RENATO SERRA.
da IL CASTORO, NUMERO 39, APRILE 1974.
Ora, i conti non sono ancor fatti: quest'anno mi par quasi che la partita
sia pi� seria. Non per le difficolt� materiali; che sono meno gravi delle
altre volte. C'� solo un anno di pi�; ed � una cosa gravissima. Un anno
di pi�, con le stesse solite cose, ripetute ancora una volta; e che non
si possono ripetere pi�, come le stesse. Sono io che m'accorgo di aver
trent'anni, o le donne se ne sono accorte o i sassi della strada7 Dio lo
sa. Certo quella che � stata finora la ragione suprema della mia vita;
il non av�rne nessuna, e la gioia di non averne; la soddisfazione leggera
delle cose sciupate e dei minuti perduti; tutto, ingegno e amore e vita
consumato nel vuoto per la mia dolcezza sola -- non mi basta pi�.
Non conviene pi� all'uomo che sono, al giovane che sono stato. E ho
bisogno di qualche cosa in cambio; niente magari; ma un niente volon-
tario e definitivo.
Forse verr� la guerra, e quel che il caso pu� portare in quella, a rispon-
dermi. Avrei un po' di rimorso di andarmene cos�, in debito non dico
con la letteratura, ma con me stesso: e con tante cose amate, nella
terra e nel cielo, verso cui m'ero assunto un impegno silenzioso, passando,
e lasciandomele addietro. Forse anche sarei contento; e la soluzione
sarebbe perfettamente nel mio carattere: la mia conclusione.
1.
L'infanzia e l'adolescenza del Serra, trascorse per intiero a Cesena, dove
egli nacque nel 1884, mostrano come tratti dominanti del suo carattere
una forte introversione, una sensibilit� spinta all'eccesso, e, contempora-
neamente, un grande bisogno di comunicare con gli altri, la madre, i pa-
renti, gli amici. Accanto a questo, l'amore per la letteratura e la poesia
che ha poi caratterizzato tutta la sua vita. Non diversamente dal Proust
bambino, il quale si perdeva per ore e ore nel
mondo meraviglioso della sua George Sand o della sua George Eliot, cos�
anche il Serra, se pure con un atteggiamento precoce e inconscio da uma-
nista, accumula nomi su nomi in un quadernetto, conservato ora alla Bi-
blioteca Malatestiana, libri che legger� nelle estati romagnole con l'inge-
nuit� e la passione che pu� avere un ragazzetto di undici anni. Sono, �
vero, letture disordinatissime, che testimoniano comunque quanta impor-
tanza gi� occupi nella vita di Renato quella che egli stesso chiamer�
� arte della parola". Cos� troviamo Carducci, Ariosto, Heine, Petrarca,
Dante, Tasso, Parini, Ferrero, accanto alla � Critica Sociale �, Marx En-
gels, Bakunin, Bertolini, ecc. C'� anche il De Sanctis, che pi� tardi egli
confesser� di avere letto molto distrattamente e di fretta, e De Musset,
Schiller, Hugo, Shakespeare, Goethe, Tolstoj. Oltre a questi nomi, ap-
punti e notazioni pi� strettamente personali, emozioni e turbamenti del-
I'infanzia, il sesso e la donna che cominciano ad affacciarsi alla sua pro-
blematica.
Ancor pi� interessante � una specie di piano di studi che egli com-
pila a sedici anni, nel 1900, e che reca la data del 5 ottobre, situandosi
cos� in un periodo di poco precedente alla sua iscrizione all'Universit�
di Bologna. Le ultime righe di esso ci offrono elementi di un certo rilievo:
Nucleo degli interessi giovanili del Serra � dunque l'arte della pa-
rola: da essa si dipartono le singole specialit�, disposte in ordine decre-
scente di interesse. Ma quel che pi� ci attrae, � l'impegno e l'umanit� che
pervadono queste righe: nella stessa misura li ritroveremo in una lettera,
posteriore di dieci anni, diretta a Luigi Ambrosini, amico carissimo di
Renato:
Tutti gli scritti e tutte le cose del mondo mi toccano: non nella natura
stretta e praticamente graduata dello specialista [...], ma nella misura larga e
li-
berale dell'uomo. Uomo profano io sono: tutto quello che gli uomini
fanno mi interessa e mi riguarda. Io rni posso e mi voglio render ragione di
tutto, nella onest� dell'animo mio ben fatto. Io non sar� competente a giudi-
care la bibliografia e diciamo cos� in fretta la utilizzazione pratica del lavoro
sto-
rico, filologico, filosofico, artistico, medico, matematico. Ma io sento e cerco
qualche cosa di pi� schietto: il valore umano. Che cosa danno di gioia, di no-
vit�, di ricchezza agli ozii del mio spirito curioso questi lavori diversi? Che
cosa sono? Quale impegno, quali interessi spirituali, quali ambizioni o voglie
o speranze rappresentano essi nell'universo?
C'� gi� durque, nelle espressioni rispettose dello studente liceale, I'ac-
cenno di un orientamento preciso, quello della critica letteraria, ammira-
zione e riflesso dell'attivit� del suo primo maestro, anche se poi 'n que-
sti anni il lavoro del Serra si limiter� a un quadernetto d� Cenni di F~ste-
tica, nulla pi� che un compendio diligente delle opere dell'Ardig�.
Vedere tutto; tutte le opere, le lettere, le persone, i fatti della vita, le ma-
lignit� dei contemporanei; e non giudicare, no, mai, che � di gaglioffi senza
pudore--ma comprendere--sentire la qualit� dell'animo, del pensiero e dello
stile .
La voce del poeta deve venire alli orecchi delli ascoltatori pura e schietta
com'egli la disse; e vacua ambizione � quella del critico che la voglia scrutare
sillaba per sillaba e pesare e giudicare: ed egli scruter� e peser� e giudicher� li
elementi della impressione personale sua, e le idee sue e le imagini sue, che
non son poi quelle del poeta: e il pi� che possa dire, egli il critico, innanzi
alla
poesia, si � proprio--Bevine e godi--. N� altro.
Lo scritto Sulla pena dei dissipatori, del 1904, non reca, natural-
mente, ancora l'ombra di questi problemi. Si tratta di un giovanissimo
Serra che ha bene meditato la lezione del Carducci e ha compreso quale
sia il problema centrale della Commedia: la riduzione a rappresentazione
artistica di una complessit� di sentimenti e di eventi. A prova della im-
postazione del saggio sulla falsariga della critica carducciana, c'� da dire
che il Serra cerca di fondarsi il pi� possibile, quando deve dirimere una
questione intricata, sull'autorit� del maestro, per suffragare le sue tesi.
Osservazioni interessanti, in questo primo lavoro, si mescolano a nota-
zioni banali; eppure a tratti si riconosce gi� la tempra del critico di gu-
sto: ad esempio nell'insistenza sul concetto di Dante artista dalla cultura
vastissima, che ingloba nella sua opera il sacro e il profano, l'erudito e
il popolare; e nell'essersi liberato dai residui pascoliani dell'allegoria. Ma
quella che manca ancora al critico � la capacit� di sviluppare le proprie
osservazioni, lo stimolo a penetrare nel mondo del poeta e a ricrearlo con
le proprie parole. Qualcosa di incompleto, dunque, e frammentario, que-
sto lavoro incoraggiato dal Lovarini, ma se pensiamo all'et� del Serra,
venti anni, tutte le riserve e le critiche cadono, e sentiamo di essere di
fronte agli inizi di un progresso continuo di gusto e sensibilit� critica.
Che del resto nel Serra vi sia gi� una sensibilit� e una finezza non
comuni, lo indicano le sue lettere di questo periodo, dove una tendenza
all'isolamento e all'introflessione tipicamente adolescenziali si accentua
talvolta in punte di vivo sconforto, mentre quel positivismo, di fondo,
triste e irrazionale, analogo a quello del Pascoli, che egli si porter� ap-
presso per tutto il corso della sua vita, trova qui i suoi primi momenti
di lucida coscienza. In una lettera alla madre, del 1901, egli dice:
Tutto questo non c'� ancora nei primi lavori, se non a livello molto
sotterraneo. Giacch� in verit�, nel voler mirare agli � intendimenti �
del poeta, come fa Renato nella sua tesi di laurea sui Trionfi, piuttosto
che ai risultati, sta un'impostazione tradizionale di tipo carducciano, oltre
a una necessit� squisitamente personale del critico, di cui egli non si rende
ancora piena ragione, ma che vedremo nel Kipling trovare la sua piena
espressi�ne. La tesi di laurea serriana, comunque, discussa a Bologna ne-
gli ultimi mesi del 1904, non � solo un lavoro di scuola, nonostante che
essa risenta dei difetti della critica carducciana, che sono stati rilevati con
tanta acutezza dal Croce nel suo saggio Carducci pensatore e critico. Ci
sono, invece, osservazioni originali, e tutta l'impostazione del lavoro, se
si tiene conto delle condizioni della critica petrarchesca alla fine dell'Ot-
tocento, presenta caratteristiche di novit�. Che, d'altronde, la rinuncia al
voler giudicare sia qui in parte derivata dal magistero carducciano, lo fa
pensare anche una frase del Carducci, molto significativa, che riflette un
modo d'intendere a cui il discepolo non pu� essersi sottratto: � ... giudi-
care no, che � vocabolo superbo di povera cosa; ma a chi sa modesta-
mente il mestiere pu� essere lecito dire il parer suo; e forse utile--in-
tendiamoci, comparativamente all'utilit� generale della poesia --, se di
quelli che scrivono egli conosca almeno un poco la natura dell'ingegno
e la educazione delle facolt�; altrimenti il giudizio � sempre rischioso,
imprudente... �.
