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W. A.

Mozart: Un aura amorosa


Cos fan tutte, o La scola degli amanti, "dramma giocoso" in due atti, venne
composto tra l'ottobre 1789 e il gennaio 1790; ma alla fine di dicembre lo spartito
doveva ritenersi completato almeno nelle sue parti essenziali, se Mozart, la sera di
San Silvestro, ne tenne in casa propria una esecuzione privata al pianoforte, presenti,
tra gli altri, Haydn e Da Ponte. La prima rappresentazione al Burgtheater di Vienna
avvenne la sera del 26 gennaio 1790, con la seguente distribuzione scenica: Adriana
Gabrielli del Bene (Fiordiligi) e la sorella Luisa Gabrielli Villeheuve (Dorabella);
Vincenzo Calvesi (Ferrando); Francesco Benucci (Guglielmo e primo Figaro per
Nozze di Figaro); Francesco Bussani (Don Alfonso e primo Bartolo) e la moglie
Dorotea Bussani (Despina e primo Cherubino). Discreto il successo di pubblico e
ottimi i resoconti della stampa. Ma dopo la quarta replica, la morte di Giuseppe II (20
febbraio) e la conseguente chiusura per lutto dei teatri viennesi determinarono il
rinvio dello spettacolo, con poche altre riprese, all'estate entrante. Stroncato dall'etisia
aggravatasi durante la sua permanenza sul fronte della guerra austro-turca,
all'imperiale committente non sar dato di assaporare l'ultimo frutto della sua
spregiudicata politica teatrale. Tra tutte le ipotetiche fonti letterarie del libretto,
variamente chiamate in causa (dal mito di Cefalo e Procri all'Ariosto, da Cervantes a
Boccaccio), la sola a presentarsi con i caratteri di un'incontestabile plausibilit, tutta
dapontiana: si tratta del dramma giocoso L'arbore di Diana, posto in musica da
Vicente Martin y Soler e rappresentato con grande successo al Burgtheater nel 1787.
Evidente il rapporto di filiazione sotteso tra questo libretto e quello di Cos fan
tutte. Entrambi si delineano come drammi a tesi, e la posta in gioco la virt
femminile, in cambio della quale viene offerta non tanto una generica libert sessuale,
quanto una disincantata disponibilit a cogliere senza remore sentimentali n scrupoli
morali l'occasione d'amore offerta nei casi del quotidiano, all'insegna di un
possibilismo relativistico e liberatorio: quanto, insomma, viene teorizzato da Despina
nella lezione di ars amandi impartita alle sorelle ferraresi nella prima scena del
secondo atto.

La trama dellopera piuttosto lineare, ma ricca di intrecci ed espedienti narrativi


ingegnosi: in una bottega di caff a Napoli, assieme a Don Alfonso siedono i due
ufficiali Ferrando e Guglielmo che vantano la fedelt delle loro fidanzate, Dorabella e
Fiordiligi. Don Alfonso li contraddice affermando che la fedelt femminile non esiste
e che, se si presentasse l'occasione, le due innamorate dimenticherebbero i loro
fidanzati e passerebbero a nuovi amori. I due intendono sfidarlo a duello per
difendere lonore delle future spose.

Viene organizzata una scommessa: Ferrando e Guglielmo fingono di partire e


ritornano travestiti da ufficiali albanesi, Don Alfonso presenta gli ufficiali come suoi
cari amici. Alle loro rinnovate e caricaturali offerte damore, Fiordiligi risponde che
serberanno fedelt agli amanti fino alla morte. Fiordiligi e Dorabella si ritirano, Don
Alfonso si allontana con gli albanesi, che poco lontano fingono di bere un veleno,
Don Alfonso finge di andare in cerca di un medico e lascia i due agonizzanti davanti
alle esterrefatte sorelle che iniziano a provare compassione. Arriva Despina travestita
da medico, declamando frasi in un latino maccheronico e fa rinvenire gli albanesi
toccandoli con una calamita. I finti albanesi rinnovano le dichiarazioni di amore e
abbracciano le donne, Despina e Don Alfonso guidano il gioco esortando le donne ad
assecondare le richieste dei nuovi spasimanti resuscitati, i quali si comportano in
modo molto passionale.
Quando i due pretendono un bacio, Fiordiligi e Dorabella si infiammano indignate e
rifiutano. Ma Fiordiligi e Dorabella vengono convinte da Despina a "divertirsi un
poco, e non morire dalla malinconia", senza mancare di fede agli amanti,
giocheranno, nessuno sapr niente, la gente penser che gli albanesi che girano per
casa siano spasimanti della cameriera. Resta solo da scegliere: Dorabella, che decide
per prima, vuole Guglielmo, e Fiordiligi apprezza il fatto che le spetti il biondo
Ferrando. Il gioco continua e gli uomini sono u po' scocciati. Alla fine nella sala
illuminata, con la tavola imbandita per gli sposi, Despina organizza i preparativi e il
coro di servi e suonatori inneggia alle nuove coppie. Al momento del brindisi
Fiordiligi, Dorabella e Ferrando cantano un canone, su un tema affettuoso, da musica
da camera, mentre Guglielmo si mostra incapace di unirsi a loro e commenta: "Ah,
bevessero del tossico / queste volpi senza onor!". Don Alfonso si giustifica: ha agito a
fin di bene, per rendere pi saggi gli sposi. Le coppie si ricompongono e tutti cantano
la morale: "Fortunato luom che prende / ogni cosa pel buon verso, / e tra i casi e le
vicende / da ragion guidar si fa".
Trasportando l'azione da un surrettizio, ironizzato mondo mitologico, alla
quotidianit del tempo presente, Da Ponte rompeva del tutto con la struttura
drammatica della grande "commedia umana", inaugurata con Figaro e fondata sullo
studio psicologico dei personaggi e sul loro divenire nel procedere dell'azione
drammatica. L'intreccio, fondato sulla scomposizione e ricomposizione di una
sequenza di diverse situazioni, quasi tutte giocate sul piano del travestimento, ci
riporta piuttosto alla vecchia commedia di maschere in cui, pi che di caratteri,
lecito parlare di tipologie esemplari. L'intreccio inoltre prescinde totalmente dalla
credibilit realistica e chiede allo spettatore un'adesione di tipo intellettuale - il gusto
per il puro gioco, per la simmetria, per l'effervescenza delle battute di un testo
delizioso, per il capriccioso avvicendarsi delle situazioni - piuttosto che di tipo
affettivo e sentimentale. Di qui la difficolt di ricezione, ben presto incontrata
dall'opera e che non manca di illustri esempi di rifiuto, nascenti da obiezioni di
carattere morale (Beethoven) oppure drammatico (Wagner).

