7
a scuola in esclusiva, poiché il nostro ordinamento scolastico
ignora del tutto la storia dell’Oriente cristiano dopo Costantino,
o ne ha del tutto vaghe notizie. Nel campo della teologia cattoli
ca, il «ritorno alle fonti» iniziato alla fine del 1800 e rilanciato e
sanzionato dal Concilio Vaticano II, conosce i Padri greci fino al
sec. V, e la dottrina dei Concilii ecumenici fino al VI, il Costanti
nopolitano III, e sfuma fino a ignorarla la dottrina fondamentale
del Concilio di Nicea II, Ecumenico VII, sulle «sante icone», che
non ebbe recezione pratica. Se poi qualche raro specialista occi
dentale conosce il neo-calcedonesimo e san Massimo il Confes
sore (t 662), in pratica la teologia cattolica da allora respira, co
me fu detto acutamente, «con un unico polmone»: da sant’Ago
stino via Medioevo e la Scolastica, la Riforma, giù giù fino alle
questioni moderne. Rarissimi sono gli studiosi occidentali che
possano valutare la profondità e la difficoltà del palamismo, ad
esempio. E finalmente, nei grandi manuali correnti di teologia
cattolica rinnovata dopo il Concilio Vaticano II, le correnti teo
logiche dell’Ortodossia greca sono praticamente ignorate (se non
volutamente, a causa della disistima ingenua e aprioristica).
8
Grecia. E probabilmente l’Italia, tra tutte le nazioni europee, è
quella più vicina per storia e cultura e simpatia per la piccola im
mensa Grecia. Ma la teologia italiana in genere non ama quella
greca ortodossa. La nostra esperienza di docente in una Facoltà
teologica è in grado di indicare uno degli elementi assiomatici:
tutti hanno studiato il greco classico, pochi quello biblico, nessu
no (o quasi) quello medievale e moderno; dunque, la repulsione
è paura culturale. E un altro elemento: la teologia latina, abituata
alle dispute «scolastiche» così tecniche, difficili al limite dell’im
possibile, chiama le corrispondenti dispute della teologia «gre
ca» semplicemente «bizantine», ossia assurde e inutili. Terzo ele
mento, che viene dalla storia dell’arte: la vera arte secondo l’este
tica occidentale, inficiata di neoplatonismo e di idealismo e di
estetismo del 1800 (il secolo delle ideologie fallite), parla ancora
di «fissismo» dell’arte «bizantina», ché la vera arte sarebbe co
minciata dopo il 1200, quando scene e figure e panorami e pro
spettive «di fuga» avrebbero ricevuto «un soffio di vita», il natu
ralismo pagano.
9
magnifico testo di un autore greco ortodosso moderno, ed è un
onore poterne redigere una prefazione che aiuti il lettore interes
sato alla comprensione sia dell’autore in parola, sia della sua po
sizione, sia dell’importanza nell’àmbito della teologia ortodossa,
e della teologia in genere.
1. A l c u n e c o r r e n t i d e l l ’O r t o d o s s ia o g g i
10
ortodossa greca alla sua decisa autocefalia, ossia alla netta indi-
pendenza da Costantinopoli, e questo non solo in campo discipli
nare, ma anche dell’evoluzione teologica, che prese avvio con la
fondazione dell’Università di Atene, con la sua Facoltà di teologia
(1837); il che d’altra parte significava anche l’assoggettamento
della Chiesa allo Stato politico greco. Infine, si produsse in que
sto momento il triste fenomeno, ben conosciuto negli Stati lutera
ni, nell’Inghilterra anglicana, nella Francia della rivoluzione bor
ghese, nella Spagna e Portogallo anticlericali, nell’Italia massoni
ca, della soppressione dei monasteri sotto vari pretesti (alcuni,
spopolati perché danneggiati dai Turchi, o perché i monaci si era
no battuti eroicamente, altri per mancanza provvisoria di voca
zioni), con la loro sottoposizione ad angherie (sequestro del patri
monio costituito dai lasciti dei fedeli; esose esazioni di tasse). È
appena il caso di ricordare che, come nella Chiesa dei primi 1000
anni, la forza ecclesiastica maggiore era il monacheSimo, e questo
sia per la potenza spirituale, sia per il punto di riferimento co
stante per il clero e i fedeli, sia per la contemplazione e per la ri
flessione teologica, sia per l’inesauribile forza culturale. H mona
cheSimo fu messo così in crisi.
12
derno, partecipano al movimento ecumenico, si pongono come
referenti necessari per la conoscenza della teologia greca orto
dossa oggi. Tra di loro vanno segnalati Panaghiotis Trembelas
(t 1977), con la sua celebre «Dogmatica», Ivannis Karmiris, Pa-
nayotis Nellas8.
14
Atanasio, Basilio, Gregorio il Teologo e Gregorio il Nisseno, Ci
rillo Alessandrino, Massimo il Confessore, fino al prediletto
Nikólaos Kabàsilas, a cui dedicò diversi studi molto importanti.
Era il momento in cui il Kabàsilas era riscoperto anche in Occi
dente, e riceveva un solenne riconoscimento con la pubblicazio
ne delle sue opere, nella Collana Sources Chrétiennes13. Il Nellas
ebbe così anche l’onore di diverse traduzioni: in francese, in in
glese, in serbo.
3. L e o per e
13 Non a caso, la celebre Exègesis eis tèn théian kài hieràn Leitourgian,
pubblicata con la soia versione francese da S. Salaville come N. 4 delle Sources
Chrétiennes, dunque ai primordi della Collezione, fu ripubblicata come N. 4
bis, con il testo greco che prima mancava, a cura di R. Bornert, J. Gouillard, P.
Périchon: Nicolas Cabasilas, Explication de la divine liturgie, Paris 1967.
15
- La Madre di Dio. Tre omelie mariologiche di Nicola Caba
silas, Atene 1968, 19742, 19893; inaugura la Collana Epi
tàs Pégds;
- Prolegomeni allo studio di Nicola Cabasilas, Atene 1969;
- Ortodossia e politica. Tre presupposti biblici, in «Testimo
nianza dell’Ortodossia», Atene 1971;
- Cristo e l’uomo. La giustificazione dell’uomo in Cristo se
condo Nicola Cabasilas, Atene 1974;
- Vivente divinizzato [nell’originale greco, e da noi tradotto
con «Voi siete dèi»]. Prospettive per una comprensione or
todossa dell’uomo, Atene 1979, 19822. È l’opera qui pub
blicata. Essa ha avuto traduzioni: in inglese (New York
1987) e francese (Paris 1989);
- articoli numerosi in Synaxè.
16
4. I l «V ivente divinizzato », l’uomo
17
Anzitutto, l’uomo icona. È un fatto serio, come si può di
mostrare da una prospettiva storica14, che in Occidente si è avu
ta nei secoli una vera deviazione antropologica, dal centro, che è
biblico, quello dell’«immagine e somiglianza», verso periferie
ideologiche «sull’uomo». Se si eccettua la dottrina realmente bi
blica che parta da testi come Gen 1, 26-27, ma che spesso è con
segnata solo in studi specialistici senza grande rilevanza sulla si
stematica 15, si può dire che la teologia dell’uomo quale creatura
essenzialmente «a immagine e somiglianza di Dio» non abbia
sviluppi fecondi, in teologia come in filosofia16.
18
L’Autore intende rispondere qui alle supreme domande
sull’uomo, di tutti i tempi e di tutte le latitudini: chi è l’uomo, da
dove viene e dove va, qual è il suo destino, il suo vero e ultimo sta
tuto ontologico. E trova nella Bibbia e nei Padri il materiale suffi
ciente per rispondere, per fondare una sintesi personale originale.
sta in questo, che pensatori cristiani non traggano il materiale dalla Rivelazio
ne biblica. Che sarebbe allora della creazione, della libertà, dell’escatologia
dell’uomo e del mondo, del fine dell’uomo, tutti temi ignoti al pensiero non
biblico?
