Sei sulla pagina 1di 65

STORIA DEL PENSIERO SOCIOLOGICO

VOLUME 1
Capitolo 1: Illuminismo e pensiero sociologico
L’ illuminismo è un movimento che assume espressioni molto diverse a seconda dei
contesti, delle nazioni e dei singoli autori; è una formula generica che nasconde dietro di
sé una pluralità di tendenze diverse. Ma le tendenze più generalmente condivise sono: la
sostituzione della religione con la scienza (mentalità scientifica); l’esaltazione della
ragione, guidata dall’esperienza; la fede nella perfettibilità dell’uomo e la considerazione
per i diritti dell’uomo e per la libertà contro l’oppressione e la corruzione dei governi.
Nel contesto italiano troviamo G.B Vico “sociologo ante litteram”, precursore della
sociologia (prima della nascita del termine sociologia). Nella sua opera “La scienza nuova
(1725)” dove sviluppa l’idea di 3 fasi nello sviluppo della storia: età degli dei caratterizzata
da fantasia, irrazionalità e dalla convinzione che esistono divinità onnipotenti e
incontrollabili; età degli eroi caratterizzata da forza e astuzia degli uomini moderati dalla
religione; età degli uomini caratterizzata dalla ragione umana pur nel riconoscimento
della trascendenza e della provvidenza (presa di coscienza da parte dell’uomo, soggetto
attivo).
Inoltre nel suo testo distingue il mondo degli uomini: fatto dagli uomini stessi i quali, quindi,
lo possono comprendere dall’interno e il mondo della natura creata da Dio e che solo Dio
può comprendere; è esterna all’uomo. “La storia dell’umanità si distingue dalla storia
naturale per il fatto che noi abbiamo fatto l’una e non abbiamo fatto l’altra” (storia
dell’umanità ≠ storia naturale).
Vico tende a una scienza empirica (né esatta né vera, ma solamente approssimativa e
probabile, soggetta a verificazione e rettificazione) dell’uomo e delle società. Questa
scienza è la sociologia che studia il sociale in quanto tale. Si interessa delle istituzioni
sociali, del condizionamento da esse attuato sugli individui e dall’agire di quest’ultimi.
Nel contesto francese, Montesquieu, protosociologo, con “Lo spirito delle leggi (1748)”
rivela il suo interesse per il confronto tra civiltà, culture e organizzazioni politiche diverse
tra loro. Ma soprattutto emerge l’intento critico nei confronti della corruzione dei costumi e
dell’organizzazione politica in Francia. Inoltre sottolinea la necessità di adeguare norme
positive al carattere generale di una società. Esistono, afferma Montesquieu, leggi naturali
che regolano il mondo fisico, il quale non si può ribellare ad esse, e leggi politiche e civili
(leggi naturali (esterne all’uomo) ≠ leggi politiche e civili (adatte al popolo)). “L’uomo,
come corpo, è retto da leggi invariabili, come essere intelligente egli viola
incessantemente le leggi che Dio ha stabilito e muta quelle che egli stesso stabilisce; è un
essere limitato soggetto all’ignoranza e all’errore. Con le leggi politiche e civili i legislatori
lo hanno restituito ai suoi doveri.” Quasi come se le leggi politiche e civili dipendessero
solo dalla volontà del legislatore. Montesquieu aggiunge un altro principio secondo cui la
legge positiva si deve adeguare al tipo di società per la quale è creata. E la società da un
lato è concepita come condizionata dai suoi fattori naturali, il clima, le risorse della terra
ecc, dall’altro come costituita dai costumi, dalle tradizioni, dalla religione, dalle istituzioni
sociali. Il principio generale è che la legge è la ragione umana in quanto governa tutti i
popoli della terra; le leggi politiche e civili non devono essere altro che i casi particolari in
cui questa ragione umana si applica. Le leggi politiche e civili devono essere talmente
adatte al popolo per il quale sono fatte, che è un caso raro che le leggi di una nazione
convergano ad un'altra. Esse devono essere in armonia con la natura e con il principio del
governo costituito; devono essere in relazione con il carattere fisico del paese, con la
qualità del terreno, con la situazione, con la sua estensione, con il genere di vita dei popoli
1 di 65
che vi abitano e devono essere in armonia con il grado di libertà che la costituzione è in
grado di sopportare, con la religione gli abitanti, le loro disposizioni, la loro ricchezza e il
loro numero.
Nonostante Montesquieu non individui norme sociali universali, non rinuncia alla ricerca di
uno schema esplicativo che possa essere applicato a tutte le società. Egli lo indica in una
tipologia, la famosa tipologia delle forme di governo, che considera come uno strumento
per la comprensione e la critica della società esistenti ed esistite storicamente.
La distinzione tra governo repubblicano, che a sua volta può essere organizzato in
democrazia o aristocrazia, a seconda che a governare sia al popolo o un’élite, governo
monarchico o dispotico, fornisce, una
guida per comprendere le diverse
società politiche.

Non definisce una forma di governo buona in assoluto, ma, sostiene che le forme di
governo devono adeguarsi alla realtà delle singole società. La preoccupazione costante di
Montesquieu è quella di porsi criticamente dinanzi al dispotismo, in cui il sovrano non
governa tenendo presente le esigenze della società, ma solo i suoi desideri personali
(attacco al sistema politico della Francia del tempo). Il principio su cui si basa la
democrazia è la virtù, infatti, il popolo non può reggersi da solo se non con la virtù. La
monarchia si basa invece sul principio dell'onore personale. La virtù appare quindi un
sentimento sociale, mentre l'onore appare un sentimento egoistico. Il dispotismo, infine,
che è la degenerazione della monarchia, si basa sul principio del terrore.
Il tema dell’uguaglianza intesa in termini economici è presente in molti esponenti
dell’illuminismo francese. Fu Rousseau ad attribuire un’importanza decisiva al fattore
economico, tanto da vedere nella proprietà privata l’origine di ogni ingiustizia. Gli uomini,
aumentando di numero, hanno sentito la necessità di associarsi per far fronte meglio le
difficoltà naturali di procurarsi necessario per vivere. Quando alcuni uomini riuscirono ad
accaparrarsi più beni di altri, il mondo si divise in ricchi e poveri, padroni e servi.
Rousseau pubblicò “Il contratto sociale” e L’Emilio” nel 1762. Queste due opere furono
condannate dal Parlamento di Parigi e l’autore dovette lasciare la città.
Per Rousseau la società sarebbe la causa della corruzione dell’uomo di natura, in
completa antitesi rispetto ai principi dominanti del suo tempo, cioè rispetto alla fede
illuministica nella perfettibilità dell’uomo. Egli si serve dell’idea dello stato di natura come di
uno strumento critico nei confronti dell’ordine stabilito. Lo stato di natura (condizione
originaria del genere umano, una condizione di innocenza e felicità inconsapevoli) viene

2 di 65
così ad essere solo uno schema di riferimento ideale e razionale al cui confronto le
istituzioni sociali esistenti dimostrano la loro irrazionalità. Quindi la soluzione sarebbe
tornare allo stato di natura? No, si deve invece «trovare una forma di associazione che
difenda e protegga con tutta la forza comune la persona e i beni di ciascun associato, e
per la quale ciascuno, unendosi a tutti, non obbedisca tuttavia che a se stesso, e resti
libero come prima» (il contratto sociale). Nella società, l’uomo è artificiale: i rapporti tra
individui creano una situazione apparente e convenzionale che allontana l’uomo dalla sua
condizione “naturale”. La società non offre che un insieme di uomini artificiali e di passioni
irreali che sono il risultato di tutti questi nuovi rapporti e non hanno alcun vero fondamento
nella natura. Denuncia quindi, il carattere costrittivo delle istituzioni sociali, politiche,
economiche esistenti. Il potere politico è una forza che annienta gli individui riducendoli
totalmente a sé. Nella tirannia tutti gli individui ridivengono uguali perché non sono niente.
Il vero intento dell’autore in questione è quello di individuare i criteri sui quali fondare una
società che non si basi sulla proprietà privata e quindi sull’ineguaglianza e sulla tirannia. Il
contratto sociale ha proprio questo compito. Per Rousseau la natura umana non è
bellicosa in sé; la guerra sorge in seguito all’ineguaglianza, che è il risultato della società
anziché essere nella natura. Il contratto sociale non condurrà dunque affatto gli uomini a
una condizione artificiale e convenzionale, ma li restituirà al loro stato naturale, alla libertà
e all’uguaglianza. Alienando tutti i diritti di cui godono come singoli, gli individui, attraverso
il contratto riacquistano la loro libertà, ma un livello più alto di quello dello stato in natura in
quanto tale libertà non è più ricevuta naturalmente ma acquisita attraverso una scelta
razionale. Nessuno potrà mai non volere la libertà collettiva del contratto poiché in essa
ognuno vedrà realizzati i propri interessi più veri, le proprie aspirazioni più profonde e
autentiche. La società fondata sul contratto, è diversa e superiore anche allo stato di
natura. «Il passaggio dallo stato di natura allo stato civile produce nell’uomo un
cambiamento molto notevole, sostituendo nella sua condotta la giustizia all’istinto e dando
alle sue azioni la moralità che ad esse prima mancava». Sarebbe dunque un errore
considerare l’orientamento di Rousseau non in linea con le idee fondamentali del suo
secolo. Il contratto sociale integra l’uomo in una nuova società, in essa si supera la società
civile.

Capitolo 2: il pensiero sociologico nell’era della


Restaurazione
Con A.Comte nasce il termine “sociologia” da socius + logos (discorso sui processi di
associazione), indica una nuova scienza che si propone di studiare la realtà sociale sul
modello delle scienze naturali. Comte è anche il padre del positivismo, che lui intende
come ciò che è certo, ciò che è provato dalla scienza e che quindi può ottenere consenso
nella società. Lo spirito positivo consiste nel vedere per prevedere, nello studiare ciò che è
per concludere con ciò che sarà secondo il dogma generale dell’invariabilità delle leggi
naturali. Comte ha un’intenzionalità pratica e razionale: conoscere per prevedere. Viene
criticato da Horkheimer e Adorno, esponenti della scuola di Francoforte (che affonda le
sue radici nell’opera di Marx), secondo i quali la sociologia che non vuole riconoscere se
non il positivo è quella esposta al pericolo di perdere ogni consapevolezza critica. I due
sostengono che la scienza possa essere qualcosa in più che una duplicazione del reale
nel pensiero solo se pervasa dallo spirito della critica. L’intenzionalità di Horkheimer e
Adorno, come per Marx, è emancipativa: conoscere per trasformare. Infatti Marx invece di
amare l’ordine e la stabilità, era attratto dalla rivoluzione e ascoltava pieno di speranza la
voce dei tumulti popolari; al contrario di Comte che fece dell’ordine e della coesione
sociale il problema centrale della sociologia.

3 di 65
Pubblica il primo volume di “Corso di filosofia positiva”, opera che sarà completata e
pubblicata in sei volumi nel 1842. L’obiettivo di Comte è creare una scienza della società,
sul modello delle scienze naturali (metodo, presupposti, utilità), per spiegare lo sviluppo
dell’umanità e prevederne il corso futuro. «Ogni scienza può essere esposta seguendo
due vie essenzialmente distinte: l’ordine di successione (ordine cronologico) e la
presentazione del sistema delle idee (ordine logico). Era convinto che tutte le scienze
dovessero avere alla base principi comuni, la filosofia positiva, e una comune metodologia
e per questo studiò a fondo diverse discipline scientifiche. Da tali studi giunge alla “legge
dei tre stadi”. Secondo Comte la conoscenza umana passa per tre diversi stadi:
- stadio teologico → la spiegazione dei fenomeni viene ricercata nel soprannaturale
(spiegazione teologica). Si possono riscontrare tre diverse fasi: quella feticista, quella
politeista e quella monoteista; a seconda che si consideri ogni singolo oggetto dotato di
un suo potere spirituale autonomo, oppure che si ricorra a una pluralità di divinità, o a
un unico Dio. (I fatti osservati sono spiegati sulla base di fatti inventati; stadio di ogni
scienza al suo albore)
- stadio metafisico → la spiegazione dei fenomeni viene ricercata nell’azione di “forze
astratte” e nei principi soggettivi. (Mezzo di transizione dal primo al terzo stadio; collega
i fatti alle idee che non sono più completamente soprannaturali e non sono ancora
interamente naturali)
- stadio positivo → ricerca di leggi → società industriale = società ottimale (trionfo della
scienza). Tutto è spiegato attenendosi alla rilevazione empirica (fondata su dati
dell’esperienza e della pratica) della realtà e alle leggi scientifiche da che tale
rilevazione si possono trarre. (Modo definitivo di ogni e qualsiasi scienza; i fatti sono
collegati sulla base di idee o leggi generali di ordine interamente positivo, suggerite e
confermate dagli stessi fatti)
La scienza restituirà all’uomo, nello stadio positivo, la certezza, l’ordine intellettuale, e
l’ordine nella società e nelle sue istituzioni. È questo il compito della politica positiva. La
società essendo la realtà più complessa e onnicomprensiva, giungerà ad essere
compresa secondo i metodi della scienza nell’ultima fase dello sviluppo delle potenzialità
conoscitive dell’uomo. Sorge a questo punto la sociologia: scienza sociale che studia i
fenomeni della società umana, indagando i loro effetti e le loro cause, in rapporto con
l'individuo e il gruppo sociale.
Il positivismo ha interesse per il consenso sociale e l’ordine sociale; il consenso produce
l’ordine. Comte distingue la dinamica sociale e la statica sociale. La prima studia la
società umana nelle sue trasformazioni: “la legge dei tre stadi”, ne costituisce
l’espressione fondamentale e si occupa del progresso sociale. La seconda invece, studia
gli elementi presenti in ogni società e destinati a rimanere immutati nei fondamenti e nei
tratti essenziali nonostante i mutamenti storici tipo la famiglia (considerando la vita
domestica come la base costante della vita sociale), il linguaggio, la divisione del lavoro e
la religione (considerati in riferimento al contributo che danno al mantenimento dell’ordine
sociale). Immutabile secondo Comte è la superiorità della società rispetto all’individuo.
Inoltre, la statica sociale, si occupa del mantenimento dell’ordine sociale.
Nonostante la centralità del progresso scientifico, nel suo discorso Comte sostiene che
l’uomo non ha bisogno solo di certezze scientifiche. Comte giunge all’affermazione della
necessità, nella nuova società organizzata sulla base dei principi della filosofia positivista,
di una religione positivista laica (intesa come consenso) che ha il compito di tenere uniti gli
individui nella società, di condividere valori comuni, di garantire unità e disciplina. La
grandezza di Comte consiste nell’aver intuito l’importanza sociale della scienza, cioè
nell’aver esattamente descritto l’avvento e le caratteristiche della società industriale come
società dominata dal calcolo scientifico.

4 di 65
Capitolo 3: il pensiero sociologico e la libera
concorrenza di H.Spencer
In Inghilterra pur essendovi una situazione critica per quanto riguarda i problemi economici
e i diritti politici, tutti i cittadini, sul piano giuridico-formale, si trovavano in una situazione di
uguaglianza.
L’ideologia prevalente nella borghesia inglese aveva fatto propria l’idea secondo cui i
problemi andavano risolti per evoluzione graduale e non per rivoluzione, e secondo cui
l’intervento dello stato in economia era negativo.
H. Spencer (1820-1903) è un portavoce fedele dell’ideologia borghese di questo periodo.
Secondo lui, la società è concepita come un organismo, come un insieme ben integrato
di parti che con la loro attività contribuiscono tutte al mantenimento e all’evoluzione
dell’insieme. Si distinguono l’organismo biologico, un organismo “concreto” caratterizzato
dall’unione fisica tra le varie parti; e la società, organismo “discreto” caratterizzato
dall’unione funzionale tra le varie parti, i diversi organi appaiono nella loro specificità solo
attraverso le loro funzioni. Sono queste ultime a differenziarli, mentre non è cosi per
l’organismo biologico la cui struttura è individuabile anche al di là delle funzioni dei singoli
organi.
Per Spencer l’evoluzione consiste in un mutamento da uno stadio di omogeneità
relativamente indefinito e incoerente ad uno stadio di eterogeneità relativamente definito e
coerente. Si tratta del passaggio dall’omogeneo all’eterogeneo; dall’incoerente al
coerente; dal semplice al complesso. Da una nebulosa composta di parti indifferenziate
che si muovo incoerentemente si forma il sistema solare, il quale, come sistema, è
composto di parti ben differenziate che svolgono funzioni specifiche. L’evoluzione della
società consiste in mutamenti di ordine strutturale (sviluppo delle dimensioni) e di ordine
funzionale (differenziazione di parti ognuna con una propria funzione), che portano a una
crescita della complessità.
Spencer distingue la società militare e quella industriale. La società industriale,
rappresenta un superamento per evoluzione di quella militare. Ovviamente anche la
società militare ha dato un suo
contributo all’evoluzione, ma
ora le sue funzioni sembrano essersi
esaurite.

Il regime militare non si limita a reprimere ma impone, oltre a dire all’individuo ciò che non
deve fare, gli dice anche quello che deve fare. L’intera società è regolata in modo
oppressivo. Sotto il regime industriale, l’individualità del cittadino, invece di essere
sacrificata dalla società, deve essere protetta e difesa da questa.

5 di 65
Con il superamento della società militare cadono anche le barriere nazionali: le nazioni
non sono più costrette a produrre al loro interno ciò di cui hanno bisogno in quanto non
sono più in guerra le une con le altre. Così si sviluppa lo scambio tra le diverse ricchezze
delle nazioni per la convenienza di tutti.
Nonostante il suo elogio alla società industriale, Spencer non ignora le pessime condizioni
in cui vivono gli operai nella sua società, l’alto tasso di mortalità e l’alto numero di ore di
lavoro giornaliero. Sottolinea anche gli effetti negativi che il lavoro automatico e in seri può
comportare per la psiche dell’operaio, ma conclude rifugiandosi nell’idea dell’inevitabilità,
in qualsiasi società, del sacrificio dei meno idonei, che, nel caso della società industriale
sono vinti dalla concorrenza, a beneficio della società nel suo complesso.
Spencer inoltre condivide con Comte la funzione di integrazione sociale svolta dalla
religione che contribuisce a mantenere l’ordine sociale, l’obbedienza al potere e il dominio
delle passioni. Spencer però si differenzia da Comte in quanto a suo parere la scienza non
potrà mai esaurire la conoscenza della realtà, ma anzi, con il progredire della scienza
stessa, sempre più l’uomo si fa consapevole di un’entità inconoscibile.

Capitolo 4: dall’idealismo alla concezione materialistica


della storia
Da esigenze simili a quelle di Proudhon cioè l’esigenza di realizzare sul terreno dei
concreti rapporti economici quella libertà che era stata attuata solo nell’astrattezza
giuridica e nella speculazione filosofica, partirono anche Karl Marx e F.Engels. La
situazione era caratterizzata dalle difficili e spesso tragiche condizioni in cui vive il
proletariato urbano e dal conseguente porsi in termini sempre più urgenti della “questione
sociale”. Essa richiedeva che si tradussero sul piano economico quei diritti all'uguaglianza
e alla libertà che la rivoluzione francese aveva sancito giuridicamente e politicamente. I
moti rivoluzionari che si diffondono in Europa intorno alla metà del XIX secolo
costituiscono lo sfondo sociale in cui si forma il pensiero dei due autori.
Marx nei “Manoscritti economico-filosofici” critica Hegel in particolare per il modo in cui egli
aveva trattato il problema dell’alienazione. Nella filosofia hegeliana l'uomo si estranea da
sé, attraverso il lavoro, nel mondo oggettivo. L'oggetto che l'uomo avverte come estraneo,
altro da sé, non è tuttavia che l'espressione dell'attività umana. Per Marx invece,
l’alienazione va intesa come quella situazione specifica in cui il lavorato non ha possibilità
di attuarsi nel lavoro, ma, essendo costretto a vendere ad altri la propria attività, che è la
sua stessa umanità, si trova conseguentemente dinanzi al risultato del suo lavoro come
dinanzi a un oggetto estraneo. L'alienazione ha una natura essenzialmente economica;
caratterizza la società capitalistica; potrà essere eliminata solo grazie ad una radicale
trasformazione della società. Esistono diverse forme di alienazione: estraneazione
(espropriazione); assenza di spazi di libertà; frammentazione dell’unità degli operai
(isolamento come esito della concorrenza; uno contro l’altro); lavoro = puro mezzo di
sussistenza.
All'operaio viene strappata di mano una parte dei suoi prodotti e sempre più il suo proprio
lavoro gli sta di fronte come una proprietà altrui. L’operaio si viene a trovare rispetto al
prodotto del suo lavoro come rispetto ad un oggetto estraneo e non è estraniato solo dal
prodotto finito del suo lavoro, ma dalla sua stessa attività lavorativa, che non gli
appartiene. L’alienazione dell’operaio nel suo prodotto significa non solo che il suo lavoro
diventa un oggetto, qualcosa che esiste all’esterno, ma che esso esiste fuori di lui, è
indipendente da lui, a lui estraneo, e diventa di fronte a lui una potenza per se stante;
significa che la vita che egli ha dato all’oggetto, gli si contrappone ostile ed estranea.
Estraniarsi dall'attività lavorativa significa perdere la propria essenza di uomo, che si
realizza in essa e attraverso di essa; significa alienazione da sé e dalla propria umanità.

6 di 65
Nel lavoro, l'operaio non si afferma, ma si nega, si sente non soddisfatto, ma infelice, non
sviluppa una libera energia fisica e spirituale, ma sfinisce il suo corpo e distrugge il suo
spirito.
Il lavoro non appartiene a chi lo svolge. Se il prodotto di lavoro non appartiene all'operaio,
è un potere estraneo e gli sta di fronte, ciò è possibile soltanto per il fatto che esso
appartiene ad un altro uomo estraneo all’operaio. Se la sua attività è per lui un tormento,
deve essere per un altro un godimento, deve essere la gioia della vita altrui. L’alienazione
del lavoro quindi, crea la proprietà privata e allo stesso tempo ne è la conseguenza. La
scienza che si occupa dei problemi della produzione, l'economia politica, dà la realtà della
proprietà privata, come realtà data, fondamentalmente aproblematica. In questo senso
Marx critica l'economia politica in quanto accetta aproblematicamente ciò che dovrebbe
spiegare: la proprietà privata, la separazione tra lavoro capitale e terra ecc… E ancora,
essa accetta la riduzione dell'operaio a merce senza porsi il problema della sua umanità.
L'economia politica quindi, considera il lavoratore solo dal punto di vista della sua
produttività, ma non dal punto di vista della sua umanità.
La categoria di alienazione viene a poco a poco messa da parte. Marx preferirà ricorrere al
concetto di ideologia con “L’ideologia tedesca (1845-1846)”, Marx K., Engels F. Essi
intendono spiegare come sia sorta l’illusione idealistica circa l’indipendenza della teoria e
della cultura dal mondo della realtà dei rapporti economici. A parere dei due, infatti le
espressioni di una cultura in una società sono necessariamente in correlazione con il
modo della produzione e dei rapporti di produzione. Secondo Marx, la società consiste in
un equilibrio instabile di forze contrapposte che, attraverso il conflitto, producono il
mutamento sociale. Alla base della società e del mutamento sociale vi sono forze e
rapporti di produzione. Tutto il resto è sovrastruttura. Nella produzione sociale della loro
esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro
volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo
delle loro forze produttive materiali. L’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la
struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una
sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della
coscienza sociale (non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al
contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza; essere = risultato
dell’attività dell’uomo nella società). Si ha l’ideologia quando questo rapporto di
condizionamento, questa presenza dell'attività economica nell'espressione della cultura,
sono negati, e la cultura stessa si presuppone come pura, autonoma, indipendente da
qualsiasi attività pratica, economica, politica. Questo capovolgimento per cui ciò che ha
origine nell'attività pratica ed economica appare invece come primario e indipendente,
questa illusione secondo cui la teoria sarebbe pura, incontaminata da problemi materiali,
non può costituire semplicemente un errore teorico ma deve avere una sua connessione
con quanto si è verificato e si verifica nel mondo dell'azione, della politica e dell’economia.
Nell’ideologia gli uomini e i loro rapporti appaiono capovolti come in una camera oscura.
Nell’opera di Marx il termine “ideologia” assume una valenza negativa. Dal significato
neutro di ideologia come “scienza che ha per oggetto le idee” si passa all’equazione
ideologia = pensiero distorto, immagine deformata della vita reale, dissimulazione e
travestimento della realtà, distorsione delle idee motivata da interessi di classe.
Per sopravvivere l'operaio infatti deve vendersi come merce. Le idee che si pretendono
pure e come tali dotate di validità universale celano interessi specifici e particolari di
determinate classi. Questi interessi particolari non possono imporsi dichiarandosi tali; essi
devono manifestarsi esplicitamente come interessi generali e collettivi. Marx e Engels
parlano inoltre di società naturale, in cui la divisione del lavoro non è volontaria, ma
coercitiva (obbligata). Di conseguenza l’azione propria dell’uomo diventa una potenza a
lui estranea, che lo sovrasta, invece di essere da lui dominata. Nella società comunista,
invece, la divisione del lavoro diventerebbe volontaria, non più naturale, ma

7 di 65
essenzialmente umana, in cui ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva, ma può
perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere.
Successivamente Marx e Engles si concentreranno sull’analisi di quelle contraddizioni
presenti nella società borghese che a loro parere dovranno condurre a suo superamento.
A tale analisi è già dedicato il “Manifesto del partito comunista”, preparato in occasione
del secondo congresso dei comunisti di Londra (i comunisti appoggiano dappertutto ogni
movimento rivoluzionario diretto contro le situazioni sociali e politiche attuali).I due autori
sostengono che la storia è sempre stata caratterizzata dalle lotte di classe, ma che con la
società borghese la lotta di classe si configura come contrapposizione di due classi: la
borghesia (capitalisti, proprietari dei mezzi di produzione e assuntori di salariati) e il
proletariato (i salariati che, non avendo mezzi di produzione propri, devono vendere la
loro forza-lavoro per vivere).
Quando la borghesia si impone economicamente, ciò comporta anche il mutamento
politico, in quanto la borghesia stessa conquista anche il potere statale. La borghesia ha
reso più esplicito e brutale l’interesse economico che sta alla base di rapporti tra uomini;
ogni aspetto della vita umana si rivela più direttamente basato sull’interesse. La borghesia
si distingue dalle classi dominanti precedenti perché è costretta a rivoluzionare
continuamente i propri modi di produzione e conseguentemente i rapporti di produzione al
loro interno. Mentre nelle altre epoche il potere per perpetuarsi cercava di manette
immutati i suoi modi di produzione e la sua organizzazione, per reggere alla concorrenza
con gli altri borghesi, ogni singolo borghese deve cercare sempre nuovi e più efficienti
strumenti della produzione e nuovi mercati verso cui ampliare i propri commerci. La
necessità della maggiore produzione ha comportato la concentrazione della massa degli
operai nelle città e il formarsi di enormi metropoli, e la ricerca di nuovi mercati rende
l’intero mondo soggetto alle leggi economiche della società borghese. Tendono così a
cadere le barriere nazionali che servivano di protezione al potere politico.
La classe borghese, per mantenere il potere ha bisogno del suo opposto, costituito dal
lavoro della classe dei proletari. Con l’evolversi della tecnologia il loro lavoro dipende
sempre più dalle macchine: diventa sempre più meccanico. Il lavoro viene anche a
deprezzarsi, così che le condizioni economiche del proletariato tendono a peggiorare. Il
proletario si fa più povero e allo stesso tempo più numeroso, in quanto attraverso la
concorrenza coloro che hanno la peggio precipitano nel proletariato. Attraverso questo
processo e in seguito all’intensificarsi dei rapporti tra loro, dovuti alla vita metropolitana e
alla maggiore facilità di comunicazione, i proletari tendono a prendere coscienza della loro
esistenza come classe sociale e a organizzarsi politicamente. La crescente concorrenza
dei borghesi tra di loro e la crisi commerciali che ne derivano rendono sempre più
oscillante il salario degli operai; l’incessante e sempre più rapido sviluppo del
perfezionamento delle macchine rende sempre più incerto il complesso della loro
esistenza. Gli operai cominciano col formare coalizioni contro i borghesi.
Dunque sono gli stessi sviluppi connessi alla borghesia a portare inevitabilmente al suo
superamento. Infatti, la condizione più importante per il dominio della classe borghese è
l’accumularsi della ricchezza nelle mani dei privati, la formazione e la moltiplicazione del
capitale; condizione del capitale è il lavoro salariato. Il lavoro salariato poggia
esclusivamente sulla concorrenza degli operai tra di loro. Il processo dell’industria, del
quale la borghesia è veicolo involontario e passivo, fa subentrare all’isolamento degli
operai risultante dalla concorrenza la loro unione rivoluzionaria, risultante
dall’associazione. Con lo sviluppo della grande industria, dunque viene tolto al di sotto ai
piedi della borghesia il terreno stesso sul quale essa produce e si appropria i prodotti.
La società borghese mostra più esplicitamente l’esistenza di due classi in lotta l’una contro
l’altra. La classe va definita in termini economici, in relazione alla proprietà privata o alla
mancanza di proprietà privata dei mezzi di produzione. Se questa è la base oggettiva su
cui viene definita la classe sociale, è necessaria anche la coscienza di classe, la

8 di 65
consapevolezza che una classe ha di esistere come forza sociale capace di rivoluzionare
l’ordine economico e politico esistente. Nella società borghese questa condizione è propria
solo del proletariato urbano e industriale cui si contrappone un sottoproletariato, estraniato
dalla produzione, emarginato e quindi privo di coscienza di classe. Nemmeno i contadini
costituiscono una classe “per sé”, dotata di coscienza di classe. Classe sociale: posizione
occupata nel sistema dei rapporti di produzione; partecipazione agli antagonismi sociali →
lotta; coscienza di classe → “classe per sé”. Nella misura in cui milioni di persone vivono
in condizioni economiche tali che distinguono il loro modo di vita, i loro interessi e la loro
cultura da quelli di altre classi e li contrappongono a esse in modo ostile, esse formano
una classe. Nella misura in cui tra i contadini piccoli proprietari esistono soltanto legami
locali, la indennità dei loro interessi non crea tra loro una comunità, un’unione politica su
scala nazionale e un’organizzazione politica, essi non costituiscono una classe. Non così
per i proletari che, uniti dalla grande industria e dall’emergere della coscienza di interessi
comuni, costituiscono una "classe di per se stessa”. Classe in sé: insieme di individui che
oggettivamente hanno gli stessi interessi di classe ma non ne hanno coscienza; classe
per sé: insieme di individui che oggettivamente hanno gli stessi interessi di classe e ne
hanno consapevolezza.
Al proletario spetta la trasformazione della società borghese in società senza classi in
quanto esso è portatore degli interessi di tutta l’umanità. Per attuare questo compito il
proletariato si costituisce una dittatura, la famosa “dittatura del proletariato” che è il
punto di passaggio necessario per l’abolizione delle differenze di classe. Ciò dovrebbe
condurre a una società senza classi, al regno la libertà, alla possibilità di realizzare
liberamente se stessi lasciando liberi gli altri.
Marx scrive anche “Il Capitale” dove critica la mercificazione dei rapporti umani, la caduta
del rapporto tra uomini a rapporto puramente strumentale e la quantificazione del lavoro
umano. Riprende la distinzione tra valore d’uso e valore di scambio. Il valore d’uso
viene rappresentato dalle qualità intrinseche del singolo prodotto appaiono manifeste e
direttamente rapportabili alle mutevoli esigenze degli individui. Un singolo prodotto non
può essere messo sullo stesso piano di un altro per quanto riguarda il suo valore d’uso.
Sulla base del valore di scambio, qualsiasi attività umana è riducibile a quantità misurabili
e interscambiabili. Il valore di scambio invece, è determinato dal lavoro umano presente
nell’oggetto merce, dalla quantità di lavoro umano che in media è necessario per produrre
tale merce. Il considerare le merci come esistenti indipendentemente dal lavoro umano,
come realtà a sé stanti, implica il considerarle come feticci. Ciò avviene orche di fatto
queste merci appaiono ai singoli uomini come realtà autonome; dal momento che nella
merce non si coglie più l’elemento umano. Il lavoro umano è effettivamente scaduto a
entità qualificabile, è mercificato e pertanto ridotto a cosa.
La socialità dell’uomo nella società capitalista non si realizza nel lavoro, ma nello scambio
in cui gli uomini stessi entrano in rapporti mercificanti. Le forme dello scambio appaiono
avere regole rigide come immodificabili leggi naturali e le stesse singole merci appaiono
non tanto nella loro specificità di prodotti particolari che soddisfano particolari esigenze ma
come oggetti scambiabili: esse appaiono perdere anche il loro contenuto. La critica
all’economia politica consiste proprio nel cadere anch’essa in questo errore: il considerare
come fisse e immutabili, storiche, le leggi proprie dell’economia borghese.