In realt Cos fan tutte anche altro: un esperimento che porta ad esiti sconvolgenti.
La natura umana vi viene messa alla prova e rivela, alla verifica sperimentale, un
insospettabile codice genetico del tutto soggiogato dalla volubilit dei sensi e non
comandato da un sistema di idee. Fiordiligi ama Guglielmo, Dorabella ama Ferrando.
Vediamo di metterle alla prova, di collocarle in una situazione del tutto inedita;
scopriremo che Dorabella pronta ad amare Guglielmo e a dimenticare Ferrando, e
lo stesso avverr, anche se in un lasso di tempo e con resistenze maggiori, per
Fiordiligi nei confronti di Ferrando e del fidanzato. Tale lezione, dal contenuto
ideologico estremamente serio, riversato negli arcaici recipienti della commedia
dell'Arte e della pi tipica opera buffa convenzionale, ci porta in realt ad apprendere
che l'animo dell'uomo non che un fascio di sensazioni, proprio come aveva
sostenuto Hume nel Trattato sull'intelletto umano.

Sulla strada dell'empirismo settecentesco, Don Alfonso, che non per nulla un
"vecchio filosofo", compie un'operazione riduttiva sullo Spirito e sui suoi grandi
epifenomeni: l'Amore, la Fedelt, la Costanza, l'Immutabilit. Alla fine dell'opera,
nulla di tutto questo rimane in piedi. Si vanifica l'antica teodicea preilluministica e
leibniziana, gi presa di mira dai sarcasmi voltairiani e secondo la quale "tutto va
bene" e noi vivremmo nell'"ottimo dei mondi possibili"; dietro la conclusione del
gioco c' un sapore risentito, amaro, di fondamentale disillusione. Si direbbe che
Mozart abbia percorso, all'interno degli sviluppi del suo teatro musicale, l'intero iter
evolutivo della cultura dei Lumi: dall'iniziale convinzione nella bont naturale
dell'uomo e nei nuovi valori morali e civili (Ratto dal serraglio, Nozze di Figaro), a
una pi autunnale crisi del tardo Illuminismo (Don Giovanni, Cos fan tutte) in cui,
scomparsi Voltaire e Rousseau, domina il tormentato, drammatico mondo di Diderot
e gi si profilano il nero nichilismo di Sade e il crudo scetticismo di Laclos.
Se Figaro era stato l'apogeo del classicismo mozartiano, Cos fan tutte gi, in tutto e
per tutto, un'opera postclassica. La pienezza sferica della melodia mozartiana, quale
si manifesta in Cos fan tutte, non possiede ancora la disadorna, ideale purezza
ottenuta per sottrazione e decantazione, che presto rifulger negli estremi capolavori.
ancora una bellezza florida e incantata, solamente liberata dal fervore comunicativo
degli anni dei grandi concerti pianistici, del Figaro, dalla Sinfonia di Praga, del Don
Giovanni, e assai vicina a quella di opere coeve, quali il Quintetto col clarinetto,
il Divertimento K. 563, gli ultimi Trii per pianoforte e archi. Tale peculiarit (in cui
non tutto l'ultimo stile mozartiano, anche se di esso sono stati eretti i muri maestri)
si realizza in primo luogo, in una generalizzata contrazione delle forme, gi presente
del resto nelle ultime tre sinfonie: opere grandi, ma non monumentali, come erano
state la "Praga" o i due Quintetti per archi del-l'87. L'et dell'entusiastica
sperimentazione, della conquista di nuovi spazi sonori sembra conclusa al pari di
quella dell'ansia di comunicazione espressiva e di una impetuosa e quasi fisiologica
emotivit. Espressione, pathos, emozione sussistono certo in Cos fan tutte, ma al
quadrato e come provvisorio travestimento, del tutto consono a quelli scenici dei due
uffiziali e di Despina. Soccorrono mirabilmente, a questo stile che celebra la liturgia
della caduta della fede nella commedia umana, alcuni preziosi antidoti forniti dal
passato musicale, il cui recupero critico, da tempo gi in atto nella musica di Mozart,
fa ora la sua temeraria irruzione nei recinti dell'opera buffa, attuandovi un'operazione
stilistica di sconvolgente modernit. Il contrappunto, quindi, usato come elemento
straniante, ma anche l'esprit de geometrie bachiano e persino taluni capricciosi
preziosismi arcaicizzanti, recuperati a titolo ironico in coincidenza con atipiche
inflessioni "barocche" del testo. Si pensi al burlesco recitativo con il quale Guglielmo
e Ferrando muovono il primo assalto alla virtuosa costanza delle due ragazze ("Amor,
il nume / s possente, per voi qui ci conduce" - atto I, scena 11), posto in musica da
Mozart in uno stile la manire dei duetti da camera di Steffani o di Alessandro
Scarlatti e Francesco Durante.