17 Si chiama «storica», in quanto per i Padri l’Incarnazione, termine sin
tetico, non indica solo il concepimento e la nascita del Signore dalla Sempre-
vergine Madre di Dio Maria, ma indica tutto l’Evento di Cristo, la Vita storica
dunque, la Croce e la Risurrezione, la Pentecoste, la Parousta ultima. Illumi
nante a questo proposito è J.-P. Jossua, Le salut incarnation ou mystère pascal
chez les Pères de l’Èglise de saint Irénée à saint Léon le Grand, «Cogitatio Fi-
dei» 28, Paris 1968.
19
come essa stessa fosse contenuta in nuce nei «primordi della no
stra redenzione», e che quei primordi dunque fossero necessari
al Disegno divino.
20
e presso qualche teologo attento alla grande Tradizione. Da noi
ormai la crescente ideologia in campo teologico porta a parlare
di «umanizzazione»: l’uomo deve diventare vero uomo. Una tau
tologia in buona fede, nell’ignoranza della Scrittura?20. P. Nellas
mostra in fedeltà alla Bibbia, che l’uomo deve essere divinizzato
perché il suo modello unico (e qui si potrebbe parlare delle 4
cause: materiale e formale, efficiente e finale) è Cristo Dio. Divi
nizzazione significa dunque reale totale finale cristificazione ad
opera dello Spirito Santo.
Si dovrà spiegare perciò tutta la storia umana a partire da
Cristo. Egli solo è il Signore della storia: nessun’altra entità, dun
que né l’uomo come tale (homo faber, e simili), né il male, né il
determinismo biologico, tantomeno il peccato. Se Cristo vince il
peccato, il male, la morte, non è «relativo» ad essi, ma solo alla
propria determinante Sovranità. Sicché si pone come l’unica
Forza, per l’unico Disegno, nonché come il Ricapitolatore uni
versale (cf. E f 1, 10), in cui tutto ha senso e fine, e in cui e verso
cui l’uomo che lo accetti è portato fino alla sua identificazione
creaturale con la Divinità: all’assimilazione dell’icona con il suo
Prototipo divino che la rende perfetta in eterno.
21
naturale: le «tuniche di pelle». Il tratto proviene da Gen 3, 21:
dopo la caduta di Adamo e di Èva, il Signore fece per essi tuni
che di pelle animale, e li rivestì. La riflessione di P. Nellas qui è
lunga, accurata, circostanziata. In sostanza, l’uomo creato come
«immagine e somiglianza» di Dio, con la caduta perse la somi
glianza con il suo Signore e Creatore; tuttavia, conservò indele
bilmente per grazia divina l’immagine, la base necessaria per la
sua ricostituzione, verso la nuova pienezza che la Misericordia, la
Magnanimità e la Pazienza divine non cessano di offrire alla
creatura amata.
22
smo», pur ignorando la dottrina della creazione. In effetti, l’uo
mo è il microcosmo creato. Tutto il cosmo è riferito a lui. È inse
gnamento apostolico che come l’uomo fece invadere il cosmo
dalla corruzione, così è destinato a liberarlo dalla medesima cor
ruzione, verso la gloria dei figli di Dio (cf. qui Rm 8, 16-25).
L’uomo è soggetto attivo e dialogante, responsabile di se stesso,
del prossimo, del mondo. È il superamento, questo, dello scisma
adamico. È condizione e agire permanente dell’uomo «teologi
co», cristifìcato, in sinergia con Cristo, poiché da Dio il mondo è
amato e Dio donò il Figlio per esso (Gv 3, 16); e l’uomo deve an
che amare il mondo come se stesso e il prossimo, e agire per la
redenzione finale di se stesso, del prossimo e del mondo. E que
sto il pieno recupero del «più» dell’essere dell’uomo. La sua pre
senza al mondo conferisce a questo il suo «più» di essere, fino al
la pienezza del Disegno divino. La società deve dunque essere
oggetto di questo agire cristifìcato, e così lo sono la cultura, la
politica, l’economia. L’insegnamento ortodosso si presenta qui
nella piena programmaticità attuale, pronto per la storia. Come
discende dalla dottrina perenne dei Padri. «Teologia politica»,
come si vede, del tutto originale.
5 . N ic o l a C a b a s il a s
23
cifico, di polemica e di rigetto, anche a causa della grande diffi
coltà concettuale, mancando criteri di comparazione occidentali.
Eppure, sarebbe abbastanza agevole dimostrare come il palami-
smo abbia antiche, sia pure remote e poco conosciute radici oc
cidentali, e si possa ricondurre a tratti dottrinali abbastanza esi
gui ma certi, cu san Gregorio Magno21.
24
che è lo Spirito Santo. Egli vive per Cristo, per Lui desidera,
opera e spera. Cristo lo rende capace di crescita e di nutrimento,
di luce e di sacrificio. Egli dell’uomo è l’Aroma soave che dona il
respiro della Vita, e l’Abito della gloria.
25
Questo segna l’escatologia. Che è l’incontro finale del Cor
po di Cristo, la Chiesa, con u Corpo ultimo, reale, universale di
Cristo, Signore e Salvatore, che viene per l’unione finale, per
unirsi ai suoi nella Luce. La visione ultima è celestiale: l’immen
so coro, eucaristico, intorno a Dio: «dèi intorno a Dio», come
«esseri belli intorno al Bello» Unico, familiari «intorno al Sovra
no», nella gioia eterna. Il Cielo è sceso sulla terra, come la terra è
attratta al Cielo, dove tutto è Luce.
6. I l G r a n d e C a n o n e
26
ciò, fino alla luce che si leva, mostra questo cammino. I testi so
no una continua «lamentazione» di tipo biblico rivolta alla divi
na Misericordia, nella memoria costante della talaipória, la po
vertà e infelicità della condizione umana umiliata dal peccato. In
essi si effonde l’onda dei sentimenti del fedele, preparato dal di
giuno, dalla preghiera e dall’elemosina, doni quaresimali. Senti
menti che sono aiutati ad esprimersi dall’autore, sant’Andrea di
Creta, grande innologo della Chiesa greca. La conversione del
cuore, la metànoia, avviene dentro prospettive originali, lo spa-
zio-tempo nuovi della vita ecclesiale. Essi rendono possibile
l’anamnesi della storia della salvezza, la rievocazione delle grandi
figure dell’Antico come del Nuovo Testamento, una teologia del
la storia che comprende da Adamo all’Ascensione alla Penteco
ste alla predicazione degli Apostoli del Signore. Dentro tale im
menso quadro ogni fedele riconduce la propria vita, sottraendosi
alla «vita corrente» che non porta a nulla, mediante la tensione
che trasporta a Cristo e alle sue Realtà, la creazione nuova.
Si considerano così via via la caduta di Adamo, che è la pro
pria caduta, l’approfondita conoscenza della propria miseria e
condanna, l’agitarsi nel peccato senza uscita per le forze dell’uo
mo, le tuniche di pelle, ma anche la possibilità del «ritorno» fi
nalmente aperto da Cristo, a cui si chiede di essere accettati. Il
ritorno esige l’«operazione» della vita improntata alla Grazia.
27
somiglianza, e lo ricreò a immagine e somiglianza del Figlio suo
incarnato, morto, risorto, divinizzato. Da allora, ogni deviazione
cristiana da questo Statuto perenne è certo una «svolta», che ri
propone in un certo senso il peccato d’autonomia di Adamo, e
reintroduce gli idoli del mondo, e il più perverso, l’uomo auto
nomo e borioso. Come si celebra apertamente oggi nel mondo,
da ogni parte.
28
bile. Infatti i Padri, questi «lettori dell’unico Libro», conoscitori
incredibili della Scrittura, non hanno lasciato un tema, un ango
lo inesplorati; seguendo la loro traccia, sostanzialmente si domi
na tutta la Bibbia. Se acquisizioni archeologiche, storiche, filolo-
f;iche, critiche, esegetiche sono fuori delle prospettive dei Padri,
a teologia biblica più completa e profonda è la loro caratteristi
ca principale.
T o m m a s o F e d e r ic i
Pontificia Università Urbaniana
Roma
29
Premessa
31
rapporto con Dio e come essa si trasformi quando tale rapporto
è dall’uomo stesso interrotto; come funzionino le sue molteplici
attività psicosomatiche nell’una e nell’altra condizione; quale esi
stenza assapori chi resta unito con Dio e quale invece chi è da
Lui separato: lo studio di tutte queste problematiche costituisce
lo scopo e l’argomento di questo libro.
