Sei sulla pagina 1di 17

C. Gregori, G.

López-Pampló,
J. Malé (eds.)

REESCRIPTURES
LITERÀRIES

La hipertextualitat en les literatures occidentals


(1900-1939)

Publicacions de l’Abadia de Montserrat


2020

Reescriptures_1-648_TiE_PAMSA.indd 3 25/6/20 17:06


Aquest llibre s’ha publicat amb la col·laboració de:
Conselleria d’Educació, Investigació, Cultura i Esport
de la Generalitat Valenciana
Ministerio de Ciencia, Innovación y Universidades
(Projecte FFI2017-86542-P)

Primera edició, novembre de 2020


© els autors, 2020
La propietat d’aquesta edició és de
Publicacions de l’Abadia de Montserrat
Ausiàs Marc, 92-98 — 08013 Barcelona
ISBN: 978-84-9191-XXX-X
Dipòsit legal: B. XXXXX-2020
Imprès a Gràfiques 92, S.L. — Avinguda Sucarrats, 91
08191 Rubí

Reescriptures_1-648_TiE_PAMSA.indd 4 25/6/20 17:06


RISCRIVERE IL SÉ.
IL SOGNO D’AMORE DI SIBILLA ALERAMO

Laura Di Nicola
(Sapienza. Università de Roma)

«Bisognerebbe che mi ascoltaste come se io sognassi...»



Sibilla Aleramo

L’opera poetica e intellettuale di Sibilla Aleramo presenta la ques­


tione della riscrittura in maniera caleidoscopica, svelando i riflessi
multipli e cangianti di una declinazione intima, esistenziale, identita-
ria, che si coniuga con la spinta vitale verso una rinascita (riscrittura di
sé); di una declinazione poetica, letteraria, narrativa, che riguarda il rap­
porto con gli strati espressivi delle scritture (riscrittura del sé); e di una
declinazione onirica che investe, nei punti di contatto fra l’immagina-
rio e il reale, la capacità di riscriversi attraverso il sogno: il sogno di sé,
dell’altro da sé, nell’altro di sé (riscrittura nel sé).1
Un sottile filo lega, e scompone, le immagini riflesse e le rappresen-
tazioni simboliche negli sconfinamenti da un piano all’altro del proprio
mondo interno: i frammenti intimi dissimili e mutevoli si ricompon­
gono e disfano nella storia dell’anima di una donna, il progetto di ris-
criverla nell’attesa di colmare il vuoto di ogni lontananza e distanza e
separazione da un altro da sé: «O io forse non sarò più... Non potrò più
raccontargli la mia vita, la storia della mia anima... e dirgli che l’ho at-
teso per tanto tempo!» (Aleramo 1993: 220).
Sempre tesa verso un oltre che indaghi le profondità del proprio esse-
re, Sibilla Aleramo è «instancabilmente alla ricerca di un amore e, ancor
più, di se stessa nell’amore» (Caltabellota 2015: 53) e in tale ricerca
di riconoscimento filtra e proietta le possibili forme e i diversi modi di
riscrivere il suo sé, più sotterraneo, nel linguaggio dell sogno d’amo-

1.  Ringrazio Stefano Lussana per gli spunti di riflessione, nati dall’occasione, che gen-
tilmente mi ha offerto, di leggere il suo lavoro inedito Il sogno e i sogni, la capacità di sognare
e diventare un sognatore.

Reescriptures_1-648_TiE_PAMSA.indd 169 25/6/20 17:06


170 LAURA DI NICOLA

re, per riprendere il titolo del bel testo di Lea Melandri (1988). L’amore
per Sibilla è lo spazio dell’io, filtro di conoscenza, di verità, e tensio-
ne vi­tale verso l’assoluto e l’eterno: Amo, dunque sono recita, emble­
maticamente, il titolo di un romanzo del 1927. E così coniuga e intreccia
i diversi stati e strati di sé, di un io che nella scrittura ricompone i fram-
menti intimi di una coscienza lucida e di una passione fusionale.
Il sogno d’amore è da lei inteso come una creatura vivente, di parole
e carne, che identifica il suo stile poetico. Sottesa alla sua stessa esisten-
za c’è la vita incarnata dalla poesia del sogno d’amore che fonda l’ideale
umano dell’opera di Sibilla, inteso come ricerca utopica dell’«uma-
na coppia perfetta». E così esprime la sua arte di vivere: «Ho fatto della
mia vita il capolavoro che avevo sognato di creare con la poesia». Un
concetto che poi diversamente riprende, in modo dissimile — «Ho fatto
della mia vita, come amante indomita, il capolavoro che non ho avu-
to così modo di creare in poesia» (Aleramo 1979: 68) — nella possibilità
e capacità di sognare l’amore «continuo anelito a una sempre fuggente
forma d’accordo fra me e l’uomo, a una mai realizzata armonia, per la
quale tutto sempre ho dato, sangue e ingegno e sentimento», per restare
«fedele alla mia intima legge...» (Aleramo 1979: 147). Sibilla, a poco a
poco, giorno dopo giorno, in una febbre conoscitiva e amorosa verso
il tutto, crea se stessa, «sono andata via via creando me stessa lirica­
mente», e aggiunge: «quella che io sono, ho voluto io esserlo» (Aleramo
1979: 19).
I sogni per Aleramo interpretano l’anima, proprio come i libri che
entrano a far parte di un vissuto interno di riscrittura di sé: «le lettu-
re sono commenti alla nostra anima proprio come i sogni» e in ciò
trovano un ampio spazio identitario. Sibilla diviene «una persona
nuova» quando giunge, fino alla sua «tragica coscienza», il pensiero
poetico di Ibsen come promessa di un «accordo» con se stessa: «chia-
mandomi ad assumere intero il peso del mio atto, e ad ubbidire fero­
cemente alla mia legge, fece sì ch’io mi trovassi poi ad esistere come
una persona nuova, una neonata adulta, un’isola, una volontà cupa
e rigida sotto l’incantata e tenera apparenza» (Aleramo 1979: 15). Nel
capitolo XVII di Una donna, narra di aver assistito alla rappresenta­
zione della «simbolica favola» Casa di bambole di Ibsen: «Sulla sce-
na una povera bambola di sangue e di nervi si rendeva ragione della
propria inconsistenza, e si proponeva di diventar una creatura uma-
na, partendosene dal marito e dai figli» (Aleramo 1993: 158). Nella nota
del suo diario del 24 novembre 1940, specifica: che Ibsen:

