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GIOVANNI PACCHIANO.

RENATO SERRA.
da IL CASTORO, NUMERO 39, APRILE 1974.

Lasciate dunque che vi parli di me. Per studiare gli


effetti di quella spirituale imitazione che occupa oggi
la nostra curiosit�, non trovo nessun altro esemplare
di umanit� meglio alla mano. Con un poco di buon
volere, anche la mia storia assai ordinaria pu� servire
di specchio a molte altre.

E cercher� nel passato. Se voglio esser sincero, mae-


stri non ne trovo.

Ho cominciato presto a sentir parlare del Carducci e a


conoscere la sua parola: ma in principio non ne
avevo quasi nessun beneficio. Come molti di coloro
che si destavano alle aure della vita morale nell'ul-
timo decennio del secolo scorso, i miei maestri primi
furono barbari. Mi ricordo di una lontanissima estate,
in cui bocconi sull'erba grigia d'agosto, alla fine di
un pomeriggio di esaltazione, io guardavo il cielo
e pronunziavo con voce che mi pareva piena di so-
lenni promesse queste parole... Carducci -- E Carlo
Marx. Era la fine di una strofe saffica, che avrebbe
dovuto conchiudere, come � naturale, la storia di
quella stagione rivelatrice per la mia mente, per for-
tuna le rime erano alquanto aspre a trovare, e non credo ch'io ne facessi
altro. Ma il frammento resta significativo.

(Per un catalogo in Scritti di Renato


Serra, Firenze, L� Monnier, 1958).

Ora, i conti non sono ancor fatti: quest'anno mi par quasi che la partita
sia pi� seria. Non per le difficolt� materiali; che sono meno gravi delle
altre volte. C'� solo un anno di pi�; ed � una cosa gravissima. Un anno
di pi�, con le stesse solite cose, ripetute ancora una volta; e che non
si possono ripetere pi�, come le stesse. Sono io che m'accorgo di aver
trent'anni, o le donne se ne sono accorte o i sassi della strada7 Dio lo
sa. Certo quella che � stata finora la ragione suprema della mia vita;
il non av�rne nessuna, e la gioia di non averne; la soddisfazione leggera
delle cose sciupate e dei minuti perduti; tutto, ingegno e amore e vita
consumato nel vuoto per la mia dolcezza sola -- non mi basta pi�.
Non conviene pi� all'uomo che sono, al giovane che sono stato. E ho
bisogno di qualche cosa in cambio; niente magari; ma un niente volon-
tario e definitivo.

Penso a certe abitudini di lavoro, ad esercizi di espressione letteraria che


sono stati finora una evasione superflua e fortuita, in margine e quasi
al di fuori della mia vita durevole, come a una cosa seria, a cui potrei
anche attaccarmi per ricominciare, o piuttosto per continuare a vivere:
a esser io domani ancora in una cosa, come ieri fui in un'altra: e che le
cose cambino, non importa, se io resto e mi ritrovo. Chi sa ?

Forse verr� la guerra, e quel che il caso pu� portare in quella, a rispon-
dermi. Avrei un po' di rimorso di andarmene cos�, in debito non dico
con la letteratura, ma con me stesso: e con tante cose amate, nella
terra e nel cielo, verso cui m'ero assunto un impegno silenzioso, passando,
e lasciandomele addietro. Forse anche sarei contento; e la soluzione
sarebbe perfettamente nel mio carattere: la mia conclusione.

Lettera a Giuseppe De Robertis, 4 marzo 1915.

1.
L'infanzia e l'adolescenza del Serra, trascorse per intiero a Cesena, dove
egli nacque nel 1884, mostrano come tratti dominanti del suo carattere
una forte introversione, una sensibilit� spinta all'eccesso, e, contempora-
neamente, un grande bisogno di comunicare con gli altri, la madre, i pa-
renti, gli amici. Accanto a questo, l'amore per la letteratura e la poesia
che ha poi caratterizzato tutta la sua vita. Non diversamente dal Proust
bambino, il quale si perdeva per ore e ore nel
mondo meraviglioso della sua George Sand o della sua George Eliot, cos�
anche il Serra, se pure con un atteggiamento precoce e inconscio da uma-
nista, accumula nomi su nomi in un quadernetto, conservato ora alla Bi-
blioteca Malatestiana, libri che legger� nelle estati romagnole con l'inge-
nuit� e la passione che pu� avere un ragazzetto di undici anni. Sono, �
vero, letture disordinatissime, che testimoniano comunque quanta impor-
tanza gi� occupi nella vita di Renato quella che egli stesso chiamer�
� arte della parola". Cos� troviamo Carducci, Ariosto, Heine, Petrarca,
Dante, Tasso, Parini, Ferrero, accanto alla � Critica Sociale �, Marx En-
gels, Bakunin, Bertolini, ecc. C'� anche il De Sanctis, che pi� tardi egli
confesser� di avere letto molto distrattamente e di fretta, e De Musset,
Schiller, Hugo, Shakespeare, Goethe, Tolstoj. Oltre a questi nomi, ap-
punti e notazioni pi� strettamente personali, emozioni e turbamenti del-
I'infanzia, il sesso e la donna che cominciano ad affacciarsi alla sua pro-
blematica.

Ancor pi� interessante � una specie di piano di studi che egli com-
pila a sedici anni, nel 1900, e che reca la data del 5 ottobre, situandosi
cos� in un periodo di poco precedente alla sua iscrizione all'Universit�
di Bologna. Le ultime righe di esso ci offrono elementi di un certo rilievo:

Ordine: i campi distinti da cui si sente attratta da un fascino naturale e


irresistibile la mia modesta intelligenza sono l'arte della Parola, la critica, la
filosofia, la psicologia (in particolare poi la poesia, il romanzo, la letteratura
pro-
priamente detta, la critica psicologico-estetica, la psicologia, la filosofia
natura-
le-minimum, la hlosoha estetica, la storia, la sociologia generale, partico-
lare, la politica-minimum). Campo immenso; sterminato, forse troppo al di so-
pra delle mie deboli forze.

Nucleo degli interessi giovanili del Serra � dunque l'arte della pa-
rola: da essa si dipartono le singole specialit�, disposte in ordine decre-
scente di interesse. Ma quel che pi� ci attrae, � l'impegno e l'umanit� che
pervadono queste righe: nella stessa misura li ritroveremo in una lettera,
posteriore di dieci anni, diretta a Luigi Ambrosini, amico carissimo di
Renato:

Tutti gli scritti e tutte le cose del mondo mi toccano: non nella natura
stretta e praticamente graduata dello specialista [...], ma nella misura larga e
li-
berale dell'uomo. Uomo profano io sono: tutto quello che gli uomini
fanno mi interessa e mi riguarda. Io rni posso e mi voglio render ragione di
tutto, nella onest� dell'animo mio ben fatto. Io non sar� competente a giudi-
care la bibliografia e diciamo cos� in fretta la utilizzazione pratica del lavoro
sto-
rico, filologico, filosofico, artistico, medico, matematico. Ma io sento e cerco
qualche cosa di pi� schietto: il valore umano. Che cosa danno di gioia, di no-
vit�, di ricchezza agli ozii del mio spirito curioso questi lavori diversi? Che
cosa sono? Quale impegno, quali interessi spirituali, quali ambizioni o voglie
o speranze rappresentano essi nell'universo?

In essa sentiamo un'esigenza fortissima di non rinchiudere la propria


esperienza, e l'apertura spirituale di un giovane, la cui fiducia nelle possi-
bilit� umane � ancora intatta. Al precocissimo amore del Serra per le di-
scipline umanistiche contribuisce non poco l'incontro con Emilio Lovarini,
professore di letteratura italiana al Liceo cli Cesena e carducciano con-
vinto. Da lui partono i consigli e gli stimoli al Serra perch� metta a pro-
fitto il suo ingegno; e per parte sua Renato mostrer� sempre gratitudine
ed affetto nei confronti del maestro. Cos� in una lettera del 12 giugno
1900:

Lei che mi ha fatto comprendere quanto nobile, e bello, e fecondo sia il


4 lavoro della critica letteraria: me l'ha fatto amare di un amore, che mi ani-
mer� per tutta la vita; e me ne ha dato gli esempi e le norme nei tre anni di
quel suo insegnamento.

C'� gi� durque, nelle espressioni rispettose dello studente liceale, I'ac-
cenno di un orientamento preciso, quello della critica letteraria, ammira-
zione e riflesso dell'attivit� del suo primo maestro, anche se poi 'n que-
sti anni il lavoro del Serra si limiter� a un quadernetto d� Cenni di F~ste-
tica, nulla pi� che un compendio diligente delle opere dell'Ardig�.

Del rapporto infantile e adolescenziale con la madre, poco o niente


sappiamo. Certo, alla luce delle lettere posteriori al 1900, � facile intuire
quanto tenace e viscerale fosse l'attaccamento del Serra alla persona ma-
terna; ne danno prova la numerosissime lettere a lei indirizzate; e anche
l'ultima, quella che precede di poche ore la morte del giovane critico, �
per la mamma.

Si forma dunque, nell'adolescenza, questo spirito sottile e un po' om-


broso, pi� intelligcllte e pi� sensibile, e per questo tanto pi� vulnerabile
degli altri. Si forma senza maestri (come dir� il Serra stesso in Per un
Catalogo), o tutt'al pi� con maestri "barbari", i francesi, e soprattutto
Sainte-Beuve e Taine. Ma, alle porte, � gi� il Carducci.

Quanto abbia rappresentato il Carducci per il giovane cesenate, pos-


siamo verificarlo ampiamente attraverso l'epistolario del Serra e gli scritti
critici: dal vecchio poeta si trasmette al discepolo l'amore � religioso �
per la poesia, quello che il Serra chiamer� � la religione delle lettere �, la
finezza e la precisione del filologo, il gusto per la citazione, I'attacca-
mento al testo visto nella sua concretezza, la ripulsione dalle astrazioni.
Certo, il Carducci non poteva dare al Serra una metodologia o un inte-
resse per i problemi teorici che egli stesso non aveva particolarmente.
Ma il Serra non sembra soffrirne, n� tantomeno mette in discussione que-
sta eventuale carenza del maestro; in lui, come gi� nel Carducci, le pa-
gine critiche nascono da un gusto finissimo ed equilibrato di lettore, da
un'ostilit� ad ogni eccesso pernicioso, e soprattutto da un amore vivo, di-
sinteressato, profondamente umano per la poesia, quale opera di altri
uomini e comunicazione di sentimenti universali. Che poi problemi teo- 5
rici siano sottesi al di dentro della pagina serriana, � facile vederlo spe-
cialmente negli scritti maturi, le Lettere o la Fattura; ma quel che pi�
conta per il critico � che in rilievo sia sempre il testo, e di fronte al testo
la posizione di chi lo affronta, nel tentativo di � rendersi conto )>.

L'eredit� carducciana--ad ogni modo--non � accettata in maniera


passiva, ma anzi, si presenta al Serra come un fardello piuttosto pesante,
che lo problematiz2a e lo rende inquieto. Se il Carducci pu� giungere a
dire: � Dopo il dono di fare la divina poesia, il dono largito dagli dei
ai loro prediletti � di ammirarla fino alle lacrime. Questo secondo dono,
io l'ho �, questa proposizione sarebbe fuori posto sulla bocca del Serra.
Tra il Serra e il Carducci--infatti--ci sono di mezzo due generazioni;
dal secondo romanticismo al positivismo e verismo sino ai primi fermenti
di neo-idealismo spiritualismo irrazionalismo, il rapporto tra poesia e cri-
tica si � profondamente modificato. Quello che pu� dire il Carducci,--e
non � una stonatura rapportato alla sua personalit� e ai suoi tempi--sem-
brerebbe sfrontato nel Serra. A lui non resta che questo: � I1 gusto puro
della bellezza � il mio dovere e la mia morale � (da una lettera inedita a
Piero Jahier), dove sentiamo tutta l'umilt� di Renato nell'uso dei due so-
stantivi, dovere e morale, di fronte alla sicurezza del maestro. Ma, insieme
all'umilt�, c'� anche coerenza e rigore, e onest� di fronte a quel � feno-
meno � chiamato poesia, che troppo spesso agli inizi del '900 viene tra-
visato o usato in mille modi (pensiamo al Borgese de La Vita e il Libro,
o alle sparate di Papini e Sof~ci su � Lacerba �). Rispetto alla tranquilla
certezza del Carducci, comunque, si sostituiscono necessit� di carattere
etico. Su questo contrasto interno, sull'esigenza di dover rigenerare dia-
letticamente il principio carducciano della poesia, il Serra ritorner� spesso,
soprattutto negli studi dedicati ai discepoli del Carducci. Cos� nel Pan-
zini, ad esempio, troviamo:

Per il Carducci, lasciatemi accermare come posso, l'ideale veramente vivo �


la poesia, sentita e amata non soltanto come pienezza liric,a del cuore, rna come
abito e gentilezza della mente, conversazione e comunione con i grandi, opera
6 di civilt� e di nobilt� umana.

E evidente che tutto quanto si pu� applicare al Carducci, non va pi�


bene per il Panzini, del quale il Serra pu� dire solo che eredit� � I'amore
religioso dei classici e lo studio assoluto di sincerit� �. Per il Serra, che �
di vent'anni pi� giovane del Panzini, nascono nuovi e pi� sottili pro-
blemi, e nel suo amore per le lettere e la tradizione si insinua di neces-
sit� il germe del dubbio. Di tutte le perplessit� che travagliano il gio-
vane, le pi� inquietanti sono senz'altro queste: come leggere la poesia?
Come accostarsi ad essa? E possibile dare un giudizio di valore? E, oltre a
questo, l'eterno problema dell'io dello scrittore, quello del libro, che per
forza non coincide con l'io vero dell'uomo.

A tutte queste incertezze il Serra trover� una parziale soluzione solo


negli ultimi anni della sua vita. Ma nei primi saggi ogni forma di giu-
dizio di valore � esclusa, come qualcosa di dissacrante. Cos� troviamo in
una lettera del 1907 all'Ambrosini:

Vedere tutto; tutte le opere, le lettere, le persone, i fatti della vita, le ma-
lignit� dei contemporanei; e non giudicare, no, mai, che � di gaglioffi senza
pudore--ma comprendere--sentire la qualit� dell'animo, del pensiero e dello
stile .

o negli appunti ai Poemi Conviviali:

La voce del poeta deve venire alli orecchi delli ascoltatori pura e schietta
com'egli la disse; e vacua ambizione � quella del critico che la voglia scrutare
sillaba per sillaba e pesare e giudicare: ed egli scruter� e peser� e giudicher� li
elementi della impressione personale sua, e le idee sue e le imagini sue, che
non son poi quelle del poeta: e il pi� che possa dire, egli il critico, innanzi
alla
poesia, si � proprio--Bevine e godi--. N� altro.
Lo scritto Sulla pena dei dissipatori, del 1904, non reca, natural-
mente, ancora l'ombra di questi problemi. Si tratta di un giovanissimo
Serra che ha bene meditato la lezione del Carducci e ha compreso quale
sia il problema centrale della Commedia: la riduzione a rappresentazione
artistica di una complessit� di sentimenti e di eventi. A prova della im-
postazione del saggio sulla falsariga della critica carducciana, c'� da dire
che il Serra cerca di fondarsi il pi� possibile, quando deve dirimere una
questione intricata, sull'autorit� del maestro, per suffragare le sue tesi.
Osservazioni interessanti, in questo primo lavoro, si mescolano a nota-
zioni banali; eppure a tratti si riconosce gi� la tempra del critico di gu-
sto: ad esempio nell'insistenza sul concetto di Dante artista dalla cultura
vastissima, che ingloba nella sua opera il sacro e il profano, l'erudito e
il popolare; e nell'essersi liberato dai residui pascoliani dell'allegoria. Ma
quella che manca ancora al critico � la capacit� di sviluppare le proprie
osservazioni, lo stimolo a penetrare nel mondo del poeta e a ricrearlo con
le proprie parole. Qualcosa di incompleto, dunque, e frammentario, que-
sto lavoro incoraggiato dal Lovarini, ma se pensiamo all'et� del Serra,
venti anni, tutte le riserve e le critiche cadono, e sentiamo di essere di
fronte agli inizi di un progresso continuo di gusto e sensibilit� critica.

Che del resto nel Serra vi sia gi� una sensibilit� e una finezza non
comuni, lo indicano le sue lettere di questo periodo, dove una tendenza
all'isolamento e all'introflessione tipicamente adolescenziali si accentua
talvolta in punte di vivo sconforto, mentre quel positivismo, di fondo,
triste e irrazionale, analogo a quello del Pascoli, che egli si porter� ap-
presso per tutto il corso della sua vita, trova qui i suoi primi momenti
di lucida coscienza. In una lettera alla madre, del 1901, egli dice:

Io so bene e tu devi esserne persuasa come me che il carattere e il fondo


di un uomo non cambia secondo le azioni ch'egli possa accidentalmente com-
mettere, e resta sempre unico e uguale con le sue tendenze, le sue attitudini, i
suoi desideri, i suoi sogni [...]. Son ben persuaso che, in pratica, non riuscir�
mai a nulla di notevole, n� sar� pi� che un solitario che pensa e sogna chiuso
e raccolto in se stesso: ma pure tutto quello che saro e che far�, avr� una ra-
gione d'essere soltanto nello studio e nel lavoro.

A questa sorta di autodifesa, a diaframmi che proteggano il suo mon-


do, il Serra ricorrer� anche in anni pi� avanzati, pur venendosi a smussare
8 alcune esagerazioni, e si former� nella sua coscienza una pi� salda fiducia
di s� e un maggior equilibrio. Ma per un gran pezzo il discorso sar� sem-
pre uguale. Cos� nel 1904 egli scrive all'Ambrosini, il suo confidente e
compagno:

Anche la mia attitudine puramente contemplativa, per non dire passiva ha


le sue gioie: e se quelle della creazione e dell'azione mi son negate, quelle della
visione e del pensiero mi sono sempre dischiuse: e s'io non far� mai nulla mi
consolo pensando ch'io mi son creato dentro me un mondo ideale e fantastico
grande e vario e, oramai lo posso dire, tutto mio.

D'altra parte, la tendenza all'evasione nel sogno, tipica di una per-


sonalit� che presenta alcuni tratti nevrotici, lo porter�, talora, ad un
ripiegamento sulla passivit� e l'inerzia; dove si � sempre dubbiosi se
accettare la sincerit� o sospettare, al di sotto delle r;ghe, una certa po-
sa, come in questa lettera, indirizzata ancora all'Ambrosini ( 10 mag-
gio 1908):

Io non ho pi�, al d� d'oggi, n� ambizioni, n� desideri n� speranze: se non


di vivere silenziosamente come ora, in una calma un po monotona, pigra; che
addormenti a poco a poco e fasci di torpore e di pace le piaghe che m'hanno
tormentato e che dentro non mi sono ancora chiuse.

In realt�, sotto tutta questa problematica, sotto il rifiuto espli-


cito della vita attiva, si nasconde nel Serra il desiderio di vivere e, soprat-
tutto, di amare. Crediamo non sia casuale ch. Ia svolta della sua vita,
quella che uno dei suoi critici pi� convincen ti, il Momigliano, data a
circa il 1913, coincida con la conoscenza reale dell'amore. Solo allora egli
riuscir� a liberarsi dalla tendenza ad usare una � maschera � per evitare
il rapporto diretto col mondo, e far� a meno, anche nel campo della cri-
tica, di quel ricorso ai � modelli � di cui si vale, di solito, per dare mag-
gior sicurezza alle sue parole. Modello, in questo senso, lo stesso Carducci,
come lo furono per il Serra anche Taine e Sainte Beuve, dai quali in realt�
egli si stacc� molto pi� presto di quanto non avesse mai ammesso. Ma la
critica del Serra � fatta cos�: un discorso che nasce con mille cautele e
difese, e tesi e antitesi interne, oltre a quel grosso procedimento antite- g
tico gi� notato dal Pancrazi, che consiste nell'oscillare, nel giudizio gene-
rale sul testo, fra i due poli opposti del <~ mi piace � e del � non mi
piace �. Questo oscillare tuttavia � sempre, nel Serra maturo, pi� appa-
rente che reale. Sotto le incertezze e il narcisismo da letterato che ogni
tanto esce dalla pagina, il giudizio c'�, e pi� netto e convinto di quanto
non possa sembrare. Ma, nella misura in cui giudicare--I'abbiamo gi�
visto poco sopra--� vissuto dal Serra come qualcosa di cGIpevolizzante,
egli ha bisogno di giungervi con tutte le precauzioni possibili, attraverso
tappe obbligate.

Tutto questo non c'� ancora nei primi lavori, se non a livello molto
sotterraneo. Giacch� in verit�, nel voler mirare agli � intendimenti �
del poeta, come fa Renato nella sua tesi di laurea sui Trionfi, piuttosto
che ai risultati, sta un'impostazione tradizionale di tipo carducciano, oltre
a una necessit� squisitamente personale del critico, di cui egli non si rende
ancora piena ragione, ma che vedremo nel Kipling trovare la sua piena
espressi�ne. La tesi di laurea serriana, comunque, discussa a Bologna ne-
gli ultimi mesi del 1904, non � solo un lavoro di scuola, nonostante che
essa risenta dei difetti della critica carducciana, che sono stati rilevati con
tanta acutezza dal Croce nel suo saggio Carducci pensatore e critico. Ci
sono, invece, osservazioni originali, e tutta l'impostazione del lavoro, se
si tiene conto delle condizioni della critica petrarchesca alla fine dell'Ot-
tocento, presenta caratteristiche di novit�. Che, d'altronde, la rinuncia al
voler giudicare sia qui in parte derivata dal magistero carducciano, lo fa
pensare anche una frase del Carducci, molto significativa, che riflette un
modo d'intendere a cui il discepolo non pu� essersi sottratto: � ... giudi-
care no, che � vocabolo superbo di povera cosa; ma a chi sa modesta-
mente il mestiere pu� essere lecito dire il parer suo; e forse utile--in-
tendiamoci, comparativamente all'utilit� generale della poesia --, se di
quelli che scrivono egli conosca almeno un poco la natura dell'ingegno
e la educazione delle facolt�; altrimenti il giudizio � sempre rischioso,
imprudente... �.

10 Accingendosi ad una tesi sui Trionfi, il Serra non poteva ignorare il


saggio sul Petrarca del De Sanctis, il quale si era espresso in termini piut-
tosto negativi nei confronti dell'ultima opera in volgare del poeta di
Laura. Al giudizio del De Sanctis si erano pi� o meno uniformati tutti i
critici posteriori: i Trionfi venivano considerati soltanto un'opera della
vecchiaia e della decadenza poetica dell'autore e non era concesso spa-
zio ad un'indagine sulla loro posizione nell'ambito della lirica petrarche-
sca e in quello pi� generale della letteratura italiana del Trecento. L'at-
teggiamento del Serra--ed � facile comprendere come ci� avvenga, data
la diversit� dei due temperamenti--� ben dissimile. Di fronte all'opera
letteraria, il primo Serra la smembra con gusto nei suoi elementi costi-
tutivi e con un paziente lavoro da linguista l'accosta alla tradizione. Il
De Sanctis, al contrario, immerge l'opera letteraria nella storia, con quella
sua vivissima passione per il mondo morale che � sottesa ad ogni espe-
rienza letteraria e che riallaccia lo scrittore alla storia pi� ampia dell'uma-
nit�. A questo bisogna aggiungere l'antipatia che sempre il Carducci prov�
nei confronti del De Sanctis e che certamente, trasmise almeno in parte,
al suo allievo.

Altra era la temperie spirituale in cui si era formato il De Sanctis.


Nell'era del positivismo e delle scienze esatte, del tramonto degli ideali ri-
sorgimentali e di una concezione romantica della letteratura (e, prima an-
cora, di una concezione romantica della vita) le parole del critico napole-
tano, i suoi ammaestramenti erano caduti nel vuoto. Per vedere il De
Sanctis rivalutato appieno, bisogna arrivare sino al Croce.

Leggendo i Trionfi, il De Sanctis notava l'assenza quasi totale della


poesia; vedeva l'opera difettosa nell'animo dell'autore. Diversamente da
lui, il Serra cerca di risolvere alcune questioni pi� particolari, riguar-
danti il � fine � del Trionfi, il significato, le forme. Sotto questo aspetto,
egli vede in essi � una novit� singolare, non tanto forse nell'effetto, quanto
nel pensiero e nell'intendimento dell'autore �. E la parola � intendimento �
ricorre per tutto il saggio, a testimoniare la precisa direzione di ricerca di
� poetica �, pi� che di poesia, a cui mira il Serra. Un procedere perico-
loso, che d'altra parte indica l'attenzione particolare che il giovane cri-
tico dedica all'opera d'arte nel suo divenire, e all'artista come l'artefice
che compie di continuo una scelta nell'ambito delle possibilit�, che il
patrimonio linguistico della tradizione offre.

Dobbiamo inoltre tener presente che l'insegnamento del Carducci po-


teva dare al giovane Serra degli strumenti critici assai limitati. Soltanto
negli anni successivi alla tesi di laurea egli allargher� la propria espe-
rienza critica, quasi con l'entusiasmo dell'autodidatta, traendo molto dalla
lettura del Sainte-Beuve, del Croce, delle pagine teoriche di Guy de Mau-
passant. In questo primo Serra, infatti, � ancora molto incerto il concetto
di forma, inteso pi� nell'antico senso retorico che in un senso desancti-
siano o, tanto meno, crociano. Purtuttavia, non dobbiamo limitarci a defi-
nire la tesi sui Trionfi come un lavoro di scuola, poich� vi possiamo gi�
trovare qualcosa di pi�: il tentativo di leggere l'opera con un'attenzione
particolare alla lingua nella sua concretezza, sotto una nuova prospettiva.

Nel febbraio del 1905 il Serra si trasferisce a Roma per compiervi il corso
di allievo ufficiale dell'esercito. La lontananza da casa, dalla famiglia e da-
gli amia, lo induce a meditare sul senso della sua vita, e sulla sua scelta
professionale. Ne escono riflessioni piuttosto tristi ed amare, decantate e
purificate, tuttavia, da quella atmosfera di quiete e di ozio (e per conse-
guenza di disimpegno nei confronti del futuro) che regna nell'ospedale mi-
litare dove egli trascorre parecchi mesi. In tal modo appaiono reali ep-
pure lontane � le amarezze e i rimpianti degli anni perduti, della dolce
vita ch'io non so bere, dell'amore che non ebbi, dell'arte che non so �
(7 agosto 1905). Ma il male c'�, ed � gi� radicato, al di l� d'ogni compiaci-
mento, nell'animo del Serra; per cui ogni tanto trapela con maggiore
evidenza e senza gli schermi e le difese dell'autoironia:

Io sono sempre quel ch'ero: un pover'uomo, senza speranze, senza illusioni


12 e senza forza: ne alla vita, n� all'arte. Se trover� un momento di senno sar�
quello in cui butter� all'aria cartacce e ubbie e malinconie, e penser� a inse-
gnare grammatica o a trovare un impieguccio a Cesena, oscuro e pigro.
E singolare, comunque, che accanto a queste involuzioni e ai ripiega-
menti su se stesso, si alternino i momenti di grande entusiasmo, e soprat-
tutto di fiducia per quella letteratura che, in fondo, per il Serra giovane
� l'unica ragione d'esistenza e, come tale, � apertamente odiosamata.

Vanno notati in queste lettere, tra l'altro, spunti assai interessanti per
una verifica dell'eredit� carducciana. Quando Renato parla all'Ambrosini
di � travaglio artistico �, ad esempio, � impossibile non ricollegare la
frase alla tradizione carducciana, che pure era in via di spengimento agli
inizi del secolo Ma tutto il clima storico, in cui il Serra si � formato, ha
contribuito a creare in lui una grandissima attenzione al problema tecnico
ed ai preliminari della poesia.

Sotto questa luce, � maggiormente comprensibile quanto egli dice in


queste righe:

Perch� una poesia consegua il suo effetto pieno e durevole ci vuole prima
di tutto un buon disegno. Il disegno, all'ispirazione e all'empito lirico, � come
l'olmo alla vite. La sostiene, la distende, la rialza, la fa visibile a tutti e
solida
contro le ventate. Ma il disegno, che � ordinamento, riflessione, della mente
sul lavoro, manca allo slancio spontaneo, ai versi notati quando amore spira...
Ma neanco noi siamo manzoniani o romantici: e cos� alla spontaneit� come al-
l'arte faremo il debito luogo. Ognuno alla sua ora. Per fare una frase, nessuno
osi scrivere se non sente le dive sussurrargli all'orecchio: novissima verba: ma
quando sar� al ricopiare in bella e pulita lettera il dettato divino, si ricordi
sol-
tanto delle vecchie e sane regole che i maestri dell'arte hanno insegnato.

Non altrimenti dal Serra, gi� il Carducci ricordava: � Quello che i pi�
credono o chiamano troppo facilmente ispirazione, bisogna farlo passare
per il travaglio delle fredde ricerche e tra il lavoro degli strumenti cri-
tici, e provar s'ella dura �, oppure: � Se la poesia � e ha da essere arte,
ci� che dicesi forma � e ha da essere della poesia almeno tre quarti �.
Nel 1905, dunque, non si pu� ancora parlare di un distacco fra il

Serra e il Maestro, anche se dentro di s� Renato awerte gi� degli stimoli A


14

e degli echi che lo spingono a rivedere ogni momento il suo rapporto col
Carducci. Nelle righe che abbiamo qui riportato, comunque, egli, come il
Carducc~, sl oppone ad una concezione romanticheggiante della poesia
quella degli eroici furori e del vate invasato, che, non certo attribuibile
al primo Romanticismo, � da ascriversi piuttosto, in Italia, alla poetica
degli Scapigliati, di cui � a sufficienza emblematica questa frase del Boito:
� I'artista dovrebbe essere pieno di larve, larvarum plenus, un uomo in-
vaso da un grande morbo dell'anima, lues deihca: I'ispirazione �, dove il
rilievo stereoscopico dato nel contesto alla parola � ispirazione �, quasi a
fregiarla di attributi misterici, mostra ancor pi� la differenza di sensibilit�
e di modi culturali che separa gli Scapigliati dal Serra. Il quale ultimo
nei suoi consigli all'amico Ambrosini, insiste a non finire sul concetto di
� lavoro � e di � tecnica �: � E lima e picchia e batti, se ti duri la buona
voglia, ch� la tempra � salda e sincera la rima �. Si pu� risalire di qui
ancora una volta, ai precetti del Carducci, senza dover necessariamente
ricorrere al Gautier de L'Art. Ma sia il modo di intendere del Serra che
quello del Carducci sono riconducibili alla trasformazione dell'idea di opera
d'arte, che si era verificata verso la met� dell'800, soprattutto sotto la
spinta degli scrittori e degli artisti francesi, e che aveva portato alla ri-
valutazione del � travaglio artistico �, rispetto all'ispirazione, all'interno
dell'opera. Che poi tutto questo possa condurre ad un capovolgimento di
termini, e agli eccessi opposti, come nel Serra giovane e nel Carducci, �
intuibile. Meglio dunque il Baudelaire, quando dice che � l'inspiration
est la soeur du travail journalier � e critica le � mauvaises �critures � di
Lamartine o di De Musset. Ma nel Serra, come gi� nel Carducci, vive
anche l'insegnamento dei suoi classici latini e greci, i quali gi� offrivano
ragioni sufficienti per motivare il suo ideale artistico. Rispetto al Baude-
laire, peraltro, il pensiero del giovane Serra � scopertamente ingenuo,
specialmente quando, come nella lettera a Luigi Ambrosini dell'8 gen-
naio 1906, egli vuol far derivare a tutti i costi l'ispirazione proprio dal
lavoro giornaliero:

... in realt� [l'ispirazione] non � altro che la somma di tutti i colpi di mar-
teUo, di scalpello e di lima, per cui a poco a poco, con un lavoro di giorni o
di mesi o di anni l'idea prende corpo: lavoro in cui non si pensa altro, minuto
per minuto, fuori del colpo che si mena.