L’antropologia patristica non costituisce un sistema. Tutta
via, la rilevante unanimità dei dati patristici sull’argomento po
trebbe indurre lo studioso contemporaneo all’allettante soluzio
ne di presentare le esperienze dei Padri quali teorie, elaborando
ne un ben articolato edificio logico. Ho cercato di ovviare a que
sto pericolo - «abbi paura del sistema come del leone», insegna
no i Padri - scomponendo la struttura del libro. Così, tratto
l’unico e singolo argomento in cinque parti l’una dall’altra di
stinte. Nella prima parte, prendendo in considerazione la lettera
tura patristica nel suo insieme, esamino in modo sintetico, ma
non sistematico, alcuni aspetti di capitale importanza dell’antro
pologia dei Padri, e definisco il significato che essi hanno nei
confronti del problema fondamentale dei nostri giorni: il rappor
to Chiesa-mondo. Nella seconda parte, lo stesso argomento è esa
minato in relazione a un singolo Padre della Chiesa; mentre, nel
la terza, in relazione a una funzione religiosa. Nella quarta parte,
sono proposti integralmente alcuni brani patristici d’importanza
nevralgica per il nostro argomento, di modo che il lettore possa
avere un assaggio diretto della testimonianza dei Padri e delle lo
ro intuizioni divine. Nella quinta, infine, sono corroborate le tesi
di questo libro e, con l’ausilio della scienza teologica contempo
ranea, sono ulteriormente approfonditi alcuni punti.
Un’altra importante difficoltà metodologica è presentata dal
linguaggio usato dai Padri. Essi formulano le loro esperienze fa
cendo ricorso alla terminologia loro contemporanea, ma, nel con
tempo, alterandone il contenuto semantico. Rendendo trasparen
te, alla luce della loro esperienza personale, la terminologia dei
loro tempi, essi ne rivelano quella verità che i termini stessi erano
in grado già da soli di contenere. Oggi, però, la terminologia è
cambiata. Se ci limitassimo a riprodurre pedantemente i termini
patristici, molto probabilmente ci troveremmo di fronte a parole
oscure e chiuse, e non potremmo adoperarle se non come idee
oggettivate. Ho cercato perciò in questo libro, non senza esitazio
32
ne e con estrema premura, di affiancare alle formule vecchie alcu
ne formule nuove, affinché la parola vivificante dei Padri potesse
giungere fino a noi, e i testi patristici potessero parlare oggi. Da
questo punto di vista, il presente libro non è che una semplice
trasposizione nel linguaggio moderno di alcuni elementi centrali
della nostra tradizione, e procede parallelamente con il lavoro
che cerchiamo di realizzare «Sulle Fonti».
Una terza difficoltà, questa volta di carattere sostanziale e
non formale, creerà, forse, quanto è detto a favore dell’uomo, ri
guardo all’assunzione della natura umana da parte della Persona
del Figlio di Dio, e cioè che essa non è dovuta alla caduta dell’uo
mo, ma ha bensì realizzato la preetema volontà di Dio in ordine
all'incarnazione o all’«inserimento del Primogenito nell’univer
so». Sarà spiegato quale importanza capitale abbia questa teoria
per la giusta comprensione e attuazione del cristianesimo, come
pure per quali motivi essa oggi ci sorprenda. Forse, però, bisogna
dire fin da adesso che, già ai tempi di Nicodemo l’Agiorita, taluni
di coloro che «si dedicavano allo studio della teologia» gli aveva
no mosso l’accusa di basarsi su questa teoria: e nell'Apologià, che
questo santo scrisse in proposito (sarebbe bene che il lettore in
cominciasse lo studio di questo libro a partire da quel testo), per
prevenire eventuali polemiche, égli dice: «E se taluni... mi accu
sano, accusino anzitutto san Massimo il Confessore, Gregorio di
Salonicco, il grande Andrea e tutti gli altri Padri, dai quali io ho
appreso questo insegnamento».
Gran parte di questo libro è stato redatto presso la Bibliote
ca del venerabile Monastero di Stavronikita (Monte Athos): mo
tivo di un’ulteriore riconoscenza.
Panayotis Nellas
33
IMMAGINE DI DIO E TUNICHE DI PELLE
Indagine intorno ad alcuni punti fondamentali
dell’insegnamento patristico sull’uomo e sul
rapporto Chiesa-mondo
L’Immagine
37
nell’uom o7 (1). Ecco perché non è possibile trovare nei Padri
della Chiesa una formulazione ben definita dell’immagine o una
sua definizione ben precisa. Resta tuttavia rivelatore u fatto che
nei loro innumerevoli tentativi per arrivare a una soddisfacente
comprensione del problema antropologico, i Padri adoperino
come base d’indagine l’espressione «a immagine».
In questo modo il termine è arricchito dei più vari conte
nuti semantici, relativamente alle problematiche che di volta in
volta richiedono di essere affrontate. Così, ad esempio,
l’espressione «a immagine» è riferita ora al libero arbitrio del
l’uomo o alla sua indole razionale e dominante, ora al corpo
unito all’anima, ora alla mente, ora alla distinzione tra natura,
persona, ecc.8, e ora, infine, globalmente all’uomo in quanto
totalità (2).
Non sarebbe male se si riuscisse a elencare tutte queste ac
cezioni per poi analizzarle. Una simile indagine fenomenologica,
però, nasconde il rischio di trattenere lo studioso alla superficie
del problema. Poiché la mancanza, presso i Padri, di chiare e
precise indicazioni circa il contenuto semantico dell’espressione
«a immagine» non significa che manchi loro una chiara conce
zione di fondo al riguardo.
Questa concezione di fondo patristica, che funge da deno
minatore comune dei più diversi impieghi del termine, può illu
minare dall’interno il termine stesso, di modo che riveli da una
parte la provenienza, struttura e destinazione dell’uomo e, dal
l’altra, consenta alla teologia contemporanea, dopo che essa stes
sa abbia compreso e giudicato, di venire efficacemente in soccor
so al mondo contemporaneo.
(1) Giovanni Damasceno, Sulle due volontà in Cristo, 30 (PG 95, 168B):
«In quanti significati è usata l’espressione “a immagine”? Essa è detta in riferi
mento alle qualità razionali e spirituali dell’uomo, in riferimento al libero arbi
trio e al fatto che la mente genera il verbo e lo spirito lo proietta...».
(2) Epifanio di Cipro, Panàrion, 70 (PG 42, 344B): «Bisogna ritenere che
la condizione di immagine riguarda l’uomo intero e non solo una sua parte». E
significativo il seguito di questo brano: «Dove si trova precisamente o dove
trova il suo completamento la condizione di immagine, è noto solo a Dio, che
fece grazia all’uomo del dono della condizione di immagine».
38
I.
L ’ u o m o im m a g in e d e l l ’A r c h e t ip o
39
identiche alle sue; se cioè volessimo avvicinarci all’insegna
mento di Paolo dall’interno della Chiesa, basandoci fonda
mentalmente sulla fede, allora comprenderemmo non solo la
liceità di questa interpretazione, ma anche il suo più profondo
significato.
E infatti i Padri estendono questa linea interpretativa di
Paolo anche alla storia anteriore alla venuta di Cristo, e rappor
tano l’argomento paolino «Cristo-Immagine di Dio» all’argo
mento della Genesi «uomo-immagine di Dio». Già in Ireneo,
Clemente, Origene, Atanasio, Gregorio di Nissa e altri - per li
mitarci solo a coloro per i quali abbiamo studi specifici11 - è
chiara la distinzione secondo cui Cristo costituisce l’Immagine di
Dio e l’uomo l’immagine di Cristo: e cioè che l’uomo è immagine
di Immagine·. «Il primogenito di tutta la creazione infatti è Im
magine di Dio... e ad immagine di Dio è stato creato l’uomo»
(Origene)12. E ancora: «A immagine di Cristo: questo infatti si
gnifica l’espressione “a immagine creò”» (Crisostomo)13.