Capitolo 5: società e forze psichiche irrazionali


Autori come Le Bon, Tarde e Sighele sembrano essere collegati da un comune
presupposto cioè quello è la società a dover essere spiegata facendo riferimento alle leggi
della psicologica. I testi di riferimento sono: 1890. G. Tarde, Le leggi dell’imitazione;1891.
S. Sighele, La folla delinquente; 1895. G. Le Bon, Psicologia delle folle. La società appare
a costoro composta da una pluralità di individui uniti tra loro da stati psichici emotivi,
9 di 65
fondamentalmente irrazionali. Si parlerà dell’analisi di stati psichici collettivi concepiti come
fattori di importanza primaria nell’interpretazione della società. È possibile collegare
questa convinzione come un atteggiamento di rifiuto e timore delle masse, emerse come
una forza attiva.
Le Bon riconosce esplicitamente questa preoccupazione e sostiene che le idee e i
sentimenti su cui era basata la sua società erano in profonda crisi. La potenza delle folle
era la sola a non subire minacce e che vedeva crescere di continuo il suo prestigio. L’età
che iniziava era l’era delle folle. La voce delle folle, se prima non contava affatto, poi ha
acquisito valore, tanto da diventare preponderante e dettare ordini ai re. La folla è
sinonimo di “classi popolari”, è dominata da forze inconsce. È diversa dalla somma degli
individui che la costituiscono in quanto nella folla stessa l’individuo perde la sua autonomia
e si porta, contagiandosi con gli altri, ad un livello psichico molto basso, in cui non è più
possibile per lui esercitare su di sé alcun controllo razionale (i più dotati intellettualmente si
portano al livello dei più bassi). La folla non va considerata come influenzabile con
argomenti razionali, ma solo suggestionabile da stimoli esterni, dalla forza ipnotica dei capi
di cui la folla stessa non può fare a meno. L’illusione, non la ragione, domina incontrastata.
Sulla base di queste idee è negata la possibilità che le istituzioni possano trasformare la
società. I popoli hanno determinate caratteristiche che li distinguono e sono esse a
stabilire quali istituzioni prevalgono, così che ogni mutamento istituzionale è più apparenza
che realtà. L’autore in questione sembra rimpiangere i tipi in cui le folle dominavano e
descrive negativamente il presunto avvento al potere di tali folle nella società a lui
contemporanea, anche se l’analisi della psicologia delle folle non ha nulla di storicamente
specifico. È quindi un’analisi fondamentalmente astorica nel senso che è «basata su
caratteristiche che si suppongono intrinseche all’animo umano e quindi perenni».
Le Bon presenta la “teoria del contagio” secondo la quale nella folla le informazioni e le
emozioni si trasmettono da un individuo all’altro come per contagio. Nella folla, l’individuo
sperimenta una sensazione di “potenza”; diventa suggestionabile (come se fosse stato
ipnotizzato); obbedisce alle richieste di leaders fanatici; non è più se stesso, ma un
automa, incapace di essere guidato dalla propria volontà. Gli individui acquistano una
sorta di anima collettiva per il solo fatto di trasformarsi in massa. Tale anima li fa sentire,
pensare ed agire in un modo del tutto diverso da come ciascuno di loro – isolatamente –
sentirebbe, penserebbe e agirebbe. Nella teoria della convergenza invece la folla attrae
determinati tipi di persone predisposte a certi comportamenti e produce comportamenti a
cui le persone sono già predisposte. Nella teoria delle norma emergente le definizioni
comuni della situazione portano ad un comportamento collettivo.
Le affermazioni di Sighele, Le Bon e altri fanno riferimento a un tipo di masse di breve
durata, composte di individui eterogenei e formatesi affrettatamente a causa di un
interesse transitorio.
In toni dapprima simili a quelli di Le Bon, per allontanarsene successivamente, si esprime
Scipio Sighele. Anticipa l’idea che le folle agiscono per suggestione, per cui l’atto di uno o
pochi può comportare il conformarsi degli atteggiamenti di tutti gli altri. Egli riconosce che
nella folla tendono a prevalere le caratteristiche peggiori dell’uomo, la violenza e
l’irrazionale. Contrappone alla folla che tende ad agire sulla base di impulsi irrazionali, il
pubblico, che è più istruito, ha idee e ideali comuni stabili. Essi sono il risultato anche
della stampa come strumento di formazione dell’opinione pubblica. Il pubblico quindi è una
trasformazione della folla, compiuta dalla civiltà, la quale scopriva mezzi sempre migliori
per poter tenere legati idealmente gli uomini senza che fossero fisicamente vicini. Sighele
riconosce la veridicità del punto di vista di Le Bon solo nel senso che esso descrive quanto
avviene nella maggioranza dei casi, ma rifiuta la conclusione pessimistica della
irrimediabilità di questo stato di cose, dimostrandosi fiducioso nella possibilità del
mutamento.

10 di 65
Tarde polemizza con C.Lombroso il quale aveva dato una spiegazione della criminalità in
termini ereditari e biologici. Per Tarde il crimine va spiegato facendo riferimento a fattori
psicologici. In “Le leggi dell’imitazione” egli affronta il problema sociologico generale in
questi termini. In seguito alla tendenza da parte degli individui a imitare e quindi a ripetere
quanto è fatto dagli altri intorno a loro, si possono spiegare le regolarità della società e
quindi si può fondare una sociologia che sia scientifica. Ogni scienza infatti consiste
nell’individuazione di una determinata regolarità, del ripetersi di determinati fenomeni. La
società, l’unione tra individui, trova una spiegazione adeguata solo sulla base del concetto
di imitazione. Essa avviene non in uno stato cosciente, ma in uno stato ipnotico.
L’individuo nella società crede di agire autonomamente ma in realtà agisce solo imitando
gli altri. «La società è l’imitazione e l’imitazione è una forma di sonnambulismo»: non
avere che idee suggerite e crederle spontanee (illusione propria del sonnambulo).
Alle origini della società non c’è quindi la costrizione ma piuttosto il prestigio, che fa sì che
alcuni imitino gli altri. Anche gli adulti, nonostante la loro pretesa di emancipazione,
portano vanti per tutta vita il processo imitativo con l’infanzia. Se la società è un insieme di
individui che si imitano a vicenda e l’imitazione e la ripetizione creano l’ordine sociale,
perché una società non si perpetua all’infinito? Alle origini del mutamento sociale Tarde
pone l’individuo eccezionale (l’individuo geniale, lo scienziato, l’inventore …) il quale
riuscirà a imporre la maggior efficienza delle sue scoperte nei confronti delle opinioni, delle
norme e delle tecniche della società costituita, dando naturalmente inizio ad un nuovo
processo imitativo. Il punto debole di questa concezione appare trasparente: mentre Tarde
predica l’inevitabilità della legge dell’imitazione come principio sociale universale, per
spiegare il mutamento deve fare ricorso a una forza che rimane estranea a tale legge.

Capitolo 6: le prime critiche metodologiche e la ricerca


di nuovi fondamenti
Negli ultimi decenni del XIX secolo molti miti, al contatto con la realtà, vengono a cadere. Il
processo scientifico, pur incessante, non sembra portare a quei progressi nella vita
sociale, e a quell’unione e quella sicurezza che erano stati profetizzati: spesso anzi appare
come fonte di infelicità e di disintegrazione sociale. In questo clima culturale si ha il primo
dibattito sul metodo delle scienze storico-sociali.
W.Dilthey pubblica il primo volume di un’opera, rimasta incompiuta, intitolata “Introduzione
alle scienze dello spirito”, in cui rifiuta l’idea che si possa chiudere la storia in un unico
schema esplicativo (idealismo hegeliano; positivismo), mentre invece la vita dell’uomo si
manifesta in un’infinità di modi diversi che non ammettono di essere ridotti a una formula
prestabilita. Dilthey avverte l’esigenza di considerare l’uomo nelle sue concrete situazioni
storiche al di fuori di qualsiasi presupposto metafisico. Concezioni metafisiche sono infatti
considerate quelle idealistiche e positivistiche che presuppongono l’esistenza di fasi di
sviluppo della storia valide universalmente, mentre le vita dell’uomo, nei suoi tratti più
specificamente umani, cioè storici, si configura in modi sempre diversi. Egli vede la storia
come costruzione del mondo e che restituisce all’uomo la sua libertà, pur riconoscendo la
realtà dei condizionamenti. L’uomo, secondo Dilthey, può conoscere completamente solo
il mondo da lui stesso creato, cioè il mondo storico-sociale. La realtà della natura gli
rimane estranea.
Di fondamentale importanza nella teoria elaborata da Dilthey è la distinzione tra scienze
dello spirito e scienze della natura.». Le scienze della natura studiano ciò che si
presenta allo spirito dall'esterno, una realtà essenzialmente estranea l'uomo e che tale
rimane anche il momento conoscitivo. Nelle scienze dello spirito l'uomo intende dall'interno
i significati specifici della realtà storico sociale immedesimandosi con essa attraverso
l'intima partecipazione ad essa. (Per scienze dello spirito D. intende «il complesso delle

11 di 65
scienze che hanno come loro oggetto la realtà storico-sociale). Quindi le scienze dello
spirito ≠ scienze della natura. Per Comte invece, le scienze sociali devono adeguare i
loro metodi a quelli delle scienze naturali.

Le scienze dello spirito si distinguono


dalle scienze della natura, in quanto
queste hanno come loro oggetto dei fatti
che si presentano alla conoscenza
dall'esterno, cioè come fenomeni
singolarmente dati, mentre in quelle di
fatti si presentano originariamente
dall'interno, come realtà e come una
connessione vivente. Nelle scienze
naturali la connessione della natura è
data soltanto in virtù di ragionamenti che
integrano i fatti, cioè mediante un collegamento di ipotesi. Per le scienze dello spirito ne
consegue invece che loro fondamento c'è sempre la connessione originaria della vita.
Secondo Dilthey non si può comprendere individuo prescindendo dal contesto storico
sociale in quanto non si può anteporre l'individuo isolato alla storia se non attraverso una
finzione. Questa importante e tuttora attualissima idea sembra aver trovato una serie di
conferme sia in teorie sociologiche e psicosociologiche successive.
Nel corso del dibattito sul metodo delle scienze storico sociali, la distinzione di Dilthey tra
scienza e la natura e scienze dello spirito fu contestata da Wilhelm Windelband che
sostiene che tanto il mondo umano quanto quello naturale potevano essere studiati dal
punto di vista del ripetersi dei fenomeni al fine dell'individuazione di leggi generali sia dal
punto di vista dell'unicità e dell'irripetibilità dei singoli eventi, questo è quanto fa la
storiografia.
Le scienze empiriche cercano nella conoscenza del reale o il generale nella forma di legge
di natura, o il particolare nella sua figura storicamente determinata: ora considerano la
forma stabile, ora il contenuto singolo, determinato in se stesso, dell’accadere reale. Le
une sono scienze della legge, le altre scienze dell’avvenimento; quelle insegnano ciò
che è sempre, queste ciò che fu una volta. Il pensiero scientifico è nel primo caso
nomotetico, nel secondo caso idiografico.
Si pone a questo punto il problema, però scienze idiografiche del come scegliere, tra gli
infiniti eventi particolari che si verificano nel mondo storico sociale, quelli degni di rilievo.
Bisogna individuare quali eventi meritano tale
attenzione: la totalità degli eventi non può
essere colta. É necessario a tale proposito la
relazione con i valori nel senso che solo una
scala di valori può indicare nella molteplicità
degli eventi storico sociali quale scegliere per
analisi da parte delle scienze idiografiche.
L’individuo ricorda e racconta quello che è stato
importante per lui, allo stesso modo il rilievo dei
ricordi in una famiglia, in una stirpe, in un
popolo, è determinato da riferimenti di valore. In
tutti questi casi prevalgono apprezzamenti
puramente individuali che non hanno diritto a
una validità universale. La scienza storica, che
deve esporre il ricordare complessivo, formatosi concettualmente è valido per tutti, del
genere umano, deve perciò avere un sistema di valori universali.

12 di 65
VOLUME 2

Capitolo 1: Marxismo, filosofia della vita, sociologia


formale
Ferdinand Tonnies, sociologo tedesco fonda la Società tedesca di sociologia con: Georg
Simmel; Werner Sombart; Max Weber.
L’opera per cui è rimasto famoso è un lavoro giovanile: “Comunità e società”, 1887 (rottura
con gli schemi del positivismo). Egli afferma che i concetti che spiegano la realtà devono
provenire dalla ragione e che la scienza procede attraverso la costruzione di “casi fittizi” o
“casi ideali” (precorre Weber). Anche le due categorie fondamentali dell’autore in
questione, comunità e società, sono ovviamente costruzioni ideali che non si riscontrano
nella realtà empirica allo stato puro ma che servono nell’analisi di tale realtà.
La forma associativa della comunità indica la fusione perfetta delle volontà di coloro che vi
fanno parte. La comunità è una realtà naturale; vi si partecipa immedesimandosi
completamente in essa, emotivamente e in modo istintivo. La comunità è un insieme di
sentimenti comuni e reciproci sulla base dei quali i suoi membri rimangono uniti. Esistono
3 tipi di comunità: comunità di sangue → rapporti parentela; comunità di luogo →
rapporti di vicinato (la vicinanza delle abitazioni, il terreno comune o anche la semplice
delimitazione dei campi danno luogo a numerosi contatti umani); comunità di spirito →
amicizia. All'origine della comunità vi è l'unità di sangue; il rapporto tra padre e figli è il più
completo in quanto alla base organica e al legame affettivo si unisce il principio di autorità
fondato sull'esigenza dell’educazione. Per quanto riguarda l'economia comunitaria,
l'autore in questione è portato da accettare il sistema feudale: si tratta di scambi di beni
d'uso, non a fine di profitto individuale, ma della reciproca utilità.
La sociologia di Tonnies, riprende una lunga tradizione, già iniziata con Comte, secondo
cui questa disciplina ha il compito specifico di studiare l'integrazione e di occuparsi
esclusivamente di rapporti pacifici, di unione tra uomini, cioè delle forme di associazione e
di quanto le costruisce. Le due forme principali di associazione sono la comunità e la
società.
Ma nella società (borghese, capitalistica, urbana, industriale) contrariamente a quanto
avviene la comunità, gli individui sono uniti contrattualmente piuttosto che naturalmente
di emotivamente, per cui in essa prevalgono l’individualismo e l’egoismo. Le attività
comuni non dipendono da un'unione reale, ma piuttosto dalla possibilità dei singoli
ricavarne un utile. Gli individui stanno gli uni contro gli altri, cercando ognuno la propria
convenienza. Mentre nella comunità gli oggetti non vengono tanto scambiati quanto
piuttosto goduti in comune, nella società gli individui sono in concorrenza l'uno con l’altro.
Il rapporto economico, che costituisce il fondamento della società, non è fondato sul valore
d'uso ma sul profitto che si può ricevere dallo scambio. Gli individui non si preoccupano
dell'utilità dei beni in quanto tali, ma del valore di scambio. Di qui la necessità che questo
valore sia misurato in base ad un criterio oggettivo che tutti possono condividere. Questo
criterio è costituito dal tempo medio di lavoro necessario per produrre i beni. Sorge così il
denaro come valore astratto e fittizio, puramente convenzionale. Il mondo tende a
diventare un unico grande mercato e l'attività economica tende a determinare i sistemi
giuridici, la morale e il potere statale. Questa è la società borghese; in essa commercianti
e usurai possono guadagnare senza produrre assolutamente nulla, i primi scambiando
merci già esistenti, i secondi vendendo denaro per ricavarne con gli interessi una somma
maggiore di denaro. Si nota un profondo influsso che Marx ha esercitato sull'autore anche
se Tonnies non è tuttavia in alcun modo riconducibile a Marx. Mentre infatti per
quest'ultimo sono proprio le forze e i rapporti di produzione a portare dalla comunità alla

13 di 65
società per l'autore qui discusso è la volontà. Infatti, alle due forme di associazioni
sottostanno due diverse forme di volontà. Da un lato vi è la volontà essenziale, la forza
vitale che fa sì che l'embrione si trasformi individuo, che la natura e l'uomo esistano e si
sviluppino. Si tratta di una volontà di vita da cui la stessa vita dipende. La volontà
essenziale è istinto, è la vita organica stessa come forza che si sviluppa. Dall'altro lato, la
volontà arbitraria, pur trovando, come del resto ogni manifestazione della vita, origine
nella volontà essenziale, è qualcosa di completamente diverso da essa. La volontà
essenziale è il principio dell'unità della vita, quella arbitraria è una formazione del
pensiero, ed è relativa solo al suo autore individuale. Mosso dalla volontà arbitraria, egli
agisce sulla base di uno specifico progetto pensato in precedenza. Tonnies distingue tre
forme della volontà arbitraria: la prima è la deliberazione, che permette di distinguere i
mezzi e dei fini, di accettare i primi, anche se dolorosi; la seconda forma è la discrezione,
che consiste nella scelta dello scopo al quale poi tutto il resto è sottomesso; al terza è il
concetto che permette di dare senso alla molteplicità e alla mutabilità dell’esperienza
attraverso distinzioni, schemi di riferimento e giudizi di valore che indicano al soggetto
come scegliere.
Sulla base della volontà arbitraria si determina la lotta tra individui, ognuno dei quali vuole
raggiungere ciò che per lui è auspicabile. Poiché nella società il denaro è il mezzo idoneo
per qualsiasi fine, questa lotta si risolve nella lotta per il denaro. Questa volontà di potenza
si può manifestare anche nella scienza come dominio sulla realtà: lo stesso desiderio di
sapere, tende poi a sua volta pretendere il riconoscimento da parte degli altri e non
esclude quindi da sé il dominio. La concezione della società appare del tutto pessimistica
e ciò si accentua quando l’autore afferma che “un’età della società segue a un’età della
comunità”. Infatti, la base della stessa vita associativa è la comunità, fondata sulla volontà
essenziale, sui vincoli sangue che non sono storicamente superabili. Non bisogna
dimenticare però che le due forme associative sono semplicemente dei casi fittizi o ideali.
Tuttavia Tonnies appare spesso incerto tra il considerare la comunità e la società come
fasi di un processo storico oppure come forme di vita che possono prevalere una sull'altra
pur non dandosi la possibilità che la seconda faccia soccombere completamente la prima,
in quanto questa rimane in ogni caso la base organica di ogni forma di vita associativa. Le
forme di vita comunitarie perdurano, sia pur atrofizzandosi ed estinguendosi nell’ambito di
quelle sociali, come le uniche forme reali.
L’opera di Tonnies si risolve in gran parte in una critica alla società capitalistica, urbana e
industriale. Alla società egli contrappone la comunità, il vincolo naturale e spontaneo. È
nostalgico di una vita associata di tipo pre-industriale.

Horkheimer M., Adorno T. W.: Comunità/società: antitesi formulata la prima volta da


Schleiermacher. Comunità/società: distinzione ripresa dal Terzo Reich, con un significato
completamente diverso da quello che emerge dall’opera di Tönnies, per indicare la
contrapposizione tra: comunità di stirpe ariano germanica e società atomizzata giudeo-
occidentale. L’atomizzazione (sezionare in maniera eccessiva) crea sistemi totalitari e la
distruzione dei legami sociali e familiari (parenti e amici) Es.: accusare amici e/o familiari

14 di 65
per salvare la propria pelle; per dimostrare la propria “fidatezza” (H. Arendt, Le origini del
totalitarismo).
Un altro componente della Società tedesca di sociologia è Georg Simmel. Per lui, la
sociologia ha il compito di descrivere e analizzare le diverse forme di interazione. La
società è l’insieme di individui uniti da rapporti di interazione.
La “sociologia formale” è l’etichetta con cui si presenta nelle storie della sociologia. Tale
sociologia formale implica la ricerca delle forme dei rapporti che rimangono invariate
nonostante i loro contenuti storici sempre diversi. Ciò fa pensare a una sociologia astorica;
fino a che punto questa affermazione va accettata è tuttavia materia di discussione. Egli
appare condizionato dai problemi del suo tempo, tra cui l’industrializzazione e il fenomeno
a essa connesso, l’urbanizzazione, a cui Simmel doveva dedicare una particolare
attenzione. Afferma un storico che Berlino divenne improvvisamente una capitale di
rilevanza mondiale. Non sorprende dunque che Simmel fosse destinato a diventare i
sociologo più coinvolto della cultura metropolitana.
In “Filosofia del denaro” l’autore critica l’idea che Marx aveva ereditato da alcuni
economisti, secondo cui è il tempo medio di lavoro necessario per produrre una merce a
stabilirne il valore. Simmel invece sostiene che è necessariamente lo scambio a stabilire il
valore della merce. La forza lavoro viene iscritta nella categoria del valore soltanto
mediante la possibilità e l’effettività dello scambio. Simmel sostiene che i rapporti tra
uomini si manifestano attraverso scambi anche se questi scambi non sono economici
(sacrificio di beni utilizzabili), come nel caso dell’amore o del dialogo. Ogni oggetto
acquista valore e significato in rapporto con altri oggetti ed è solo questa relazione a
creare il valore degli oggetti che noi percepiamo come realtà autonome.
Scambio, relazione, interazione, stanno dunque alla base di ogni significato e ogni valore
sia nel mondo delle idee, sia nel mondo degli oggetti, che appaiono come insieme di
oggetti distinti, proprio in quanto posti in relazione gli uni con gli altri. Solo questa relazione
dà ad essi una realtà specifica, un senso e una valore. L’uomo tende a percepire come
realtà esterna e oggettiva quanto si crea nel rapporto in cui gli oggetti appaiono dotati di
valori autonomi, i quali tuttavia sono solo il risultato della loro scambiabilità in rapporto con
i desideri degli uomini. Ciò appare chiaro proprio con il denaro che rappresenta la forma
più pura dell’interazione, una forma che prescinde dai contenuti della stessa interazione.
Spesso ciò che un individuo desidera non è in possesso di colui con cui avviene la
contrattazione. Questo inconveniente è superato dal denaro come strumento che
consente il raggiungimento, attraverso la sua mediazione, di illimitati fini. Ciò potrebbe
portare ad una serie di conseguenze: il cinismo e l’atteggiamento blasé. Un’altra
possibile conseguenza è che il denaro da mezzo venga a essere considerato come fine, in
quanto si fonda sul momento dello spendere per acquistare oggetti qualsiasi e quindi
l’oggetto specifico non è più un fine. Nel cinismo i valori considerati come i più alti sono
riportati a quelli più bassi, mentre nell’atteggiamento blasé non si avvertono differenze tra
valori. Al blasé tutto appare di un colore uniforme, grigio, opaco, incapace di suscitare
preferenze e reazioni (quando si ha tutto troppo/tanto si è indifferenti). Se nell’intimo
dell’uomo si è stabilita la convinzione che si possono ottenere tutte le possibili varietà della
vita per la stessa somma di denaro, egli diventerà necessariamente blasé. Le metropoli
sono la vera patria del blasé. L’essere blasé è conseguenza di quella rapida successione
e di quella fitta concentrazione di stimoli nervosi contraddittori che caratterizza la
metropoli. Argomento che sarà ripreso nel saggio “La metropoli e la vita mentale”. Simmel
afferma che il moderno cittadino della metropoli ha certamente bisogno di un’infinità di
collaboratori, senza i quali sarebbe del tutto impotente, ma ha con loro soltanto un
rapporto, mediato dal denaro, assolutamente oggettivo. Nel caso estremo del rapporto
fondato sull’economia monetaria l’uomo può scomparire completamente. Tutti i rapporti tra
uomini tendono a farsi misurabili e calcolabili. L’esattezza del calcolo monetario subentra

15 di 65
in qualsiasi rapporto e qualsiasi aspetto della realtà e comporta il prevalere della
razionalità rispetto al sentimento.
Nel saggio “La metropoli e la vita mentale” riprende il problema del mutarsi dei rapporti
tra uomini in rapporti puramente quantitativi ed economici, che nella metropoli prevalgono
sui rapporti affettivi e personali. Ciò comporta il trasformarsi dello stesso carattere degli
individui, il prevalere in esso dell’elemento quantitativo, del profitto, dell’esteriorità, sui
valori più intimi. Si ha così un processo di disindividuazione, ma esso si accompagna al
processo opposto perché la metropoli è anche la fonte di molteplici stimoli che sviluppano
la personalità. Infatti l’uomo metropolitano è “libero” in confronto alle piccinerie e ai
pregiudizi che limitano l’orizzonte di chi vive nella città di provincia. Ed è solo l’altra faccia
di questa libertà il fatto che a volte non ci si senta da nessuna parte così soli e
abbandonati come nel brulichio della metropoli: qui come altrove, non è detto affatto che la
libertà dell’uomo si debba manifestare come un sentimento di benessere nella sua vita
affettiva (solitudine nella metropoli).
Simmel cerca di individuare i fondamenti sulla base dei quali sia possibile una sociologia
come disciplina indipendente, che non si identifichi con quanto hanno già fatto e fanno le
altre scienze sociali. Mentre le scienze sociali si contraddistinguono per i loro specifici
contenuti, la sociologia studia le forme pure dello stare insieme, della “sociazione”. La
sociologia diventa così un nuovo metodo e acquista in tal modo la sua indipendenza.
Studia le forme di interazione degli individui, a loro fondamento ci sono certamente forse
psicologiche, ma la sociologia non studia queste ma l’interazione che ne deriva. La
scienza della società, se non vuole ridursi a ripete quanto già scoperto da altre discipline,
deve individuare le forme microscopiche a fondamento della vita sociale, cioè le forme
elementari di interazione senza le quali le realtà macroscopiche potrebbero esistere. Per
Simmel la sociologia deve essere un metodo, un punto di vista particolare, un modo di
guardare alla realtà umana, la quale può essere analizzata da una pluralità di punti di
vista.
In altri saggi che compongono il volume “Sociologia”, Simmel affronta una serie di temi
che tendono tutti a dimostrare la validità del presupposto della sociologia formale.
Indipendentemente da qualsiasi contenuto concreto, il fattore puramente quantitativo del
gruppo comporta conseguenze di grande rilevanza. Così, il gruppo composto da soli due
membri, la diade, ha caratteristiche del tutto diverse da qualsiasi altro gruppo. La diade,
infatti non può esistere senza uno dei due suoi membri, per cui il gruppo non ha alcuna
realtà autonoma rispetto a tali suoi membri. Un terzo membro può svolgere il ruolo di
mediatore nei confronti degli altri due, contribuendo con il proprio distacco a moderare le
passioni che minacciano di dividere il gruppo. Se un terzo entra nel gruppo: può svolgere il
ruolo di mediatore nei confronti degli altri due, contribuendo con il proprio distacco a
moderare le passioni che minacciano di dividere il gruppo; può comportarsi come terzium
gaudens (approfittare del conflitto tra le due parti per trarne vantaggio); può ricorrere alla
strategia del divide et impera (creare conflitti per trarne un vantaggio personale). Con
l’ampliarsi del gruppo si dà invece possibilità di rapporti più astratti e impersonali. Il gruppo
tende ad assumere una realtà autonoma rispetto ai suoi membri. Simmel analizza tipi
sociali, ad esempio lo straniero. È colui che viene dal di fuori a far parte del gruppo,
quindi egli non vi appartiene fin dall’inizio. Lo straniero è «colui che oggi viene e domani
rimane». Questa condizione lo rende particolarmente adatto: al commercio (es.: ebrei); a
fare da giudice nelle contese interne al gruppo in qualità di giudice e a ricevere
confidenze, proprio perché esterno al gruppo.
L’individuo per Simmel, per essere libero e creativo, deve opporsi alle forme in cui è
costretto, ai rapporti prestabiliti, agli altri, alla società, e d’altra parte egli esiste solo nella
società ed è creato da essa. A fondamento della filosofia della vita di Simmel vi è l’idea
della vita come di un assoluto che non è mai colto come tale. Il processo di alienazione,
per il quale l’uomo si manifesta in forme che gli rimangono estranee e vincolanti,

16 di 65
nonostante il forte legame che unisce l’autore in questione con il pensiero di Marx, è visto
fondamentalmente in termini atemporali (dissociazione vita/forme, fonte di alienazione,
profonda estraneità o ostilità che esiste fra il processo vitale e creativo dell’anima da un
lato e i suoi contenuti e i suoi prodotti dall’altro).