Ma che, d'altro lato, ci sia gi� nel primo Serra un portato dell'estetica
idealistica, possiamo trovarlo poco pi� avanti, dove egli si allinea su po-
sizioni non dissimili da quelle del Croce:

... I'idea artistica esiste solo in atto: l'idea artistica virtuale � un assurdo.
L'idea grande, bella, magnifica, che si porta a spasso nel cervello, e non n'esce
per la contrariet� delle circostanze, � un'entit� mitologica: creata perch� se ne
consolino molto vilmente tutti i presuntuosi e i falliti della vita.

Ecco dunque il giovane Serra operare il suo noviziato con queste ri-
meditazioni faticose di problemi teorici. Egli, con una serie di distinzioni
troppo sottili e artificiose, vede nell'ispirazione quel disordine, quella foga
malsana con cui molti artisti dell'800 scrissero le loro opere; insiste sulla
necessit� di un lavoro tenace, senza accorgersi che non basta postulare una
diligente ed accanita opera di artigiano per avere un vero scrittore, al
quale si richiede, per certo, un'umanit�, un vasto mondo morale, un'aper-
tura ai problemi della vita e dell'arte indispensabili ai fini della rappre-
sentazione artistica.

Tutto sommato, per�, I'importanza persino eccessiva che il problema


della tecnica ha nel Serra degli anni 1904-06, mostra non soltanto la con-
sistenza delle sue letture, ma anche uno sforzo di adeguazione personale
a quelle che altrimenti sarebbero state idee meccanicamente riprese da
altri. Ne d� atto anche la simpatia con cui egli cita, nella stessa lettera
all'Ambrosini, l'introduzione di Guy de Maupassant a Pierre et Jean,
dove lo scrittore francese, in perfetta consonanza con tutto un clima cul-
turale, trova nel lavoro quotidiano uno stimolo per un miglior risultato
artistico, pur senza trascurare, con la saggezza che gli deriva dall'espe-
rienza, la portata delle qualit� naturali dell'individuo. La meticolosit� con
cui si indaga al di dentro dell'officina dell'autore fa parte di tutto il mo-
mento storico del secondo C~ttocento (nel Serra maturo, infatti, il pro-
blema verr� a vanificarsi completamente) come � dimostrato anche dal
travaglio artistico di Flaubert e dalle sue parole significative: � le ta-
lent--suivant le mot de BufEon--ne est qu'une longue patience. Tra-
vaillez � (� il talento--secondo il detto di Buffon-- non � che una
lunga pazienza. Lavorate �.

Accanto a tutti questi nomi, si potrebbe qui--e a buon diritto--


metterne un altro, quello di un filosofo la cui influenza sulla formazione
del Serra non � stata forse ancora giustamente riconosciuta in tutto il suo
valore: parliamo di Francesco Acri. Nella gi� citata lettera all'Ambrosini,
il Serra lo contrappone con una punta di snobismo al Croce, quasi voglia
inconsciamente diminuire i meriti del filosofo abruzzese. Giacch� il Serra
prov� sempre una strana reticenza nel confessare un qualsiasi influsso del
Croce sulla sua formazione critica, o prefer� in ogni caso evitare l'argo-
mento in maniera troppo diretta.

Pi� tardi, verso la fine del 1909 (22 ottobre) egli scriver� all'Ambro-
sini: � Io per esempio molto prima di leggere e di conoscere il Croce (del
resto leggere non l'ho voluto prima di quest'anno, ma gi� lo conoscevo)
da poche parole di Acri avevo imparato abbastanza �. Un'esagerazione in-
dubbia, se si considera, fra l'altro, che la teoria estetica dell'Acri rimase
sempre qualcosa di provvisorio, non sistematico. Eppure l'amore del Serra
per il maestro raggiunge livelli paragonabili soltanto a quello per il Car-
ducci: entrambi suoi maestri a Bologna, entrambi sostenitori convinti del-
l'arte della parola. Ma tra questo, e un'affermazione del genere, che il Serra
fa sempre nella lettera all'Ambrosini del gennaio 1906: � ... il Carducci,
che fra contraddizioni e banalit�, quando ha voluto, ha visto molto pi�
addentro, anche nella teorica dell'arte, che non il Croce � ci corre molto.

una presa di posizione piuttosto ingiusta contro il filosofo idealista, che


il Serra apprezzava e ammirava, ma nello stesso tempo sentiva distante,
soprattutto per le diverse attitudini intellettuali. Nell'uno l'apparente calma
olimpica del pensiero che progredisce continuamente e risolve con sere-
16 nit�, alla luce della sua logica, ogni problema. Nell'altro una sensibilit�
forse pi� fina, pi� attenta, anche se talora un poco morbosa, e il perdersi
frequente nel particolare senza tenere conto dell'universale. D'altronde,
questo si spiega quando ci ricordiamo che gi� per il Serra giovane ogni
cosa ha valore, ogni pi� piccolo moto dell'animo, ogni parola o addirittura
ogni suono, e che questo suo implicarsi interamente nel particolare (come
far� nel saggio sul Pascoli), se gli permette di giungere a scoperte finis-
sime, gli vieta anche, talvolta, la facilit� di quel processo attraverso il
quale si risale alla generalizzazione del dato singolo. Per tutta la sua
esistenza, il Serra vivr� in un atteggiamento bivalente nei confronti del
Croce, quasi lo sentisse come immensamente superiore e, nello stesso
tempo, inferiore e limitato, come onnicomprensivo e pure contempora-
neamente disumano. Non � poi accettabile una presunta superiorit� del
Carducci teorico dell'arte sul Croce. Fa difetto al Carducci~ infatti, proprio
una solida dottrina estetica, una filosofia dell'arte, che invece il Croce
si costruisce, anche se poi, lentamente e con un incessante travaglio in-
tellettuale, andr� via via modificando le sue teorie. Ma per il Serra, a volte,
l'immagine del Carducci assume aspetti di sacralit�, un valore totemico e
propiziatorio, ed � impossibile sminuirgliela alla luce dell'intelligenza. Tor-
nando, invece, al gusto del particolare tipicamente serriano, bisogna ascri-
verlo, senza dubbio, all'insegnamento bolognese dell'Acri, oltre che a
quello del Carducci. Allo stesso modo, si hanno forti rispondenze tra la
teoria estetica acriana e quelle prime embrionali idee che il Serra espone
all'Ambrosini. Dice il filosofo:

... nessuno artista ha nella fantasia bello e fatto il tipo dell'opera sua, ma
quello si fa e procede insieme con questa e si compie. Tra l'ideale e la sua
forma sensibile � per questo rispetto la medesima rela~ione che � tra l'idea e
la parola che la significa. L'idea si particolareggia insieme con la parola, e si
ha chiara, quella schiarendosi; tanto che � in tutto falso ci� che si sente dire
ogni d�: L'idea io l'ho netta, ma non mi viene su la lingua la parola conve-
nevole.

Dinanzi all'idealismo convinto dell'Acri, il positivismo del Serra perde


un poco delle sue spigolosit�, e soprattutto si trasmette dall'uno all'altro
un amore autentico per la bellezza dei classici. Rispetto al Croce e al
De Sanctis, peraltro, I'Acri appare per molti versi sorpassato, soprattutto
quando, nel Terzo ragionamento contro i poeti veristi, attua una distin-
zione di vecchio stampo fra cose � belle � e cose <~ brutte � come mate-
riale di rappresentazione artistica. Ma egli, in ogni caso, resta sempre nel
ricordo del Serra come una figura severa e per certi aspetti mitica, legata
alla sua giovinezza. Quando nel 1911 il critico torner� a parlare del mae-
stro, con una recensione alla scelta dell'Ambrosini (Le cose migliori di
Francesco Acri), potr� chiarirsi ulteriormente la consistenza dell'insegna-
mento acriano; e la trover� nella sua attenzione costante alla bellezza arti-
stica, indagata non nelle immagini ma nei suoni:

Cercava la bellezza nel suo principio pi� mero, nella musica e nei su~ni e
nelle parole; nelle parole tentate come suono puro e mosse e secondate come
musica di se stessa contenta; la bellezza pi� pura e aerea e lontana e difficile,
quella che non ha nessun corpo nessun peso nessun criterio, ma deve essere
colta in s� e nello spiro lieve del fiato.

~ una mistica della poesia a cui il critico non riesce facilmente a sot-
trarsi, pur comprendendo nello stesso tempo quanto di pericoloso vi sia
in un culto cieco della musicalit� e della bellezza. ~ in fondo lo stesso cri-
terio al quale altre volte si adegua il Serra stesso; pensiamo, ad esempio,
al Ringraziamento per una ballata di Paul Fort, dove il critico, tutto com-
preso nel suo sforzo nella direzione della bellezza e della poesia--e per
di pi� trascinato da una serie di procedimenti analogici che affondano nella
parte intima del suo essere--d� per scontato di essere di fronte ad un
capolavoro, un esempio di bellezza pura, e nella sua autosuggestione si
lascia sfuggire la realt� della mediocrissima ballata. Una condizione del
genere, ciononostante, � per fortuna non usuale nel Serra, che si rende
conto della distanza che lo separa dall'Acri il quale, come anche il Pa-
scoli, appartiene per lui a quella categoria di uomini privilegiati, � inge-
nui �, a cui � dato un rapporto con le � cose � differente da quello degli
18 altri mortali. Quel procedere verso la bellezza impalpabile, se � possibile
nell'Acri, � meno facilmente attuabile nel discepolo, a cui il momento
storico diverso e la sua personale natura propongono continuamente nuovi
ostacoli e problemi, impongono nuovi diaframmi nella ricerca della poe-
sia. Anche la teoria della dinamicit� dell'opera d'arte, dell'arte come ar-
monia e moto, gi� propugnata dall'Acri e ripresa dal Serra, � da lui sen-
tita in maniera molto pi� drammatica e inibitoria che nel maestro, almeno
nel periodo 1906-08.

Di fronte ai molteplici elementi in moto perenne che costituiscono


l'opera d'arte, la cui staticit� � solo un'apparenza, dinanzi alla complessit�
del rapporto tra suono e immagine, il Serra poco pi� che ventenne giunge
immediatamente a stati di inquietudine, di ansia; resta perplesso e sfidu-
ciato sulle possibilit� di attuare un qualsivoglia tipo di critica. Gli inse-
gnamenti del passato ormai non gli possono recare pi� alcun aiuto; la
sua epoca � quella in cui tutto va riverificato alla luce della propria espe-
rienza individuale, ripartendo da zero, senza il sussidio di alcuna cer-
tezza illuminante (quando mai compare nelle pagine del Serra anche un
solo accenno a Dio o alla Provvidenza, o a qualsiasi altro valore trascen-
dente? ). Nell'Acri, invece, i problemi del rapporto con la poesia sono
visti sotto un'altra angolazione, quella di una serena tranquillit� e fiducia
nei valori dello spirito; egli si preoccupa di esporre e motivare le sue
teorie per controbattere le asserzioni dei poeti veristi, ma in lui non c'�
la traccia di quell'inquietudine che � nel Serra. Dobbiamo piuttosto rico-
noscergli una ricerca tenace della bellezza poetica, il gusto del ritmo ar-
monioso e l'odio per la parola generica, il discorso superficiale. Ma soprat-
tutto il Serra eredita dall'Acri una lezione di moralit�: � Lezione severa
che viene da lui a chiunque passando il suo tempo a giocare con le parole,
d� a ci� nomi grossi, e si aggrava di peso materiale impuro inconsape-
vole �.

Suona in queste righe una condanna che pesa su molti contemporanei


del Serra, per i quali la critica era poco pi� di un gioco di parole.

L'anno 1907, trascorso fra Torino, Cesena e Firenze, vede uscire alle
stampe il primo lavoro critico originale del Serra, uno studio su Rudyard
Kipling. Legato agli scritti del narratore inglese da un rapporto affettivo
profondo (� Kipling, lo scrittore che io amo tanto da non volerne par-
lare�, dir� in una lettera al Cecchi del 24 gennaio 1911), il Serra final-
mente si decide a scriverne dopo molte incertezze e ripensamenti, espressi
in alcune lettere all'Ambrosini, dove riprende anche con tono concitato i
soliti motivi della solitudine e della rinuncia all'amore, significativi di una
problematica in cui il Serra � ancora invischiato. Ma � perlomeno singo-
lare che, come egli va depauperando e avvilendo la propria vita intima,
contemporaneamente cerchi di rinsanguare, rinvigorire quella intelligenza
e quella cultura che non facevano difetto: � Voglio, come t'ho detto tante
volte, che tutto il materiale della mia mente sia sano e solido come il ma-
teriale che adoperavano i Greci ai loro templi �.

Il Kipling � il primo autore moderno che il Serra abbia il coraggio


di affrontare con una lettura critica. Il passaggio dagli studi su Dante e
sul Petrarca, dove egli poteva valersi dell'autorit� del Carducci e degli
strumenti del metodo storico, alle prove sul mondo poetico di autori mo-
derni, porta inevitabilmente degli scompensi nel suo ammo, gi� cos� in-
cline all'autoironia e allo scetticismo sulle proprie possibilit�. Lasciato solo
a se stesso, egli cerca un tipo di critica che gli valga a penetrare la realt�
dell'autore; ma in lui riecheggiano esperienze plurime, di cui via via sar�
indotto a servirsi, dando cos� luogo a un saggio che procede per strati-
ficazioni successive, su registri critici diversi. Oltre a questo, si pone qui
in maniera inquietante la dicotomia fra persona ed opera: il vero Ki-
pling � quello di Stalky and Co., degli altri romanzi, o piuttosto � l'uomo
che sta nell'ombra e si crea un � io � artificiale, quello delle sue opere? Il
problema, che in s� non � particolarmente drammatico, e la cui risolu-
zione �, ad esempio, squisitamente mostrata da Marcel Proust (� Un libro
� il prodotto di un " iOn diverso da quello che si manifesta nelle nostre
abitudini, nella vita sociale, nei nostri vizi. Un tale io. se vogliamo cer-
care di comprenderlo, possiamo attingerlo solo nel profondo di noi stessi,
sforzandoci di ricrearlo in noi �, sembra tormentare il Serra nella misura

20 in cui egli non si accorge che � possibile tentare un'analogia del profondo
fra 1'� io � del libro e quello del lettore (o del critico), piuttosto che vo-
lere a tutti i costi arrivare alla definizione del vero Kipling. Dal che de-
riva in lui un senso di impotenza e frustrazione: il Kipling gli sfugge,
inevitabilmente.

L'inizio de! saggio mostra un procedimento dinamico tipicamente


acriano, e il gusto della mimesi, sin dal primo periodo cos� brillante e
mosso:

Basta profferire le sillabe del bel nome, squillante come una fanfara eso-
tica, ed ecco da tutte le parti concorrere come per se stesse mosse le grandi
frasi sonore: ecco gli aggettivi lustri come un soldo nuovo, le immagini son-
tuose e le osservazioni profonde rannodarsi, come soldati alla bandiera, in-
torno ai punti culminanti...

dove si intuisce tuttavia il pericolo che il movimento si esaurisca, che


l'entusiasmo iniziale si a�~�evolisca man mano che, dinanzi al critico, si
parano le di�~colt� dell'interpretazione. L'adesione sincera alle storie, che
il Kipling racconta, di fronte al problema critico diventa uno strumento
inutile; qui pi� che mai il Serra sente il contrasto tra affettivit� e ragione,
e anzich� tentare di unirle in un'unica componente si affida ora all'una
ora all'altra, complicando il suo discorso. La ragione, il discorso del � gram-
matico � gli sembra corrompere la poesia, eppure non pu� farne a meno.
Ma il grammatico classifica e giudica; ecco che allora � aperta la possi-
bilit� di un'altra strada, quella di una � lettura � alla Sainte-Beuve, in
fondo un tentativo di evasione verso problemi che il Serra intuisce come
marginali: la gloria, la carriera dell'uomo, il trionfo letterario, la potenza
politica a cui egli � assurto. Per quanto egli si lasci affascinare dalla vita
del Kipling, tanto diversa dalla sua, e trasportato dall'entusiasmo si im-
medesimi nelle vicende pi� pittoresche del suo autore, � chiaro che in
lui rimane presente e incancellabile l'altro problema. Il Serra, infatti, �
troppo intelligente per dimenticare che, in fondo, ci� che lo inquieta e che
egli non sa definire � la consistenza dell'opera, quella in cui � sta il poeta
nella sua pi� intima ragione �. Una problematica di tal genere, del resto,
� fortemente agitata agli inizi del Novecento; non sono casuali, sotto lo
stesso riguardo, le parole con cui Alfredo Gargiulo, nel 1904, recensisce
il libro di G. Michaut, Sainte-Beuve avant les Lundis, insistendo sul pe-
ricolo che la curiosit� psicologica distragga dall'indagine estetica, propria
della critica.

A questo punto, l'opera kiplinghiana, anzich� ricomporsi in un giu-


dizio sintetico, riprendendo forma dopo le scomposizioni dell'analisi, as-
sume nell'animo del Serra l'aspetto di un caos totale. Nonch� aiutarlo, la
coscienza della dinamicit� dell'opera d'arte lo fa giungere ad una sorta
di sfiducia totale:

Come si possono ricondurre tutti questi frammenti, disiecta membra poe-


tae, alla unit� di ispirazione, di intendimento, di sentire, a quel non so che di
essenzialmente unico, che per noi sembra costituire il poeta, nella sua pi� in-
tima ragione? O si dovr� star contenti a guardare questo caos senza provare a
portarvi la luce e l'ordine, che solo fanno possibile l'intelligenza e il godi-
mento?

Continua allora il suo accostamento all'opera da diversi punti di vista,


un provare e riprovare nel tentativo di giungere alla piena comprensione.
Il primo assaggio � compiuto sulla lingua del Kipling, ma, giunto il mo-
mento di formulare un giudizio, il critico se ne sente incapace: quelli che
gli sembrano difetti, vorrebbe spiegarli, giustificarli, piuttosto che censu-
rarli. Anche qui la componente affettiva predomina nel Serra, ed egli
sembra rammarica sene, rifiutarla, eppure non pu� fare a meno di lasciarsi
guidare da essa. Allora cerca di sviare, di rifarsi ai suoi modelli; ecco che
si giustifica il ricorso al Taine che, lui solo, secondo il Serra, sarebbe in
grado di capire il Kipling. Di fronte all'incertezza il critico, ancora etero-
nomo, non pu� far altro che riportarsi ai � modi di leggere � dei suoi
antenati, ma lo fa ben conscio dell'assurdit� del suo comportamento, tant'�
che finisce per concludere che � il Taine non c'� pi� e questa � retorica �.
L'interesse principale di questo saggio sul Kipling, agli inizi dell'attivit�
22 critica serriana, � dunque proprio nel continuo reperire modi critici diffe-
renti, nel vedere allo scoperto alcune tendenze dell'animo del Serra, che
poi via via si affineranno o verranno coperte da un maggior controllo e da
una minor ingenuit�. Nel momento in cui egli si rende conto di non saper
ricostruire il suo autore, sceglie un'altra strada, quella del guardare e del
raccontare. La pi� semplice, forse, quello del letterato sprovveduto,
per il quale il mondo dell'autore non � pi� l'opera di letteratura, ma un
vero e proprio universo reale, fatto di � cose �. Il Kipling, allora, non gli
apparir� pi� come un letterato, cio� come un artefice di finzione, ma come
colui che ricrea la vita stessa, riuscendo quasi ad uscire, magicamente,
dalla categoria della letteratura. Cos� tutta la seconda parte del saggio si
perde in una serie di esempi, che restano staccati, senza che un filo con-
duttore li leghi. Vi � la tentazione bruta, nel Serra, di rimandare diretta-
mente il lettore alle pagine del Kipling, senza altri indugi. Ma ecco che,
con un procedimento di brusca antitesi, egli vuol porre un'altra possibi-
lit�, quella di

ricercare con la mano, lieve e onesta, se si pu�, quei quasi contorni di un


cavo che nella nostra memoria � rimasto dalla lettura del poeta. S�, un cavo,
non saprei dir meglio, un puro vuoto, se non ci pensiamo: ma il vuoto di una
forma; basta percuoterne un poco e tentarne, qua e l�, la superficie perch� il
metallo prorompa nel getto, e tutto si faccia pieno, solido, lucente...

Da queste righe, e da quest'altra osservazione: � tutto � in realt� sem-


plificato, condensato, scortato e raggruppato come una molla a spirale
compressa fino a parer un cerchio nudo d'acciaio �, traiamo una conferma
sulla persistenza del magistero acriano nel Serra; ma, oltre a ci�, vi � qui
un approfondimento non trascurabile delle teorie dell'Acri: I'ope~a d'arte
non � pi� vista come una sfera (il che per il Serra non d� un'idea abba-
stanza persuasiva della sua dinamicit�), ma prima come una forma cava,
dove quel che conta � l'impulso con cui l'individuo la � riempie �, e poi
come una molla spirale, che possiede una potenzialit� altissima di movi-
mento. Ma come l'Acri non diede mai una risoluzione pratica delle sue
teorie, altrettanto il Serra, dinanzi all'opera d'arte cosi definita, non rie-
sce ad affrontarla in maniera persuasiva: il Kipling gli appare sempre pi�
un mistero. Sente di dover trovare giustificazioni di fronte al lettore:
� ... vuol dire che io non mi so spiegare; e abbandono l'impresa per sem-
pre �.

Che cosa resta, dunque, di convincente alla fine del saggio, affasci-
nante dal punto di vista della psicologia e della problematica critica del
Serra, ma abbastanza debole come esperimento critico, se non quella illu-
minazione improwisa con cui egli, sdipanato il groviglio delle sue con-
traddizioni, stabilisce un rapporto di analogia, quasi un'identificazione, tra
se stesso e l'autore? Nel Kipling, come nel Maupassant e nel Merim�e,
ritrova l'impiego di una maschera esteriore, che vale a nascondere una
sensibilit� quasi morbosa; la stessa maschera di cui egli esplicitamente e
pi� volte ammetter� di essersi valso nel corso della sua vita, per non
farsi ferire dal mondo. Ma, anche qui, il giovane Serra tende ad esagerare;
� giusto ricercare consonanze tra il mondo dello scrittore e il proprio;
meno rigoroso il voler applicare a tutti i costi allo scrittore, fino in fondo,
le caratteristiche del proprio temperamento. E il passo in questione, inte-
ressante dal punto di vista dello sfogo di un'anima, quella del critico,
lascia perplessi circa la validit� della ricostruzione psicologica dell'autore:

Se io sapessi e potessi, come vorrei [...] come vorrei ritrovarla questa ma-
gnifica storia di un'anima! Come vorrei mostrare in quel giovinetto occhia-
luto [ ] la prodigiosa immaginazione verbale, il lirismo violento, quella na-
tiva enfasi apocalittica, degna di un Victor Hugo o di un un Flaubert prima
degli scrupoli, quell'anima che in collegio si gettava con empiti di avidit�
bramosa sui poeti della nuova scuola, sui rinnovatori del vocabolario poetico,
sui preraffaelliti, sui realisti, sui francesi, tutti insieme ed in blocco; che pi�
tardi lo far� cercatore cos� amoroso delle poesie orientali, [...] e derivatore da
esse di modi dell'espressione e di ricchezza di atteggiamenti spirituali non an-
cora sospettata... mostrare tutto ci� da una parte [...] e dall'altra parte la in-
telligenza spietatamente chiara, crudelmente penetrante, acuta, tagliente, mor-
dente che gli ha mostrato d'un colpo tutto il rovescio delle carte, la vanit� della
gloria, dell'arte, delle miserabili chimere umane, che gli ha ravvivato fino allo
spasimo il senso del ridicolo ~...] l'orrore del gi� detto, del gi� visto, di tutto
24 ci� che pu� parere ostentato.

Dal lirismo alla retorica all'enfatizzazione il passo � molto breve. D'al-


tronde, la chiusa finale segna il trionfo dell'intuizione sull'analisi, quasi
che il critico ritenga impossibile una concordanza dei due piani e una va-
lorizzazione dell'analisi come mezzo di verifica dell'intuizione primaria,
piuttosto che--come egli sembra intendere--quale elemento di confu-
sione e disordine.

Non dimentichiamo, comunque, che, dopo il tramonto delle dottrine


positivistiche, il clima dei primi anni del Novecento � quello dell'intui-
zionismo bergsoniano (Mati�re et M�moire � del 1896, e l'Introduction �
la m�taphisique � del 1902). Non sappiamo se il Serra avesse letto Berg-
son; ma si possono ritrovare alcuni echi delle dottrine del filosofo fran-
cese nel Kipling e nel Pascoli. Il Serra del Kipling sta in bilico fra ana-
lisi e intuizione, e non sa scegliere la via migliore, n� tanto meno � in
grado di chiarirsi teoricamente il rapporto fra l'una e l'altra nel procedere
del critico letterario. Ma � indicativo il fatto che egli parli di un processo
rappresentativo a cui il Kipling arriverebbe � per un atto di pura crea-
zione ~>, al contrario dei realisti, i quali foggiano le anime dal di fuori,
� ricostruendo pezzetto a pezzetto e rimontando dalle minuzie esterne
allo spirito �. ~ facile cogliere la possibilit� di un raffronto con 1'� intui-
zione estetica � di cui il Bergson parla spessissimo. Inoltre il ritratto finale,
di cui il Serra si vale nello stesso Kipling, nel Pascoli e in altre occasioni,
inteso come momento della sintesi e superamento di ogni antinomia, equi-
vale ad un ricorso all'intuizione dopo il travaglio dell'analisi, sulla fal-
sariga del pensiero bergsoniano: � Chiamiamo qui intuizione quella sim-
patia mediante la quale ci si inserisce nell'interiorit� d'un oggetto per
coincidere con ci� che c'� in esso, di unico e quindi d'inesprimibile �.

L'abdicazione del Serra critico--eppure, anche perdendo, ha dimo-


strato ricchezza e fervore di idee e possibilit� tali da fare del Kipling uno
dei suoi saggi pi� affascinanti--� ribadita nell'ultima pagina: l'unica
possibilit�, per chi voglia comprendere il Kipling, � di affidarglisi ad occhi
chiusi, senza riserve; insomma, il testo, portato in primissimo piano, ha
la meglio sul lavoro del critico. Lo stesso Serra, del resto, si era sempre 25
reso conto delle difficolt� che un saggio sullo scrittore inglese compor-
tava: � Io che non sono contento mai e che ho ancora in qualche cas-
setto parecchie centinaia di cartelle su Kipling e le ho dovute abbando-
nare per disperato! �, dir� nel 1911 ad Emilio Cecchi. Questi tentativi di
ricreare I'uomo, di � realizzarlo con materia propria mia �, � slanci presi
da tre, quattro, dieci punti diversi; disposizioni pi� o meno diverse dello
spirito � non arrivano mai, nel Serra, alla conclusione, e anche Kipling,
come vedremo per Romain Rolland, se pure in altro senso, costituir� sem-
pre per il critico � un debito non pagato �. i~ pur giusta l'obiezione che
si pu� muovere al Serra, I'avere, cio�, sopravvalutato il Kipling, ponen-
dolo nel rango dei grandi della letteratura moderna. Ma, come osser-
vava giustamente il Cecchi:

Allora s'era letto Kipling; ma non si conosceva, o si conosceva male, Ste-


venson. Conrad aveva gi� scritto le sue cose pi� grandi; ma anche in Inghil-
terra non se n'erano accorti quanto sarebbe stato necessario. Kipling assunse
ai nostri occhi un rilievo solitario, una statura forse un poco sproporzionata
e non sapevamo che, in parte, quel suo splendore, che sembrava tanto nativo
e genuino, era un riflesso di altri colori e non suoi.

In verit�, I'infatuazione per il Kipling fu collettiva, e proprio il ve-


derlo isolato, privo di connessioni con altri scrittori (i nomi di Conrad e
di Stevenson non si ritrovano neppure una volta in tutti gli scritti del
Serra) contribui ad accrescerne il fascino. Ma come il Cecchi stesso, in
un altro brano dell'articolo citato, ammette, che fra l'occuparsi del Kipling
e il darne un'interpretazione critica soddisfacente molto ci correva, cos�
il S*ra non riesce ad organare le sue annotazioni in un discorso com-
piuto.

Tra la fine del 1907 e l'autunno del 1908 il Serra � a Firenze, prima
26 come perfezionando all'Istituto di Studi Superiori, poi come aiutante del
duca Caetani ad uno spoglio per un Dizionario bio-bibliogra~co italiano.
E interessante notare come egli cerchi di evadere dalla sua Cesena, per
trovare altrove possibilit� di lavoro e di una nuova vita, e come i suoi
tentativi, destinati a rinnovarsi pi� volte, si trasformino puntualmente in
altrettanti fallimenti. Anche da Firenze, come gi� da Roma, giungono a
Cesena lettere contrassegnate da uno stato d'animo di rimpianto e rasse-
gnazione; il gusto nostalgico del passato si accentua fino a giungere--e
non crediamo si tratti di posa--ad affermazioni del genere: � I giorni
che tu ora vivi non avranno tutta la loro dolcezza se non quando sien
passati e la memoria te li renda �, dove la vita reale � sacrificata di fronte
al reperto del passato, impreziosito e illanguidito dallo strumento della
memoria. Se in Proust, per citare un caso analogo, il ritorno al passato
avviene sempre in relazione ad un'esigenza vitale del narratore di risco-
prire se stesso e gli altri alla luce di quello che � stato, e di riaffermare
la grandezza e insieme la mostruosit� della lotta dell'essere col tempo,
nel Serra--al contrario--c'� un che di snervante ed abbandonato, la
rassegnazione di chi si sente soffocare da un destino pi� forte, e non
prova nemmeno a resistergli. Lontano da casa, dalle abitudini e dai soliti
meccanismi di vita, egli vede cascare via via quelle speranze che si � co-
struito, e la salvezza � pur sempre una sola: Cesena, la sua casa, le sue
� dilettazioni fantastiche �, la sua Romagna. Giacch� l'ambiente chiuso
e pettegolo della provincia e l'iperprotezione della famiglia, bench� costi-
tuiscano a volte per Renato un peso intollerabile, gli consentono--d'al-
tronde--una tranquillit� maggiore, rigenerano in lui l'amore per i suoi
libri e per le sue carte. Di fronte al tempo che scorre monotono--e il
problema diventa impiegarlo! --l'attenzione del Serra � quasi automa-
ticamente costretta a ripiegarsi sul libro, non solo con una lettura pas-
siva, ma con una serie di domande, interrogativi a cui c'� un solo modo
di dare risposta: prendere la penna e affrontare il libro, con la tentazione
continua di far entrare tutto se stesso, i propri sentimenti, la vista della
natura che sta attorno, nella misura in cui un'affettivit� ancora adole-
scenziale ha bisogno di effondersi. N�, d'altra parte, pu� arrivare al Serra
I'equilibrio agognato, finch� non gli giunger� l'amore di una donna: per
cui, anche nel 1908, le confidenze epistolari riportano il segno di questa
sofferenza:

... la mia disgrazia fisica e l'impossibilit� dell'amore, che sono fissi solo
per me e ai quali devo ordinare la mi~ vita. Quando si sente che una cosa
� certa e fatale, come la vicenda dei giorni e delle stagiorLi, ci si fanno i conti
come con una delle condizioni naturali del viver nostro: non duole pi�.

