Il sogno d’amore alimenta l’amore, se muo-
re il sogno d’amore muore l’amore stesso:
Una donna segna allora la rinuncia alla dimensione del sogno d’amo
re coniugale, in esso nasce il sogno d’amore ancorato all’origine, che
Aleramo nutrirà e trasformerà nelle esperienze e nelle scritture che se-
guiranno.
In tutta la sua produzione successiva, dai romanzi, alle lettere, ai
diari, alle poesie intrecciando le scritture private (diari e lettere) e le
scritture letterarie, il sogno d’amore coniugale matura in un percorso
che è insieme di esperienza e di coscienza, di narrazione e di riflessione,
nell’implacabile desiderio di un amore inteso nel bisogno di ricono
scimento: («Ho bisogno d’esser necessaria a un’altra creatura viva, per
vivere. Questa è la mia verità. [...] Ecco l’amore è questo: l’attaccamento
a una persona alla quale si crede necessari (Aleramo 1978a: 291).
Il passaggio, scritto a distanza di oltre dieci anni dal primo roman-
zo, fra il 1912 e il 1918, edito nel 1919, presenta il sogno d’amore nella
trascrizione di un pensiero lirico-metaforico che trasforma gli amori
vissuti in amori sognati. Il sogno d’amore diventa costante tensione
pulsionale alla fusione nell’estasi d’amore, una possibilità di rinascita
che Aleramo insegue nella ripetizione del sogno, così come è la realtà
mitica che presiede alla propria origine. Ripensando, infatti, all’unione
del padre e della madre, al senso della propria nascita Sibilla scrive:
mi trovai a pensare come in sogno a ciò che aveva unito mia madre
e mio padre, al loro amore [...]. Io ero stata concepita in un’estasi e in un
delirio [...]. E le loro esistenze si gettavano incontro per me, per formare
una creatura unica, che vivesse la vita intera, la vita così diversa in lor
due, l’accettasse e l’amasse nella sua totalità (Aleramo 1985: 12).
2. I diari sono ora raccolti nei volumi in Aleramo (1978a) e Aleramo (1979). Vivente
l’autrice erano uscite alcune parti sulla rivista Mercurio. Mensile di politica, arte, scienze,
diretta da Alba de Céspedes e nel volume di Aleramo (1945).
Pur ammettendo nel suo Diario, dopo l’ultimo amore malamente fi-
nito (come quasi tutti i precedenti), che i circa quarant’anni di vita amo
rosa le avevano recato più dolore che gioia, rimane il fatto che d’amore
aveva una necessità assoluta, e benché sembrasse anteporlo al lavo-
ro creativo, era invece quella la fonte da cui l’opera scaturiva (Aleramo
1978a: 22).
Così Rina riscrive Sibilla: un’altra se stessa, poeta oltre se stessa, res-
tando sempre fedele al suo sogno d’amore, eterno, e assoluto. Per chi?
Bibliografia