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Immanuel Kant (1724 -1804)

Kant nasce a Koenisberg (Prussia) nel 1724 da una famiglia umile. Viene educato dalla madre al pietismo (corrente
protestante che pone l’accento sul sentimento del dovere). Nel 1740 diviene precettore privato e nel 1770 gli viene
conferita la cattedra di logica e metafisica. Tra il 1781 e il 1790 scrive, in ordine, la Critica alla ragion pura, Critica della
ragione pratica sul problema morale e la Critica del giudizio. Nel 1795 scrive Per la pace perpetua e nel 1797 la
Metafisica dei costumi. Muore a Konigsberg nel 1804. Si tratta di un pensatore fondamentale sia per la filosofia politica
che per la filosofia in generale.

Illuminismo
L’illuminismo, per Kant, costituisce la presa di coscienza da parte dell’opinione pubblica che l’uomo è divenuto
finalmente maggiorenne. Egli è perfettamente in grado di usare la ragione, a patto di volerlo, che deve di conseguenza
togliersi dalla tutela cui viene sottoposto da parte dei governi paternalistici, e quelli fondati sul modello aristocratico-
feudale. “L’illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a sé stesso. Minorità è
l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro”.

Ragione e libertà
Il pensiero politico di Kant esprime le istanze più vive del razionalismo e del giusnaturalismo e intende indicare i
principi, i valori ai quali informare l’opera di riforma delle monarchie tedesche. Alla luce delle tre critiche, l’autore
prussiano esprime definitivamente il suo pensiero politico nella Metafisica dei Costumi (1797): Kant intende
individuare ciò che rende intellegibile lo Stato e la società  la politica è strettamente connessa alla ragione ed è
proprio ciò che la rende intellegibile.

La conoscenza, per Kant, si fonda sull’esperienza. L’uomo riceve delle sensazioni informi dall’ambiente esterno e la sua
razionalità le plasma e le ordina. Tutto ciò è possibile solamente grazie alle uniche forme a priori dell’intuizione
sensibile – spazio e tempo – che non possono essere ricavate dall’esperienza empirica. I fenomeni, perciò, non sono
altro che il frutto della razionalità umana; ne consegue che la natura, in quanto fenomeno e frutto della ragione
umana, è perfettamente conoscibile a livello scientifico. La filosofia deve essere critica: ha il compito di individuare
limiti e potenzialità della ragione. La libertà ha un’importanza determinante per Kant ed è condizione necessaria della
conoscenza razionale: la ragione può esprimere dati intellegibili togliendosi dal determinismo della natura (ripetere in
serie sensazioni e fenomeni, quali si susseguono in natura) sottraendosi a qualsiasi condizionamento  L’ATTO DEL
CONOSCERE NELLA SUA ESSENZA, È LIBERTA’. Il carattere critico della filosofia kantiana, porta il filosofo ad applicare
tale approccio anche alla vita politica; la libertà critica deve trovare riscontro anche nella politica: ognuno deve poter
esperire pubblicamente alla critica i propri pensieri e i propri dubbi.

La legge morale e il valore assoluto della persona


L’idea della libertà è il punto di passaggio dalla ragion pura a quella pratica, in quanto è pratico tutto ciò che è possibile
per mezzo della libertà. Questa si riferisce alla volontà, che non ha per oggetto piacere, dolore e arbitrio (facoltà
soggettive) ma la legge morale (valore oggettivo). Essa, in quanto razionale, costituisce la massima comportamentale
per tutti gli uomini e conferisce loro la personalità, rendendoli autonomi e indipendenti dalla natura. La legge morale è
pura: non può essere assunta in vista del perseguimento di alcun interesse e, pertanto, non deve avere alcun rapporto
con in nostri impulsi, desideri e sentimenti. L’unico sentimento che corrisponde alla legge morale è il dovere, che libera
l’uomo dal meccanismo di natura.

Morale e diritto
Kant distingue il bene morale dalla felicità: il raggiungimento di questa è totalmente soggettivo e fondato
sull’esperienza individuale, non su forme a priori (come invece accade per il bene morale). I costumi sono intesi dal
filosofo come “maniera e modo di vivere”; ne consegue che la metafisica dei costumi è quella disciplina che, sulla base
dei principi propri della legge morali, studia i rapporti che intercorrono fra morale, in quanto disciplina le azioni
interne, e il diritto, in quanto regola le azioni esterne degli individui. Nella legge sussistono due elementi: obbligo e
impulso. Il primo di presenta come dovere, il secondo porta l’uomo a compiere il dovere. Allorché l’impulso si
identifica con il dovere, siamo in presenza di una legge morale; quando l’impulso scaturisce da un principio diverso
dall’idea del dovere, abbiamo una semplice legge giuridica. A morale e diritto corrispondono volontà (regola l’azione) e
arbitrio (possibilità di attuare l’azione)  arbitrio corrisponde alla legislazione esterna.
Il diritto si riferisce, dunque, alle azioni esterne che riguardano le relazioni tra individui; è l’insieme delle condizioni per
mezzo delle quali l’arbitrio di uno può accordarsi con l’arbitrio dell’altro secondo una legge universale di libertà (unico
fattore che permette la realizzazione della coesistenza. Oltre alla libertà, tra gli elementi che disciplinano le azioni
esterne, Kant individua la coazione: uso della forza, della costrizione per impedire la libertà esterna che non si accordi
con la legge universale di libertà. Il concetto stesso di diritto è possibile solamente se si accoglie il principio che fra gli
uomini sussiste la possibilità di una coazione reciproca nel rispetto della libertà di ciascuno. Il diritto naturale, invece,
innato, appartiene all’individuo e si identifica nella libertà. Da essa deriva l’uguaglianza: tutti devono partecipare ad
una reciproca coazione  io posso essere costretto a fare solamente ciò che a mia volta posso costringere l’altro a fare.

