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Discorsi 01
Edizione di riferimento
Piazza Filangeri, 8.
PROEMIO
Giacomo Zanella.
II.
Orgogliosi....
In capo l′Allobrogo
Rimette il cimiero,
E vindice impavido
Sospinge il cavallo.
Se il ragazzo avesse potuto trovare fra le sue montagne
native sufficenti libri per istruirsi, come Leopardi, da sè,
forse il suo pensiero poetico si sarebbe composta una forma
diversa; ma egli entrò invece, in tenera età, nel Seminario di
Vicenza dove ricevette la forte impronta che portò visibile
fino alla morte.
III.
T′avanza, t′avanza.
Divino straniero;
Conosci la stanza
Se schiavi, se lagrime
Ancora rinserra
È giovin la terra;
Compagni! Spontanei
Voliamo al lavoro,
Il tempo precipita,
Il tempo è tesoro;
Lo spirito affranca,
S′addoppia ai magnanimi,
Il grembo materno;
Tu svecchia la terra.
Tu giovane, eterno;
Sommergi, ritempera
Nell′onde lustrali
Le razze mortali;
IV.
L′idea creatrice del poeta è qui, ed è un′ idea del cuore. Non
è un meditato proposito virtuoso, non è un atto della sua
coscienza morale. Giacomo Zanella fu artista vero e noi suoi
scolari lo abbiamo adorato per questo che dell′arte a noi
cara egli ebbe un alto, fiero concetto, che l′amò per lei
stessa, che la volle signora e non serva; onesta, fiera,
dignitosa signora, ma non serva mai di alcuno per quanto
grande, non della morale, non della fede, “L′arte,” egli
scrisse “deve mirare all′arte, cioè alla espressione del bello;
se poi da questa espressione del bello nasce il
conseguimento di qualche nobile fine, tanto meglio; sarà
doppia la gloria e doppio il trionfo dell′arte”.
salire
All′ombra procede
Di santo stendardo:
Ardente si spande.
Come mai?
E ora? Ora una voce sommessa gli parla nelle tenebre dove
sta vegliando, prostrato all′altare:
L′altre menzogna?
Ripone in Dio.
Noiosamente eguali”
Amaramente eterni
Se la Fe mi toglie
V.
DISCORSO
Signor Sindaco,
II.
Vi hanno piccole città fuori del Veneto, delle quali non s′è
mai sentito dire che vi abbondi la coltura, e che pure ne
comperano regolarmente circa un centinaio
III.
IV.
Le spire rivolte
E l′orme ne parlano
Se schiavi, se lagrime
Ancora rinserra
È giovin la terra.
Eccelsa, segreta
V.
Italia plora.
Se un liberale laico avesse scritta quest'ode, poca gente
avrebbe commosso; nè l′avrebbe passata, credo, senza
qualche appunto per quel conte di Cavour vestito da
sacerdote di Nettuno e dei Tritoni tirreni, che pontifica con
più ghirlande di fiori in mano. Ma l′autore n′ è un prete
lodato per l'ingegno e la virtù, rispettato da coloro stessi che
più avversano le idee liberali. Ciò lo rende caro
specialmente alla parte del clero che freme di dover tenere
una condotta politica infausta agl′interessi religiosi, e a
moltissimi credenti laici che non intendono sacrificare, in
questa materia gelosa, i diritti della propria coscienza. Lo
Zanella diede qui prova di raro coraggio e n′è giustamente
rimeritato con l′affetto di chi spera quel ch′egli sperò, una
conciliazione espressa, effettiva fra la Chiesa e lo Stato
italiano. Gliene va reso onore pure da noi che preferiamo
attendere dal tempo e dalla evoluzione naturale dell′idea
religiosa, anzichè da un espresso immaturo accordo, la
convivenza pacifica delle due potestà .
Anche nel Carme Milton e Galileo, gli sciolti più belli a mio
vedere, che sieno stati scritti nella seconda metà del secolo,
s′indovina un′aspirazione ardente a certe riforme cattoliche
cui la evoluzione dell′idea religiosa maturerà presto o tardi.
Lo Zanella fu prudente, mise
VI.
Dalla X.
. . . . . . . . . . . .