Capitolo 2: metodologia e problemi sociali: Max Weber


Max Weber è tra i sociologi su cui è stato scritto di più per l’indiscussa rilevanza del
pensiero e delle sue ricerche, ma anche della sua complessità.
Uno tra i tentativi più noti di Weber è stato quello di dividere la scienza sociale dalla
politica. Eppure la politica è sempre presente nei suoi scritti, tanto che si può affermare
che senza correlare il suo pensiero con i problemi politici si rischia di non comprenderlo.
Inoltre, bisogna inquadrare Weber nell’ambito del dibattito sul metodo delle scienze
storico-sociali che aveva avuto inizio con Dilthey e Windelband. Senza una selezione
dall’”infinità priva di senso” di tutto ciò che accade nel mondo, la conoscenza è
impossibile. La realtà oggettiva è solo caos, per cui la conoscenza è possibile solo in
relazione ad una scala di valori che indichi quali elementi scegliere in questo caos e quali
significati attribuire ad essi. I valori che rendono possibile la conoscenza sono essi stessi
storicamente, socialmente e anche individualmente relativi (no universalità). La relazione
con i valori è inevitabile e condizione imprescindibile di qualsiasi conoscenza. La realtà
può essere conosciuta solo in quanto si attribuiscono a settori particolari di essa significati
e valori particolari. La realtà appare come mediata culturalmente, in quanto la cultura
permette di selezionare alcuni aspetti di una realtà infinita e priva di senso attraverso
l’attribuzione a essi di significati specifici. Il concetto di cultura è un concetto di valore: la
realtà empirica è per noi valore in quanto la poniamo in relazione con idee di di valori;
essa abbraccia quegli elementi della realtà che per noi diventano significativi in base a
quella relazione. Nessuna conoscenza, e quindi nessuna ricerca scientifica è possibile
senza questa relazione con i valori, senza il presupposto, per il quale l’ambito su cui si
intende svolgere la ricerca è significativo. Che i presupposti di qualsiasi analisi empirica
vadano intesi sulla base della relazione con valori non sindacabili attraverso una scala di
valori universali, implica la necessità che tali valori non sono identificati né identificabili da
alcuna legge scientifica. Queste ultime sono solo ipotetiche e il loro compito è quello di
chiarire i casi particolari in studio, non di esaurirli, il che sarebbe praticamente impossibile.
Quando si esamina un caso particolare, può essere utile cercare di individuare
connessioni causali utili per la comprensione del fenomeno, mentre, poiché le cause sono
infinite, non vi è alcuna possibilità di esaurire la comprensione di un fenomeno storico-
sociale attraverso l’individuazione delle cause. Si tratta solo di individuare alcuni fattori che
hanno condizionato l’emergere della situazione specifica studiata. Solo determinati aspetti
dei fenomeni particolari, sempre infinitamente molteplici, e cioè quelli ai quali attribuiamo
un significato culturale, sono quindi degni di essere conosciuti, ed essi solamente sono
oggetto della spiegazione causale. Ma nemmeno la causalità è sufficiente per
comprendere la realtà storico-sociale. Le scienze storico-sociali trattano di fenomeni nei
confronti dei quali non è sufficiente individuare le relazioni quantitative, ma è necessario
l’intendere, il rivivere. Non c’è nessuna analisi scientifica puramente oggettiva della vita
culturale o dei fenomeni culturali. La scienza non può dare giudizi di valore. Essi si
basano su determinati ideali e sono perciò di origine soggettiva. La scienza deve fare
proprio il principio dell’avalutatività. Tutto ciò che essa può fare è giudicarne l’efficenza di
fronte alle mete che si vogliono raggiungere. L’oggettività delle scienze storico-sociali va
ricercata nel metodo, garanzia dell’oggettività della ricerca scientifica. Per l’interpretazione
della realtà occorre costruire un modello, cioè il “tipo ideale” lo strumento relativo alla
ricerca per l’interpretazione della realtà che, una volta accettato, conduce
necessariamente chi lo accetta a determinate conclusioni e quindi garantisce l’oggettività
17 di 65
della ricerca scientifica. È l’accentuazione dei momenti essenziali di tale tratto, dei
momenti senza i quali esso non sarebbe più riscontrabile per quello che è. Il tipo ideale
rappresenta un quadro concettuale il quale serve come schema in cui la realtà deve
essere presa come esempio. Nella sua purezza concettuale questo quadro non può mai
essere rintracciato empiricamente nella realtà; è un’utopia, e al lavoro storico si presenta il
compito di constatare in ogni caso singolo la maggiore o minore distanza della realtà da
quel quadro ideale.
Mette a fuoco il nesso tra etica protestante e capitalismo in quanto secondo lui, l’etica
potrebbe aver prodotto il capitalismo. Tramite la teoria della predestinazione, secondo la
quale, il destino di ogni uomo è segnato da Dio. La persona in questione può capire se è
stata prescelta da Dio o meno; se ha successo significa che è stata scelta da Dio, è una
persona privilegiata e Dio non l’ha destinata alla collera. Inoltre se ha successo deve
mantenere uno stile di vita sobrio e reinvestire il denaro in cose più produttive, così da
alimentare il capitalismo.
Weber parte da un dato culturale, la regione, per spiegare lo sviluppo del capitalismo.
M. Weber: cultura → economia
Marx parte dall’economia (forze e rapporti di produzione) per spiegare la cultura.
K. Marx: economia → cultura (sovrastruttura)
Inoltre, Weber si pone criticamente nei confronti del positivismo classico e del
materialismo storico. Critica la pretesa della concezione materialistica della storia di
esaurire nella spiegazione economica e nello schema evolutivo economicissimo tutta la
storia e il suo senso. Inoltre milita politicamente in un movimento anti-marxista (tratto
costante di tutto il pensiero weberiano), infatti egli si definiva un borghese.
Il capitalismo, secondo Weber, è un fenomeno storicamente specifico che va distinto dalla
volontà di sopraffazione economica. Esso è fondato sul calcolo razionale al fine di un
guadagno sempre rinnovato. Tale calcolo è proprio dell’impresa capitalistica in senso
stretto e richiede il libero scambio, il lavoro formalmente libero, e probabilità di guadagno
formalmente pacifiche. La sete di lucro, l’aspirazione a guadagnare più denaro possibile,
non ha nulla in comune con il capitalismo.
In “Economia e società”, la sua opera più impegnativa e voluminosa, l’autore avverte
l’esigenza di ritornare su problemi metodologici, chiarendo il suo parere a proposito
dell’ambito della sociologia. Distingue tra azione, azione sociale e relazione sociale. La
sociologia è una scienza che si propone di intendere, in virtù di un procedimento
interpretativo l’agire sociale, e quindi di spiegarlo causalmente nel suo corso e nei suoi
effetti. Per agire si intende un atteggiamento umano, atto intenzionale, dotato di un “senso
soggettivo”. Per agire sociale si intende l’agire, secondo il suo senso, riferito
all’atteggiamento di altri individui, e orientato nel suo corso in base a questo. L’azione è
tale solo in quanto è dotata di senso, ha una motivazione individuale. L’azione sociale
quando tale motivazione è diretta verso altri soggetti individuali. Per senso si intende il
senso di fatto intenzionato soggettivamente da colui che agisce e il senso intenzionato
soggettivamente dall’agente o dagli agenti assunti come tipo. Nel caso in cui non si ha una
motivazione ci si trova davanti non a un’azione, ma a un comportamento. Solo l’agire
sociale e la relazione sociale a costruire l’ambito problematico della sociologia.
Quella di Weber è una sociologia comprendente ed esistono infatti due modi di
comprensione dell’agire sociale: l’intendere attuale cioè la comprensione immediata e
l’intendere esplicativo cioè quando si colgono le motivazioni dell’azione (livello più
profondo).
Sociologia: oggetto → agire sociale; metodo → comprensione + spiegazione
L’agire sociale può essere determinato in modo razionale rispetto allo scopo (da
aspettative dell’atteggiamento di oggetti del mondo esterno e di altri uomini, impiegando
tali aspettative come condizioni o come mezzi per scopi voluti e considerati razionalmente,
in qualità di conseguenza); in modo razionale rispetto al valore (dalla credenza

18 di 65
consapevole nel valore in sé di un determinato comportamento in quanto tale,
prescindendo dalla sua conseguenza); affettivamente (da affetti e da stati attuali del
sentire); tradizionalmente (da un’abitudine acquisita). Per relazione sociale si intende un
comportamento di più individui instaurato reciprocamente secondo il suo contenuto di
senso e orientato in conformità. L’essenziale perché si abbia una relazione sociale è che
le parti che agiscono attribuiscano un minimo di senso comune al loro agire.
Agire razionale → potere razionale/legale
Agire tradizionalmente → potere tradizionale
Agire affettivamente → potere carismatico
Sembra esserci una certa correlazione tra i quattro tipi ideali di agire e la tipologia della
forme di potere. L’autore distingue potenza e potere. La potenza è la possibilità di far
valere entro una relazione sociale, anche di fronte ad un’opposizione, la propria volontà; il
potere è la possibilità di trovare obbedienza, presso certe persone, ad un comando
determinato (rilevanza sociologica). Il potere si distingue dalla potenza in quanto pretesa
di legittimità (validità). Vi sono tre tipi di potere legittimo: razionale (poggia sulla credenza
nella legalità di ordinamenti stabiliti, e nel diritto di comando di coloro che sono chiamati ad
esercitare il potere in base ad essi); tradizionale (poggia sulla credenza quotidiana del
carattere sacro delle tradizioni valide da sempre, e nella validità di coloro che sono
chiamati a rivestire un’autorità); carismatico (poggia sulla dedizione straordinaria al
carattere sacro e alla forza eroica o valore esemplare/qualità straordinaria di una persona)
Anche il modo in cui Weber affronta il problema dei partiti politici e delle classi sociali
testimonia l’influenza di Marx e la volontà di contrapporsi a lui. Esistono diversi tipi di
partito politico, e solo un tipo particolare appare caratterizzato da comuni interessi
materiali dei suoi membri, mentre gli altri si caratterizzano in quanto hanno una comune
concezione del mondo. Se le classi sociali vanno definite in rapporto con l’economia,
esiste pur sempre una pluralità di classi. Distingue la classe possidente (quando le
differenze di possesso determinano la situazione di classe) e la classe acquisitiva
(quando le possibilità di utilizzazione dei beni sul mercato determinano la situazione di
classe). Weber fa una distinzione anche tra classe e ceto, in quanto se la prima è
caratterizzata dalla posizione economica, per situazione di ceto si deve intendere un
effettivo privilegiamento positivo o negativo nella considerazione sociale, fondato sul modo
di condotta della vita, e perciò sulla specie di educazione formale e sul prestigio derivante
dalla nascita o dalla professione.
Weber ne “La scienza come professione” introduce il concetto di razionalizzazione che
porta al disincanto del mondo cioè alla sostituzione della spiegazione magica con quella
scientifico-razionale: non occorre più ricorrere alla magia per dominare o per ingraziarsi gli
spiriti, come fa il selvaggio per il quale esistono simili potenze. A ciò sopperiscono la
ragione e i mezzi tecnici. Concetto ripreso da Latouche che sostiene che il disincanto del
mondo moderno è al tempo stesso più semplice e più profondo di quel che fa intendere
l’analisi di Max Weber; è perdita di ogni capacità di meraviglia di fronte al creato. Tutto
viene banalizzato e la banalizzazione è senza rimedio.
Dalla razionalizzazione deriva la nascita della burocrazia per amministrare e gestire
attività complesse. La burocrazia è un tipo ideale; è un apparato permanente organizzato
in modo gerarchico e regolato da norme generali e astratte. Gli elementi essenziali che la
caratterizzano sono: divisione del lavoro con conseguente specializzazione,
organizzazione degli uffici secondo il principio gerarchico (controllo e supervisione di un
ufficio superiore), regole e norme definiscono la responsabilità e i rapporti dei membri
dell’organizzazione, il funzionario opera con spirito impersonalmente formale, l’impiego
nell’organizzazione burocratica costituisce una carriera, l’ufficio ≠ l’abitazione; l’ufficio →
funzionari, mezzi, atti, l’ufficio è una professione (implica studi, prove di qualificazione,
etc.). Le caratteristiche della burocrazia sono efficienza, calcolabilità, prevedibilità e
controllo. Stesse caratteristiche presenti anche al McDonald’s (G. Ritzer, Il mondo alla

19 di 65
McDonald’s); prevedibilità (servizio e cibi sempre uguali), controllo (sia sui clienti con
videocamere di sorveglianza), sia sui cibi che sui dipendenti; efficenza e calcolabilità.
Collegato all’alienazione a causa del lavoro automatico e ripetitivo. Pur riconoscendo i
vantaggi che si potevano trarre dalla razionalizzazione, Weber era preoccupato dei pericoli
da essa rappresentati, in particolare la possibilità di ciò che definì la “gabbia d’acciaio”
della razionalità (altra forma di alienazione). Consapevole degli aspetti disumani e
disumanizzanti dei sistemi razionali, paventava la possibilità, la probabilità in effetti, che un
numero crescente di strutture sociali venissero razionalizzate. La burocrazia è di carattere
“razionale”. La regola, lo scopo, il mezzo, la impersonalità “oggettiva” dominano la sua
condotta. Preoccupazioni di Weber per l’enorme potere acquisito dalla burocrazia nelle
società occidentali. Burocratizzazione → alienazione (differenza con Marx)
Successivamente superamento della burocrazia weberiana: dal modello di burocrazia
descritto da Max Weber alla prospettiva di una “amministrazione condivisa” con centralità
dell’informazione (all’interno e verso l’esterno) e superamento dello stile impersonale
(bisogno di una relazione con l’utente).
In “La politica come professione” Weber distingue due tipi di etica: l’etica della
convinzione e l’etica della responsabilità. La massima dell’etica della convinzione: «Il
cristiano opera da giusto e rimette l’esito nelle mani di Dio». Secondo l’etica della
responsabilità «bisogna rispondere delle conseguenze (prevedibili) delle proprie azioni».
L’etica della convinzione e quella della responsabilità non sono assolutamente antitetiche
ma si completano a vicenda e solo congiunte formano il vero uomo, quello che può avere
la “vocazione alla politica”, l’uomo politico. La politica consiste in un lento e tenace
superamento di dure difficoltà, da compiersi con passione e discernimento al tempo
stesso. È perfettamente esatto, e confermato da tutta l’esperienza storica, che il possibile
non verrebbe raggiunto se nel mondo non si ritentasse sempre l’impossibile. Solo chi è
sicuro di non venir meno anche se il mondo, considerato dal suo punto di vista, è troppo
stupido o volgare per ciò che egli vuol offrirgli, e di poter ancora dire di fronte a tutto ciò:
“Non importa, continuiamo!”, solo un uomo del genere ha la “vocazione” per la politica.
Comprensione → azione → potere → carisma
Razionalizzazione → burocrazia → tipo ideale
Etica → politica

Capitolo 3: gli sviluppi del positivismo in Francia:


E.Durkheim
Strettissimo ed evidentissimo il rapporto tra la sociologia di Emile Durkheim e i problemi
della Francia del suo tempo. Si trovò a vivere la giovinezza in una Francia uscita da una
guerra perduta e ciò comportava sentimenti nazionalistici di rivincita che egli condivideva.
Inoltre la situazione interna era precaria in seguito ai conflitti di classe sfociati in una
guerra civile. Durkheim si ricollega alla tradizione del positivismo comtiano, che aveva a
fondamento il compito di ristabilire l’ordine messo in crisi dalla rivoluzione francese.
Durkheim si pone lo stesso compito in relazione ai problemi internazionali e ai disordini
interni. Comte e Durkheim si oppongono all’individualismo e vedono nella solidarietà
sociale un valore superiore rispetto al singolo. Durkheim critica l’economia politica in
quanto sostiene che l’unica realtà sia l’individuo: nel pensiero degli economisti classici non
vi è nulla di reale nella società tranne l’individuo. A Comte l’autore riconosce il merito di
aver colto come la società sia una realtà che non può essere ridotta alla somma degli
individui che la compongono.
Nel “La divisione del lavoro” Durkheim si pone il compito di stabilire un ordine sociale
sulla base dei principi dell’economia borghese. L’ordine impone limiti che il sistema
economico borghese, basato sulla libera concorrenza e sul non intervento dello stato nelle

20 di 65
attività economiche dei singoli, non avrebbe accettato. Cerca di risolvere questo compito
scendendo sullo stesso piano degli economisti classici, quello della divisione del lavoro.
Cerca di dimostrare come i contratti su cui la divisione del lavoro si basa nell’economia
borghese, concorrenziale e individualistica, presuppongono un elemento non riconducibile
all’egoismo dei singoli e quindi all’individualismo, la solidarietà. È alla base della società
(anche di quella basata sulla concorrenza e sul contratto) e del mutamento sociale.
Durkheim distingue tra solidarietà meccanica e solidarietà organica. La prima è fondata
su un sistema di credenze e sentimenti comuni, sull’identità delle funzioni delle sue parti e
sul prevalere della coscienza collettiva su quella individuale; caratteristica delle società
semplici, in cui non si ha in minima misura la divisione del lavoro. La seconda indica il
superamento della società fondata sulla somiglianza delle funzioni e la necessità della
divisione del lavoro, dove ogni parte svolge la propria funzione. La divisione del lavoro si
rende necessaria per un aumento del volume e della densità di popolazione (direttamente
proporzionali). Il volume è numero degli individui che appartengono a una data collettività;
la densità è il numero di individui su una superficie data. All’aumento del volume e quindi
di conseguenza all’aumento della densità corrisponde un aumento della densità morale,
cioè una maggiore intensità delle comunicazioni e degli scambi tra individui. Maggiore
vicinanza fisica comporta maggiori possibilità di interazione. La divisione del lavoro cresce
quanto più numerosi sono gli individui sufficientemente a contatto da poter agire e reagire
gli uni sugli altri.
Nella solidarietà organica vi sono più possibilità di sviluppare la propria individualità, di
differenziarsi. L'evoluzione sociale intesa come progressiva differenziazione non era
certamente nuova, infatti era già stata trattata da Spencer. Ma Spencer insieme con gli
economisti classici crede di poter fondare la società sull'egoismo individuale, non ne coglie
la natura essenziale, che rimane pur sempre la moralità e l’altruismo. Eppure, la nuova
moralità, fondata sulla differenziazione, sulla divisione del lavoro, non ha ancora avuto
tutto il tempo per svilupparsi a sufficienza. Lo sviluppo dell'industria è stato troppo rapido e
non ha ancora potuto creare un sistema di regole ad esso adeguato. Ciò comporta una
situazione anormale, anomica. L’anomia è l’assenza di norme e regole. Gli uomini non
possono svolgere le loro funzioni se non nell'ambito di una regolamentazione sistematica.
L'operaio isolato nella specializzazione del suo lavoro si riduce a ruolo di una macchina.
La specializzazione può produrre effetti altrettanto negativi nell'ambito del lavoro
scientifico con il pericolo che lo scienziato si chiude sempre di più non soltanto una
scienza particolare, ma anche in un ordine specifico di problemi, estraniandosi così dei
problemi sociali più generali e perdendo il senso della propria attività. Per Marx
l'alienazione si supera solo tramite l'eliminazione della proprietà privata dei mezzi di
produzione, mentre per Durkheim la divisione del lavoro, intesa anche come divisione tra
proprietà e lavoro, va mantenuta. È solo necessario instaurare un sistema di regole e
adeguati rapporti tra individui che esercitano funzioni diverse, così che essi non si sentono
separati nel loro lavoro e ne colgano il significato nei confronti della collettività. Durkheim
ricerca un sistema di regole adeguate alla situazione in atto il quale possa dunque
superare la divisione anomica del lavoro. Queste regole devono essere al di sopra degli
individui, avere autorità morale su di essi e una forza vincolante (regola = maniera di agire
obbligatoria). Durkheim afferma che solo le corporazioni o gruppi professionali (agenti di
una medesima industria, riuniti e organizzati nello stesso corpo), possono, nella società in
cui ci sia un alto grado di divisione del lavoro, costruire le norme che regolano i rapporti
per porre fine all’anomia. Eppure le regole possono anche esserci e non essere giuste. La
divisione della società in caste e classi può essere coercitiva (costrittiva). Durkheim
afferma che la divisione del lavoro nella sua società si fa coercitiva, ma risolve questo
problema affermando che non vi sarebbe più coercizione se i singoli individui
esercitassero funzioni, superiori e inferiori le une alle altre, che fossero adatte alle loro
inclinazioni individuali. La divisione coercitiva si può verificare in quanto l’evoluzione

21 di 65
interna alla società dà la facoltà alle classi inferiori di diventare più simili a quelle superiori.
A questo punto gli individui più dotati non accettano più lo stato di cose in atto. Se
l’istituzione delle classi e delle caste dà origine a dissensi invece di produrre solidarietà,
ciò accade perché la distribuzione delle funzioni sociali sulla quale riposa non corrisponde
più alla distribuzione dei talenti naturali.
Ritorna in termini chiari ed espliciti l’esigenza della religione come forza morale che
mantiene la coesione degli individui nella società ne “Il suicidio”, dove tratta di un
problema sociale in aumento, applicando la sua teoria del predominio della forza della
società su quella individuale. Anziché individuare una continuità tra la realtà sociale e gli
stati d’animo individuali e vedere un rapporto di condizionamento tra i due, egli tende a
scindere i due momenti. Afferma che quelle che sono reputate le cause individuali non
costruiscono le sue vere cause, le quali invece sono sociali (accusa di sociologismo).
Sostiene che le decisioni umane sono spesso forma senza altro oggetto che di rinforzare
una soluzione già presa per motivi che la coscienza ignora. Se i motivi consapevoli
corrispondessero con quelli effettivi, non vi sarebbe nulla da scoprire e le scienze
dell’uomo non avrebbero alcun motivo di essere, in quanto potrebbero ripetere solo quanto
già si conosce nella vita vissuta. L’intendo di Durkheim è di dimostrare che con il diminuire
della coesione sociale aumenta il tasso di suicidi e viceversa. Il suicidio rappresenta
qualsiasi caso di morte derivata direttamente o indirettamente da un’azione positiva o
negativa compiuta dalla vittima stessa e che quest’ultima sapeva che avrebbe dovuto
produrre questo risultato Distingue tre tipi di suicidi, che corrispondono a tre tipi diversi di
società. Il suicidio egoistico si ha quando la società è basata su principi individualistici:
individualismo prevale sulla coesione sociale (individuo si allontana dalla società e si
chiude in se stesso). Quindi quando la coscienza individuale prevale su quella collettiva →
eccesso di individualismo. Ad esempio, il tasso dei suicidi varia con il variare delle
religioni. È più alto tra i protestanti, in quanto la loro religione consente un ampio margine
di libertà individuale (più l’individuo è libero, peggio è). È più basso tra i cattolici perché
questi sono guidati da un principio di autorità indiscutibile e al di sopra degli individui, e
anche più basso tra gli ebrei in quanto gruppo minoritario che si regge sulla sua forte
coesione interna, dovuta ai sentimenti di solidarietà sviluppati durante la persecuzione da
parte dei cristiani. Inoltre il suicidio varia inversamente proporzionale rispetto al grado di
interazione della società religiosa, domestica e familiare.
Il suicidio altruistico invece, è caratteristico delle società semplici, fondata sul prevalere
della coscienza collettiva su quella individuale. L’individuo si annulla nella società. Ad
esempio è il caso del suicidi delle mogli che seguono i mariti nella morte.
Il terzo tipo di suicidio è il suicidio anomico, sviluppato in relazione alle crisi economiche.
Il tasso dei suicidi aumenta sia nei momenti di crisi sia nei momenti di prosperità. Gli
uomini hanno bisogno di un’autorità morale che nei loro confronti agisca da regola e da
freno. Quando lo sviluppo economico fa credere che ogni meta sia raggiungibile, l’uomo
appare sempre insoddisfatto e desideroso di raggiungere nuove mete; questo perché non
sa autoregolarsi. La società quindi non agisce più come potere che lo regola e non gli
impone alcun limite. Si cade così in una condizione di anomia, cioè di perdita del senso
dei limiti (inadeguatezza). L’autore include del suicidio anomico anche i casi dovuti alla
disintegrazione familiare. Il matrimonio ad esempio, ha anch’esso la funzione di regolare la
vita; così che quando è sciolto dal divorzio, il tasso dei suicidi aumenta.
Poiché la società è anzitutto autorità morale, l’educazione, attraverso cui tale autorità si
trasmette, ha un’importanza centrale. L’importante non è tanto quali sono i principi
insegnati, ma che ci sia un’autorità morale che rappresenti la società e che inculchi nei
giovani un qualche sistema educativo, qualunque esso sia.
In “Le forme elementari della vita religiosa”, Durkheim sostiene che la religione è un
sistema solidale di credenze e di pratiche relative a cose sacre le quali uniscono in
un’unica comunità morale coloro che vi aderiscono. Non è interessato agli aspetti esteriori

22 di 65
delle religioni ma vuole coglierne la funzione, cioè quella di raggiungere le coscienze, di
tonificarle e disciplinarle, di esaltare la vita morale (la partecipazione religiosa è
fondamento della società). La religione agisce come collante del tessuto sociale, che
sorge attraverso l’interazione, grazie ai rituali e alle funzioni religiose. Questi hanno il
compito di tenere viva la coscienza collettiva rinnovando momenti di collaborazione,
fusione degli individui e di rigenerare il sentimento di appartenenza al gruppo. Secondo
Birrell gli eventi sportivi hanno una dimensione rituale.
Le divisioni in giorni, settimane, mesi, anni ecc., corrispondono alla periodicità dei riti, delle
feste e delle cerimonie pubbliche. Un calendario esprime il ritmo dell’attività collettiva, oltre
a garantirne la regolarità. La stessa cosa vale per lo spazio. Le categorie del tempo e dello
spazio sono rese possibili dall’organizzazione e dalla suddivisione di essi a opera della
società, cioè di un processo collettivo.
La società, in quanto forza morale, impone continuamente limiti ai nostri impulsi egoistici,
eppure, questi, in quanto costitutivi del nostro corpo, non possono scomparire. E la
società, sviluppandosi sempre di più, sempre più ci richiede sacrifici. Il carattere
conflittuale della nostra vita è così strutturato: ci sono presenti in essa forze diverse,
individuali ed egoistiche da un lato, sociali, quindi morali e organizzatrici dall’altro.
Ne “Le regole del metodo sociologico”, Durkheim giunge alla definizione di sociologia
come studio dei fatti sociali, i quali vanno considerati come cose (oggetto della
sociologia→ fatti sociali). I fatti sociali sono dei “modi di fare” generalmente condivisi,
esterni all’individuo e capaci di esercitare su di esso una pressione. L’individuo si deve
adattare a queste caratteristiche (generalità, esteriorità) che portano alla coercizione
(costrizione). I modi di fare vengono appresi tramite l’educazione che consiste in uno
sforzo di imporre al fanciullo modi di vedere, agire e sentire ai quali non sarebbe
spontaneamente giunto. Dopo essere stati interiorizzati, la coercizione viene meno e dà
origine ad abitudini.
Fatti di “morfologia sociale” → La sociologia non può disinteressarsi di ciò che riguarda il
sostrato (strato inferiore) della vita collettiva. Se la popolazione si concentra nelle nostre
città anziché distribuirsi per le campagne, è perché c’è una corrente di opinione, una
spinta collettiva che impone agli individui questa concentrazione. Il tipo di abitazione che ci
si impone non è che il modo in cui tutti quelli che ci circondano e, in parte, le generazioni
anteriori, si sono abituati a costruire le case.
Ogni fatto sociale ha come causa un altro fatto sociale: «i fatti sociali non possono essere
spiegati che con fatti sociali». I fatti sociali vanno spiegati facendo riferimento alle funzioni
che svolgono. Infatti quando si comincia a spiegare un fenomeno sociale, bisogna cercare
separatamente la causa efficiente che lo produce e la funzione che assolve. La causa
determinante di un fatto sociale deve essere cercata tra i fatti sociali antecedenti e non tra
gli stati della coscienza individuale. La funzione di un fatto sociale deve sempre essere
ricercata in un rapporto che esso ha con qualche fine sociale (esempio: funzioni della
divisione del lavoro→ solidarietà organica; funzioni della religione→ collante del tessuto
sociale).