Reescriptures_1-648_TiE_PAMSA.indd 170 25/6/20 17:06


RISCRIVERE IL SÉ. IL SOGNO D’AMORE DI SIBILLA ALERAMO 171

[...] E Ibsen, alla giovine solitaria che salutava il sorger del novecen-
to, aveva illuminato il senso di sé, della propria individualità, e dei do-
veri verso di essa. Perché è vero, se avessi ignorato il verbo dell’accigliato
trageda nordico, io forse non avrei, un anno dopo quella notte, lasciata
la casa coniugale e mio figlio. Senza quella voce «ottocentesca», forse
non sarei «divenuta quella che sono» (Aleramo 1979: 14).

Sibilla legge, scrive, sogna, dunque, è: così «crea se stessa», «è se


stessa», e forse riesce ad amare se stessa, cercando di significare que-
lla seconda vita sotterranea che sente il bisogno di ritrovare nella sua
vena narrativa. Una donna segna sia la scrittura di una vita realmen-
te vissuta, riattraversata nel ricordo (è un romanzo autobiografico),
sia la riscrittura di una nuova vita latente che germoglia nella scrittu-
ra stessa (è una presa di coscienza) ripercorsa attraverso una memoria
immaginaria e trasognante.

L’urgenza di dare vita a una «persona nuova» serve a liberarla dal


suo trauma solo apparentemente rimosso, ma sedimentato, e trasfor-
mato in un costante anelito di libertà, di amore, di dignità, di un’«in­
consapevole attesa»: Come sottolinea il 5 dicembre 1940:

L’unico figlio io l’ho concepito per mezzo dell’unico maschio che


m’ha avuta senza amore, di colui che m’ha rubata, di sorpresa, a quin-
dici anni: mio marito. Se la mia vita di femmina è stata fisiologicamente
completa, la mia vita di donna, al contrario, con quella sorta di trauma
all’inizio, ha avuto per condanna un misterioso perpetuo inappaga-
mento (ch’è il destino d’un’infinità di donne, senza che esse ne abbian
chiara coscienza). Qualcosa in me è rimasto eternamente insoddisfat-
to, l’anelito ad un figlio dell’amore, a una creatura che fosse insieme un
capolavoro della mia carne, del mio cuore, del mio spirito. E ho amato,
o creduto d’amare, tanti uomini, in quell’inconsapevole attesa (Alera-
mo 1979: 21).

La violenza che genera la sua matrice simbolica la lacera per sempre


creando una scissione interna che a lungo è taciuta e invisibile, una frat­
tura dell’anima che tiene separate parti di sé. Questo punto di frattura
la porta a voler divenire un’altra, con la possibilità di rinascere attra­
verso la scrittura. A distanza di trentaquattro anni dalla pubblicazione
di Una donna, raggiunti i sessantaquattro anni, Aleramo riesce a dirlo
nello specchio del diario con lucidità, mentre nel romanzo Una donna,
quando la memoria dello sguardo era ancora ferita, il passaggio del suo
corpo frugato, trova lo spazio di sole poche righe:

Reescriptures_1-648_TiE_PAMSA.indd 171 25/6/20 17:06


172 LAURA DI NICOLA

Un mattino fui sorpresa da un abbraccio insolito, brutale, due mani


tremanti frugavano le mie vesti, arrovesciavano il mio corpo fin quasi
a coricarlo attraverso uno sgabello, mentre istintivamente si divincola-
va. Soffocavo e diedi un gemito ch’era per finire in urlo, quando l’uomo,
premendomi la bocca, mi respinse lontano (Aleramo 1993: 34).

A distanza di circa un decennio la memoria cosciente e lucida co-


mincia a riaffiorare nel Passaggio: «E improvvisa la mia necessità fu di
dire, per la prima volta, come quella mia adolescenza era stata ucci-
sa. Sogni di vergine ch’io non ebbi il tempo di sognare, nubilità che
non conobbi, mia violata vita!» (Aleramo 1985: 29). E si trasforma in un
percorso di dolorosa consapevolezza della parte che era stata uccisa.
Il trauma, quell’«angoscia terribile della mia anima improvvisamen-
te sperduta» (Aleramo 1993: 35), rappresenta la più intensa e sofferta
spinta alla crescita psichica e pulsionale, che passa attraverso un dolo-
re che diviene «fecondo»: da esso la vita rinasce e Sibilla la riscrive da
capo, per riprendersi, riflessa nella coscienza, la dignità e il rispetto di
sé. Di quella frattura resta la malinconia che adombra il senti­mento
del sogno d’amore dell’assenza, della lontananza, della perdita, della se-
parazione, cioè della sostanza più profonda del vuoto. Così annota nel
diario ascoltando alla radio Schubert il 21 dicembre 1941:

