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DI DANTE ALIGHIERI
BY MASSIMO CIAVOLELLA
Uno studio sul linguaggio della Divina Commedia, scrive Giovanni Gett
" ... porterebbe senza dubbio ad accertamenti e scoperte notevoli: a medita
cioe su un Dante straordinariamente attento alla sua lingua, assiduo ricercator
di esperienze di stile, e audacissimo innovatore del materiale espressivo; u
Dante a cui non rimase nascosto e intentato nessun segreto dell'arte retorica
della vivente poetica degli autori passati e contemporanei, e insieme un Dante
libero e personale sperimentatore, autonomo demiurgo della materia linguist-
ica."' Se volessimo indagare le cause prime che spinsero Dante a creare un
espressione linguistica propria ed originale nell'ambito dei volgari italiani, ch
abbracciasse tutti i moduli letterari precedenti in una sintesi organica, d
vremmo soprattutto cercare nell'intimo dell'ispirazione del poeta, in quella su
costante necessita di esprimere non ci6 che 6 passato e quasi dimenticato com
fatto storico, come fecero i poeti della grandi epiche francesi che lo precedet
tero, ma il proprio presente storico, visto alla luce di una coscienza etico
cristiana divenuta modus vivendi. Da questo punto di vista ogni singola opera
di Dante anteriore alla Commedia, oltre ad avere un intrinseco valore letterario
per ci6 che riguarda la lingua ha il valore di sperimentazione, e pub veni
interpretata come una componente che pii tardi concorrera a formare il vast
mosaico linguistico del poema.
Dante, come sappiamo, aveva dinanzi a s? non un volgare italiano, m
svariati "latini" che differivano tra di loro sia nella sintassi che nel lessico.
Tutte queste forme, I'alto stile dei poeti provenzali e degli stilnovisti, le strut-
ture concettualistiche delle scuole di filosofia, le artes dictandi delle cancellerie,
la satira dei poeti comico-realisti, la retorica dei mistici, la laude ecc., formano
il sottofondo linguistico delle sue opere minori. Solo nella Commedia queste
forme si fondono, ed invece di vari topoi retorici, ci troviamo di fronte ad
una lingua e ad uno stile multiformi ma compatti, al volgare italiano. Ed oltre
ad unire in sintesi queste componenti che aveva a portata di mano, il poeta
estese il significato di vocaboli che gia esistevano, amplific6 il lessico con
vocaboli nuovi, introdusse latinismi, us6 neologismi e circonlocuzioni inusitate.2
Studiando ora brevemente le opere minori di Dante vedremo come la ricerca
di una metodologia linguistica sia stata sempre uno dei problemi pith attuali
per il poeta, tenendo a mente che le esperienze di stile e di lingua delle opere
che precedono la Commedia si ritrovano in questa amplificate e modificate,
ma pur sempre le stesse nei loro nuclei essenziali.
Gia nella Vita Nuova, che possiamo considerare come un saggio di poetica
d'amore svolto secondo certe linee tradizionali, Dante afferma chiaramente il
suo proposito di voler comporre in volgare: " ... lo intendimento mio non
fu dal principio di scrivere altro che per volgare . . . e simile intenzione so
20
sentimenti, che nella necessita, di dar voce all'impeto di una forte passione,
senza per altro
introduttivo di scartare la si
quella che possibile realta, dell'amore
suol considerare la prima espresso. Anche
delle canzoni il verso
petrose,
durre
non si una realt, ostile
abbandona ed contemplazione
ad una ingrata. Nella conzone
stanca t
serve del dolore come di una sferza, con la quale tem
e colpisce di ritorno la donna amata. II verso fonetic
mente difficile, ma energico, cerca di eguagliare l'as
Cosi nel mio parlar voglio esser aspro,
Com'6 negli atti questa bella pietra,
La quale ognora impietra
Maggior durezza e pidi natura cruda,
E veste sua persona d'un diaspro
Tal, che per lui, o perch'ella s'arretra,
Non esce di faretra
Saetta, che giammai la colga ignuda;
Ed ella ancide, e non val ch'uom si chiuda,
He si dilunghi da'colpi mortali,
Che, com'avesser l'ali,
Giungono altrui, e spezzan ciascun'arme;
Sicch'io non so da lei, n6 posso aitarme .... .a
La strofe 6 composta di tredici versi con cinque rime; gli ultimi otto sono
tutto un seguito di rime baciate. Ne deriva un tono martellante, ora pii' ora
meno concitato, a seconda che rimino fra loro un endecasillabo ed un settenario
o due endecasillabi. Ai primi quattro versi corrispondono i quattro che seguono,
con la stessa disposizione e la stessa rima. I quattro successivi mentengono la
stessa disposizione, ma mutano le rime: L'ultimo rima col penultimo e chiude
la strofe.'4 La struttura quindi gia indica con insistenza un sentimento aspro,
reiterato dalla rima aspra--che molte volte comprende un gruppo di due
consonanti che, come in aspro e diaspro, pietra e s'arretra, e arrotato da un'erre
che rinforza la sillaba-e dall'insistenza di parole tronche circondate da parole
pregne di consonanti. Evidente e la volonth del poeta di valersi di ogni mezzo
stilistico e linguistico per dar vita alla violenza del suo sentimento, sincero o
meno che sia. Le Petrose insomma appaiono come esercizi tecnici, esperimenti
linguistici e ritmici condotti " . . . secondo una concezione eminentemente
formale del proprio volgare da parte di Dante ... ,,"15 Da questo punto di
vista esse occupano un posto molto importante nel ciclo di sperimentazione
poetica dantesca che si svolge dalla lirica preziosa della Vita Nuova alle medi-
tazioni linguistiche del primo trattato del Convivio e del De Vulgari Eloquentia.