Nel febbraio del 1905 il Serra si trasferisce a Roma per compiervi il corso
di allievo ufficiale dell'esercito. La lontananza da casa, dalla famiglia e da-
gli amia, lo induce a meditare sul senso della sua vita, e sulla sua scelta
professionale. Ne escono riflessioni piuttosto tristi ed amare, decantate e
purificate, tuttavia, da quella atmosfera di quiete e di ozio (e per conse-
guenza di disimpegno nei confronti del futuro) che regna nell'ospedale mi-
litare dove egli trascorre parecchi mesi. In tal modo appaiono reali ep-
pure lontane � le amarezze e i rimpianti degli anni perduti, della dolce
vita ch'io non so bere, dell'amore che non ebbi, dell'arte che non so �
(7 agosto 1905). Ma il male c'�, ed � gi� radicato, al di l� d'ogni compiaci-
mento, nell'animo del Serra; per cui ogni tanto trapela con maggiore
evidenza e senza gli schermi e le difese dell'autoironia:
Vanno notati in queste lettere, tra l'altro, spunti assai interessanti per
una verifica dell'eredit� carducciana. Quando Renato parla all'Ambrosini
di � travaglio artistico �, ad esempio, � impossibile non ricollegare la
frase alla tradizione carducciana, che pure era in via di spengimento agli
inizi del secolo Ma tutto il clima storico, in cui il Serra si � formato, ha
contribuito a creare in lui una grandissima attenzione al problema tecnico
ed ai preliminari della poesia.
Perch� una poesia consegua il suo effetto pieno e durevole ci vuole prima
di tutto un buon disegno. Il disegno, all'ispirazione e all'empito lirico, � come
l'olmo alla vite. La sostiene, la distende, la rialza, la fa visibile a tutti e
solida
contro le ventate. Ma il disegno, che � ordinamento, riflessione, della mente
sul lavoro, manca allo slancio spontaneo, ai versi notati quando amore spira...
Ma neanco noi siamo manzoniani o romantici: e cos� alla spontaneit� come al-
l'arte faremo il debito luogo. Ognuno alla sua ora. Per fare una frase, nessuno
osi scrivere se non sente le dive sussurrargli all'orecchio: novissima verba: ma
quando sar� al ricopiare in bella e pulita lettera il dettato divino, si ricordi
sol-
tanto delle vecchie e sane regole che i maestri dell'arte hanno insegnato.
Non altrimenti dal Serra, gi� il Carducci ricordava: � Quello che i pi�
credono o chiamano troppo facilmente ispirazione, bisogna farlo passare
per il travaglio delle fredde ricerche e tra il lavoro degli strumenti cri-
tici, e provar s'ella dura �, oppure: � Se la poesia � e ha da essere arte,
ci� che dicesi forma � e ha da essere della poesia almeno tre quarti �.
Nel 1905, dunque, non si pu� ancora parlare di un distacco fra il
e degli echi che lo spingono a rivedere ogni momento il suo rapporto col
Carducci. Nelle righe che abbiamo qui riportato, comunque, egli, come il
Carducc~, sl oppone ad una concezione romanticheggiante della poesia
quella degli eroici furori e del vate invasato, che, non certo attribuibile
al primo Romanticismo, � da ascriversi piuttosto, in Italia, alla poetica
degli Scapigliati, di cui � a sufficienza emblematica questa frase del Boito:
� I'artista dovrebbe essere pieno di larve, larvarum plenus, un uomo in-
vaso da un grande morbo dell'anima, lues deihca: I'ispirazione �, dove il
rilievo stereoscopico dato nel contesto alla parola � ispirazione �, quasi a
fregiarla di attributi misterici, mostra ancor pi� la differenza di sensibilit�
e di modi culturali che separa gli Scapigliati dal Serra. Il quale ultimo
nei suoi consigli all'amico Ambrosini, insiste a non finire sul concetto di
� lavoro � e di � tecnica �: � E lima e picchia e batti, se ti duri la buona
voglia, ch� la tempra � salda e sincera la rima �. Si pu� risalire di qui
ancora una volta, ai precetti del Carducci, senza dover necessariamente
ricorrere al Gautier de L'Art. Ma sia il modo di intendere del Serra che
quello del Carducci sono riconducibili alla trasformazione dell'idea di opera
d'arte, che si era verificata verso la met� dell'800, soprattutto sotto la
spinta degli scrittori e degli artisti francesi, e che aveva portato alla ri-
valutazione del � travaglio artistico �, rispetto all'ispirazione, all'interno
dell'opera. Che poi tutto questo possa condurre ad un capovolgimento di
termini, e agli eccessi opposti, come nel Serra giovane e nel Carducci, �
intuibile. Meglio dunque il Baudelaire, quando dice che � l'inspiration
est la soeur du travail journalier � e critica le � mauvaises �critures � di
Lamartine o di De Musset. Ma nel Serra, come gi� nel Carducci, vive
anche l'insegnamento dei suoi classici latini e greci, i quali gi� offrivano
ragioni sufficienti per motivare il suo ideale artistico. Rispetto al Baude-
laire, peraltro, il pensiero del giovane Serra � scopertamente ingenuo,
specialmente quando, come nella lettera a Luigi Ambrosini dell'8 gen-
naio 1906, egli vuol far derivare a tutti i costi l'ispirazione proprio dal
lavoro giornaliero:
... in realt� [l'ispirazione] non � altro che la somma di tutti i colpi di mar-
teUo, di scalpello e di lima, per cui a poco a poco, con un lavoro di giorni o
di mesi o di anni l'idea prende corpo: lavoro in cui non si pensa altro, minuto
per minuto, fuori del colpo che si mena.
Ma che, d'altro lato, ci sia gi� nel primo Serra un portato dell'estetica
idealistica, possiamo trovarlo poco pi� avanti, dove egli si allinea su po-
sizioni non dissimili da quelle del Croce:
... I'idea artistica esiste solo in atto: l'idea artistica virtuale � un assurdo.
L'idea grande, bella, magnifica, che si porta a spasso nel cervello, e non n'esce
per la contrariet� delle circostanze, � un'entit� mitologica: creata perch� se ne
consolino molto vilmente tutti i presuntuosi e i falliti della vita.
Ecco dunque il giovane Serra operare il suo noviziato con queste ri-
meditazioni faticose di problemi teorici. Egli, con una serie di distinzioni
troppo sottili e artificiose, vede nell'ispirazione quel disordine, quella foga
malsana con cui molti artisti dell'800 scrissero le loro opere; insiste sulla
necessit� di un lavoro tenace, senza accorgersi che non basta postulare una
diligente ed accanita opera di artigiano per avere un vero scrittore, al
quale si richiede, per certo, un'umanit�, un vasto mondo morale, un'aper-
tura ai problemi della vita e dell'arte indispensabili ai fini della rappre-
sentazione artistica.
Pi� tardi, verso la fine del 1909 (22 ottobre) egli scriver� all'Ambro-
sini: � Io per esempio molto prima di leggere e di conoscere il Croce (del
resto leggere non l'ho voluto prima di quest'anno, ma gi� lo conoscevo)
da poche parole di Acri avevo imparato abbastanza �. Un'esagerazione in-
dubbia, se si considera, fra l'altro, che la teoria estetica dell'Acri rimase
sempre qualcosa di provvisorio, non sistematico. Eppure l'amore del Serra
per il maestro raggiunge livelli paragonabili soltanto a quello per il Car-
ducci: entrambi suoi maestri a Bologna, entrambi sostenitori convinti del-
l'arte della parola. Ma tra questo, e un'affermazione del genere, che il Serra
fa sempre nella lettera all'Ambrosini del gennaio 1906: � ... il Carducci,
che fra contraddizioni e banalit�, quando ha voluto, ha visto molto pi�
addentro, anche nella teorica dell'arte, che non il Croce � ci corre molto.
... nessuno artista ha nella fantasia bello e fatto il tipo dell'opera sua, ma
quello si fa e procede insieme con questa e si compie. Tra l'ideale e la sua
forma sensibile � per questo rispetto la medesima rela~ione che � tra l'idea e
la parola che la significa. L'idea si particolareggia insieme con la parola, e si
ha chiara, quella schiarendosi; tanto che � in tutto falso ci� che si sente dire
ogni d�: L'idea io l'ho netta, ma non mi viene su la lingua la parola conve-
nevole.
Cercava la bellezza nel suo principio pi� mero, nella musica e nei su~ni e
nelle parole; nelle parole tentate come suono puro e mosse e secondate come
musica di se stessa contenta; la bellezza pi� pura e aerea e lontana e difficile,
quella che non ha nessun corpo nessun peso nessun criterio, ma deve essere
colta in s� e nello spiro lieve del fiato.
~ una mistica della poesia a cui il critico non riesce facilmente a sot-
trarsi, pur comprendendo nello stesso tempo quanto di pericoloso vi sia
in un culto cieco della musicalit� e della bellezza. ~ in fondo lo stesso cri-
terio al quale altre volte si adegua il Serra stesso; pensiamo, ad esempio,
al Ringraziamento per una ballata di Paul Fort, dove il critico, tutto com-
preso nel suo sforzo nella direzione della bellezza e della poesia--e per
di pi� trascinato da una serie di procedimenti analogici che affondano nella
parte intima del suo essere--d� per scontato di essere di fronte ad un
capolavoro, un esempio di bellezza pura, e nella sua autosuggestione si
lascia sfuggire la realt� della mediocrissima ballata. Una condizione del
genere, ciononostante, � per fortuna non usuale nel Serra, che si rende
conto della distanza che lo separa dall'Acri il quale, come anche il Pa-
scoli, appartiene per lui a quella categoria di uomini privilegiati, � inge-
nui �, a cui � dato un rapporto con le � cose � differente da quello degli
18 altri mortali. Quel procedere verso la bellezza impalpabile, se � possibile
nell'Acri, � meno facilmente attuabile nel discepolo, a cui il momento
storico diverso e la sua personale natura propongono continuamente nuovi
ostacoli e problemi, impongono nuovi diaframmi nella ricerca della poe-
sia. Anche la teoria della dinamicit� dell'opera d'arte, dell'arte come ar-
monia e moto, gi� propugnata dall'Acri e ripresa dal Serra, � da lui sen-
tita in maniera molto pi� drammatica e inibitoria che nel maestro, almeno
nel periodo 1906-08.