Capitolo 4: le teorie degli elitisti


Italia: sviluppo degli studi sociologici ma poca originalità. Una sola tendenza teorica è
riuscita ad imporsi per la sua rilevanza: le teorie degli elitisti. I cui esponenti più noti sono
G.Mosca, V.Pareto e R.Michels. Gli elitisti sono eredi di Machiavelli.
In “Sulla teorica dei governi e sul governo parlamentare” Gaetano Mosca formula il
principio fondamentale delle teorie elitistiche: ogni governo così come ogni forma di potere
consiste in un gruppo minoritario organizzato che domina una maggioranza organizzata.
Una minoranza organizzata trionfa sempre sopra una maggioranza disorganizzata.
L’autore definisce tale minoranza come “classe politica”. I tradizionali tipi di governo sono
23 di 65
principi di giustificazione in base ai quali coloro che detengono il potere lo legittimano e lo
esercitano. Ciò è quanto si intende per “formula politica” (insieme di credenze accettate
che dà legittimità ad un governo/che dà base morale al potere dei dirigenti). Qualunque
classe politica, in qualsiasi modo costituita, non confessa mai che essa comanda, per il
semplice fatto che è composta dagli elementi che sono i più adatti a governare; ma trova
sempre la giustificazione del suo potere in un principio astratto, una formula che noi
chiameremo la formula politica: il dire che tutti funzionari ripetono la propria autorità dal
sovrano, il quale a sua volta riceve la sua da Dio, è fare uso di una formula politica; l'altra
credenza che tutti i poteri abbiano base nella volontà popolare è un'altra formula politica.
Su questa base Mosca critica il carattere fittizio (ingannevole) della democrazia
parlamentare. Non possiamo concepire una società per quanto democratica, nella quale il
governo sia esercitato da tutti. Anche in questo caso è necessaria una macchina
organizzativa, un'organizzazione composta naturalmente da una minoranza numerica.
Anche in questo caso, tutte le funzioni pubbliche sono esercitate da una classe speciale di
persone, non da un solo né da tutti.
Mosca si oppone al fascismo. Vuole cercare la forma migliore di governo, critica il
parlamentarismo, i cui limiti non crede possano essere superati con rimedi interni al
sistema, il quale va dunque scartato. Egli poi dimostra il suo risentimento verso il sistema
elettorale italiano. Questo pessimismo nei confronti del governo parlamentare non
comporta una totale sfiducia nei confronti del potere politico; egli anzi indica le fasi di
un’evoluzione delle classe politica. Nelle società primitive prevale sempre l’elemento del
valore militare, i bravi, i forti sono quelli che si impongono e formano la classe dominante.
Assicurata una pace relativa che agevola lo sviluppo economico, allora i forti diventeranno
i ricchi. Farà seguito poi il criterio del merito personale. Mosca reputa sempre possibili
involuzioni, nel senso che, per certi periodi il potere militare si può imporre su quello
economico e dei meriti personali. Questo fenomeno chiamato “cesarismo” è condannato
dall’autore nella convinzione che non possa durare molto tempo in quanto una superiorità
di indole morale alla lunga prevale sempre sulla superiorità del numero e della forza bruta.
Da queste parole emerge come Mosca desideri un governo in cui la minoranza sia fondata
su una superiorità morale, di virtù e talenti.
Mosca propende per un governo misto in cui non prevalga né l’elemento aristocratico, in
cui le élite sono gruppi chiusi, né quello democratico, in cui le élite sono invece reclutate
più liberamente dalle varie componenti della società. Egli teme maggiormente le rivoluzioni
improvvise e violente. Per questo pur non essendo contrario al sistema rappresentativo in
cui, a suo parere, non è il popolo a governare, ma una pluralità di élite che muovono da
punti di vista diversi, egli teme in modo particolare la concessione del suffragio agli strati
più incolti della popolazione. Ripone le sue speranze nelle classi medie e nei valori che
rappresentano: l’istruzione, l’esperienza, la moderazione ecc
Uno tra i problemi più difficili da risolvere per Mosca è come si forma una classe politica.
Egli sembra convinto che la classe politica sia formata da elementi che hanno attitudini al
comando e insiste sulla necessità di una loro superiore indole morale, così che egli
auspica una società meritocratica in cui governino coloro che effettivamente hanno più
meriti e più capacità.
Vilfredo Pareto con il suo “Trattato di sociologia generale” deride sarcasticamente
coloro che avevano risposto nella scienza la fiducia in un miglioramento della società.
Contro questi autori, che a suo parere proclamavano vere scientificamente le loro teorie
solo in quanto legati ad esse emotivamente, Pareto sostiene la necessità di una sociologia
fondata sul metodo logico sperimentale, che ai fatti si attenga realmente. Egli afferma poi,
la totale indipendenza dei risultati della scienza rispetto a ciò che può essere buono e utile
per la società. Rimane comunque ottimista: è convinto che lo scienziato ha la possibilità di
attenersi esclusivamente ai fatti e di osservali oggettivamente.

24 di 65
Successivamente Pareto si convinse che l’uomo non può essere compreso solo come
essere razionale e che anzi, gli aspetti irrazionali hanno un peso molto maggiore di quelli
razionali. Distingue le azioni logiche da quelle non-logiche che prevalgono nell’attività
umana. Daremo il nome di “azioni logiche” alle azioni che uniscono logicamente le azioni
al fine e in cui il fine oggettivo è identico a quello soggettivo. Esempio: l’azione
dell’ingegnere che costruisce un ponte. Le altre azioni saranno dette “non logiche”, il che
non vuole significare illogiche; la relazione mezzi-fini esiste solo soggettivamente, non
oggettivamente. Esempio: danza della pioggia. Chi agisce crede che i mezzi impiegati
consentono di raggiungere lo scopo desiderato.
Nell’affermazione circa il carattere irrazionale dell’attività umana è implicita la distinzione
tra residui e derivazioni. I residui sono manifestazioni di sentimenti, di forze irrazionali,
che condizionano l’azione dell’uomo e la stessa sua attività intellettuale. Sono suddivisi in
sei classi con suddivisioni interne e con questa classificazione l’autore crede di poter
metter in chiaro le essenziali esigenze umane e le azioni che ne derivano:
- Istinto delle combinazioni: la tendenza, da parte dell’uomo, di fare accostamenti. Di
combinazioni ne fa anche lo scienziato nel suo laboratorio, ma tuttavia esse sono
totalmente infondate. Viene attribuita molta importanza a questo residuo perché è quello
che spinge gli uomini a riunirsi, ed è quindi a fondamento della civiltà stessa.
- Persistenza degli aggregati: essa fa sì che gli uomini, una volta formatasi una
combinazione, tendano ad attribuire a essa una certa stabilità e una certa indipendenza
dal resto della realtà.
- Bisogno di manifestare con atti esterni i sentimenti: per esempio l’esigenza di
esprimere con attività esterne i sentimenti religiosi, quindi l’esteriorità dei culti
- Residui in relazione con la socialità: alla sua base sta l’impulso a vivere in società
- Integrità dell’individuo e delle sue dipendenze: da cui Pareto fa dipendere il senso
della proprietà. Non è solo manifestazione di sentimenti egoistici, in quanto tale residuo
viene esteso anche agli altri, ma solo coloro che tornano utili a se stessi e non agli altri
- Residuo sessuale: non coincide con l’impulso sessuale, ma con i sentimenti ad esso
connessi, che tendono a celare l’impulso.
Ogni tentativo di spiegare tale attività trascurando l’irrazionale e riducendolo entro schemi
razionali è destinato a fallire. Esempio: la fedeltà ad una associazione sportiva. Non c’è
nessuna ragione logica alla base di questa fedeltà. È un esempio di attaccamento alle
«società particolari» → residuo in rapporto con la socialità. L'uomo non si vuole
riconoscere come irrazionale, ma tende a spiegare la sua attività, che è irrazionale, come
se fosse razionale. È presente nell’uomo il continuo bisogno di giustificare a priori il proprio
operato come logico. Questi principi di giustificazione sono appunto le derivazioni. Pareto
ne individua classi di derivazioni:
- Semplici affermazioni: l’affermazione sussiste per virtù propria, per una certa forza
intrinseca, indipendentemente dall’esperienza. Il consenso all’affermazione è dovuto ai
sentimenti. Es. la madre che dice al figlio: obbedisci perché bisogna obbedire;
- Principio di autorità: quando si assume come prova di verità la fine da
pseudoautorevole da cui giunge l’affermazione. Es. la mamma che dice al figlio: devi
obbedire perché papà lo vuole;
- Accordo con sentimenti e principi: quando l’affermazione si avverte come vera
perché essa trova consenso (tutti credono in Dio, dunque Dio esiste). Es.: quando si fa
appello alla volontà di entità soprannaturali;
- Prove verbali: uso di termini ambigui, imprecisione del linguaggio; importanza della
ripetizione, anche se non ha alcun valore logico-sperimentale vale di più perché si
imprime nella mente delle persone. Opera principalmente sui sentimenti e modifica i
residui. Quando un governo o qualche potenza finanziaria vogliono far difendere un
25 di 65
qualche provvedimento dai giornali, è notevole che spesso, i ragionamenti adoperati
siano lungi dall’essere i migliori per dimostrare l’utilità del provvedimento; si usano
generalmente le peggiori derivazioni verbali, di autorità e simili. Ma ciò poco preme, anzi
talvolta giova; occorre principalmente avere una derivazione semplice, che tutti possano
capire, anche i più ignoranti, e ripeterla indefinitamente.
Pareto passa poi all'analisi scientifica dei principi che regolano il funzionamento della
stessa società. Egli comincia dallo studio delle élite, che a suo parere possono essere
individuate con criteri totalmente oggettivi. Supponiamo che ad ogni ramo della umana
attività si assegni a ciascun individuo un indice che indichi la sua capacità, come si danno i
punti negli esami a scuola. Per ogni ramo dell'attività umana vi sarà dunque una classe
eletta costituita dagli elementi oggettivamente migliori in tale attività. Abbiamo quindi due
strati della popolazione: lo strato inferiore, la classe non eletta; lo strato superiore, la
classe eletta, che si divide in due: la classe eletta di governo e la classe eletta non di
governo. Le classi elette non costituiscono entità statiche ma vi è la tendenza a continui
mutamenti interni, nel senso che la persistenza degli aggregati viene ad attenuarsi in
alcuni suoi elementi che devono essere sostituiti. Dunque nemmeno essa è sufficiente a
mantenere l’élite nel suo insieme. Originariamente i governanti sono appartenenti a una
classe eletta, ma questa loro forza si perde con il tempo e si formano nuove energie nelle
classi inferiori, che così verranno a formare nuove aristocrazie. La società è un sistema di
elementi in equilibrio, di modo che ogni mutamento in un suo settore comporta un
mutamento nell’intero sistema. La funzione essenziale dei residui consiste nel mantenere
l’equilibrio dinamico della società. Il sistema sociale quindi, è retto dai residui, e solo i lenti
mutamenti che si verificano in essi provocano il mutamento della società.
Roberto Michels scrive “La sociologia del partito politico nella democrazia moderna”,
dove introduce la legge dell’oligarchia (regime politico o amministrativo caratterizzato
dalla concentrazione del potere effettivo nelle mani di una minoranza): nelle grandi
organizzazioni (es. partiti e sindacati) è inevitabile che si formi un’oligarchia capeggiata da
leaders esperti. Infatti, secondo Michels il potere non può essere conservato se non
tramite un’organizzazione. Le masse, composte da individui deboli, diventano forti solo se
organizzate. La disuguaglianza nella struttura del potere non dipende solo dalla
dimensione di un’organizzazione; spesso chi si trova al vertice di un’organizzazione perde
il controllo su molte decisioni amministrative che vengono prese ai livelli inferiori
dell’organizzazione. Di solito, all’interno delle grandi organizzazioni si ricorre alla delega di
poteri (il potere è delegato dai superiori ai subordinati) → grandi aziende giapponesi.
Un'organizzazione politica ha bisogno, per sussistere, di personale specializzato, ma ciò
comporta inevitabilmente una selezione per la formazione di tale personale e
l’impossibilità da parte della massa in quanto tale di esercitare un potere diretto. L'autore
si sofferma spesso a denigrare le masse in quanto passive, disposte a sottomettersi ai
comandi senza comprenderli, sempre in balia di suggestioni irrazionali e al culto della
personalità dei loro capi.

Capitolo 5: l’eredità di Marx e Weber nel pensiero di


Mannheim
Weber aveva lasciato aperto un grave problema. Aveva affermato che la scienza poteva
indicare i mezzi più adatti per raggiungere determinati fini, ma non poteva valutare questi
ultimi, che costituivano materia di fede. Le scienze sociali non potevano dunque dare
indicazioni ai politici circa quali fini preferire. Si doveva necessariamente cercare un aiuto
per risolvere problemi pratici. Bisognava cercare la via di uscita migliore. Il come
ricostruire una nuova società, migliore della precedente che aveva condotto alla
catastrofe, diventa il problema centrale delle scienze sociali e della sociologia.

26 di 65
Karl Mannheim non accetterà mai il marxismo e i suoi studi filosofici e sociologici sullo
storicismo lo porteranno a una formulazione più generale del problema del
condizionamento di classe. Secondo tale formulazione il pensiero è sempre condizionato
socialmente e storicamente. Gli uomini pensano inevitabilmente in termini condizionati
dalla loro posizione nella società. Il pensiero degli uomini è sempre in rapporto con la loro
esistenza. A determinate posizioni sociali e alle conseguenti attività corrispondono
specifici interessi di parte e conseguentemente specifici modi di pensare e specifiche
posizioni teoriche. La disciplina che affronta tale problema è denominata da Mannheim
“sociologia della conoscenza” (studia le relazioni tra conoscenza ed esistenza sociale;
la natura di questa relazione si basa sul pensiero e sul suo condizionamento sociale che
avviene in modo extra razionale).
Mannheim considera come antecedente teorico della sociologia della conoscenza la teoria
dell'ideologia di Marx. Distingue tra una concezione parziale e una concezione totale
dell’ideologia. Secondo la prima le ideologie sono affermazioni particolari specifiche circa
argomenti determinanti, le quali risultano distorte in seguito agli interessi di parte dei loro
sostenitori per difenderle. Sono considerate come contraffazioni di una situazione reale e
si manifestano sotto forma di menzogne, di inganni calcolati verso gli altri o di autoillusioni.
La concezione totale dell'ideologia implica invece l'idea secondo cui a una determinata
posizione sociale di un gruppo corrisponde un modo unitario di interpretare la realtà, una
visione del mondo che rende unito questo gruppo e al tempo stesso lo distingue dagli altri.
Un’epoca storica, un'azione o una classe sociale hanno ognuna una propria concezione
del mondo che la caratterizza così che noi possiamo riconoscere le origini storiche e
sociali delle proposizioni teoriche. L’ideologia totale presuppone che essere in uno stato
sociale influisce il modo in cui guardiamo la realtà ed è quindi un condizionamento storico
sociale del pensiero. Si ha quindi una prospettiva; con tale termine noi ci riferiamo a tutto
il modo di concepire la realtà da parte del soggetto, così come è determinato dalla sua
posizione storica e sociale. Prospettiva significa: la maniera in cui si osserva un oggetto,
ciò che si percepisce di esso e come lo si interpreta nel nostro pensiero. La stessa parola,
o, in molti casi, lo stesso concetto significano cose del tutto diverse se vengono adoperati
da persone differentemente situate nella società (esempio: libertà).
A causa del condizionamento storico-sociale del pensiero il pensiero è necessariamente
non valido? Per rispondere a questa domanda introduce la distinzione tra relativismo e
relazionismo. Rischia di cadere nel relativismo, una posizione filosofica che nega
l'esistenza di verità assolute (la verità non esiste). Ma afferma che per lui la verità ha un
carattere relazionistico, non nega che esista una verità ma che la verità non è assoluta
ma relativa al contesto. Il problema in tal modo sembra risolto più terminologicamente che
sostanzialmente. Lo stesso autore in questione non appare in realtà del tutto soddisfatto
da questa soluzione, e cerca altre vie d’uscita. Forse egli è rimasto famoso soprattutto per
aver fatto riferimento agli intellettuali come categoria teoricamente privilegiata, che può
raggiungere una verità superiore rispetto alle posizioni più direttamente condizionate da
interessi di parte. L'intellettuale è particolarmente avvantaggiato perché più svincolato da
costrizioni istituzionali. Non è direttamente coinvolto nel mondo della produzione e, grazie
ad un livello di istruzione superiore, acquista maggiore imparzialità, maggiori possibilità di
critica e autocritica rispetto alle posizioni più direttamente condizionate. Inoltre gli
intellettuali possono cogliere i fattori razionali e inconsci che solitamente entrano nelle
scelte politiche. Mannheim afferma che la verità non può risiede in concezioni troppo
collegate con interessi di classe, e auspica la mediazione degli intellettuali, che soli
forniscono la possibilità di distogliere la politica dall’irrazionale e fondare una politica
scientifica. L'autore auspica un superamento meramente culturale delle divergenze
teoriche che lascia intatta la struttura. Ciò attraverso la mediazione dell’intellettuale.
Inoltre non pone la classe borghese sullo stesso piano di quella proletaria. La prima, infatti
è portata, sulla base dei suoi propri interessi a pensare in termini ideologici. La seconda in

27 di 65
termini utopici. L’ideologia rappresenta la posizione statica di una classe al potere
incapace di comprendere l'elemento dinamico della storia. L’utopia, anch’essa ha una
visione condizionata, ma rappresenta la posizione della classe che, trovandosi a essere
subordinata al potere costituito, accoglie, sulla base dei propri esigenze, la possibilità di
trasformazione della società. L’utopia ha la possibilità di cogliere la dinamica della società,
il che è precluso all’ideologia.
Il primo ad usare la parola utopia è stato T.Moro nel 1516; per lui la parola rappresentava
una condizione di vita ideale (esempio: senza leggi. Mentre per Mannheim utopia significa
progetto volto a scardinare l’ordine esistente.
Utopici possono considerarsi soltanto quegli orientamenti che, quando si traducono in
pratica, tendono, in maniera parziale o totale, a rompere l’ordine prevalente. Con il termine
moderno di utopia s’intende generalmente un’idea che è irrealizzabile in via di principio.
Noi useremo questo termine in un senso relativo, intendendo per utopia soltanto ciò che
sembra inattuabile dal punto di vista di un determinato ordine sociale già affermato.
Successivamente l'autore si dedica alla ricerca di una nuova forma di organizzazione
sociale, più razionale di quelle esistenti. In “L'uomo e la società in un'età di
ricostruzione” l'autore distingue tra due forme di razionalità. Egli nomina la prima
razionalità “sostanziale” che si ha quando il soggetto è pienamente cosciente dell’atto che
compie in relazione ai mezzi a disposizione e ai fini che vuole raggiungere. Non è questo il
caso della razionalità “funzionale”, che si ha quando il soggetto compie una serie di azioni
atte a raggiungere una determinata meta la quale tuttavia nel suo significato gli sfugge. Ad
esempio il soldato costretto ad obbedire a ordini che non comprende.
L'industrializzazione comporta l'espandersi di questa seconda forma di razionalità che
sacrifica il singolo, non gli permette l'autorizzazione e la libertà di scegliere
coscientemente tra una pluralità di fini. L'autore si chiede come porre rimedio a questo
stato di cose, e risponde che razionalità e libertà si realizzano sempre in forme diverse a
seconda del loro contesto sociale e dei diversi gradi di sviluppo della tecnologia.
In una società di massa non si può lasciare che le cose si sviluppino e trovino una corretta
soluzione attraverso la continua contrattazione e l'assestamento occasionale. Ormai i
principi del liberalismo sono superati e non possono stare a fondamento della società se
non creando disordine, manipolazione, ingiustizia e traducendosi in forme di totalitarismo.
Come alternativa non rimane che la pianificazione democratica. La pianificazione è la
morte di ogni libertà ma è la sola via di uscita qualora ci si ponga come compito di regolare
tutti i rapporti sociali in modo da assicurare la libertà collettiva del gruppo in conformità ad
un piano riconosciuto democraticamente. Nei paesi democratici vi è la possibilità di dare
gradualmente una nuova definizione del significato di pianificazione, così che il termine
non si associ con quello di uniformità, ma con quello di coordinazione, nel senso di
armonizzare gli strumenti della tecnica sociale, intendendo cioè, in poche parole, la
pianificazione come pianificazione per la libertà. La pianificazione non è in conflitto con la
libertà perché di fatto anche nelle società non pianificate gli individui sono condizionati
socialmente. La pianificazione democratica permette di diventare coscienti di questo
condizionamento, quindi più liberi.
Mannheim in “Le generazioni” afferma che l’esperienza acquisita con l’età è un vantaggio
in molti casi; ma dall’altra parte, il fatto che la gioventù abbia poca esperienza rappresenta
per i giovani una diminuzione del peso, facilita la loro vita in un mondo che cambia. «Il
fenomeno delle generazioni è uno dei fattori fondamentali nella genesi della dinamica
storica.
L’autore viene criticato in quanto sottolineando i condizionamenti storico-sociali si nega la
libertà dell’individuo. Inoltre auspica una falsa libertà perché non prende in considerazione
la necessità di una trasformazione della struttura economica della società. (Accusa di
conservatorismo). Non chiarisce le modalità del condizionamento.

28 di 65
Capitolo 6: le origini
della sociologia
nordamericana
L'idea tanto diffusa nella sociologia come disciplina tipicamente americana è storicamente
errata, in quanto le teorie sociologiche hanno avuto origine in Europa. Le lotte politiche, i
conflitti di classe, l'industrializzazione sono stati fattori di primaria importanza nello
sviluppo delle teorie sociologiche europee, nella tradizione nordamericana invece questi
problemi sono spesso ripudiati. La sociologia nord-americana quindi, si è sviluppata in
gran parte come studio per la soluzione di problemi concreti: immigrazione, tensioni
razziali, povertà, delinquenza. Probabilmente per la mancanza di una storia politica
connessa con i problemi di lotta di classe ma anche per la loro tradizione individualistico-
liberale, grazie alla quale la sociologia può interessarsi di problemi concreti e specifici in
quanto alliberà da condizionamenti politici, al contrario della sociologia europea.
Ricordiamo William Sumner che, con la sua opera più nota “Costumi di gruppo”
analizza una serie di dati relativi ai modi in cui gli uomini si organizzano in società le quali
appaiono molto diverse l’una dall’altra. Elabora una serie di categorie interpretative che
egli intende come chiarimenti dei processi di lotta per la sopravvivenza e di selezione.
Distingue tra folkways e mores. I folkways sono abitudini dell'individuo e costumi della
società che sorgono da sforzi intesi a soddisfare i bisogni (usi e costumi). Essi si
sviluppano dall'esperienza, sono trasmessi dalla tradizione e non ammettono eccezioni o
variazioni, pur mutando per affrontare situazioni nuove, ma sempre negli stessi limiti di
metodo. I folkways si trasformano in mores quando è loro associata la convinzione che
essi contribuiscano al benessere sociale (modelli funzionali di comportamento). Le
istituzioni si differenziano in fine sia dai folkways sia dai mores in quanto hanno un
carattere di consapevolezza e di volontarietà e prevedono specifiche sanzioni per le loro
violazioni. I mores entrano in azione dove vengono meno le leggi e i tribunali. Essi
regolano il grande campo della vita quotidiana.
Folkways →mores → istituzioni (livello di obbligatorietà crescente)
Sumner elabora anche altre categorie: gruppo di noi e gruppo di altri → noi/loro e
l’etnocentrismo. I membri di un gruppo di noi si trovano in una relazione di pace, ordine,
legge, governo e industria. La loro relazione con tutti gli stranieri o gruppi di altri è una
relazione di guerra e di saccheggio. L'esistenza stessa dei gruppi di altri rende maggiore
la coesione del gruppo di noi, aumenta la solidarietà. L'etnocentrismo indica la concezione
per la quale il proprio gruppo è considerato il centro di ogni cosa, e tutti gli altri sono
classificati e valutati in rapporto adesso. Ogni gruppo si reputa superiore agli altri e trova in
sé i criteri di verità considerati assoluti da cui deriva il disprezzo per ogni membro di gruppi
di altri.