Sembra di intuire che il Serra si dibatta in un circolo chiuso, non vo-


lendo uscire da un certo determinismo (si veda la lettera all'Ambrosini
del 9 ottobre 1908), o addirittura arrivando ad una sorta di sdoppia-
mento della personalit�: � Gente come noi vive la vita due volte: come
vita e come esperienza spirituale, come materia d'osservazione ~>. Tut-
tavia � importante osservare come egli non si lasci assorbire completa-
mente da questa problematica emotiva, non dimentichi la sua letteratura,
e come anzi il 1908 segni l'inizio del processo di maturit� del critico. In
questo stesso anno, infatti, gli viene offerta la possibilit� di pubblicare
sulla � Romagna � una serie di medaglioni di conterranei, ed egli accetta
l'invito: nel giro di due anni, usciranno Beltramelli, Pascoli, Panzini e
Ferrari. In parte lavori d'occasione, come egli stesso ebbe a definirli: ma,
alla genesi di essi, troviamo motivi pi� profondi: I'amore per la terra
natia, da un lato, e dall'altro il desiderio di rendersi conto (to realize--
per usare un'espressione del Serra stesso) di alcuni scrittori che egli sente
pi� vicini a s�.

Se il saggio importante e pi� noto � quello sul Pascoli, dove l'autore


giunge ai suoi � modi critici~> pi� caratteristici, il primo in ordine di
tempo, punto di transizione fra il Kipling e il Pascoli, � il Beltramelli.

Mentre nel Kipling l'amore eccessivo del critico per il suo scrittore, il
fascino che egli subisce, pone l'opera del narratore inglese sotto una pro-
spettiva falsa, e di riflesso demoralizza il Serra circa le proprie possibi-
lit� di far della critica, di fronte al Beltramelli egli riacquista fiducia sulle
28 proprie capacit�, conscio di poter risolvere l'impressione che la lettura dei
libri del suo conterraneo gli ha lasciato. Non esiste pi�, come nel Kipling,
un contrasto fra opera e autore; ora il critico bada solo all'opera, che gli
sta dinanzi con molti difetti e alcuni pregi, e appunta la sua attenzione
sulle manchevolezze del linguaggio. Bisogna ricordare che l'educazione
umanistica del Serra gli aveva lasciato l'odio per la parola generica e l'im-
propriet� del linguaggio e la sua sensibilit� lo portava a cogliere la mi-
nima stonatura nel periodare di uno scrittore. Ora, se nello studio sul
Kipling il Serra, mediocre conoscitore dell'inglese, non aveva potuto fare
osservazioni particolareggiate sul linguaggio, da questo momento, non solo
nel Beltramelli, ma anche in tutti i saggi che verranno, una parte non
trascurabile sar� dedicata al problema espressivo e alle risoluzioni che ne
danno i singoli artisti.

Ma nel Beltramelli compare, inoltre, un procedimento nuovo, di cui


il Serra si varr� anche in seguito, quando si trover� di fronte a scrittori
di cui deve dare un giudizio negativo: l'attenuazione. Se il Beltramelli,
infatti, � trascurato e impreciso nell'uso del linguaggio, tuttavia, secondo
il critico, la sua ispirazione � pura e la sua retorica � ingenua: � La poesia
si sente nelle sue pagine come un dio che � fuggito; ma l'aura del suo
passaggio ancora non � venuta meno. Si fermer� qualche volta? ~>. Nel
recupero sul piano affettivo di ci� che la ragione rifiuta, e nel lasciare
aperto il discorso al futuro, si ritrova quel Serra di Clli abbiamo gi� par-
lato per il quale giudicare � autocondannarsi. Eppure, neanche molto im-
plicito e con tutte le debite attenuazioni, il giudizio di valore prende a
determinarsi nel saggio sul Beltramelli, quasi a mostrare il lento pro-
gresso del critico verso la maturit� e il superamento dell'insicurezza, con-
fermato da un'impronta di netta omogeneit� che caratterizza tutto il sag-
gio. In esso, infatti, le citazioni non sembrano inserite un poco a casac-
cio, come nel Kipling, ma hanno una loro funzione dimostrativa intrin-
seca.

A tutto questo, si aggiunga il fatto che il Serra, nel 1908, amplia di


molto i suoi interessi culturali, entrando in contatto con gli uomini delia
� Voce �.
La compa.rsa della rivista fiorentina � La Voce �, diretta da Giu-
seppe Prezzolini, � di poco anteriore alla pubblicazione dei primi studi
� romagnoli ~> del Serra. Ad essa collabor� attivamente Luigi Ambrosini
e lo stesso Serra vi pubblic� alcuni studi, se pur con scarsa convinzione
sulle possibilit� di un intimo accordo con i �Vociani �.

Il risveglio intellettuale, che il Croce aveva propugnato sin dal


primo numero della � Critica �, ponendo fede in un maggiore e rinno-
vato impegno della nuova generazione, si era, almeno in parte, attuato:
nuovi fermenti e idee si diffondevano nell'ambiente letterario italiano, e la
creazione di alcune riviste, quali .il � Marzocco ~, il � Leonardo � ed
� Hermes ~>, particolarmente impegnate, rompeva la crosta di provincia-
lismo sotto la quale aveva ristagnato la cultura non accademica italiana
sino alla fine dell'800. Punto comune delle riviste che abbiamo menzio-
nato era una reazione pi� o meno consistente al positivismo, che si arti-
colava in diverse (e non sempre valide) direzioni; certamente meno co-
struttiva e pi� incontrollata di quella effettuata dalla � Critica �, sulla
quale il Croce si dichiarava � convinto fautore di quellG che si chiama
metodo storico o metodo filologico ~>, ponendo nello stesso tempo in ri-
lievo la necessit� di integrarlo e di superarlo mediante un risveglio dello
spirito filosofico.

Dannunzianesimo, intuizionismo, irrazionalismo: altrettante etichette


sotto le quali potremmo catalogare questa o quella fra le riviste pi� so-
pra nominate; ma in ogni caso sarebbero definizioni generiche e schema-
tiche, tanto � difficile riconoscere il nucleo e la portata delle influenze che
si ripercossero sui giovani scrittori dei primi anni del Novecento. Un
idealismo sui generis pervadeva le nuove generazioni; e quello che nei
migliori era positiva assimilazione degli enunciati pi� validi del Croce,
diveniva negli altri vuota ripetizione di formule adatte a tutti gli scopi,
prontuari utili per catalogare, definire e soprattutto respingere le idee al-
trui senza dare una giustificazione.

Come nel programma del � Leonardo ~>, cos~ anche in quello della
30 prima � Voce � il pensiero viene anteposto all'arte. Lo sforzo costante
del Prezzolini mira all'inserimento degli uomini di cultura nella vita
civile italiana, proponendosi, per un verso, una � protesta e critica delle
deviazioni, delle meschinerie, delle vilt� che guastano molti ingegni dietro
le false immagini del guadagno e del lusso, della mondanit� e dell'egoi-
smo, della notoriet� e dello strombettamento �, per l'altro una trattazione
di � tutte le questioni pratiche che hanno riflessi nel mondo intellettuale
e religioso �, e una reazione � alla retorica degli italiani obbligandoli a
veder da vicino la loro realt� sociale �. Ma la seriet� delle intenzioni
spesso non corrisponde alla bont� dei risultati. Va anche detto che il Prez-
zolini, il quale si proclama idealista convinto, ha l'abitudine di ripor-
tare frasi o idee del Croce senza mostrare una vera adesione personale,
quasi voglia dar per scontato che l'Italia tutta si sia convertita al verbo
crociano.

Inoltre l'indirizzo tutt'altro che unitario della � Voce �-porta ad ine-


vitabili scompensi. i~ difficile individuare, in seno ad essa, dei filoni
fondamentali, bisogna esemplificare caso per caso: I'idealismo del Prezzolini,
l'egoismo estetizzante di Giovanni Papini, il moralismo di Giovanni Boine,
ecc. La posizione dello stesso Prezzolini, come direttore della � Voce �, �
precaria: nel 1912 egli � costretto a cedere la sua carica al Papini, il quale
rivaluter� sulle pagine della rivista il valore della poesia nella vita di ogni
giorno. In seguito il Prezzolini torner� a dirigere la � Voce �, ma, alla fine
del 1914, la lascer� definitivamente nelle mani del De Robertis.

Nell'ambito della critica letteraria vociana, l'atteggiamento pi� decisa-


mente anticrociano � quello del Boine. Con i suoi discorsi tortuosi e spesso
involuti, egli attacca l'estetica crociana a nome di un'estetica contenutistica,
i cui fondamenti destano parecchie perplessit�. L'inquietudine del Boine,
pur diversa da quella del Serra, � propria di un'epoca che vede la progres-
siva rapida trasformazione delle sue strutture economiche e sociali, e crede
di dover trovare il modo di affrontare l'opera d'arte sotto una prospettiva
adeguata ai nuovi tempi. Per questo il Boine, ad ovviare a quel senso di
insufficienza che egli avverte di fronte alla valutazione estetica dell'opera
d'arte, introduce la categoria della grandezza, in contrapposizione a quella
della bellezza, senza accorgersi di limitare, in questo modo, la poesia e di
falsare le prospettive del giudizio. Tuttavia, nelle sue affermazioni polemi-
che, troviamo lo spunto per riconoscere che vi fu effettivamente un travi-
samento della dottrina crociana da parte di molti.discepoli, quelli su cui
il Boine appunta il suo sarcasmo. Furono essi, e non certo il Croce, a con-
durre l'Est�tica a � sfaccendate esteticherie � (Boine) e ad un � ricettario
di norme �.

Le incertezze ideologiche dei � Vociani � i loro contrasti, la precariet�


del loro impegno non sfuggono al Serra il quale, se per molti lati si sente
alieno dalla mentalit� del Croce, non consente neppure alle � fronde � della
rivista del Prezzolini. Consapevole della sua condizione di � lettore di pro-
vincia �, un poco in disparte dalle contese artistiche, politiche e morali,
egli si reputa diverso e, in fondo, superiore ad essi. Lo irrita la provviso-
riet� degli enunciati vociani, lo infastidisce il subito entusiasmo per alcune
idee o alcune posizioni, dietro al quale, nella schiera meno preparata degli
scrittori della � Voce �, non � difhcile intravedere la pronta disponibilit�
per un mutamento radicale di parte. Dalla frequentazione e dallo studio
amoroso dei suoi classici, ha appreso una misura, una finezza intellettuale
che mancano ai � Vociani �. Se egli pare riconoscere i non pochi meriti
del � Leonardo �, tenuto conto che la sua fondazione risale al 1902, quando
era indispensabile una certa temerariet�, uno spirito da innovatori e il
coraggio di esporre di fronte a tutti le proprie opinioni, si mostra molto
pi� severo, sin dal 1909, con la � Voce �:

Certe fronde non s'ha diritto di farle che una volta sol~, e prima dei ven-
t'anni: e anche allora solo a patto di non essere molto bene educati. Ma quando
nel '902 s'� fatto il � Leonardo �, nel ~909 bisogna avere trionfato o essersi
accasati borghesemente. Non s'ha pi� diritto di fare la � Voce �, senza confes-
sare fallimento. Quando la boh�me diventa posa � odiosissima: e fa scordare
ogni merito d'ingegno, di cultura, ogn,i buona o passabile qualit�.

Sono parole molto dure, forse anche troppo, ma il fastidio del Serra

32 (aristocratico della cultura, che per molti aspetti ci ricorda il Montaigne


il quale, non a caso, era un altro dei suoi autori) � esasperato dalle pose
eccessive dei giovani � Vociani �; dal loro desiderio di mettersi in mo3tr~
a tutti i costi. Se poi il Serra � un aristocratico della cultura, questo non
esclude che egli sia capace di inserirsi nella vita attiva del suo ternpo. La
sua collaborazione, pi� o meno velata, sul � Cittadino � di Cesena. testi-
monia il suo senso di responsabilit� nei confronti della vita sociale. .~llo
stesso modo si pu� interpretare anche il suo apporto alla � Romagna �:
non un'evasione, ma piuttosto una limitazione dei propri compiti, e un
tenersi al margine di quello che veniva chiamato � il mondo della cultura
nazionale �, con una sorta di diffidenza non so~o sulle proprie possibilit�
ma anche su quelle di tutti gli altri, dell'uomo in generale. E questo il re-
taggio che viene al Serra dagli studi sul positivismo e dalla constatazione
della crisi di una concezione materialistica della vita (recuperando i mo-
menti pi� lucidamente scettici di un Taine o di un Renan): appunto per
questo egli si sente vicino al Pascoli, al Tolstoj, a quelli, cio�, che hanno
penetrato le origini di questa crisi, e ne sono, nello stesso tempo, I'em-
blema pi� evidente.

Ritornando alla � Voce �, I'unica persona che sembra godere di una


certa stima da parte del Serra � il Prezzolini, genericamente idealista; nei
confronti degli altri, I'atteggiamento rimarr� di aperta critica. E sin troppo
insistente in lui il continuo ribadire la distanza che lo divide dai � Vociani �
(si leggano le lettere del 31 maggio 1910, 16 giugno 1911, 2 agosto 1911,
16 settembre 1911). Ma le parole definitive sono quelle di una lettera al-
I'Ambrosini dell'11 ottobre 1911. Ci� che il Serra non ha il coraggio di
dire apertamente al Prezzolini, viene rivelato all'amico con una confessione
improvvisa:

Essi scrivono di politica e di economia con fervore e con astio, col desi-
derio di correggere di rifare di mescolarsi alla pratica e pur con la boria di
chi alla pratica � superiore; e allora, con tali pretese, questa gente che non
dispone n� di un voto n� di un uomo n� di un soldo, fa ridere insieme e fa
rabbia. Essi non sanno essere n� contemplativi n� attivi; e fanno poi i mo-

ralistn
L'atteggiamento ambiguo degli uomini della � Voce � crea una frat-
tura irreparabile fra loro e il Serra, il quale si auspicher� la creazione di
una � Voce � nuova, superiore per intelligenza, e creder� realizzato, almeno
in parte, il suo desiderio, col passaggio della direzione a Giuseppe De Ro
bertis, sul finire del 1914.

L'� interesse disinteressato � che il Serra, valendosi della sua abituale for-
ma di autodifesa, sostiene di provare nei confronti della letteratura in una
lettera all'Ambrosini del 17 febbraio 1909, lo porter� ad affrontare, nello
stesso periodo, il � problema � Pascoli. Non un � problema tecnico, sciolto
per mia soddisfazione e buttato gi�, alla meglio �, come scrive il critico
stesso, sempre all'Ambrosini, ma l'accostarsi ad un autore a cui si sente
affine, e che gli consente di trasferire in lui la sua problematica personale.
L'antiletterariet� del Pascoli, infatti, il suo continuo rivolgersi alle cose
svuotandole, o per lo meno illudendosi di svuotarle di ogni modalit� o
singolarizzazione letteraria (giungendo, cio�, a quello che Barthes chiame-
rebbe il � grado zero della scrittura �) coincide con un'identica aspirazione
del Serra. Il che, in realt�, si verifica in chi attribuisce alla letteratura,
nonch� negarla, un'importanza eccessiva, e ne sconta una continua ingerenza
nel mondo del reale, fino a sentirsi ingarbugliato nella confusione dei due
piani, tanto da voler poi, a tutti i costi, distaccare l'uno dall'altro, piano
(o livello) del reale, del � vissuto �, e piano del fantastico, della � finzione �,
divaricandone i confini, quasi che entrambi non facessero parte di un con-
tinuum, di un'unica dimensione che � poi quella pulsante e inarrestabile
del nostro � io �. In tal maniera la cosa in s� viene obiettivata al massimo
grado, posta come entit� completamente autonoma (la posizione contraria,
insomma, rispetto a quella proustiana), non necessariamente connessa ad
un processo conoscitivo. Letteratura e natura dunque sembrano situarsi ai
34 poli opposti di un sistema che verrebbe ad avere nel suo centro quella
specie di punto di domanda che per il Serra � l'� io ~, se poi nell'attua-
zione pratica della vita, attraverso un procedimento di contraddizione in-
terna, non venissero a legarsi in maniera tutt'altro che precaria, giacch� allo
scrittore la percezione della realt� tende ad arrivare sclo attraverso la me-
diazione, il filtro del modello letterario.

Ma il gioco di perplessit� nel Serra, la girandola delle sue incertezze


� destinata a reiterarsi a lungo. Cos� gli sembra che il Pascoli non ci abbia
dato versi, ma cose. Di versi, non ce ne resta in mente che uno, � Roma-
gna solatia, dolce paese �. Che poi questo modo di vedere tipicamente ser-
riano, il suo accostarsi alla poesia con apparente sprezzo per qualsiasi mo-
venza da letterato o da ideologo, nella ricerca complessa di una istintualit�
che--ahim�--gli era negata per sempre (si legga la lettera del 9 giugno
1915), trovi i suoi limiti e aporie a livello di coscienza, possiamo ben ve-
derlo dall'introduzione frequentissima--gi� notata nel Kipling--della
figura del � grammatico �, in apparenza presentato sotto le vesti del guasta-
feste e dcl pedante, ma in sostanza alter ego dell'individualit� serriana, giu-
dice non-istintivo di valori e di movenze letterarie e stilistiche negli scrittori
a cui il nostro si deve avvicinare. Solo cos� si spiega l'ondeggiare del saggio
sul Pascoli, il suo apparente procedere per contrasti, antitesi; il suo finire
con brusche risoluzioni--l� dove l'antiletterariet� ha la meglio su tutto
il resto--, e col ricorso al � ritratto � dell'autore. Non � casuale, poi, che
negli ultimi anni della vita del critico si accentui il suo interesse per il
� dramma morale � dello scrittore, per la spiritualit�, (� l'uomo mi interes-
sa pi� della pagina �) se egli sente che l'uomo, la figura dello scrittore
quale si riflette attraverso il gioco di specchi delle pagine, non � necessa-
riamente legata a quel concetto che egli si � fatto della letteratura--altrice
di vita e svuotante nello stesso tempo, unica realt� valida e finzione totale
--che tanto lo problematizza.

Indicativo �, sotto questo riguardo, ancora il saggio sul Pascoli: il


senso della vita, che per il Pascoli e il Serra � poi un non-senso, poich�
la proposizione ultima a cui si pu� giungere � che l'uomo � nudo e solo
sulla terra, si realizza soltanto attraverso lo strumento della letteratura.
� Anche qui--dice il Serra stesso nel corso del saggio--come sempre,
la poesia non si pu� separare dalla vita �.

E chiara, d'altra parte, nei due artisti la tendenza a fare della lettera-
tura, o comunque dell'uso cosciente e letterario dello strumento linguistico,
una forma personale di � realizzazione �, di completa;nento e traduzione
sensibile del proprio � io �, funzione compensatrice nell'estrema povert�
di quella, che, comunemente, si chiama vita reale, pratica. Ma nel Serra,
lasciando da parte il Pascoli, � anche imperiosa l'esigenza di una maggior
ricchezza di vita fra gli uomini, vita associata, di soddisfazioni concrete e
tangibili--pensiamo al suo eterno problema, l'amore, e il timore di non
piacere all'altro sesso. Nel contrasto fra letteratura e vita, tuttavia, � troppo
naturale per il Serra, anche qui, l'oscillare fra posizioni di antitesi; e se
la vita a volte pare respingerlo, � sempre disponibile la consolazione del
sogno, della fantasticheria, e di quel primo momento dell'accostamento
all'opera letteraria che � l'atteggiamento del lettore, pronto a rifugiarsi nel
mondo fantastico dei suoi eroi. E se questo mondo viene spesso vissuto
dal Serra come il porto di ogni quiete, il � castello di Axel � dove si fugge
da ogni travaglio, � chiaro che l'attivit� riflessa della critica dovr� essere
intesa come il bisturi tagliente del chirurgo che incide e svuota. La critica
� analisi, ragione; appare in contrasto con l'affettivit�, il sentimento, in-
somma, con tutto ci� che � vita sensibile. Si pu� capire, allora, come nel
Serra coesistano quasi due tipi di critica, l'una, la meno felice, quale tro-
viamo nel Ringraziamento per una` ballata di Paul Fort, o in certi spunti
del Giovanni Pascoli, l'altra quale ad esempio nel volumetto delle Lettere.
La prima fatta di impressioni, di un riecheggiare le sensazioni provate alla
prima lettura, nel rivivere il momento della fantasia sopra il testo. Del te-
sto essa conserva l'alone di poeticit�, esasperando la carica emotiva, la sug-
gestione e i richiami evocativi; donde l'uso costante di metafore, simili-
tudini, associazioni di idee e analogie, quasi un'intrusione della storia perso-
nale del Serra nel mondo del poeta: � Nel quale a volte mi pare che ci
si possa tuffare come a rinfrescare le guance scottanti nel fascio dell'erba
36 allora falciata �. Nell'ambito di questo tipo di critica, lo sforzo del Serra si
regge su un recupero continuo di una serie di lampi e frammenti, che sono
penetrati nella sua dimensione profonda. Ma, accanto, I'altra critica, quella
dove la ragione, il gusto, il buon senso trionfano; dove il Serra--in un
primo tempo sentendosi colpevole, poi liberandosi in parte anche da questa
reazione--afferma la propria persona e le proprie idee, distingue il bello
dal brutto.

Nel Pascoli, inoltre, si assiste a un trapasso dal concetto di � forma �


carducciana, quale avevamo visto nelle lettere del 1906, a quello di � for-
ma � pascoliana, qualcosa di interiore che risponda, cio�, non a moduli
prefabbricati, preordinati--e per ci� stesso avulsi da una realt� dinamica
vitale--ma ad una situazione emotiva interna che necessita di una scan-
sione particolare, dove la ritmazione coincide con le vibrazioni dello spirito
del poeta, a volte scoordinate, ma sempre autentiche (� son versi senza
forma [...] in quella mancanza di forma � la loro propria forma �). ~ que-
sto il livello esistenziale del Pascoli e del Serra, dove--ci pare--non
c'� posto per un'arte intesa come totalit�, come universale, ma piuttosto il
tutto si frantuma in una serie di esperienze particolari. D'altronde, il livello
di lettura esistenziale � ben lungi dal soddisfare la coscienza del Serra, nel
quale il recupero della totalit� avverr� negli scritti critici degli anni suc-
cessivi. Che poi il Pascoli fosse particolarmente indicato per mettere a di-
sagio la critica del primo Novecento, lo vediamo anche all'apertura dello
studio crociano, apparso nel 1906: � Leggo alcune delle pi� celebrate poe-
sie di Giovanni Pascoli, e ne provo una strana impressione. Mi piacciono?
Mi spiacciono? S�, no: non so �, la cui titubanza � in parte ricalcata nell'ini-
zio del Serra, dove comunque � significativo il trapasso dall'opera all'uomo:

Se ci chiedessero, chi � costui? Ognuno di noi pensa che non sarebbe


troppo imbarazzato a rispondere. [ . . . ] Ma se chi ci aveva domandato, dopo
tante nostre parole e notizie, ancora non fosse contento e volesse una risposta
netta, di quelle che definiscono un uomo e fermano una volta per tutte il suo
profilo, il carattere, la famiglia di spiriti a cui appartiene, allora io credo che
pochi saprebbero rispondere in modo da soddisfare se stessi e chi li sta a
sentire.
La situazione pascoliana ripete, in un certo senso, quella del Kipling:
sono due personaggi famosi, d'attualit�; si sa tutto di loro: quale migliore
occasione per un discepolo del Sainte-Beuve? Ma i modelli antichi sono
ormai lontani, e il Serra non ha esit�zione ad abbandonare l'uomo a favore
della pagina, dell'arte. C'� in tutto il saggio--e in parte ne abbiamo gi�
accennato a proposito del concetto di forma--un parellelo implicito e
costante tra il Carducci e il Pascoli, l'uno visto come l'emblema della tra-
dizione, e l'altro, il rappresentante della deviazione da essa. Ecco che il
critico, allora, oscilla fra i due senza sapere distinguere vedendo tutto nel
Pascoli alla luce della rottura di questa tradizione. Neila misura, per�, in
cui la tradizione per il Serra costituisce un'elemento di forza e protezione,
un andare sul sicuro, I'allontanarsi da essa porta da un lato il fascino del
nuovo con s� (tale il verso pascoliano nel suo singolare aspetto), dall'altro
il panico di chi si trova di fronte al vuoto: � ... in codeste bizzarrie ci si
rappresenta l'ultima prova della virt� espressiva del poeta, in quel punto
in cui egli ha insistito tanto che la forma tra le mani gli � scoppiata �.
E tutto il saggio procede in tal guisa, fra simpatie e riserve, ~ttraverso
sondaggi successivi sul linguaggio o, al contrario, metafore ed analogie
Il procedimento tipicamente dinamico, quello di � aggredire � lo scrittore,
quale avevamo gi� osservato nel Kipling, con un intrecciarsi fittissimo di
domande e risposte e un ritornare sul gi� detto per approfondire e perfe-
zionare, deve necessariamente trovare dei momenti di pausa, ad attenuare
l'inquietudine e quel senso di spossatezza che si genera nell'animo del cri-
tico. Sotto questo aspetto si spiega qui--e anche negli altri scritti del
Serra--I'apertura improvvisa al paesaggio, alla natura, in questo caso
alla contemplazione della Romagna. Quando il critico, infatti, giunge a ri-
conoscere l'inutilit� del suo sforzo, non gli resta allora che gettare i libri
e passare dalla finzione alla realt�, dalla letteratura alla natura, per ritor-
nare successivamente alla poesia con forze rigenerate. Quel che pi� im-
porta, � constatare come per il Serra il possesso della poesia, il � penetra-
re � in essa sia un'esigenza drammatica, e come egli si accorga che, una
38 vol~a posseduta, essa � un bene da riconquistare in un'altalena perpetua.
A questa necessit� di possedere il Serra crede ancora con tutte le forze
--diremmo, anzi, che � lo scopo primo della sua vita; possedere equivale
a realizzare. Di fatto, � molto difficile che ci� avvenga; e quando accade,
non � certo sempre per un processo di mimesi, quale attua il critico, nella
parte pi� infelice del Pascoli (si legga alle pagine 38-39, e si notino il perio-
dare rotto e gli inizi delle proposizioni: � Io ritrovo... ritrovo... ritrovo...
Ed �... �... ma... ma non �... ecco... ecco... ecco... ecco... ma). In tal modo,
la conclusione del saggio si incentra sui due poli della poesia del frammento
e della poesia della memoria, ai quali il Serra, con giudizio implicito nega-
tivo e fortemente limitativo, riconduce tutto il Pascoli. Anche questo, tut-
tavia, non basta al critico per soddisfare la sua inquietudine di fronte al
testo; ed egli deve ricorrere a'la sintesi, al ritratto finale, al momento del
l'intuizione; solo l�, al di l� di ogni dubbio o di ogni giudizio, verranno
sanate tutte le incertezze.

Nel saggio posteriore sul Pascoli, del 1912, che �, per meglio dire, una
commemorazione tenuta al Teatro Comunale di Cesena, l'atteggiamento
del critico non muta, ma � pi� insistito il raffronto tra il Carducci e il Pa-
scoli, l'uno profondamente inserito nella storia della sua generazione e
l'altro al di fuori di essa; l'uno guida spirituale e l'altro personaggio tutto
a s�. Le osservazioni sul Carducci non fanno altro che continuare, se pur
modificando lievemente, ci� che il Serra aveva gi� esposto nello scritto
Per un catalogo, del 1910. Modificando, diciamo, perch� il Carducci dello
scritto pi� tardo perde quella � pascolizzazione � che il Croce aveva rim-
proverato al lavoro serriano del 1910.

Non � incidentale il voler porre un'analogia fra il Pascoli e il Per un


catalogo, in quanto in entrambi si propone il problema delle � cose �. E se
nel Pascoli il Serra, tutto proteso a svuotare la letteratura da quella sua
caratteristica da cui, di fatto, non pu� mai prescindere, per la semplice
ragione che da essa trae vita, cio� la � letterariet� �, giunge all'esaltazione
della � cosa �, vale a dire dell'immagine staccata dal suo contesto espres-
sivo e ritmico, e obiettivata in una realt� esterna, qui, al contrario, con il
solito rovesciamento di fronte, esce in una tirata contro le cose: � Nulla
� cos� vago e goffo inconcludente retorico come le cose �, a favore della
letteratura di � frasi e di motti �. ~ come un ritornare dal Pasco]i al Car-
ducci, al mito del vecchio maestro per la forma, e a tutta una tradizione
letteraria italiana che risale a secoli addietro. La bellezza, che per il Serra
costituisce il nodo fondamentale dell'opera d'arte, non � rintracciabile nel-
I'immagine, ma di fatto nella realt� della scrittura. E questo asserto � pi�
importante di quanto non sembri, non solo perch� anticipa con chiarezza
posizioni formalistiche ancora da venire (V. Chklovski scriver� O teorii
prozy [La teoria della prosa] con il suo capitolo fondamentale, L'arte come
procedimento, solo nel 1917), ma perch� mostra come nel Serra, tutto pro-
teso verso la lettura e l'esperimento critico sui testi, esista anche una me-
ditazione teorica che egli, peraltro, si cura raramente di riportare a galla.
Allo stesso modo, nelle pagine su Gabriele D'Annunzio e due giornalisti
(1910), quasi di passata il Serra sostiene che l'opera d'arte � � un insierne
di pagine e di parole che valgono [...] solo per la gioia o per il tedio che
posson creare nell'animo di un lettore disinteressato �, in concomitanza con
le affermazioni crociane, circa il carattere alogico e astorico del fatto este-
tico, contenute nell'Estetica del 1902. Davanti all'opera d'arte, il Serra
vede--quale compito del critico--il dovere di � prendere versi e parole
e sillabe; gli elementi schietti della poesia, e che di essi mi sia data ragione,
nel loro accento proprio e nell'animo onde son mossi. Voglio sentire la
bellezza fin dove risuona pura e dove aduggiata si perde �.