L'anno 1907, trascorso fra Torino, Cesena e Firenze, vede uscire alle
stampe il primo lavoro critico originale del Serra, uno studio su Rudyard
Kipling. Legato agli scritti del narratore inglese da un rapporto affettivo
profondo (� Kipling, lo scrittore che io amo tanto da non volerne par-
lare�, dir� in una lettera al Cecchi del 24 gennaio 1911), il Serra final-
mente si decide a scriverne dopo molte incertezze e ripensamenti, espressi
in alcune lettere all'Ambrosini, dove riprende anche con tono concitato i
soliti motivi della solitudine e della rinuncia all'amore, significativi di una
problematica in cui il Serra � ancora invischiato. Ma � perlomeno singo-
lare che, come egli va depauperando e avvilendo la propria vita intima,
contemporaneamente cerchi di rinsanguare, rinvigorire quella intelligenza
e quella cultura che non facevano difetto: � Voglio, come t'ho detto tante
volte, che tutto il materiale della mia mente sia sano e solido come il ma-
teriale che adoperavano i Greci ai loro templi �.
20 in cui egli non si accorge che � possibile tentare un'analogia del profondo
fra 1'� io � del libro e quello del lettore (o del critico), piuttosto che vo-
lere a tutti i costi arrivare alla definizione del vero Kipling. Dal che de-
riva in lui un senso di impotenza e frustrazione: il Kipling gli sfugge,
inevitabilmente.
Basta profferire le sillabe del bel nome, squillante come una fanfara eso-
tica, ed ecco da tutte le parti concorrere come per se stesse mosse le grandi
frasi sonore: ecco gli aggettivi lustri come un soldo nuovo, le immagini son-
tuose e le osservazioni profonde rannodarsi, come soldati alla bandiera, in-
torno ai punti culminanti...
Che cosa resta, dunque, di convincente alla fine del saggio, affasci-
nante dal punto di vista della psicologia e della problematica critica del
Serra, ma abbastanza debole come esperimento critico, se non quella illu-
minazione improwisa con cui egli, sdipanato il groviglio delle sue con-
traddizioni, stabilisce un rapporto di analogia, quasi un'identificazione, tra
se stesso e l'autore? Nel Kipling, come nel Maupassant e nel Merim�e,
ritrova l'impiego di una maschera esteriore, che vale a nascondere una
sensibilit� quasi morbosa; la stessa maschera di cui egli esplicitamente e
pi� volte ammetter� di essersi valso nel corso della sua vita, per non
farsi ferire dal mondo. Ma, anche qui, il giovane Serra tende ad esagerare;
� giusto ricercare consonanze tra il mondo dello scrittore e il proprio;
meno rigoroso il voler applicare a tutti i costi allo scrittore, fino in fondo,
le caratteristiche del proprio temperamento. E il passo in questione, inte-
ressante dal punto di vista dello sfogo di un'anima, quella del critico,
lascia perplessi circa la validit� della ricostruzione psicologica dell'autore:
Se io sapessi e potessi, come vorrei [...] come vorrei ritrovarla questa ma-
gnifica storia di un'anima! Come vorrei mostrare in quel giovinetto occhia-
luto [ ] la prodigiosa immaginazione verbale, il lirismo violento, quella na-
tiva enfasi apocalittica, degna di un Victor Hugo o di un un Flaubert prima
degli scrupoli, quell'anima che in collegio si gettava con empiti di avidit�
bramosa sui poeti della nuova scuola, sui rinnovatori del vocabolario poetico,
sui preraffaelliti, sui realisti, sui francesi, tutti insieme ed in blocco; che pi�
tardi lo far� cercatore cos� amoroso delle poesie orientali, [...] e derivatore da
esse di modi dell'espressione e di ricchezza di atteggiamenti spirituali non an-
cora sospettata... mostrare tutto ci� da una parte [...] e dall'altra parte la in-
telligenza spietatamente chiara, crudelmente penetrante, acuta, tagliente, mor-
dente che gli ha mostrato d'un colpo tutto il rovescio delle carte, la vanit� della
gloria, dell'arte, delle miserabili chimere umane, che gli ha ravvivato fino allo
spasimo il senso del ridicolo ~...] l'orrore del gi� detto, del gi� visto, di tutto
24 ci� che pu� parere ostentato.
Tra la fine del 1907 e l'autunno del 1908 il Serra � a Firenze, prima
26 come perfezionando all'Istituto di Studi Superiori, poi come aiutante del
duca Caetani ad uno spoglio per un Dizionario bio-bibliogra~co italiano.
E interessante notare come egli cerchi di evadere dalla sua Cesena, per
trovare altrove possibilit� di lavoro e di una nuova vita, e come i suoi
tentativi, destinati a rinnovarsi pi� volte, si trasformino puntualmente in
altrettanti fallimenti. Anche da Firenze, come gi� da Roma, giungono a
Cesena lettere contrassegnate da uno stato d'animo di rimpianto e rasse-
gnazione; il gusto nostalgico del passato si accentua fino a giungere--e
non crediamo si tratti di posa--ad affermazioni del genere: � I giorni
che tu ora vivi non avranno tutta la loro dolcezza se non quando sien
passati e la memoria te li renda �, dove la vita reale � sacrificata di fronte
al reperto del passato, impreziosito e illanguidito dallo strumento della
memoria. Se in Proust, per citare un caso analogo, il ritorno al passato
avviene sempre in relazione ad un'esigenza vitale del narratore di risco-
prire se stesso e gli altri alla luce di quello che � stato, e di riaffermare
la grandezza e insieme la mostruosit� della lotta dell'essere col tempo,
nel Serra--al contrario--c'� un che di snervante ed abbandonato, la
rassegnazione di chi si sente soffocare da un destino pi� forte, e non
prova nemmeno a resistergli. Lontano da casa, dalle abitudini e dai soliti
meccanismi di vita, egli vede cascare via via quelle speranze che si � co-
struito, e la salvezza � pur sempre una sola: Cesena, la sua casa, le sue
� dilettazioni fantastiche �, la sua Romagna. Giacch� l'ambiente chiuso
e pettegolo della provincia e l'iperprotezione della famiglia, bench� costi-
tuiscano a volte per Renato un peso intollerabile, gli consentono--d'al-
tronde--una tranquillit� maggiore, rigenerano in lui l'amore per i suoi
libri e per le sue carte. Di fronte al tempo che scorre monotono--e il
problema diventa impiegarlo! --l'attenzione del Serra � quasi automa-
ticamente costretta a ripiegarsi sul libro, non solo con una lettura pas-
siva, ma con una serie di domande, interrogativi a cui c'� un solo modo
di dare risposta: prendere la penna e affrontare il libro, con la tentazione
continua di far entrare tutto se stesso, i propri sentimenti, la vista della
natura che sta attorno, nella misura in cui un'affettivit� ancora adole-
scenziale ha bisogno di effondersi. N�, d'altra parte, pu� arrivare al Serra
I'equilibrio agognato, finch� non gli giunger� l'amore di una donna: per
cui, anche nel 1908, le confidenze epistolari riportano il segno di questa
sofferenza:
... la mia disgrazia fisica e l'impossibilit� dell'amore, che sono fissi solo
per me e ai quali devo ordinare la mi~ vita. Quando si sente che una cosa
� certa e fatale, come la vicenda dei giorni e delle stagiorLi, ci si fanno i conti
come con una delle condizioni naturali del viver nostro: non duole pi�.
Mentre nel Kipling l'amore eccessivo del critico per il suo scrittore, il
fascino che egli subisce, pone l'opera del narratore inglese sotto una pro-
spettiva falsa, e di riflesso demoralizza il Serra circa le proprie possibi-
lit� di far della critica, di fronte al Beltramelli egli riacquista fiducia sulle
28 proprie capacit�, conscio di poter risolvere l'impressione che la lettura dei
libri del suo conterraneo gli ha lasciato. Non esiste pi�, come nel Kipling,
un contrasto fra opera e autore; ora il critico bada solo all'opera, che gli
sta dinanzi con molti difetti e alcuni pregi, e appunta la sua attenzione
sulle manchevolezze del linguaggio. Bisogna ricordare che l'educazione
umanistica del Serra gli aveva lasciato l'odio per la parola generica e l'im-
propriet� del linguaggio e la sua sensibilit� lo portava a cogliere la mi-
nima stonatura nel periodare di uno scrittore. Ora, se nello studio sul
Kipling il Serra, mediocre conoscitore dell'inglese, non aveva potuto fare
osservazioni particolareggiate sul linguaggio, da questo momento, non solo
nel Beltramelli, ma anche in tutti i saggi che verranno, una parte non
trascurabile sar� dedicata al problema espressivo e alle risoluzioni che ne
danno i singoli artisti.
Come nel programma del � Leonardo ~>, cos~ anche in quello della
30 prima � Voce � il pensiero viene anteposto all'arte. Lo sforzo costante
del Prezzolini mira all'inserimento degli uomini di cultura nella vita
civile italiana, proponendosi, per un verso, una � protesta e critica delle
deviazioni, delle meschinerie, delle vilt� che guastano molti ingegni dietro
le false immagini del guadagno e del lusso, della mondanit� e dell'egoi-
smo, della notoriet� e dello strombettamento �, per l'altro una trattazione
di � tutte le questioni pratiche che hanno riflessi nel mondo intellettuale
e religioso �, e una reazione � alla retorica degli italiani obbligandoli a
veder da vicino la loro realt� sociale �. Ma la seriet� delle intenzioni
spesso non corrisponde alla bont� dei risultati. Va anche detto che il Prez-
zolini, il quale si proclama idealista convinto, ha l'abitudine di ripor-
tare frasi o idee del Croce senza mostrare una vera adesione personale,
quasi voglia dar per scontato che l'Italia tutta si sia convertita al verbo
crociano.
Certe fronde non s'ha diritto di farle che una volta sol~, e prima dei ven-
t'anni: e anche allora solo a patto di non essere molto bene educati. Ma quando
nel '902 s'� fatto il � Leonardo �, nel ~909 bisogna avere trionfato o essersi
accasati borghesemente. Non s'ha pi� diritto di fare la � Voce �, senza confes-
sare fallimento. Quando la boh�me diventa posa � odiosissima: e fa scordare
ogni merito d'ingegno, di cultura, ogn,i buona o passabile qualit�.