Questa malinconia che sale dal fondo del mio essere e minaccia di
sommergermi, che Franco crede derivi dalla sua assenza e che invece
è di tanto anteriore alla di lui apparizione nella mia vita, questa malin-
conia contro la quale ho combattuto tremendamente fin da quando mia
madre impazzì ed io ero giovinetta, questa malinconia con la quale le
contingenze non han che fare o non sono che i pretesti, gli incentivi
transitori, questa malinconia che non ho mai tradotta nella mia poe-
sia per terrore di soggiacerle e di morirne, è per essa è per essa che
ho sempre forsennatamente cercato l’amore, creduto nell’amore «poten­
za di miracolo», fino a quest’ultimo che ha nome Franco?
Malinconia dell’essere, della sorte umana e femminea, della terra e
del cielo, soltanto l’amore può aiutarci a sopportarla e a farne cosa di
bellezza e di vita? (Aleramo 1979: 138-139).

Insomma, vuole «obliare la malinconia», quel «male ineffabile»,


quell’«in­tima insidia» che le viene da lontano e che resta inespressa
nell’opera letteraria.
Sul piano esistenziale, nella riscrittura di sé Aleramo riattraversa,
dunque, il proprio vissuto, elabora una memoria traumatica da cui
emerge un desiderio rimosso, rende fecondo il dolore adolescenziale

Reescriptures_1-648_TiE_PAMSA.indd 172 25/6/20 17:06


RISCRIVERE IL SÉ. IL SOGNO D’AMORE DI SIBILLA ALERAMO 173

di una lacerazione subita, disvelandolo così a se stessa, a una sé che


non conosceva fino a quel momento e che le consente di riscrivere la
propria vita, in un lucido percorso di autocoscienza e autoriflessione.
Sibilla Aleramo è, infatti, lo pseudonimo assunto da Rina Faccio per
firmare Una donna, la sua opera prima, il romanzo d’esordio che rap-
presenta, nel 1906, un discrimine significativo della cultura letteraria
italiana che si apre al Novecento. È il testo che segna la sua rinasci-
ta nella scrittura e, in essa, la possibilità di iniziare a riscrivere la pro-
pria vita che è il Leitmotiv ormai definitivamente assunto grazie anche
al volume curato da Buttafuoco e Zancan (1988).
Il «romanzo di sé», come l’ha definito Anna Nozzoli (1986: 104)
narra la morte simbolica di Rina e la nascita di Sibilla, una figura esem-
plare di una donna rigenerata dalla parola poetica, rinata alla lette­
ratura, in cui, come ha detto Franca Angelini, «la perdita del nome
coincide con la nascita alla letteratura» (Buttafuoco e Zancan 1988: 65).
Aleramo costruisce un profilo proprio che si autorappresenta attra­
verso la tensione alimentata dal desiderio di rinnovare un’immagine
identitaria nuova e auto-creata. «Voglio sia dimenticato anche il mio
cognome di nascita, ed esser nominata e presentata esclusivamente co­
me Sibilla Aleramo: la mia personalità non si esplica più che a traverso
questo nome», dice nella lettera a Ersilia Majno del 3 dicembre 1907
(Zancan 1998: 200). Sibilla, il nome con cui il poeta Cena l’aveva «ribat-
tezzata», è cioè il nome della “riscrittura” di Rina Faccio. In seguito,
nel Passaggio, il richiamo a «Rina, piccola che ti chiamavi Rina»; poi
alla «piccola che si chiamava Rina», l’adolescenza desiderata diventa
ritmo interiore cioè poesia, «rorida potenza sorta in me, per sovrap­
porsi a me, per sopravvivermi!» (Aleramo 1985: 16, 91, 103), è seguito
dalla spiegazione del nome: «Ed un giorno, sul rovescio d’un dei fo-
glietti dov’io nella notturna pace della pineta gli sussurravo delle mie
stasi, egli scrisse: “Sibilla”». E precisa «Nome di mistero, che doveva
restarmi, nome del mio destino, fiero ed altero, nome che non ho mai
amato ma che ho portato come un dono periglioso, Sibilla, fiorito in-
consapevole di sua durata quando un solo ancora m’ascoltava» (Alera-
mo 1985: 47). Anche in Amo, dunque sono il nome svela tutto il suo
simbolismo profetico. È prova: «Quando ti chiesi di darmi una prova
di ciò ch’io sono per il tuo cuore, il tuo spirito, il tuo destino, mi ris-
pondesti: “La prova è nel tuo nome, Sibilla”. Sì, è così». Ma è anche
destino: «in questo momento tu mi vedi, e chiami: “Sibilla!”. T’ero des-
tinata, nel nome e nel cuore» (Aleramo 1947: 105).
In Una donna la morte simbolica di Rina, con cui si apre la seconda
parte del romanzo, chiude la prima vita: «Vi sono periodi che non pos-