Tutto ci�, naturalmente, implica il rifiuto categorico di un'estetica


contenutistica quale quella propugnata dal Boine, o anche il ricorso a for-
mule generiche nella trattazione dell'opera d'arte--come ad esempio fa
il Borgese per il D'Annunzio--e l'attenzione al testo nella sua concre-
tezza. Riaffiora dunque, negli scritti serriani, la portata del magistero car-
ducciano e acriano; ma il Per un catalogo porta nella sua problematica
la coscienza del configurarsi di un nuovo rapporto, quello col Croce. Ri-
spetto al Carducci, tuttavia, I'incontro col Croce � quello fra due intelli-
genze, senza alcuna possibilit� di apertura a livello emotivo--o almeno,
40 il Serra vive cos� questa esperienza--sui reciproci secreta. Non � trascu-
rabile, per certo, il fatto che egli accenni di sfuggita: � forse sentivo un
poco di freddo �. Abbiamo gi� parlato della diversit� insanabile dei due
temperamenti; per questo, nella scelta del vero maestro, sono le esigenze
emotive, che provengono dal profondo, ad imporsi al Serra, e tra i due
sar� il Carducci il designato. Pur con tut~i i suoi limiti, il Carducci, infatti,
in qualit� di padre e modello, � uomo della mia razza e della mia reli-
gione, il testimonio ed il compagno, col quale mi sar� dolce vivere e mo-
rire ~> si impone sul Croce; il sentimento trionfa sulla ragione. Non certo
libeta e pura e chiara come il Serra vorrebbe � dunque la scelta che egli
attua a favore del Carducci; per lui il maestro � quasi depositario di un
segreto immenso ( come la madre del bambino-Edipo � vista come on-
nipotente e ricettacolo di tutti i misteri dell'universo), quello della
poesia. Quanto poi per il Serra tornare al Carducci significhi rivolgersi
verso il passato, verso un mondo dove gli sembra trionfino le idee di
bont� e di bellezza, insomma, una specie di et� dell'oro, � faciie intuirsi,
se pensiamo che il Serra vive il futuro e l'impegno nel mondo come qual-
cosa di inevitabile ma traumatico, per cui � pi� dolce e confortevole il
volgersi, di tanto in tanto, a contemplare le ombre di un mondo ormai
morto; morto, purtroppo, per sempre.

Nelle pagine di Per un catalogo, oltre a quanto abbiamo detto, c'� da


fare attenzione anche a un altro motivo, quello dell'� esame di coscienza �
che incombe ad un'intera generazione, che ritorner� pi� volte nell'ultimo
Serra, specie quello delle lettere. ~ curioso come il problema, che presup-
pone la cognizione di una continuit� storica, che leghi fra loro le diverse
epoche, venga a porsi proprio al Serra, che la fiducia in questa continuit�
non possiede davvero (si legga La partenza di soldati per la Libia oppure
Fra' Michelino). Ma qui tale esigenza si determina con una forza insolita,
e non vale a raffreddarla la proposizione antitetica: � Ma le generazioni
dove sono? Neanche una rondine intorno. Ci sono io solo e tranquillo �.
Il termine � esame di coscienza �, punto di convergenza di tutta una serie
di di~icolt� concernenti la vita e la letteratura, per cui il Serra � continua-
mente portato a ritornare su se stesso e sulle azioni compiute con un'ana-
lisi tormentata e autotormentante, ricompare spesso nei saggi e nell'episto-
lario, anche se talora lo troviamo adombrato da circonlocuzioni, quasi ad
emblema di una maniera di vivere inquieta ed anche troppo tendente a
rendersi responsabile, significando, nello stesso tempo, il desiderio di chia-
rezza morale a cui egli mira. Un'inquietudine di tal fatta, del resto, � carat-
teristica, oltre che del Serra, della sua generazione tutta: all'incertezza del-
l'equilibrio politico nazionale ed internazionale, al crollo dei valori o degli
pseudo-valori dell'Ottocento, corrisponde una continuit� di fermenti spiri-
tuali, programmi di rinnovamento, di cui ci danno testimonianza le nu-
merose riviste nate col nuovo secolo, ma soprattutto un senso d'insicu-
rezza e precariet�, come se gli uomini fossero portati, chiss� dove, da un
destino che li governa e determina. In questo senso � maggiormente com-
prensibile, nell'ambito della cultura italiana, quel guardare al Croce come
all'unica personalit� capace di una saldezza morale e di una vera autono-
mia, l� dove tutti gli altri misurano la loro insicurezza nell'aderire ad una
serie di ismi, o nel capovolgere nel giro di pochi anni--salvo rari esempi
--le loro posizioni di uomini � sociali � (la guerra--sotto questo ri-
guardo--sar� un parametro inesorabile). Si spiega anche, in tal modo,
I'attrazione profonda che il Serra stesso trova--anche se essa si verifica
solo a livello di intelligenza--nei confronti del Croce, per il quale tutto
� semplice e comprensibile, e d'altro canto quella sorta di avversione che
egli, a volte, sente nei confronti del Croce stesso, quando intuisce che, ta-
lora, il rendere semplici le cose coincide con una pericolosa tendenza a
semplificare tutto alla luce della ragione e a disumanizzare la realt�. Si
spiegano allora le parole dell'Esarne di coscienza di un letterato (1915), di
insolita durezza, che mettono in evidenza quel fastidio che il Serra covava
negli strati profondi della sua persona, e che esplode solo quando sono
delle ragioni di vita a dividere i due, se � vero che il Serra � portato a get-
tarsi a capofitto nella situazione, salvo poi pentirsene e ritrarsene, e il
Croce, invece, tende in un primo tempo a misurarla e definirla, con una
42 specie di distacco che al Serra pu� sembrare lesivo della sensibilit� umana:

O volete parlar di Croce che pare impiccolito, allontanato, sequestrato in


una acredine di pedagogo fra untuoso e astioso, che si degna di consolare le
nostre angosce dall'alto della sua filosofia, sicuro che tutto alla fine � e non
pu� essere, anche in questa guerra altro che bene e vantaggio e progresso...

Ma il rapporto col Croce � particolarmente complicato: solo poche ri-


ghe dopo il Serra affermer� che, tutto sommato, � Croce � sempre Croce �,
e che le caratteristiche del suo animo sono � la seriet� e la tristezza sostan-
ziale �. C'� d'aggiungere che, nonostante tutte le riserve e i cambiamenti
d'umore e la coscienza della diversit� dei due temperamenti, la dominante
fondamentale del rapporto Serra-Croce sar� quella di una costante amici-
zia; e il Croce stesso riconoscer� sempre all'altro qualit� aitissime di finezza
e di sensibilit� e di ingegno, trovando in lui una consonanza di interessi e
di giudizio. Purtuttavia il Croce non fu mai per il Serra un capitolo della
sua storia spirituale, come lo fu il Carducci. Quest ultimo, infatti, � visto
dal discepolo come capostipite di un'et�, ma anche come un'ideale molto
amato e perduto; il che trova conferma non solo nelle pagine di Per un
catalogo o in quelle delle Lettere ma anche negli studi, che la critica del
Novecento ha ingiustamente trascurato come minori, e che invece sono
per molti versi tra i pi� significativi del Serra, il Panzini e il Ferrari, del
1910 e 1911. In essi il critico sembra rendersi conto delle incrinature che
hanno minato l'edificio carducciano, e nell'amore e nello struggimento con
cui egli ricorda un mondo passato � pure presente un senso di impotenza,
dal momento che la rievocazione attuata tende a sembrargli un reperto
archeologico pi� che una materia ancora pulsante e viva.

Il Panzini e il Ferrari appartengono entrambi alla famiglia carducciana


a cui il Serra si sente profondamente legato; in pi� in essi si intravedono
quelle debolezze che nel maestro erano nascoste da una personalit� appa-
rentemente salda e forte; cos� al critico pare indispensabile studiarli sotto
una duplice angolazione: rispetto all'opera con le qualit� e i limiti ad essa
attinenti, e rispetto al rapporto con l'eredit� (o meglio, il fardello) car-
ducciano. Il Panzini � dunque raffigurato come il tipo dello scolaro alle-
vato al culto della poesia e messo, di poi, dinanzi alla realt� prosaica della 43
vita; ci� che lo porta ad un amaro disinganno, e al contrasto fra l'umanista
e il pedagogo, fra la � nativit� e sensualit� del carattere � con � la servit�
quotidiana �, fra il poeta e la vita. Come poi fosse difficile nel Serra stesso
unire poesia e vita, abbiamo gi� visto; e tale caratteristica si ritrova pi�
o meno identica in tutte le figure della scuola carducciana, Panzini com-
preso.

Ma il saggio sul Panzini offre una molteplicita di valori; non solo l'in-
dagine nel mondo morale dello scrittore, ma anche la preoccupazione da
parte del critico di variare e approfondire la sua ricerca; ce ne accorgiamo
appieno se torniamo con la mente al procedere a saltelloni del saggio sul
Pascoli: l� un inizio pi� brusco e un accostamento immediato all'opera;
qui un andare pi� pacato. Il cesenate parte dall'uomo e dal suo carattere
e dal suo ideale di vita; sviluppa poi minuziosamente le sue osservazioni,
circoscrivendo i termini dell'eredit� carducciana e mostrando come il Pan-
zini fosse invischiato nelle pastoie del positivismo, e come la soluzione
estrema, quella che egli scelse, fosse di accettare con rassegnazione i propri
tormenti, e anzi trarre da essi un motivo di poesia.

Per molti versi, quello che il Serra attribuisce al Panzini potrebbe ri-
ferirlo a se stesso; in particolar modo i dubbi attorno al valore della cul-
tura, e � tutta la piet� e la noia e il desiderio vano di giovinezza �. In fondo,
sono tratti salienti di tutta la generazione letteraria degli allievi del Car-
ducci, quella che visse nell'ultimo decennio dell'Ottocento e nell'� et�
dell'oro )> di Giovanni Giolitti: dal Carducci, uomo adeguatamente inse-
rito nella societ� del suo tempo, si passa ai suoi discepoli, i quali vivono
e insieme si vedono vivere, e il cui credo � quello di un amaro scetticismo,
neppur esso conquista sicura ma, come nel caso del Serra, vaga condizione
aristocratica dello spirito. Che poi l'ironia del Panzini fosse spesso goffa-
mente voluta, e non riuscisse sempre a nascondere la realt� delle cose, la
vita che appare � come piccolo gioco di ombre nere sulla scenario vano �,
il Serra anche questo ben comprende, tanto pi� che si tratta di un pro-
blema comune a entrambi gli scrittori, e che riflette un'identica visione
44 sconsolata del mondo.

A questo punto, con una mossa retorica che gli � tipica, il critico si
chiede se valga la pena perder tempo a � giustificare codesta poesia �: una
domanda che abbiamo incontrato ormai pi� e pi� volte nelle sue pagine,
e che rispecchia il conflitto fra razionale e irrazionale nel suo animo.
E come al solito, prima di dare dei giudizi, si diffonde in citazioni, non
riuscendo peraltro ad inserirle--altra tipica difficolt� del Serra--in un
discorso critico compiuto. Proprio l'opposto del Croce, per il quale la
citazione viene ad assumere una funzione dimostrativa nell'economia del
testo. In realt�, la difficolt� di valersi della citazione non come pura esem-
plificazione, ma come strumento di convalida dell'indagine teorica, si com-
plica nel Serra tutte le volte che, come nel caso del Kipling e del Panzini,
egli sente l'uomo come staccato dalla pagina; e in questa bipolarit�, per-
turbata dalle rifrazioni continue di un piano nell'altro, finisce a volte col
perdersi. Eppure, diremmo che in questa tensione, nel presentare la sua
umanit� sempre viva e scoperta alla ricerca della poesia e dell'uomo, nel
tormentoso processo di affinamento dello strumento critico, che gli pare
sempre insufficiente, sta la bellezza e la ricchezza dei saggi del Serra, in
confronto alla piattezza o all'ostentata sicurezza di s� o alla vuotezza spi-
rituale della pi� parte dei critici suoi coetanei. La poesia, che � il bene
pi� vicino al Serra, e che egli perde e riconquista ogni volta, lo porta, nel
tentativo di comprcnderla e possederla, ad un impegno di tutto se stesso,
che ci fa capire come i momenti di noia o di ripulsione nei confronti dei
suoi libri non siano altro che la valenza opposta e complementare di un
unico atteggiamento di amore e d'attrazione. Quel Serra che a met� del
saggio sul Panzini sembra aver chiuso il suo discorso con una sorta di
negligente trascuratezza (� Oramai anche per assaggi saltuari e frettolosi
il Panzini l'abbiamo conosciuto. E che cosa altro mai ci eravamo proposti
di cercare, se non questa figura onesta e schietta che sorge sopra le carte
che sfogliammo non senza diletto? �) ecco vediamo riaprirlo e riimpe-
gnarsi sull'opera, dimostrando che, nonostante tutto, gli � impossibile esclu-
dere la sua attenzione ad uno dei due livelli: da un'analisi psicologica �
inevitabile il trapasso a un'indagine precisa del testo, con una cura scru-
polosa e finissima dei particolari. Ma se la figura del � grammatico � nei
saggi giovanili (si confronti il Kipling) non fa che aggiungere disordine al
disordine, peraltro affascinante, in cui il Serra, sconcertato di fronte al
problema critico, si dibatte, qui � impiegata in termini pi� precisi, quelli
di uno studio dell'educazione letteraria e della classicit� del Panzini. C'�
poi da spiegare che, convalidando quel processo di identificazione con
l'autore, sempre presente nel Serra a uno stadio pi� o meno latente, qui
egli rif�, assieme a quella del Panzini, anche la storia della sua educazione
letteraria:

Amore religioso dei classici e studio assoluto di sincerit�; questa lezione


egli, e i compagni suoi avevano appreso dal Carducci; e non gi� in frasi am-
biziose l'avevano mandata a memoria, ma se n'erano resi ragione punto per
punto nella conversazione degli scrittori e nella pratica e negli effetti dello
stile.

C'� qui da parte del Serra la rivendicazione di tutta la validit� di un


insegnamento, e contemporaneamente la condanna di una letteratura e
di una critica militante fatte di strombazzamenti e retorica, a scapito del
senso della misura, dell'eleganza del periodare che risponde ad una schiet-
tezza a cui egli raramente venne meno. Tali qualit� si ritrovano nel Pan-
zini, per cui � evidente che il giudizio del Serra sul suo conterraneo, posi-
tivo ma non entusiastico, � ulteriormente temperato dal moto di simpatia,
dall~affetto per l'uomo, che gli fa sopravvalutare nel suo scrittore l'inten-
zione poetica, limitando l'importanza di una � forma schiettamente espres-
sa di poesia �. Con questo atto di amore il critico si va avvicinando ad una
comprensione totale, (a dimostrare, se ce ne fosse bisogno, che � ben dif-
ficile capire valendosi del solo strumento lucido della ragione), e tutto ci�
� assai pi� chiaro nell'ultima parte del saggio, dove l'opera d'arte, acriana-
mente intesa come elemento dinamico, � rivissuta dinanzi ai nostri occhi
nel suo movimento, con una serie di citazioni che integrano e comprovano
il discorso critico, e collegano fra di loro quei punti stabili che il Serra ha
46 enunciato nella sua ricerca: sincerit� e umanit� del Panzini, evoluzione
della sua arte, caduta finale in una maniera non molto persuasiva. Solo cos�
il Serra, con un interminabile provare e riprovare,--il suo saggio tende
a svolgersi a spirale, piuttosto che procedere per una direzione rettili-
nea--giunge alla scoperta dell'arte panziniana, ed � allora naturale che
la definizione della sua consistenza comporti anche il riconoscimento sin-
cero di alcuni limiti e la volont� di ribadire la supremazia di una poten-
zialit� non totalmente espressa su una realizzazione non sempre coerente.
Ancora una volta, pur con tutte le sue esitazioni e resipiscenze di fronte
al testo da giudicare, il Serra ha saputo dare una soluzione ai problemi che
esso gli offriva, sanando anche il contrasto tra autore e pagina, personaggio
ed opera che tanto l'aveva travagliato. Per cui � pienamente comprensibile
una chiusa del genere, dove finalmente il critico riesce a dirimere il dissi-
dio tra affettivit� e ragione, in una maniera molto pi� convincente e meno
mistica dell'ultima pagina sul Pascoli, quella del ritratto finale:

Tutte le parti della sua vita e persona alquanto umile, della intelligenza sana
ma non altissima, della letteratura buona ma non squisita, della osservazione
e rappresentazione nitida ma non potente, della arguzia spontanea ma un poco
scarsa, ne prendono qualit�; che scorre lietamente per le pagine della sua prosa
onesta, e rende a loro aurea bont� onde sono care fra quante altre ne porti pi�
rumorose la stagione letteraria.

E questa--crediamo--� ancora oggi la migliore definizione dell'arte


panziniana.

Il Serra, poi, non viveva certo in un iperuranio, ed era meno � lettore


di provincia ~> di quanto si credesse o volesse egli far credere; lo mostrano
gli accenni puntuali agli articoli o ai saggi pi� importanti sugli autori a
lui cari. In una nota posta alla fine del Panzini, ad esempio, egli ricorda
lo scritto di Emilio Cecchi apparso sulla � Voce �; e il medaglione di Se-
verino Ferrari echeggia, non diversamente che il Pascoli, per molti versi,
lo scritto che il Croce aveva pubblicato sulla � Critica ?> nel 1906.
Dobbiamo insistere sull'attenzione del Serra per il mondo della cul-
tura che gli stava intorno, e sulla sua capacit� di riconoscere i risultati 47
critici pi� validi e di trarne profitto, o sul gusto di discuterli con estrema
finezza. Comprendiamo meglio il Severino Ferrari, proprio se teniamo pre-
sente quello del Croce, dal momento che il giovane critico inizia accet-
tando e sviluppando le osservazioni crociane sulla mania degli schemi clas-
sificatori e sull'inconsistenza di una vera e propria � scuola poetica car-
ducciana �. E anche in questo saggio, oltre che al Carducci e al Ferrari, il
Serra guarda inevitabilmente a se stesso, in modo addirittura pi� scoperto.
E probabile che ci� avvenga anche per il fatto che, negli anni 1910-13,
egli si trova ad agitare con maggiore inquietudine il problema del suo
rapporto con la tradizione e con tutto un mondo culturale, e va sciogliendo
ad una ad una le resistenze e i pregiudizi del suo animo, per ritornare ai
maestri con un amore pi� maturo e meno esclusivistico. Al di l� dell'evl-
dentissimo rapporto di affetto tra critico e autore, esiste poi, come al so-
lito, nel Serra, il Ferrari come problema letterario. � Nella sua aridit� �,
affelma il Serra, e la sua tendenza a sentire la poesia come depauperata,
se a~rontata con un moto di stretta razionalit�, riaffiora. D'altra parte,
come gi� nel Panzini, il discorso si presenta pi� facile a causa dell'esistenza
di un termine di confronto ineliminabile, il Carducci. E allora, avendo
presente la poesia carducciana, � facile per il Serra ritrovare dei limin nel
Ferrari: nell'uno, poesia vera, nell'altro un principio di poesia, una lingua
poetica incerta, un'eccessiva attenzione agli ornamenti. Ed � anche glU-
stificabile un uscita quale quella che il critico attua ad un certo punto:
� Ma la poesia dov'� Dov'� quel verso o quella parola ch'io possa ridire
per mio diletto, pura e sola, avendone piena l'anima nell'oblio di tutte
le altre cose del mondo? � se ricordiamo che l'epoca in cui una lettura po-
teva essere priva di inquietudini era tramontata da un pezzo (gi� il Samte-
Beuve se ne sentiva lontano, e la rimpiangeva) e che il Serra, per il quale
era impossibile un epicureismo estetico, data l'et� spiritualmente tormen-
tata in cui viveva, pure se ne sentiva tanto attratto.

Nel Ferrari, ancor pi� che nel Panzini, il critico arriva al nucleo poe-

tico del suo autore attraverso lo strumento della critica stilistica. La lingua
48 dell'autore, il suo stile, sono la realt� concreta, e come tali analizzabili;
ma naturalmente, coesiste e si sviluppa per proprio conto anche l'indagine
sulla figura umana dello scrittore, a riprova di una costante del tempera-
mento serriano, e a dimostrazione--se � lecito dar valore ad una afferma-
zione del genere: � La sua bont� non � schiettamente poetica; ma essa
� morale, e anche letteraria. L'affezione ch'io gli porto non resta senza
ragione �--che si fa pi� consistente l'interesse del Serra per il mondo
morale dello scrittore. Ma la � sospirata bellezza �, quella che per il Serra
� la costante della vera poesia, in Severino � solo un accenno, o forse un
riflesso proveniente da quel � sole � che per il critico � il Carducci. Ha
certo un movente ben preciso il riferimento al Carducci come al � sole �--
motivo gi� presente in Per un ca~alogo--dal momento che il rapporto
del giovane col maestro si regge appunto su ragioni di tipo vitale, al di
l� della partecipazione dell'intelligenza; e nel Severino l'ombra pi� vicina
e pi� domestica del sole carducciano � anche pi� facilmente penetrabile,
ed � acconsentito accedervi mediante l'uso degli strumenti umani. Tra
l'altro, il critico nota, concordando con il Croce, come a un certo punto
avvenga un distacco della poesia del Ferrari da quella del maestro; e che da
tale evoluzione poetica nascono alcuni risultati felici, per i quali, pi� che
al Carducci, si dovrebbe avvicinare il Ferrari al Pascoli. Il che costituisce
una novit� per gli studi critici su Severino, e d� un'ulteriore riprova delle
doti serriane.
Se il saggio sul Ferrari ci interessa particolarmente perch� il critico non
rifiuta di dare apertamente dei giudizi, di assumersi delle responsabilit�,
c'� anche un altro motivo che--ci pare--� sfuggito all'attenzione della
critica contemporanea. Nella seconda parte del saggio, infatti, troviamo
un passo nel quale il Serra, tratteggiando il carattere di Severino, sembra
pluttosto voler parlare di s�, con un processo di totale auto-identificazione,
che � ben possibile se pensiamo che, come avveniva per il Ferrari, il Serra
si sentiva in posizione subordinata e secondaria rispetto al sole carduc-
ciano e anche rispetto alla sua stesso epoca:

Si incontrano nella storia figure che sembrano vivere fra gli uomini e gli 49
avvenimenti come la chiosa sul margine del libro. Ogni et� ne possiede: figure
velate e abbozzate appena, incompiute e sorgenti in un'ombra vaga.

Se cercate di fermarne i contorni, durate fatica a trovarli. Che cosa hanno


fatto, che cosa hanno scritto, in quale opera hanno lasciato impronta pi� certa
di s�? Non si sa. Si trova il nome, pronunziato con rispetto, con simpatia, con
desiderio, da uomini che oggi noi ammiriamo per grandi; ma tutto ci� dura
solo negli epistolari, nelle opere minori, negli angoli riposti della storia let-
teraria. Sono nomi senza corpo, la loro consistenza � rada e fuggitiva, fatta
pi� che altro di desideri di parole non dette, di sforzi non compiuti, di difetti
non colmati: i vestigi si perdono nel rimpianto e nella lode, o si intravedono
appena come un riflesso negli occhi affettuosi dei circostanti.

E impossibile pensare che il Serra alluda solo a Severino; in queste


parole un poco sconsolate e patetiche, bellissima epigrafe, c'� anche il suo
autoritratto, un Serra visto par lui meme, sotto una luce particolare, quella
di un'autoanalisi impietosa dei difetti e delle possibilit� non sviluppate, per
cui, se i critici odierni amano dire che il Serra � persino pi� intelligente
della sua opera, egli non avrebbe certamente veduto in questo un mo-
tivo di lode. Non ci meravigliamo poi che anche in queste righe, dove la
tenerezza del ricordo accentua la malinconia dell'uomo, il Serra non sfug-
ga a un sottilissimo compiacimento romantico--dal quale non and� esente
nel corso intiero della sua vita--nella descrizione di una � creatura di
fuga ~> che �, ben pi� che Severino, Renato stesso.

Nel 1909 il Serra � nominato direttore della Biblioteca Malatestiana


di Cesena, e ci� gli consente di guardare al futuro con una certa tranquil-
lit�, nonostante che il vizio del gioco lo riporti di tanto in tanto, nella
disperazione e nello sconforto totale. Continuano, � vero, nelle lettere agli
amici, le scuse e le difese, ma in maniera pi� saltuaria, meno tormentata.
Il carattere dell'uomo (non si dimentichi che il Serra nel 1909 aveva

50 appena 25 anni) si va formando e consolidando; comincia a comparire--


lo abbiamo gi� notato--con frequenza il termine � esame di coscienza �.
La corrispondenza col Croce si fa pi� fitta; e il Croce stesso prender� l'abi-
tudine, per qualche estate, di passare brevi giorni di vacanza a Cesena
esclusivamente per vedere il Serra. I progetti di lavoro--attuati o no--
si moltiplicano, e la voglia di vivere diventa pi� forte, assieme a un'aper-
tura dell'anima, persa ancora nei meandri dell'egocentrismo, sul mondo e
sugli altri. La morte tragica del padre, avvenuta nel gennaio del 1911

contribuisce a consolidare il carattere del Serra, a riportarlo con maggiore


decisione nella realt�:

E poi, mi sento cos� mutato in pochi giorni: ieri mi pareva ancora d'es-
sere un fanciullo. Adesso una stagione della vita � finita, come a uno schianto
cadono le foglie e fiori, e l'albero si ritrova un altro. Questo non importa, ora.
Il lavoro assume una diversa funzione nella sua esistenza: quella di
una soddisfazione interiore, e di un bisogno � energetico � di scrivere e
di realizzarsi compiutamente nella pagina. E in questo momento che la
vita di provincia gli rivela il suo maggior valore, permettendo al letterato
di sciupare, apparentemente, il suo tempo senza essere coercito dalla fretta
di pubblicare, e di arrivare alla conclusione al momento opportuno: � Que-
sto � il pregio dei libri come si fanno appunto in provincia; quando si ha
del tempo da perdere, per fare e rifare tranquillamente, e per pensarci su �.

Se abbiamo notato un progresso nell'iter spirituale e critico del Serra,


dobbiamo tuttavia ricordare che, sotto questa rinnovata fermezza e il fer-
vore dei propositi, c'� sempre l'amara coscienza della fondamentale tri-
stezza e infelicit� dell'uomo sulla terra. Il Serra non ha un qualsiasi cre~o
che gli dia ragioni profonde di speranza e di gioia futura, se non, tutt'al
pi�, la consolazione della letteratura, la sua � religione delle lettere �. Ma
resta la convinzione della miseria del mondo. Lo vediamo soprattutto in
l;ra' Michelino (1911), una lunga prefazione al libro del Carlini sull'eretico
medievale, dove, dalle riflessioni pi� propriamente critiche, il Serra, con 51
un'apertura del discorso che gli � caratteristica, passa alla meditazione su~
destino dell'uomo. E la terra � � stanca �, il cielo � impiccolito e coperto �,
le abitazioni � macerie disperse e abbandonate dal tempo �. Anche la storia
non ha senso: tutto � sempre uguale nel mondo; non esiste un progresso
storico; per il Serra esiste solo la condizione del singolo uomo, sofferente
e solitario sulla terra; il resto � tutto fantasia: � Dove sono gli uomini
e la loro storia? Gli inverni si succedono alle estati sopra la terra che non
cambia; seicento anni fa essa era la stessa che oggi �.

Alla storia egli contrappone la � memoria �, che riporta alla coscienza


qualche frammento di quello che � stato, ma lo altera inevitabilmente, e
riesce ad avvicinarlo all'uomo solo attraverso la poetizzazione del dato
obiettivo. Soltanto cos� si spiegano le bellisime pagine della seconda parte
di Fra' Michelino, dove il Serra, tornando al ricordo delle conversazioni
con l'amico intorno al frate eretico, rivede la natura che stava a sottofondo
dei loro incontri--una presenza inquietante--e sale a ritroso nel tempo,
per ritrovare la stessa terra e la stessa natura della vita del frate, verifi-
cando l'identit� degli uomini e delle cose e delle esistenze su un mondo
in cui nulla di sostanziale cambia. Non la storia, dunque, ma la memoria
poetica ha avuto il potere, per il Serra, di fargli sentire vicino il frate, so-
pra una terra in cui il � senso di umidit� e di tristezza [...] fa desiderare
agli uomini il caldo e la compagnia �.

Allo stesso modo, nella Partenza di soldati per la Libia (1912) � riaf-
fermato il rifiuto del concetto di storia come continuit� di fatti, legati fra
loro da un rapporto di causa ed effetto: � Il fatto nuovo non � una reli-
quia, una scheggia del fatto precedente. Ognuno � uno; unus et alter �.

Di fronte alla realt� vitale, al pulsare dell'essere, all'attrazione, al-


l'amore, la storia per il Serra � muta: dell'insieme della realt� assoluta, dove
nulla si perde, solo parvenze effimere giungono all'uomo; il quale cerca
in base ad esse, di comprendere e interpretare il tutto; ma il tentativo �
fallimentare in partenza. Cos� la vista dei giovani che partono per la guerra
di Libia, i quali, secondo un'espressione divulgata, � obbediscono alla sto-
52 ria, in cui nulla si perde �, riempie di tristezza il critico, per il quale �
un assurdo il voler riportare i fatti singoli ad una interpretazione totale
di essi, quasi che � con tutti quei pezzi insieme si possa ricostruire la
realt�! �. La storia � vista come astrazione, la vita, quella dell'individuo, �
l'unica realt� esistente, e la memoria sa ben poco di quello che � pas-
sato. A questo punto, per il Serra niente ha pi� senso al di l� di quella
monade che � il proprio � io �: � Partenza. Ritorno. Da che cosa? A
che cosa? �.

Con quanta inquietudine, poi, egli avvertisse l'importanza del pro-


blema conoscitivo e di quello etico, possiamo coglierlo dalle pagine su
Emanuele Kant (1912-14), che egli aveva preparato a prefazione di una
raccolta di scritti kantiani, di cui avrebbe dovuto essere il curatore as-
sieme al Carlini. Nonostante l'incompiutezza dello svolgimento, troviamo
affermazioni che ci danno modo di approfondire ulteriormente la nostra
conoscenza della problematica serriana, o di convalidare alcune convin-
zioni che ci eravamo fatti da quanto avevamo tratto studiando il proce-
dimento dei suoi saggi critici.

Il bisogno degli uomini di riflettere sulle proprie azioni e di trovarne


una ragione, che il Serra individua come costante universale, in lui di-
viene motivo dominante, quando sente le sue certezze come provvisorie,
e si accorge che dentro di s� ragione e istinto, ragione ed emotivit�, lun-
gi dall'acchetarsi in un'unica componente, tendono a scindersi e a tirarlo
su due strade opposte.

In un certo senso tutta la vita � azione, � un seguito, una corrente di


azioni, che si intrecciano si incalzano sorgono l'una dall'altra quasi per forza
spontanea e sempre urgente. Ogni azione risponde a un bisogno e ne fa sor-
gere un altro; lavorare e riposare, combattere e cedere, nutrirsi e consumarsi,
fermarsi e riprendere, senza posa mai: quando cessa l'azione, anche la vita �
cessata.