Lo Stato di diritto
La società politica è l’unione degli individui mediante leggi giuridiche, che ha il contratto sociale come suo principio.
Quest’ultimo non è un fatto storico, ma è l’ipotesi necessaria per permettere la garanzia della libertà e dell’uguaglianza
degli individui  tutti nel popolo depongono la propria libertà naturale per poterla riprendere come membri di un
corpo comune, lo Stato. Lo Stato è civile in quanto dato dal reciproco rapporto degli individui riuniti nel popolo e, in
quanto tale, deve essere fondato su: a) libertà di ogni membro della società in quanto uomo; b) uguaglianza di esso
con ogni altro, in quanto suddito; c) indipendenza di ogni membro di un corpo comune, in quanto cittadino. Lo Stato,
per Kant, è la riunione di un certo numero di uomini sotto leggi giuridiche. Il filosofo riprende da Montesquieu la
suddivisione dei poteri:

 Potere sovrano (legislativo)


 Potere esecutivo (governo)
 Potere giudiziario (giudici):

Il potere legislativo deriva dalla volontà popolare, poiché solo in questo modo possono essere garantite libertà,
uguaglianza e indipendenza. L’esecutivo è sottomesso ad esso anche per quanto riguarda la guerra, che non può essere
dichiarata senza il consenso dei rappresentanti del popolo. La partecipazione dei cittadini avviene attraverso un organo
rappresentativo, al quale sono ammessi solamente coloro che possono vantare una reale indipendenza (cittadini
attivi). Kant propone, perciò, uno STATO COSTITUZIONALE RAPPRESENTATIVO A SUFFRAGIO MOLTO RISTRETTO. Il
filosofo ci parla di tre forme di governo: autocrazia, aristocrazia e democrazia. Esse vanno in ordine di complessità.

Critica allo Stato paternalistico; Stato e Chiesa


Kant critica lo Stato paternalistico – in particolar modo il modello prussiano – il quale si attribuiva il compito di
condizionare il modo di vita dei cittadini mediante norme al fine arrogandosi il compito di rendere felici i sudditi. Così
facendo si avrebbe, secondo il filosofo, uno Stato dispotico, la cui costituzione toglie ai sudditi ogni facoltà di scelta e di
giudizio. Un despota che rende felici i suoi sudditi, li rende felici solo secondo il proprio parere, senza chiedere
consiglio al parere loro. La libertà implica che ciascun cittadino deve ricercare e conseguire la propria felicità come egli
lo desidera, secondo le sue condizioni e convinzioni. I cittadini devono, quindi, essere considerati pienamente capaci di
vivere la propria vita in modo autonomo e assolutamente in grado di dare un proprio contributo alla società.

LIBERTA’ DI PENSIERO E DI STAMPA: bisogna riconoscere ad ogni cittadino l’uso pubblico della propria ragione, cioè la
possibilità di far conoscere le proprie considerazioni critiche nei confronti dei provvedimenti del governo, ed
eventualmente della stessa organizzazione politica mediante la stampa. Non può essere ammesso, invece, l’uso
privato della ragione, cioè la facoltà di critica del funzionario nei confronti degli atti pubblici che devono essere seguiti
per il conseguimento di fini di interesse generale. Ciò si applica anche nella materia religiosa.

RELIGIONE: lo Stato non ha alcun potere sulla dottrina e sul culto della Chiesa, può solamente richiedere che i doveri
derivante dall’appartenenza alla Chiesa non contrastino con le leggi.