Reescriptures_1-648_TiE_PAMSA.indd 173 25/6/20 17:06


174 LAURA DI NICOLA

sono risolversi e che sembra vadano chiusi bruscamente con una pie-
tra sepolcrale» (Aleramo 1993: 91). Ma dà anche avvio alla narrazione di
sé come una «personalità nuova, tragica e risoluta» (Aleramo 1993: 93).
Raccontare la vita «significa rendere fecondo il dolore: Sibilla chiede
alla scrittura di cambiare la vita» e se «la rinascita come energia, amo-
re per la vita, bellezza è legata alla felicità dell’infanzia e all’im­magine
del padre», «la morte, come dolore, miseria, follia è legata all’immagi-
ne della madre» (Zancan 1998: 205). Riscriversi significa allora cercare
la spinta vitale del proprio divenire nel tentativo di coniugare «l’essere»
e «l’agire»: ri-vivere, ri-sognare, re-immaginare, ri-amare sono i ver-
tici di una costante tensione etica-conoscitiva-intellettuale, e emotiva-
sentimentale-pulsionale, che fonda le possibilità di rigenerare e tras­
formare, oltre che il proprio sé, anche un’etica del sé: il diritto di essere.
E in esso il diritto alla felicità del genere femminile inteso come «facol-
tà — tutta umana — di pensare, di agire, di sperare» (Aleramo 1978b:
69). Una possibilità per amare se stessa.
La riscrittura del sé, filtrata attraverso l’immaginario poetico, porta
Aleramo a concepire la vita come un’opera letteraria. Il rapporto con
la scrittura esprime, infatti, la «tendenza a intrecciare il senso profondo
della propria vicenda umana con le forme della rappresentazione let­
teraria», fino a «ottenere una vita dedicata alla scrittura, una scrittura
che narra e riflette la vita (la sua), una vita rivissuta attraverso la scrit­
tura» (Zancan 1988: 14). Concetto che arriva fino al paradosso nel caso
di Trasfigurazione, la lettera non spedita, scritta nel 1912 e apparsa per
la prima volta in rivista nel 1914, in cui svela il suo rapporto amoroso
con Papini alla moglie di lui, annunciandole pubblicamente che ha ri-
nunciato a vederlo — quando, nella realtà, la liaison tra Sibilla e Papini
era ormai finita da anni. Per cui, «la “inutilidad” de la escritura es la
que convierte esta carta, más que cualquier otro elemento, en un ala­
rido de venganza que se extiende de la vida real a la página literaria»
(Ardolino e Druet 2015: 202).
Nel romanzo Una donna la nascita del figlio accompagna la sua
stessa rinascita, accostata all’idea della scrittura:

Nelle ore in cui il piccino dormiva nella sua culla bianca accanto a
me, e il silenzio e la penombra regnavano nella camera, io abbandonavo
la briglia alla fantasia, ed era nella mia mente un avvicendarsi di due
distinti progetti: l’uno che riguardava mio figlio [...]; l’altro, che cos­
tituiva il primo invincibile impulso verso l’estrinsecazione artistica di
quanto mi commuoveva ora, mi riempiva di sensazioni distinte, rapi-
de, nuove ed ineffabili. Si svolgeva nel mio cervello il piano d’un libro;

Reescriptures_1-648_TiE_PAMSA.indd 174 25/6/20 17:06


RISCRIVERE IL SÉ. IL SOGNO D’AMORE DI SIBILLA ALERAMO 175

pensavo di scriverlo appena rinvigorita, nelle lunghe ore di riposo pres-


so la culla. (Sibilla Aleramo 1993: 64-65).

Il «primo invincibile impulso» verso la scrittura si configura nella


relazione con il figlio come la prima idea, vigorosa verso il divenire scrit­
trice: «Quegli appunti, insieme a qualche notazione rapida del primo
destarsi dell’intelligenza nel bimbo e delle impressioni varie che ne
risentivo, sono il primo esordio di scrittrice» (Aleramo 1993: 70). Il fi-
glio stesso, poi, vedendola piangere le mette la penna tra le mani, in­
dicandole qual è il suo destino:

Scrivere? La cara piccola anima intuiva anche questo, la necessità


di tuffarmi come non mai nel lavoro e nel sogno. Non era geloso, mio
figlio, non era prepotentemente egoista nel suo affetto: pensava alla
mia salvezza, ai bisogni per lui oscuri del mio essere complesso, non
pretendeva di poter riempire lui solo tutta la mia vita.
Ma come afferrarmi a quella penna che mi porgevano i ditini rosei?
Che cosa scrivere? La mia desolazione si rifletteva anche su’ miei sogni,
che diventavano utopie inconsistenti e piene di contrasti ironici (Alera-
mo 1993: 176).

Il procedere della scrittura segue l’andamento di un percorso di cri-


si di una coscienza che nell’interrogarsi trova la sua possibile forma e
ne definisce il senso, «in una forma nuova, decisa, che mi rivelasse qual-
che angolo ancora oscuro del mio destino!» (Aleramo 1993: 106).
E così il libro, nel suo farsi e autonarrarsi prende prima la forma di
una visione: «mi struggevo, certe volte, contemplando nel mio spirito
la visione di quel libro che sentivo necessario, di un libro d’amore e di
dolore, che fosse straziante e insieme fecondo» (Aleramo 1993: 123).
E poi, arriva a coincidere, nel finale, con il libro stesso: la scrittura che
lei dedica al figlio, ed è il libro che stiamo leggendo. Rina chiede alla
scrittura di cambiare la sua vita e di essere la nuova Sibilla, cioè la don-
na che sarà, una scrittrice, una giornalista, una poetessa, una intellet­
tuale impegnata, una compagna, una donna: una persona, nuova. Una
«nuova autorialità femminile» (Gambaro 2018).
La riscrittura nel sé significa per Aleramo la riscrittura nel sogno di
sé e nel sé in sogno. Per cui, «affina la coscienza del proprio essere fem-
minile svelando a sé e agli altri la complessità del sogno che alimenta
la propria rappresentazione fantastica» (Zancan 1988: 8). Se la vita vis-
suta è prima scritta solo in un ambito pre-simbolico, poi, oniricamente,
viene riscritta, e così rivissuta: la scrittura svela a Sibilla la possibilità
di autorappresentarsi attraverso il sogno di sé, e la riscrittura le consen-

