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il sublime rovesciato: comico umorismo

e a!ni

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SEGNALAZIONI

Aurora Panzica

«Che gli appartien quanto Giosep a


Cristo»: la tenzone tra Dante e Forese
Donati. In margine alle Opere di Dante

Nel 2009 è uscito, per i Meridiani Mondadori, il


volume delle Opere di Dante, in cui si possono leggere
le Rime, la Vita Nuova, il Convivio, curati
rispettivamente da C. Giunta, G. Gorni, M. Tavoni. In
questo breve contributo prenderò in esame la tenzone
tra Dante e Forese Donati nelle Rime e mi limiterò a
sottolineare alcuni tratti dello stile comico che li
caratterizza.

Celebre è, tra gli esempi di rima identica, quello che


Dante ci o#re nel canto XXXII del Paradiso facendo
rimare la parola Cristo per tre volte con se stessa. La
scelta – come suggerisce Luigi Pietrobono in
contrasto con la maggior parte degli studiosi –
potrebbe essere dettata dal desiderio di espiare il
peccato di aver usato il nome di Cristo in un
componimento comico, ma la di#erenza di generi e di
carattere dei componimenti rende dubbia questa tesi.

Qual è il testo per cui Dante avrebbe voluto scusarsi?


Si tratta del terzo sonetto della tenzone con Forese
Donati. Volendo o#endere l’amico Forese, in un
contesto di reciproche accuse scherzose, il poeta
aveva alluso ai facili costumi della madre di Forese
riferendosi al padre del giovane come a colui «Che gli
appartien quanto Giosep a Cristo».

La tenzone risale alla giovinezza fiorentina di Dante.


Forese Donati era fratello di Corso, capo dei Guelfi
Neri, parte avversa a quella di Dante. Nella nostra
tenzone, però, i due giovani scherzano da amici, senza
alcuna allusione alle diverse posizioni politiche.
Trent’anni dopo, Dante incontrerà Forese tra i golosi
del canto XXIII del Purgatorio, e insieme ricorderanno
gli anni trascorsi a Firenze.

La comicità della tenzone è data dall’estremo


realismo, dalla stretta aderenza alle cose e alle
persone della Firenze del tempo, che rende però
particolarmente ostica la lettura. Tema centrale della
tenzone è la povertà, ma tra le accuse reciproche c’è
l’impotenza sessuale, la gola, il ladrocinio, la codardia.

La prima parola è di Dante che scrive al suo amico:

Chi udisse tossir la mal fatata


moglie di Bicci vocato Forese,
potrebbe dir ch’ella fors’è vernata
ove si fa ’l cristallo ’n quel paese.
Di mezzo agosto la truovi infreddata;
or sappi che de’ far d’ogn’altro mese!
E non le val perché dorma calzata,
merzé del copertoio c’ha cortonese.
La tosse, ’l freddo e l’altra mala voglia
no·ll’adovien per omor’ ch’abbia vecchi,
ma per difetto ch’ella sente al nido.
Piange la madre, c’ha più d’una doglia,
dicendo: «Lassa, che per fichi secchi
messa l’avre’ in casa il conte Guido!».

La moglie di Forese non è in buona salute. A sentirla


tossire, si penserebbe addirittura che abbia passato
l’inverno fra i ghiacci. Persino ad agosto la poverina
ha il ra#reddore; ci si immagini quindi un po’ come
starà nei mesi più freddi! Per via della coperta troppo
corta, dormire con le calze pesanti non le serve a
nulla. E tuttavia, rivela Dante, la vera causa dei suoi
mali è la poca attività sessuale. La madre si lamenta
dell’infelice condizione della figlia, tanto più che, con
poca spesa, avrebbe potuto farla sposare a un ricco
esponente della casa dei conti Guidi.

Fino al verso 11, dunque, Dante accusa Forese di


impotenza, ma è negli ultimi tre versi del sonetto che
si rivela la vera accusa della tenzone: quella di
povertà.