Sono parole molto dure, forse anche troppo, ma il fastidio del Serra
Essi scrivono di politica e di economia con fervore e con astio, col desi-
derio di correggere di rifare di mescolarsi alla pratica e pur con la boria di
chi alla pratica � superiore; e allora, con tali pretese, questa gente che non
dispone n� di un voto n� di un uomo n� di un soldo, fa ridere insieme e fa
rabbia. Essi non sanno essere n� contemplativi n� attivi; e fanno poi i mo-
ralistn
L'atteggiamento ambiguo degli uomini della � Voce � crea una frat-
tura irreparabile fra loro e il Serra, il quale si auspicher� la creazione di
una � Voce � nuova, superiore per intelligenza, e creder� realizzato, almeno
in parte, il suo desiderio, col passaggio della direzione a Giuseppe De Ro
bertis, sul finire del 1914.
L'� interesse disinteressato � che il Serra, valendosi della sua abituale for-
ma di autodifesa, sostiene di provare nei confronti della letteratura in una
lettera all'Ambrosini del 17 febbraio 1909, lo porter� ad affrontare, nello
stesso periodo, il � problema � Pascoli. Non un � problema tecnico, sciolto
per mia soddisfazione e buttato gi�, alla meglio �, come scrive il critico
stesso, sempre all'Ambrosini, ma l'accostarsi ad un autore a cui si sente
affine, e che gli consente di trasferire in lui la sua problematica personale.
L'antiletterariet� del Pascoli, infatti, il suo continuo rivolgersi alle cose
svuotandole, o per lo meno illudendosi di svuotarle di ogni modalit� o
singolarizzazione letteraria (giungendo, cio�, a quello che Barthes chiame-
rebbe il � grado zero della scrittura �) coincide con un'identica aspirazione
del Serra. Il che, in realt�, si verifica in chi attribuisce alla letteratura,
nonch� negarla, un'importanza eccessiva, e ne sconta una continua ingerenza
nel mondo del reale, fino a sentirsi ingarbugliato nella confusione dei due
piani, tanto da voler poi, a tutti i costi, distaccare l'uno dall'altro, piano
(o livello) del reale, del � vissuto �, e piano del fantastico, della � finzione �,
divaricandone i confini, quasi che entrambi non facessero parte di un con-
tinuum, di un'unica dimensione che � poi quella pulsante e inarrestabile
del nostro � io �. In tal maniera la cosa in s� viene obiettivata al massimo
grado, posta come entit� completamente autonoma (la posizione contraria,
insomma, rispetto a quella proustiana), non necessariamente connessa ad
un processo conoscitivo. Letteratura e natura dunque sembrano situarsi ai
34 poli opposti di un sistema che verrebbe ad avere nel suo centro quella
specie di punto di domanda che per il Serra � l'� io ~, se poi nell'attua-
zione pratica della vita, attraverso un procedimento di contraddizione in-
terna, non venissero a legarsi in maniera tutt'altro che precaria, giacch� allo
scrittore la percezione della realt� tende ad arrivare sclo attraverso la me-
diazione, il filtro del modello letterario.
E chiara, d'altra parte, nei due artisti la tendenza a fare della lettera-
tura, o comunque dell'uso cosciente e letterario dello strumento linguistico,
una forma personale di � realizzazione �, di completa;nento e traduzione
sensibile del proprio � io �, funzione compensatrice nell'estrema povert�
di quella, che, comunemente, si chiama vita reale, pratica. Ma nel Serra,
lasciando da parte il Pascoli, � anche imperiosa l'esigenza di una maggior
ricchezza di vita fra gli uomini, vita associata, di soddisfazioni concrete e
tangibili--pensiamo al suo eterno problema, l'amore, e il timore di non
piacere all'altro sesso. Nel contrasto fra letteratura e vita, tuttavia, � troppo
naturale per il Serra, anche qui, l'oscillare fra posizioni di antitesi; e se
la vita a volte pare respingerlo, � sempre disponibile la consolazione del
sogno, della fantasticheria, e di quel primo momento dell'accostamento
all'opera letteraria che � l'atteggiamento del lettore, pronto a rifugiarsi nel
mondo fantastico dei suoi eroi. E se questo mondo viene spesso vissuto
dal Serra come il porto di ogni quiete, il � castello di Axel � dove si fugge
da ogni travaglio, � chiaro che l'attivit� riflessa della critica dovr� essere
intesa come il bisturi tagliente del chirurgo che incide e svuota. La critica
� analisi, ragione; appare in contrasto con l'affettivit�, il sentimento, in-
somma, con tutto ci� che � vita sensibile. Si pu� capire, allora, come nel
Serra coesistano quasi due tipi di critica, l'una, la meno felice, quale tro-
viamo nel Ringraziamento per una` ballata di Paul Fort, o in certi spunti
del Giovanni Pascoli, l'altra quale ad esempio nel volumetto delle Lettere.
La prima fatta di impressioni, di un riecheggiare le sensazioni provate alla
prima lettura, nel rivivere il momento della fantasia sopra il testo. Del te-
sto essa conserva l'alone di poeticit�, esasperando la carica emotiva, la sug-
gestione e i richiami evocativi; donde l'uso costante di metafore, simili-
tudini, associazioni di idee e analogie, quasi un'intrusione della storia perso-
nale del Serra nel mondo del poeta: � Nel quale a volte mi pare che ci
si possa tuffare come a rinfrescare le guance scottanti nel fascio dell'erba
36 allora falciata �. Nell'ambito di questo tipo di critica, lo sforzo del Serra si
regge su un recupero continuo di una serie di lampi e frammenti, che sono
penetrati nella sua dimensione profonda. Ma, accanto, I'altra critica, quella
dove la ragione, il gusto, il buon senso trionfano; dove il Serra--in un
primo tempo sentendosi colpevole, poi liberandosi in parte anche da questa
reazione--afferma la propria persona e le proprie idee, distingue il bello
dal brutto.
Nel saggio posteriore sul Pascoli, del 1912, che �, per meglio dire, una
commemorazione tenuta al Teatro Comunale di Cesena, l'atteggiamento
del critico non muta, ma � pi� insistito il raffronto tra il Carducci e il Pa-
scoli, l'uno profondamente inserito nella storia della sua generazione e
l'altro al di fuori di essa; l'uno guida spirituale e l'altro personaggio tutto
a s�. Le osservazioni sul Carducci non fanno altro che continuare, se pur
modificando lievemente, ci� che il Serra aveva gi� esposto nello scritto
Per un catalogo, del 1910. Modificando, diciamo, perch� il Carducci dello
scritto pi� tardo perde quella � pascolizzazione � che il Croce aveva rim-
proverato al lavoro serriano del 1910.
Ma il saggio sul Panzini offre una molteplicita di valori; non solo l'in-
dagine nel mondo morale dello scrittore, ma anche la preoccupazione da
parte del critico di variare e approfondire la sua ricerca; ce ne accorgiamo
appieno se torniamo con la mente al procedere a saltelloni del saggio sul
Pascoli: l� un inizio pi� brusco e un accostamento immediato all'opera;
qui un andare pi� pacato. Il cesenate parte dall'uomo e dal suo carattere
e dal suo ideale di vita; sviluppa poi minuziosamente le sue osservazioni,
circoscrivendo i termini dell'eredit� carducciana e mostrando come il Pan-
zini fosse invischiato nelle pastoie del positivismo, e come la soluzione
estrema, quella che egli scelse, fosse di accettare con rassegnazione i propri
tormenti, e anzi trarre da essi un motivo di poesia.
Per molti versi, quello che il Serra attribuisce al Panzini potrebbe ri-
ferirlo a se stesso; in particolar modo i dubbi attorno al valore della cul-
tura, e � tutta la piet� e la noia e il desiderio vano di giovinezza �. In fondo,
sono tratti salienti di tutta la generazione letteraria degli allievi del Car-
ducci, quella che visse nell'ultimo decennio dell'Ottocento e nell'� et�
dell'oro )> di Giovanni Giolitti: dal Carducci, uomo adeguatamente inse-
rito nella societ� del suo tempo, si passa ai suoi discepoli, i quali vivono
e insieme si vedono vivere, e il cui credo � quello di un amaro scetticismo,
neppur esso conquista sicura ma, come nel caso del Serra, vaga condizione
aristocratica dello spirito. Che poi l'ironia del Panzini fosse spesso goffa-
mente voluta, e non riuscisse sempre a nascondere la realt� delle cose, la
vita che appare � come piccolo gioco di ombre nere sulla scenario vano �,
il Serra anche questo ben comprende, tanto pi� che si tratta di un pro-
blema comune a entrambi gli scrittori, e che riflette un'identica visione
44 sconsolata del mondo.
A questo punto, con una mossa retorica che gli � tipica, il critico si
chiede se valga la pena perder tempo a � giustificare codesta poesia �: una
domanda che abbiamo incontrato ormai pi� e pi� volte nelle sue pagine,
e che rispecchia il conflitto fra razionale e irrazionale nel suo animo.