Reescriptures_1-648_TiE_PAMSA.indd 175 25/6/20 17:06


176 LAURA DI NICOLA

te, in questa prospettiva, di significarlo e ancorarlo il sogno alla realtà


per riviverla disvelandola e, a poco a poco, trasformandola. Il sogno
retrospettivo di sé va a innestarsi in quello proiettivo di sé in un presen-
te sempre dilatato sul piano del passato e del futuro: «Per una settimana
vissi come in un sogno grandioso, in una pienezza d’energia spirituale
che m’impediva di sentirmi estenuata, che mi dava l’illusione d’avviarmi
al dominio della vita» (Aleramo 1993: 64).
La riscrittura in Sibilla passa, dunque, attraverso la proiezione della
memoria immaginativa che retrospettivamente riavvolge il nastro del-
la vita a partire dalla sua fanciullezza, rivista tutta come un sogno:

La mia fanciullezza fu libera e gagliarda. Risuscitarla nel ricordo,


farla riscintillare dinanzi alla mia coscienza, è un vano sforzo. Rive-
do la bambina ch’io ero a sei, a dieci anni, ma come se l’avessi sognata.
Un sogno bello, che il menomo richiamo della realtà presente può far
dileguare. Una musica, fors’anche: un’armonia delicata e vibrante, e una
luce che l’avvolge, e la gioia ancora grande nel ricordo (Aleramo 1993: 1).

Ma se non può risuscitare nel ricordo o riscintillare dinnanzi alla


sua coscienza (sarebbe un vano sforzo), può solo rivedersi come in so­
gno, bello e luminoso: come una musica, un’armonia, una luce, che
dà gioia ricordare. Nel rivedersi come in sogno, si sogna e riscrive at­
traverso il proprio immaginario poetico la realtà. La materia narrata è
filtrata da un pensiero che la rigenera, una forma di memoria che ri­
scrive i frammenti di una nuova vita autocreata: «Un occulto ardore
correva per quei fogli, che io cominciavo ad amare come qualcosa mi­
gliore di me» (Aleramo 1993: 116).
Nei passaggi dai pensieri inconsci, pre-consci, pre-verbali, pre-sim-
bolici, alla rappresentazione di essi in pensieri consci e poi in scrittura,
Aleramo colloca il sogno d’amore la radice esistenziale del suo svela-
mento. La vita è anche sogno e, in essa, la scrittura è essa stessa sogno
che dura tutta la vita e che consente a Sibilla di intervenire sul reale.
Il suo percorso di coscienza la porta a capire la propria vita attraverso il
sogno della vita stessa, un paesaggio mentale attraversato o da attra­
versare. Le due vite, quella reale e quella sognata, si ricompongono
nell’immaginario poetico e si esprimono nelle possibilità oniriche di
tradursi e di rappresentarsi nella vita che prende corpo nella scrittura:
il sogno si esprime in immagini e in pensieri pre-simbolici, e viene tras-
formato prima nel linguaggio di una storia, e poi, in scrittura. E con-
sente a Sibilla di rifrangere la realtà nelle sue più complesse sfaccetta­
ture e si fa strumento conoscitivo delle strutture del proprio essere. Per

Reescriptures_1-648_TiE_PAMSA.indd 176 25/6/20 17:06


RISCRIVERE IL SÉ. IL SOGNO D’AMORE DI SIBILLA ALERAMO 177

cui, nelle maglie del suo io svela la sua intima inclinazione a sognarsi
in una ricerca inesauribile e consapevole del sogno che si nutre delle
possibilità dell’amore e della necessità e del bisogno di comunicarlo ed
esprimerlo.
Insomma, Aleramo vive il suo sogno (e si vive in sogno) nella spinta
a voler capire vivere sentire pensare accogliere e accettare le contraddi-
zioni, le incertezze, i dubbi, le fragilità, i limiti, le paure, dell’amore, e
delle possibilità dell’amore. L’idea, il sentimento, il legame, l’incontro,
la passione, d’amore, trovano slancio nel sostrato più intimo e inconsa-
pevole che è il sogno d’amore: l’aspetto inconscio, spontaneo dell’amore,
che lo rende possibile. Sibilla sogna, innanzitutto, l’amore; e tra il so­
gno e l’amore realizza il percorso di crescita di se stessa nelle radici più
intense e sublimi e miracolose di un desiderio di armonia che si eleva
attraverso, e con, la poesia. Il sogno d’amore alimenta l’amore, se muo-
re il sogno d’amore muore l’amore stesso:

Aleramo fa della sua scrittura un singolare processo di «svelamen-


to», un’autoanalisi più che un’autobiografia, rilettura e riscrittura del so­
gno d’amore visto sotto diversi aspetti: «miracolo che di due esseri com­
plementari fa un solo essere armonioso», ma anche ideale di interezza,
«sensi e ragione», riportato sia alla vita che alla creatività poetica. Nel
momento in cui si decanta l’altalena tra «gelo» e «estasi», che contrad­
distingue la favola amorosa, quello che si profila è un «mesto, lucido
sguardo» capace di dare voce al «mistero singolo», al «fastidioso obbli-
go di vivere per sé», alla malinconia con cui si va costruendo un’in­
dividualità femminile, nel distacco da ciò che si era amato e in cui si era
creduto (Melandri 2014).