Questo osserva il critico nel suo Emanuele Kant; ma quella sorta di


vitalismo che pervade la pagina, fa scattare in lui alcune difese, in quan-
to egli identifica vitalismo con irrazionalit�; e l'irrazionalit�, per il Serra, 53
bench� lo affascini, � nello stesso tempo un elemento perturbante. I1 pro-
spettarsi, come egli fa qualche riga dopo, che in questo senso l'azione �
qualcosa di � libero e istintivo �, un atto, cio�, sciolto dai legami della
razionalit� e vincolato ai bisogni veramente primari dell'individuo, e che
trova solo in s� il motivo del suo esplicarsi come azione, non pu� non
scatenare in lui una reazione, portare al recupero della sfera conoscitiva,
razionale:

Ma la vita � anche pensiero, riflessione. L'uomo non opera senza sapere


che cosa faccia. E si domanda il perch� dell'agire; o esita, prima di agire
o dubita dopo, fra la soddisfazione e la scontentezza di quello che ha fatto,
che forse avrebbe potuto fare altrimenti, che forse avrebbe fatto meglio a
non fare.

E qui � il solito Serra, che riflette su se stesso e teorizza la sua proble-


matica. Infatti, punto di partenza della meditazione serriana � sempre il
dato reale, per cui si pu� dire che egli procede costantemente dal con-
creto all'astratto, e mai viceversa, per poi tornare ancora al concreto. La
teoria, se � vero che egli la sente lontana dalla vita, lo pu� interessare
solo come momento di elaborazione della pratica, del vivente. Si pensi,
parimenti, alla sua attenzione alla vitalit� e alla concretezza del testo poe-
tico, al suo rifuggire, di fronte ad esso, dalle schematizzazioni e dalle ge-
neralizzazioni. Il teorizzare sulla poesia, cio� sul dato reale, � quasi to-
talmente assente riegli scritti serriani, e dove se ne intravedono barlumi,
esso si giustifica proprio per la sua non-programmaticit�, sotterraneit�,
che costituisce per il critico solo un mezzo per riproporsi nuovi problemi
concreti, anche se di fatto sta a testimoniare come si svolga in lui un
incessante travaglio. In senso pi� lato, tuttavia, la ragione � uno dei pochi
strumenti, anche se estremamente smussati, che il Serra ha a sua dispo-
sizione. Che poi essa lo scontenti, non c'� da meravigliarsi, quando egli
vede nel polo opposto, nell'intuizione, una speranza di comprensione to-
tale della vita, e riesce a legare l'intuizione all'istinto, mentre tra ragione
54 e istinto il dissidio � purtroppo insormontabile.

Sembra che il Serra voglia persuadere, prima ancor che gli altri, se
stesso, quando asserisce: � ogni atto ha un valore razionale, che si rivela
al pensiero; ogni atto si pu� ricondurre a un perch�, a un fine e a una
ragione, a qualche cosa di universale, assolutamente valido cos� oggi come
sempre, che si esprime nella formula del cosiddetto bene �. In realt� gli �
ben presente lo iato che esiste fra realt� e ragione: � ... perch� a ogni ora
i dubbi, le esitazioni, la scontentezza risorgono; e ogni atto nuovo pu�
essere un nuovo problema, a cui la soluzione definitiva manca per sem-
pre �. I1 tendere continuo del critico verso una definitivit� delle risposte
agli interrogativi che via via si presentano urta, abbiamo gi� visto, contro
la consapevolezza della provvisoriet� di ogni conclusione; e allo stesso
modo accade anche in campo gnoseologico. Realt� particolare dell'azione
ed esigenza universale del pensiero, pi� che accordarsi, si pongono in
contraddizione perpetua, e lo scandagliare della ragione nel macrocosmo
della vita pratica, dove ogni cosa tende a sfuggire ed i rapporti inter-
personali--specialmente per il Serra--complicano la faccenda, � de-
stinato a esaurirsi di fronte alla molteplicit� del reale. E a questo punto,
verso la fine del saggio, che il Serra � costretto ad arrivare ad una con-
clusione provvisoria, non potendo farne a meno e, d'altronde, non avendo
nulla di pi� certo da dire:

Ma il problema, logicamente insolubile, � poi risolto ad ogni momento


nella realt�: gli uomini, che attraverso i secoli non hanno saputo rinvenire la
definizione di ci� che si deve fare, in compenso hanno sempre vissuto e com-
battuto e sofierto per quello che essi volevano, e che sapevano di volere; con
la certezza di un fine e di una ragione seria, sopra tutti i dubbi e i dissidi del
vivere e del pensare.

Viene dunque recuperata l'idea della moralit� dell'azione, rapportata al-


l'intento buono dell'uomo e alla seriet� del suo animo; non a caso il
Serra parla di � principi saldi �, di � fini validi � i quali a costituiscono
a ogni ora l'eredit� pi� preziosa e pi� certa del passato �, di � cose buone
e utili e sante e desiderabili �, che danno un valore alla vita.
~ giocoforza, infatti, che egli risalga a vivere, in mezzo agli altri, adot-
tando delle convenzioni o, per lo meno, cercando di recuperare attorno
a s� delle certezze, anche se mai definitive. E se una di esse sar� la fiducia
nella poesia, l'altra verr� ad essere la constatazione dell'esistenza di mondi
morali, negli scrittori e negli uomini, che fanno presupporre un'idea di
bene che costituirebbe una conquista non indifferente nelle contorsioni
della sua problematica. A tutto questo contribuir�, a partire dal 1911,
l'amicizia col De Robertis, e uno studio sempre pi� approfondito sugli
autori delle ultime generazioni, dove ormai � data per scontata, negli in-
teressi del critico, la coesistenza, accanto al problema letterario, dell'at-
tenzione per un mondo morale, ricco o povero che sia, che lo affascina
in quanto gli fa verificare negli altri uomini alcune modalit� e alcuni
processi che egli, prima di tutto, trova in se stesso.

E inevitabile allora che fra gli autori, di cui il Serra � portato ad oc-
cuparsi, venga a trovarsi quel D'Annunzio che praticamente domina la
scena del primo Novecento letterario italiano. Vediamo il critico sciogliere
con mano felice un problema che ai pi� pareva insolubile, e il D'Annun-
zio lodato e incensato da tutti assumere una dimensione pi� terrena. In
realt�, di fronte all'abruzzese il Serra non ha quelle resipiscenze ed esi-
tazioni -- che gli derivavano da motivi di carattere affettivo -- che
aveva mostrato negli studi sugli scrittori romagnoli, dove la ragione sen-
timentale rischiava sempre di mescolarsi a quella critica e alterarla. Il
D'Annunzio � soltanto e prima di tutto un problema letterario, e come
il Serra avesse visto chiaro, in mezzo a tanti scritti di lodi immotivate,
lo indica una lettera del settembre 1910 all'Ambrosini:

... in D'Annunzio � una gran felicit� di eloquio, dalla natura: e potenza di


esprirnere nella parola tutto quello che alla parola, come per se stante e so-
nante, si pu� chiedere. Ma l'animo � vano e piccino, quando egli si sta a sen-
tire. Del resto moti beati sorgono talora nel canto; rna la prosa � falsa. Quando
pure tu non riesca a ridurla in qualit� nativa, purgata di ogni uso e di ogni
valore... In fine, � noioso.

56 Nelle pagine Di Gabriele D'Annunzio e di due giornalisti (1910), poi,


egli offre proposte concrete per un'interpretazione dello scrittore, muo-
vendosi in un ambito non molto dissimile da quello crociano (la volutt�,
l'ambizione sensuale, l'amore per la parola), ma aggiungendo opportune
riserve e insistendo soprattutto sulla mancanza di umanit� nel D'Annun-
zio. Questo dimostra come sin dal 1910 il Serra avesse visto meglio del
Croce sul problema � D'Annunzio �. Infatti, il saggio del 1904 sulla
� Critica ~> ha un inizio enfatico e laudatario: <~ Rendiamo omaggio a Ga-
briele D'Annunzio, all'artefice mirabile, al lavoratore instancabile, a que-
sta impetuosa forza produttrice �, che il Croce si sentir� in dovere di mu-
tare per l'edizione della Letteratura della Nuova Italia (1915). Nel saggio
del 1904 l'ammissione della validit� dell'arte dannunziana � evidente sin
dalle prime righe, e ribadita pi� volte nel contesto, dove viene coniata
la formula di � dilettante di sensazioni �, � dilettante voluttuoso e cru-
dele �, come giustificazione della frammentariet� dell'arte dannunziana.
Il Serra stesso, comunque, si rendeva conto che il saggio del Croce aveva
precise motivazioni di carattere storico: il tentativo di � comprendere e
definire � la consistenza dell'opera dannunziana, con chiarezza e onest�,
in un momento particolarmente delicato.

Nell'ambito degli scrittori moderni, il D'Annunzio occupa un posto non


indifferente nella speculazione critica del Serra, negli anni 1910-12. Oltre
al Di Gabriele D'Annunzio e di due giornalisti, infatti, egli aveva in mente
il progetto di un D'Annunzio come lo sente la gente, che spiegasse le
differenti prospettive sotto le quali il fenomeno D'Annunzio appariva a
persone di diversa et� ed educazione. Ma lo scritto esemplare � � La
Fattura �. Episodio di uno studio intorno a Gabriele D'Annunzio, che
affronta il problema della prosa dannunziana e, nello stesso tempo, offre
l'esempio dei risultati critici alti e lucidissimi ai quali il Serra pi� maturo
pu� arrivare. La Fattura (1911) � sintomatica del raggiungimento da parte
del Serra di una chiarezza di idee e di una sapienza estrema nello svi-
luppare e nel cor.durre a termine il saggio, partendo dalla prima impres-
sione e analizzandola, ampliandola, e soprattutto vincendo nel giudizio di
valore il solito contrasto--in lui sempre vivo--fra impressione e analisi.
C'� anche da dire che il D'Annunzio, agli inizi del Novecento, non ap-
parteneva certo a quella categoria di autori agevoli da giudicare per il
fatto che gli elementi negativi della loro opera sono bene evidenti: in
verit� l'opera del D'Annunzio si presentava sotto una luce particolare, e
aveva dalla sua condizioni storiche favorevoli, che facilitavano adesioni
incondizionate (si legga ad esempio il primissimo scritto del Borgese). In
particolare le Novelle della Pescara, per l'acceso colore locale, per gli
effetti piuttosto facili ma suggestivi, per la sapienza verbale e il gusto
del particolare crudele, potevano trarre in inganno il lettore e far s� che
egli soppravvalutasse l'abilit� narrativa dello scrittore, attribuendole ca-
ratteristiche di vera opera d'arte, che in realt� essa non possedeva. Non a
caso il Serra sceglie per il suo studio una delle novelle pi� interessanti e
vivaci, ma che possa anche offrire al critico dei termini di confronto; in-
fatti la Fattura � un'imitazione del Boccaccio, e presenta inoltre punti di
contatto con la Ficelle di Maupassant.

~ un senso di ammirazione quello che il D'Annunzio suscita nel-


l'animo del critico: ammirazione molto pi� che piacere. Ma questo non
basta; egli si rende conto che non ci si pu� fermare alla prima impres-
sione e che bisogna andare oltre. Ecco dunque che al critico si presenta il
problema, che negli studi giovanili aveva sempre cercato di evitare: � A
voler chiarire i nostri dubbi non bisogna sospirare soltanto, ma pensarci
su. Qual � dunque, e come si pu� definire il valore letterario della Fat-
tura, in confronto col suo modello? �.

Sta in questo proposito di non sottrarsi al giudizio di valore la grande


conquista del Serra, di cui si pu� cogliere l'entit� seguendolo, come ab-
biamo fatto passo per passo, nell'evoluzione della sua critica. Quello che
nel Croce � ineliminabile, nel Serra � conquista faticosa, che sar� sempre
sul punto di incrinarsi e di deviare in posizioni particolari, quale quella
del Ringraziamento. Oltre a ci�, ci pare di vedere nella Fattura un ulte-
riore passo avanti nella definizione del rapporto Serra-Carducci, con un
voler abolire, da parte del Serra, le implicazioni mitiche che l'idea di
� Carducci-Sole � comportava negli scritti precedenti. Qui, al contrario,
egli giunge a riconoscere che il modo di far la critica del Carducci era
impressionistico, � espressione del sentire e della forma umana di un let-
tore�, e non � risultato della sua riflessione �. Un'asserzione del genere
postula, di necessit�, l'esistenza di alcuni valori letterari che il critico deve
di volta in volta rintracciare e a cui deve adeguarsi, valicando il limite
dell'impressione pura. A questo il Serra giunge, nel caso in questione,
con l'analisi dello stile dei due scrittori, Boccaccio e D'Annunzio. Eppure,
quasi si sentisse privato di qualcosa se rinunciasse a un tentativo di mi-
mesi, il critico rivive nelle parole e nell'analisi la gioia di raccontare del
narratore: � Comincia adagio, con voce grave, piena di aspettazioni: la
amarezza � spiegata e moltiplicata dalla simmetria dell'antitesi, come un
suono che sale a grado a grado e poi risiede solenne nel superlativo �.

Nel D'Annunzio, invece, la precisione dei particolari non vale a ri-


scattare la vacuit� dell'insieme: � Ma tutte le parti qui sono staccate, la-
vorate a freddo, con artificio che sarebbe bellissimo se non fosse cos�
monotono �. Ma in tutto il saggio, troviamo delle intuizioni e delle riso-
luzioni critiche che ci lasciano stupiti per la loro felicit�, se pensiamo
che esso � stato scritto nel 1911, e lo confrontiamo con i saggi degli altri
critici dell'epoca (a parte il Croce): Cecchi e Borgese, per fare dei nomi.
Critica stilistica pura, tra l'altro, � quell'accenno a � quei due aggettivi
che consolano gli occhi del capraro, [i quali] non sono gi� oziosi; ma
somigliano un poco all'erre del sostantivo: si sente che basterebbe anche
una semplice capraio �.

Attraverso l'analisi dello stile, dunque va prendendo a poco a poco


consistenza la figura del narratore, nella sua fondamentale freddezza, (in
chiara antitesi col Boccaccio) e nella sua abilit� perfino disumana. Fred-
dezza e disumanit�, per il Serra, non fanno la vera opera d'arte, il che
vale per tutte le cose del D'Annunzio, le quali, secondo il critico, devono
leggersi sempre sotto il segno della sua prodigiosa abilit� verbale.

Arrivato a questo punto, il Serra ha sanato tutti i dissidi che inquie-


tavano il suo animo dopo la prima lettura; ha condotto a termine il saggi
svolgendo coerentemente le premesse, eppure ha ancora qualcosa da dire-
finisce attenuando, modificando leggermente il giudizio, l� dove l'affetti-
vit� e l'amore per la pagina, che � pur sempre una pagina preziosa, fini-
sce col trionfare. Egli aveva posto in rilievo gli elementi negativi del-
l'opera dannunziana, che gli parevano tanto pi� evidenti nel confronto
col Boccaccio, e constatando, nel passaggio dallo scrittore antico a quello
moderno, un restringimento del mondo morale, una visione pi� angusta
della realt�. Conclude invece salvando parecchio del D'Annunzio, vedendo
in lui � uno scolaro pieno di bravura �, che non pu� dare al lettore pre-
tenzioso quello che non ha, ma che possiede anche qualcosa di valido,
nella sua voce e nel suo accento che � anche quando compone questa
Fattura vana e fredda come una musica di pianoforte meccanico, � una
delle cose pi� belle che l'uomo possa udire nell'universo pieno di ru-
more �.

Tale � infatti la critica del Serra: un correggere e un rettificare con-


tinuo, alla ricerca della comunione autentica con l'autore, e con la preoc-
cupazione di avere sempre sacrificato qualcosa. Per questo il procedi-
mento critico dev'essere in lui dinamico, teso, pieno di �lan vital, nella
consapevolezza che la poesia � sempre al di l�. Nel caso specifico del
D'Annunzio, poi, egli si accorge che c'� anche il rischio di limitare troppo
la consistenza della sua opera, ed ecco quella frase, con cui chiude il
saggio, e che verr� ulteriormente ripresa e spiegata dalle pagine delle
Lettere: � Noi l'amiamo come un miele diffuso, come un oro liquido
e senza forma. E conosciamo anche luoghi dove la sua melodia � pi�
cara �.

Quello che rende ancora problematico il Serra degli anni 1910-12 � la


modalit� dell'accostamento alla poesia, che dev'essere schietto e immediato,
con una penetrazione in profondit�, se si vuole che essa sia colta nella
sua vivezza. E allora � positiva in lui la risposta alla domanda implicita,
che egli stesso si pone, se sia possibile giungere alla comprensione degli
scrittori moderni, per il fatto che molti elementi vengono in aiuto del
critico; la conoscenza della storia, delle idee, della cultura del tempo, la
60 comunanza di civilt� e di tradizione, ma soprattutto il fatto che essi sono
ancora vicini a noi, che il tempo non ha cancellato o alterato le vesti-
gia del loro mondo. Ma per gli antichi, per la poesia dei Greci cos� distante
dai nostri tempi, il discorso cambia. Poich� mancano le condizioni indi-
spensabili, gli elementi catalizzatori che permettono l'adesione al testo
poetico, nella poesia greca il � bello � e il � brutto �, cio� le risultanti
della prima impressione provata alla lettura, non sono individuabili. Cos�
in Intorno al modo di leggere i Greci (1910-11):

... io s� mi rendo conto di immagini e concetti e figure retoriche e ritmiche


e di altri e tali elementi generici, ma quel che sia proprio in s� bello o brutto
secondo il gusto e il sentimento loro, gli occhi miei non lo vedono.

Egli sente che le singole frasi greche, le singole parole, addirittura le


intonazioni e le sfumature hanno un valore particolare che gli sfugge.
L'inquietudine che gi� abbiamo conosciuto nel Serra davanti al testo let-
terario, se, quando egli avvicina autori che abbiano scritto nella sua lingua
madre e nella sua stessa epoca, si pu� placare nel tentativo della com-
prensione, risorge pi� forte ed acuta alla lettura di un'opera greca, per il
pensiero che molto della bellezza vada perso. Tale posizione, dovuta in
parte all'indole del Serra, lettore finissimo ma talora anche troppo sensi-
tivo, � anche un ennesimo riflesso dell'insegnamento acriano. Proprio
l'Acri, infatti, nel suo culto esclusivo per la bellezza conquistata attra-
verso il ritmo, giungeva al punto, leggendo Platone, di tradurre � si
nabiss� �, invece di � si inabiss� �, per rendere il tono particolare del
verbo greco nel contesto della frase.

Sfugge al Serra che, inevitabilmente, ogni et� ha un portato di cul-


tura e di tradizioni e di atteggiamenti mentali dai quali non pu� pre-
scindere. Il suo problema � quello di intuire la disposizione d'animo di
un lettore antico verso i poeti suoi contemporanei. Solo un lettore an-
tico, secondo il suo avviso, potrebbe capire Mimnermo, ad esempio, come
il Serra stesso pu� capire il Carducci o il D'Annunzio. Vorremmo poi ag-
giungere che egli sceglie di preferenza, per esplicare le sue attitudini cri-
tiche, autori della sua stessa epoca, poich� ha quasi timore che, man mano
che risale nel tempo, la comprensione piena di un'opera gli debba sfug-
gire. Si spiegherebbe in questo modo la sua reticenza a parlare ancora di
Dante e del Petrarca, dopo gli studi giovanili. Egli ama di amore pro-
fondo i classici, ma il dubbio che la sua critica non sia all'altezza del
testo lo trattiene. Ma quando, come nel caso della Fattura, � costretto
ad affrontare il discorso su un classico (in questo caso il Boccaccio), ve-
diamo quanto i timori siano infondati.

Le lettere del giugno-dicembre 1911, periodo che il Serra trascorre


costantemente a Cesena, mostrano, assieme alla comparsa di un nuovo
corrispondente, il giovanissimo De Robertis, che gli si era rivolto per farsi
pubblicare un articolo, una presa di posizione piuttosto decisa del Serra
nei confronti del mondo della cultura che gli sta attorno. La � Roma-
gna �, la rivista su cui abitualmente egli pubblica, sar� pure � una se-
poltura �, come la definisce il Serra stesso parlando col De Robertis, ma,
d'altra parte, gli consente di esprimere liberamente le sue idee senza es-
sere condizionato da nessuno; e la � Voce � gli sembra gi� lontanissima
spiritualmente dalle sue posizioni, tanto che egli dir� al Prezzolini (16
giugno 1911~ che gli pu� dare la sua stima e l'amicizia, ma non il con-
senso per la rivista e, due mesi dopo, all'Ambrosini: � Irrimediabilmente
diversi ed avversi; bravissime persone; ma essi hanno il dono di irritare
tutto quello che c'� in me di pi� segreto e vivace �.

Il pudore e l'ombrosit� del Serra urtano per forza contro la superfi-


cialit� e la presunta sicurezza della pi� parte dei � Vociani �, e nel mo-
mento di � cultura pi� diffusa e di meno intelligenza �, per usare un'espres-
sione del Serra stesso, � chiaro che egli veda ogni tipo di avanguardia
con un certo scetticismo, se non addirittura con molta irritazione, come
si accorge che tale posizione di avanguardia � pi� apparente che reale.
Allora, dinanzi all'ostentata baldanza degli altri (in ispecie i � Primovo-
ciani � e poi gli uomini di � Lacerba �), non c'� da meravigliarsi che egli
Si volga a contemplare il passato, non tanto per isolarsi o rifiutare il
progresso della vita, quanto per riaffermare la necessit� di un'educazione
spirituale che proceda per tappe graduali, fino a portare l'uomo alla sua
piena autonomia, alla capacit� di una ricerca individuale non sterile. La
volont� di tagliare a tutti i costi i ponti col passato, propria delle avan-
guardie, porta il Serra, per contro, ad affermazioni del genere:

... non ci sono opere veramente formative, ma piuttosto uomini: scrittori


che uno si prende come modelli di imitazione spirituale. Cambiano anche nello
spirito le stagioni e da una compagnia si passa a un'altra; e alla fine, se � de-
stino, uno si ritrova, dopo aver attraversato imitando molte anime, solo con
la sua propria; in una sol�tudine che � fatta ricca di tutte le avventure lasciate.

Movendo da queste considerazioni, � pi� facilmente spiegabile il moto


di simpatia, nonostante tutte le diversit�, verso il Croce:

~ strano ch'io non possa incontrar Lei senza esser condotto quasi natural-
mente a una sorta di riepilogo e di esame della mia attivit�, o piuttosto passi-
vit�, pratica: il primo consiglio, che ebbi da Lei, fu di lavorare; e ancora sem-
pre mi sembra di dovermi giustificare in faccia a Lei: come se l'esempio e la
lezione della sua persona mi obbligasse ad accoglierlo, finch� sono con Lei,
nell'animo; mentre nel fatto � troppo lontano da me.
Il Serra vede dunque nel Croce l'uomo integrato nella societ� del suo
tempo, un uomo che agisce operando col suo impegno, tentando di mo-
dificare quegli aspetti o quelle strutture della vita culturale italiana che
meno gli sembrano validi, e soprattutto cercando di codificare in teoria
le varie forme dell'attivit� dello spirito. Un esempio e una lezione. Ma il
Serra � tutt'altro temperamento; riassume in s�, per alcuni versi, le ca-
ratteristiche della generazione simbolista, ma � troppo intelligente per
rinchiudersi nel castello di Axel, n� d'altra parte la via di Rimbaud pu�
tentarlo`, se non nei momenti di m�ggior sfiducia, quando, nell'oppres-
sione della sua Cesena, in mezzo ai debiti del gioco, il dissidio fra vita e
letteratura gli parr� insanabile, e l'unico mezzo di salvezza- gli sembrer�
l'evasione: � ... con che cuore pianterei tutta questa baracca e con un
poco di inglese che ho imparato proverei d'andare a New York a fare al-
meno il facchino! �.
La situazione spirituale del Serra ci sembra quella di una disponibi- 63
lit� a nuove esperienze morali, di un'aspirazione ad un inserimento nella
societ� del suo tempo, che urta continuamente contro un fondo di pigrizia
e di evasione nel mondo della fantasia. Donde le inevitabili divergenze col
Croce. Ma se egli crede di vedere nella provincia l'ostacolo principale allo
sviluppo organico della sua personalit� di uomo e letterato, questo di-
pende da motivi intrinsechi al suo carattere; in verit� in essa sta la sua
grande forza: una vita un poco ai margini della cultura attiva fa di lui
un giudice obiettivo e disinteressato: ne d� prova il volume delle Lettere,
la summa della sua esperienza critica.

Nel 1912, poi, � l'incontro del Serra col Jean-Christophe di Romain


Rolland, un romanzo di mediocre valore artistico, ma che per il cesenate
costituisce una vera rivelazione. Nel Rolland egli trova un impegno, una
forza morale (che sente mancare a se stesso) che riscattano le deficienze
dell'arte. Non � casuale l'immagine del � fiume che prende e che porta �,
che egli usa in una lettera all'Ambrosini (13 dicembre 1912), ma riflette
una partecipazione totale alla forza e alla suggestione del romanzo. Dalla
lettura del Jean-Cristophe, � una confessione di vita �, egli sar� portato a
riesaminare e a riepilogare tutta la propria esistenza; ne abbiamo prova
da quegli appunti che non riusc� mai a organizzare in un saggio definitivo.

La necessit� di trov?lre nel libro un'esperienza morale oltre che let-


teraria porta il Serra verso il Rolland; del resto, notiamo che anche nel
saggio sull'Oriani, apparso nel 1913, una parte cospicua dell'interesse del
critico � appuntata proprio sul valore dell'esperienza morale: nelle pa-
gine dell'Oriani egli cerca lo svolgimento della storia spirituale dello scrit-
tore. ~ un nuovo Serra, in un certo senso: egli � alla ricerca di una fer-
mezza di carattere a cui aspira sopra ogni cosa. Pertanto, in questo pe-
riodo, gli interessano gli spiriti � mutati e combattuti �, e l'Oriani ne �
esempio probante. Tutto il saggio, dunque, si svolger� su un duplice piano
di interessi: l'attenzione alla pagina e quella all'uomo, sentito ed inteso
nei suoi rapporti con la propria esperienza letteraria.

Le due costanti dell'opera dello scrittore faentino: a) � un realismo,


64 fatto di indipendenza e quasi di rancore contro uomini e cose �, b) � un
lirismo, nato nello squallore e nell'abbandono amaro di s� �, individuate
dal Serra sin dalle Memorie inutili, vengono ritrovate pi� schiette nelle
opere successive, le quali sono la risultante di un processo di affinamento
artistico e del prevalere della spiritualit� e della sensibilit�. Non manca
anche in questo saggio l'attenzione ai valori stilistici:

Si parla dello stile, della cosiddetta forma. Non ne vogliamo dir bene. Oriani
cominci� a scrivere in un modo odioso [ ] Ma questa parte tecnica si miglior�
presto [ .. . ] . Restavano allora, e restaron sempre, anche dopo, certe scorie
asprezze, negligenze che hanno forse in lui un valore meno superficiale di
quello che possa parere.

Ma il critico intuisce che il difetto principale di molti scritti dell'Oriani


non sta nella carenza di una perfezione stilistica, bens� nell'ambiguit� del-
I'animo dello scrittore, il quale non scrive per se stesso, ma per il suc-
cesso, per il pubblico.

Danno prova della maturit�, raggiunta dal Serra nel saggio, la sicu-
rezza e la validit� dei suoi giudizi, e soprattutto l'abilit� di adeguare la
sua critica alle esigenze che l'autore comporta, e la capacit� di penetrare
nel mondo dell'Oriani, offrendo prova di intelligenza e duttilit�. Prima
del saggio serriano c'era stato solo lo scritto del Croce sulla � Critica �
che avesse visto chiaro nella figura dell'Oriani. Ed � bene insistere sul-
l'influsso dei saggi crociani nei confronti della cultura italiana del primo
Novecento. Egli infatti andava passando via via in rassegna gli scrittori
del suo tempo, definendo le loro opere nelle caratteristiche salienti (con
quel tono di necessit� un poco precettistico rimproveratogli da pi� parti).

Se poi confrontiamo gli scritti del Croce e del Serra con le pagine che
il Borgese dedica all'Oriani, ci accorgiamo della grande differenza qualita-
tiva che corre tra quest'ultimo e gli altri due. Giuseppe Antonio Borgese,
ingegno impetuoso legato strettamente alla tumultuosa vita intellettuale
italiana dei primi del Novecento, ne porta con s� i difetti pi� evidenti: la
smania di imporre le proprie ragioni, il desiderio di infrangere i miti (salvo
nel caso dell'intoccabile D'Annunzio, beninteso), il gusto per l'espressione
altisonante ed enfatica. La riduzione che egli fa del personaggio dell'Oriani,
senza tentare di approfondire il problema della sua arte; il fraintendimento
del saggio crociano, il semplicismo con il quale egli si accontenta di liqui-
dare la figura dell'Oriani, senza esaminare il rapporto che intercorre tra
esse e il narratore, ci fanno considerare fallito il suo studio. E tanto pi�
evidente ci appare questo se, dopo aver letto il Borgese, riprendiamo i
romanzi dell'Oriani, notando come l'immaturit� dello scrittore si riveli at-
traverso la forma incerta e approssimativa. Ed anche il Croce, come il Serra,
rileva che questi difetti si attenuano con l'andar degli anni. Ma al Croce
sta a cuore un'altra questione, quella di caratterizzare l'hegelismo del-
l'Oriani: pertanto egli dedica numerose pagine all'Oriani storico, e la trat-
tazione di questo motivo finisce col prevalere. Il Serra invece si rivolge
solo ail'Oriani letterato. E persino difficile riassumere il suo saggio o pre-
sentarne i punti salienti, tanto esso si mostra organizzato in una connes-
sione esemplare di motivi e osservazioni. I progressi dell'Oriani sono visti
dal critico seguendo passo passo i romanzi, e contemporaneamente appro-
fondendo i'indagine sul carattere dell'uomo, in cui il Serra trova � un'ansia
di capire e di criticare e di valutare, da un punto di vista superiore e con-
sapevole, uno sforzo di sapere e di pensare ~, che, per analogia, potremmo
attribuire anche al Serra stesso. Ma quel che veramente interessa al Serra
� il mutamento degli ultimi anni dell'Oriani, quando la parte pi� nobile
della sua personalit� ha libero sbocco; � qui che egli incontra uno spirito
simile al suo. Rincresce solo che l'analisi serriana si fermi senza toccare
l'ultimissima produzione dell'Oriani; ma il Serra del 1913 � gi� intento al
volume delle Lettere, preso da quella � disciplina del lavoro quotidiano �
che rirnarr� perennemente un mito nella sua coscienza. Nel panorama della
letteratura italiana contemporanea, comunque, ci sar� un posto anche per
l'Oriani, caratterizzato da una serie di giudizi che fanno definitivamente
luce sul personaggio, che nell'immediato anteguerra acquister� agli occhi
di molti un valore particolare proprio per la parte meno valida della sua
opera.
Gli ultimi due anni di vita del Serra sono estremamente significativi,
non solo per i risultati critici raggiunti, ma anche--come gi� accenna-
vamo--per la sua apertura verso il mondo, e per l'incontro con il De Ro-
bertis e gli uomini della seconda � Voce �. Da questa amicizia nasce un
dialogo interrotto solo dalla morte, e numerose considerazioni e spunti
degni di nota.