La concezione patristica or ora prospettata, benché il più
delle volte espressa in modo larvato, è tuttavia definitiva e chiara
ed è di un’importanza capitale, perché può concorrere alla defi
nizione di tre aspetti antropologici cardinali: la struttura dell’uo
mo, la sua finalità e la sua origine.
40
ipostatico (3) del Padre. Sant’Atanasio, che approfondisce que
sto argomento, lo puntualizza con estrema chiarezza: «Dio creò
gli uomini secondo la Sua immagine, trasmettendo loro anche la
potenza del Suo proprio Lògos, di modo che, avendo connatu
rate in sé alcune ombre del Lògos e divenuti logici (razionali),
essi riuscissero a perseverare nella beatitudine»16.
In modo analogo è possibile dedurre che l’uomo è demiurgo
41
L’uomo è nel contempo persona e natura, o, per dirla me
glio, persona che concretizza e rivela la natura, poiché è immagine
del Figlio, il quale costituisce una distinta Ipostasi personale
dell’unica e indivisibile Sostanza comune al Padre, al Figlio e al
lo Spirito Santo22.
Sarebbe forse opportuno insistere in questa direzione e svi
luppare tale concetto. Poiché se le connotazioni peculiari
dell’espressione «a immagine», che abbiamo fin qui esposto in
modo sommario, fossero completate e analizzate, potrebbero di
certo concorrere in modo decisivo alla definizione delle princi
pali dimensioni della struttura dell’uomo, come essa è concepita
dalla tradizione ortodossa.
In verità, la somma di tutti questi elementi - che si potreb
bero riassumere così: l’uomo, che è nel contempo persona e na
tura, è fondamentalmente caratterizzato dal mistero dell’amore,
che spinge le persone alla comunione naturale; l’uomo è consa
pevole esistenza personale nel tempo, inscindibile unità psicoso
matica, con un’incommensurabile profondità psichica; l’uomo è
libero, dominatore, demiurgo, razionale, sciente, ecc. - possono
rivelare realisticamente la vera struttura dell’uomo. Anzi, occor
re sottolineare che tutti questi elementi, mentre da una parte co
stituiscono le dimensioni centrali dell’interpretazione tradiziona
le dell’espressione «a immagine», dall’altra non sembra che si di
scostino molto dalle più attendibili conclusioni cui è approdata
la ricerca antropologica contemporanea23.
42
soltanto realtà create... Dio volle rendere partecipi della Sua Sa
pienza anche le creature... affinché pure queste si rendessero sa
pienti. Infatti, nel modo in cui il nostro lògos è immagine del ve
ro Lògos del Figlio di Dio, così pure, essendo Egli Sapienza, ne è
parimenti immagine la sapienza insita in noi, in virtù della quale,
potendo noi conoscere e ragionare, ci rendiamo partecipi della
Sapienza del Creatore»24. Se ne deduce chiaramente che il pro
gresso scientifico dell’uomo non è un avvenimento casuale o ar
bitrario. La conoscenza umana si evolve, perché l’evolversi ne è
un elemento costitutivo. La scienza umana è indotta, per sua na
tura, a elevarsi in onniscienza.
Lo stesso vale per il dominio dell’uomo sul creato. I Padri
considerano l’uomo vero dominatore e signore dell’universo.
Questa dominazione essi la intendono come espressione della
sua regalità25. Così, per il credente che osserva le realtà da un’an
golazione teologica, nessuna acquisizione o progresso tecnologi
co costituisce sorpresa. L’uomo, scoprendo i misteri del mondo e
coordinandolo, altro non fa che adempiere a uno dei principali
compiti cui è stato chiamato - quando, ovviamente, questo coor
dinamento del mondo sia volto alla sua umanizzazione.
Questo modo di vedere le cose si può estendere a tutta la
gamma delle attività umane. Nella prospettiva ortodossa, anche
l’esigenza di giustizia e di pace appare come riflesso e, nel con
tempo, nostalgico tentativo più o meno consapevole affinché
l’umanità possa raggiungere U meraviglioso modello di vita del
suo Archetipo triadico, secondo la cui immagine è stata plasmata
ed entro cui solo può trovare pace e riposo26. L’uomo, inteso
nella sua pienezza di corpo e di anima e come esistenza persona
le in naturale comunione con le restanti esistenze umane e in
rapporto con il mondo, in virtù della sua costituzione tende a
sconfinare dai propri limiti, a diventare illimitato e immortale:
«La sete dell’anima umana necessita di un’acqua infinita: come
può soddisfarla questo mondo finito?»27.
Questa verità, la cui constatazione sorprende costantemente
gli studiosi, è spiegata e, nel contempo, completata dall’espres
sione «a immagine». È questa espressione, infatti, che conduce e
fa convergere efficacemente verso la loro «finalità», ogni fram
mentario sforzo umano, di per se stesso cieco e, quindi, colmo di
ingenua alterigia.
43
Come si evince chiaramente dalla lettura delle loro opere, i
Padri non esitano a condividere la meraviglia dei filosofi greci
nei confronti di questo microcosmo che è l’uomo2S, nei confronti
cioè del fatto che l’uomo riassume dentro di sé l’intero universo.
Tuttavia, questa realtà, benché grande, nella considerazione dei
Padri è ancora qualcosa di poco. A loro preme aggiungere che la
vera grandezza dell’uomo non consiste nel fatto che egli costitui
sca la più elevata entità biologica, che egli sia un animale «razio
nale» o «sociale», bensì nel fatto che l’uomo è uno «zóon...
theoitmenon» (5): e cioè, che costituisca l’entità creata alla quale
«è stato comandato di diventare D io »29 (6). La grandiosità del
l’uomo non consiste semplicemente nel fatto che egli è un «mi
crocosmo», ma nel fatto che è chiamato a diventare «tempio mi
stico» 30: a divenire cioè un mondo grande e nuovo entro un
mondo piccolo e vecchio. «Ciascuno di noi è creato da Dio co
me un altro universo, un universo grande in questo universo pic
colo e visibile»31. «In che cosa consiste la grandezza dell’uo
mo?», chiede san Gregorio di Nissa; e risponde: «Non nella so
miglianza con il cosmo, ma nell’essere a immagine del Creatore
della nostra natura»32: il che vuol dire che la grandezza dell’uo
mo riposa nella sua finalità.
Ne modo in cui la verità e le potenzialità del mondo creato
si rivelano e si concretizzano nell’uomo, così pure la verità e le
potenzialità dell’uomo creato si rivelano e si concretizzano nel
Dio increato. Con ciò risulta chiaro che la ragione per la quale
l’uomo rimane e continuerà a rimanere per la scienza un mistero
consiste nel fatto che egli si colloca oltre i confini della scienza e
che, in virtù della sua stessa struttura, egli è nel suo nucleo cen
trale un «hón theologikón», un essere teologico.
(5) Gregorio Nazianzeno, Omelia 45, Sulla santa Pasqua, 7 (PG 36,
632AB): « L ’artefice Lògos plasma liberamente l’uomo come un essere vivente
composto di entrambe le nature: della visibile e dell’invisibile. Egli ne formò il
corpo adoperando la materia anteriormente creata, introducendovi un soffio
di se stesso... e lo pose in questo mondo come un mondo diverso, mondo
grande in un mondo piccolo, come un altro angelo e adoratore composto, ini
ziatore del mondo visibile e iniziato a quello invisibile, come un re di tutte le
cose terrestri guidato da un Re dall’alto,... essere vivente collocato in questo
mondo ma destinato ad un altro, e, quale mistero!, chiamato a diventare dio
nel suo tendere verso Dio». Si veda il brano intero più avanti, pp. 215-217.
(6) Ibid.
44
c) L’origine in Cristo dell’uomo. La constatazione or ora
mulata spiana la strada verso la problematica concernente l’ori
gine dell’uomo, e ci induce a esaminare, oltre che l’analogia
dell’espressione «a immagine», anche la sua ontologia.
Perché l’uomo possa somigliare a Dio e tendere verso di
Lui, occorre che abbia dentro di sé un elemento divino. Qual è,
però, e in che cosa consiste questo elemento? La domanda è di
importanza fondamentale. In realtà, si tratta della grande do
manda che ha impegnato tutte le importanti correnti filosofiche
e teologiche, concernente la relazione uomo-Dio, Creatore-crea
to 33. È noto che per la soluzione di questo problema, sono state
formulate diverse teorie: la teoria delle idee (Platone), la teoria
del Lògos (Filone), dell’emanazione (gnostici), della libertà
(atei), ecc.