Nel romanzo Una donna la narrazione della nascita del sogno


d’amore rinvia alla memoria originaria (guarda al passato) e alla memo-
ria generativa del futuro (stabilisce un ponte verso il domani). Nel pri-
mo caso si esprime nel tempo di una fanciullezza forgiata sull’immagine
del padre e determinata da questo amore che ad esso la lega cui si con-
trappone il modello materno che turba l’idealizzazione della felicità,
infranto dal tradimento paterno. Il secondo sogno d’amore, generativo,
si configura nell’amore per il figlio e del figlio, inteso come intimo rico-
noscimento che accompagna il «pensare la scrittura» e che proietta, e si
proietta, nel futuro: quello del figlio e quello del libro. Se l’amore per
il padre e per il figlio è il sogno di una fusionalità, declinata verso il
passato (l’origine) e verso il futuro (generare), in una miracolosa unità
a due, la tensione amorosa nella coppia, a dire il presente, si esprime nel
desiderio di un vissuto deludente —che rimane esiliato nella miseria

Reescriptures_1-648_TiE_PAMSA.indd 177 25/6/20 17:06


178 LAURA DI NICOLA

del reale— pur se concepito e atteso come ricomposizione fra il sé e


l’altro da sé:

Cercavo di persuadermi che la vita mi offriva finalmente l’amore,


il vero, e che dovevo accettarlo, portando, all’uomo che mi merita-
va, tutta me stessa e l’altra parte della mia vita, il mio bimbo, semplice-
mente, lealmente. Oh, amare, amare, darmi volontariamente, sentirmi
di un uomo, vivere, rinascere! (Aleramo 1993: 78-79).

L’amore inteso come possibilità di rinascere e come destino, resta


solo un’«ebrezza» verso il «forestiero»:

Quanti giorni di battaglia? Non so più: pochi. Quando lo rividi, ad


una delle festicciuole da ballo che il gruppo degli amici aveva organiz-
zato, ed egli mi cinse la vita trascinandomi in un turbine di giri e sus­
surrandomi sul collo parole brevi di amore, di amore, e in tutta la sala
ridicolmente addobbata non vidi un solo essere che attingesse le vette
del sogno ch’io facevo, e mi sentii nelle vene tumultuare un sangue gio-
vane, ricco, e appresi in un baleno da cento occhi dimentichi, che con-
fermavano le parole ardenti di lui, ch’io ero una donna bella, la sola
bella, bella, bella; e mi dissi che un uomo s’era sentito capace di suscita-
re in me una fiamma che tutta mi travolgesse... pensai che il mio destino
si fissava, e assaporai la prima, l’unica ebbrezza della mia vita (Alera-
mo 1993: 79).

Una donna segna allora la rinuncia alla dimensione del sogno d’amo­
re coniugale, in esso nasce il sogno d’amore ancorato all’origine, che
Aleramo nutrirà e trasformerà nelle esperienze e nelle scritture che se-
guiranno.
In tutta la sua produzione successiva, dai romanzi, alle lettere, ai
diari, alle poesie intrecciando le scritture private (diari e lettere) e le
scritture letterarie, il sogno d’amore coniugale matura in un percorso
che è insieme di esperienza e di coscienza, di narrazione e di riflessione,
nell’implacabile desiderio di un amore inteso nel bisogno di ricono­
scimento: («Ho bisogno d’esser necessaria a un’altra creatura viva, per
vivere. Questa è la mia verità. [...] Ecco l’amore è questo: l’attaccamento
a una persona alla quale si crede necessari (Aleramo 1978a: 291).
Il passaggio, scritto a distanza di oltre dieci anni dal primo roman-
zo, fra il 1912 e il 1918, edito nel 1919, presenta il sogno d’amore nella
trascrizione di un pensiero lirico-metaforico che trasforma gli amori
vissuti in amori sognati. Il sogno d’amore diventa costante tensione
pulsionale alla fusione nell’estasi d’amore, una possibilità di rinascita

Reescriptures_1-648_TiE_PAMSA.indd 178 25/6/20 17:06


RISCRIVERE IL SÉ. IL SOGNO D’AMORE DI SIBILLA ALERAMO 179

che Aleramo insegue nella ripetizione del sogno, così come è la realtà
mitica che presiede alla propria origine. Ripensando, infatti, all’unione
del padre e della madre, al senso della propria nascita Sibilla scrive:

mi trovai a pensare come in sogno a ciò che aveva unito mia madre
e mio padre, al loro amore [...]. Io ero stata concepita in un’estasi e in un
delirio [...]. E le loro esistenze si gettavano incontro per me, per formare
una creatura unica, che vivesse la vita intera, la vita così diversa in lor
due, l’accettasse e l’amasse nella sua totalità (Aleramo 1985: 12).

Il sogno d’amore, spiegazione dell’origine dell’essere al mondo, è


una tensione utopica «fremente d’immaginazione» che a contatto con
la realtà la trasmuta:

Il senso inesprimibile che tutto quanto era stato realtà si trasmutava


[...] in ricordo [...]. Il senso che anche il ricordo si sarebbe un giorno
fatto lieve, sommesso. Come se tutto fosse stato soltanto un incubo [...]
ed io l’avrei, con la stessa fatale volontà del vento che feconda il fiore,
riassunto in un libro, appunto come una fremente immaginazione, avrei
compiuto il tremendo sforzo d’interpretare a guisa di sogno il lungo
male e il lungo pianto (Aleramo 1985: 12).

In Amo, dunque sono, un romanzo del 1927 che incrocia il genere


diaristico con quello epistolare (un diario in forma di lettere non spedi-
te), il sogno si colloca fra l’amare e l’essere e domina incontrastato nel
racconto del sogno d’amore fra Sibilla e Giulio Parise «contenuto in un
cerchio magico in cui si può entrare soltanto se ne si possiede la chiave»
(Caltabellota 2015: 94). Il sogno d’amore irrompe, con passione tumul-
tuosa e vibrante, in una scrittura che colma l’assenza e la lontananza
con la voluttà, l’estasi e prefigura l’idea del libro stesso: «Non rileggo
queste lettere, le chiudo ogni sera, ciascuna in una busta numerata
— saranno trenta, quaranta, allorché potrò consegnartele? M’hai im-
posto tu di scriverti e suggellare così ogni giorno molte pagine che,
dicesti, potranno poi essere il libro nostro...» (Aleramo 1985: 11). I fram­
menti inseguono un ritmo narrativo che cresce nel desiderio vibrante:

Possederai ora me, me sola?