Veniamo ai tratti stilistici. Fin dal primo verso il poeta


si rivolge direttamente all’uditorio (chi udisse…); a
questo proposito Giunta parla di un «tipico esordio
comico » e probabilmente comica è anche l’inversione
di nome e soprannome (Bicci vocato Forese). Anche al
v. 3 ci troviamo di fronte a uno stilema tipico del
linguaggio colloquiale: il deittico dell’espressione in
quel paese. Al v. 5 (la truovi), il poeta si rivolge a un
ipotetico tu. Il verso 8 non è chiarissimo: Dante scrive
che la coperta di Nella è cortonese; letteralmente, il
termine vale semplicemente “di cortona”, ma è sotteso
il gioco di parole: la coperta di Nella è troppo corta, e
quindi non basta a coprirla e “coprire” è termine che
indica l’atto sessuale; anche la “calza” è un nome
dell’organo sessuale femminile, in linguaggio
burlesco. Attraverso doppi sensi, quindi, l’allusione va
all’impotenza di Forese. L’immagine del nido in difetto
è funzionale a questa accusa: nella medicina
medievale, si riteneva che l’attività sessuale fosse
salutare, in quanto contribuiva, soprattutto per le
donne, a riequilibrare gli umori: il cattivo stato di
salute di Nella, quindi, era dovuto a questa mancanza.

In Purg XXIII Dante mette in bocca a Forese un elogio


della moglie. Molti commentatori (ad esempio Bosco-
Reggio e Contini) credono che rappresentando Nella
come donna onesta, in contrapposizione alle
fiorentine degeneri, il Poeta avesse voluto fare
ammenda di quanto di lei aveva scritto nel sonetto
giovanile, ma in tal modo si attribuirebbero – come
osserva Claudio Giunta nell’edizione delle opere di
Dante nei Meridiani (2009, p. 290) «troppa importanza
e troppa serietà a quella che per i due amici sarà stata
piuttosto un’occasione di divertimento». «Può darsi –
come troviamo nella classica edizione di Bosco-
Reggio – che, come gran parte delle villanie scambiate
dai due amici, questa fosse più che una realtà
biografica, un luogo comune (si pensi al tema della
malmaritata, così frequente nella lirica occitanica e
italiana)».

A questa provocazione, Forese rispose così:

L’altra notte mi venn’ una gran tosse,


perch’i’ non avea che tener a dosso;
ma incontanente dì [ed i’] fui mosso
per gir a guadagnar ove che fosse.
Udite la fortuna ove m’adusse:
ch’i’ credetti trovar perle in un bosso
e be’ fiorin’ coniati d’oro rosso,
ed i’ trovai Alaghier tra le fosse
legato a nodo ch’i’ non saccio ’l nome,
se fu di Salamon o d’altro saggio.
Allora mi segna’ verso ’l levante:
e que’ mi disse: «Per amor di Dante,
scio’mi»; ed i’ non potti veder come:
tornai a dietro, e compie’ mi’ viaggio.

Svegliato nel bel mezzo della notte dal freddo e dalla


tosse, Forese, che qui sembra dunque accettare le
accuse di povertà di Dante, si muove alla ricerca di
denaro. Credendo di aver trovato perle e fiorini,
s’imbatte invece tra le fosse comuni nel fantasma del
padre di Dante che lo prega di scioglierlo da un nodo a
cui è legato. Senza riuscirci, Forese torna a casa.

Il racconto del giovane Donati è sicuramente


misterioso. Che cosa vuole indicare, ad esempio, il
particolare del nodo a cui il padre di Dante è legato?
Giunta riporta due soluzioni: si potrebbe trattare di
un’allusione a una vergogna non vendicata o a una
usura da ripagare. A sostegno della prima tesi ci sono
documenti in cui il padre di Dante compare come
creditore; per di più, la fossa comune era il destino
degli usurai, e quindi anche quest’altro particolare
della narrazione di Forese troverebbe, accogliendo
quest’ipotesi, una spiegazione. L’ipotesi della vendetta
si basa invece sull’ultimo sonetto di Forese, quello che
chiude la tenzone, in cui si accenna a un’o#esa fatta al
padre di Dante e non vendicata, cosa nel Medioevo
ritenuta infamante. Il particolare delle fosse comuni
trova però spiegazione anche interpretando questa
risposta di Forese come un contrattacco all’accusa di
povertà fatta da Dante: poiché le fosse comuni
accoglievano i poveri, che non potevano permettersi
una tomba.