San Giovanni Damasceno, riassumendo dal punto di vista
cristiano ortodosso tutta la precedente tradizione patristica, in
segna che «ogni cosa dista da Dio non nello spazio ma per na
tura»34. Nel commentare questa affermazione, Giorgio Florov-
sky formula la fondamentale teoria secondo cui la distanza so
stanziale tra la natura umana e quella divina «non è affatto col
mata; semplicemente, è in qualche modo ammantata dall’im
menso amore di D io »35. La distanza sostanziale tra la natura in
creata e quella creata è assoluta e infinita. Ma l’altrettanto infi
nita bontà di Dio, senza abolire questa sostanziale distanza,
volle sin dall’inizio gettarle un ponte per mezzo delle increate
operazioni divine. L’argomento teologico e cosmologico delle
operazioni divine di Dio e quello antropologico dell’espressio
ne «a immagine» a questo punto s’incontrano. Le operazioni di
Dio, che sorreggono, conservano e, in relazione col mondo
creato, hanno come finalità di condurlo alla sua perfezione, ac
quistano nell’uomo un concreto elemento creato, la libertà
dell’uomo, e una finalità concreta, l’unione dell’uomo con il
Dio Logos. Ecco qual è il contenuto dell’espressione «a imma
gine».
45
sesto giorno della creazione36 (7), che, grazie al soffio dello Spiri
to, è stata elevata a una vita spirituale, vale a dire veramente e
realmente teocentrica. In questo modo, la materia creata, la
«polvere del suolo», è stata per la prima volta modellata in modo
teologico, la materia creata assunse aspetto e struttura «a imma
gine» di Dio, la vita sulla terra si è resa cosciente, libera, perso
nale.
Analogamente a quanto detto sopra, occorre segnalare che,
sulla scia di san Giovanni Damasceno37 e di san Gregorio Pala-
mas 38, san Nicodemo l’Agiorita insegna che in Dio esistono tre
modi di unione e partecipazione: quello «secondo sostanza»,
quello «secondo ipostasi» (8) e quello «secondo operazione»39.
In unione secondo sostanza si trovano solo le Tre Persone della
Santissima Trinità; l’unione ipostatica è stata realizzata dal Verbo
quando s’incarnò; quanto invece è stato detto sopra, indica che
l’unione secondo operazione è stata concessa all’uomo all’atto
della sua creazione «a immagine». Pertanto, è chiaro che
quest’ultimo modo di unione - e quanto stiamo per dire è di pri
maria importanza ai fini della nostra indagine - non è perfetto,
perché non colma la separazione esistente tra la natura umana e
quella divina: potremmo piuttosto dire che getta semplicemente
un ponte da questa verso quella. Il valore di quest’ultima unione
consiste nel fatto che essa prepara e conduce all’unione ipostatica,
la quale è perfetta e definitiva, poiché, essendo la natura umana
e divina una medesima persona in Cristo, è impossibile che vi si
frapponga distinzione alcuna. La comune ipostasi annulla ogni
distanza tra la divinità e l’umanità, perché è termine comune di
entrambe; ché, per realtà distinte, è impossibile che ci sia un ter
mine comune40.
L’unione «secondo operazione» dell’uomo con Dio, elargita
all’umanità nell’atto della creazione di Adamo «a immagine»,
aveva come finalità di condurre la natura umana alla sua unione
ipostatica con Dio Verbo in Cristo. Questa finalità costituì la
destinazione principale di Adamo, e rimase stabile e inalterabile
(7) Gregorio di Nissa, L ’uomo, 8 (PG 44, 145B): «Per questo, compimen
to dopo le piante e gli animali, fu creato l’uomo poiché la natura avanza per un
cammino logico verso la perfezione» (trad. B. Salmona).
(8) Vedi Lessico.
46
- «perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili» - anche
dopo la sua caduta. La stessa continuò a costituire il punto es
senziale della pedagogia del popolo ebraico da parte di Dio, il
contenuto e lo scopo non solo delle profezie, ma dell’intera sto
ria sacra.
In questo modo appare chiaro che l’essenza dell’uomo non
riposa nella materia da cui egli è stato creato, ma nell’archetipo
in riferimento al quale egli è stato plasmato e verso il quale ten
de. Perciò, nell’ottica patristica concernente l’origine dell’uomo,
la teoria dell’evoluzione non costituisce alcun problema, come
pure non costituisce problema per il credente la qualità del le
gno su cui è stata dipinta un’icona. La scienza può e deve studia
re la «materia» dalla quale è stato plasmato l’uomo, ma ogni stu
dioso che si rispetti è consapevole dell’impossibilità di esamina
re, tramite l’indagine scientifica oggettiva, l’«archetipo» in riferi
mento al quale è stato modellato l’uomo. Nella misura in cui la
verità dell’icona si trova nella persona raffigurata, così pure la
verità dell’uomo si trova nel suo Archetipo. E ciò perché è pro
prio l’Archetipo che conforma, dà l’impronta e modella la mate
ria e, nello stesso tempo, la attrae. L’Archetipo costituisce il con
tenuto ontologico dell’espressione «a immagine».
Quest’ultima affermazione significa che la verità ontologica
dell’uomo non riposa in lui stesso, considerato autonomamente
(cioè nelle sue doti naturali, come sostengono le teorie materiali-
ste; nell’anima o nella parte superiore dell’anima, la mente, come
sostengono molti filosofi antichi, o esclusivamente nella persona
dell’uomo, come ammettono alcuni sistemi filosofici contempo
ranei), ma nell’Archetipo. Poiché l’uomo è immagine, e malgrado
il carattere iconico che possiede lo stesso materiale creato, il suo
essere reale non è determinato dall’elemento creato tramite cui si
concretizza l’immagine, ma dal suo Archetipo increato. L’esi
stenza biologica non esaurisce l’entità dell’uomo. L’uomo è con
cepito dai Padri in modo ontologico solo in quanto « hón theolo-
gikón», un essere teologico. La sua ontologia è iconica.
Questi due elementi tramite cui l’Archetipo si trova e opera
realmente nell’uomo e che costituiscono la sua vera realtà, sono
sottolineati con chiarezza in un testo significativo di san Grego
rio di Nissa: «Come l’occhio è partecipe della luce grazie all’ele
mento luminoso insito in lui per natura, traendo a sé ciò che gli è
47
connaturale in virtù di quella forma innata, così era necessario
che una qualche affinità col divino fosse innestata nella natura
umana affinché mediante questa corrispondenza avesse in sé la
forza che la muove verso ciò che le è affine... Per questo (l’uo
mo) fu dotato della vita, della ragione, della sapienza e di tutte le
qualità proprie di Dio, affinché ognuna di esse generasse in lui il
desiderio di tendere verso chi gli è affine... Questo è chiaramen
te espresso in modo conciso con una sola parola nel racconto
della creazione del mondo, quando dice che l ’uomo è stato crea
to a immagine di D io »41.
In questo testo risulta chiara, da una parte, la struttura teo
logica dell’uomo («per questo fu dotato della vita, della ragione,
della sapienza e di tutte le qualità proprie di Dio») e, dall’altra,
l’attrazione che in modo esoterico esercita sull’uomo l’Archetipo
(«traendo a sé ciò che gli è connaturale in virtù di quella forma
innata»).
Quale è, però, più precisamente questo Archetipo? L’argo
mento è di importanza decisiva e necessita di essere esaminato.
II.
L ’A r c h e t ip o d e l l ’ u o m o , i l V e e b o in c a r n a t o
48
lo per la Sua divinità, la quale è il fine ultimo di tutto, ma anche
per la natura diversa»43.