29 di 65
In Thomas Veblen è presente la mentalità del contadino norvegese sobrio e operoso, che
disdegna il lusso e lo spreco inutile, in particolare la ricchezza che dà modo di vivere
senza lavorare, sfruttando il lavoro altrui. Egli possiede, inoltre, la mentalità dell'immigrato
attivista che crede nella produzione e nella tecnica come uniche forme di evoluzione. Ma
questo secondo aspetto si ricollega il primo nella condanna del consumo vistoso. Nella
sua opera più famosa, “La teoria della classe agiata” l'autore sostiene che è
assolutamente insufficiente spiegare l'istituzione della proprietà privata facendo riferimento
all'esigenza di procurarsi mezzi di sussistenza. Ciò può essere giusto in relazione alle
prime fasi di sviluppo della tecnologia e in casi di estrema povertà. Superati questi limiti,
l'istituzione della proprietà privata si spiega sulla base dell'istinto di competizione. Si vuole
di più di quanto sia non perché se ne abbia bisogno, ma semplicemente per apparire
superiore agli altri. La ricchezza diventa di per sé una qualità personale, conferisce onore
a chi la possiede. La ricchezza acquistata passivamente per eredità diventa persino più
onorifica rispetto alla ricchezza acquistata dal possessore con sforzi. Per dimostrare agli
altri di possedere tale ricchezza, negli ambienti dove la gente si conosce poco e
l'agiatezza appare più difficile da verificare, si ricorre al consumo vistoso, che ha la
funzione di fare apparire al prossimo le proprie possibilità economiche. I mezzi di
comunicazione e la mobilità della gente espongono adesso l’individuo all’esame di molte
persone che non dispongono di altro mezzo per giudicare della sua rispettabilità che lo
sfoggio di beni (e forse di educazione) che egli è capace di fare mentre è sotto la loro
osservazione diretta. Si giudica bello ciò che dà prestigio in quanto dotato di valore
economico. L'utilità degli articoli valutati per la bellezza dipende strettamente dalla loro
costosità, quindi dalla consapevolezza del suo maggiore prezzo e dalla sua maggiore
capacità di farci valere nell'opinione degli altri. Distingue la funzione manifesta e la
funzione latente. La prima consente ad una persona di vivere nell’agio; la seconda id
mostrare e agli altri la propria superiorità economica oppure simularla (Merton).
Veblen → critica della società americana: società basata sulla competizione e sulla
ostentazione del successo.
L’autore distingue due tipi di attività così come due tipi di istituzioni economiche: da un lato
abbiamo l'istituzione e l'attività finanziaria, basate sul guadagno che deriva dalla proprietà
e dallo scambio senza che vi sia produttività. A tal proposito critica i capitalisti accusati di
vivere di attività finanziaria e improduttiva, sfruttando il lavoro altrui e guardando solo al
profitto e al consumo e di accentuare il fenomeno del consumo vistoso. Dall'altro lato
abbiamo l'istituzione e l'attività industriale, propria di coloro che operano come tecnici e
ingegneri o attraverso il lavoro manuale produttivo.
Veblen apre la tradizione della sociologia critica. La critica alla società nordamericana è
condotta sulla base dell'idea che nella realtà essa non realizzava, a causa della presenza
della classe agiata che, che vive senza lavoro produttivo, il valore dell’efficientismo, cioè la
ricerca dell'efficienza a tutti i costi.
George Herbert Mead ha come problema fondamentale quello di individuare i presupposti
necessari per l'esistenza della società intesa come comunicazione, linguaggio, resi
possibili da comuni simboli significativi. Mead è considerato infatti il fondatore
dell’interazionismo simbolico. Secondo l’autore il comportamentismo può studiare anche
il privato, il mondo psichico interiore all’individuo anche se non è espresso esplicitamente
e quindi non può essere constatato empiricamente. Ciò è perché esso non è un a priori
indipendente dal comportamento, ma viene anch’esso a formarsi tramite l’interazione: il
mondo psichico cosciente è possibile solo tramite l’interazione, la comunicazione, il
linguaggio. Supera il rigido schema stimolo-risposta: Stimolo → interpretazione →
risposta.
Il significato ha una realtà oggettiva, cioè indipendente da uno stato di coscienza
soggettivo. Mead afferma che il significato è la reazione di un organismo al gesto di un
altro organismo. Nell'uomo il significato ha la possibilità di diventare cosciente, grazie

30 di 65
all’interpretazione. In questo caso il gesto non ha più un significato diretto, ma assume un
significato simbolico, diventa un simbolo significativo. Il processo ha la sua espressione
più evidente e completa nel linguaggio. Attraverso di esso, che sorge quando al gesto
vocale umano di reagisce attribuendogli un significato intersoggettivo, si giunge alla
creazione di una serie di nuovi oggetti. Attribuendo significati agli oggetti attraverso il
linguaggio si crea una nuova realtà. Senza linguaggio il mondo oggettivo sarebbe una
realtà priva di senso. Nell'azione, il comportamento si ha dunque l'origine della vita
psichica cosciente, così che anche il privato si spiega risalendo all'esterno, al sociale. Il
significato sorge come reazione al gesto dell'altro e viene percepito coscientemente solo
dall'uomo attraverso il linguaggio, la simbolizzazione comune. Tramite il linguaggio
sorgono significati comuni non solo a coloro che interagiscono direttamente, ma a un
intero universo sociale, così da renderli oggettivi. L'origine di questi significati va tuttavia
sempre cercata nell'interazione e nella simbolizzazione.
L'individuo tende a interiorizzare gli atteggiamenti degli altri nei suoi confronti e ad agire
secondo le loro aspettative, in seguito al ripetersi di questo comportamento, sorge “l'altro
generalizzato”, cioè l'interiorizzarsi negli individui della società in cui vivono e dei loro
ruoli, cioè dei compiti che essa prescrive ai singoli in relazione alle loro posizioni. In questo
processo emerge il “sé” che si caratterizza nell'essere oggetto a se stesso dell’individuo,
nel potersi costruire egli come oggetto riflesso del proprio pensiero, e ciò è possibile
proprio in quanto nell’interazione l’individuo apprende a vedersi e a considerarsi come lo
vedono e lo considerano gli altri. Egli così, tramite la comunicazione con gli altri impara a
comunicare anche con se stesso. La società è presente anche nei pensieri più intimi, in
quanto il pensiero è sempre comunicazione con se stessi ed è esso stesso linguaggio. Il
“sé” tende a presentarsi in modi diversi a seconda delle persone e delle situazioni in cui si
trova: dei ruoli che esso esercita. Sé: Io + Me. L’Io rappresenta la tendenza istintiva e
spontanea dell’individuo; Me rappresenta gli atteggiamenti prevalenti nel gruppo che
vengono interiorizzati e fatti propri dal soggetto. Sviluppo del sé → sviluppo graduale
attraverso fasi distinte.
Charles Horton Cooley è dell’idea che l’io e la società sono scindibili solo per astrazione,
in concreto non potendosi dare né io senza società, né società senza io. L’io e la società,
come scrive nella sua opera “L’organizzazione sociale”, nascono insieme: noi
conosciamo immediatamente sia l’uno che l’altro e la concezione di un ego separato e
indipendente è illusoria. L’io si sviluppa attraverso la comunicazione e giunge a vedersi
così come lo vedono gli altri o, meglio, così come pensa che gli altri lo vedono. Questa
idea dell’io specchio è sviluppata in “Natura umana e ordine sociale”. Con
l'immaginazione cogliamo nella mente di un altro un certo modo di considerare il nostro
aspetto, i nostri comportamenti, i nostri obiettivi…e da tali considerazioni siamo in vario
modo influenzati. Noi immaginiamo sempre il modo in cui appariamo agli altri, i giudizi che
ne ricavano, e da ciò deriviamo un senso di orgoglio o di mortificazione. In questo
processo reciproco consiste la società, che dunque è l’intrecciarsi delle idee che gli uni
hanno degli altri e in cui sorge l’io stesso. Cooley eredita da W.James l’idea che il sé
sociale di un individuo è composto dalle immagini che gli altri hanno di lui. Un uomo ha
tanti sé sociali quanti sono gli individui che lo riconosco e portano alla loro mente
un’immagine di lui. Cooley è d’accordo con James e aggiunge l’idea di un gruppo
primario. Per gruppi primari si intendono quei gruppi caratterizzati da una intima
associazione e cooperazione. Essi sono primari in parecchi sensi, ma soprattutto in
quanto svolgono una funzione fondamentale nella formazione della natura sociale e degli
ideali degli individui. Il risultato di una associazione intima è una certa fusione delle
individualità in un insieme comune, tale che l’io proprio di ciascuno è costituito dalla vita
comune e dallo scopo del gruppo. Forse il modo migliore di descrivere questo carattere
dell’insieme è di dire che esso è un “noi”. L’individuo vive sentendosi parte dell’insieme e
trova gli scopi principali della sua volontà in questo modo di sentire. Esempi di gruppi

31 di 65
primari sono la famiglia, il gruppo di gioco dei bambini e il vicinato. L’autore li definisce
primari in quanto in essi l’individuo ha le sue prime esperienze sociali e quindi in esse egli
si forma il suo “spirito sociale”. Al gruppo primario l'autore contrappone l'istituzione, parte
specializzata e relativamente rigida della struttura sociale, in cui ognuno entra con una
parte preparata e particolare di se stesso. Mentre al gruppo primario si partecipa in modo
totale e trasformando continuamente se stessi nel fluire dei rapporti, all'istituzione si
partecipa solo svolgendo specifiche funzioni rigorosamente previste.
Scuola di Chicago → 1892. Università di Chicago: nasce il primo Dipartimento di
Sociologia (direzione: Albion Small)
L’interazionismo di Mead e Cooley privilegia gli orientamenti psichici dell’individuo
piuttosto che le forze oggettive delle società, le quali appaiono ridotte ai primi. Nella
famosa ricerca di William Thomas e Florian Znaniecki, “Il contadino polacco in
Europa e in America” questo squilibrio vuole essere superato. Diedero al loro lavoro
un’impostazione pragmatica (caratterizzato dal prevalere di atteggiamenti o interessi
pratici su quelli teoretici). La sociologia dovrà affrontare i problemi della difficile
integrazione nelle aree urbane. Essi studiarono il mutamento sociale sia all'interno della
società polacca, sia tra i polacchi emigrati in America. I valori tradizionali apparivano
scossi e individualismo e ricerca del successo sembravano prevalere sulle precedenti
tradizioni. Infine fu segnalata la trasformazione di tutti i valori da qualitativi a quantitativi.
Per quanto riguarda gli immigrati negli Stati Uniti il conflitto tra vecchi valori del paese
d'origine e i nuovi valori della società americana comportava problemi di
disorganizzazione sociale, con la conseguente esigenza di giungere a un'organizzazione
nuova. Il metodo di cui si servì per la ricerca fu quello delle storie di vita che consiste nel
raccogliere qualsiasi documento indiretto o diretto relativo alla vita delle persone
considerate rappresentative del problema studiato nella ricerca. I due autori cercano di
dimostrare come nell'azione si possa distinguere da un lato l'atteggiamento, cioè un
orientamento della coscienza individuale, dall'altro il valore sociale, cioè qualsiasi realtà
la quale abbia significato per i membri di una qualsiasi unità sociale. Valori sociali
atteggiamenti si intrecciano in modo tale che ogni valore sociale è necessariamente
dovuto all'insieme di atteggiamenti individuali e valori sociali precedenti, e così pure per
ogni atteggiamento. Il sociologo non può trascurare né gli orientamenti soggettivi degli
individui, né i fattori che agiscono dall'esterno condizionando tali individui, in quanto le
medesime realtà oggettive delle organizzazioni istituzionali sono percepite, vissute e
interpretate diversamente dei singoli individui. È compito dello studioso tentare di mostrare
come le predisposizioni soggettive o gli atteggiamenti plasmati dall'esperienza
determinano la risposta dell'individuo a fattori oggettivi. È un errore pensare che individui
diversi reagiscono allo stesso modo a influenze identiche. Infatti, ogni comportamento è
orientato dalla definizione della situazione. Si può affermare che la situazione in cui ci si
trova è definibile in una pluralità di modi diversi modelli l’uno dall’altro e per orientarsi in
essa se ne deve dare una definizione. La definizione della situazione è una necessaria
precondizione per ogni atto di volontà. In seguito Thomas rielaboro il concetto: qualsiasi
atto di comportamento autonomamente determinato è sempre preceduto da un momento
di valutazione e di decisione, che possiamo chiamare la definizione della situazione. La
definizione spontanea della situazione fatta dai membri di una società organizzata è
sempre diversa rispetto a quella predisposta della società. L'individuo tende a una
selezione edonistica della propria attività: in primo luogo il piacere; la società al contrario,
tende a una selezione utilitaristica: in primo luogo la sicurezza. In tale situazione si
sviluppa il codice morale, il quale è un insieme di norme di comportamento che regolano la
soddisfazione dei desideri e viene costruito sulla base di definizioni successive della
situazione.
Attraverso il concetto di definizione della situazione si spiega così anche il mutamento
sociale. Poiché la definizione della situazione da parte degli individui non corrisponde mai

32 di 65
alle aspettative sociali, si crea una tensione tra individuo e società che porta nuove
definizioni accettate socialmente. Connessa al concetto in argomento è la famosa
affermazione dello stesso Thomas secondo cui se gli uomini definiscono reali certe
situazioni esse sono reali nelle loro conseguenze (Teorema ripreso da R. K. Merton
“Profezia che si autoadempie”). Molto nota è anche l'individuazione di quattro desideri
fondamentali presenti nella psiche individuale, comuni a tutti: il desiderio di esperienze
nuove, riconoscimento, dominio, sicurezza.
Gli autori hanno anche elaborato una tipologia delle forme pure della personalità: filisteo
(conformista, incapace di accettare innovazioni, rispettoso della tradizione); bohémien
(personalità instabile e scarsamente strutturata); creativo (carattere ben formato e nello
stesso tempo aperto al cambiamento).
Robert Ezra Park, giornalista e poi sociologo, si è occupato anche di pregiudizio, problemi
razziali (segregazione), marginalità (uomo che non si sente di appartenere né ad un
gruppo né ad un altro) e solitudine nelle grandi città (Simmel). Come prende forma la città?
Si studia a tavolino e si pianifica. Invece, secondo l’autore la città si scompone e si
ricompone attraverso processi di competizione, invasione e successione. È un processo
naturale. Presente una sottovalutazione della pianificazione. La città è qualcosa di più di
un ammasso di singoli uomini e di servizi sociali, come strade, edifici…essa è anche
qualcosa di più di una semplice costellazione di istituzioni e di strumenti amministrativi,
come tribunali, ospedali, scuole…La città è piuttosto uno stato d’animo, un corpo di
costumi e di tradizioni, di atteggiamenti e di sentimenti. La città è coinvolta nei processi
vitali della gente che la compone.

VOLUME 3
Capitolo 1: lo struttural-funzionalismo
Il termine funzione si riferisce a: raduno pubblico (assemblea, festività); occupazione;
posizione sociale determinata; funzione matematica, ma anche a un processo biologico e
sociale volto al mantenimento dell’organismo e del sistema sociale.
Le prime espressioni esplicite del funzionalismo sono state formulate dall'antropologia
sociale, corrente britannica. Più in particolare fu Malinowski, antropologo britannico di
origine polacca, a proporre l'analisi funzionale come rimedio alla tendenza a interpretare le
situazioni sociali attraverso l'intuizione più che attraverso l'osservazione scientifica. Il
presupposto del funzionalismo è che in ogni tipo di civiltà, ogni costume, ogni oggetto
materiale, idea e opinione adempiono una qualche funzione vitale. Per funzione vitale si
intende il contributo che ogni singolo tratto culturale dà al mantenimento dell’intera cultura,
cioè all’integrazione. Funzione significa soddisfacimento di un bisogno.
Radcliffe-Brown, antropologo inglese, afferma che la funzione di ogni attività ricorrente
consiste nella parte che tale attività svolge nella vita sociale considerata come un tutto, e
pertanto, nel contributo che essa dà al mantenimento della continuità strutturale. Radcliffe-
Brown si rifà a Durkheim, al quale si attribuisce il merito di aver posto i fondamenti
dell’analisi funzionale. Secondo Durkheim la funzione di un’istituzione sociale consiste
nella corrispondenza tra tale istituzione e le esigenze dell’organismo sociale. Quando si
comincia a spiegare un fenomeno sociale, bisogna cercare separatamente la causa
efficiente che lo produce e la funzione che assolve.
Es.: funzione della divisione del lavoro → La divisione del lavoro sociale (1893) Es.:
funzione dei riti religiosi → Le forme elementari della vita religiosa (1912).
Malinowski e Radcliffe-Brown influenzano Talcott Parsons.

33 di 65
Il lavoro di Parsons può essere distinto in tre fasi:
• azione (elaborazione di una nuova teoria dell’azione sociale) → La struttura dell’azione
sociale (1937);
• sistema (attenzione per il concetto di sistema) → Il sistema sociale (1951); Working
Papers in the Theory of Action (1953) → schema AGIL;
• evoluzione delle società e successive applicazioni dello schema AGIL → Sistemi di
società (1966 e 1971).
Ne “La struttura dell’azione sociale” Parsons si oppone alla concezione positivista
dell’azione secondo cui essa va intesa in termini di reazione a uno stimolo esterno, per
porre invece in evidenza gli aspetti teologici, volontaristici dell’azione stessa.
Per Parsons, un “atto” richiede necessariamente i seguenti elementi: l’attore (colui che
compie l’atto); un fine ovvero una situazione futura verso la quale è orientato il processo
dell’azione; una “situazione” (condizioni e mezzi); un “orientamento normativo”.
L’autore specifica che la situazione può presentare elementi non trasformabili dall’atto
(condizioni) ed elementi invece trasformabili (mezzi). Per scegliere i mezzi adeguati al
raggiungimento del fine è necessario adeguarsi a determinate norme, elemento
imprescindibile dell’atto. L’elemento normativo è quello che dà concretezza al fine. Il punto
di partenza logico per l’analisi del ruolo che gli elementi normativi svolgono nell’azione
umana, è la constatazione empirica che gli uomini non soltanto rispondono a degli stimoli
ma cercano di conformare la loro azione a modelli i quali sono ritenuti desiderabili
dell’attore e da altri membri della collettività.
«Non si ha azione se non come sforzo per conformarsi alle norme». L’azione è sociale
solo quando fini e norme sono riconoscibili in un contesto di interazioni che non
consentono che tali fini e tali norme siano considerati indipendentemente dalla situazione
sociale. Si ha società solo in presenza di fini e di norme comuni, si può individuare
l’emergere dell’importanza del problema dell’integrazione (Parsons voleva individuare i
requisiti minimi dell’integrazione in una società composta da gruppi etnici diversi, con
tradizioni e culture proprie, in cui quindi questa stessa integrazione appare come una
difficile meta da raggiungere e un’esigenza più che una realtà costituita).
In “Il sistema sociale” il problema dell’integrazione diventa poi centrale. L’azione può
essere considerata da punti di vista diversi. Può essere studiata in relazione alla
personalità di chi la compie (compito della psicologia); in base alla cultura, ai segni e ai
simboli che permettono l’interazione (compito dell’antropologia culturale); dal punto di vista
delle relazioni che intercorrono tra i vari soggetti agenti (compito della sociologia). In tutti e
tre i casi si può parlare di sistema: l’individuo non agisce in termini casuali ma secondo
principi definiti. I sistemi della personalità, della cultura e della società devono essere tra
loro congruenti.

34 di 65
Il sistema sociale dipende da un minimo necessario di appoggio che gli viene fornito da
ciascuno degli altri sistemi: è indispensabile, cioè, un numero sufficiente di soggetti
componenti in possesso di una motivazione adeguata ad agire in conformità ai requisiti del
loro sistema di ruolo, impegnati positivamente a realizzare le aspettative e negativamente
ad astenersi da un comportamento disgregatore, deviante. Il sistema sociale non deve
prestare affidamento a modelli culturali che non siano in grado di definire un minimo di
ordine o che impongono pretese impossibili ai soggetti, generando così deviazione e
conflitto in misura incompatibile con le condizioni minime di stabilità o di sviluppo ordinato.
La cultura diventa direttamente costitutiva della personalità mediante un processo che gli
psicologi della personalità chiamato “interiorizzazione”. Senza le necessarie risorse
culturali non è possibile l’emergere di un livello umano di personalità, e di conseguenza lo
sviluppo di un tipo umano di sistema sociale. Non si dà la possibilità del sorgere di una
singola personalità se non in un contesto culturale.
Il sistema sociale è definito in termini di interazione, quindi di relazioni reciproche tra i
soggetti agenti specificate in termini di status e ruoli. Per Parsons un sistema sociale è un
insieme di rapporti considerato non in relazione ai singoli individui, ma in relazione a
diverse e correlate posizioni sociali (status) e alle attività del soggetto agente collegate a
tali posizioni (ruoli). Lo status definisce la posizione del soggetto sociale rispetto agli altri
soggetti nell’ambito di un sistema di relazioni considerato come struttura, il ruolo si
riferisce invece a ciò che il soggetto compie nelle sue relazioni con gli altri. Lo status è
definito da tale sistema di relazioni indipendentemente dalle personalità dei singoli
soggetti.
Parsons afferma che i sistemi si differenziano tra loro in seguito alle alternative di ruolo
che si presentano al soggetto agente. Al soggetto agente possono presentarsi diverse
alternative, denominate variabili strutturali.
Variabili strutturali (possibilità alternative di azione → classificazione dei ruoli formali):
• affettività/neutralità affettiva;
Esempi: amico → affettività
medico → neutralità affettiva (Merton non è d’accordo)
Le variabili strutturali dell’affettività e della neutralità affettiva hanno a che vedere con
la presenza, o meno, di una gratificazione affettiva all’interno di un sistema sociale.
Essa, ad esempio, caratterizza un aggregato come la famiglia. Viceversa, se non è
prevista, siamo di fronte a un contesto dove il significato dell’azione è puramente
strumentale. Un avvocato, ad esempio, non assiste il suo cliente perché si aspetta un
riconoscimento affettivo, bensì una remunerazione e un successo professionale.
• attribuzione/realizzazione;
Esempi: figlio → ruolo collegato a uno status ascritto
medico → ruolo collegato a status assunto
Attribuzione e realizzazione hanno a che vedere con i criteri da noi usati per giudicare
qualcuno. La nostra opinione, infatti, potrà basarsi o sui tratti che lo caratterizzano per
nascita (etnia, status sociale) oppure su ciò che egli è riuscito a realizzare nella sua vita.
• specificità/diffusione;
Esempi: medico → (paziente) → ruolo specifico
genitori → (figli) → ruolo diffuso
Specificità e Diffusione sono due variabili strutturali che riguardano l’estensione
dell’interesse dell’azione sociale. Nel primo caso, infatti, essa prende in considerazione
solo l’aspetto pertinente al suo fine; nel secondo caso una pluralità di aspetti.
• universalismo/particolarismo;
Esempi: Bibliotecario → utenti della biblioteca
Fratello → sorella
La differenza tra universalismo e particolarismo determina i criteri di comportamento
della società nei confronti degli individui. Per quanto riguarda l’universalismo, la

35 di 65
medesima norma deve essere applicata a tutti senza alcuna distinzione. Nel secondo
caso, invece, varrà il principio di differenziare regole e atteggiamenti a seconda della
persona cui essi sono rivolti.
• orientamento all’individuo/orientamento alla collettività.
Esempi: commerciante
funzionario pubblico
Le due variabili strutturali differenziano un sistema sociale in cui gli attori agiscono solo
per il proprio fine personale da uno in cui si opera per la collettività.
Nelle opere posteriori a “Il sistema sociale” Parsons abbandona in parte il suo schema di
spiegazione fondato sulle variabili strutturali ed elabora uno schema di quattro prerequisiti
funzionali, lo schema AGIL.
Ogni sistema, se vuole sopravvivere, deve soddisfare quattro esigenze fondamentali:
- adattamento all’ambiente circostante (reperimento, trasformazione e distribuzione delle
risorse);
- conseguimento dello scopo (goal), ossia determinazione e perseguimento di precisi
obiettivi;
- integrazione (controllo e coordinamento delle parti del sistema, al fine di inibire la
tendenza alla deviazione);
- latenza (insieme delle motivazioni sotto forma di energia non visibile che muovono il
soggetto agente e controllo di eventuali tensioni. Influenza di Freud; i soggetti devono
agire in modo funzionale rispetto alle esigenze del sistema, tramite distribuzione
dell’energia motivazionale).

Parsons T.e Bales in “Famiglia e socializzazione” analizzano il fenomeno della famiglia:


struttura di status-ruoli (aspettative complementari);
funzione principale: funzione di socializzazione;
modello: famiglia nucleare (padre, madre e figli);
potere si lega alla maggiore età (potere superiore nei genitori);
ruoli → ruolo strumentale/ruolo espressivo;
ruolo strumentale → uomo → rapporti con l’esterno, acquisizione di risorse;
ruolo espressivo → donna → rapporti interni, affetto e cura.
Parsons fa una riflessione sulla società indicando gli stadi nella sua evoluzione:
primitivo;
intermedio → scrittura (universale evolutivo, elemento fondamentale per l’evoluzione
sociale);

36 di 65
moderno → istituzionalizzazione del diritto (sistema di norme codificato grazie alla
scrittura).
La scrittura facilita la diffusione culturale nello spazio e nel tempo. Solo le culture che
posseggono la scrittura possono avere una storia intesa come consapevolezza degli
eventi passati fondata su prove documentarie che trascendono il ricordo dei viventi e il
vago “sentito dire” della tradizione orale. I termini di un contratto non devono più dipendere
dalla fallibile memoria delle parti o dei testimoni, ma possono essere scritti e restare a
disposizione nel caso si presenti la necessità di siffatta verifica. Nello stesso tempo, la
scrittura è anche una fonte di flessibilità e un’opportunità di innovazione.
Ma il testo torna ad essere “instabile” a causa della scrittura nella società digitale. La
scrittura sul web se da un lato agevola, più della scrittura “tradizionale”, la diffusione della
cultura, dall’altro non assicura la stabilità dei contenuti nel tempo: ciò che oggi leggiamo su
un sito, domani può essere differente o addirittura può non esserci più.
Il funzionalismo negli Stati Uniti d'America assume anche altri indirizzi notevolmente
diversi da quello di Parsons tipo quello di Robert Merton. In “Teoria e struttura sociale”
tratta di diversi argomenti tra cui la teoria sociologica, studi sulla struttura sociale e
culturale, la sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa e studi sulla
sociologia della scienza. Nella prima parte dedicata alla teoria sociologica critica i
postulati (assiomi indimostrati e
indimostrabili, che si pongono al di là della
verifica empirica) del funzionalismo.

Non tutto ciò che esista ha, per il fatto stesso


di esistere, una funzione positiva nei
confronti dell’integrazione sociale.

Non vi è motivo per dare per scontato che vi


siano in ogni società elementi indispensabili
per svolgere determinate funzioni, le quali
possono essere svolte da elementi diversi,
né che gli stessi elementi svolgano sempre
le stesse funzioni.
Inoltre Merton distingue tra funzioni manifeste e funzioni latenti. Le prime coincidono con
le motivazioni coscienti, costituiscono le conseguenze volute e riconosciuti dell'azione; le

37 di 65
seconde invece riguardano le conseguenze dell'azione né volute né riconosciute: sono
inconsce. (Analisi del consumo vistoso di Veblen; l’analisi vebleniana è entrata così
profondamente nel pensiero comune, che queste funzioni latenti sono ora ampiamente
riconosciute, cessando così di essere
latenti).

Parsons considera la società in


generale senza considerare gli aspetti
circoscritti; non analizza il particolare
(grande teorizzazione).

Merton tratta anche della circolarità del rapporto teoria-ricerca:


• influenza della teoria sociologica sulla ricerca empirica (Lazarsfeld);
• influenza della ricerca empirica sulla teoria sociologica → componente di serendipity
insita nella ricerca.
Serendipity: termine coniato dal romanziere inglese Horace Walpole (1717-1797) nel
1754. Favola I tre principi di Serendip, i quali “facevano continuamente scoperte
accidentali … di cose che non stavano cercando”.
Merton: «componente di “serendipity” insita nella ricerca». Tale componente «si riferisce
all’esperienza abbastanza comune di osservare un dato imprevisto, anomalo e rilevante, il
quale diviene l’occasione per lo sviluppo di una nuova teoria o per l’ampliamento di una
teoria esistente». (Esempio: penicillina)
Nella seconda parte di “Teoria e struttura sociale”, Merton approfondisce gli studi sulla
struttura sociale e culturale. Cerca di applicare le proprie teorie sociologiche di medio
raggio a una serie di concreti problemi sociali e settori specifici della sociologia, quali lo
studio dell’anomia, i gruppi di riferimento, la sociologia della conoscenza. A parere di
Merton, l’anomia dipende da una mancata integrazione tra la struttura sociale, che
definisce gli status e i ruoli dei soggetti agenti, e la struttura culturale, che definisce le
mete da perseguire da parte dei membri della società così come le norme cui ci si deve
conformare per raggiungere tali mete. Può accadere che le posizioni dei soggetti agenti
siano tali da impedire loro di raggiungere le mete indicate dalla cultura come migliori
attraverso i mezzi indizi dalle norme istituzionali.
In questo caso sono possibili reazioni diverse: conformità (mi conformo a quello che mi
viene richiesto); innovazione (accetto mete culturali ma non accetto i mezzi); ritualismo
(perdo di vista la mete culturali/obiettivi da raggiungere ma rispetto i mezzi); rinuncia rifiuto
mete culturali e mezzi); ribellione (affermazione e negazione insieme, vorrei sostituire
valori con altri).

38 di 65
Un altro argomento trattato nella seconda parte è la profezia che si autoadempie.
Merton riprende il teorema di Thomas: “se gli uomini definiscono certe situazioni come
reali, esse diventano reali nelle loro conseguenze”. La profezia che si autoadempie si
compie quando c’è un errata definizione della situazione che porta ad un nuovo
comportamento che rende vera una concezione originariamente falsa.
Esempio: la notizia dell’insolvenza della banca influì sul risultato finale. La profezia del
fallimento portò al suo effettivo compimento. [Esempio di credenza socialmente condivisa]
Esempio: convinto di essere destinato all’insuccesso, l’ansioso studente dedica più tempo
a preoccuparsi che a studiare, e ciò porta a un insuccesso nell’esame.
Nella terza parte di “Teoria e struttura sociale” Merton tratta la sociologia della
conoscenza e le comunicazioni di massa.
In “Studi sulla propaganda attraverso la radio e il cinema” (con P. F. Lazarsfeld), si intende
per propaganda qualsiasi genere di simboli che influenzano l’opinione, le credenze e le
azioni su argomenti considerati controversi. Sotto certe condizioni la gente risponde alla
propaganda in maniera opposta a quella voluta dall’autore. Effetto Boomerang:
esempio: discorso radiofonico sui raggi X → «L’oratore, un noto radiologo, cercava di
dissuadere gli ascoltatori dal rivolgersi ai medici non autorizzati (ciarlatani) per esami e
cure di raggi X. Nel tentativo di rendere più efficace la sua perorazione, egli ripetutamente
accennò ai “pericoli nell’usare e nel fare esami radiologici”. Le buone intenzioni del
radiologo provocarono ansietà inaspettate. Alcuni membri del pubblico – che in nessun
caso avrebbe consultato dei ciarlatani – espressero i loro nuovi timori: Ha ottenuto il
risultato che le persone non vogliono più i raggi X».
Nella quarta parte di “Teoria e struttura sociale” Merton approfondisce gli studi sulla
sociologia della scienza. Elenca 4 imperativi istituzionali: universalismo; comunismo
(comunismo = idea che la conoscenza scientifica dovesse essere pubblica; molti hacker
distribuiscono apertamente i risultati della loro creatività, affinché altri li usino, testino, e
sviluppino ulteriormente». → Merton citato in “L’etica hacker e lo spirito dell’età
dell’informazione”); disinteresse; scetticismo metodologico.
Robert K. Merton: un conservatore?
Disfunzioni della burocrazia
Nel saggio “Struttura burocratica e personalità” viene evidenziata la differenza tra la
prospettiva di Merton e quella di Weber. Questi si interessa quasi esclusivamente di ciò
che la struttura burocratica è capace di ottenere: precisione, comportamento responsabile,
efficienza (ci si concentra solo sugli aspetti positivi, quelli negativi sono messi in ombra).
Merton invece esamina la struttura burocratica da una prospettiva diversa, quella
dell’ambivalenza. Una prospettiva che sposta l’attenzione su:
- funzioni/disfunzioni dell’apparato burocratico;
- effetti, sull’individuo, dell’inserimento in una struttura burocratica.
Weber: razionalizzazione → Burocrazia → efficienza.
Razionalizzazione → Burocrazia: apparato permanente; organizzato in modo gerarchico;
regolato da norme generali e astratte.