E come al solito, prima di dare dei giudizi, si diffonde in citazioni, non
riuscendo peraltro ad inserirle--altra tipica difficolt� del Serra--in un
discorso critico compiuto. Proprio l'opposto del Croce, per il quale la
citazione viene ad assumere una funzione dimostrativa nell'economia del
testo. In realt�, la difficolt� di valersi della citazione non come pura esem-
plificazione, ma come strumento di convalida dell'indagine teorica, si com-
plica nel Serra tutte le volte che, come nel caso del Kipling e del Panzini,
egli sente l'uomo come staccato dalla pagina; e in questa bipolarit�, per-
turbata dalle rifrazioni continue di un piano nell'altro, finisce a volte col
perdersi. Eppure, diremmo che in questa tensione, nel presentare la sua
umanit� sempre viva e scoperta alla ricerca della poesia e dell'uomo, nel
tormentoso processo di affinamento dello strumento critico, che gli pare
sempre insufficiente, sta la bellezza e la ricchezza dei saggi del Serra, in
confronto alla piattezza o all'ostentata sicurezza di s� o alla vuotezza spi-
rituale della pi� parte dei critici suoi coetanei. La poesia, che � il bene
pi� vicino al Serra, e che egli perde e riconquista ogni volta, lo porta, nel
tentativo di comprcnderla e possederla, ad un impegno di tutto se stesso,
che ci fa capire come i momenti di noia o di ripulsione nei confronti dei
suoi libri non siano altro che la valenza opposta e complementare di un
unico atteggiamento di amore e d'attrazione. Quel Serra che a met� del
saggio sul Panzini sembra aver chiuso il suo discorso con una sorta di
negligente trascuratezza (� Oramai anche per assaggi saltuari e frettolosi
il Panzini l'abbiamo conosciuto. E che cosa altro mai ci eravamo proposti
di cercare, se non questa figura onesta e schietta che sorge sopra le carte
che sfogliammo non senza diletto? �) ecco vediamo riaprirlo e riimpe-
gnarsi sull'opera, dimostrando che, nonostante tutto, gli � impossibile esclu-
dere la sua attenzione ad uno dei due livelli: da un'analisi psicologica �
inevitabile il trapasso a un'indagine precisa del testo, con una cura scru-
polosa e finissima dei particolari. Ma se la figura del � grammatico � nei
saggi giovanili (si confronti il Kipling) non fa che aggiungere disordine al
disordine, peraltro affascinante, in cui il Serra, sconcertato di fronte al
problema critico, si dibatte, qui � impiegata in termini pi� precisi, quelli
di uno studio dell'educazione letteraria e della classicit� del Panzini. C'�
poi da spiegare che, convalidando quel processo di identificazione con
l'autore, sempre presente nel Serra a uno stadio pi� o meno latente, qui
egli rif�, assieme a quella del Panzini, anche la storia della sua educazione
letteraria:
Tutte le parti della sua vita e persona alquanto umile, della intelligenza sana
ma non altissima, della letteratura buona ma non squisita, della osservazione
e rappresentazione nitida ma non potente, della arguzia spontanea ma un poco
scarsa, ne prendono qualit�; che scorre lietamente per le pagine della sua prosa
onesta, e rende a loro aurea bont� onde sono care fra quante altre ne porti pi�
rumorose la stagione letteraria.
Nel Ferrari, ancor pi� che nel Panzini, il critico arriva al nucleo poe-
tico del suo autore attraverso lo strumento della critica stilistica. La lingua
48 dell'autore, il suo stile, sono la realt� concreta, e come tali analizzabili;
ma naturalmente, coesiste e si sviluppa per proprio conto anche l'indagine
sulla figura umana dello scrittore, a riprova di una costante del tempera-
mento serriano, e a dimostrazione--se � lecito dar valore ad una afferma-
zione del genere: � La sua bont� non � schiettamente poetica; ma essa
� morale, e anche letteraria. L'affezione ch'io gli porto non resta senza
ragione �--che si fa pi� consistente l'interesse del Serra per il mondo
morale dello scrittore. Ma la � sospirata bellezza �, quella che per il Serra
� la costante della vera poesia, in Severino � solo un accenno, o forse un
riflesso proveniente da quel � sole � che per il critico � il Carducci. Ha
certo un movente ben preciso il riferimento al Carducci come al � sole �--
motivo gi� presente in Per un ca~alogo--dal momento che il rapporto
del giovane col maestro si regge appunto su ragioni di tipo vitale, al di
l� della partecipazione dell'intelligenza; e nel Severino l'ombra pi� vicina
e pi� domestica del sole carducciano � anche pi� facilmente penetrabile,
ed � acconsentito accedervi mediante l'uso degli strumenti umani. Tra
l'altro, il critico nota, concordando con il Croce, come a un certo punto
avvenga un distacco della poesia del Ferrari da quella del maestro; e che da
tale evoluzione poetica nascono alcuni risultati felici, per i quali, pi� che
al Carducci, si dovrebbe avvicinare il Ferrari al Pascoli. Il che costituisce
una novit� per gli studi critici su Severino, e d� un'ulteriore riprova delle
doti serriane.
Se il saggio sul Ferrari ci interessa particolarmente perch� il critico non
rifiuta di dare apertamente dei giudizi, di assumersi delle responsabilit�,
c'� anche un altro motivo che--ci pare--� sfuggito all'attenzione della
critica contemporanea. Nella seconda parte del saggio, infatti, troviamo
un passo nel quale il Serra, tratteggiando il carattere di Severino, sembra
pluttosto voler parlare di s�, con un processo di totale auto-identificazione,
che � ben possibile se pensiamo che, come avveniva per il Ferrari, il Serra
si sentiva in posizione subordinata e secondaria rispetto al sole carduc-
ciano e anche rispetto alla sua stesso epoca:
Si incontrano nella storia figure che sembrano vivere fra gli uomini e gli 49
avvenimenti come la chiosa sul margine del libro. Ogni et� ne possiede: figure
velate e abbozzate appena, incompiute e sorgenti in un'ombra vaga.
E poi, mi sento cos� mutato in pochi giorni: ieri mi pareva ancora d'es-
sere un fanciullo. Adesso una stagione della vita � finita, come a uno schianto
cadono le foglie e fiori, e l'albero si ritrova un altro. Questo non importa, ora.
Il lavoro assume una diversa funzione nella sua esistenza: quella di
una soddisfazione interiore, e di un bisogno � energetico � di scrivere e
di realizzarsi compiutamente nella pagina. E in questo momento che la
vita di provincia gli rivela il suo maggior valore, permettendo al letterato
di sciupare, apparentemente, il suo tempo senza essere coercito dalla fretta
di pubblicare, e di arrivare alla conclusione al momento opportuno: � Que-
sto � il pregio dei libri come si fanno appunto in provincia; quando si ha
del tempo da perdere, per fare e rifare tranquillamente, e per pensarci su �.
Allo stesso modo, nella Partenza di soldati per la Libia (1912) � riaf-
fermato il rifiuto del concetto di storia come continuit� di fatti, legati fra
loro da un rapporto di causa ed effetto: � Il fatto nuovo non � una reli-
quia, una scheggia del fatto precedente. Ognuno � uno; unus et alter �.
Sembra che il Serra voglia persuadere, prima ancor che gli altri, se
stesso, quando asserisce: � ogni atto ha un valore razionale, che si rivela
al pensiero; ogni atto si pu� ricondurre a un perch�, a un fine e a una
ragione, a qualche cosa di universale, assolutamente valido cos� oggi come
sempre, che si esprime nella formula del cosiddetto bene �. In realt� gli �
ben presente lo iato che esiste fra realt� e ragione: � ... perch� a ogni ora
i dubbi, le esitazioni, la scontentezza risorgono; e ogni atto nuovo pu�
essere un nuovo problema, a cui la soluzione definitiva manca per sem-
pre �. I1 tendere continuo del critico verso una definitivit� delle risposte
agli interrogativi che via via si presentano urta, abbiamo gi� visto, contro
la consapevolezza della provvisoriet� di ogni conclusione; e allo stesso
modo accade anche in campo gnoseologico. Realt� particolare dell'azione
ed esigenza universale del pensiero, pi� che accordarsi, si pongono in
contraddizione perpetua, e lo scandagliare della ragione nel macrocosmo
della vita pratica, dove ogni cosa tende a sfuggire ed i rapporti inter-
personali--specialmente per il Serra--complicano la faccenda, � de-
stinato a esaurirsi di fronte alla molteplicit� del reale. E a questo punto,
verso la fine del saggio, che il Serra � costretto ad arrivare ad una con-
clusione provvisoria, non potendo farne a meno e, d'altronde, non avendo
nulla di pi� certo da dire:
E inevitabile allora che fra gli autori, di cui il Serra � portato ad oc-
cuparsi, venga a trovarsi quel D'Annunzio che praticamente domina la
scena del primo Novecento letterario italiano. Vediamo il critico sciogliere
con mano felice un problema che ai pi� pareva insolubile, e il D'Annun-
zio lodato e incensato da tutti assumere una dimensione pi� terrena. In
realt�, di fronte all'abruzzese il Serra non ha quelle resipiscenze ed esi-
tazioni -- che gli derivavano da motivi di carattere affettivo -- che
aveva mostrato negli studi sugli scrittori romagnoli, dove la ragione sen-
timentale rischiava sempre di mescolarsi a quella critica e alterarla. Il
D'Annunzio � soltanto e prima di tutto un problema letterario, e come
il Serra avesse visto chiaro, in mezzo a tanti scritti di lodi immotivate,
lo indica una lettera del settembre 1910 all'Ambrosini:
~ strano ch'io non possa incontrar Lei senza esser condotto quasi natural-
mente a una sorta di riepilogo e di esame della mia attivit�, o piuttosto passi-
vit�, pratica: il primo consiglio, che ebbi da Lei, fu di lavorare; e ancora sem-
pre mi sembra di dovermi giustificare in faccia a Lei: come se l'esempio e la
lezione della sua persona mi obbligasse ad accoglierlo, finch� sono con Lei,
nell'animo; mentre nel fatto � troppo lontano da me.
Il Serra vede dunque nel Croce l'uomo integrato nella societ� del suo
tempo, un uomo che agisce operando col suo impegno, tentando di mo-
dificare quegli aspetti o quelle strutture della vita culturale italiana che
meno gli sembrano validi, e soprattutto cercando di codificare in teoria
le varie forme dell'attivit� dello spirito. Un esempio e una lezione. Ma il
Serra � tutt'altro temperamento; riassume in s�, per alcuni versi, le ca-
ratteristiche della generazione simbolista, ma � troppo intelligente per
rinchiudersi nel castello di Axel, n� d'altra parte la via di Rimbaud pu�
tentarlo`, se non nei momenti di m�ggior sfiducia, quando, nell'oppres-
sione della sua Cesena, in mezzo ai debiti del gioco, il dissidio fra vita e
letteratura gli parr� insanabile, e l'unico mezzo di salvezza- gli sembrer�
l'evasione: � ... con che cuore pianterei tutta questa baracca e con un
poco di inglese che ho imparato proverei d'andare a New York a fare al-
meno il facchino! �.
La situazione spirituale del Serra ci sembra quella di una disponibi- 63
lit� a nuove esperienze morali, di un'aspirazione ad un inserimento nella
societ� del suo tempo, che urta continuamente contro un fondo di pigrizia
e di evasione nel mondo della fantasia. Donde le inevitabili divergenze col
Croce. Ma se egli crede di vedere nella provincia l'ostacolo principale allo
sviluppo organico della sua personalit� di uomo e letterato, questo di-
pende da motivi intrinsechi al suo carattere; in verit� in essa sta la sua
grande forza: una vita un poco ai margini della cultura attiva fa di lui
un giudice obiettivo e disinteressato: ne d� prova il volume delle Lettere,
la summa della sua esperienza critica.