Lo Stato di diritto e le riforme


Tutti i cittadini, proprio perché uguali dinnanzi allo Stato e alla legge, hanno diritto a conseguire la posizione sociale che
corrisponde alle proprie capacità, al proprio lavoro, senza che quella venga riservata, per via di privilegi ereditari, ad
alcune categorie sociali. L’aristocrazia non può più vantare alcun esclusivo diritto agli incarichi più importanti; essa
deve, invece, concorrere con le altre classi sociali, in particolare con la borghesia, per quanto riguarda uffici e attività
pubbliche. La proprietà, perciò, deve essere garantita dallo Stato a tutti i cittadini allo Stesso modo e non può essere
limitata sulla base di privilegi ereditari. L’unico limite previsto riguarda la legittima espropriazione della proprietà in
vista del conseguimento dei fini pubblici: allo Stato non può essere negato il diritto di richiedere ai ricchi e ai
benestanti di fornire i mezzi di sussistenza per le categorie sociali meno abbienti, che senza l’aiuto pubblico
rischierebbero di decadere nella più assoluta indigenza.

Stato e Rivoluzione
Se da un lato Kant aderisce agli ideali di profondo rinnovamento culturale e politico espressi dalla Rivoluzione francese,
affermando come essa abbia suscitato nei popoli grande entusiasmo e fiducia riguardo il progresso dell’umanità, egli
rinnega la legittimità del diritto di resistenza attiva al governo all’interno di uno Stato di diritto. Il popolo non po'
ergersi a giudice del suo sovrano, né può usare contro di lui la forza, in quanto, così facendo, misconoscerebbe
l’autorità sovrana, unico vero centro unificatore dell’organizzazione politica. Ciò non significa che la costituzione debba
rimanere immodificata, essa deve essere sottoposta a continui perfezionamenti, dei quali, tuttavia, solo il sovrano può
farsi carico. La resistenza è giustificata solamente nei confronti del potere esecutivo, mai contro il legislativo. La
rivoluzione può essere riconosciuta, una volta portata a termine, come un mero dato di fatto. Nonostante l’illegalità
della sua origine, i sudditi non possono essere sciolti dall’obbligo di adattarsi al nuovo ordine di cose ed essi non
possono rifiutarsi di obbedire onestamente a quell’autorità che possiede attualmente il potere. Il monarca, però, non
può essere in alcun modo processato e condannato per gli atti inerenti alla sua passata amministrazione e conserva
intatta la sua libertà di azione, per quanto riguarda un eventuale tentativo per riconquistare il suo regno.

Diritto cosmopolitico
L’analisi della storia umana condotta da Kant si fonda sul principio dell’eterogenesi dei fini: gli uomini, ricercando il
proprio utile, pervengono a risultati diversi e non previsti, che concorrono tutti alla formazione di una società fondata
sul diritto.

La natura ha dotato l’uomo di ragione e volontà affinché egli possa continuamente perfezionarsi, dovendo, peraltro,
ricavare tutto da sé stesso. Il fine della natura, secondo Kant, è, pertanto, il raggiungimento della felicità attraverso i
propri sforzi. Tale fine è possibile solamente intrattenendo rapporti con gli altri uomini e, tali rapporti, possono essere
fondati sulla socievolezza, quando l’uomo è spinto ad entrare in contatto con i suoi simili, o sull’insocievolezza. È la
società stessa, attraverso la contrapposizione di passioni, desideri e sentimenti fra uomini, che porta all’inclinazione
all’antagonismo. Tale antagonismo è positivo, in quanto spinge l’uomo a soddisfare le proprie tendenze egoistiche
sviluppando tutte quelle capacità che, altrimenti, rimarrebbero nascoste. È l’antagonismo a strappare l’uomo alla
pigrizia fungendo da molla di progresso, portando l’essere umano da uno stato barbaro alla vita civile  costringe
l’individuo a disciplinarsi e a svolgere interamente i germi della natura con arte forzata. Il freno all’eccettuazione
individuale è costituito dal diritto (razionale); pertanto il progresso si realizza mediante un meccanismo per cui l’uomo
è tenuto a freno dai suoi stesi impulsi e passioni, i quali creano le situazioni che costringono l’uomo a fondare la
società civile.

Kant prevede la fondazione futura di un diritto cosmopolitico. Secondo il filosofo, le guerre e gli scontri futuri
diverranno insostenibili, sia per le economie degli Stati che per la popolazione, sempre più provata dai conflitti
moderni. Il diritto cosmopolitico sarà, pertanto, il mezzo attraverso il quale, per pura necessità, si porranno fine alle
guerre tradizionali. Con esso non si darà vita ad una federazione politica in stile statunitense, ma ad una vera unione di
popoli. Ciò che unirà gli stati sarà proprio il comune senso del diritto cosmopolitico: la violazione di un diritto avvenuta
in un punto della terra è avvertita in tutti i punti.

Dispotismo e repubblicanesimo
Le forme di governo riguardano, per Kant, il tipo di uso che lo Stato fa della pienezza del suo potere.

1) REPUBBLICA: libertà, eguaglianza, indipendenza; SEPARAZIONE DEI POTERI; il popolo decide se intraprendere
la guerra.
2) DISPOTISMO: esecuzione arbitraria delle leggi che lo Stato si è dato; volontà pubblica maneggiata dal sovrano
come sua propria volontà privata.

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