39 di 65
La burocrazia richiede la stretta osservanza dei regolamenti, conseguentemente questi si
trasformano da mezzi in fini, parallelamente viene meno la flessibilità necessaria per
adattare le norme alle specificità del caso concreto, con la conseguenza che la presunta
efficienza dell'apparato burocratico si trasforma in efficienza.
La mancanza di flessibilità nell'osservanza delle norme ostacola il raggiungimento degli
obiettivi dell’organizzazione e quindi il soddisfacimento dei bisogni degli individui. Il
tecnicismo e la pignoleria dei funzionari possono considerarsi disfunzionali in quanto
bloccano il soddisfacimento dei bisogni delle persone. Una visione elastica delle norme
porta al raggiungimento
degli obiettivi.

In Merton c’è il superamento dello stile impersonale in quanto la trattazione impersonale di


affari che sono talvolta di grande importanza personale per il cliente, è all'origine
dell'accusa di arroganza rivolta al burocrate. Di qui la necessità di umanizzare e
personalizzare le prestazioni per accorciare la distanza tra individui e strutture
burocratiche. Una logica trasformativa analoga a quella che ha ispirato il processo di
rimodellamento dei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione avviato in Italia negli
anni 90. Un processo incentrato sui bisogni del cittadino/utente che implica il superamento
di una cultura della norma in favore di una cultura dell’obiettivo-servizio.
Disfunzione narcotizzante dei media
Il saggio “Mass Communication Popular Taste and Organized Social Action (1948)” è
incentrato sulla dicotomia funzione/disfunzione dei media, considera in particolare la
disfunzione narcotizzante dei media. La vasta disponibilità di informazioni può sollecitare
soltanto un interesse superficiale per i problemi della società, e questa superficialità
spesso nasconde l’indifferenza della massa. L’esposizione a questo flusso di informazioni
può servire a narcotizzare piuttosto che a vitalizzare il lettore medio.

40 di 65
La sovrabbondanza degli input alimenta l’indifferenza. Il cittadino ottiene tante informazioni
ma si astiene dall’agire. È come se avesse un contatto mediato con la realtà, un surrogato
dell’azione. Conoscere ≠ fare.
I due autori si soffermano anche su un altro aspetto, la spinta verso il conformismo
esercitata dei mezzi di comunicazione di massa che deriva non solo da quanto viene
detto, ma ancora di più da quanto viene taciuto. Infatti questi mezzi tralasciano di sollevare
i problemi essenziali circa la struttura sociale. Ciò si verifica perché i media sono sono
sostenuti dalle grandi imprese inserite nell’attuale sistema sociale ed economico. I mezzi
di comunicazione di massa contribuiscono al mantenimento di questo sistema.
Importante è anche il riferimento al funzionalismo, soprattutto per distinguere la
prospettiva di Merton da quella
di Parsons.

La teoria sociologica mertoniana procede per campi medi interconnessi; la teoria


parsonsiana tende ad estendersi a tutto campo. Lo sviluppo della teoria secondo Merton
avviene per accumulazione selettiva; secondo Parsons per accumulazione
generalizzatrice. Nella sociologia parsonsiana l’idea di funzione come processo sociale ha
come parametro di riferimento le esigenze del sistema; Merton invece, considera i bisogni
degli individui. L’obiettivo di Parsons è la conservazione dello status quo (situazione
attuale), la logica di Merton invece, è essenzialmente trasformativa.
Trasmissione orale della conoscenza
Il saggio “On the Oral Transmission of Knowledge” si articola su cinque nodi:
concetto di pubblicazione orale;
“lettura” come atto sociale;
“lettura” come quasi-pubblicazione;
“lettura” come veicolo di perfezionismo cognitivo;
funzioni e disfunzioni del discorso orale.
Merton parte dal concetto di pubblicazione orale. Per millenni pubblicare ha significato
rendere pubblico. Nel corso del tempo la pubblicazione orale non è venuta meno né ha
perso importanza, bensì persiste accanto alle nuove forme di comunicazione della nostra
cultura multimediale, nella quale esiste una pluralità di modi per rendere le cose pubbliche.
Merton sostiene che le vecchie forme del comunicare non scompaiono, ne possono
scomparire del tutto. Concentra la sua attenzione sul rapporto tra oralità e multimedialità,
osservando che nella nostra cultura, caratterizzata da una molteplicità di strumenti di
autoapprendimento, esistono ancora istituzioni educative come l'università, e la
pubblicazione orale persiste sottoforma di lezioni, seminari, convegni ecc… si tratta di un
caso di ritardo culturale, oppure la persistenza di questa vecchia forma di trasmissione
della conoscenza assolve funzioni specifiche diverse da quelle svolte dalle nuove forme di
comunicazione?

41 di 65
Esempio: lezione universitaria (atto sociale) “discorso più o meno formale su un dato
soggetto presentato a un gruppo di ascoltatori” → interazione diretta sociale e cognitiva.
L’oralità permette di aggiornare e perfezionare il proprio punto di vista, mentre un testo no.
La lezione è un’occasione per formulare delle idee ed elaborarle prima di fissarle in
stampa anche se il pubblico è composto da poche persone. La lezione è uno strumento di
perfezionismo cognitivo, cioè un’occasione di aggiornamento e perfezionamento. In
quanto la situazione di interazione può suscitare nell'oratore idee nuove, costituire il
contesto ideale per commenti estemporanei per testare le proprie tesi mediante
un'esposizione semi pubblica e costituire l'occasione per formulare meglio le proprie idee.
Il perfezionismo ha due cause: motivazioni di carattere individuale e contesto → comunità
scientifica (“scetticismo”). Ma anche degli effetti e dei rischi: lasciare ai posteri versioni
imperfette delle proprie idee (idee travisate in quanto vengono messe in stampa da altri);
perdere la priorità delle proprie idee (idee pubblicate da altri che potrebbero prendersi il
merito; priorità → stampa). Ci si assicura la priorità rinunciando al dominio esclusivo sulle
proprie idee autorizzandone la diffusione mediante la stampa.
La pubblicazione orale viene considerata anche nelle sua funzioni e disfunzioni in
riferimento allo studente. Se è vero che la sostanza del discorso spesso si perde
(differenza con la scrittura e la stampa), è anche vero che la trasmissione orale ] facilita
l’apprendimento, può suscitare entusiasmo, può stimolare l’approfondimento di certi temi.
La scrittura fissa un significato altrimenti destinato a scomparire; la sorte del testo sfugge
all’orizzonte dell’autore; libera il significato dalla ristretta situazione dialogica; il testo scritto
(stampato) ha una molteplicità potenzialmente illimitata di destinatari.
Merton infine si chiede come sarà la didattica del futuro e se i docenti saranno sostituiti da
macchine.
Teorema di Thomas e effetto San Matteo
Nel teorema di Thomas (se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse
diventano reali nelle loro conseguenze) ha preso parte anche una donna, ma è attribuibile
solo a William Thomas: sessismo o conseguenza dell’effetto San Matteo? L’effetto San
Matteo (ripreso dal vangelo secondo Matteo) consiste in un’accumulazione progressiva di
riconoscimenti per particolari contributi scientifici a quegli scienziati che già godono di
considerevole reputazione e nel rifiuto di tali riconoscimenti a quelli che non si sono
ancora fatti un nome.
Per rispondere a questi interrogativi, Merton usa la corrispondenza privata.
Possono esserci conseguenze dell’effetto San Matteo sul sistema di ricompense (i premi
vengono spesso consegnati a una persona nota ma non per forza la più meritevole); sul
sistema di ricompense e sullo stanziamento del fondi per la ricerca (fondi consegnati a
università famose piuttosto che a piccole università).
Ricerca
Lazarsfeld → Centro di Ricerche radiofoniche:
Program Analyzer «mentre assiste ad un film o ascolta un programma radio, ogni soggetto
preme un bottone verde alla sua destra quando gli piace ciò che è presentato e un bottone
rosso alla sua sinistra quando non gli piace. Non preme nessun bottone quando è
indifferente. Queste reazioni sono registrate su di un nastro il cui movimento è
sincronizzato con il programma del film o della radio». Vantaggi: è il pubblico che
stabilisce i centri di attenzione; è il pubblico che classifica il materiale propagandistico; le
reazioni al materiale propagandistico sono registrate durante l’esposizione a tale
materiale; le singole reazioni possono essere sommate al fine di ottenere una «curva
generale di reazione» suscettibile di trattamento statistico.
Spiegazioni e dettagli su queste reazioni sono poi fornite dall’intervista a fuoco.
L'intervista focalizzata viene quindi originariamente pensata come approfondimento di dati
quantitativi, mediante domande più o meno strutturate, il che testimonia la presenza e
l'interesse specifico: quello per l'interrelazione dei dati quantitativi e qualitativi. Merton

42 di 65
ribadisce poi la necessità di combinare ricerca qualitativa e quantitativa, osservando che il
ricorso ai focus-gruop, non tiene conto di questa necessaria interrelazione.
Focus group → pubblicità, marketing; gruppo (8-12 persone); tema di discussione (scopo
della ricerca); ricercatore-moderatore, esperto in dinamiche di gruppo, che promuove e
conduce il dibattito (da 1 a 3 ore) tra i membri del gruppo.
Gli output qualitativi dell’intervista focalizzata devono essere controllati attraverso la
ricerca quantitativa, così come in medicina le osservazioni cliniche non sostituiscono
l’indagine epidemiologica.
Ricezione del lessico sociologico
Esempio: parola carisma, usata da Weber con un significato specifico, si è diffusa
nell’ambito giornalistico e nel tessuto sociale perdendo però, il suo significato originario.
Quali sono le conseguenze dell’incorporazione dei concetti sociologici nel linguaggio
comune? Merton risponde citando il “paradosso del successo”: se da un lato la ricezione
del lessico sociologico può essere considerata un segno di rilevanza della scienza
sociologica, dall’altro ciò comportano anche una modificazione del significato originario dei
termini.

Capitolo 2: la sociologia critica nord-americana


Critica della società (costrittiva con atti di violenza esplicita; criticato ordine economico e
politico, cercando di metterne in luce i limiti) e della sociologia prevalente.
L’obiettivo della ricerca di Lynd in “Middletown” era quello di analizzare il tipico modo di
vita americano in una cittadina (Middletown) considerata come rappresentativa della
società statunitense. Era giunto ad individuare la grande importanza della struttura
economica della società americana e a vedere come religione politica, tempo libero, mezzi
di comunicazione di massa, erano manipolati in funzione degli interessi costituiti del potere
economico. Tramite tecniche di ricerca quali statistiche, documenti ufficiali, colloqui,
questionari, etc…
I risultati della ricerca erano che le scelte e individuali non sono libere ma manipolate dal
potere economico, anche se le ricerche sociologiche generalmente non giungono a queste
conclusioni. Lynd risponde in “Conoscenza per che fare?” affermando che nella società
statunitense la struttura coercitiva che manipola gli individui e li priva di ogni libertà è
l’organizzazione capitalistica. Il compito di una sociologia critica diventa quello di
individuare i nessi di condizionamento che intercorrono tra la struttura capitalistica degli
USA e la concreta vita quotidiana di coloro che ci vivono. La cultura infatti prescrive loro
una serie di principi contraddittori, poiché il rapido sviluppo tecnologico non è seguito da
un altrettanto rapido sviluppo della mentalità corrente. Le scienze sociali anziché trattare di
questi problemi tendono a muoversi all’interno delle istituzioni date e degli stessi
presupposti della propria cultura che accettano come realtà naturali. Così facendo
accettano pure l’ordine prevalente e la sua struttura economica, cioè proprio i fattori
dinanzi ai quali dovrebbero porsi criticamente. Attualmente all’interno delle scienze sociali
esistono due tipi di orientamento, in base ai quali gli addetti ai lavori si dividono in due
blocchi: gli accademici e i tecnici. Entrambi lavorano nell’ambito della rassicurante
tradizione della libera ricerca intellettuale; entrambi assumono che ci siano continuità e
attinenza tra i loro rispettivi campi di studio, nel comune compito di esplorare l’ignoto. In
realtà entrambi tendono ad allontanarsi dalla realtà preoccupandosi solo di problemi
tecnici. L’uno e l’altro orientamento tendono ad accettare il loro tipo di società con le sue
istituzioni, mentre le scienze sociali dovrebbero avere il compito di criticare
l’organizzazione sociale ed economica costituita. Così alla sociologia viene meno il
compito di mettere in evidenze le strutture autentiche radicate nella stessa natura umana.
Tali esigenze si trovano continuamente contrastate dagli interessi settoriali dell’iniziativa
privata e dalle conseguenti manipolazioni consumistiche, che sfruttano la stessa nevrosi
43 di 65
(disturbi scaturiti da un conflitto inconscio) e la costante insicurezza proponendoci come
“via d’uscita” il comprare una nuova automobile o un nuovo rasoio elettrico come
ostentazione momentanea di un’autorevole certezza.
In “Middletown” sottolinea che i cittadini, in aggiunta alle diverse occupazioni connesse
con i bisogni immediati della vita, sono impegnati in un’altra attività, l’osservanza
religiosa, con la quale cercano di comprendere e di affrontare l’incommensurabilità della
vita. Grande importanza alle pratiche religiose tanto che, l’estraneo che si stabilisce in città
viene di solito salutato con la domanda: “in quale chiesa va”? Con poche eccezioni le
chiese di Middletown esprimono una forma o l’altra di Cristianesimo. Fiducia che questa
religione sia adeguata per tutta l’umanità.
A Middletown esistono valori largamente condivisi. Ad esempio, la popolazione crede nel
progresso, nella famiglia, nella democrazia americana. Ma scelte individuali non sono
libere ma manipolate dal potere economico.
Nell'ambito della sociologia critica nordamericana può essere inquadrato il punto di vista di
Riesman autore insieme con R. Denney e N. Glazer de “La folla solitaria”. Nel libro si
mette in risalto soprattutto la mancanza di autonomia dell'individuo nella società
considerata altamente industrializzata e burocratica. Secondo Riesman il tratto
caratteristico delle persone che vivono nella società occidentale contemporanea in
particolare negli Stati Uniti è l’eterodirezione.
La storia dell'umanità, secondo l'autore passare attraverso tre fasi:
- individui interamente determinati dalla tradizione;
- individui auto-diretti (non si subisce il peso della tradizione, gli individui riacquistano
fiducia in loro stessi) ;
- individui etero-diretti (mete che l’individuo vuole raggiungere sono indicate da altri. Ciò
che è comune è che i contemporanei sono la fonte di direzione per l’individuo, quelli che
conosce e quelli con cui ha relazione indirette attraverso gli amici e i mezzi di
comunicazione di massa. La dipendenza da questa fonte come guida nella vita è
radicata nel fanciullo molto presto. I fini verso i quali tende la persona eterodiretta si
spostano con lo spostarsi della guida) → es.: mezzi di comunicazione di massa che
possono essere strumenti di manipolazione.
La nostra analisi del carattere eterodiretto è, così, nello stesso tempo, un’analisi dell’uomo
americano e dell’uomo contemporaneo.
Spersonalizza azione e burocratizzazione sono temi ricorrenti anche nell'esponente forse
più noto e più caratteristico della sociologia critica nordamericana: Wright Mills.
In “Colletti bianchi”, Mills denuncia la condizione in cui si trova la classe media
statunitense. Gli impiegati, professionisti, insegnanti, appaiono completamente manipolati
dal potere, non hanno più alcuna capacità di emergere come personalità specifiche, non
hanno alcun principio in cui credere, sono apatici politicamente e privi di difese morali.
Come la personalità eterodiretta di Riesman, i colletti bianchi di Mills dipendono per
quanto riguarda tanto il loro comportamento esteriore quanto i loro orientamenti interiori,
da forze che sono loro estranee.
L’opera più importante di Wright Mills è “La élite del potere”. Il fatto che egli imposti il
problema in termini di élite fa pensare agli elitisti, ma vi è una differenza radicale tra loro e
Mills. Per gli elitisti classici l’élite del potere è un fatto inevitabile che si presenta in ogni
società, per Wright Mills l’élite del potere è un fatto storico che deve essere superato per
costituire un’effettiva democrazia.Negli Stati Uniti d’America, formalmente l’autorità risiede
“nel popolo” ma in realtà il potere è nelle mani dell’élite composta da politici, industriali e
militari. Tra queste sfere istituzionali c’è collaborazione e spesso accade che esponenti di
una sfera passino a un’altra (periodo della guerra fredda, grande rilevanza del potere
militare che condizionava quello politico ed economico).
Ne “La élite del potere” si delineano due profili: quello del pubblico e quello della massa.

44 di 65
L’elemento che permette di distinguere il pubblico dalla massa è il tipo di mezzi di
comunicazione. In una comunità di tipo pubblico si comunica soprattutto discutendo, e gli
strumenti di informazione si limitano ad estendere e allargare la discussione, collegando
un gruppo primario, ove la discussione ha avuto origine, con gli altri gruppi. In una società
di massa il tipo di comunicazione prevalente è quello dei grandi mezzi di informazione
impiegati in maniera automatica, rispetto ai quali le comunità pubbliche non sono che dei
mercati.
Nel saggio c’è una critica ai media. Abbiamo motivo di credere che questi mezzi più che
ad estendere e vivificare le discussioni delle comunità autonome, abbiano contribuito a
trasformarle in zone di mercato, aperte al proprio influsso. I mezzi di informazione trattano
tramite più variazioni di pochi temi standardizzati e non come effettivo contrasto
d’argomenti. La libertà di sollevare nuove questioni sembra restringersi sempre più a quei
pochi argomenti che sono già di continuo all’ordine del giorno. Inoltre forniscono molte
notizie su quanto accade nel mondo, ma spesso non consentono al lettore, all’ascoltatore,
allo spettatore, di connettere veramente la sua vita quotidiana con questa più vasta realtà:
non c’è connessione tra le notizie riguardanti cose di pubblico interesse e i problemi che
travagliano l’individuo, non c’è alcuna comprensione delle difficoltà individuali, e delle
difficoltà sociali che si riflettono su quelle individuali. Al contrario, distraggono l’individuo e
limitano la sua possibilità di comprendere se stesso e il proprio mondo.
Ne “L’immaginazione sociologica” è presente una critica nei confronti della “Grande
Teorizzazione” e dell’empirismo astratto. Entrambi sono accusati di astoricità poiché
invece di cogliere l’urgenza dei problemi che emergono da una situazione storico-sociale,
isolano dalla società più vasta gruppi ed argomenti limitati, facendosi guidare dalla
presunta adeguatezza dei metodi a disposizione. Così molti problemi rimangono al di fuori
dell’ambito della ricerca in quanto si afferma che non esistono metodi adeguati per
affrontarli. Inoltre si precludono la «la possibilità di un’analisi critica della situazione
storico-sociale nella sua specificità, nei suoi limiti, e nelle sue possibilità intrinseche di
trasformazione. La causa fondamentale della Grande Teorizzazione è la scelta iniziale di
un livello di pensiero così generale, che chi lo pratica non possa logicamente scendere a
quello dell’osservazione. Essi, i Grandi Teorizzatori, non scendono mai dalle supreme
generalità ai contesti storici e strutturali dei problemi. L’assenza di un solido senso della
concretezza dei problemi spiega, a sua volta, la “irrealtà”, così evidente nelle loro pagine
(no contatto con la realtà). Al pari della Grande Teorizzazione, l’Empirismo astratto si
aggrappa ad una congiuntura del processo di lavoro e se ne lascia dominare. Ambedue
sono una rinuncia ai compiti delle scienze sociali. (Mills condivide teorie di medio raggio di
Merton, non come quelle di Parsons)

45 di 65
Rimane la grande importanza, contro i due orientamenti astorici della sociologia
nordamericana, della rivendicazione di una sociologia che muove dal presupposto della
storicità delle singole società, delle loro istituzioni e del comportamento degli individui in
esse.
Non vi è sociologia degna di tal nome che non sia “sociologia storica”. Abbiamo bisogno
della varietà offertaci dalla storia perfino allo scopo di porre nel giusto modo le domande
sociologiche, assai più che per dar loro una risposta.

Capitolo 3: la teoria critica della società


Agli inizi del decennio 1930-1940 sorge quell'ampia concezione della vita sociale,
economica e politica che alcuni suoi esponenti hanno denominato teoria critica della
società e che spesso è definita anche come scuola di Francoforte, in riferimento alla sede
in cui è sorta ufficialmente. L’atto ufficiale di nascita di questa scuola si ha con la
pubblicazione nel 1932 del primo numero della rivista per la ricerca sociale diretta da Max
Horkheimer. Nel 1933 l’istituto chiude i battenti, i nazisti non erano d’accordo riguardo
un’istituzione ad orientamento marxista e formata quasi interamente da studiosi di origine
ebraica.
Gli autori principali della scuola di Francoforte furono: Max Horkheimer (1895-1973),
Theodor W. Adorno (1903-1969), Herbert Marcuse (1898 – 1979). Il riferimento esplicito è
sempre a Marx; Freud altra grande fonte di ispirazione.
Horkheimer e Adorno in “Dialettica dell’illuminismo” sostenevano che l'Illuminismo
considera la conoscenza fondamentalmente come dominio degli uomini sulle cose, ma
anche dominio degli uomini sulle uomini. La razionalità sembra ridursi al rapporto tra
dominio e subordinazione, di conseguenza il razionalismo dell'Illuminismo si è trasformato
in irrazionalità nel senso della mancata realizzazione delle potenzialità umane: nella
società industriale avanzata l'uomo è diventato un mero strumento di profitto. La totale
riduzione dell'individuo entro uno schema sociale prestabilito ai fini del dominio rende la
stessa libertà individuale, programmata come inviolabile, una mera funzione. L'Illuminismo
aveva avuto lo scopo di liberare l'uomo dal mito, ma lo ha poi chiuso in una logica formale
immutabile, correlata alla logica meccanica e disumana dell'organizzazione economica
capitalista, un'organizzazione finalizzata al dominio di cose e uomini, ridotti a cose.
Criticano l'industria culturale che organizza lo svago, le attività culturali, il gusto, fino a
raggiungere un completo livellamento degli individui, fino a ridurli a zero integrandoli
totalmente entro la cultura dominante, espressione ideologica del potere. Lo spettatore
non deve lavorare di testa propria. Ogni connessione logica, che richieda fiato intellettuale,
viene scrupolosamente evitata.
Criticano anche i mezzi di comunicazione di massa, riproduttori di visioni del mondo
dominanti (apocalittici). Corresponsabili di una forma di isolamento definita «isolamento
per comunicazione».Il linguaggio bugiardo dell’annunciatore della radio si fissa nel cervello
come immagine della lingua e impedisce agli uomini di parlare fra loro.
Il progresso separa gli uomini. Esempio: macchina che sostituisce il treno = no interazioni.
Horkheimer e Adorno in “Lezioni di sociologia” parlano della sociologia come scienza
della società, figlia a del positivismo. Essa nasce dalla volontà di liberare il sapere dalla
fede religiosa e dalla speculazione metafisica: attenendosi rigorosamente ai fatti si
sperava di raggiungere anche in questo campo l’obiettività di cui erano modello le scienze
naturali, sperimentali da un lato, matematiche dall’altro. La sociologia che non vuole
riconoscere se non il “positivo” è quella esposta al pericolo di perdere ogni
consapevolezza critica; la scienza può esser qualcosa di più che mera duplicazione del
reale nel pensiero solo se è pervasa dallo spirito della critica. Spiegare la realtà significa
sempre anche rompere il cerchio della duplicazione. Tramite la ricerca critica si crea una
sociologia “negativa” attraverso la negazione dell’esistente.
46 di 65
Adorno in “Introduzione alla sociologia della musica” definisce 6 diversi tipi di ascolto:
- esperto → musicista professionista;
- buon ascoltatore → capisce la musica all’incirca come uno capisce la propria lingua
anche se sa poco o niente della grammatica e della sintassi: avverte cioè la logica
musicale immanente in modo inconscio;
- consumatore di cultura → ascolta molto, è ben informato, raccoglie dischi;
- ascoltatore emotivo → si abbandona al flusso sonoro per liberare stimoli istintuali
- ascoltatore risentito → il quale protestando contro la routine musicale convenzionale,
è apparentemente non conformista;
- ascoltatore per passatempo → il tipo dell’ascoltatore per passatempo è l’oggetto
dell’industria culturale.
L’altro componente della scuola di Francoforte è H.Marcuse. Per l’autore ragione significa
esame della realtà dal punto di vista di quanto è inadeguato e pertanto deve essere
mutato. Rispetto alle sempre rinnovate esigenze umane, la realtà oggettiva appare di volta
in volta come ostacolo. Il compito della ragione è quello di indicare il carattere negativo di
questa realtà e quindi la necessità di negarla. La ragione coincide pertanto con l'esigenza
di libertà del soggetto, il quale, in quanto razionale vuole liberarsi di ciò che gli si oppone
come limite. L'idea di ragione come denuncia di un ordine economico e politico costituito,
come sua negazione, quindi come rivoluzione, costituisce il fondamento della teoria critica
della società.
In “Eros e civiltà” Marcuse riprende da Freud il concetto di società come fonte di
repressione e sostiene che al di là di una repressione “fondamentale”, necessaria per la
sopravvivenza, vi è la repressione “addizionale”, indotta dal potere economico e politico
non al fine della sopravvivenza umana ma per il perpetuarsi della razza umana nella
civiltà. Il principio del piacere è sempre stato ostacolato dal principio della realtà. La
scarsità di risorse, la “penuria”, non rende possibile il pieno soddisfacimento degli istinti
umani. Il pretesto della penuria, che ha giustificato la repressione istituzionalizzata fin dai
suoi inizi, diventa meno plausibile man mano che le conoscenze dell’uomo e il suo
controllo della natura aumentano i mezzi per soddisfare i bisogni umani con una fatica
minima. La povertà che continua a regnare in vaste zone del mondo, non dipende più
principalmente dalla povertà delle risorse umane e naturali, ma dal modo nel quale queste
ultime sono distribuite e utilizzate.
“L’uomo a una dimensione” è l’uomo che non ha più capacità critiche, che è
completamente assorbito dalle esigenze, da parte del sistema in atto, di autoperpetuarsi.
L’individuo si è sempre formato nella società. Si prenda un esempio (sfortunatamente
fantastico): la semplice assenza di ogni pubblicità e di ogni mezzo di informazione e di
trattenimento precipiterebbe l’individuo in un vuoto traumatico in cui egli avrebbe la
possibilità di farsi delle domande e di pensare. La libertà interiore designa lo spazio privato
in cui l’uomo può diventare e rimanere se stesso ma oggi questo spazio privato è stato
invaso dalla realtà tecnologica. Producendo così un’identificazione immediata
dell’individuo con la sua società. Mentre la gente può sopportare la produzione continua di
armi nucleari, di pioggia radioattiva, e di alimenti discutibili, essa non può (proprio per
questa ragione!) tollerare di essere privata del trattenimento. L’arresto della televisione e
degli altri media che l’affiancano potrebbe quindi contribuire a provocare ciò che le
contraddizioni inerenti il capitalismo non provocarono, la disintegrazione del sistema.