Si parla dello stile, della cosiddetta forma. Non ne vogliamo dir bene. Oriani
cominci� a scrivere in un modo odioso [ ] Ma questa parte tecnica si miglior�
presto [ .. . ] . Restavano allora, e restaron sempre, anche dopo, certe scorie
asprezze, negligenze che hanno forse in lui un valore meno superficiale di
quello che possa parere.
Danno prova della maturit�, raggiunta dal Serra nel saggio, la sicu-
rezza e la validit� dei suoi giudizi, e soprattutto l'abilit� di adeguare la
sua critica alle esigenze che l'autore comporta, e la capacit� di penetrare
nel mondo dell'Oriani, offrendo prova di intelligenza e duttilit�. Prima
del saggio serriano c'era stato solo lo scritto del Croce sulla � Critica �
che avesse visto chiaro nella figura dell'Oriani. Ed � bene insistere sul-
l'influsso dei saggi crociani nei confronti della cultura italiana del primo
Novecento. Egli infatti andava passando via via in rassegna gli scrittori
del suo tempo, definendo le loro opere nelle caratteristiche salienti (con
quel tono di necessit� un poco precettistico rimproveratogli da pi� parti).
Se poi confrontiamo gli scritti del Croce e del Serra con le pagine che
il Borgese dedica all'Oriani, ci accorgiamo della grande differenza qualita-
tiva che corre tra quest'ultimo e gli altri due. Giuseppe Antonio Borgese,
ingegno impetuoso legato strettamente alla tumultuosa vita intellettuale
italiana dei primi del Novecento, ne porta con s� i difetti pi� evidenti: la
smania di imporre le proprie ragioni, il desiderio di infrangere i miti (salvo
nel caso dell'intoccabile D'Annunzio, beninteso), il gusto per l'espressione
altisonante ed enfatica. La riduzione che egli fa del personaggio dell'Oriani,
senza tentare di approfondire il problema della sua arte; il fraintendimento
del saggio crociano, il semplicismo con il quale egli si accontenta di liqui-
dare la figura dell'Oriani, senza esaminare il rapporto che intercorre tra
esse e il narratore, ci fanno considerare fallito il suo studio. E tanto pi�
evidente ci appare questo se, dopo aver letto il Borgese, riprendiamo i
romanzi dell'Oriani, notando come l'immaturit� dello scrittore si riveli at-
traverso la forma incerta e approssimativa. Ed anche il Croce, come il Serra,
rileva che questi difetti si attenuano con l'andar degli anni. Ma al Croce
sta a cuore un'altra questione, quella di caratterizzare l'hegelismo del-
l'Oriani: pertanto egli dedica numerose pagine all'Oriani storico, e la trat-
tazione di questo motivo finisce col prevalere. Il Serra invece si rivolge
solo ail'Oriani letterato. E persino difficile riassumere il suo saggio o pre-
sentarne i punti salienti, tanto esso si mostra organizzato in una connes-
sione esemplare di motivi e osservazioni. I progressi dell'Oriani sono visti
dal critico seguendo passo passo i romanzi, e contemporaneamente appro-
fondendo i'indagine sul carattere dell'uomo, in cui il Serra trova � un'ansia
di capire e di criticare e di valutare, da un punto di vista superiore e con-
sapevole, uno sforzo di sapere e di pensare ~, che, per analogia, potremmo
attribuire anche al Serra stesso. Ma quel che veramente interessa al Serra
� il mutamento degli ultimi anni dell'Oriani, quando la parte pi� nobile
della sua personalit� ha libero sbocco; � qui che egli incontra uno spirito
simile al suo. Rincresce solo che l'analisi serriana si fermi senza toccare
l'ultimissima produzione dell'Oriani; ma il Serra del 1913 � gi� intento al
volume delle Lettere, preso da quella � disciplina del lavoro quotidiano �
che rirnarr� perennemente un mito nella sua coscienza. Nel panorama della
letteratura italiana contemporanea, comunque, ci sar� un posto anche per
l'Oriani, caratterizzato da una serie di giudizi che fanno definitivamente
luce sul personaggio, che nell'immediato anteguerra acquister� agli occhi
di molti un valore particolare proprio per la parte meno valida della sua
opera.
Gli ultimi due anni di vita del Serra sono estremamente significativi,
non solo per i risultati critici raggiunti, ma anche--come gi� accenna-
vamo--per la sua apertura verso il mondo, e per l'incontro con il De Ro-
bertis e gli uomini della seconda � Voce �. Da questa amicizia nasce un
dialogo interrotto solo dalla morte, e numerose considerazioni e spunti
degni di nota.
L'insistere sulla fase preliminare della critica, sul lavorio emotivo del-
l'individuo di fronte a un altro mondo--a cui, per necessit�, il critico
non si accosta mai puro e vergine, ma sempre con un'esperienza di vita
e un condizionamento storico particolare-- �, l'abbiamo gi� visto pi�
volte, caratteristico del Serra, ma irripetibile. Nelle pagine del De Robertis
o dell'Angelini, suoner� falso.
Il passaggio dalle sensazioni sottili del critico alla realt� del testo da
esaminare, la Choix de Ballades fran~aises, � un poco forzoso, e la non
breve esperienza critica del Serra non gli nasconde i limiti dell'arte di
Paul Fort: il vecchio � grammatico � esce sempre fuori, anche in un testo
tanto liricizzante quale il Ringraziamento. ~, in fondo, una letterato che si
accosta a un altro letterato, e la parte pi� riuscita del saggio � proprio
quella in cui il critico esamina il problema del � letterato � Fort nella sua
intenzione di essere poetico. Alcune osservazioni paiono addirittura pre-
correre lo studio giovanile dello Spitzer sulla poesia simbolista, nell'insi-
stenza sul valore particolare, ora evocativo e ora no, dei vocaboli, dei neo-
logismi. Lo strumento critico del Serra si � notevolmente affinato; basti
l'esempio di questa definizione in cui si rivela tutta la sua capacit�: � ...quel
neologismo cos� astratto e sensibile che rivela tutta l'eredit� del simboli-
smo e di certi programmi di rinnovazione del linguaggio poetico, che non
hanno oltrepassato le pi� volte qualche ricercatezza grammaticale e qualche
sottilit� pseudo filosofica �. La polemica del Serra contro i tentativi di rea-
lizzare una poesia assoluta (� quel concetto della poesia assoluta, che � stato 71
fabbricato da una certa cultura �) � sottile e non generica, mentre si � visto
a torto, da parte di alcuni, in lui il cultore della poesia esclusivamente
pura, il ricercatore del frammento dove traspaia la bellezza assoluta
C'� da aggiungere che la parte del saggio, dove il Serra si lascia an-
dare alla ricerca della pura bellezza, � la meno riuscita. Egli prepara il ter-
reno, ad ogni modo, riconfermando la relativit� del suo discorso e della sua
posizione critica: il saggio su Paul Fort non vuol essere--almeno, nella
coscienza dell'autore--un debito da pagare, n� lo scioglimento di un
problema intellettuale, quanto � una distrazione nella forma pi� comune
un poco di svago e di piacere �. E per lo svago egli si prefigge la ricerca
della bellezza, non nella musica dei versi, non nella collocazione delle parole
e delle sillabe (come gli aveva insegnato l'Acri), ma nelle � cose �. Questo
vocabolo approssimativo e di facile uso, che egli trasmetter� al De Ro-
bert�s, e che condiziona tutto il suo processo di accostamento alla poesia
di Paul Fort, �, comunque, all'interno stesso del saggio, in contrasto con
quello che viene dopo, l� dove il Serra, con gusto quasi proustiano, si in-
canta al suono dei nomi di luoghi che via via gli si presentano.
E Paul Fort, se ritorno a paragonarlo coi suoi anziani, con la musica indi-
menticabile di L�lian, con l'intensit� assoluta del carlopolitano, par quasi un
dicitore, un d~seur, prima che un poeta. Il suo movimento � discorsivo, fiorito
di gentilezze e di giochi; ma il cammino che egli segue, si vede, e la sua age-
volezza non rifugge dall'aiuto di un po~ di schema. E anche il ritrno l'aiuta, alla
maniera tradizionale...
Ma, alla chiusura del saggio, quella che si pone in primo piano �, an-
cora una volta, la componente affettiva del rapporto tra il critico e il
testo--non per nulla nel titolo del saggio compare la parola � ringrazia-
mento �:
~ un uomo che scrive; non un dio che canta [...]. E nell'uomo, bisogna far
bene la parte necessaria alle debolezze, alle imperfezioni, al mestiere. Dopo, ri-
mane ll dono e la grazia. Rimane la canzone. Non bisogna analizzarla, ma rican-
tarla col suo sospiro che sale e scende.