Rispetto ai � Deuterovociani ~>, il Serra mostra un maggior equilibrio:


lo vediamo soprattutto esaminando il problema dei rapporti fra i giovani
letterati italiani e il Croce. Gli anni precedenti la prima guerra mondiale
vedono sorgere una reazione piuttosto intensa contro il filosofo abruzzese.
La campagna anticrociana � condotta principalmente dagli scrittori di � La-
cerba �, Soffici e Papini, ma anche i vociani De Robertis e Angelini non
risparmiano le accuse. ~ curioso osservare, inoltre, che la maggior parte dei
censori del Croce tende, nello stesso tempo, a rivalutare il Carducci: cosi
il Papini in Abbasso la Critica!, cos� in parte lo stesso De Robertis in Da
De Sanctis a Croce. Pur riconoscendo, infatti, dei meriti alla critica cr~
ciana, il De Robertis vede nel filosofo meridionale il capitolo conclusivo
di un'epoca iniziata dal De Sanctis; nega al Croce delle qualit� di novatore,
e ne fa piuttosto il sintetizzatore di un periodo della critica italiana. La
vera strada della critica, per il De Robertis, � quella che, sulle orme del
Carducci, stanno battendo il Serra e il Cecchi.

A confondere il giovane De Robertis contribuiva l'incertezza e il tra-


vaglio culturale degli anni dell'anteguerra. Non si riusciva ad intuire che
quei caratteri di � bozzetti morali �--per usare le parole dello stesso
Serra--dei saggi crociani non erano solo un portato della sua struttura
mentale; ma anche erano uoluti dal Croce, il quale si era assunto il com-
pito di pedagogo, di educatore delle nuove generazioni. La � religione
della poesia �, sotto la cui etichetta il De Robertis accomunava Carducci,
Serra e Cecchi, doveva necessariamente modificarsi con i nuovi tempi
che religioni non avevano, ed esser sostituita da qualcos'altro, dalla com-
prensione della poesia; e di questa trasformazione il Croce fu l'emblema
pi� evidente.

Se poi dalle pagine derobertisiane passiamo a leggere la lettera che


il Serra scrive all'amico il 13 marzo 1914, a proposito dell'articolo sul
De Sanctis e sul Croce, notiamo subito il maggior equilibrio del cesenate.
In questo periodo egli � prezioso consigliere per il De Robertis e quasi
un caposcuola per i � Deuterovociani �. Non sfugge al Serra come questi
giovani facciano la critica portando in essa tutto il proprio essere, con
una passione e un'ansia che, se da un lato lo affascinano, dall'altra lo scon-
certano. Con l'entusiasmo tipico dei giovanissimi, il De Robertis e l'An-
gelini affrontano il problema letterario con una sicurezza che, nella maggior
parte dei casi, sconfina nell'incoscienza. Su un piano pi� elevato, analogo
� il caso del Cecchi. Ma di quest'ultimo, il Serra sembra avere una grande
considerazione: � A ogni modo, � l'unico che sappia o almeno tenti di
rendersi conto delle qualit� di uno scrittore--direttamente e assoluta-
mente �. Il suo tipo di critica � molto diverso da quello del Serra il quale,
a proposito di se stesso, dice:

Ho bisogno di confessarmi, per trovare in fondo ai particolari vani qualche


cosa seria e certa. Ma bisogna ch'io vada in fondo, ch'io mi liberi di tutto, ri-
cordi, dubbi, simpatie e antipatie, inquietudini e soddisfazioni: esauriti tutti
gli episodi, ho qualche speranza di fermare un poco di ci� che � intimo ed
essenziale.

L'insistere sulla fase preliminare della critica, sul lavorio emotivo del-
l'individuo di fronte a un altro mondo--a cui, per necessit�, il critico
non si accosta mai puro e vergine, ma sempre con un'esperienza di vita
e un condizionamento storico particolare-- �, l'abbiamo gi� visto pi�
volte, caratteristico del Serra, ma irripetibile. Nelle pagine del De Robertis
o dell'Angelini, suoner� falso.

Un modello di tal fatta � dato dal Ringraziamento a una ballata di


Paul Fort, pubblicato sulla � Voce � nel giugno 1914, quando, cio�, man-
cavano solo pochi mesi alle dimissioni del Prezzolini. C'era da dire che
il saggio serriano, se esaminiamo partitamente l'annata 1914 della rivista,
stona un poco nel contesto generale. La � Voce � 1914 � ancora il giornale
di Giuseppe Prezzolini, e come tale riflette gli interessi del direttore, mo-
rali pi� che letterari. Lo stesso De Robertis pu� vantare sulla � Voce � del
1914 un solo scritto importante, per l'appunto quel Dal De Sanctis al
Croce di cui parlavamo. Le pagine serriane, invece, paiono anticipare la
svolta che la � Voce � effettua alla fine dell'anno, divenendo la � Voce �
bianca del De Robertis, accogliendo gli scritti dei � Lacerbiani � e delimi-
tando la sfera dei propri interessi alla letteratura.

Il saggio su Paul Fort si � prestato a grossi equivoci, ed ha avuto ul-


teriori sviluppi proprio nelle pagine dei � Vociani �, i quali avevano visto
in esso il punto d'arrivo della critica serriana. Ma tutto ci� � dipeso da
una cattiva lettura del saggio, che costituisce un testo indicativo per la
conoscenza del travaglio del critico, pi� che un modello da imitare. Non di-
mentichiamo, infatti, che il Ringraziamento esce nel 1914, un anno dopo
la nascita, per il Serra, di un amore che presumibilmente � il primo vero
e reale (si veda la lettera all'Ambrosini del 27 maggio 1913). Forse per
questo il Serra sente il bisogno di farne entrare il ricordo nelle pagine sul
Fort, lasciando libero sfogo all'emotivit� e alla rievocazione del passato.
Sul filo delle sensazioni, la componente erotica costituisce la dominante
di tutta la prima parte dello scritto: � Il pensiero si attacca a quel punto
unico, come la bocca alla bocca... �; � ...dolcezza ambigua e perpetua sulla
mia bocca; carezza dei capelli sfiorati e disciolti, urto di carne ribelle, odore
d'ignoto, soffio irritante e fuggente �.

E un Serra insolito, decadente o comunque atteggiato a un'espressione


particolarmente morbida; � dunque conseguente il fatto che egli, all'interno
del saggio, proclami l'inconsistenza della sua fedelt� alle forme classiche
e comuni, la fedelt� al Carducci, in breve:

E la mia fedelt� era una vanit� di adolescente letterato, che si illude di


possedere una certa forza per difendere le sue amicizie e i suoi gusti; era un~
licenza, che io concedevo a me solo, di crearmi una fede e di confessarla co~
un piacere arbitrario. Era un lusso insomma ed � ora che io vi rinunzi. Sono cos�
stanco di tutto, fuorch� della verit�!

Il problema, gi� per un uomo del primo Novecento, � di sapere dove


possa essere la verit�. i~ chiaro che, nel volerla identificare--come fa
qui il Serra--con la percezione dell'esistenza vissuta istante per istante
e rivissuta sul filo del ricordo, c'� l'ombra della mistificazione del lette-
rato, che tenta di ingannare se stesso. Muoiono tutte le fedi ed i miti, cade
il simulacro carducciano, ma tutto ci� accade quasi il Serra sapesse che
quel che sta facendo si svolge in un attimo provvisorio, e che poi tutto,
dopo la � purificazione �, torner� come prima. Anche qui, tra l'altro, ri-
sorge il problema della � cosa in s� �: drammatizzando la consistenza della
� cosa �, il critico astoricizza e svuota di senso tutta la realt�, pur renden-
dosi conto dell'instabilit� della sua situazione. Ecco allora che, spezzando
quel contlnuum che � la vita, riducendola all'istante vissuto in una dimen-
sione a-temporale, e trasferendo per analogia questa possibilit� di fram-
mentazione alla letteratura, sar� possibile dare un valore assoluto al verso
singolo, al frammento con tutto il suo potere suggestivo ed evocativo,
senza volerlo ricondurre ad una totalit� che presuppone l'esistenza di al-
cune strutture. Tra l'altro, � bene esaminare le connessioni che legano il
Ringraziamento con i nuovi fermenti che agitano l'ambiente culturale euro-
peo del primo Novecento. Il critico, infatti, trasmette alle sue pagine lo
stato d'animo che lo pervade al primo approccio col testo poetico, non solo,
ma in un secondo tempo si ricorda anche di quello che gli sta intorno, l'ora,
la stagione. :i~ un vagare dello spirito dal prima al dopo che si mescolano,
Si intersecano senza il rispetto delle leggi della cronologia, con un ricorso
continuo alla memoria. Ma se teniamo presente che, gi� per i simbolisti,
tutto quello che � percepito in ogni attimo dell'esistenza umana � relativo
alla persona che lo percepisce, e ai luoghi, al momento, all'umore, com-
prendiamo come col Ringraziamento il Serra rifletta una problematica e un
modo di sentire di tutta un'epoca. Il saggio serriano, infatti, � dominato
dall'inquietudine dell'uomo di fronte alla dimensione temporale: egli vuole
congiungere le sue impressioni e osservazioni al momento presente, perch�
� consapevole che un'altra volta potr� fare altrimenti.

Se tuttavia questo � comprensibile nel campo della narrativa--ed


anzi, da questi fermenti uscir� l'opera di Marcel Proust--in quello della
critica letteraria esso porta ad un relativismo pericoloso; e lo stesso Serra
indirettamente se ne accorge: � La passeggiata � finita, anche per me. Sento
che dovr� tornare a farla un'altra volta, passo passo, con pi� curiosit�,
con pi� minuzia. Ma per adesso sono contento �. Del resto nello stesso
saggio, le impressioni pi� puramente personali si mescolano con le osser-
vazioni pi� propriamente critiche, denunciando una coesistenza di livelli
diversi che non si amalgano fra di loro. Gli stessi toni del saggio assumono
spesso un andamento lezioso: � Una e un'altra e un'altra... Quale � la gioia
e quale � la pena, quale � la vera, quale � la mia? Tutto � uguale, avere
e perdere, sperare e temere, godere e soffrire �.

Il passaggio dalle sensazioni sottili del critico alla realt� del testo da
esaminare, la Choix de Ballades fran~aises, � un poco forzoso, e la non
breve esperienza critica del Serra non gli nasconde i limiti dell'arte di
Paul Fort: il vecchio � grammatico � esce sempre fuori, anche in un testo
tanto liricizzante quale il Ringraziamento. ~, in fondo, una letterato che si
accosta a un altro letterato, e la parte pi� riuscita del saggio � proprio
quella in cui il critico esamina il problema del � letterato � Fort nella sua
intenzione di essere poetico. Alcune osservazioni paiono addirittura pre-
correre lo studio giovanile dello Spitzer sulla poesia simbolista, nell'insi-
stenza sul valore particolare, ora evocativo e ora no, dei vocaboli, dei neo-
logismi. Lo strumento critico del Serra si � notevolmente affinato; basti
l'esempio di questa definizione in cui si rivela tutta la sua capacit�: � ...quel
neologismo cos� astratto e sensibile che rivela tutta l'eredit� del simboli-
smo e di certi programmi di rinnovazione del linguaggio poetico, che non
hanno oltrepassato le pi� volte qualche ricercatezza grammaticale e qualche
sottilit� pseudo filosofica �. La polemica del Serra contro i tentativi di rea-
lizzare una poesia assoluta (� quel concetto della poesia assoluta, che � stato 71
fabbricato da una certa cultura �) � sottile e non generica, mentre si � visto
a torto, da parte di alcuni, in lui il cultore della poesia esclusivamente
pura, il ricercatore del frammento dove traspaia la bellezza assoluta

C'� da aggiungere che la parte del saggio, dove il Serra si lascia an-
dare alla ricerca della pura bellezza, � la meno riuscita. Egli prepara il ter-
reno, ad ogni modo, riconfermando la relativit� del suo discorso e della sua
posizione critica: il saggio su Paul Fort non vuol essere--almeno, nella
coscienza dell'autore--un debito da pagare, n� lo scioglimento di un
problema intellettuale, quanto � una distrazione nella forma pi� comune
un poco di svago e di piacere �. E per lo svago egli si prefigge la ricerca
della bellezza, non nella musica dei versi, non nella collocazione delle parole
e delle sillabe (come gli aveva insegnato l'Acri), ma nelle � cose �. Questo
vocabolo approssimativo e di facile uso, che egli trasmetter� al De Ro-
bert�s, e che condiziona tutto il suo processo di accostamento alla poesia
di Paul Fort, �, comunque, all'interno stesso del saggio, in contrasto con
quello che viene dopo, l� dove il Serra, con gusto quasi proustiano, si in-
canta al suono dei nomi di luoghi che via via gli si presentano.

E una nuova maniera di afErontare il testo poetico, ma--lo abbiamo


gi� notato--� maniera unica, irripetibile: se avesse ulteriori sviluppi,
cadrebbe--come di fatto succede nel primo Angelini, ad esempio nel
suo Pascoli moderno--nella formula pronta per tutte le occasioni e nel
clich�. Ricordiamo che il 1914 vede il Serra intento alla stesura delle Let-
tere; il Ringraziamento ne � un poco l'antitesi, quasi che il critico senta il
desiderio di evadere per strade non ancora esplorate; e la via che pi� lo
attira � quella che gli hanno fatto intravedere le sue letture degli scrittori
simbolisti: quella dell'analogia e dell'evocazione: per cui la poesia del Fort
acquista un preciso significato in un momento che per il Serra � di parti-
colare trasporto, ed egli va alla ricerca di tale significato partendo da lon-
tano, dal volume dell'autore francese, per awicinarsi via via alla singola
ballata. Di questa indagine diseguale e non di meno affascinante, dove il
Serra rivela un gusto archeologico sottile che ci fa pensare al G�rard De
72 Nerval di Angelica, il punto di arrivo � la Reconnaissance matinale de la
v~lle, che egli accosta per assaggi, leggendo una strofa qua una l�. Ma
l'incanto, che egli aveva saputo creare con la sua evocazione onomastica,
si dissolve al primo contatto con la poesia: la ricomparsa del � gramma-
tico �,--che pure fa osservazioni giustissime--determinando un tra-
passo di livelli critici, porta a dissonanze fastidiose. La comunione totale
con la poesia, che sempre aveva costituito un problema per il Serra, appare
s� un � piccolo miracolo �, come lo definisce il Serra stesso, ma un mira-
colo costruito artificialmente, dal di fuori, non certo mediante una com-
prensione piena del testo poetico.

Se altre volte il Serra, intuita l'esistenza di un rapporto tra il singolo


verso e il tutto nella mente di lettore e di critico, aveva approfondito l'in-
dagine in questa direzione, sviluppando le impressioni iniziali, qui egli si
limita a constatare, quasi che la pienezza della comprensione si realizzasse
appunto attraverso un miracolo, e non valesse neanche la pena il tentativo
di rendersene ragione:

~ un andare e venire, un riprendere e lasciare, strofa a strofa, verso a


verso, sillaba a sillaba; far chiaro l'oscuro e poi oscuro il chiaro; l'analisi
minuta
ridiventa corrente e fluente, e torna al suo principio, alla strofa, alla musica da
cui tutte le altre si dilatano, come cerchi propagati l'uno dall'altro sull'acqua,
in una continuit� silenziosa che si potr� rilassare ma spezzare non si pu� pi�.

E facile notare come, al di l� della suggestione delle analogie, e del lin-


guaggio allusivo, il Serra sfugga alla penetrazione dinamica del testo; e an-
che le definizioni pi� felici come questa: � Tutto quello che ho letto e inteso
dopo, l'analisi e la conversazione [...] si dispone naturalmente intorno al
primo punto con quel rapporto che ha la circonferenza del circolo al cen-
tro... � restano isolate, prive di un sostegno dialettico. Il procedimento cri-
tico viene portato su un piano di ambiguit�, con l'isolare versi e strofe
senza unirli al tutto.

Uno degli intendimenti essenziali del discorso serriano, quello di spie-


gare a se stesso e al lettore perch� il testo � bello, attuato--come abbiamo
gi� visto pi� volte--attraverso un'analisi a diversi livelli, qui viene a
mancare: il Serra dice semplicemente che la poesia � bella, ma non ce ne
rende ragione: non gli interessa neanche. Il momento della fantasticheria,
della ruminazione interiore sopra alcuni motivi sentiti come ossessivamente
presenti alla coscienza, prevale e sopraff� quello de]l'indagine critica; ep-
pure, alla fin fine, � l'intelligenza del Serra che trionfa, la consistenza della
sua personalit� di � uomo di gusto �: tra irrazionale e razionale il dissidio
viene sanato in un momento di partecipazione totale all'essenza del testo
poetico:

E Paul Fort, se ritorno a paragonarlo coi suoi anziani, con la musica indi-
menticabile di L�lian, con l'intensit� assoluta del carlopolitano, par quasi un
dicitore, un d~seur, prima che un poeta. Il suo movimento � discorsivo, fiorito
di gentilezze e di giochi; ma il cammino che egli segue, si vede, e la sua age-
volezza non rifugge dall'aiuto di un po~ di schema. E anche il ritrno l'aiuta, alla

maniera tradizionale...

Ma, alla chiusura del saggio, quella che si pone in primo piano �, an-
cora una volta, la componente affettiva del rapporto tra il critico e il
testo--non per nulla nel titolo del saggio compare la parola � ringrazia-
mento �:

Io mi contento oggi della mia ballata. Questa � stata il principio e a questa


devo tornare. Questa mi ha lavato, mi ha liberato gli occhi e l'anima dalla
stanchezza, mi ha lasciato quasi nella gioia. La quale sospirava dentro, mentre
gi� attendevo ad altro, e cresceva e fluiva da me come bisogno di ringraziare.
Cos� ho fatto, dunque. Tanto umilmente da conservare alle mie parole la loro
ingenuit� superficiale e sentimentale. Non come un ornamento: come una ve-
rit�, come una mortificazione.

E interessante, a questo punto, notare il valore purificatore, catartico


che il critico attribuisce all'immersione nell'opera poetica, e sottolineare
la presenza di un bisogno di tipo viscerale nella sua partecipazione. E
chiaro che egli non vuol far passare il saggio per quello che non �, e che
d'altra parte ha bisogno di scongiurare le critiche dei lettori pi� sottili
74 con una forma di autoironia: � Ma non bisogna dirlo! se no, non c'� pi�
merito. Dir� anche questo, dunque �. L'ironia, che � una caratteristica fon-
damentale delle anime pi� inquiete di fine-Ottocento (per cui possiamo
avvicinare il Serra a Mallarm�, a Jules Laforgue, per non azzardare para-
goni con il T. S. Eliot del Alfred Prufrock o del Portrait of a Lady, o
col primo Joyce), testimonia uno stato di perenne tensione del pensiero
nei suoi rapporti con la realt�, un timore che ogni parola e gesto scadano
immediatamente al livello della volgarit� (si pensi anche all'Igitur di Mal-
larm�), e, in pi�, nel Serra assume connotazioni fortissime di autodifesa,
l� dove il moto esibizionistico con cui il critico vorrebbe mettere in primo
piano il proprio � io �, si scontra con la percezione di una realt� esterna
che pu� intrudere o ferire.

C'� da aggiungere che la struttura del saggio, il suo particolare signi-


ficato personale che sfugge ad una lettura in superficie, hanno portato a
grossi equivoci gli amici ed i discepoli del Serra, almeno, quelli pi� facil-
mente suggestionabili e aperti ad accogliere piuttosto gli elementi super-
ficiali della lettura serriana che il suo messaggio di critico pi� duraturo.
E il caso del De Robertis il quale, negli anni 1914-15, si rif� proprio al
Serra del Ringraziamento, ed estrae una teoria critica arbitraria se attri-
buita al maestro, discutibile comunque sotto tutti i suoi aspetti, nella sua
insistenza sul valore del frammento poetico. Ne escono dickiarazioni del
genere: � C'� invece chi preferisce leggere i poeti, per spasso, fregandosi
ma gustandoli; -- non cerca altro. Professione modesta. Ma la critica
si f� cos� �. E curioso pensare che il De Robertis possa alludere al Serra,
il quale faceva la critica in maniera molto pi� complessa e ricca; e in
realt� si tratta, da parte del De Robertis, di semplificazioni che si ritro-
vano anche altrove.

Ma nel De Robertis c'� anche una parte non totalmente rifiutabile.


E quella in cui egli insiste sull'importanza del modo di porsi di fronte alla
poesia, � con quel che c'� di idee, di nascosti sentimenti, di pregiudizi, di
ricchezza emotiva, di facolt� di comprendere, di preferenze e simpatie e
intenzioni �. Questa posizione pu� essere giustificata storicamente; pos- 75
siamo vedere in essa quasi ur'esasperazione di una alternativa alla critica
crociana.

Nel Ringraziamento serriano il De Robertis trova gli spunti per la sua


teoria del frammento. Pi� precisamente, nella terza parte del testo ser-
riano leggiamo:

~ un uomo che scrive; non un dio che canta [...]. E nell'uomo, bisogna far
bene la parte necessaria alle debolezze, alle imperfezioni, al mestiere. Dopo, ri-
mane ll dono e la grazia. Rimane la canzone. Non bisogna analizzarla, ma rican-
tarla col suo sospiro che sale e scende.

Il De Robertis trae da ci� insegnamento per le sue riflessioni teoriche:


cos� nelle Collaborazioni, cos� in Saper leggere e in Drammi spirituali.
Ugualmente far� l'Angelini, accentuando vieppi� il carattere orfico della
nuova critica:

L'arte � da godere a particolari staccati, a punti vivi la cui bellezza, pre-


mendola con mano casta, si diffonde come in cerchi concentrici sulle pagine del
libro. L'arte si riduce a poche parole accese che, appunto, tra le molte scritte
in nero, si potrebbero scrivere in rosso, miniandole in oro

Sarebbe ingiusto, peraltro, dare la colpa di ci� al Serra del Ringrazia-


mento: nelle pagine dei giovani critici, in fondo, v'� la parte pi� caduca della
trasformazione e dell'alterazione delle dottrine simboliste (si pensi alle aspi-
razioni del L~vre di Mallarm�). Ma v'� una parte positiva: l'espressione del
travaglio di una generazione nel tentativo di creare un tipo di critica ori-
ginale e, soprattutto, aderente alla poesia dei tempi. Sforzi che non vanno
disprezzati, se si pensa che in essi vi � il desiderio di ridonare un carattere
di sacralit� alla poesia, il cui valore era continuamente messo in discus-
sione dal progresso della scienza e dal crollo di qualsiasi tipo di certezza.

Ma il Serra, rispetto al � Deuterovociani �, � ben altra tempra di in-


tellettuale e di critico, conscio, fin troppo, delle proprie possibilit� e dei
limiti inerenti alla mente umana. Il Ringraziamento verr� da lui stesso defi-
76 nito � lavoro fantastico ~> e contrapposto al � lavoro preciso � delle Lettere:
� Questo mi piace--egli dice in una lettera al De Robertis a proposito
delle Lettere--oggi, e vorrei farlo durare )>. Non crediamo si tratti sol-
tanto di un'affermazione nata dalla particolarit� di un momento, ma di una
convinzione a cui egli giunge lentamente, maturando attraverso una serie
di prove. N� � da dare troppo importanza al Serra quando, riprendendo
i modi del suo vecchio narcisismo, afferma che � non vi � cosa pi� sciocca
di questi lavori che passano per critica �, e ripropone quale condizione
ideale quella del lettore, poich� si contrappone in antitesi a ci� la consi-
stenza della sua opera di questi ultimi anni. D'altra parte la maturazione
del Serra riguarda la sua personalit� tutta intera, e non � casuale la sua in-
sistenza, nelle lettere al De Robertis, sulla necessit� del lavoro come forma
di realizzazione. Di questo fervore costante e produttivo, le Lettere sono
la testimonianza migliore.
Scritto quasi controvoglia, per pagare un debito di gioco, il volume
delle Lettere (1914) mostra che, in un'epoca volta verso la monografia e
l'indagine analitica, � ancora possibile il tentativo di un'operazione di sin-
tesi. Inevitabile � il richiamo al De Sanctis e all'ultima grande sintesi del-
l'Ottocento, ma alla passione del maestro e alla sua certezza nei valori
della letteratura, il Serra sostituisce i modi sottili e inquieti del letterato
del primo Novecento, dove la fiducia nelle opere e negli autori, l'amore
della tradizione e il sentimento della continuit� del fenomeno letterario
� sottoposto agli interrogativi del critico, che vede nel mondo che lo cir-
conda--e di riflesso estende alle opere--un'incertezza corrosiva.

Condotte con una lucidit� estrema e con la coscienza di chi vive in


pieno la crisi di una generazione, sentendone i limiti e gli sbagli, purtut-
tavia non rifiutandoli, ma cercando di recuperare dall'interno, dialettica-
mente, il principio della poesia il cui senso, sempre pi�, tende a sfuggire.
le Lettere rappresentano la summa dell'opera serriana. L'inquietudine del-
l'indole del Serra, e pi� ancora l'inquietudine del suo tempo, sono fattori
condizionanti ai quali egli, a seconda delle circostanze, reagisce come pu�
e come sa, vivendo a volte egli stesso nei travagli dei poeti che affronta,
distaccandosene a volte, ma mai con l'aria della comprensione superiore,
bens� con l'attenzione buona e per nulla tagliente di chi riesce a � pene-
trare � nel mondo dell'autore. Se poi � gi� difficile al Serra l'articolare, lo
strutturare un saggio su di un solo scrittore, nella convinzione che ogni
pi� piccolo elemento, ogni microcosmo � in realt� un macrocosmo suscetti-
bile di infiniti approfondimenti, dovremmo quasi gridare al miracolo per
lo sforzo sovrumano delle Lettere, che abbracciano un panorama cos~ vasto
e sono scritte in un tempo in cui tutto, pi� che chiarire, mira a confondere

L'opera del Serra, dunque, si inserisce come consuntivo di un'intiera


generazione letteraria, esame di coscienza non banale e rendiconto perso-
nale dello stesso critico, che giunge a rimeditare le sue precedenti prove
riprendendo autori dei quali aveva pi� o meno diffusamente parlato, modi-
ficando e riepilogando In una condizione di eccezionale produttivit� di
mercato, mutato il rapporto fra letteratura e pubblico, rinnovatisi e in-
granditi i favori del lettore nei confronti dell'attivit� editoriale, la scelta
operativa del Serra si appunta sopra un materiale eterogeneo, in cui � arduo
distinguere tra semplice prodotto artigianale--letteratura come oggetto
di consumo--e opera di dignit� letteraria, soprattutto in quanto che in
uno stesso scrittore possono coesistere i due livelli. Ma il significato delle
Lettere non si limita a questo; esse costituiscono veramente un'opera po-
lisensa, in cui, al di l� dei temi di pi� semplice individuazione--i giudizi
sulla letteratura del suo tempo--compaiono motivi pi� sottili, primo dei
quali � il riconoscimento definitivo (si legga anche l'epistolario serriano
di questo periodo) che un mondo, quello del Carducci, � irrimediabilmente
tramontato, e che si possono finalmente definire i rapporti fra la vecchia
generazione e la nuova. In tal modo emerge dalle pagine l'individuazione
delle caratteristiche delle due et�: la prima, quella della poesia, ma nello
78 stesso tempo et� dei pregiudizi. In essi, tuttavia, pi� che la debolezza, il
critico vede la forza di questa et�: essi stanno a salvaguardia di un'ordine
di cose, il cui equilibrio precario viene a crollare quando i pregiudizi si
sciolgono. Ne esce una nuova generazione, aperta a tutti i problemi ine-
renti alla natura umana, ma intrinsecamente debole, fragile, che assiste al
crollo del mito senza poter opporre nuove valide certezze.

All'insegna, dunque, di un'epoca caratterizzata da valori fortemente


instabili--e la guerra � ormai alle porte--il critico compone le Lettere
movendo dal procedimento a lui congeniale di tesi e antitesi, che solo pu�
soddisfare la perenne tensione fra razionale e irrazionale tipica del suo
animo, per risolvere il tutto in una sintesi ispirata a motivi di carattere
affettivo:

Ma se pensiamo che tutte queste fatiche e uomini appartengono, al di sopra


del momento, alla letteratura, cio� alla vita intima e durabile e vera dell'Italia,
allora ci scordiamo di quel che piace e di quel che non piace, e vogliamo ricor-
darci che tutto � cosa nostra, e per questo l'amiamo.

La dialogicit� del Serra, la sua ironia che � sempre sofferta e mai provo-
cata dall'esclusiva lucidit� dell'intelletto, lo portano a sensibilizzare al-
l'estremo il discorso critico. Ecco allora il capitolo delle Appare~ze, dove
il critico sembra giocare sconsolatamente con le opinioni comuni, che ve-
dono tutto bello e facile e felice nella nuova cultura italiana, e rompono
con il passato con la sicura tracotanza che deriva dalla scarsa coscienza dei
propri limiti:

Un fastidio leggero erra con un sorriso di superiorit� sulle labbra di una


generazione che ha composto pietosamente nel sepolcro i suoi padri, che
onora i suoi maestri, ma che si sente oramai libera e tanto lontana da ogni loro
influenza !

Nella coscienza della vuotezza di queste parole sta il dramma di un


mondo che va alla deriva, e l'immagine acquatica di cui ci siamo valsi non
� casuale, se pensiamo a quello che il critico scrive una pagina dopo: � Il
silenzio � sordo e uguale per tutti. Come poco tempo � bastato a som- 79
mergere rumore e reliquie! Pare che l'acqua le abbia coperte, o piuttosto
la sabbia che � pi� muta, pi� anonima, innumerevole e liscia [...] e as-
sorbe e ingoia nella profondit� vana e deserta �, dove la generazione nuova
sembra navigare alla cieca sul mare che copre impietoso le reliquie de-
gli avi.

La � fedelt� meccanica del cronista � scava e corrode un tessuto di


frasi fatte e vuote (� il classicismo ha un valore piuttosto morale e poli-
tico che letterario �, � l'eredit� del passato � leggera sulle spalle �, � mae-
stri io non ne conosco a questa generazione �, � c'� un fatto, nella storia
di questi anni, un grande fatto politico e nazionale che pare assuma an-
che per la letteratura il valore di un simbolo e di una definizione Non
importa aggiungere parole, poich� si tratta della guerra di Libia �), che
purtroppo troveranno enorme rispondenza presso l'opinione pubblica, al
pari dell'esigenza che l'Italia si affermi come grande nazione. Sarebbe
troppo semplice, comunque, arrivare alla conclusione che il discorso delle
Apparenze � solo quello della gente, mentre quello dei Particolari, esso
solo, � del Serra, poich� in realt�, trascinato dal suo modo di fare ironico,
proprio alle Apparenze lo stesso Serra sar� portato per un momento a
credere: non soltanto il cronista che registra con fedelt� meccanica, ma la
voce singola che si lascia persuadere ad unirsi al coro che scioglie gli
osanna per la nuova letteratura italiana. Solo un momento-- abbiamo
detto--perch� subito dopo il Serra capovolge la situazione, e ne esce
una serie di giudizi calzanti e molto spesso (cfr. il caso del Palazzeschi)
quasi profetici, e le incertezze e i difetti della nuova letteratura appaiono
in tutta la loro evidenza: il trionfo del � tipo unico �, l'adattabilit� degli
studi, la superficialit�, la mancanza di passione e di intelligenza. Nasce di
qui un'idea delle caratteristiche tipiche della cultura italiana del primo
Novecento, nella sua incompostezza ed eterogeneit�. La dissacrazione
della letteratura, operata attraverso la volgarit� dei giudizi e la mancanza
di gusto, viene denunciata dal critico mediante un raffronto diretto con i
tempi antichi, quelli del Carducci. Ancora una volta ricompare nel Serra
80 il problema del suo rapporto col maestro: Carducci come � manuale di
imitazione e formazione spirituale �, con la sua � lezione quotidiana sem-
plice e santa del lavoro, della precisione, del gusto, dello scrupolo, della
religione che arrivava fino all'umilt� e alla disperazione dell'arte �. Tra il
mondo nuovo e il vecchio, il Serra, pur scegliendo il nuovo con tutte le
sue contraddizioni, non solo non rifiuta il vecchio, ma si rivolge ad esso
per trarre esempio dalla saldezza delle personalit� dei suoi letterati. Cos�
anche il � problema � Pascoli non � pi� tale per il critico; svanita la parte
pi� caduca della sua opera, le civetterie e le false ingenuit�, rimane la
poesia. Solo nelle pagine delle Lettere il Serra arriva a riconoscere che
c'� stato da parte sua un principio di identificazione col poeta che l'ha
reso ingiusto nei suoi confronti--come accade a chi ritrova con stupore
e stizza i propri difetti negli altri uomini; ora, del Pascoli, egli vede la
poesia viva, � la qualit� pura, l'accento unico di quel canto, che � incanto
nel cuore; tale, che le contraddizioni e le rotture e i difetti tornano sem-
pre a un principio musicale, che non somiglia a nessuno �.