Tali elementi coesistono in miracolosa naturalezza con l'amabilit melodica di una


galanteria italiana assunta anch'essa non come mero dato effettuale, ma come
principio, categoria estetica di un melodizzare votato alla sensuale vaghezza dei
contorni, a una simmetria basata non sulla schematizzazione fraseologica (anche qui,
come quasi sempre, in Mozart, evitata con somma cura) ma su un superiore sistema
di equilibri e rimandi armonico-motivici distribuiti in studiata successione.
L'invenzione vi viene trascinata come in un gorgo irresistibile, irretita da una scrittura
che intimamente idonea assai pi all'astrazione lirica che alla mutevole, vibratile
malleabilit drammaturgica: ci che spiega il paradosso dell'utilizzo di tale musica,
durante l'Ottocento nei paesi tedeschi di area cattolica, come cava di materiali per
arrangiamenti di genere chiesastico. Non occorre pervenire all'acme catastrofica della
tragedia buffa, quando Fiordiligi intona la testa del canone fatale sulle parole: "E nel
tuo, nel mio bicchiere / si sommerga ogni pensiero, / e non resti pi memoria / del
passato, ai nostri cor" (Finale secondo), per avvertire tutto questo urgere di sottintesi
e richiami ad altro. Non una realt diversa da quella rappresentata, della quale
esplicitamente sancita l'infinita vanit; ma davvero un'altra dimensione conoscitiva
trascendente quella fenomenica e che potremmo, con la debita restrizione mentale,
definire metafisica, la sola cui ora sembra tendere il compositore e che abbia il potere
di suscitare in lui emozioni (e ci varr anche per la La clemenza di Tito, l'ultima e la
pi categorica tra le evasioni mozartiane): in attesa che la rinnovata humanitas della
Zauberflte, con i suoi rimandi utopici e salvifici, batta alla porta il suo triplice tocco.

Unaura amorosa una delle pi celebri arie dellopera, affidata al tenore Ferrando
nel corso del primo atto. Laria comincia, dopo una battuta di introduzione, con un
accompagnamento in La maggiore (con un pedale di tonica tenuto per 4 battute),
sopra il quale appare una dolcissima melodia formata da una figurazione che ad ogni
battuta scende di grado (dove la seconda e terza battuta presentano lo stesso profilo
melodico della quarta e quinta). Successivamente (batt. 6 e 7) la melodia sale sempre
pi verso lalto fino a sfociare sul Fa diesis di battuta 8 (sottodominante) alla parola
cor e risolvere, scendendo, alla dominante. Cos come allinizio, la frase unaura
amorosa viene ripetuta con la melodia leggermente variata, uguale a due a due (le
battute 10 e 11 hanno lo stesso profilo melodico delle battute 12-13): segue un breve
melisma sulla parola dolce a battute 14 e 18, nella quale finalmente si cadenza per
tornare alla tonalit di La maggiore (batt. 23). Laccompagnamento comincia quindi a
incalzare e i violini si aggregano allaccompagnamento con degli staccati sulle note
degli accordi, in contrapposizione alla linea del canto che sempre distesa e pacata.
A battuta 30 nel canto ritorna una figurazione a terzine che, salendo, raggiunger la
vetta del La (batt. 35) per poi ridiscendere e confermare la nuova tonalit (Mi
maggiore). Ricomincia quindi la prima sezione dellaria, quasi identica allinizio, ma
stavolta arricchita e ulteriormente addolcita dal pastoso timbro dei corni. A battuta 67
tutto si ferma sulla tonica col basso in 1 rivolto: la melodia ricomincia, in un
momentaneo Re maggiore, per poi cadenzare finalmente nella tonalit dimpianto.
Particolarit dellaria il fatto che, finito il canto, lorchestra prosegue la musica (con
una nuova figurazione ancora mai ascoltata) per altre otto battute, fino alla
conclusione.

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