La dialogicit� del Serra, la sua ironia che � sempre sofferta e mai provo-
cata dall'esclusiva lucidit� dell'intelletto, lo portano a sensibilizzare al-
l'estremo il discorso critico. Ecco allora il capitolo delle Appare~ze, dove
il critico sembra giocare sconsolatamente con le opinioni comuni, che ve-
dono tutto bello e facile e felice nella nuova cultura italiana, e rompono
con il passato con la sicura tracotanza che deriva dalla scarsa coscienza dei
propri limiti:
Pare che il Serra, che aveva gi� pi� volte rinnegato la � religione delle
lettere �, quella che--egli diceva--gli serviva da maschera, qui la riaf-
fermi e la difenda con rinnovata forza, contrapponendola, come valore,
all'enciclopedismo insipido e livellatore delle ultime generazioni, nelle
quali, sotto l'apparenza ambiziosa, egli vede � la povert� intima dell'animo
e dell'arte �. Lungi dall'attribuire la colpa di questo scadimento agli in-
dividui singoli, egli la vede nella trasformazione della societ�, nelle espe-
rienze di nazionalismo e retorica che cominciano a diffondersi; eppure, al
limite, si rende conto che questi caratteri generali � riguardano pi� la
moralit� e il costume che non la letteratura. Nella letteratura importa
l'ingegno degli scrittori e la qualit� delle opere �. Sarebbe ingiusto
censurare -- come hanno fatto alcuni crit;ci -- questa posizione del
Serra, vista come un atto di disimpegno e di rifiuto nei con-
fronti di una letteratura � progressiva �. In realt� il Serra era
fortement~ legato alla cultura e ai gusti del suo tempo, all'educa-
zione ricc~ ;ta dai maes~ri, e se pure avvertiva tutta la crisi della sua ge-
nerazione~ non poteva certo, profeticamente, anticipare atteggiamenti di
molto posteriori. Tra l'altro, nelle stesse Lettere, la condanna dell'Oriani
pi� superficiale ripropone un impegno del critico il quale, con gli stru-
menti che il suo tempo e la sua personalit� gli mettono a disposizione, si
batte a favore di un rinnovata moralit� ma, in ultima analisi, pare am-
mettere che il fatto letterario pi� che altro implica un discorso di ingegno
e qualit�. Comunque egli stesso ben comprende che la falsit� dell'animo
di necessit� provoca una qualit� scadente, come nel caso del D'Annunzio
pi� noto; ed ecco rientrare allora nella problematica serriana quell'idea di
mondo morale che egli tendeva, con un atteggiamento di eccessivo for-
malismo, ad escludere dal rapporto con la qualit� letteraria. Importante
perci� � il riconoscimento che il D'Annunzio migliore � nelle ultime
cose, dove il ricorso alla memoria e al cuore indica un rinnovamento del-
l'animo del poeta, che si fa pi� sottile, pi� personale.
Nel luglio 1914 viene richiamato alle armi per un'esercitazione di una
trentina di giorni; e la guerra gi� scoppiata in Europa apre nuove proble-
84 matiche e ne riapre di vecchie nella coscienza serriana. La certezza mag-
giore che gli resta �, a questo punto, il ricordo del passato, e ne d� atto
in una lettera affettuosa al Croce, dove alla minaccia della guerra che in-
combe, viene contrapposto il valore della realt� del tempo trascorso:
� Anche oggi lo ridico a me stesso, tutto ci� che � stato una volta � in
eterno; noi cambiamo, e ci allontaniamo e ci rinnoviamo a ogni atto; ma
il nostro passato, caro e doloroso, rimane sempre �. ~ lecito, si chiede il
Serra in un'altra lettera di poco posteriore, indirizzata al Linati, parlare
di articoli e di letteratura, mentre l'Europa � in armi? La risposta, in
un primo momento, � negativa: � non si pu� parlar altro che prendere
la nostra parte di questa gran passione dell'umanit�; ahim� coll'animo
soltanto, finora, e con l'ironia addosso di un dovere e di un destino man-
cato. Ma chi sa? �.
Ognuno � quello che �. La guerra non crea, non cambia niente. Non ne
uscir� l'arte nuova, se ci sar�. E se non ci sar�. Perch� questo � pi� sconsolante
e pi� amaro alla fine, amici miei.
Ma gli ideali dove sono? Quelli vecchi, del Carducci, perduti, morti
e poi fatti rinascere da una comunione di affetti, e poi ancora distrutti
dalla ragione; ideali nuovi il Serra non ne conosce, se non l'esigenza di
una morale e di un dovere che, essi soli, gli posson dare la forza per
vivere. Ecco allora che acquista un particolare significato l'esperienza
del Rolland, che � � un grande di anima >~. N� il � problema � Rolland
pu� essere liquidato, finch� il Serra non abbia dato una soluzione accet-
tabile all'interrogativo della sua funzione nel mondo. Cos�, pochi mesi
prima di morire, nelle trincee del Podgora, egli torna ai suoi appunti sullo
scrittore francese. Sopra di s� ha il cielo delle � acquate tepide �, e tutta
intorno una � primavera [...] pesante in questo paese di canali e acqui-
trini �. I1 libro, portato appresso non per essere letto, � un obbligo e in-
sieme quasi un talismano; eppure il Serra si accorge che il tempo � pas-
sato, che forse non vale nemmeno la pena di parlare di esso, o che forse
non ve n'� realmente il tempo, e la morte gliene toglier� la possibilit�.
Il Serra, certo, anche nell'Esame, si eleva ben pi� in alto delle posi-
zioni vociane. Dove negli altri la componente dominante � quasi sempre
il tono lettterario retorico (nel De Robertis addirittura la letteratura �
anteposta alla vita, e alla fine la uccide), nel Serra sentiamo la passione e
la sincerit� dell'animo, che si dibatte fra contraddizioni e dubbi, ma porta
avanti il pi� possibile la sua ricerca personale. Lettera aperta al De Ro-
bertis, in un certo senso, l'Esame inizia con l'adesione alla tesi derober-
tisiana sulla possibilit� di far della letteratura, nonostante la guerra, che
avviene peraltro con modi gravi e pacati, e con l'atteggiamento pensoso
di chi ha da risolvere, assieme a un problema, il nodo della propria vita.
Il conflitto fra razionale e irrazionale raggiunge qui la sua evidenza mas-
sima: ne danno prova l'uso frequente delle antitesi e le brusche variazioni
non � un ram-
letteratura non
Del resto viviamo, poich� non se ne pu� fare a meno, e la vita � cos�
E facciamo magari della letteratura. Perch� no? Questa letteratura, che io ho
sempre amato con tutta la trascuranza e l'ironia che � propria del mio amore
che mi sono vergognato di prender sul serio fino al punto di aspettarne o ca-
varne qualche bene, � forse, fra tante altre, una delle cose pi� degne.
Gli ultimi mesi di vita del critico trascorrono in mezzo al travaglio della
guerra, imminente e poi scoppiata. Il 16 maggio, al fronte, cadendo da una
automobile, riporta una lesione della base cranica; trascorre un mese di
convalescenza a Cesena; ma agli inizi di luglio ritorna alle trincee, sul Pod-
gora. Si sviluppano in questo periodo molte riflessioni che divengono
convinzioni; e la principale �, coerentemente alla problematica serriana,
l'esigenza di un bilancio morale, che avvenga a guerra finita; non solo
personale, ma di tutti quanti, e che implichi il riconoscimento del prin-
cipio primo della coscienza umana: il rispetto della verit�. Nelle ultime
lettere, tuttavia, dimentico dei problemi della letteratura e della societ�,
il Serra si concentra tutto nel suo rapporto con la natura, i colli induriti
dal sole, la calma immobile del mezzogiorno, i cieli sbiancati e scolorati.
C'� in queste pagine uno strano presagio di morte, che si intuisce soprat-
tutto nell'affinamento dei sensi, i quali percepiscono anche le pi� piccole
manifestazioni di vita, e nel distacco dal mondo � esterno �. Il Serra
ritrova una semplicit� da lungo tempo sconosciuta; le lettere sono ai pa-
renti o agli amici e, in particolare, alla madre.
92 uno strano miscuglio di debolezza e vitalit�, quello che esce dal lento ma
progressivo disgregarsi dei valori della tradizione, vede in lui l'emblema
pi� significativo.
C'� un altro aspetto del Serra che, a questo punto, va rilevato: si tratta
della sua personalit� di scrittore. Se infatti le sue opere critiche acquistano
un rilievo particolarissimo, ci� � dovuto anche alla finezza del suo stile,
e, oltre ad esse, esiste la ricca documentazione dell'epistolario ad avvalo-
rare la nostra impressione di essere di fronte a uno scrittore di pregio.
Riimmergendo poi la produzione serriana nel patrimonio culturale del
suo tempo, e procedendo ad una serie di raffronti, tale impressione non
pu� essere che convalidata, rafforzato il convincimento di trovarci davanti
a un modo di scrivere personalissimo e, per molti versi, affascinante.
Quello che nel Serra � efficacia stilistica e dote naturale, diviene nel De Ro-
bertis e nell'Angelini maniera, narcisismo, e il Cecchi giovane, per parte
sua, � ancora avviluppato in uno stile denso e verboso. N�, d'altronde, �
pi� convincente il Borgese, in cui lo stile da pubblicista � sorretto, ma nello
stesso tempo appesantito, dell'uso continuo della metafora. Resta il Cro-
ce, la sua parola piana e il suo stile limpido, che trae la forza dalla
saldezza e dall'omogeneit� del procedimento discorsivo; ed effettivamente
non si pu� disconoscere l'originalit� della prosa crociana. Ma, come nel
ragionamento e nel procedimento critico il Serra � diverso, anche se non
antagonista, dal Croce, cos� nei modi stilistici, movendo da caratteristiche
differenti, ottiene risultati altrettanto apprezzabili.
Come nella storia della critica serriana c'� un incessante progresso, cos�
anche lo stile � soggetto ad un'evoluzione di rilievo, specialmente se si
considera che il punto di partenza � quello del discepolo del Carducci. Tra
l'altro, � impossibile non distinguere i due piani, quello del saggio critico,
dove il discorso si fa pi� consapevole e l'autore � maggiormente attento
alle movenze formali, con tutti i pericoli che questo comporta, e l'epi-
stolario, dove troviamo un Serra pi� sciolto, disinibito, meno preoccu-
pato dell'eventuale pubblico. Pertanto, volendo giungere a definire le
connotazioni dello stile serriano, conviene procedere per campioni, se-
guendo la cronologia dell'epistolario e quella degli scritti critici. Cos�, sfo-
gliando le pagine della tesi sui Trionh, troviamo ancora un Serra atteg-
giato a classicista, la cui prosa, pur rivelando una notevole efficacia e forza
intellettuale, � di frequente impaludata in forme arcaicheggianti, special-
mente nell'uso ripetuto di formule di collegamento o di bilanciamento
del periodo, retoricheggianti (di leggieri, s� che, che altra... se non, alcuna
volta ecc.) e in genere � preferito l'impiego, non appena � possibile, della
tronca nelle forme verbali e nei sostantivi. Allo stesso modo, le lettere del
1902-04; anche se meno composte, rivelano appieno l'influsso della scuola
carducciana. C'� sempre il rischio, in questi primi scritti, che la forma
rimanga qualcosa di esteriore, un bel vestito sovrapposto al contenuto.