Il fatto che Cristo non era storicamente presente nel mo
mento in cui era creato Adamo non ha alcuna importanza. Costi
tuisce insegnamento fondamentale biblico il fatto che, nella realtà
di Dio che sovrasta i tempi, Cristo è il Primogenito di tutta la
creazione (cf. Col 1, 15-17). Se l’uomo, a favore del quale è stato
creato tutto il mondo materiale, sorse dalla terra ultimo di tutte le
creature, è del tutto ragionevole che Cristo, il quale è il Fine ulti
mo dell’intera creazione materiale e spirituale, risulti posteriore
ad Adamo, poiché tutte le realtà, da imperfette quali sono, tendo
no verso la perfezione44. È naturale che Cristo, inteso come su
prema realizzazione dell’uomo, costituisca il Fine ultimo del cam
mino ascendente dell’umanità, il Principio e la Fine della storia.
Questa prima verità ne contiene una seconda, parimenti im
portante. Il fatto che Adamo sia stato creato a immagine di Cri
sto, implica che egli aveva il compito di elevarsi fino all’Archeti
po, o, più precisamente, di purificarsi e amare Dio a tal punto,
da far sì che Dio venisse ad abitare in lui, che il Verbo si amalga
masse ipostaticamente con lui e, quindi, che Cristo si manifestas
se nella storia rivelandosi Dio-uomo. L’introduzione del Primo
genito nel mondo (cf. Eb 1,6) costituisce la preeterna volontà di
Dio, il supremo mistero «rimasto nascosto da secoli e da genera
zioni» (Col 1, 26). Cristo era «la volontà e il desiderio del Pa
dre»45. Lui era la destinazione e, conseguentemente, il percorso
e punto d’arrivo naturali dell’uomo. Nella prospettiva di Cristo
l’uomo «è stato plasmato fin dall’inizio come verso una legge e
un fine... di modo che egli riuscisse ad accogliere D io»46. La de
viazione da questo percorso provocò la caduta.
San Gregorio Palamas dice47: «Quindi, la creazione primiti
va dell’uomo modellata per lui (per Cristo) a immagine di Dio (è
stata fatta) affinché l’uomo potesse un giorno contenere l’Arche
tipo. E anche la legge che Dio pose in paradiso è stata posta nella
prospettiva di lui (di Cristo)», e cioè per aiutare l’uomo a con
dursi verso Cristo.
E san Massimo il Confessore dice: «Ecco il grande mistero
rimasto nascosto. Ecco il fine beato, in vista del quale ogni cosa
è stata posta in essere. Ecco la finalità divina precognita che die
de inizio agli esseri e che, volendola definire, noi diciamo che es
49
sa è il Fine precognito per la cui causa ogni realtà esiste, mentre
essa stessa rimane libera da ogni necessità. In vista di questa fina
lità (dell’unione ipostatica delle nature umana e divina, di Cri
sto) Dio creò le sostanze degli enti»48.
E con maggior chiarezza si pronuncia il divino Cabasilas:
«Dio non creò la natura umana mirando ad altra finalità... Ma la
creò tale per uno scopo ben preciso: ossia, affinché, nel momen
to in cui Egli doveva nascere, potesse avere una madre di tale na
tura. E dopo avere stabilito questa precisa finalità (Cristo, l’unio
ne ipostatica), Dio creò successivamente l’uomo»49.
Di conseguenza, il fatto che Dio creò l’uomo «a immagine»
significa, in ultima analisi, che Egli lo creò in modo tale da poter
tendere verso l’Immagine in virtù della sua stessa natura e del so
lo fatto che egli è uomo; significa che gli elargì come doni, ma in
modo del tutto concreto da costituirne l’uomo, la possibilità e lo
scopo di servire efficacemente all’incarnazione del Lògos, che è
la perfetta e unica «Immagine del Padre». In questo modo l’uo
mo, innalzandosi in sommo grado all’ipostasi del Lògos, può ele
varsi a sua volta in immagine, trasformarsi anch’egli in «immagi
ne di Dio».
Tutto ciò rende manifesta la verità secondo cui, nell’uomo,
la condizione di «immagine» costituisce nel contempo donazio
ne e finalità, conquista e prospettiva. In altri termini, questa
espressione costituisce la realtà dell’umano essere, ma solo po
tenzialmente. L’essere «a immagine» è una potenzialità reale, una
specie di fidanzamento che conduce al matrimonio, vale a dire
all’unione ipostatica, all’inconfondibile e reale unione e fusione
delle nature umana e divina. E solo allora l’iconico e potenziale
essere dell’uomo diviene reale, un realiter esse. L’uomo trova il
suo contenuto ontologico nel suo archetipo.
50
stituiva la preeterna volontà di Dio. È cambiato il modo con cui
fu realizzato questo grande mistero50; l’avvenimento è rimasto
identico. «A tutti è manifesto che il mistero realizzato in Cristo
alla fine dei secoli è indubbiamente la manifestazione e il compi
mento di quello che era stato annunciato al progenitore all’inizio
dei secoli»51.
2. Prima che la natura divina si unisse ipostaticamente con
quella umana, l’uomo si trovava prospetticamente in una condi
zione di «avanti Cristo»: il che significa che, pur non avendo anco
ra peccato, egli aveva bisognò di salvezza, dal momento che egli era
incompiuto e incompleto, «fanciullo». Questo insegnamento co
stituisce il nucleo centrale della teologia di sant’Ireneo52. La natu
ra umana non poteva completarsi con un semplice tendere verso
l’Archetipo, bensì con la realizzazione dell’unione con esso. Dal
momento che Cristo «è il Capo del corpo, cioè della Chiesa» (Col
1, 18), che, per il pensiero patristico, significa che Cristo è il Capo
della vera umanità, finché la natura umana non aveva ancora rece
pito l’ipostasi del Logos, era in un certo qual modo priva di una
reale ipostasi; le mancava un effettivo «sussistere secondo Cri
sto»53. Era come una donna illibata, sterile e, come dice san Paolo,
«rasata» (1 Cor 11, 5 ) 54. La realizzazione dell’uomo, in quanto
realmente compiuto, in quanto essere «salvo», si concretizzò con
la nascita di Cristo. I realmente uomini «sono stati generati dopo
che Gesù nacque e s’inserì in questo mondo»55. Per questa ragio
ne, Basilio il Grande chiama il giorno della nascita di Cristo, non
in senso metaforico ma realmente, «giorno natale dell’umanità»56.
3. La destinazione del primo uomo rimane sempre la medesi
ma. Ogni uomo creato a immagine di Dio è chiamato a trasfor
marsi in «immagine» in Cristo; «Restituiamo all’immagine la
condizione di immagine», ammonisce Gregorio il Teologo57. Cri
sto spianò la strada per la realizzazione di questo scopo. In ve
rità, la nascita di Dio Verbo e la sua vita terrena non si esaurisco
no nella redenzione, nella rimozione delle conseguenze dell’erro
re di Adamo. Il Signore ha liberato l’uomo dalla schiavitù del
peccato, dal diavolo e dalla morte. Ma, nel contempo, compì an
che ciò che Adamo non aveva compiuto: unì l’uomo con Dio,
donandogli il vero «essere in Dio» ed elevandolo a « creatura
nuova»5*. Cristo costituisce la salvezza dell’uomo non solo in
51
modo negativo, per averlo cioè liberato dalle conseguenze del
peccato originale, ma anche in modo positivo: completando il
suo prospettivo iconico essere. La relazione di Cristo con l’uomo
non è solo sanativa. La salvezza dell’uomo è qualcosa di più va
sto della redenzione: coincide con la divinizzazione.
4. Il vero contenuto antropologico della divinizzazione è la
cristificazione. Non è casuale il fatto che nella Lettera ai Colosse-
si, nella quale celebra Cristo come «Immagine del Dio Invisibile,
generato prima di ogni creatura» (1, 15), l’apostolo Paolo inviti
«ogni uomo» a divenire «perfetto in Cristo» (1, 28), e i credenti
ad avere «parte alla sua pienezza» (2, 10). Paolo, invitando ogni
credente a trasformarsi in «uomo perfetto, nella misura che con
viene alla piena maturità di Cristo» (E f 4, 13), a possedere «il
pensiero di Cristo» (1 Cor 2, 16), «gli stessi sentimenti che furo
no in Cristo Gesù» (Fil 2, 5), ecc., non muove da superficiali
motivi di pietismo o di sentimentalismo: piuttosto, egli parla in
modo ontologico. Non invita a un’imitazione superficiale e a un
semplice miglioramento morale, ma ad una vera e propria cristi
ficazione. Perché, come scrive san Massimo il Confessore, «il
Verbo di Dio e Dio vero... vuole che si attui il mistero della sua
incarnazione sempre e in ogni cosa»59.