6 piit nobile,
perpetuo e nonpidt virtuoso e e
corruttibile, pith
il V
virtuoso perche " ... lo Latino molt
che il Volgare fare non pub ... "; p
uso, e lo Latino arte .... "18 Le tre
deboli; se infatti il latino 6 una lingu
esprimere adequatamente i sentimen
evoluzione.19 II fatto che il volgar
nella mente" non e piti valido nel co
riprova delle grandi possibilit& del vo
l'ultima ragione, che il latino segue "
una riprova della superiority di ques
evale della convenientia, anche per
della Vita Nuova, pub usufruire a pia
latino. E quando Dante dice che il lat
n6 "obbediente" alle canzioni in vo
concetto che il volgare solo pu6 accom
r l'incarnazione dei sentimenti e d
questi un tutto inscindibile; i sent
infatti--scrive giustamente Bruno
di vivo, di sempre nuovo, possiedono
potra mai adattarsi perfettamente n
modi di sentire e di concepire del tu
da una attenta lettura del trattato, m
ritiene ancora il pregiudizio che il la
che sarai superato solo nel De Vulg
concetto della variabilita dei lingua
necessario variare di essi.
CARLETON UNIVERSITY
OTTAWA, ONTARIO
NOTES
1Giovanni Getto, Aspetti della poesia di Dante (Firenze, Sansoni, 1966), p. 20, n.I.
2Si veda a questo proposito I'introduzione di G. Contini a F. Petrarca, Canzoniere
(Torino, 1968), p. X.
8Dante Alighieri, La Vita Nuova, c. XXXI. [Per le opere minori di Dante mi riferisco
all'edizione delle Opere a cura di E. Moore e P. Toynbee (Oxford, 1963) a meno che
non sia altrimenti indicato.]
4Le caratteristiche che Dante attribuisce al volgare "illustre" net De Vulgari Elo-
quentia si ritrovano gi& nei suoi scritti giovanile.
6Loc. cit.
71n questo studio, quando parlo di "sperimentazione", mi riferisco alia lingua, senza
per altro voler diminuire it valore intrinseco delle opere che considero.
"Luigi Russo, Ritratti e disegni storici, serie III (Bari, Laterza, 1951), p. 220.
14Cfr. Attilio Momigliano, "Le canzoni pietrose", Eserrpi di analisi letteraria, ed.
C. Trabalza (Torino, Parava, 1935), p. 87.
15Gorgio Bbrberi Squarotti, "Le poetiche del Trecento in Italia", Momenti e Prob.
lemi di Storia dell'estetica (Milano, Marzorati, 1959), p. 266.
1GDante Alighieri, II Convivio, I, i.
17G. B. Squarotti, op. cit., p. 267.
1811 Convivio, I, v.
'"Dante nel Convivio non parla esplicitamente del legame tra I'evoluzione di un
popolo e l'evoluzione della lingua, e ne parla solo nel De Vulgari Eloquentia. Data
pero Ia quasi contemporaneite delle due opere, mi sembra che la mia opinione trovi
giustificazione. Si veda anche B. Nardi, Dante e la cultura Medievale (Bari, Laterza,
1949) p. 227.
231bid., I, iii.
27Cfr. August Buck, "Gli studi sulla poetica di Dante e del suo tempo", Atti del
Congresso Internazionale di Studi Danteschi (Firenze, Sansoni, 1965), p. 262.
331bid., 212-217.
&GErich Auerbach, Literary Language and its Public (London, 1965), p. 309.