L’atto sarà complemento di gioia, di quella gioia che già stillava vo-
luttà, quando eravam vicini senza toccarci. Tutto è voluttà, in questo
nostro amore. Perché tutto è estasi. Crediamo aver indugiato a pren-
derci, ma, in realtà, quando ci prenderemo constateremo che in essenza
l’atto era già avvenuto... Trasfusi ci siamo nei baci, negli sguardi, nelle

Reescriptures_1-648_TiE_PAMSA.indd 179 25/6/20 17:06


180 LAURA DI NICOLA

parole. Ogni parola di queste mie lettere vale un amplesso, profondo, e


totale. Ha il mio profumo, e ha l’alone ch’è intorno al mio corpo quan-
do vibra pronto a riceverti... Mi prenderai perch’io taccia! Perch’io ri-
posi! Ti prenderò come fanno le onde, or leni or furiose, e le tue belle
membra sogneranno d’essere amate da una Dea marina. Le nostre boc-
che si son trovate come se da tutta l’eternità si cercassero, così si trove-
ranno i nostri corpi, ah, infine, infine, così si troveranno le nostre vite!
(Aleramo 1947: 129-130).

Un passaggio significativo nel percorso di vita e di riscrittura degli


stati del sé — e in essa del racconto del suo sogno d’amore — avviene
negli ultimi vent’anni della vita, quando Sibilla si rispecchia, nella cos-
cienza più consapevole del presente, nel suo Diario: 2 un esercizio quasi
quotidiano di scrittura, i «4244 fogli manoscritti» (Aleramo 1979: 400)
in cui racconta, nello spazio esistenziale e intimo del privato, il suo ul-
timo sogno d’amore: l’amore per se stessa, seppur celato dietro l’amo-
re per il giovane Franco Matacotta. Nelle annotazioni che terrà quasi
quotidianamente dal 3 novembre 1940 (data con cui si apre il diario ce-
lebrando la nascita di Una donna) fino al 2 gennaio 1960 («Tempo chia-
ro. Ma fatico a tener gli occhi aperti»: Sibilla morirà il 13), Aleramo
affida alla scrittura diaristica la «trascrizione del pensiero parlato di
una donna, “flusso” non già di vita, ma di tutte le parole (pensieri) che
essa ha dovuto trattenere per paura di non essere “intesa”, che scrive
per sé e perché altri, leggendole, possa farsi di lei un’immagine intera»,
come sostiene Melandri (Aleramo 1979: 460). Le pagine stridono intor-
no a una doppia spinta divergente: una «scrittura a metà strada tra
un’individuazione sempre desiderata, o che l’altro desidera da lei, “esse-
re poeta”», e il suo opposto «la dissoluzione di sé nel farsi nutrimento
per l’altro, materia viva “di pensieri e di sangue”» (Aleramo 1979: 17).
Sibilla sperimenta anche le possibilità conoscitive, espressive e imma­
ginative di una scrittura poetica non onirica, ma trasognante. A partire
da appunti di taccuino e dall’annotazione del diario del 16 dicem-
bre 1941 («scrivere come in sogno, non sapendo quasi di scrivere [...]
tutto quanto si succede e si sovrappone d’istante in istante in quel
misterioso invisibile ricetto che chiamiamo mente, spirito, anima, cuo-
re»), si individua «il nucleo vivo di un ragionamento sulla scritture che
Sibilla non chiude mai e nel quale fino all’ultimo non smette i riconos-
cersi (Folli 2000: 195).

2.  I diari sono ora raccolti nei volumi in Aleramo (1978a) e Aleramo (1979). Vivente
l’autrice erano uscite alcune parti sulla rivista Mercurio. Mensile di politica, arte, scienze,
diretta da Alba de Céspedes e nel volume di Aleramo (1945).

Reescriptures_1-648_TiE_PAMSA.indd 180 25/6/20 17:06


RISCRIVERE IL SÉ. IL SOGNO D’AMORE DI SIBILLA ALERAMO 181

Sono frammenti di scrittura che esprimono il suo restare fedele al


suo più poetico ideale amoroso: «Un solfeggio preparatorio di una
grande musica, o suoni-rumori che escono da uno strumento quando
la mano c’è sopra e si muove inconsapevolmente seguendo un filo di
pensieri che si vorrebbe e non si vorrebbe fossero ascoltati». E ci si chie-
de: «Che cos’è dunque il Diario di Sibilla Aleramo se non è un “testo”
o un “canto” nel senso tradizionale, e neppure può essere confuso con
la sua vita intensa, “poesia incarnata”?» (Melandri 1979: 461).
La scrittura diaristica si offre come un pensiero sognato calato nel
piano della realtà quotidiana: «migliaia di pagine che ho scritto per
narrarmi, per spiegarmi. Fino a questa, d’oggi. Un furore d’autocrea­
zione, incessante» (Aleramo 1979: 21). Lo sottolineerà Fausta Cialente:

Pur ammettendo nel suo Diario, dopo l’ultimo amore malamente fi-
nito (come quasi tutti i precedenti), che i circa quarant’anni di vita amo­
rosa le avevano recato più dolore che gioia, rimane il fatto che d’amore
aveva una necessità assoluta, e benché sembrasse anteporlo al lavo-
ro creativo, era invece quella la fonte da cui l’opera scaturiva (Aleramo
1978a: 22).