Incedi, o Carolina,
L′aquilonar tempesta
E spesso usò il verso per savi consigli come nel sonetto che
segue, inedito anch′esso:
De mutui guai...
e quella luccioletta
Nel 1891 tre giovani americani, due dei quali son valenti
disegnatori mentre il terzo è dilettante fotografo, viaggiando
nell′India udirono parlare dei prodigi di un fachiro, vollero
assistervi e si disposero, i due disegnatori a schizzar
prontamente quel che vedevano, il fotografo a trarne una
quantità d′istantanee. Così fecero. Il fachiro, cinto da una
moltitudine di gente, lavorava quasi nudo, senz′ altri
strumenti che un pezzo di tappeto, un cencio. Gli americani
lo vedono distendere il pezzo di tappeto per terra, farvi su
degli scongiuri. Ecco che qualche cosa ingrossa, ondula
sotto il tappeto; ne sguscia fuori un giovinetto. A un tratto il
fachiro si trova avere in mano una corda che prima non
aveva. Egli gitta la corda in aria e la corda vi resta, col capo
superiore attaccato a niente e il capo inferiore penzolante a
due piedi dal suolo. Il giovinetto l′afferra, vi si arrampica,
scompare, sfuma in aria. Scoppia un diverbio fra lui
invisibile e l'incantatore che guarda e gesticola su verso il
vuoto. Improvvisamente lampeggia in pugno a costui un
coltello. Egli afferra pure la corda, vi si arrampica,
scompare, sfuma alla sua volta. Gli spettatori non vedono
più che la corda diritta in aria e oscillante sopra il tappeto.
Ed ecco cader dall′alto sul tappeto una pioggia orribile di
membra troncate, le braccia, le gambe, il busto, il capo del
giovinetto. Ricompare il fachiro, lo si vede scivolar giù pian
piano lungo la corda, saltare a terra. Egli si mette a
ricomporre il corpo dilacerato dell′ altro, lo copre col
tappeto, vi mormora su alcune parole. Sotto il tappeto non c
′è più nulla, ma qualcuno si caccia nella folla dal di fuori. E
il giovinetto che l'apre a gomitate e salta sul tappeto. I
disegnatori buttarono sulla carta due o tre schizzi di due o
tre momenti dello spettacolo; il fotografo prese una dozzina
d′istantanee. Poi si paragonarono fra loro i disegni e le
fotografie. I disegni, presso a poco, si accordavano; le
fotografie rappresentavano bensì il fachiro gesticolante, ma
niente giovinetto, niente corda, niente membra tagliate,
niente insomma di tutto il meraviglioso.
II.
III.
Incominciamo dalla suggestione ipnotica.
L′uomo non può vedere con l'occhio che una parte di sè,
non può penetrare nel più interno, nel più vitale. Le
ispirazioni creatrici non vengono a noi artisti da profondità
inesplorate della coscienza? Il ragionamento, il processo
logico del pensiero si forma dentro la nostra coscienza, ma
la creazione artistica no. Gli antichi hanno sentito che un
concetto poetico pare scattar improvviso nella coscienza,
portato quasi da un soffio arcano. Essi hanno immaginato le
muse ispiratrici e solo nella decadenza del loro sentimento
religioso l′invocazione alle Muse perdette il suo senso vero e
diventò fredda retorica. Noi, quando ci balena nella mente
un verso, un concetto lirico, una scena di romanzo o di
dramma, ne restiamo commossi come se veramente l
′ispirazione ci venisse da un altro spirito e qualchevolta, lo
crediamo. È invece verosimile che salga da quelle stesse
profondità dell′anima dove si accumulano le memorie
dimenticate.
IV.
Lucia. Sì.
Lucia. Sì.
Lucia. No.
Lucia. Sì.
VI.
VII.
VIII.
IX.
I.
Nel paese alpestre dalla fede viva, dai rigidi costumi, dalle
abitudini conservatrici che obbedisce all′autorità spirituale
del principe vescovo di Trento, casa Rosmini era un
esempio di onestà, di concordia, di virtù familiari e
cristiane. È difficile pensare che un tal calore domestico, se
giovò allo straordinario, precoce sviluppo del sentimento
religioso di Rosmini, non abbia pure avuto parte nel
predisporre il nucleo primo ed il centro di una natura
spirituale, conformata per rendere a ciascuno il suo secondo
perfetta giustizia, per comporsi quindi la base ed il vertice
nel riconoscimento dell′Essere infinito, sua causa e suo fine.
II.
III.
IV.
V.