Pare che il Serra, che aveva gi� pi� volte rinnegato la � religione delle
lettere �, quella che--egli diceva--gli serviva da maschera, qui la riaf-
fermi e la difenda con rinnovata forza, contrapponendola, come valore,
all'enciclopedismo insipido e livellatore delle ultime generazioni, nelle
quali, sotto l'apparenza ambiziosa, egli vede � la povert� intima dell'animo
e dell'arte �. Lungi dall'attribuire la colpa di questo scadimento agli in-
dividui singoli, egli la vede nella trasformazione della societ�, nelle espe-
rienze di nazionalismo e retorica che cominciano a diffondersi; eppure, al
limite, si rende conto che questi caratteri generali � riguardano pi� la
moralit� e il costume che non la letteratura. Nella letteratura importa
l'ingegno degli scrittori e la qualit� delle opere �. Sarebbe ingiusto
censurare -- come hanno fatto alcuni crit;ci -- questa posizione del
Serra, vista come un atto di disimpegno e di rifiuto nei con-
fronti di una letteratura � progressiva �. In realt� il Serra era
fortement~ legato alla cultura e ai gusti del suo tempo, all'educa-
zione ricc~ ;ta dai maes~ri, e se pure avvertiva tutta la crisi della sua ge-
nerazione~ non poteva certo, profeticamente, anticipare atteggiamenti di
molto posteriori. Tra l'altro, nelle stesse Lettere, la condanna dell'Oriani
pi� superficiale ripropone un impegno del critico il quale, con gli stru-
menti che il suo tempo e la sua personalit� gli mettono a disposizione, si
batte a favore di un rinnovata moralit� ma, in ultima analisi, pare am-
mettere che il fatto letterario pi� che altro implica un discorso di ingegno
e qualit�. Comunque egli stesso ben comprende che la falsit� dell'animo
di necessit� provoca una qualit� scadente, come nel caso del D'Annunzio
pi� noto; ed ecco rientrare allora nella problematica serriana quell'idea di
mondo morale che egli tendeva, con un atteggiamento di eccessivo for-
malismo, ad escludere dal rapporto con la qualit� letteraria. Importante
perci� � il riconoscimento che il D'Annunzio migliore � nelle ultime
cose, dove il ricorso alla memoria e al cuore indica un rinnovamento del-
l'animo del poeta, che si fa pi� sottile, pi� personale.

Nel macrocosmo delle Lettere si agitano, quasi in sospensione, le infi-


nite questioni che il Serra si era riproposto pi� volte durante la sua vita;
tale, ad esempio, il problema delle � cose �, comparso spessissimo nei suoi
scritti. Ma qui, con chiarezza estrema, il rapporto � cosa-letteratura � viene
definito nelle sue connotazioni, anche se il critico vi arriva quasi inciden-
talmente, parlando di Salvatore Di Giacomo. Nella pagina di lode del
poeta napoletano, infatti, appare la certezza che solo l'uso dello strumento
letterario pu� dare rilievo e valore poetico alla � cosa �: e questa asser-
zione sana definitivamente il dubbio che egli si era posto nel Pascoli, dove
le cose sembravano quasi staccarsi dai versi. Allo stesso modo, un altro
problema, quello del ricorso all'intuizione, viene a trovare qui una riso-
luzione interessante; nei ritratti del D'Annunzio e del Croce lo sciogli-
mento dell'ansia dell'analisi nel momento sintetico del ritratto � soprat-
tutto in funzione delle possibilit� ignote e future--piuttosto che pas-
sate-- dello scrittore, sul cui viso il Serra spera o si illude di poter
cogliere la prefigurazione di ci� che sta per giungere. Lo stesso Croce,
inoltre, � visto qui nel suo giusto valore. � Croce o del progresso �, si
potrebbe intitolare alla maniera di Voltaire il capitolo serriano. Realmente,

82 nell'intuizione della caratteristica vera dell'ingegno crociano, il progresso


continuo e dialettico, troviamo una delle cose pi� felici del saggio. Anche
il capitolo sui Versi (Di Giacomo, Gozzano, Palazzeschi sono le perso-
nalit� che maggiormente spiccano) e quello sulla Prosa (esistenza di un
tipo di narrativa unico~ recezione delle forme esteriori e pi� appariscenti
della fiction europea, mediocrit� generale, stilizzazione; ed indagine ca-
pillare nel mare magno della narrativa italiana, con moltissimi giudizi fe-
lici--Verga, Deledda, Beltramelli, Panzini--e qualche inevitabile sfa-
satura, Soffici, Papini, troppo vicini al Serra) e l'ultimo sulla Critica let-
teraria (evidenza dell'osmosi fra i due tipi di critica, quella dei giornalisti
e quella dei professori, mania del � dramma spirituale �, crollo dell'eru-
dizione e novit� della giovine critica: il Cecchi--si legga l'analisi esem-
plare che il Serra gli dedica--e, per alcune doti, il De Robertis) signi-
ficano la maturit� critica e la precisione di giudizio a cui il Serra � giunto.
Egli, finalmente, non si inibisce la facolt� di giudicare; capisce che essa
� complemento dell'attivit� critica. Ma la sua aristocrazia spirituale, il
gusto e il senso della misura, gli impediscono la scelta di quelle stronca-
ture, che pure la produzione di molti autori avrebbe potuto offrirgli. Non
giustifichiamo dunque la violenta recensione del Boine al volume ser-
riano. Che il Serra--come voleva il Boine--non fosse un � moderno
conservatore �, lo mostra anche la conclusione del libro, non priva di una
apertura fiduciosa verso la letteratura dell'epoca. Se mai, c'� da notare
che le perplessit� del critico si appuntano in particolare sulla produzione
in versi, ed esaminando a posteriori la stessa non possiamo non consen-
tire con i suoi giudizi. Saba e Cardarelli, infatti, le due voci pi� genuine
dell'immediato dopoguerra, non avevano ancora dato il meglio di s�, e
cos� anche Onofri, Rebora e Sbarbaro.

Ma quel che pi� importa--e sotto questo aspetto potevamo parlare


delle Lettere come di un'opera polisensa--� l'individuazione e l'enun-
ciazione non programmatica di un'idea della letteratura, che si enuclea
cogliendo e assommando le singole osservazioni, e he porta un chiari-
mento della problematica letteraria serriana. La sua ricerca del vero arti-
sta, del resto, lo porter� nelle ultime lettere, quelle del 1915, a parlare 83
dei suoi interessi verso autori che erano sempre rimasti un po' in ombra
nell'epistolario: l'Ariosto e il Manzoni.

Vero artista--riprendiamo in parte le frasi trovate nelle Lettere--


� per il Serra colui che non � servo della parola e del particolare. Vero
artista � colui che possiede l'analisi, che � la seconda vita delle impres-
sioni; colui che possiede sincerit� e profondit� nelle riflessioni, la potenza
di leggere dentro le anime e di creare persone salde, secondo la sua vo-
lont�. Vero artista � colui per il quale le parole vivono, con gioia e de-
siderio.

Tali affermazioni, che ci fanno constatare come il Serra fosse molto


pi� in l� di un frammentismo lirico alla De Robertis, lo portano a rifiu-
tarsi di esaltare una letteratura contemporanea che non si leva al di sopra
di un livello medio, e nello stesso tempo ad identificare il vero artista
(negandone la collocazione nel mondo dei � possibili �) con personalit�
autentiche della storia letteraria italiana: il Boccaccio, per fare un nome
a lui particolarmente caro, e l'Ariosto e il Manzoni, come vediamo an-
che da alcune pagine inedite di appunti conservati alla Malatestiana.
C'� da dire inoltre che, a proposito del Panzini, il Serra sembra porre,
seppure in maniera molto indiretta, la risoluzione di un altro problema
teorico, ipotizzando, negli scritti del suo conterraneo, due livelli, uno
quello del lirismo puro e l'altro quello della letteratura. Ma questa di-
stinzione, a cui gi� egli accennava nello studio sul Ferrari, non trover�
seguito nelle pagine successive o nelle lettere dello stesso periodo. Il
Serra del 1914-15, pur non tralasciando l'approfondimento teorico del
problema letterario, guarda piuttosto al � dramma morale � con interesse
sempre accentuato, pensa alla necessit� di un � esame di coscienza � della
sua generazione, che le Lettere non hanno completamente soddisfatto. Via
via che la sua maturit� di uomo e critico va configurandosi, acquista in
autonomia e forza.

Nel luglio 1914 viene richiamato alle armi per un'esercitazione di una
trentina di giorni; e la guerra gi� scoppiata in Europa apre nuove proble-
84 matiche e ne riapre di vecchie nella coscienza serriana. La certezza mag-
giore che gli resta �, a questo punto, il ricordo del passato, e ne d� atto
in una lettera affettuosa al Croce, dove alla minaccia della guerra che in-
combe, viene contrapposto il valore della realt� del tempo trascorso:
� Anche oggi lo ridico a me stesso, tutto ci� che � stato una volta � in
eterno; noi cambiamo, e ci allontaniamo e ci rinnoviamo a ogni atto; ma
il nostro passato, caro e doloroso, rimane sempre �. ~ lecito, si chiede il
Serra in un'altra lettera di poco posteriore, indirizzata al Linati, parlare
di articoli e di letteratura, mentre l'Europa � in armi? La risposta, in
un primo momento, � negativa: � non si pu� parlar altro che prendere
la nostra parte di questa gran passione dell'umanit�; ahim� coll'animo
soltanto, finora, e con l'ironia addosso di un dovere e di un destino man-
cato. Ma chi sa? �.

Appartengono a quest'ultimo periodo della vita del Serra gli appunti


sul Rolland, � un debito non pagato �, che si port� appresso fino alla
morte. Abbiamo gi� parlato della singolare passione con cui il Serra vi-
veva il mondo morale dello scrittore francese, quasi volesse trovare in
esso un motivo di certezza, di fronte al disfacimento dei valori morali
di una generazione. Ma il Rolland � qualcosa di pi�. Non � incidentale,
negli appunti serriani, il continuo ripetersi delle metafore acquatiche
(� l'acqua, la vita, il murmure inestinguibile, l'acqua che mi bagna, la
vita che mi prende �). C'� da parte del Serra un'identificazione del Rol-
land con l'immagine paterna, virile, o comunque con il principio gene-
ratore di vita; e da questa operazione mentale scaturisce il fascino del
narratore. Ma c'� ancora qualcos'altro: il libro � legato a un ricordo del
critico, un amore ormai lontano e passato, ma sempre vivo nella co-
scienza. I1 movente affettivo, dunque, ha un peso determinante nel rap-
porto fra il Serra e il Jean-Christophe; e bench� egli si accorga che il
libro � mediocre e affermi l'esigenza di un'analisi fredda e precisa, le ra-
gioni del cuore si impongono con una violenza sottile. Che poi il libro
sia una storia di crisi e rinnovamento, non pu� che accentuare l'interesse
del Serra, che della precariet� di un mondo �, nello stesso tempo, spet-
tatore ed emblema, e il cui rinascere a nuova vita, sciogliendosi a fatica
dalle pastoie dei pregiudizi, comporta tutto un viaggio non solamente di
tipo conoscitivo, a livello dell'intelletto, ma pi� profondamente vissuto
come esperienza umana totale, che necessariamente implica fasi negative
di angoscia e sconforto, nel momento in cui egli prende lentamente co-
scienza della sua realt� di uomo nuovo. Riguardo a tutto questo, la morte
in guerra, interrompendo l'iter del processo serriano, lascia una sorta di
punto di domanda a una quantit� di problemi ancora aperti. Tornando al
Rolland, si pu� effettivamente parlare di un Serra saldo e consapevole, so-
prattutto l� dove egli indica l'esigenza di anteporre la verifica della potenza
e della consistenza artistica al bene che il critico pu� volere al narratore
Ripensando al Kipling, non sfugge il progresso delle modalit� d'accosta
mento al testo e delle risoluzioni critiche del Serra, bench� risultino in
primissimo piano le due valenze di affettivit� e ragione, che pure si com-
pongono, finalmente, nel giudizio � totale �, che tiene conto dei due ele-
menti, anche se vi � sempre il pericolo, nel Serra, che essi si scindano
per perseguire strade autonome. Tra l'altro, il Jean-Christophe � vissuto
con tanta intensit� dal critico per la presenza di un altro motivo di grande
rilievo: la guerra. Sulla guerra, troppo spesso ridotta a fenomeno razio-
nalizzabile, e nulla pi�, dagli uomini del primo Novecento, egli ha parole
di verit� autentica, che riflettono anche la sua � filosofia � interiore:

Ognuno � quello che �. La guerra non crea, non cambia niente. Non ne
uscir� l'arte nuova, se ci sar�. E se non ci sar�. Perch� questo � pi� sconsolante
e pi� amaro alla fine, amici miei.

In breve, � negata qualsiasi funzione catartica, o rigeneratrice della


guerra; in opposizione alle opinioni che vedevano nella guerra l'inizio di
una nuova era. Lo scetticismo del Serra, consapevolezza sofferta dei limiti
e delle possibilit� dell'uomo, non implica tuttavia una rinuncia all'azione
eppure, dinanzi all'azione, egli si trova vittima di una certa passivit�
quasi con la rassegnazione che quello che deve succedere accadr�, e nello
stesso tempo con lo sdegno di chi autocensura le proprie debolezze, e
86 vorrebbe risorgere alla pienezza e alla freschezza degli ideali.

Ma gli ideali dove sono? Quelli vecchi, del Carducci, perduti, morti
e poi fatti rinascere da una comunione di affetti, e poi ancora distrutti
dalla ragione; ideali nuovi il Serra non ne conosce, se non l'esigenza di
una morale e di un dovere che, essi soli, gli posson dare la forza per
vivere. Ecco allora che acquista un particolare significato l'esperienza
del Rolland, che � � un grande di anima >~. N� il � problema � Rolland
pu� essere liquidato, finch� il Serra non abbia dato una soluzione accet-
tabile all'interrogativo della sua funzione nel mondo. Cos�, pochi mesi
prima di morire, nelle trincee del Podgora, egli torna ai suoi appunti sullo
scrittore francese. Sopra di s� ha il cielo delle � acquate tepide �, e tutta
intorno una � primavera [...] pesante in questo paese di canali e acqui-
trini �. I1 libro, portato appresso non per essere letto, � un obbligo e in-
sieme quasi un talismano; eppure il Serra si accorge che il tempo � pas-
sato, che forse non vale nemmeno la pena di parlare di esso, o che forse
non ve n'� realmente il tempo, e la morte gliene toglier� la possibilit�.

I1 primo aprile 1915 il Serra � richiamato alle armi, ed assegnato, in qua-


lit� di tenente, all'undicesimo fanteria, di stanza a S. Vito al Tagliamento.
Di fronte all'interventismo retorico e gonfio degli uomini di � Lacerba � o
alla posizione ambigua del De Robertis, il Serra assume un atteggiamento
molto pi� dignitoso e sincero, e soprattutto umilmente conscio della po-
chezza della condizione umana. Ne danno atto le bellissime lettere scritte
dal campo e l'Esame di coscienza di un letterato. Nelle prime viene riac-
quistato un senso vivissimo de11a natura, in mezzo alla quale il critico
realizza una sua umanit� meno mediata dalle sovrastrutture deJl'esistenza
quotidiana, pi� istintuale; e l'uomo adulto si ritrova fanciullo nel con-
templare lo spettacolo della vita pulsante che gli sta attorno. Nel secondo
si riassume l'esperienza di vita di un uomo, che si prospetta la possibilit�
della morte in guerra, ma che per questo non rinuncia ad affrontare la
sua problematica, cos� come si � andata articolando negli ultimi tempi.

Per meglio comprendere l'Esame, � bene aver presente lo scritto del


De Robertis, La realt� e la sua ombra, di cui quello del Serra �, in un
certo senso, una risposta. Le pagine del De Robertis, rilette a distanza di
cinquant'anni, danno un senso di falsit� e vuoto. Egli, sostenendo l'ine-
vitabilit� della guerra, ma aggiungendo: � E questa non � la nostra
guerra �, si situa in una posizione di comodo; e da questo angolo di
disimpegno attua una pseudo-critica impegnata sconsolatamente retorica:
� La guerra porta a un riesame di noi stessi. E perci� � un bene. Pu-
rifica �. Lo stile franto, la perentoriet� degli asserti sottolinea la cecit�
del critico, il quale giunge al punto di dire che la letteratura � l'� espres-
sione massima della nostra coscienza �. Messa in dubbio dagli uomini di
� Lacerba � la possibilit� di fare della letteratura in tempo di guerra, il
De Robertis risponde riproponendone la necessit�, anzi insistendo sul-
l'opportunit� di continuare a farla � come la si � sempre fatta �, e con-
cludendo che � i letterati veri sono i soli uomini che esistano in Italia �.
A parziale riabilitazione del De Robertis, va detto che negli anni poste-
riori egli offrir� molto miglior prova delle sue capacit�.

Il Serra, certo, anche nell'Esame, si eleva ben pi� in alto delle posi-
zioni vociane. Dove negli altri la componente dominante � quasi sempre
il tono lettterario retorico (nel De Robertis addirittura la letteratura �
anteposta alla vita, e alla fine la uccide), nel Serra sentiamo la passione e
la sincerit� dell'animo, che si dibatte fra contraddizioni e dubbi, ma porta
avanti il pi� possibile la sua ricerca personale. Lettera aperta al De Ro-
bertis, in un certo senso, l'Esame inizia con l'adesione alla tesi derober-
tisiana sulla possibilit� di far della letteratura, nonostante la guerra, che
avviene peraltro con modi gravi e pacati, e con l'atteggiamento pensoso
di chi ha da risolvere, assieme a un problema, il nodo della propria vita.
Il conflitto fra razionale e irrazionale raggiunge qui la sua evidenza mas-
sima: ne danno prova l'uso frequente delle antitesi e le brusche variazioni

88 di stile. Ma l'intiera struttura del saggio si regge--ancora una volta!--


su un procedimento per tesi ed antitesi: letteratura e guerra sono ai poli
opposti di un sistema, (quello che nel Pascoli era letteratura e vita), e si
pongono in un rapporto di apparente esclusione reciproca. Spetterebbe al
critico, dunque, la possibilit� di scegliere a favore dell'una o dell'altra,
dato che esse paiono appartenere a due piani non comunicanti. Realt�
autonome, l'una non pu� modificare l'altra, e le conquiste spirituali non
possono essere alterate, n� tanto meno cambiate, dalla guerra.

I1 solito atteggiamento di lieve ironia, o meglio autoironia, del Serra


nei confronti della sua letteratura, che egli si estrania al massimo nella
misura in cui sente il suo amore per essa, qui si rinnova e ritrova modi
di autodifesa che gi� conoscevamo: � [La letteratura] � la cosa che per-
sonalmente mi tocca meno, forse; in margine della mia vita, come un'ami-
cizia di occasione; verso la quale ho meno diritto di essere ingiusto �.

Le prime pagine dell'Esame valgono anche ad approfondire la nostra


conoscenza del � positivismo � serriano; sono indicativi in questo senso i
richiami alla � terra stanca �, su cui � non cambier� nulla, dopo la strage �,
alla vita che � continua, attaccata a queste macerie, incisa in questi sol-
chi, appiattita fra queste rughe, indistruttibile �, al � formicolare � degli
uomini, � piccoli perduti nello squallore della terra �. E dunque difficile
per il Serra liberarsi dalle ragioni di sfiduciata amarezza che avevamo
visto, quasi identiche, nello studio sul Pascoli. Queste considerazioni lo
assorbono totalmente, gli fanno lasciare da parte il problema della lette-
ratura, che sembra non interessargli pi�, e parlare esclusivamente della
guerra. La guerra, che si deve affrontare vivendo. E allora egli vede
crollare davanti a s� i miti della razionalit�, della logica, svanire tutte le
ragioni intellettuali ed universali, e restare solo la passione, l'elementa-
rit� del sentire. Il bene e il male non sono due realt� compenetrantisi, ma
momenti distinti e non connettibili di una vita:
Ma non c'� bene che paghi la lacrima pianta invano, il lamento del ferit~
che � rimasto solo, il dolore del tormento di cui nessuno ha avuta notizia, il
sangue e lo strazio umano che non ha servito a niente. Il bene degli altri, di
quelli che restano, non compensa il male abbandonato senza rimedio nell'eter-
nit�.

Ma dall'affermazione della passione che pervade gli uomini portati ad


affrontare il pericolo della battaglia risorge, quale momento di sintesi, la
letteratura. Essa non pu� venire eliminata dalla vita del Serra (l'unica so-
luzione in senso opposto sarebbe il silenzio dell'Igitur mallarmeano, il
so~o sopra la candela davanti alle ceneri degli antenati): egli si accorge,
infatti, che anche nell'enunciazione della pura passione non riesce ad
uscire dalle modalit� della letteratura; e quello che prova
marico, ma un senso di contentezza, come se finalmente la
fosse pi� strumento morto, inutile, ma vita.

Se svolto con impegno e coerenza morale, per certo il compito del


letterato �, secondo il Serra, uno dei pi� degni che esistano. Esce a que-
sto punto una delle confessioni pi� veramente autentiche del critico, i1
quale per un attimo getta la maschera e scopre sino in fondo il suo mondo
interiore:

non � un ram-
letteratura non

Del resto viviamo, poich� non se ne pu� fare a meno, e la vita � cos�
E facciamo magari della letteratura. Perch� no? Questa letteratura, che io ho
sempre amato con tutta la trascuranza e l'ironia che � propria del mio amore
che mi sono vergognato di prender sul serio fino al punto di aspettarne o ca-
varne qualche bene, � forse, fra tante altre, una delle cose pi� degne.

rl ritrovamento di una certezza, e l'unione fra due piani, letteratura


e vita, sempre precariamente scissi, si attua in queste ultime pagine del-
1'Esame, e viene riaffermato da parte del Serra il senso della letteratura,
la sua funzione necessaria, con una modestia che pare grande se confrontata
con la noiosa sicurezza di s� degli altri giovani letterati dell'epoca. Pas-
sione e letteratura non si escludono; come non si escludono istinto e ra-
gione; la letteratura, � cosa non affatto futile n� inutile �, consente che
accanto ad essa si situi la natura, e la vita, e anche la guerra, e la morte.
I1 Serra � giunto all'autocoscienza dei suoi modi di affrontare la realt�

90 ha riportato a galla quell'istinto che pareva incutergli tanta angoscia senza


denegarlo. Non c'� ombra di retorica in questo Esame di coscienza, ma
solo la tristezza consapevole di chi ha conosciuto un poco di se stesso, e
si trova in una situazione provvisoria, in bilico fra vita e morte. Negli ap-
punti sul Rolland, nell'Esame e nelle ultime lettere dal campo, non sono
accidentali i richiami del Serra al fatto di sentirsi tagliato fuori, di capire
che � troppo tardi, che la verit� � arrivata quando non si pu� cambiare la
realt�, troppo legata alla contingenza del momento. E allora che cosa resta
se non rifugiarsi nella natura-madre, viva e protettrice, � cara terra, dura,
solida, eterna; ferma sotto i nostri piedi, buona per i nostri corpi �, come
fa il Serra nelle ultime pagine del suo scritto? E riconoscere una fratellanza
umana al di sopra di tutte le estraneit� e le alterit�? Qualcosa di provvi-
sorio, d'accordo, ma che indica tuttavia come la partecipazione del Serra
alla realt� che lo circonda non urti contro barriere di sorta.

Gli ultimi mesi di vita del critico trascorrono in mezzo al travaglio della
guerra, imminente e poi scoppiata. Il 16 maggio, al fronte, cadendo da una
automobile, riporta una lesione della base cranica; trascorre un mese di
convalescenza a Cesena; ma agli inizi di luglio ritorna alle trincee, sul Pod-
gora. Si sviluppano in questo periodo molte riflessioni che divengono
convinzioni; e la principale �, coerentemente alla problematica serriana,
l'esigenza di un bilancio morale, che avvenga a guerra finita; non solo
personale, ma di tutti quanti, e che implichi il riconoscimento del prin-
cipio primo della coscienza umana: il rispetto della verit�. Nelle ultime
lettere, tuttavia, dimentico dei problemi della letteratura e della societ�,
il Serra si concentra tutto nel suo rapporto con la natura, i colli induriti
dal sole, la calma immobile del mezzogiorno, i cieli sbiancati e scolorati.
C'� in queste pagine uno strano presagio di morte, che si intuisce soprat-
tutto nell'affinamento dei sensi, i quali percepiscono anche le pi� piccole
manifestazioni di vita, e nel distacco dal mondo � esterno �. Il Serra
ritrova una semplicit� da lungo tempo sconosciuta; le lettere sono ai pa-
renti o agli amici e, in particolare, alla madre.

Cos�, dimessa, latrice di poche e brevi notizie, arriva l'ultima cartolina


del 20 luglio 1915, indirizzata alla madre:
Cara mamma, un saluto in fretta anche stamattina, alzati all'alba. Niente
di nuovo: le solite vicende di temporale e di sole, e lo spettacolo di un'azione
che si intravede e si sente rumoreggiare sui monti circostanti. Noi sempre al
nostro posto, con molte faccende dei servizi di seconda linea...

Nel pomeriggio dello stesso giorno, in un'azione di guerra improvvisa,


per la conquista di una trincea austriaca, il Serra cade, colpito in fronte.
Si � scritto anche troppo sulla sua morte, e si � voluto vedere in essa, per
il fatto che egli si lev� in piedi sopra le trincee, prima di essere ucciso,
un sacrificio volontario. Ma, se � vero che l'animo umano �, nel suo pro-
fondo, insondabile, chi pu� veramente spiegare il significato di quest'ul-
timo gesto? Il Serra se ne � andato in silenzio, e il frastuono degli uomini
della � Voce � in quell'assurdo numero unico che gli dedicarono, lo avrebbe
solo infastidito. Ma il suo testamento spirituale � stato veramente enorme,
e se nella coscienza del lettore quello che pi� rimane di lui �, a prima
vista, l'impressione di un'affettivit� buona ed inesausta, in lott� perenne
con la sottigliezza dello strumento razionale, sarebbe ingiusto fermarci
qui e trascurare gli altri meriti grandissimi. Accanto all'uomo, dalla pro-
blematica cos� vasta e profonda, sta il critico, decisamente il migliore della
sua generazione, quello che ha visto pi� chiaro nell'esame degli scrittori
dell'Italia moderna. Chiunque, infatti, voglia, anche al giorno d'oggi, in-
traprendere uno studio su uno scrittore del]'ultimo Ottocento o del primo
Novecento, non pu� non partire dal giudizio del Serra, sempre preciso e
sottile. Se dunque � doveroso constatare l'importanza della sua figura nella
storia della cultura italiana del primo Novecento, la validit� sempre viva
dei suoi saggi critici, se � bene soffermarci--come abbiamo fatto a lungo
--sui modi e le caratteristiche della sua critica, e sui progressi di essa
attuatisi nel breve spazio di dieci anni, fra la tesi di laurea e la morte,
� ancora qualcos'altro che vorremmo mettere in primo piano. Nel Serra,
infatti, oltre l'inquietudine della sua indole, si � manifestata un'inquietu-
dine pi� forte, quella del suo tempo, e l'uomo nuovo del primo Novecento,

92 uno strano miscuglio di debolezza e vitalit�, quello che esce dal lento ma
progressivo disgregarsi dei valori della tradizione, vede in lui l'emblema
pi� significativo.

C'� un altro aspetto del Serra che, a questo punto, va rilevato: si tratta
della sua personalit� di scrittore. Se infatti le sue opere critiche acquistano
un rilievo particolarissimo, ci� � dovuto anche alla finezza del suo stile,
e, oltre ad esse, esiste la ricca documentazione dell'epistolario ad avvalo-
rare la nostra impressione di essere di fronte a uno scrittore di pregio.
Riimmergendo poi la produzione serriana nel patrimonio culturale del
suo tempo, e procedendo ad una serie di raffronti, tale impressione non
pu� essere che convalidata, rafforzato il convincimento di trovarci davanti
a un modo di scrivere personalissimo e, per molti versi, affascinante.
Quello che nel Serra � efficacia stilistica e dote naturale, diviene nel De Ro-
bertis e nell'Angelini maniera, narcisismo, e il Cecchi giovane, per parte
sua, � ancora avviluppato in uno stile denso e verboso. N�, d'altronde, �
pi� convincente il Borgese, in cui lo stile da pubblicista � sorretto, ma nello
stesso tempo appesantito, dell'uso continuo della metafora. Resta il Cro-
ce, la sua parola piana e il suo stile limpido, che trae la forza dalla
saldezza e dall'omogeneit� del procedimento discorsivo; ed effettivamente
non si pu� disconoscere l'originalit� della prosa crociana. Ma, come nel
ragionamento e nel procedimento critico il Serra � diverso, anche se non
antagonista, dal Croce, cos� nei modi stilistici, movendo da caratteristiche
differenti, ottiene risultati altrettanto apprezzabili.