Ma basta giungere alle lettere del 1905, quelle scritte da Roma, per tro-
vare un Serra quasi completamentte autonomo e originale. Pu� servire da
esempio la famosa lettera all'Ambrosini del 7 agosto 1905, spedita dal-
l'ospedale m`llitare del Celio, di cui riportiamo un passo:
Pare che sia stato fatto apposta per me; coi suoi padiglioni rossi disposti in
lungo ordine su la costa del Celio, fra carpini e felci e pini dalla verdissima
ombra. Io ci passeggio in veste tra l'ammalato e di frate zoccolante--cami-
ciotto di bordatino azzurro, calzoni bianchi e amplissime ciabatte; e m~assaporo
tutto, in un silenzio raccolto, la gioia dell'ozio, la gioia di una vita di avveni-
menti ma cos� fiorita dall'immaginazione, cos� ricca nella sua placida egualit�.
Io percorro sempre gli stessi viali e vedo sempre le stesse cose; il sole na-
scere in quel cielo e arrossare primi quegli embrici; e tramontare in quel luogo
e dorare--che magnificenza di crepuscolo a Roma--ultimi quei pini e quel
nodo di roveri; scorgo fuor delle mura sempre quelle rovine quelle colonnette
quella cappella e quei bigi palazzi: ma sempre nuovo � il mio cuore e il sogno
che l'accompagna. Questa veste ondeggiante di monaco, queste ciabatte che
m'obbligano a una lentezza capricciosa e tranquilla, tutto ci� che qua dentro
mi sequestra dagli uomini, dai loro usi e dagli affanni, mi rende pi� sicuro, pi�
lieto di me, il mio corpo e il mio spirito ritrovano un'agevolezza, cos� lon-
94 tana dalla goffaggine ben nota delle vesti e delle parole e dei modi che sem-
pre m'ha afflitto: e come il sole, filtrandomi tra le grandi persiane verdi nella
camera tacita, sui letti bianchi e sui muri cilestrini, par che mi bagni di fre-
scura e di pace, cos� le amarezze e i rimpianti degli anni perduti, della dolce
vita ch'io non so bere, dell'amore che non ebbi, dell'arte che non so, mi si
tramutano qui in un piacevole incantamento di memorie serene, in un sopore
di quieti desideri, in uno splendore di fantasmi molto grato--ch'io posso ri-
mirare e fingere a mille a mille pi� nuovi, poich� nulla mi urge, nulla mi tocca
di presso; tutto � indefinito, indistinto, tra il sonno e il sogno. Tutti uguali i
giorni; e immobile l'ozio: e ogni azione, decisione, battaglia lontana.
Vedevo una terra stanca, sotto un cielo impicciolito e coperto; una grigia
distesa tutta uguale, in cui le abitazioni innumerevoli e immote parevano ma-
cerie disperse e abbandonate dal tempo.
Qui l'aggettivo non ha pi� una funzione statica, come notavamo per
la prosa giovanile del Serra, ma assume significati pregnanti, accentuati
dall'uso costante delle coppie d'aggettivi, e dall'impiego dell'imperfetto
che pare raggelare la descrizione svuotandola di ogni forma di vita. Solo
attraverso tale procedimento il critico pu� introdurre il dramma che � in
lui: � Dove sono gli uomini e la storia? � e negare la validit� della storia
come connessione consequenziale di fatti.
o ancora:
97
Chi mi dar� il principio della disciplina quotidiana? [...] dove sono quei
bei pomeriggi in cui un foglio di carta da lettere mi pareva fatto per rove-
sciarci su tutto quel che mi passava nel capo, dalle impressioni delle letture
ai sapori della terra e dell'aria? [...] Ma la poesia dov'�? Dov'� quel verso o
quella parola ch'io possa ridire per mio diletto, pura e sola, avendone piena
l'anima nell'oblio di tutte le altre cose del mondo?
98 � uno dei vocaboli-chiave della prosa serriana, dal momento che il suo
significato � applicabile tanto al mutar della natura quanto agli stati d'ani-
mo dell'uomo, transeunti e destinati a non durare. � Cambiano nello spi-
rito anche le stagioni �, dir� al Prezzolini in una fra le sue lettere pi�
belle e pi� ricche. Fra tutte le stagioni, quella che egli preferisce � l'estate.
i~ raro trovare negli scritti del Serra la descrizione di un paesaggio inver-
nale; frequentissime, invece, specialmente nell'epistolario, le pagine dedi-
cate all'estate e all'autunno. Comprensibile questa scelta, se si pensa che
per il Serra l'estate � il tempo del disimpegno, della disponibilit� totale,
del lasciarsi assorbire dal fascino della natura. Con l'estate, le preoccupa-
zioni vengono per un attimo messe da parte, e l'uomo recupera l'istinto
vitale, quello che gli fa godere appieno dello spettacolo della vita e della
natura. Ma, col finire della stagione, il Serra in cui, in generale, la ten-
denza al senso di colpa � fortissima, sente tutta l'angoscia del tempo che
gli sembra perduto; rimpiange i giorni trascorsi e, d'altra parte, la convin-
zione di averli mal spesi lo tormenta. Ed ecco che egli vive la fine della
stagione e l'arrivo dell'autunno come la corrispondente esatta dei suoi
moti interiori.
Nasce da uno stato d'animo simile una delle pagine pi� belle del Serra,
un brano di una lettera, scritta all'Ambrosini da Cesena l'11 ottobre 1911,
che ci fa pensare al Leopardi, non solo per la situazione analoga del rap-
porto scrittore-natura, ma per l'identica condizione del letterato di provin-
cia, che nel � natio borgo selvaggio � continua la sua vita in margine alle
passioni del mondo:
Oggi per esempio i libri mi tornano amici. L'estate � finita, i giorni sono
umidi e silenziosi; la sera per le vecchie strade buie non c � pi� l'andare e
venire delle ragazze e tutte le voci sveglie della piccola commedia paesana. Le
porte sono chiuse e nere; io guardo le stelle e torno a sentire a poco a poco
i dialoghi inquieti dell'anima che ritrova se stessa. Sono stanco, non penso pi�
alla palla alla bicicletta alle carte ai dispetli e ai fervori del sangue. Ho
voglia
di sedere e di guardare. Mi sorride l'ombra di Renan nel giardino del semi-
nario di Issy; seduto fra le spalliere di verde freddo e duro, su un banco di
marmo agghiacciato dalla nebbia d'autunno, con le gambe avviluppate in un:
coperta di lana. Forse viene il tempo in cui far� qualche cosa, di ci� che fra
gli uomini si suol chiamare lavoro; come se anche l ozio e i sogni non fossero
opera !
L'andamento paratattico (una sola subordinata, relativa, che non si
sarebbe potuta assolutamente togliere) non � casuale; dell'animo del
Serra, dalia sua disposizione contemplativa i pensieri sgorgano pianamente
e si dispongono l'uno in fila all'altro, con la lentezza di chi medita sul pro-
prio destino. I � dialoghi inquieti dell'anima che ritrova se stessa � sono
per il momento placati dal senso di stanchezza, dal malinconico constatare
la morte di una stagione: assieme all'autunno torna l'amore per i libri, ma
si riaffacciano contemporaneamente i vecchi problemi, l'incertezza tra let-
teratura e vita, gli interrogativi sul destino umano, la cognizione del tempo
che fugge. Il recupero finale del valore dell'ozio e dei sogni, attuato sul
piano emozionale e con la coscienza del paradosso (lo indica l'uso del
come se e del punto esclamativo) riporta il Serra al suo abituale assillo: il
lavoro che incombe, e che vorrebbe rimandare, e che non sa come com-
piere: insomma, la questione di sempre.
Abbiamo visto, dunque, come il Serra degli anni 1909-11 abbia gi�
uno stile personalissimo, che riflette la sua problematica, la quale ruota
attorno ad alcuni punti cardine. Naturalmente, nella misura in cui la ccm-
ponente che pu� prevalere nella prosa serriana, a volte, � la passione vitale,
c'� il rischio che il discorso si corrompa, si faccia troppo morbido, talora
addirittura snervato. E il caso di molte pagine del Ringraziamento (1913),
di cui avevamo gi� indicato i limiti critici, e a cui vogliamo accennare esa-
minandone anche il linguaggio e lo stile. Baster� citare un breve passo al-
l'apertura dello scritto, per renderci conto di un disagio che determina in
noi una lettura attenta e analitica:
Qui siamo stati invece in una calma che non s'immagina, chiusi in questo
paesino pulito, quasi perduto in un angolo della pianura bassa, dove non si
sente un rumore e la posta e i giornali fanno fatica ad arrivare; e non c'� altro
orizzonte che, nelle ore della mattina e quando l'aria � pi� pura, le Alpi, so-
spese sul cielo come una barriera di neve cos� tersa e netta che par di toccarla,
di averla addosso.
Quello che nell'Esame era stato detto con accento pi� concitato, ora
viene riaffermato con maggior pacatezza e convinzione: � ...la guerra non
cambia n� uomini n� cose, fuor che in qualche momento � (a Nino).
Se dovessi dire che l'ho preso per leggere, direi una bugia. Sicuro. i~ piut-
tosto un non so che: come le lettere, chiuse, che mi son portato dietro: e
a una a una... Un non so che: come un obbligo da soddisfare. E un rincre-
scimento oscuro d'essere in ritardo, un rincrescimento che mi punge pi� forte
insieme con l'impressione di non essere pi� in tempo. Non so quante volte
[l']ho incominciato, a prender delle note (pez~o di carta). E adesso � tardi;
anche se non fossi stanco e altrove. Tardi per lui...
NOTIZIE BIOGRAFICHE.
1884. Renato Serra nasce a Cesena da Rachele Favini e dal dottor Pio Serra,
il 5 dicembre.
1904. Si laurea con una tesi sui Trionfi di Francesco Petrarca, il 28 novembre.
1908. Nella primavera si assume il lavoro, oflertogli dal duca Caetani, di spoglio
del materiale fiorentino per un grande dizionario bio-bibliografico. Du-
rante l'estate conosce il Croce a Cesena. Dal 15 ottobre inizia l'insegna-
mento nella Scuola Normale femminile di Cesena. In dicembre muore la
sorella Pia, che lascia il marito e due bambini.
1909. Nell'ottobre � nominato direttore della Biblioteca Malatestiana.