5. L’espressione paolina vivere in Cristo è stata resa dai Pa
dri con il termine divinizzazione, soprattutto per difendere il fine
ultimo e il vero contenuto della vita in Cristo dalle insidie delle
eresie: innanzi tutto daU’arianesimo, che col considerare Cristo
una creatura (9), veniva conseguentemente a limitare al mondo
creato la vita in Cristo, e, successivamente, da tutte le altre eresie
cristologiche (10). I Padri, però, non hanno mai smesso di sotto-
(9) Sant’Atanasio, Contro gli Ariani, Omelia 2, 67 (PG 26, 289C): «Se (il
Lògos) fosse divenuto uomo come creatura, l’uomo sarebbe rimasto inalterato
così com’era, senza potersi congiungere con Dio. Infatti, se egli (il Lògos) fosse
creatura, come avrebbe potuto l’uomo congiungersi col Creatore mediante
una creatura?». E nella stessa omelia, un po’ più avanti, egli aggiunge (70; PG
26, 296A): «Se il Figlio non fosse veramente Dio, l’uomo non avrebbe potuto
divinizzarsi, essendo semplicemente venuto a contatto con una creatura».
(10) Π nestorianesimo, insegnando che le nature umana e divina in Cristo
si toccano ma non si uniscono ipostaticamente, finiva coll’ammettere che l’uo
mo può avvicinarsi all’infinito, senza però riuscire a penetrarlo. Viceversa, il
52
lineare che il contenuto e la vita della «divinizzazione» è l’unione
con Cristo, perché propriamente questa unione con l’Archetipo
conduce l’uomo al suo compimento60,
6. In un’epoca posteriore (e questa precisazione è necessaria
affinché il lettore, che eventualmente sia rimasto perplesso per le
affermazioni fin qui esposte, possa comprendere il perché delle
sue perplessità), a partire cioè dal sec. XII, incominciò a prender
piede in Occidente una concezione teologica e antropologica, e,
quindi, soteriologica ed ecclesiologica, affatto differente da quel
la fin qui esposta. A partire dal sec. XIX, poi, cioè da quando
nella ricostituita Università di Atene la teologia fu coltivata e in
segnata non tanto in base alla tradizione patristica, quanto in ba
se alla teologia occidentale, questa concezione ha potuto diffon
dersi anche in Grecia: col risultato che la concezione occidentale
del cristianesimo ha potuto trovare anche qui un’ampia acco
glienza.
7. Durante questi ultimi decenni, è di nuovo emerso e si
studia sufficientemente l’argomento della divinizzazione. Il fatto
è di buon auspicio; ma reputiamo che occorre fare ancora qual
che passo in avanti. La «divinizzazione», da predicato spirituale
generale quale è stato reso, deve riacquistare un concreto conte
nuto antropologico; il che, nel linguaggio dei Padri, vuol dire un
contenuto antropologico e cristologico nel contempo. Occorre che
la divinizzazione sia di nuovo concepita come cristificazione. In
tesi con questo significato, lo scopo dell’uomo assieme con i
mezzi della realizzazione del medesimo (fede, osservanza dei co-
mandamenti di Dio, ascesi, sacramenti, vita ecclesiale e spirituale
nell’insieme), si illuminano interiormente, trovano un mutuo col-
legamento organico con il mondo e con Cristo, che è inizio e fine
di ogni cosa.
8. In altre parti di questo libro cercheremo di presentare la
concezione per noi nuova, e però patristica, di questa realtà. Tut-
53
tavia, vale la pena di segnalare qui quale liberazione produca
nell’uomo questa divinizzazione.
Anzitutto, liberazione dal male e dal peccato. Per quanto tre
mendo sia il male, dal momento che questo, e non Cristo, costi
tuisce un fatto episodico e un avvenimento, in ultima analisi esso
stesso si riduce a cosa da poco. La concezione dell’uomo - della
sua salvezza, della sua vita spirituale, ecc. - spezza i suoi legami
con il male e si lega con Cristo. Il male si relativizza. Nemmeno il
male più profondo riesce a intaccare l’origine e la finalità
dell’uomo. È possibile che l’uomo rimanga servo del peccato, ma
è anche possibile che egli possa liberarsene. Il principio teomor-
fico dell’uomo e la sua finalità teocentrica lo rendono più vasto
del male e del peccato, più potente del diavolo.
Poi, liberazione da una concezione ciclica e, in ultima anali
si, statica della storia, ma anche liberazione da quell’altra conce
zione, che considera la storia come evoluzione biologica e dialet
tica. Dal momento che il principio ontologico dell’uomo non ri
posa nel suo essere biologico bensì nell’essere in Cristo; e dal
momento che la realizzazione dell’essere in Cristo costituisce un
processo che va dalla condizione di «immagine» verso l’immagi
ne stessa o dall’essere iconico all’essere reale: la storia può pro
priamente concepirsi come la realizzazione di questo processo.
In quanto tale, la storia ha il suo principio e la sua fine in Cristo.
E poiché Cristo non è solo «Colui che è, che era», ma anche
«che viene», ne consegue che non è solo il passato e il presente a
muovere e determinare la storia, ma anche il futuro: quando, ov
viamente, per futuro si intendano non le finalità verso cui con
duce necessariamente l’evoluzione biologica o l’evoluzione dia
lettica del creato, ma la Presenza (Farousta) alla fine dei secoli di
Cristo, che ricapitola in sé ogni realtà: vale a dire, del Lògos as
sieme con il suo corpo - il mondo trasformato. Così, la crescita
ed evoluzione dell’umanità e, in genere, del creato, s’illuminano
interiormente, la sua comprensione non si limita solo ai processi
di mutamento che si osservano nella materia dell’immagine, ma,
pur senza trascurare questa prima dimensione, si estende e si
comprende principalmente come evoluzione o elevazione dell’im
magine fino all’Archetipo. In tal modo, lo svolgimento dell’im
magine trascende i confini del creato - confini che necessaria
mente pongono quanti si limitano a osservare solo la materia
54
dell’immagine, trascurando l’immagine stessa - e raggiunge l’in
finito. In questo modo, l’evoluzione è concepita in tutte le sue
dimensioni - non solo in quelle determinate dall’osservazione
scientifica - ed è giudicata degna di fede.
9. Queste affermazioni ci conducono al nucleo centrale
problema antropologico come esso è affrontato al giorno d’oggi.
La verità che racchiudono dentro di sé è verità antropologica di
un’importanza nevralgica, dolorosa ma nel contempo salvifica
per l’uomo contemporaneo. E dolorosa, perché sradica anche il
più minuscolo tentativo di autonomia. È salvifica, perché spalan
ca davanti all’uomo orizzonti grandiosi e infiniti per una attività
ed evoluzione realmente e veramente umane.
Certo, dicendo che questa verità opprime l’autonomia, non
intendiamo dire che legittima l’eteronomia, nel senso filosofico
dei termini. Questi termini sono stati tragicamente fraintesi nel
corso degli ultimi secoli, si trovano sostanzialmente al di fuori
della problematica ortodossa. Il tentativo che facciamo noi qui è
mostrare che Dio non costituisce per l’uomo un «principio»
esterno, da cui l’uomo dipende, ma realmente e veramente il suo
principio ontologico e il suo fine. Essendo stato creato a immagi
ne di Dio, l’uomo è costituito in modo teologico. E per essere
veramente uomo, in ogni suo istante egli deve esistere e vivere in
modo teocentrico. Quando l’uomo rifiuta Dio, egli rifiuta se
stesso e si autodistrugge. Quando invece l’uomo conduce una vi
ta teocentrica, egli valorizza se stesso fino all’infinito, si evolve e
si completa fino all’etemità. Su questo punto ritorneremo.
