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Q
uesta raccolta di importanti testi duecenteschi può essere
una felice scoperta, afferma Marco Santagata nella sua
premessa. Addirittura, precisa, una doppia felice scoperta:
«quella di una tradizione in volgare di visioni dell’aldilà e di testi
didattico-escatologici che precede di poco il poema di Dante, e quella
di una zona padana, fra Milano e Verona, sulla cui produzione
letteraria quasi mai anche le persone colte – prese dai lirici di Sicilia,
dai guittoniani, dagli Stilnovisti, dai laudisti, insomma, dalla grande
fioritura poetica dell’Italia mediana – gettano un occhio».
I poemi di Bonvesin da la Riva e Giacomino da Verona, qui
accompagnati da alcuni passi scelti dalle opere di Uguccione da Lodi
e Pietro da Barsegapè, costituiscono esiti letterari di inconfondibile
fisionomia e grande tenuta per diversi motivi. In primo luogo per
l’energia della tensione e delle finalità squisitamente morali che si
prefiggono, e che costituiranno sempre, anche nei secoli successivi,
una matrice e un carattere della cultura letteraria settentrionale. In
secondo luogo per il loro collocarsi attivamente in un clima e in una
tematica – quelli, appunto, delle visioni e dei viaggi d’oltretomba –
specifici dell’epoca e che troveranno poi nella Commedia dantesca la
più elevata e ineguagliata espressione. E ancora per la grande forza
ruvida, originaria, espressivamente inquieta e carica di episodi e
scene di una penetrante concretezza, dei versi di questi quattro
autori. La cui opera viene qui proposta, nella versione originale e
nella traduzione in versi italiani, da quattro poeti del nostro tempo,
Maurizio Cucchi, Mary Barbara Tolusso, Giorgio Prestinoni e
Fabrizio Bernini: decisamente, apertamente coinvolti dall’esemplarità
di quei lontani maestri, tanto da impegnarsi nell’esercizio e nella
bellissima avventura di ricrearne lo spirito e i valori.
VISIONI DELL’ALDILÀ PRIMA
DI DANTE
Testi di Bonvesin da la Riva, Giacomino da Verona, Uguccione da Lodi,
Pietro da Barsegapè
a. Mi riferisco al Libro delle Tre Scritture, a cura di Matteo Leonardi, Ravenna 2014 e
a Le meraviglie di Milano, a cura di Paolo Chiesa, Milano 2009.
b. Lo pensa Jacques Le Goff, La nascita del Purgatorio, Torino 1982, pp. 379-80.
Visioni dell’aldilà prima di Dante
BONVESIN DA LA RIVA
Libro delle tre scritture
nella versione poetica di Maurizio Cucchi
Esponente della cultura milanese vissuto nel XIII secolo (circa tra il
1250 e il 1315), Bonvesin fu membro del Terz’Ordine degli Umiliati,
fu Doctor gramatice, e si dedicò a opere di beneficenza e assistenza,
finanziando ospedali e scuole private. La sua opera letteraria
comprende il ben noto elogio in prosa latina della sua città, De
magnalibus urbis Mediolani (Le meraviglie di Milano, 1288), scritti
volgari didattici in versi come De quinquaginta curialitatibus
(Cinquanta cortesie da desco), il poemetto in distici latini De vita
scholastica (legato alla sua personale esperienza di insegnante), i
contrasti in volgare Disputatio rosae cum viola (opera tra le sue
maggiori), Disputatio musce cum formica, Laudes de Virgine Maria, e il
Libro delle tre scritture qui proposto e considerato un possibile
antecedente della stessa Commedia dantesca. Come ha scritto
Gianfranco Contini, in Bonvesin si può riconoscere «la personalità
più rilevante della cultura milanese duecentesca; e il maggiore fra
quanti si esprimono nel volgare locale, non solo per Milano […] ma
per la Lombardia nel senso medievale del termine e addirittura per
l’intero Nord».
Matteo Leonardi, che ha curato l’edizione del Libro delle tre
scritture, ci dice che Bonvesin fu figura eminente in quella schiera
d’intellettuali lombardi e veneti che nel XIII secolo elessero la lingua
parlata a strumento di divulgazione morale in forma scritta, senza
temere di elevare lo status della lingua volgare a “lingua letteraria”,
con l’intento, nel caso del Libro di Bonvesin, «di ammaestrare
spiritualmente un pubblico “volgare”» riuscendo a fondere «il rigore
didattico e formale che deriva all’autore dalla sua esperienza
magistrale alla vivacità narrativa della predicazione in versi, alle cui
forme tende ad assimilarsi».
Il poema è diviso in tre parti, come indicato dal titolo, e
appartiene al genere delle visioni ultramondane. Nella prima parte
vengono narrate le pene dell’inferno, nella terza le glorie del
paradiso, mentre la seconda è dedicata alla Passione di Cristo.
Bonvesin compone in quartine monorime di alessandrini. Nella
traduzione ho cercato di rispettare il ritmo per ogni emistichio,
concedendomi qualche maggiore libertà nell’uso della rima – che ho
utilizzato liberamente in ogni quartina, cioè in modo non
regolarissimo, come si potrà notare, soprattutto per evitare effetti
involontariamente parodistici (essendo ben diversa la nostra
percezione della rima e del suo valore rispetto ai tempi dell’autore).
Ho conservato, dall’originale alla traduzione, qualche parola
rimasta, attraverso i secoli, nel dialetto milanese, data l’efficacia
espressiva e il sapore di forte connotazione locale che è ancora in
grado di proporre (per esempio «stremir», «schisciar»). Così come ho
cercato di mantenere un certo tono popolareggiante, presente nella
pur colta lingua bonvesiniana.
Il testo originale riprodotto è quello dell’edizione curata da Matteo
Leonardi (Bonvesin da la Riva, Libro delle Tre Scritture, Ravenna
2014), la cui ricca annotazione è stata preziosa per chiarire il
significato di molte parole, di molti passaggi di un volgare spesso di
difficile decifrazione o interpretazione.
SCRITTURA NERA
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