Come nella storia della critica serriana c'� un incessante progresso, cos�
anche lo stile � soggetto ad un'evoluzione di rilievo, specialmente se si
considera che il punto di partenza � quello del discepolo del Carducci. Tra
l'altro, � impossibile non distinguere i due piani, quello del saggio critico,
dove il discorso si fa pi� consapevole e l'autore � maggiormente attento
alle movenze formali, con tutti i pericoli che questo comporta, e l'epi-
stolario, dove troviamo un Serra pi� sciolto, disinibito, meno preoccu-
pato dell'eventuale pubblico. Pertanto, volendo giungere a definire le
connotazioni dello stile serriano, conviene procedere per campioni, se-
guendo la cronologia dell'epistolario e quella degli scritti critici. Cos�, sfo-
gliando le pagine della tesi sui Trionh, troviamo ancora un Serra atteg-
giato a classicista, la cui prosa, pur rivelando una notevole efficacia e forza
intellettuale, � di frequente impaludata in forme arcaicheggianti, special-
mente nell'uso ripetuto di formule di collegamento o di bilanciamento
del periodo, retoricheggianti (di leggieri, s� che, che altra... se non, alcuna
volta ecc.) e in genere � preferito l'impiego, non appena � possibile, della
tronca nelle forme verbali e nei sostantivi. Allo stesso modo, le lettere del
1902-04; anche se meno composte, rivelano appieno l'influsso della scuola
carducciana. C'� sempre il rischio, in questi primi scritti, che la forma
rimanga qualcosa di esteriore, un bel vestito sovrapposto al contenuto.
Ma basta giungere alle lettere del 1905, quelle scritte da Roma, per tro-
vare un Serra quasi completamentte autonomo e originale. Pu� servire da
esempio la famosa lettera all'Ambrosini del 7 agosto 1905, spedita dal-
l'ospedale m`llitare del Celio, di cui riportiamo un passo:

Pare che sia stato fatto apposta per me; coi suoi padiglioni rossi disposti in
lungo ordine su la costa del Celio, fra carpini e felci e pini dalla verdissima
ombra. Io ci passeggio in veste tra l'ammalato e di frate zoccolante--cami-
ciotto di bordatino azzurro, calzoni bianchi e amplissime ciabatte; e m~assaporo
tutto, in un silenzio raccolto, la gioia dell'ozio, la gioia di una vita di avveni-
menti ma cos� fiorita dall'immaginazione, cos� ricca nella sua placida egualit�.
Io percorro sempre gli stessi viali e vedo sempre le stesse cose; il sole na-
scere in quel cielo e arrossare primi quegli embrici; e tramontare in quel luogo
e dorare--che magnificenza di crepuscolo a Roma--ultimi quei pini e quel
nodo di roveri; scorgo fuor delle mura sempre quelle rovine quelle colonnette
quella cappella e quei bigi palazzi: ma sempre nuovo � il mio cuore e il sogno
che l'accompagna. Questa veste ondeggiante di monaco, queste ciabatte che
m'obbligano a una lentezza capricciosa e tranquilla, tutto ci� che qua dentro
mi sequestra dagli uomini, dai loro usi e dagli affanni, mi rende pi� sicuro, pi�
lieto di me, il mio corpo e il mio spirito ritrovano un'agevolezza, cos� lon-
94 tana dalla goffaggine ben nota delle vesti e delle parole e dei modi che sem-
pre m'ha afflitto: e come il sole, filtrandomi tra le grandi persiane verdi nella
camera tacita, sui letti bianchi e sui muri cilestrini, par che mi bagni di fre-
scura e di pace, cos� le amarezze e i rimpianti degli anni perduti, della dolce
vita ch'io non so bere, dell'amore che non ebbi, dell'arte che non so, mi si
tramutano qui in un piacevole incantamento di memorie serene, in un sopore
di quieti desideri, in uno splendore di fantasmi molto grato--ch'io posso ri-
mirare e fingere a mille a mille pi� nuovi, poich� nulla mi urge, nulla mi tocca
di presso; tutto � indefinito, indistinto, tra il sonno e il sogno. Tutti uguali i
giorni; e immobile l'ozio: e ogni azione, decisione, battaglia lontana.

Colpisce subito l'attenzione particolare del Serra alla ritmazione del


discorso, corrispondente ai moti dell'animo. In un momento di ozio e
contemplazione, fuori dalle pene del mondo, la fantasticheria dello scrittore
si allarga, a contatto con la natura, e l'indugiare della mente sui singoli
motivi o particolari � sottolineato dall'insistenza sull'aggettivo: non solo
il qualificativo, ma prima una serie di quegli, quel, quei, quel, quelle, quelle,
quella, quei, poi, nel ritorno a se stesso, iniziano i questa, queste, qua e
poi, intensificandosi il sentimento, il rilievo dato a mio, mio, e il contrasto
finale fra nulla, nulla, cio� il mondo esterno e traumatico che viene escluso,
e tutto, tutti, ovvero il mondo dell'ozio e dei sogni. Che poi l'insistente
ritorno di aggettivi e avverbi e sostantivi alcune volte nel Serra stesso
rischi di far cadere la prosa nel manierismo, lo avevamo gi� notato di
passata a proposito di un brano del Pascoli, quello dove il ripetersi degli
ecco e dei ma crea un effetto di disagio nel lettore, il quale dubita che il
critico voglia, non molto felicemente, fare il verso al poeta. Da notare
ancora, sin dalle pagine del Celio, l'importanza della realt� naturale per
il Serra: � impossibile che egli, nei suoi scritti, non si soffermi spesso
sulle bellezze del paesaggio, che sente particolarmente vive nel suo animo,
quasi voglia sempre stabilire un'analogia tra belt� naturali e poetiche, e
senta che, tutto sommato, le prime sono superiori alle seconde, la vita
vince la letteratura.

Ma la natura pu� essere cantata dal Serra, che le � legato da un moto


affettivo profondo, non con stile distratto e trasandato, ma con l'attenzione
particolare che si ha per ci� che si ama; si spiega cos�, leggendo, ad esem-
pio, le pagine sulla Romagna comprese nel Pascoli, il gioco di assonanze
e rime interne ad echi, come se il critico mirasse a creare una sorta di prosa
poetica. Col Pascoli siamo nel 1909, e forse l'unico difetto che potremmo
rimproverare al Serra � una lieve sovrabbondanza: ad esempio, I'uso del-
l'aggettivo legato al nome pi� per una consuetudine meccanica o di � nu-
mero � che sempre per una reale r�spondenza interna. Il che � comunque
gi� scomparso nelle lettere dello stesso periodo, quasi fosse una soprav-
vivenza di vecchi modi sopra un tessuto completamente rinnovato. Se poi
prendiamo come modello la lettera al Carli del settembre 1908, tutto ci�
ci appare con maggior chiarezza, come parimenti possiamo rilevare la com-
penetrazione del sentimento dello scrittore con la natura che lo circonda:

Dove io non sapendo che mi rispondere, mi pareva di aspettare il domani;


il domani che mai non veniva, men~re il tempo tuttavia passava, inreparabile
tempus. O non mai come ora io lo sento, questo senso dell'~nreparablle, delle
ore che fuggono, delle stagioni che muoiono e non rivivono plU: non mai come
ora mi � stata cos� presente tutta la miseria della morta estate, in questa luce
vivida che mi rivela sotto un cielo basso di piombo il filare dei plOppl im-
moto scolorato e polveroso, e per tutto lo stesso colore spento, la polvere e
il seccume, le foglie accartocciate sui ramelli secchi, l'erba gialliccia a trattl
sul terreno calvo e rugoso, la morte in tutte le cose. Non torna l'estate; non
mi tornano le ore che ho perduto, il lavoro che non ho fatto, la lettera che
non ho scritto. La scrivo ora, ma che vale? non � quella che avrei scritto al-
lora, quel che far� domani non � quel che avrei potuto fare ieri: irreparabile
il tempo.
L'insistenza su alcune parole, la loro ripetizione (il domani... il domani,
non tornano, non quella, quel, non quel, inreparabile, inreparabile, irrepa-
rabile) e l'enumerazione di nomi o aggettivi che procedono per binomi o
per triadi, � dovuta alla volont� fortissima di liricizzare il discorso e dargli
cadenze particolarmente intense. La funzione della natura negli scritti
serriani � inoltre meglio comprensibile se si tiene presente che il suo ciclo
vitale � vissuto dal Serra, per analogia, simile a quello dell'uomo; cos�
96 qui alla tristezza dello scrittore e alla morte del sentimento corrisponde
la morte della natura, sicch� si spiega il rilievo dato agli aggettivi immoto,
scolorato, polveroso, spento, accartocciato, secchi, gialliccia, calvo rugoso.
Lo stile del Serra, insomma, rispecchia fedelmente i diversi moti della sua
affettivit�, fino a trovare momenti di vera poesia nella rievocazione delle
stagioni che muoiono, del tempo che si perde, del corrompimento di ogni
cosa sulla terra. Ma, negli scritti maturi, mai egli corre il pericolo di cadere
nell'estetismo o nella � bella pagina � fine a se stessa, poich� sempre, in
lui, il particolare si unisce alla totalit� del sentire. Ci� accade non solo
negli scritti pi� importanti, ma anche in quelli minori, a testimonianza che
uguale � l'impegno del Serra in tutta la sua opera, e che per lui scrivere
vuol dire vivere con tutto se stesso. Cos� nel Fra' Michelino, con un'aper-
tura improvvisa sulla natura circostante:

Vedevo una terra stanca, sotto un cielo impicciolito e coperto; una grigia
distesa tutta uguale, in cui le abitazioni innumerevoli e immote parevano ma-
cerie disperse e abbandonate dal tempo.

Qui l'aggettivo non ha pi� una funzione statica, come notavamo per
la prosa giovanile del Serra, ma assume significati pregnanti, accentuati
dall'uso costante delle coppie d'aggettivi, e dall'impiego dell'imperfetto
che pare raggelare la descrizione svuotandola di ogni forma di vita. Solo
attraverso tale procedimento il critico pu� introdurre il dramma che � in
lui: � Dove sono gli uomini e la storia? � e negare la validit� della storia
come connessione consequenziale di fatti.

Frequentissimo, specialmente nel Serra maturo, � anche l'impiego del


l'interrogativo retorico, anch'esso adoperato per conferire al discorso una
carica emozionale pi� intensa:

Dove � andato a finire tutto ci�? E le buone lettere e le cattive? [...] Ma


chi mi render� la mia salute, una estate della mia vita con tutti i suoi giorni
di OZIO e di sole e di sogno, chi mi render� i miei pensieri, che non erano
mai stati cos� liberi, e il mio senso che non era stato mai pi� cos� profondo?

o ancora:
97
Chi mi dar� il principio della disciplina quotidiana? [...] dove sono quei
bei pomeriggi in cui un foglio di carta da lettere mi pareva fatto per rove-
sciarci su tutto quel che mi passava nel capo, dalle impressioni delle letture
ai sapori della terra e dell'aria? [...] Ma la poesia dov'�? Dov'� quel verso o
quella parola ch'io possa ridire per mio diletto, pura e sola, avendone piena
l'anima nell'oblio di tutte le altre cose del mondo?

E le citazioni potrebbero continuare all'infinito, perch� nella pagina


serriana l'interrogativo assume un posto di preminenza e, oltre a dramma-
tizzare il discorso, ha altri significati. Innanzitutto, mantiene aperta una
problematica, a cui, in ultima analisi, lo scrittore non sa dare una risposta,
per il fatto che vengono ad essere implicate questioni vitali e immanenti
al destino dell'uomo: il tempo che passa e non torna, la poesia che, sfio-
rata, sfugge, la storia che � incomprensibile, la fanciullezza che vien meno.
Paiono, questi interrogativi, come un'onda che s� allontana dallo scrittore
per tornare subito indietro, e rifrangersi contro lo specchio della sua co-
scienza, e rinnovarsi, e cos� via. Tra l'altro, � interessante notare che l'in-
terrogativo serriano oscilla tra i due poli del �dove? � e del � chi �? con
una frequenza impressionante. Nel � dove? � c'� il tentativo di riscoprire il
passato, non in maniera archeologica, ma strappandolo dagli strati pro-
fondi della coscienza, dal lac dur oubli�, e ricaricandolo di tutte le emo-
zioni di cui era ricco. O, in altro caso, pu� essere il � dove? � di un ipo-
tetico passato, mitico e mai esistito se non nella fantasia del Serra, un'et�
dell'oro in cui gli uomini buoni e puri potevano cogliere per intiero la
poesia, comprendere i nessi che legano fra loro le azioni umane, ecc. Sin-
golarissimo �, poi, I'uso del � chi? �, dove, sotto la formula retorica e al
di l� degli altri significati a cui accennavamo pi� sopra, � postulato un in-
tervento demiurgico, quasi che il Serra, ancora eteronomo, richiedesse un
aiuto sovrannaturale per riavere quello che ha perduto per sempre, e nello
stesso tempo fosse conscio della fragilit� della sua speranza.

Consapevole dell'inesorabilit� del trascorrere del tempo, il Serra �


particolarmente attento al volgere delle stagioni, ed anzi, la parola stagione

98 � uno dei vocaboli-chiave della prosa serriana, dal momento che il suo
significato � applicabile tanto al mutar della natura quanto agli stati d'ani-
mo dell'uomo, transeunti e destinati a non durare. � Cambiano nello spi-
rito anche le stagioni �, dir� al Prezzolini in una fra le sue lettere pi�
belle e pi� ricche. Fra tutte le stagioni, quella che egli preferisce � l'estate.
i~ raro trovare negli scritti del Serra la descrizione di un paesaggio inver-
nale; frequentissime, invece, specialmente nell'epistolario, le pagine dedi-
cate all'estate e all'autunno. Comprensibile questa scelta, se si pensa che
per il Serra l'estate � il tempo del disimpegno, della disponibilit� totale,
del lasciarsi assorbire dal fascino della natura. Con l'estate, le preoccupa-
zioni vengono per un attimo messe da parte, e l'uomo recupera l'istinto
vitale, quello che gli fa godere appieno dello spettacolo della vita e della
natura. Ma, col finire della stagione, il Serra in cui, in generale, la ten-
denza al senso di colpa � fortissima, sente tutta l'angoscia del tempo che
gli sembra perduto; rimpiange i giorni trascorsi e, d'altra parte, la convin-
zione di averli mal spesi lo tormenta. Ed ecco che egli vive la fine della
stagione e l'arrivo dell'autunno come la corrispondente esatta dei suoi
moti interiori.

Nasce da uno stato d'animo simile una delle pagine pi� belle del Serra,
un brano di una lettera, scritta all'Ambrosini da Cesena l'11 ottobre 1911,
che ci fa pensare al Leopardi, non solo per la situazione analoga del rap-
porto scrittore-natura, ma per l'identica condizione del letterato di provin-
cia, che nel � natio borgo selvaggio � continua la sua vita in margine alle
passioni del mondo:

Oggi per esempio i libri mi tornano amici. L'estate � finita, i giorni sono
umidi e silenziosi; la sera per le vecchie strade buie non c � pi� l'andare e
venire delle ragazze e tutte le voci sveglie della piccola commedia paesana. Le
porte sono chiuse e nere; io guardo le stelle e torno a sentire a poco a poco
i dialoghi inquieti dell'anima che ritrova se stessa. Sono stanco, non penso pi�
alla palla alla bicicletta alle carte ai dispetli e ai fervori del sangue. Ho
voglia
di sedere e di guardare. Mi sorride l'ombra di Renan nel giardino del semi-
nario di Issy; seduto fra le spalliere di verde freddo e duro, su un banco di
marmo agghiacciato dalla nebbia d'autunno, con le gambe avviluppate in un:
coperta di lana. Forse viene il tempo in cui far� qualche cosa, di ci� che fra
gli uomini si suol chiamare lavoro; come se anche l ozio e i sogni non fossero
opera !
L'andamento paratattico (una sola subordinata, relativa, che non si
sarebbe potuta assolutamente togliere) non � casuale; dell'animo del
Serra, dalia sua disposizione contemplativa i pensieri sgorgano pianamente
e si dispongono l'uno in fila all'altro, con la lentezza di chi medita sul pro-
prio destino. I � dialoghi inquieti dell'anima che ritrova se stessa � sono
per il momento placati dal senso di stanchezza, dal malinconico constatare
la morte di una stagione: assieme all'autunno torna l'amore per i libri, ma
si riaffacciano contemporaneamente i vecchi problemi, l'incertezza tra let-
teratura e vita, gli interrogativi sul destino umano, la cognizione del tempo
che fugge. Il recupero finale del valore dell'ozio e dei sogni, attuato sul
piano emozionale e con la coscienza del paradosso (lo indica l'uso del
come se e del punto esclamativo) riporta il Serra al suo abituale assillo: il
lavoro che incombe, e che vorrebbe rimandare, e che non sa come com-
piere: insomma, la questione di sempre.

Abbiamo visto, dunque, come il Serra degli anni 1909-11 abbia gi�
uno stile personalissimo, che riflette la sua problematica, la quale ruota
attorno ad alcuni punti cardine. Naturalmente, nella misura in cui la ccm-
ponente che pu� prevalere nella prosa serriana, a volte, � la passione vitale,
c'� il rischio che il discorso si corrompa, si faccia troppo morbido, talora
addirittura snervato. E il caso di molte pagine del Ringraziamento (1913),
di cui avevamo gi� indicato i limiti critici, e a cui vogliamo accennare esa-
minandone anche il linguaggio e lo stile. Baster� citare un breve passo al-
l'apertura dello scritto, per renderci conto di un disagio che determina in
noi una lettura attenta e analitica:

Noia della domenica mattina, aprile scialbo e freddoloso sotto la pioggia.


La ghiaia del giardinetto scolastico, che bisogna attraversare per giungere alla
casa dei libri, sgrigliola e geme tenace sotto i passi, fra i rivolerti giallastri
e le pozzanghere picchierellate di gocce: acqua cruda e smorta, senza un ri-
flesso o un lividore di luce, senza un petalo di fiore o un hlo d'erba che gal-
leggi tenero e dica la primavera. Piove da tanto tempo che l'acqua ha lavato
e portato via ogni cosa tutto � grigio; ribrezzo buio che soffia dal cielo stretto
sopra il terriccio di queste aiuole nude, desolate attraverso le cornici di filo
metallico, con le punte a triangolo che stillano pure acqua. L'erba � rara e
scura come d'inverno, le foglioline nuove, tutte immollate e stinte, sembrano
ritagli di carta verdiccia che il vento abbia appiccicato ai rami lisci come mbi,
neri e grondanti.

Pur ammettendo una certa originalit� nella descrizione, sentiamo, tutto


sommato, qualcosa di dissonante: � la preziosit� delle immagini, troppo
ricercate; l'insistenza sulle allitterazioni (� la ghiaia sgrigliola e geme;
le pozzanghere picchierellate �), la ricerca di un descrittivismo fine a se
stesso. Anche l'assenza del verbo nel periodo iniziale, che in s� potrebbe
dipendere da un processo di riduzione impressionistica, in realt� ci indica
l'attenzione eccessiva dell'autore alla costruzione del brano. Allo stesso
modo, il designare la biblioteca col nome di � casa dei libri �, o i para-
goni finali abbastanza desueti e peregrini, mostrano l'artificiosit� dello sforzo
serriano. E, peraltro, un rischio che il Serra nei suoi scritti quasi sempre
evita, con molto senso della misura; ma qui, dove l'incontro col libro di
Paul Fort avviene in un clima di particolare tensione (l'aprile piovoso, il
ricordo di tre donne lontane, la sessualit� che preme nascosta), la prova
diviene squilibrata, e tutto il saggio, oltre ad oscillare fra diversi piani cri-
tici, traballa su registri stilistici diversi.C'� da aggiungere, a questo propo-
sito, che il cambiamento di registro stilistico � frequentissimo nei saggi
serriani, e corrisponde pi� o meno fedelmente al � modo � critico di cui
egli si sta valendo al momento. Cos� il tono del � grammatico � sar� im-
personale e descrittivo, quello dell'intuizionista profondo e comprensivo,
quello del discepolo dell'Acri, tutto teso a cogliere il dinamismo dell'opera,
vivace e mosso e inquieto. Per solieo, tuttavia, queste alternanze non infa-
stidiscono; anzi, rendono pi� interessante la lettura e offrono un'idea della
complessit� del Serra e dell'impegno del suo travaglio critico. Certo, se dai
saggi critici risaliamo agli appunti preliminari, notiamo un Serra pi� sem-
plice, immediato, l� dove nel testo destinato alla stampa lo stile pu� ser-
vire da difesa, e il moto delle proposizioni e dei periodi, e il cambiamento
di registro stilistico possono costituire una maschera con cui egli occulta
il suo mondo intimo, la sua essenza.

Di straordinario interesse, a questo riguardo, sono le pagine sul Rol-


land, che il cesenate non organizz� mai in un discorso critico unitario.
In esse l'u�mo � scoperto; sembra parlare esclusivamente a se stesso.
Oltre che un discorso critico approssimativo, le note sul Jean-Christop~e
sono anche pagine del diario dello scrittore, dato che egli se le port� ap-
presso, modificandole e facendo continue aggiunte, fino alla morte. La
semplificazione del discorso, a volte addirittura scarnificato, qui non �
dettata da posa o dall'abbandono a un clich� (si pensi invece alla retorica
degli scritti derobertisiani del 1914-15, dove lo stile franto infastidisce e
mostra il compiacimento interno del letterato, che sopraff� l'uomo). E un
procedere per analogie, che riflette un tormento interiore, quello dell'uomo
che porta il peso della sua coscienza e del passato, e l'ansia del futuro--
la guerra--che incombe:

18 settembre--venerd�--caldo e vento (mi fa venire in mente il vento


del giorno dei morti, nella sala di lettura a finestre chiuse: che cosa scrivevo?)
--abbandono il pensiero di parlare della guerra pubblicamente. Ma dispiace
di perdere questi giorni--� dal principio di agosto, press~a poco, che vado
avanti cos�: consumando la mia agitazione e la mia commozione sterilmente (?)
sen~a traccia: ecco. Provo a servirmi di questo mezzo. (N. Non volevo adope-
rare proprio quest'album: che puzza di cuoio fresco e di... Altre volte volevo
invece adoperarlo, o meno, con intenzione: ricordando quella persona. Alla fine
mi sono deciso a tirarlo fuori, solo perch� � qui pronto: se aspetto di trovarne
un altro, mi passa la voglia di scrivere). Bilancio della giornata.

L'abbandono dei-nessi sintattici tradizionali, l'uso continuo della li-


neetta, il trapasso dall'esterno all'interno e viceversa, e lo sdipanarsi di
una serie di analogie che nascono spontaneamente l'una dall'altra, mostrano
la piena modernit� di questa prosa serriana, dove il � flusso della coscien-
za � prevale e subordina la letterariet� dell'espressione. Soltanto qui il
102 Serra realizza quel � grado zero � a cui pi� o meno inconsciamente tendeva,
e la letteratura e la vita coincidono nell'espressione unica del sentimento
dell'uomo.

Una tendenza alla semplificazione, del resto, � presente in quasi tutte le


ultime cose del Serra, anche se nell'Esame di coscien~a ritornano alcuni
vecchi moduli stilistici, che riconfermano l'antica inquietudine dell'uomo
e la tendenza a riportare la passione, sulla pagina destinata al pubblico, at-
traverso un discorso ricco di assonanze, pause brusche, punti interrogativi;
insomma, un periodare complesso che riflette il vario svolgersi e contra-
stare delle antinomie serriane. Sempre nell'Esame, la natura � vista in ma-
niera pi� mediata, e per solito non basta un aggettivo ad accompagnare
il sostantivo, ma ce ne vogliono due, tre, o addirittura uno prima e uno
dopo, e l'incalzare degli o... o... e... e poi... e, e la reiterazione dei sostan-
tivi, quasi che il Serra abbia paura di far precipitare il tono del discorso a
livelli familiari e prosastici, come se la natura, in un momento simile, non
potesse essere sentita se non con accenti di lirismo. Ma nelle ultime lettere
dal campo, quelle che noi crediamo il capolavoro del Serra, il discorso
cambia. Un Serra sobrio, spoglio, che non si preoccupa della � letteratura �,
parlando con persone semplici, dalle quali non teme di essere giudicato, o
cogli amici pi� cari (Angelini e Ambrosini, con il quale si era appena rap-
pacificato dopo due anni di silenzio). Lasciata da parte la letteratura, di cui
evidentemente non � il caso che egli si occupi con Ottavio Guidazzi o con
Tina Ceccaroni, o con Teresa Caudio Favini, o con Giovanni Lazzarini o
con la stessa madre, restano il sentimento dell'uomo e la natura che lo
circonda. ~ una natura strana, dove i boschi e i colli e gli argini e le giun-
caie sono popolati di trincee e palizzate, che finiscono con l'integrarsi nel
paesaggio. E allora il Serra riporta sulla pagina tutte queste cose con la
tranquilla coscienza di chi sa di dover vivere giorno per giorno; e non �
necessario liricizzare un discorso che gi� di per s� ha l'evidenza della ve-
rit�. Qui il contrasto � cosa-letteratura � si annulla nella mente dello scrit-
tore, e paradossalmente sembrerebbe che la � cosa � si sia trasferita nella
pagina con tutta la sua � quiddit� �. Anche nei passi pi� propriamente
descrittivi, il Serra � fedele a questa sobriet�, e specialmente l'aggettivo
� svuotato da ogni possibile sfumatura coloristica:

Qui siamo stati invece in una calma che non s'immagina, chiusi in questo
paesino pulito, quasi perduto in un angolo della pianura bassa, dove non si
sente un rumore e la posta e i giornali fanno fatica ad arrivare; e non c'� altro
orizzonte che, nelle ore della mattina e quando l'aria � pi� pura, le Alpi, so-
spese sul cielo come una barriera di neve cos� tersa e netta che par di toccarla,
di averla addosso.

La coscienza, da parte del Serra, di una dimensione nuova del SUO


essere--come egli verifica una sua autonomia che, fino a quel momento,
non aveva mai raggiunto, resa possibile proprio dal contatto con la natura
in piena solitudine--lo porta alla soppressione radicale di ogni tipo di
retorica, il cui pericolo aleggiava nelle ultime pagine dell'Esame. Le sin-
gole immagini, nelle ultime lettere, sono evidenziate dall'uso continuo dei
due punti o, talora, dalla soppressione del verbo, ad ottenere effetti di
scorcio. L'elemento di maggior peso � dato dal � contatto con la terra �,
che porta ad un'attenzione continua dello scrittore ai colori e ai rumori
e alle forme che gli stanno attorno, alle calme pomeridiane e allo stridore
delle cicale (quanto lontane ormai, dalle cicale carducciane!). La moralit�
che il Serra cercava negli aitri autori, la profondit� di sentimento, la fer-
mezza di fronte alla vita, le ritroviamo in lui proprio in queste lettere, e
soprattutto una sorta di stoicismo severo e per nulla sconsolato, con cui
egli aspetta quello che deve venire. L'identit� e la tranquillit� dei giorni
� riaffermata pi� volte (si legga la lettera del 10 luglio all'Angelini o del
13 luglio al Linati). Le considerazioni vitali, che nel Serra giovane usci-
vano con uno slancio e un lirismo patetici, qui vengono raffrenate da una
matura consapevolezza: �ho rimorso di non avere sforzato un poco la
mia natura solitaria e indifferente � (all'Angelini), oppure: � Tutto finisce
per sembrar naturale, e nessuna vita � pi� facile di questa: ci� non toglie
di vedere e di sentire anche altro, che non si scrive: anche tu vedi uomini
e cose senza illusioni � (al fratello Nino, 14 luglio).

Quello che nell'Esame era stato detto con accento pi� concitato, ora
viene riaffermato con maggior pacatezza e convinzione: � ...la guerra non
cambia n� uomini n� cose, fuor che in qualche momento � (a Nino).

L'affettivit�, che nel Serra adolescente si esprimeva in maniera scom-


posta, � contenuta nel profondo, perfino nelle lettere alla mamma, dove
egli sarebbe portato a ripetere i comportamenti derivati dall'abitudine.
Ma tutta la limpidezza dello stile, a cui si accompagna, nella lettura, il
pa~hos inevitabile che ci proviene dalla prefigurazione della morte, ormai
vicina allo scrittore, riflette la chiarezza con cui l'uomo ha dato alcune
soluzioni, se pur provvisorie, agli interrogativi che lo tormentavano, ed �
tranquillo e realizzato nella contingenza del presente.
Dell'ultimo Serra, della sua moralit� e del suo amore appassionato per
la letteratura e per gli uomini--anche se tanto inquieto--ci piace ripor-
tare, a conclusione del saggio, queste poche parole delle note sul Rolland,
sulle quali grava la preoccupazione di un'occasione mancata, e il rincresci-
mento di avere fallito il proprio compito:

Se dovessi dire che l'ho preso per leggere, direi una bugia. Sicuro. i~ piut-
tosto un non so che: come le lettere, chiuse, che mi son portato dietro: e
a una a una... Un non so che: come un obbligo da soddisfare. E un rincre-
scimento oscuro d'essere in ritardo, un rincrescimento che mi punge pi� forte
insieme con l'impressione di non essere pi� in tempo. Non so quante volte
[l']ho incominciato, a prender delle note (pez~o di carta). E adesso � tardi;
anche se non fossi stanco e altrove. Tardi per lui...

Un presagio, forse, della morte imminente, affrontata in solitudine in


mezzo alla sua natura viva e segreta.

NOTIZIE BIOGRAFICHE.

1884. Renato Serra nasce a Cesena da Rachele Favini e dal dottor Pio Serra,
il 5 dicembre.

1897. Frequenta il Liceo � V. Monti � di Cesena e ha come professore


Emilio Lovarini.

1900. Ottenuta la licenza liceale, si iscrive, in novembre, alla Facolt� di Let-


tere dell'Universit� di Bologna, dove ha per maestri il Carducci, il Fer-
rari, il Gandino, e l'Acri.

1904. Si laurea con una tesi sui Trionfi di Francesco Petrarca, il 28 novembre.

1905. Adempie al servizio militare in qualit� di allievo ufficiale nel


quarantasettesimo Fanteria ai Prati di Castello (Roma).

1906. Viene trasferito a Cesena come sottotenente e congedato nel corso


dell'anno .

1907. Tra il febbraio e il marzo risiede a Torino, dove collabora, chiamato


dall'amico Luigi Ambrosini, alla compilazione di un vocabolario di la-
tino, presso l'Editore Paravia. Tornato a Cesena, rinuncia all'incarico
di direttore della Biblioteca Malatestiana, e in novembre si trasferisce
a Firenze, iscrivendosi al corso di perfezionarnento in italiano del � Regio
Istituto di Studi Superiori �.

1908. Nella primavera si assume il lavoro, oflertogli dal duca Caetani, di spoglio
del materiale fiorentino per un grande dizionario bio-bibliografico. Du-
rante l'estate conosce il Croce a Cesena. Dal 15 ottobre inizia l'insegna-
mento nella Scuola Normale femminile di Cesena. In dicembre muore la
sorella Pia, che lascia il marito e due bambini.
1909. Nell'ottobre � nominato direttore della Biblioteca Malatestiana.

1911. Il 29 gennaio gli muore il padre, travolto da un treno alla stazione di


Cesena. Nel giugno dello stesso anno inizia la sua corrispondenza col
De Robertis, che diverr� suo amico e discepolo. In dicembre viene
ferito da un marito geloso.
1913. Entra in corrispondenza con Cesare Angelini.
1914. In luglio viene richiamato alle armi per un mese.
1915. Richiamato alle armi il primo aprile, viene inviato come tenente di fan-
teria a San Vito al Tagliamento, e successivamente a Latisana. Il 16
maggio, in seguito a un incidente d'auto, riporta la frattura della base
del cranio, con una lesione alla meninge. Dopo due mesi di degenza
a Latisana, viene inviato in licenza a Cesena e vi rimane un mese.
Tornato al fronte il 5 luglio, il giorno 20 dello stesso mese cade alla
testa dei suoi uomini nel tentativo di conquistare gli avamposti nemici.
FINE.

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