Per quanto riguarda gli stilemi comici presenti in


questo sonetto, bisogna sottolineare sicuramente
l’appello all’uditorio del v. 5, (“udite”, analogo al “chi
udisse” del v. 1 del sonetto precedente). In entrambi i
casi ci si rivolge a un uditorio, come era usuale nelle
tenzoni d’oltralpe, recitate di fronte a un pubblico, ma
non di quelle italiane, scritte e inviate a specifici
destinatari.

Dante rincalza:

Ben ti faranno il nodo Salamone,


Bicci novello, e’ petti delle starne,
ma peggio fia la lonza del castrone,
ché ’l cuoio farà vendetta della carne;
tal che starai più presso a San Simone,
se tu non ti procacci de l’andarne:
e ’ntendi che ’l fuggire el mal boccone
sarebbe oramai tardi a ricomprarne.
Ma ben m’ è detto che tu sai un’arte,
che, s’egli è vero, tu ti puoi rifare,
però ch’ell’è di molto gran guadagno;
e fa sì, a tempo, che tema di carte
non hai, che ti bisogni scioperare;
ma ben ne colse male a’ fi’ di Stagno.

Con una «tecnica della ritorsione propria del


linguaggio comico» (Bosco-Reggio), Dante riprende il
particolare del nodo e lo usa per confezionare una
nuova accusa: Forese è goloso al punto che tutte le
prelibatezze che ha ingoiato gli faranno un nodo in
gola. Egli, però, come abbiamo letto nel sonetto
iniziale, è anche povero, quindi, per mangiare tanto, è
necessario che rubi.

In questo sonetto l’oscurità dei riferimenti cresce: ciò


è dovuto alla nostra ignoranza dei fatti, che non ci
permette di comprendere la vera natura delle accuse
di Dante. Vengono infatti nominati personaggi e
luoghi della Firenze del tempo di cui sappiamo poco o
nulla: di San Simone, ad esempio, si sa che era un
carcere fiorentino, ma sui figli di Stagno non si hanno
altre notizie.

Possiamo però cogliere il carattere “comico” dei


sonetti della tenzone nello stile, nella prevalenza di un
registro colloquiale che imita il parlato (retaggio,
come abbiamo accennato, in realtà letterario, in
quanto frutto del riferimento ai poeti d’oltralpe) e
nell’abbondanza di riferimenti a fatti precisi, la cui
comprensione presuppone una conoscenza minuziosa
delle vicende dei personaggi.

Per apprezzare meglio questa caratteristica, facciamo


un esempio e contrario: si ricordino i versi di Tanto
gentile e tanto onesta pare, il più noto sonetto dantesco,
cronologicamente vicino alla tenzone con Forese. Vi si
loda una donna, ma dei suoi tratti non si parla, né
della sua condizione, né del suo rapporto con lo
scrivente: nulla, se non una generica lode che
qualsiasi amante avrebbe potuto rivolgere alla sua
donna. Qui la sublimazione che l’oggetto riceve è data
dall’assenza di qualsiasi referente particolare: in
questo possiamo misurare l’enorme distanza rispetto
ai sonetti comici della tenzone.

La tenzone con Forese non resterà però un episodio


isolato nella carriera poetica di Dante: essa costituirà
infatti il laboratorio per i dialoghi vivaci della
Commedia.

settembre 2013

ISSN: 2281-5007 - Rivista semestrale iscritta al nr. 20/09 del Registro stampa del
Tribunale di Bolzano dal 24/12/09 - Un progetto a cura CLAB società cooperativa
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