Capitolo 4: l’orientamento fenomenologico


La filosofia fenomenologica è una tra le molteplici manifestazioni della crisi dell’ottimismo
epistemologico del positivismo e della società in cui esso era sorto. E.Husserl, che della
fenomenologia è fondatore, va ricordato per l’opera “La crisi delle scienze europee e la
47 di 65
fenomenologia trascendentale”. In tale opera contrappone il mondo della vita (ambito delle
certezze famigliari) alla scienza. La scienza attinge necessariamente al prescientifico
mondo della vita e sorge da esso. La scienza infatti, va compresa come una possibile
risposta ai problemi che gli uomini si trovano a dover affrontare nella loro vita. Se il mondo
della vita è prescientifico nel senso che precede logicamente la scienza, ne consegue che
è necessario spiegare la scienza stessa facendola risalire ai problemi pratici del mondo
della vita. Nel mondo moderno si è avuta invece un’inversione di tendenza: si è cercato di
spiegare il mondo della vita e dell’uomo attraverso le categorie della scienza. Husserl
parla in proposito di “limitazione positivistica”. La scienza di per sé non può assegnare
alcun senso alla vita dell’uomo, che rimane comunque priva di significato e di finalità
senza alcun riferimento al prescientifico mondo della vita.
Uno degli autori che più si rifà a Husserl è A.Schutz. La sua opera “La fenomenologia
del mondo sociale” è stata scritta, come ci dice l’autore nella prefazione scritta da lui
stesso, dopo anni di studio degli scritti di Max Weber. È convinto che Max Weber ha sì
definito una volta per tutte, con la sua impostazione del problema, il punto di partenza di
ogni vera teoria delle scienze sociali, ma che le sue analisi non sono state spinte in
profondità.
Nell’introduzione italiana a cura di E.Melandri, viene criticata la fretta nel leggere che
caratterizza la nostra epoca.
Schtuz comincia la sua analisi trattando dell’azione significativa o dotata di senso, nella
convinzione che essa non fosse stata ancora esaminata in modo adeguato. Infatti Schtuz
fa delle critiche a Max Weber e evidenzia i limiti della sua opera. Ad esempio Weber non
distingue tra agire come decorso e azione compiuta, fra il senso del produrre e il senso del
prodotto, fra il senso dell’azione propria e quello dell’azione altrui, o del vissuto proprio e
dell’altrui, fra autocomprensione ed eterocomprensione.
Bisogna chiare, e Weber non aveva sviluppato il discorso di questi termini, se il senso
dell’azione è medesimo per il soggetto agente nel corso dell’azione e ad azione
compiuta, per l’interlocutore e per l’osservatore esterno, o in quale modo esse subisce
modificazioni. Se per i fini pratici dei rapporti nella vita quotidiana, infatti, si può presumere
questa identità di senso, le scienze sociali, al contrario, non possono non porsi questi
problemi. Esse si devono chiedere inoltre cosa vuol dire dare significato all’azione: vuol
dire prima si agisce e poi si attribuisce il significato? Oppure il significato precede o è
contemporaneo all’azione? Per risolvere queste difficoltà Schutz fa riferimento a Bergson
e a Husserl. Bergson distingue tra il tempo della durata, cioè la percezione individuale
del fluire del tempo che si discosta dal tempo oggettivo e il tempo spazializzato,
quantificabile. Husserl distingue tra ritenzione, cioè il fluire del tempo che passa e
riproduzione cioè il ricordo che ricrea in un secondo tempo il vissuto precedente e
ricreandolo lo interpreta e lo trasforma.
Schutz afferma che all’azione può essere attribuito senso solo a posteriori, in termini di
riproduzione. Chiarisce che l’azione da compiere ha senso solo su una base di un
progetto, cioè quando la si pensi già compiuta. È la presenza di un progetto a indicare
quando si ha azione. Ma il senso attributo all’azione compiuta è sempre diverso da quello
del progetto, così che l’azione è interpretata da punti di vista diversi.
Un’ulteriore critica a Weber deriva dalla sua mancata distinzione tra motivi finali e motivi
causali, o motivi al fine dei quali e motivi a causa dei quali. Esempio: omicidio per
impossessarsi di una somma di denaro (motivo finale) a causa di uno stato di povertà
(motivo causale). L’azione può essere interpretata dal punto di vista delle finalità da
raggiungere e appare come libero atto della spontaneità dell’io, oppure si può cercare di
risalire alle cause che hanno condotto il soggetto a una determinata scelta, e in questo
caso l’azione appare come condizionata da fattori esterni a essa.
L’autore poi passa a trattare del significato dell’azione sociale. Il senso è per essenza
soggettivo; è legato all’autointepretazone ad opera del soggetto dei vissuti. Ci si può

48 di 65
rivolgere a se stessi solo riflessivamente, e quindi a posteriori, nei confronti dei vissuti
dell’altro non è così: a essi si può guardare in contemporaneità, nel loro scorrere. L’altro si
può comprendere solo in modo frammentario e limitato, solo in rapporto a determinate sue
azioni di cui facciamo esperienza e cui possiamo riferirci ciò non basta a chiarire la
complessità dei rapporti inter-soggettivi. In un suo ulteriore tentativo Schtuz distingue tra
senso soggettivo e senso oggettivo del prodotto dell’azione dell’uomo. Parliamo di
senso soggettivo quando ci riferiamo al nesso significativo in cui stanno o sono stati per il
produttore i vissuti del produttore; mentre attribuiamo senso oggettivo a un prodotto in
quanto tale. Il prodotto è una cosa finita e conclusa che non sta più nel flusso del produrre
ma rinvia a questo come ad un decorso ormai passato.
Senso soggettivo → produttore
Senso oggettivo → prodotto dell’azione
Weber non aveva raggiunto queste conclusioni e non era nemmeno riuscito a individuare
chiaramente la differenza tra comportamento sociale e azione sociale. Weber considera
sociale ogni agire che si metta in rapporto con il comportamento altrui. Tuttavia di azione
sociale egli può parlare solo in presenza di un progetto orientato verso il comportamento
altrui, mentre attraverso i sentimenti entriamo in rapporto con gli altri anche senza progetti
precedenti, e qui ci si troverebbe dinanzi al comportamento sociale.
Schtuz passa all’analisi della relazione sociale. Si ha un caso di relazione sociale quando
chi agisce orientandosi verso l'altro pensa che quest'ultimo, a sua volta, orienta il suo agire
verso di lui. Il primo caso di relazione sociale si costituisce come esperienza diretta,
attraverso il mio continuo percepire in me modificazioni che si creano tramite gli
atteggiamenti dell'altro nei miei confronti e viceversa. Si tratta di costruirsi il noi, di un fluire
delle due coscienze in unico presente. Ogni membro partecipa lo scorrere della vita
dell’altro. La forma di relazione sociale che sta alla base di ogni altra e della stessa
struttura del mondo sociale è quella che l'autore chiama relazione sociale ambientale,
ed è caratterizzata dal fatto che gli interlocutori condividono lo stesso ambiente spazio-
temporale, si trovano l'uno dinanzi l’altro. La relazione ambientale si verifica inquadrandosi
in uno schema di significati precostituiti. Ciò consente il passaggio dalla relazione
ambientale al mondo sociale dei contemporanei, di coloro che vivono nel mio stesso
mondo temporale, ma con il quale non sono in rapporto diretto.
Il contemporaneo è accessibile all'io solo mediamente e quindi suoi contenuti di coscienza
possono venire colti solo mediante una tipizzazione. Noi viviamo in un mondo ordinato di
oggetti definiti, la cui esistenza oggettiva appare da noi indipendente, risultano percepibili
solo sulla base di precedenti elaborazioni concettuali, formazione di categorie tipiche,
tipizzazioni. Viviamo in un mondo di oggetti tipificati, e solo sulla base di queste
tipificazioni è possibile la nostra esperienza degli oggetti. Senza tipificazione non è
possibile il conoscere. Ovviamente vi sono differenze individuali nei modi di conoscere la
realtà, dovute alla differenza di punti di vista tra individui.
Il problema fondamentale di Schutz, il perno di tutto il suo pensiero è il problema della
struttura significativa della vita quotidiana. Poiché i significati attribuiti alla vita quotidiana
cambiano da un contesto socio-culturale all’altro, l’autore in argomento riconosce la
pluralità dei mondi sociali. Possiamo guardare alla realtà da una pluralità di punti di vista a
seconda dei particolari interessi che abbiamo in determinati momenti. Schutz conia le
“province finite di significato”. Esamina “la realtà del mondo della vita quotidiana”,
nell’ambito della quale si dà il mondo dell’azione verso l’esterno e verso gli altri, cioè il
“mondo della vita lavorativa”. Altre province invece sono: mondo dei sogni, mondo
dell’arte, mondo dei giochi dei bambini, mondo dei malati di mente… a cui si attribuisce un
significato diverso in base al mondo in cui ci si trova. Il mondo della vita quotidiana e
dell’attività lavorativa è la realtà preminente che condiziona tutte le altre.
A Schutz si rifanno Berger e Luckmann nel loro libro “La realtà come costruzione
sociale”, che risale al 1966. Nel libro di due autori scrivono che il punto di vista di

49 di 65
Durkheim, secondo cui la realtà sociale si presenta come fatto esterno all’individuo e
coercitivo nei suoi confronti, e il punto di vista di Weber, secondo cui invece l’oggetto della
sociologia è costituito dall’azione e dalla relazione sociale, sono complementari.
La società:
possiede una oggettiva fattualità (Durkheim → fatti sociali);
è costruita da un’attività che esprime significati soggettivi (Weber → azione sociale).
Berger e Luckmann contrappongono la società come realtà oggettiva alla società come
realtà soggettiva. Il carattere oggettivo della società consiste nell'istituzionalizzazione,
cioè nel processo attraverso il quale l'agire umano tende a cristallizzarsi in forme fisse e
prestabilite che si impongono dall'esterno ai singoli individui ed esercitano un controllo
sulla loro vita psichica e sul loro agire. La società come realtà soggettiva invece è il
momento più specificatamente originario dei significati, i quali sorgono nell'interazione
costituiscono poi la base della società come realtà oggettiva.
Distinguono poi tra socializzazione primaria e socializzazione secondaria. Attraverso la
prima, l'individuo, fin dalla primissima infanzia, grazie al profondo legame affettivo
instaurato con le persone che gli stanno vicino, fa proprio il loro mondo sociale, utilizzando
i propri specifici modi di conoscere la realtà, i quali gli appaiono come gli unici possibili. La
socializzazione secondaria, più cognitiva che affettiva, fa sì che l'individuo interiorizzi le
conoscenze, i valori, le norme, relativi a una specifica istituzione. Una socializzazione
secondaria implica una preesistente socializzazione primaria.
Il problema della pluralizzazione dei mondi della vita iè ripreso da Berger, insieme con
Brigitte Berger e Kellner, in “La mente senza dimora: modernizzazione e coscienza”.
Mentre nei periodi precedenti all'attuale società industriale urbana gli uomini vivevano in
mondi della vita relativamente unificati, oggi essi vivono invece in una situazione
caratterizzata dalla pluralità di tali mondi. Un aspetto di questa pluralizzazione si ha nella
dicotomia tra sfera pubblica e sfera privata: tra il mondo del lavoro e la vita intima.
Ciò un tempo non si verificava in quanto vi era un ordine generale che integrava gli
individui nella società. Si trattava dell'ordine religioso, che permeava ogni sfera della vita
individuale così che l'individuo era sempre nello stesso mondo.
Nel mondo del lavoro ci si trova dinanzi a realtà molto diverse e anche per quanto riguarda
la vita privata si scontrano individui con visioni contrastanti dovute a contrastanti
esperienze precedenti. La pluralità dei mondi vive all'interno dello stesso individuo, il quale
stenta a riconoscersi come unitario. Si sente spesso disperso in una molteplicità di realtà
contrastanti che vivono contemporaneamente in lui creandogli difficoltà a riconoscere se
stesso. Questa pluralizzazione è in stretta correlazione con l'esperienza della vita urbana.
Nella città infatti coesistono molteplici mondi culturali in contrasto uno con l'altro e
attraverso i mezzi di comunicazione di massa l'individuo è bombardato da una molteplicità
di informazioni. Questa pluralità di mondi amplia la coscienza individuale, la rende più
problematica e aperta. L’identità moderna appare aperta a continui mutamenti, dinamica,
riflessiva in quanto in una pluralità di mondi nulla è per scontato (come chi invece vive in
un mondo unico e in esso si sente a casa sua), tendenzialmente individualistica,
attribuisce grande valore ai principi di libertà e di autonomia individuale, ai diritti
dell’individuo.
A.Ardigò in “Crisi di governabilità e mondi vitali” traduce l’espressione di Husserl, mondo
della vita in mondo vitale, che contrappone al mondo delle istituzioni. Il primo è quello del
vivido presente in cui nel rapporto diretto si crea il noi. All’autore interessa la soggettività
del mondo vitale in contrapposizione all’oggettività delle istituzioni politiche. Solo in una
mediazione tra i due momenti può essere cercato il superamento di questa crisi.
In un altro suo più recente lavoro, “Per una sociologia oltre il post-moderno”Ardigò ha
fatto riferimento alla categoria dell’empatia. In tale lavoro si sostiene una sociologia
dell'ambivalenza nel senso che da un lato l'individuo appare sempre chiuso nell'ambito di
una società costrittiva; dall'altro è altrettanto vero che l'individuo è anche irriducibile a

50 di 65
qualsiasi struttura coercitiva e ha in sè aspetti unici che ne fanno entro certi limiti sempre
un innovatore. Non si tratta di un dualismo, di aspetti entrambi presenti, ma scissi
nell’individuo. Al sociologo interessa la possibilità della comunicazione tra soggetti,
possibilità che gli radica nell’empatia. La fondazione del discorso sociologico fa
affidamento sulla capacità, non senza rischi di errore, che ha la coscienza del singolo
attore sociale di rendersi conto intuitivamente dei sentimenti di un altro, di interpretare,
immedesimandosi, le esperienze che l’altro sta attraversando, e ciò prima ancora
dell’inizio di una comunicazione linguistica e purché in contesto di vicinanza intercorporea.

Capitolo 5: la teoria dello scambio


La teoria dello scambio, nella sua forma attuale, è in realtà un ritorno allo spirito e ai
principi dell’estremo individualismo come reazione allo strutturalismo e alla teoria
funzionalistica dei decenni 1940-1950 e 1950-1960. Deve attenersi al principio
dell’utilitarismo individuale e della psicologia comportamentistica. A tal proposito di
quest’ultima è stato ricordato lo studio di Skinner sul comportamento degli organismi e sul
comportamento umano. Mediante una serie di sperimenti ha dimostrato che tramite un
sistema di premi e punizioni, il comportamento ne è influenzato. Ad esempio: se un cane
viene premiato con cibo ogni volta che obbedisce ad un comando, continuerà a riprodurre
quel comportamento; un piccione si adatta a mangiare in piccoli spazi, e non altrove, se
riceve delle ricompense (grano, acqua, ambiente tranquillo). Si dimostrava così l’utilità
dell’adattamento all’ambiente ai fini del tornaconto individuale, dove l’adattamento è una
forma di scambio nel senso che solo concedendo di adattarsi a singole situazioni il
tornaconto poteva essere ottenuto.
Fondatore ed esponente principale della teoria dello scambio è G.Homans. Nella sua
opera “Le forme elementari del comportamento sociale” introduce una serie di
proposizioni che riguardano il concetto di azione, di ricompensa, di valore e di giustizia
distributiva.
- Quanto più spesso un determinato comportamento è ricompensato, tanto più è
probabile che sarà ripetuto. Ricompensa → ripetizione del comportamento
- Se un certo stimolo è stato collegato con un comportamento ricompensato,
probabilmente sarà ripetuto proprio quel comportamento o uno analogo.
- Quanto più è preziosa la ricompensa per un determinato comportamento, tanto più è
probabile che tale comportamento sarà ripetuto. Obiezione: i premi Nobel diventano
meno produttivi (cfr. Zuckerman 1967).
- Quanto più spesso si è ricevuta una certa ricompensa nel passato recente, tanto meno
si dà valore ad ogni ulteriore ricompensa → principio della “saturazione”
Viene introdotto il concetto di sazietà, nel senso che l'esigenza di ricompense di un
terminato genere è limitata. L'autore suppone poi che la ricompensa attesa in cambio di
una determinata azione debba essere proporzionale ai costi dell'azione stessa. In questo
senso si può parlare di giustizia distributiva e della presenza di una reazione di delusione
o di aggressività qualora tale giustizia distributiva non sia stata rispettata.
Il carattere utilitaristico e individualistico della teoria sostenuta è ribadita da Homans con
l'affermazione secondo cui le istituzioni non si perpetuano per il semplice fatto di essere
consacrati in norme. Esse si perpetuano solo nella misura in cui assicurano degli utili per
singoli uomini.
Nell’analisi della famiglia (vita familiare considerata come uno scambio complesso di
attività mutuamente ricompensanti) ci sono diversi approcci: approccio funzionalista di T.
Parsons; approccio dello scambio; approccio dello sviluppo.
Secondo il punto di vista di Parsons, famiglia = status-ruoli (aspettative complementari);
funzione principale: funzione di socializzazione; modello: famiglia nucleare;
51 di 65
potere → età (potere superiore nei genitori);
ruoli → ruolo strumentale/ruolo espressivo; ruolo strumentale → uomo → rapporti con
l’esterno, acquisizione di risorse; ruolo espressivo → donna → rapporti interni, affetto e
cura.
Nell’approccio dello scambio la vita familiare viene considerata come uno scambio
complesso di attività mutuamente ricompensanti, in cui l’accettazione di un beneficio da
parte di un membro è basato sul contraccambio di un favore a un altro membro.
Famiglia: scambio di attività (logica utilitaristica; utilità → materiale, affettiva)
Nell’approccio dello sviluppo la famiglia è vista come una realtà dinamica che attraversa
varie fasi; è esposta ad eventi critici ed ha capacità di adattamento. Un evento critico è un
evento che altera la dinamica familiare, può essere prevedibile (nascita di un figlio) e non
prevedibile (malattia). Classificazione delle fasi: la coppia pre-coniugale; la coppia
coniugale senza figli; la coppia con figli piccoli; la coppia con figli adulti, ma ancora
conviventi con i genitori; la coppia adulto-anziana senza figli (usciti di casa). Per quanto
riguarda la capacità di adattamento è citato il modello ABCX. A = evento stressante;
B = risorse (interne ed esterne); C = definizione della situazione → X = crisi familiare
(variabile dipendente da spiegare).

Capitolo 6: comportamenti collettivi e movimenti sociali


Le sociologie del comportamento collettivo sono quei movimento messi in atto da una
pluralità di soggetti che tendono a rompere l’ordine istituzionale costituito. N.J.Smelser nel
suo tentativo di elaborare una teoria del comportamento collettivo si riallaccia al pensiero
di Parsons. I suoi interessi si concentrano sui comportamenti collettivi. Il comportamento
collettivo si manifesta quando si presentano condizioni di tensione strutturale, cioè
quando l’azione integrata in un’organizzazione sociale è sotto tensione, quindi sotto cattiva
integrazione e quando i mezzi per dominare la tensione sono inadeguati (esempio: casi di
discriminazione sociale). Quando si verifica tale tensione strutturale si deve avere una
riformulazione della situazione. La caratteristica del comportamento collettivo è quella
dell'impazienza che porta alla irrazionalità. Quando infatti si riformulano i principi di
carattere generale per il mantenimento dell'equilibrio del sistema sarebbe necessario una
pari riformulazione di tutti livelli più specifici. Al contrario, nel comportamento collettivo si
va direttamente al principio più generale, riformulato, al livello più specifico in cui è sorta la
tensione, per un tentativo di soluzione immediata di tale tensione.
Il comportamento collettivo è una mobilitazione non istituzionalizzata, che prende forma
sulla base di una “credenza generalizzata” per modificare uno o più tipi di “tensione
strutturale”.
Esistono 6 fasi del comportamento collettivo:
1. propensione strutturale (fermento);
2. tensione strutturale;
3. insorgenza e diffusione di una credenza generalizzata;
4. fattori precipitanti;
5. mobilitazione per l’azione;
6. controllo sociale.
Smelser distingue poi tra folla e massa. La folla è caratterizzata da interazioni face to
face, stesse coordinate spazio-tempo. Folla → numero relativamente grande di persone
che si trovano le une in presenza delle altre. La massa invece è un insieme di persone
che si rivolgono a un comune oggetto di attenzione ma non sono in immediata vicinanza
fisica l’una dell’altra. I comportamenti collettivi possono essere propri sia delle masse sia
delle folle. I fenomeni possono essere dovuti a paura, ostilità, gioia.
Sempre Smelser distingue tra comportamenti collettivi e movimenti sociali, i quali ultimi
hanno costituito argomento di grande interesse nella teoria sociologica contemporanea.
52 di 65
I movimenti sono forze sociali innovative rispetto all'ordine istituzionale. Per quanto brevi,
durano più a lungo dell'episodi di comportamento collettivo e hanno strutture meno labili di
leadership e di seguaci; vi è una divisione del lavoro più complessa; è presente una
mobilitazione e una pianificazione più deliberata; sono più direttamente rivolti a cambiare
la società nel suo complesso e quindi quasi sempre contengono elementi di conflitto
politico e di contrapposizione nei confronti degli oppositori.
Smelser viene criticato in quanto:
rimane implicitamente legato ai presupposti della tradizione sociologica dell’integrazione;
non distingue tra movimenti espressivi (rivendicazione di nuovi valori) e movimenti attivi
(passaggio all’azione), distinzione proposta da Blumer e perché in alcuni casi di
comportamento collettivo è impossibile individuare tutte le sei fasi descritte da Smelser.
In Italia il problema dei momenti sociali è stato studiato in modo particolare da F.Alberoni.
La centrale dell'autore è quella di “stato nascente”, quel momento in cui si superano
collettivamente le barriere costruite dal sistema istituzionale. È un impulso impulso
collettivo al mutamento, una fase di discontinuità rispetto alla continuità della routine
quotidiana. Poiché lo stato nascente implica l'interazione e il formarsi di una solidarietà
attraverso di essa, esso non sta alla base di qualsiasi fenomeno collettivo. Si hanno infatti,
fenomeni collettivi di aggregato in presenza di una molteplicità di persone che si
comporta nello stesso modo, come nella moda, nel panico nelle migrazioni senza che vi
sia necessità, per il sussistere del fenomeno, di interazione. I fenomeni collettivi di
gruppo si hanno, invece, quando l'attività non è riconducibile a una scelta individuale ma
va comprese come attività collettiva e va imputata a un’entità collettiva. Alberoni si trova
ad affrontare una difficoltà: egli ha accostato fenomeni tanto diversi tra loro quanto
l’innamoramento e la rivoluzione da un lato per ciò che riguarda i gruppi e il panico e
l’emigrazione per ciò che riguarda gli aggregati. Ma si può obiettare che un fenomeno
dovuto ad eventi che possono essere casuali, come il panico, non può essere posto sullo
stesso piano di un fenomeno che ha specifiche cause economiche, come l’emigrazione.
Al problema dei movimento sociali è giunto in Francia anche A.Touraine. L’autore critica
il funzionalismo riguardo il problema della riproduzione della società, in quanto la società
oltre che riprodursi, si produce. Inoltre rimprovera al modello funzionale di fare riferimento
prevalentemente ai valori come fattore di coesione sociale. La società, secondo Touraine,
non è guidata da un corpo coerente di valori, in quanto essi si trovano a coesistere in
modo contraddittorio. L’autore fa riferimento al concetto di storicità che è la capacità di
prodursi della società che si contrappone alla mera riproduzione della società. Chiama
storicità l’insieme dei modelli culturali mediante i quali una società produce le proprie
norme negli ambiti della conoscenza, della produzione e della morale. Affronta il problema
dei movimento sociali; non sono individui singoli né entità collettive, ma sono la stessa
attività che si esplica nella società attraverso incontri, scontri, tentativi di far emergere
determinate forze e determinati valori. Un movimento sociale è lo sforzo di un attore
collettivo per impossessarsi dei “valori”, degli orientamenti culturali di una società
contrapponendosi all’azione di un avversario cui lo legano rapporti di potere. Un
movimento sociale è contemporaneamente un conflitto sociale e un progetto culturale.
Esso mira sempre alla realizzazione di valori culturali e contemporaneamente alla vittoria
su un avversario sociale.
Touraine introduce il concetto di soggetto, che esiste soltanto come movimento sociale,
come contestazione della logica dell’ordine, prenda essa una forma utilitaristica o sia
semplicemente la ricerca dell’integrazione sociale. Quindi il soggetto è sinonimo
dell’espressione movimento sociale in quanto sono i movimenti sociali ad agire e a
produrre l’innovazione anziché riprodurre la società.
Secondo Alain Touraine, ogni movimento sociale «è la combinazione di tre principi»:
1. principio di identità → definizione che l’attore sociale dà di se stesso in relazione
all’avversario;

53 di 65
2. principio di opposizione → definizione di un
avversario;
3. principio di totalità → definizione della lotta.
IO: conflitto con l’avversario
OT: posta in gioco
IT: progetto
Ne la “Critica della modernità” l’autore sostiene
che i nuovi movimenti sociali mirano a cambiare la
vita, a difendere i diritti dell’uomo, sia il diritto alla
vita per coloro su cui grava la minaccia della fame e
dello sterminio sia il diritto alla libera espressione o

alla libera scelta di uno stile e di una storia di vita personali. Le contestazioni più vive oggi
hanno un fondamento morale perché il dominio si esercita sui corpi e sulle anime ancor
più che sul lavoro e sulla condizione giuridica. Questo grande rovesciamento dell’azione
collettiva – da temi economici verso temi personali e morali – non si osserva soltanto nelle
forme più organizzate di mobilitazione.
Berzano e, Cepernich in “Società e movimenti” distinguono i movimenti sociali dai nuovi
movimenti sociali.

Alcune caratteristiche dei movimenti g-locali (es. movimento No Global): opposizione alla
globalizzazione in tutte le sue forme; opposizione alle multinazionali e alle politiche
neoliberiste; • organizzazione interna di tipo reticolare e pluricentrico (gruppi autonomi in
connessione sistematica tra loro).

Capitolo 7: la sociologia neoliberale di Dahrendorf


R.Dahrendorf rappresenta la tipica espressione della Germania occidentale dopo la
suddivisione politica della nazione tedesca.
In “Classi e conflitto di classe nella società industriale” tenta di ricostruire, sulla base
dei vari brani di Marx relativi al problema delle classi sociali, il pensiero di quest’ultimo in
proposito, rimasto frammentario e incompiuto. Dahrendorf non contesta che la teoria di
Marx potesse essere adeguata alla società industriale il suo tempo, ma ne rifiuta
insistentemente la validità attuale. A parere dell'autore non è corretto definire la classe in
54 di 65
termini economici, essa va di piuttosto definita in termini di autorità. Rifacendosi a Weber,
e specificatamente alla sua distinzione tra autorità e potere, egli afferma che solo i rapporti
di autorità e subordinazione sono rilevanti sociologicamente. La classe va definita in
relazione a tale rapporto di autorità e subordinazione. L'autorità è definita come la
probabilità che un comando con un dato contenuto specifico venga obbedito da un gruppo
di persone, per subordinazione si deve intendere un’esclusione dell'autorità, e cioè un
dovere di obbedire a comandi autoritativi. I rapporti di autorità e subordinazione all'interno
delle singole associazioni sono regolati da definiti principi normativi e quindi sono
istituzionalizzati. All'esistenza dell'associazione corrisponde l'esistenza di opposti interessi,
tra diversi individui a seconda dei ruoli che si occupano in tale associazione. Ed è proprio
la presenza di questo elemento dell'interesse a rendere specifico il concetto di classe
intesa come collettività di individui che condividono gli stessi interessi manifesti o latenti
derivanti dalla struttura di autorità di associazioni coordinate da norme imperative.
Cerca di spiegare poi il fenomeno del conflitto all’interno delle diverse “associazioni”, tra
coloro i quali detengono l’autorità (sovra-ordinati) e chi ha il «dovere di obbedire»
(subordinati). Una volta individuati tali gruppi si è in grado di intendere il conflitto tra coloro
che, detenendo l'autorità nell'ambito di un'associazione, mirano a mantenere l'ordine
costituito all'interno di essa, e coloro che non detenendola, mirano a sovvertirlo.
Sono state rivolte alcune critiche a Dahrendorf: l’esclusione dal suo studio della potenza
anche se ciò sembra arbitrario; il fatto che il semplice antagonismo tra coloro che
detengono il potere e coloro che non lo detengono nell’ambito di una medesima
“associazione” non è sufficiente per spiegare i mutamenti strutturali; e il fatto che
distinguere nettamente il gruppo dei detentori del potere da quello dei non detentori è
tutt’altro che pacifico.
In “Classi e conflitto di classe” Dahrendorf concepisce il conflitto in termini di conflitto tra
gruppi all’interno delle “associazioni”. Nei suoi scritti posteriori a tale opera egli tende
invece a rivedere il suo schema esplicativo originario spostando il problema del conflitto
nell’ambito delle associazioni al conflitto inteso in termini più generici. Rifiuta lo schema
funzionalista che fonda la società sull’equilibrio e sul consenso. Al contrario – egli afferma
– il conflitto è vitale per qualsiasi società, ed esso non va concepito come caratteristica di
una fase storica, come qualcosa di transitorio, ma come fondamento stesso della vita
sociale. Come fattori nel processo onnipresente del mutamento sociale, i conflitti sono
profondamente necessari. Là dove essi mancano, e anche dove vengono soffocati e
apparentemente risolti, il mutamento viene rallentato e arrestato. Là dove i conflitti sono
riconosciuti e regolati, il processo del mutamento viene conservato come sviluppo
graduale. I conflitti sono un elemento vitale della società.
L’autore in “Homo sociologicus” parla dei ruoli. I ruoli sociali sono complessi di aspettative
concernenti il comportamento del titolare di posizioni in una determinata società. L’uomo
spoglio di qualsiasi ruolo sociale è un essere inesistente per la società e per la sociologia.
Il problema della libertà dell’uomo, come essere sociale, è il problema dell’equilibrio tra
comportamento determinato secondo un ruolo e autonomia, e l’analisi dell’homo
sociologicus sembra confermare il paradosso dialettico di libertà e necessità.
Il concetto di libertà viene ripreso in “Quadrare il cerchio. Benessere economico, coesione
sociale e libertà politica”. Dahendorf afferma che la fusione di competitività globale e di
disintegrazione sociale non è una condizione favorevole alla costituzione della libertà. La
libertà fiorisce in un clima di fiducia: fiducia in se stessi e nelle opportunità offerte dal
proprio ambiente, ma anche nella capacità del gruppo sociale in cui si vive di garantire
certe regole fondamentali, lo stato di diritto. La libertà che ha in mente l’autore è quella che
realizza chances di vita. Si ha progresso solo là dove rispetto a periodi precedenti si
danno maggiori chances di vita. Libertà significa che noi superiamo o eliminiamo
qualunque ostacolo impedisca la crescita umana e cioè aumentiamo le chances di vita che
si trovano a disposizione degli individui. La possibilità di scegliere tra alternative diverse

55 di 65
senza che siano criteri per individuare quali atti sono preferibili ad altri è una libertà solo
fittizia. Perché vi siano effettivamente chances di vita è dunque necessario anche un
criterio distintivo tra le varie possibilità. Ci sono due elementi che caratterizzano le
chances di vita: le opzioni e le legature. Le opzioni sono le possibilità di scelta che gli
individui hanno a disposizione in una società. Le legature sono i rapporti che tengono uniti
gli individui nella società, sono appartenenze, legami che permettono agli individui di dare
un senso concreto alle loro scelte. Secondo l’autore il liberalismo contiene due elementi
fondamentali i quali entrambi, peraltro, attengono alla sfera individuale ed alle life chances
dell’individuo: protezione dell’individuo e delle sue chances da ogni arbitraria limitazione e
ampliamento delle opportunità di vita.
Opzioni → Scopo e orizzonte dell’agire
Legature → Senso e “ancoraggio” dell’agire
Le sue preoccupazioni sono dirette soprattutto verso la mancanza di legature nella società
moderna. Il liberalismo oggi non può fare appello solo all'individuo libero da costrizioni
esterne ma deve tener presente anche il problema delle legature. Ciò non significa
auspicare un ritorno al passato e i suoi vincoli. Il problema è quello di individuare legature
compatibili con tale società. L'autore cerca una serie di vie di uscita a queste difficoltà nel
mondo contemporaneo. Sostiene la necessità della diversificazione, quindi della
disuguaglianza, contro le presenti tendenze all'uguaglianza, che è solo appiattimento. Solo
se è possibile la diversificazione, quindi la disuguaglianza, è possibile per il singolo
sperare. Dahrendorf quindi lancia un appello agli intellettuali perché tengono viva la
possibilità del nuovo e del diverso.
La costruzione sociale della vita umana è una specie di legatura fondamentale, insieme
alla religione, al patto sociale, la coscienza storica, sentimento di patria il senso della
famiglia. Queste legature risultano in crisi. E proprio questa crisi delle legature riconduce
l'autore a uno tra i problemi più tipici della società classica: quello dell'anomia. Esso
diventa il problema centrale delle società contemporanee più avanzate economicamente.
Gli uomini hanno bisogno di qualcosa di più dei diritti e del denaro per vivere una vita
piena e soddisfacente. Tutti noi abbiamo bisogno di vincoli e rapporti che ci impediscono
di scivolare in una condizione di anomia, di disorientamento, e mancanza di norme.