Migliaia di fogli per ricostruire «l’opera della vita» (Guerricchio


1986), un’immagine di sé da tramandare, un autoritratto di carta, in cui
commenta la vita vissuta, i suoi amori, le sue opere, le sue relazioni, le
sue letture, le sue passioni, il suo impegno politico, letterario, culturale.
Se stessa:

Chiedo l’iscrizione al partito.


La mia decisione mi vien dettata dalla coscienza di compiere un do-
vere, e insieme rappresenta per me come il coronamento della mia vita
di scrittrice e di donna. Tutta la mia opera di quarant’anni è stata ispi-
rata dalla fede in un più giusto e più umano avvenire della nostra spe-
cie: della nostra specie tutta quanta, uomini e donne di tutta la terra.
Ho lavorato fin dalla prima giovinezza, non soltanto per la redenzione
della femminilità, per l’affermazione di un’autonoma spiritualità fem-
minile, ma anche perché il popolo venisse elevato a un’esistenza degna,
fosse stato partecipe di un benessere e di una cultura creatori di una
civiltà non fittizia: di quella civiltà che non s’è mai potuto realizzare
appunto perché la grande maggioranza è sempre stata esclusa dal colla-
borarvi. E gli anni son passati su me, e gli eventi mondiali, e le guerre,
sino all’ultimo sterminio, senza che il mio sì alla vita, la vita futura
dell’umanità, si tramutasse in negazione. [...]
Sul volto dei compagni e delle compagne è oggi diffusa, insieme alla
fierezza per il cammino percorso e alla consapevolezza dell’immen-

Reescriptures_1-648_TiE_PAMSA.indd 181 25/6/20 17:06


182 LAURA DI NICOLA

sa opera ancor da compiere, una luce d’intimo contento. Una luce di


poesia, vorrei chiamarla. E io, poeta e donna, desidero di far parte
di questa grande comunità, che mi conferma la mia visione antica di
un mondo in cui ogni persona viva e operosa sarà in grado di sen-
tire l’esistenza e lo stesso lavoro sotto specie di poesia (Aleramo 1978a:
74-75).

Così Rina riscrive Sibilla: un’altra se stessa, poeta oltre se stessa, res-
tando sempre fedele al suo sogno d’amore, eterno, e assoluto. Per chi?

Bibliografia

Aleramo, S. (1945), Dal mio diario (1940-1944), Roma, Tumminelli.


Aleramo, S. (1947), Amo, dunque sono, Milano, Mondadori.
Aleramo, S. (1985), Il passaggio, a cura di Bruna Conti, Milano, Serra e Riva.
Aleramo, S. (1978a), Diario di una donna. Inediti 1945-1960, a cura di Alba
Morino (con un ricordo di Fausta Cialente), Milano, Feltrinelli.
Aleramo, S. (1978b), La donna e il femminismo. Scritti 1897-1910, a cura di
Bruna Conti, Milano, Editori Riuniti.
Aleramo, S. (1979), Un amore insolito. Diario 1940-1944, a cura di Alba Mo-
rino (con una lettura di Lea Melandri), Milano, Feltrinelli.
Aleramo, S. (1993 [1a ed. 1907]), Una donna, Milano, Feltrinelli.
Ardolino, F. – Druet, A. C. (2015), «L’urlo. Del furor destructor a la afirma-
ción de sí», Ambigua, 2, p. 199-217.
Buttafuoco, A. – Zancan, M. (eds.) (1988), Svelamento. Sibilla Aleramo:
una biografia intellettuale, Feltrinelli, Milano.
Caltabellota, S. (2015), Un amore degli anni Venti, Roma, Ponte alle grazie.
Contorbia, F. – Melandri, L. – Morino, A. (eds.) (1986), Sibilla Aleramo.
Coscienza e scrittura, Milano, Feltrinelli.
Folli, A. (2000), Penne leggère. Neera, Ada Negri, Sibilla Aleramo. Scritture
femminili italiane fra Otto e Novecento, Milano, Guerini e Associati.
Gambaro, E. (2018), Diventare autrice. Aleramo Morante de Céspedes Ginz­
burg Zangrandi Sereni, Milano, Unicopli.
Guerricchio, S. (1986), «L’opera della vita: i Diari», in F. Contorbia, L. Me-
landri e A. Morino (eds.), Sibilla Aleramo. Coscienza e scrittura, Milano,
Feltrinelli, p. 68-77.

Reescriptures_1-648_TiE_PAMSA.indd 182 25/6/20 17:06


RISCRIVERE IL SÉ. IL SOGNO D’AMORE DI SIBILLA ALERAMO 183

Melandri, L. (1988), Come nasce il sogno d’amore, Milano, Rizzoli.


Melandri, L. (2014), La scrittura, il sogno d’amore e l’impresentabile della
vita, 9 maggio 2014
http://www.minimaetmoralia.it/wp/la-scrittura-il-sogno-damore-e-
limpresentabile-della-vita/
Nozzoli, A. (1986), «Il romanzo di sé. La narrativa di Sibilla Aleramo», in
F. Contorbia, L. Melandri e A. Morino (eds.), Sibilla Aleramo. Coscienza
e scrittura, Milano, Feltrinelli, p. 104-116.
Zancan, M. (1998), Il doppio itinerario della scrittura, Torino, Einaudi.

Reescriptures_1-648_TiE_PAMSA.indd 183 25/6/20 17:06

Potrebbero piacerti anche