Capitolo 8: l’interazionismo simbolico dopo Mead


L’interazionismo simbolico cui spesso si collega il nome di G.H.Mead quale suo primo
esponente, non è stata coniata da lui ma da H.Blumer, esponente della “Seconda Scuola
di Chicago” che risente delle influenze della “Prima Scuola di Chicago” e soprattutto di G.
H. Mead.
L’interazionismo simbolico si basa su tre semplici premesse:
- gli esseri umani agiscono nei confronti delle cose sulla base dei significati che tali cose
hanno per loro. Tali cose comprendono tutto ciò di cui l’essere umano può fare
esperienza nel suo mondo, ad esempio oggetti fisici, istituzioni, altri esseri umani ecc
- il significato di tali cose è derivato dall’interazione sociale che il singolo ha con i suoi
simili o sorge da essa.
- questi significati sono elaborati e trasformati in un processo interpretativo messo in atto
da una persona nell’affrontare le cose in cui si imbatte
(i significati guidano l’azione - i significati nascono dall’interazione - i significati sono
elaborati e trasformati dal soggetto attraverso un processo interpretativo)
Blumer afferma che Mead ha identificato due generi di interazione: quella non simbolica
e quella simbolica (che rinvia ad una interpretazione, non uguale per tutti).
Stimolo → interpretazione → risposta

56 di 65
L’interazionismo simbolico trascura la rilevanza del contesto sociale; sottovaluta i
condizionamenti strutturali; trascura il riferimento alla dimensione storica dei fenomeni
sociali. Si deve all’interazionismo simbolico il merito di aver richiamato l’attenzione
sull’importanza dei significati e della dimensione simbolica nella vita sociale.
Blumer rifiuta i metodi positivisti. Secondo l’autore le inchieste condotte attraverso i
questionari e le elaborazioni statistiche allontanano in realtà il ricercatore dal mondo
sociale che egli intende studiare. Invece, con l’osservazione sul posto, è possibile
cogliere efficacemente l’esperienza immediata e il punto di vista degli attori che attraverso
l’interazione danno un senso agli oggetti.
H.S. Becker in “Outsiders” delinea dei tipi di comportamenti devianti:
- comportamento conforme: quello che rispetta le norme e che gli altri percepiscono
come conforme alle norme
- comportamento “completamente deviante”: quello che infrange le regole e che è
percepito come tale
- accusato ingiustamente: gli altri credono che la persona ha commesso un’azione
illecita quando in realtà non è affatto così
- devianza segreta: un’azione illecita è davvero compiuta, ma non è percepita dalle
persone come una trasgressione alle norme e non determina alcuna reazione
Un ragazzo che inconsapevolmente frequenta un gruppo di delinquenti può essere
arrestato una sera insieme al gruppo in base a delle presunzioni. Egli figurerà nelle
statistiche ufficiali come un sicuro delinquente così come quelli che hanno effettivamente
partecipato ad un’azione reprensibile. I due casi sono diversi e non si può dare la stessa
spiegazione, bisogna andare oltre le statistiche e i dati ufficiali.
La devianza rinvia a una costruzione sociale: trasgredire le norme (chi definisce le
regole?); essere definiti (etichettati) dagli altri come delinquenti (anche quando non lo si è).
La devianza non è una qualità dell’atto commesso da una persona, piuttosto una
conseguenza dell’applicazione da parte degli altri di norme e di sanzioni nei confronti di un
“trasgressore”. Il deviante è colui al quale questa etichetta viene applicata con successo,
e il comportamento deviante è quello a cui la collettività mette questa etichetta.
E. Lemert distingue devianza primaria, cioè l’atto di trasgressione delle norme e
devianza secondaria, cioè l’etichettamento (quando si dà l’etichetta di soggetto deviante
ma può anche non esserci l’atto di trasgressione delle norme e viceversa). La teoria
dell’etichettamento, a differenza di quasi tutte le altre teorie sulla devianza, si limita ad
illustrare il processo secondo il quale le persone vengono descritte come devianti: non
identifica le cause della devianza.
Gli elementi fondamentali della devianza sono: individuo che si comporta in un certo
modo; norma rispetto alla quale giudicare se un determinato comportamento è deviante;
persona/gruppo/ ente che reagisce al comportamento.

57 di 65
Capitolo 9: l’etnometodologia
Tra le scuole sociologiche del dissenso rispetto alla tradizione vi è l’entomedotologia.
L’atto ufficiale di nascita di questa scuola si ha nel 1967, quando H. Garfinkel (allievo di
Parsons) pubblica i suoi “Studi di etnometodologia”. L’etnometodologia cerca di
considerare le attività pratiche, le circostanze pratiche e il ragionamento sociologico
pratico come argomenti di indagine empirica, e, attribuisce alle attività più ordinarie della
vita quotidiana l’attenzione generalmente accordata agli eventi straordinari.
L’etnometodologia è lo studio delle regole di base che disciplinano i rapporti quotidiani tra
le persone. I cui ambiti di interesse sono: devianza; comportamento all’interno di
organizzazioni e istituzioni (es.: carceri, enti pubblici, etc.); analisi delle conversazioni
(studio delle conversazioni e dei “sistemi di scambio nel parlare”).
È opportuno indicare quali sono le caratteristiche dell'azione sociale secondo
l'etnometodologia. Si tratta dell'indicalità, si intende che nessuna affermazione può avere
un significato indipendente dal suo contesto. Ogni spiegazione indica molto di più di
quanto esprime letteralmente. Il significato di qualsiasi cosa si affermi è di per sé sempre
molto più vasto di quanto si è affermato esplicitamente. Gran parte di ciò che
un'affermazione significa, comunque, è dato per scontato da parte di coloro che si
esprimono nella vita quotidiana. Gli etnometodologi cercano di penetrare quegli aspetti
dell’interazione che sono dati quanto meno per scontati se non addirittura inconsci. Ciò
tramite tecniche di ricerca quali resoconti; interviste in profondità; osservazione
partecipante; interpretazione documentaria; esperimenti. Esempio: esperimento del
pensionante → esperimento assegnato da Garfinkel agli studenti: comportarsi in casa
propria come estranei, chiedendo il permesso di fare ciò che solitamente si fa senza
renderne conto a nessuno (esperimento fatto per far capire ciò che diamo per scontato e
che costituisce l’ordine sociale). Così facendo viene messa in discussione la dimensione
tacita della normalità, producendo caos, sgomento e irritazione.
L’ etnometodologia costituisce una presa di posizione critica e polemica nei confronti della
sociologia ufficiale. Presupposto dell’etnometodologia è, infatti, che la spiegazione
scientifica è comprensibile, come quella dell'attività della vita quotidiana, solo in riferimento
alla situazione specifica in cui espressa. L'impresa della sociologia ufficiale di giungere a
spiegazioni oggettive, valide per tutti indipendentemente dal loro contesto, è un'impresa
dunque impossibile.
La critica più frequente, e forse più fondata che è stata mossa all’etnometodologia è
quella di essersi fermata al “microsociologico” (piccoli contesti), all’interazione, ai rapporti
interpersonali, e di non poter cogliere, date le sue stesse premesse, problemi di
condizionamento storico-sociale.

Capitolo 10: drammaturgia e istituzioni totali


E. Goffman in “La vita quotidiana come rappresentazione” sostiene il punto di vista
della drammaturgia, secondo cui la vita sociale può essere intesa nei termini della
rappresentazione teatrale. L’individuo è considerato come attore e personaggio (si recita
un ruolo e interpretiamo un personaggio). Il sé è: un’immagine costruita; un prodotto della
scena; un effetto drammaturgico. In questo studio il sé rappresentato è stato visto come
una specie di immagine che l’individuo, su un palcoscenico e nelle vesti di un
personaggio, cerca con ogni mezzo di far passare come suo proprio. Ma se l’individuo è
visto in questo modo – tanto che gli viene attribuito un sé – quest’ultimo non ha origine
nella persona del soggetto, bensì nel complesso della scena della sua azione.
Modello drammaturgico → caratteristiche essenziali: attori + pubblico; ribalta + retroscena.
La comunicazione non verbale contribuisce a creare il “personaggio”.

58 di 65
L’idea dell’istituzione come luogo circondato da barriere permanenti, in cui si mettono in
atto tecniche di controllo è alla base di un’opera successiva di Goffman, “Asylums. Le
istituzioni totali”. L’autore elabora il concetto di istituzione totale, cioè quelle istituzioni le
quali privano di ogni identità personale, di ogni personalità i singoli individui che entrano in
esse. Ne sono esempi ospedali, case di riposo; prigioni; caserme. Viene regolata l’intera
vita del singolo, il quale perde ogni tratto personale e unico, dovendo rinunciare ai propri
abiti personali e ai propri oggetti, essere chiamato con un numero anziché con il proprio
nome.
Nel 1955-56 fece un anno di lavoro sul campo (osservazione partecipante: annotava
tutto ciò che vedeva) in un ospedale psichiatrico, a Washington. Lo scopo immediato del
suo lavoro era tentare di apprendere qualcosa sul mondo sociale dell’internato e su come
egli viva soggettivamente la propria situazione. Iniziò con il ruolo di assistente al corso di
ginnastica, precisando, quando gli veniva richiesto, di essere uno studioso della vita di
comunità; passava il giorno con i pazienti, evitando di intrattenere rapporti socievoli con lo
staff e di disporre di chiavi. Non dormiva nei reparti e la direzione dell’ospedale conosceva
lo scopo della sua presenza.
In “Espressione e identità” afferma che non solo si può giocare un ruolo, ma si può
anche giocare a un ruolo, come quando i bambini, gli attori di teatro mimano un ruolo con
lo scopo confessato della finzione.
In “Il rituale dell’interazione” parla dei rituali della vita quotidiana (in comune con
Garfinkel) tra cui rituali di presentazione, di discrezione e di riparazione.
Tra i rituali di presentazione e di discrezione riscontriamo conflitti poiché con essi è facile
invadere la sfera personale di un individuo; la quale è composta da territori del self che
sono continuamente esposti alla minaccia di profanazione e violazioni da parte degli altri
individui. Si suddividono in:
- Spazio personale: è lo spazio che circonda l'individuo, una sorta di bolla intorno
al corpo la cui violazione provoca notevole fastidio;
- Spazio d'uso: minimo spazio d'azione che ci ritagliamo per poter fare ciò che dobbiamo
fare;
- Nicchia: spazio ben delimitato sul quale il soggetto ha pretese temporanee ma
esclusive (per esempio la poltrona del cinema);
- Turno: è la priorità di un individuo nel rivendicare un bene o diritto in quanto in
possesso di un qualcosa che lo legittimi;
- Guaina: oggetto che può considerarsi una seconda pelle (per esempio i vestiti);
- Riserva di possesso: oggetti che servono per identificare il possessore (per esempio
effetti personali lasciati sulla poltrona del cinema);
- Riserva d'informazione: è il controllo che l'individuo esercita su un insieme di fatti che
lo riguardano (privacy);
- Riserva conversazionale: è il diritto degli individui impegnati in una conversazione a
non fare entrare estranei.
In “Stigma. L’identità negata” Goffman distingue lo stigma screditato e lo stigma
screditabile. Stigma = una caratteristica di una persona o di un gruppo che è considerata
un difetto e che suscita tentativi di punire, isolare o comunque degradare quelli che si
pensa ne siano portatori. In presenza di alcune caratteristiche, ad esempio: difetti fisici,
alcolismo gli individui possono essere marchiati con il fuoco dello stigma da coloro che si
considerano «normali». Stigma «screditato» = differenze evidenti, che non si possono
nascondere. Esempio: forme di disabilità che non si possono nascondere. Stigma
«screditabile» = aspetti che si possono celare. Esempio: abuso di alcolici.

59 di 65
Capitolo 12: l’individualismo metodologico
Ha origini (principali nuclei ispiratori) dalla sociologia dell’azione di Max Weber;
dall’utilitarismo dell’economia classica (A. Ferguson e C. Menger) e dalle prospettive
epistemologiche di F. A. von Hayek e K. R. Popper.
Origini l’utilitarismo dell’economia classica → le istituzioni sociali non sorgono sulla base di
progetti precisi e di atti legislativi. Questi intervengono successivamente a confermare uno
stato di fatto. Es.: istituzione della proprietà privata; Es.: istituzione della moneta.
Individualismo metodologico → fenomeni sociali sono la risultante di azioni individuali che
hanno conseguenze inintenzionali dell’azione intenzionale (effetti imprevisti delle azioni
intenzionali).
L’esponente più noto dell’individualismo metodologico è R. Boudon. Per l’autore ogni
fenomeno sociale è una conseguenza di azioni individuali e risulta dall’aggregazione di
queste ultime (“effetto di aggregazione”) → producono un effetto di tipo macro.
Distingue tra azioni individuali: intenzionali; razionali → “buone ragioni” [razionalità
situata → “quasi sempre” (a volte l’azione può avere alla sua base degli stati emotivi; ad
esempio, l’ira o la paura)] e autonome. Nella maggioranza dei casi in cui si dà azione,
essa è razionale e il considerare irrazionale un’azione è per lo più un sintomo, da parte del
sociologo, di una sua profonda incomprensione del fenomeno. Uno tra gli esempi più
famosi è quello della campagna per abbassare i tassi di natalità in alcuni villaggi dell’India.
La campagna non ebbe successo. In quanto i contadini indiani sono così legati alle loro
pratiche tradizionali da non riuscire ad accettare senza diffidenza le novità venute da
altrove. Il contadino indiano è irrazionalmente condizionato dalla tradizione/
superstizione. Per Boudon, invece, dato il contesto economico dei villaggi, una
discendenza numerosa contribuisce a facilitare la vita del contadino; i figli maggiori
arrotondano con il loro modesto salario i bassi redditi della coltivazione e partecipano alle
spese di istruzione e di malattia dei più giovani. → razionalità situata (“buone ragioni”).
Spesso il punto di partenza della ricerca è costituito da un fatto singolare. Esempio
Perché, nel XVIII sec., l’agricoltura capitalista si è sviluppata più lentamente in Francia che
in Inghilterra? → in Francia i proprietari terrieri erano attirati verso la città dove potevano
ricoprire incarichi prestigiosi; in Inghilterra i proprietari terrieri non avevano alcuna
motivazione per abbandonare le loro terre.
Effetti di “aggregazione” o “emergenti” → Esempio: durante uno sciopero dell’azienda
elettrica francese, i semafori di Parigi non funzionino più e, di conseguenza, l’automobilista
non riesca più a interpretare correttamente il proprio ruolo. In questo caso si produrrà un
effetto emergente, l’imbottigliamento, che non rientra certo tra gli obiettivi degli attori, ma
che anzi ognuno di loro avrebbe voluto evitare.
Effetti di aggregazione → effetti individuali o collettivi che risultano dall’accostamento di
comportamenti individuali, senza essere inclusi negli obiettivi perseguiti dagli attori.
Effetti “perversi” (effetti non desiderati e indesiderabili) → Esempio: la coda che si forma
davanti alla porta del pasticcere, la domenica all’uscita dalla messa. Lo scopo esplicito del
comportamento dei singoli si limita all’acquisto dei dolci, ma la conseguenza dei
comportamenti dotati della stessa finalità comporta una conseguenza sociale non
desiderata: una perdita di tempo imposta da tutti a ciascuno e da ciascuno a tutti senza
che questa conseguenza sia inclusa negli scopi di nessuno. I semafori hanno lo scopo di
ridurre gli effetti perversi che risulterebbero dalla contemporaneità degli spostamenti
individuali destinati ad incontrarsi perché giacenti sulle stesse traiettorie. Sono presenti dei
limiti in quanto, non sempre i fenomeni sociali possono essere spiegati ricorrendo
all’effetto di aggregazione di azioni individuali intenzionali, razionali e autonome.
I meriti dell’individualismo metodologico sono: aver ridato spazio alla soggettività
individuale; aver sottolineato che l’individuo non è un mero prodotto delle strutture sociali;
aver richiamato l’attenzione sulle conseguenze inintenzionali dell’azione.
60 di 65
Capitolo 11: sociologia critica ed ermeneutica: J.
Habermas
Habermas in “Storia e critica dell’opinione pubblica” tratta del concetto di opinione
pubblica, che nasce come istanza critica, cioè come oggetto che è capace di controllare
l’azione politica, ma diventa istanza ricettiva, cioè oggetto di manipolazione.
Nel secolo diciottesimo e all’inizio del secolo diciannovesimo la sfera dell’opinione
pubblica viveva della partecipazione di individui che si esprimevano liberamente
nonostante i loro interessi particolaristici poiché non vi era un intervento diretto della sfera
economica sulla formazione delle opinioni individuali. Nella società dell’industria culturale
e dei consumi, invece, la stessa formazione delle opinioni è direttamente influenzata dagli
interessi economici ormai strettamente collegati con il potere politico. Il termine “opinione
pubblica” assume un diverso significato a seconda che sia intesa come istanza critica o
assunta come istanza ricettiva in rapporto alla pubblicità diffusa in modo dimostrativo o
manipolativo a favore di persone e istituzioni, beni di consumo e programmi. Un’opinione
pubblica si forma molto più facilmente con la discussione razionale di grandi correnti di
opinioni diverse che si scontrano all’interno della società civile, piuttosto che da un
ammasso di sentimenti, di opinioni non chiare, di idee che si sforzano di diventare
popolari, ecc., del tipo di quelle che diffondono i mass-media.
Sempre in “Storia e critica dell’opinione pubblica” l’autore ricostruisce: l’emergere della
sfera pubblica borghese (interazioni faccia a faccia; luoghi di discussione (salotti e
caffè); stampa libera periodica che alimenta la discussione critica) e il declino della sfera
pubblica borghese (no libertà di stampa, perdita di importanza di salotti e caffè).
Vengono fatte alcune critiche all’autore: la sfera pubblica borghese ha natura elitaria e
selettiva (persone colte e abbienti, prevalentemente uomini); si presuppone che nella
società dell’industria culturale i destinatari dei prodotti dei media siano consumatori passivi
(scuola di Francoforte); declino della sfera pubblica oppure formazione di una nuova sfera
pubblica?
Nella prefazione della nuova edizione del 1990 riconosce di essere stato pessimista e
ammorbidisce la sua posizione.
In “Teoria della società o tecnologia sociale (con N. Luhmann)” sostiene che la
situazione discorsiva ideale esclude la distorsione sistematica della comunicazione.
Habermas ha criticato Gadamer per la sua accettazione della tradizione e per la riluttanza
ad impegnarsi in considerazioni metodologiche. Habermas persegue la libertà da ogni
forma di costrizione e di dominio.
In “Razionalità comunicativa” Habermas si riferisce a comunicare in forma di
argomentazione (mediante argomenti); comunicare come discorso sul mondo (mondo dei
fatti, mondo delle norme, mondo delle esperienze vissute). Razionalità comunicativa=
appropriazione di una tradizione culturale, e assunzione di un orientamento critico nei suoi
confronti (es.: Illuminismo); ricorso ad argomentazioni criticamente fondate per pervenire
ad un’intesa senza costrizioni. Per Habermas: comunicazione libera da coazioni; alle
argomentazioni si deve rispondere con altre argomentazioni; riproduzione materiale e
riproduzione simbolica della società; colonizzazione del mondo della vita ad opera dei
meccanismi sistemici → impoverimento delle possibilità di espressione e comunicazione.
Ne “Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale” tratta del progressivo
dilatarsi della possibilità di intervenire sul genoma umano. Come intendere tale possibilità?
«Come una crescita di libertà che chiede di essere disciplinata sul piano normativo,
oppure come l’autorizzazione (che l’uomo si darebbe da solo) a produrre (in base alle
proprie preferenze soggettive) trasformazioni che non hanno bisogno di nessuna
autolimitazione? Allora distingue eugenetica: autoritaria/liberale (imposta, vuole abolire la

61 di 65
normale libertà); eugenetica liberale “negativa” (interventi terapeutici); • eugenetica
“positiva” (interventi migliorativi, migliorare corredo genetico). Come stabilire il confine tra
eugenetica negativa e positiva? Per motivi concettuali e pratici, questo confine è
difficilmente tracciabile. Chi rifiuterebbe un intervento migliorativo del proprio corredo
genetico? Anche in questo caso dobbiamo chiederci: come possiamo sapere quando una
certa dote allarga effettivamente i margini altrui nella progettazione della sua vita?
I genitori che scelgono per il bambino potrebbero essere criticati in futuro per aver scelto
per lui, magari negandogli qualcosa.

Capitolo 14: l’orientamento sistemico di Luhmann


N. Luhmann, allievo di T. Parsons ad Harvard pur riconoscendo il suo debito nei confronti
del funzionalismo rivolge a tutte le teorie funzionalistiche e in particolare a quella di
Parsons la critica secondo cui esse non sono riuscite a distinguere adeguatamente il
concetto di causa da quello di funzione. Le teorie funzionalistiche fondate sulla scienza
causalistica non possono riuscire a individuare rapporti invarianti tra determinate cause e
determinati effetti, poiché non sono in grado di escludere altre possibilità. Critica al
postulato dell’indispensabilità (concetto di “equivalenze funzionali”) → quando Luhmann
critica lo struttural-funzionalismo di Parsons, egli non sembra aggiungere molto alla
precedente critica di Merton al postulato dell’indispensabilità del funzionalismo.
Luhmann distingue:
mondo → molteplicità e complessità del reale;
ambiente → delimitazione delle possibilità concretizzabili in una particolare situazione;
sistema → selezione e realizzazione di determinate possibilità offerte dall’ambiente.
Poiché il mondo si pone come un'infinita complessità è impossibile orientarsi in esso
senza una riduzione della complessità che costituisce il concetto centrale di tutta la
teorizzazione dell’autore. Con il termine complessità intendiamo che vi sono sempre più
possibilità di quelle che sono attuabili. La complessità del mondo, la spaventosa
molteplicità di possibilità, deve essere riportata entro una dimensione che possa essere
vissuta come espressione di un determinato senso. Per sopravvivere l’uomo è costretto a
ridurre la complessità, occorre metterla alla portata dell’esperienza vissuta e dell’azione.
Accanto al problema dalla complessità si sviluppa quello della contingenza, in quanto
nella riduzione della complessità si dà sempre una molteplicità di possibilità e anche quelle
poche realizzate mantengono tale carattere di non necessità, quindi di contingenza.
L’autore tratta della contingenza nel senso che l’azione comporta sempre un rischio che si
attuino possibilità diverse da quelle previste, dalle proprie aspettative; e di doppia
contingenza, cioè che ogni soggetto deve considerare non solo le proprie aspettative ma
anche quelle dell’altro.
L’autore distingue tra sistemi biologici, che sono caratterizzati da confini fisici e temporali
(la nascita e la morte) e sistemi sociali, che si definiscono esclusivamente in base al
senso. Ciò che li costituisce è l’azione: sono complessi di azioni intrecciate che creano
una certa stabilità in seguito all’instaurarsi di reciproche aspettative. La stessa
individuazione del soggetto indica di per sé il senso. Il senso è la continua attuazione delle
possibilità.

62 di 65
Come è possibile l’ordine sociale? Mediante la formazione di sistemi sociali che possano
mantenersi per un po’ di tempo entro confini stabili nei confronti di un ambiente sovra-
complesso. È la società nella sua totalità a diventare con l’evoluzione più complessa; la
società si evolve passando da una differenziazione di tipo segmentario (formazione di
sottosistemi identici o analoghi: più famiglie, più tribù, etc.) a una differenziazione di tipo
funzionale (sottosistema politico, economico, religioso, amministrativo, etc. Che svolgono
funzioni diverse). La differenziazione funzionale porta alla formazione di sottosistemi
autoreferenziali che si autodeterminano (autonomi, autodeterminati, con una precisa
identità, dove valgono norme, regole e procedure). I sottosistemi sono:
Economia → mezzo di comunicazione: denaro
Famiglia → mezzo di comunicazione: amore
Scienza → mezzo di comunicazione: verità
Politica: → mezzo di comunicazione: potere (non va confuso con l’uso della forza, consiste
in un rapporto sociale asimmetrico che riesce a mantenersi tale senza l’uso della forza).
Dopo una riduzione della complessità i sistemi attuano delle strategie: aumento della
propria complessità interna e delimitazione e stabilizzazione di confini con obiettivo: filtrare
ed elaborare le informazioni da immettere nel sistema.
Vengono fatte delle critiche a Luhmann: la teoria di Luhmann mira alla «conservazione
della società costituita intesa come sistema»; Luhmann considera «solo le esigenze della
sicurezza, non quelle della creatività, della spontaneità, dell’innovazione»; la sua critica
allo struttural-funzionalismo di Parsons «non sembra aggiungere molto alla precedente
critica di Merton al postulato dell’indispensabilità del funzionalismo; la teoria di Luhmann si
riduce a “tecnologia” perché sarebbe uno studio delle condizioni che rendono funzionanti i
sistemi sociali esistenti → differenze Luhmann – Habermas: Luhmann → individuazione
dei processi che rendono funzionanti i sistemi sociali; Habermas → condizioni che
rendono libera la comunicazione da costrizioni esterne.
Luhmann: La realtà dei mass media → “Ciò che sappiamo della nostra società, e in
generale del mondo in cui viviamo, lo sappiamo dai mass media (conoscenza filtrata)”.
Media = “seconda realtà”. La fiducia → livello micro; livello macro; ordine sociale.
Comunicazione ecologica → Come si può reagire ai problemi dell’ambiente? Come può
svilupparsi la comunicazione ecologica?. Sociologia del rischio → Rischio ≠ pericolo;
rischio → nuovo oggetto di comunicazione. Pericolo viene dall’esterno; rischio è una
conseguenza di una decisione. La prevenzione è mirata alla riduzione della probabilità che
si verifichi un danno.

Olismo e individualismo

63 di 65
Olismo/ Individualismo: le
due tradizioni del pensiero
sociologico.

Approcci olistici :Es.: T. Parsons → Olismo funzionalistico (schema AGIL)


Approcci individualistici: Interazionismo simbolico (H. Blumer), Individualismo

metodologico (R. Boudon) (il sociologo deve assumere come regola di metodo il fatto di
considerare gli individui, o attori individuali inclusi in un sistema d’interazione, come atomi
logici della sua ricerca. Per esprimere lo stesso principio in modo negativo, il sociologo
non può essere soddisfatto di una teoria che considera gli aggregati (classi, gruppi,
nazioni) come le unità più elementari alle
quali è necessario discendere).

64 di 65
Weber = agire, agire sociale, comprensione, incedere attuale, intendere esplicativo.
Durkheim = fatto sociale, sistema dei segni.
Prospettive non incompatibili bensì complementari. La società possiede una oggettiva
fattualità (Durkheim → fatti sociali); è costruita da un’attività che esprime significati
soggettivi (Weber → azione sociale) → Berger e Luckmann “La realtà come costruzione
sociale”.

65 di 65

Potrebbero piacerti anche