55
Le tuniche di pelle
56
mo; quanto alla direzione sbagliata, essa consiste nel voler cerca
re qualcosa di conforme alla nostra natura in ciò che in verità le
è contrario. L’uomo potrà acquisire i beni naturali che gli si ad
dicono solo se li cercherà nella loro fonte reale e se, per trovarli,
egli si muoverà sfruttando adeguatamente le sue potenzialità na
turali.
Sia per spiegare la condizione in cui venne a trovarsi l’uomo
dopo la sua caduta, sia per instaurare, in questa condizione con
traria alla sua natura, il secondo pilastro di quel ponte che, aven
do come primo pilastro l’espressione «a immagine», permette
rebbe all’uomo di sopravvivere nella condizione in cui attual
mente si trova, di far ritorno alla condizione di «immagine» e,
perfezionando lo slancio di quest’ultima condizione, di raggiun-
I.
I l s ig n if ic a t o a n t r o p o l o g ic o
57
certa soddisfazione per il fatto che, in questi ultimi tempi, il que
sito di cui parliamo comincia a rientrare negli interessi clella
scienza antropologica64. Ad ogni modo, per chi voglia muoversi
entro l’ambito dell’antropologia biblico-patristica ortodossa,
questa puntualizzazione ha un significato determinante, che bi
sogna tenere sempre in mente.
Il secondo punto che fin da ora bisogna chiarire è questo:
non il corpo umano costituisce le tuniche di pelle. I Padri si trova
rono ben presto nella necessità di ribadirlo (11) per confutare le
eresie degli gnostici (12)65, degradanti per il corpo umano. Non
c’è da stupirsi se Origene, condizionato dalla sua erronea conce
zione della preesistenza delle anime, si pose il quesito se l’espres
sione della Scrittura «tuniche di pelle» potesse intendersi in rela
zione al corpo oppure n o66 (13). Anche di fronte a questo dilem
ma, i Padri esercitarono una dura critica67 (14), significativa del
loro impegno per sottolineare non solo il valore positivo del cor
po ma anche la verità cristiana centrale secondo cui, a «compor
re» l’uomo «conforme alla sua natura» è il corpo insieme con
l’anima. «Si dice veramente uomo conforme alla sua natura non
in quanto anima senza corpo né tanto meno corpo senza anima,
ma ciò che è composto da corpo e anima nell’unica manifesta
zione del ben e»68. Per la tradizione patristica, questa verità è
fondamentale e indiscutibile. Per cui possiamo esimerci dall’insi-
stere nella sua analisi e nella sua dimostrazione.
58
e interpretare la condizione in cui l’uomo venne a trovarsi suc
cessivamente alla sua caduta. In questo modo essi formularono
molte verità concernenti le «tuniche di pelle» e fecero molteplici
impieghi del termine.
Un primo punto, su cui concordano tutti questi impieghi, è
che le tuniche di pelle esprimono la condizione mortale, che l’uo
mo rivestì a guisa di seconda natura dopo la sua caduta. «(Dio)
fece le tuniche di pelli per avvolgerlo (l’uomo) nella condizione
mortale» (Metodio di Olimpo) 69. Mentre prima della sua caduta
l’uomo «non aveva vestiti fatti con pelli m orte»70, in seguito egli
«si coprì di pelli morte» (Gregorio di N issa)71. «La condizione
mortale, pertanto, per analogia con la natura degli esseri irrazio
nali, fu conferita secondo il piano della provvidenza alla natura
creata per l’immortalità» (Gregorio di Nissa)72.
In questi brani, come pure in alcuni altri che tralasciamo73,
è significativo il fatto che non si parli di morte ma di condizione
mortale: e cioè di una condizione nuova in cui l’uomo venne a
trovarsi, di una «vita in morte»1* (15). Il cambiamento è grande:
si tratta di un capovolgimento totale delle realtà. Contrariamente
al suo stato precedente, l’uomo non trova nella vita il suo ele
mento costitutivo, egli non esiste in virtù della vita che emana
naturalmente da sé, ma, piuttosto, egli esiste fin tanto che rinvia
la morte. Quel che ora principalmente esiste è la morte: la vita è
stata trasformata in sopravvivenza.
In una sua ispirata teoria «Sulla disobbedienza di Adamo»,
san Massimo il Confessore vede il primogenito impegnato a
creare artificiosamente su di sé la proprietà di Dio, creare dentro
di sé in modo autonomo «senza Dio e al cospetto di Dio e non
secondo Dio» ciò che è caratteristica peculiare di Dio: la vita in
sé. Così, Adamo abbandonò il nutrimento divino75 (16), che si
addiceva alla sua natura, e, per costruire autonomamente la sua
vita, preferì come nutrimento il frutto dell’albero proibito, che,
però, egli conosceva già come frutto di morte, e cioè frutto del
continuo fluire, mutare, alienarsi. In questo modo, compatibil
mente con il nutrimento, egli rese la sua vita corruttibile: rese vi-
(15) ... che anche allora era «il Pane disceso dal cielo per dare vita al
mondo».
(16) lbid.
59
va dentro di sé la morte. Ché, spiega questo venerabile Padre,
poiché la morte appare come corruzione di ciò che di volta in
volta è creato; e poiché ogni realtà creata si corrompe in modo
naturale mediante l’ingestione e la digestione degli alimenti: ne
consegue che, ciò mediante cui Adamo credette fosse creata la
vita, esso stesso generò dentro di lui e dentro di noi la morte, e la
mantiene florida a tutt’oggi. Fu così che Adamo offrì la natura
intera in pasto alla morte. «E mentre da allora la morte vive ci
bandosi di noi, noi invece non viviamo mai, in quanto perenne-
mente divorati da lei mediante la corruzione»76. Perciò un po’
più avanti lo stesso Padre sostiene che «la fine di questa vita non
è morte, ma liberazione dalla morte»77.
La condizione mortale, quindi, la privazione di vita, che le
anime sensibili di ogni epoca concepiscono come qualcosa di in
significante, questa vita «liquida e fluida»78 o «congelata»79, è la
prima dimensione delle tuniche di pelle.
La condizione mortale, nei termini sopra stabilita, è caratte
ristica propria della natura degli esseri irrazionali. Il fatto quindi
che l’uomo indossò la condizione mortale, null’altro significa che
egli indossò la natura degli esseri irrazionali, e che, quindi, l’uo
mo vive di conseguenza in conformità con quella vita ed è carat
terizzato dalle proprietà di essa. San Gregorio di Nissa parla di
quel «mantello inerte e brutto che ci fu gettato addosso e che era
fatto con pelli di animali irrazionali». E spiega: «Quando sento
parlare di pelli mi viene da pensare all’impronta della natura ir
razionale che assumemmo quando ci unimmo alle passioni». E,
con maggior chiarezza, precisa: «Ciò che abbiamo ricevuto dalla
pelle degli animali irrazionali è rappresentato dagli accoppia
menti, dai concepimenti, dai parti, dalla sporcizia, dall’allatta
mento, dal nutrimento, dall’eliminazione degli escrementi, dalla
crescita graduale, dalla giovinezza, dalla vecchiaia, dalle malattie,
dalla m orte»80: in altri termini, da tutto ciò che oggi siamo soliti
chiamare vita biologica.
Sarebbe errato ritenere che in questo testo si parli esclusiva-
mente del corpo, che il discorso sulle tuniche di pelle si esaurisca
in relazione con il corpo. Gli «accoppiamenti», il «concepimen
to», l’«allattamento» come pure tutte le altre tappe successive
dello sviluppo graduale dell’uomo non si esauriscono nelle sue
attività corporali, ma implicano anche le funzioni e operazioni
60
dell’anima, le quali pure si vestono della «impronta della natura
irrazionale» - è significativo il fatto che egli non parli di corpo
irrazionale -, perdono la loro libertà e razionalità e decadono in
istinti. L’intero organismo psicosomatico dell’uomo subì, con la
caduta, una specie di blocco, fu imprigionato entro le caratteri
stiche dell’«impronta della natura irrazionale».
61
del summenzionato brano, san Gregorio paragona «le foglie del
la vita materiale» con «la superbia, la gloria e gli onori effimeri e
le informazioni di breve durata della carne»84 e, altrove, con «il
62
mondo materiale, il continuo movimento e mutazione, che rende
l’uomo passivo e, nella sua totalità, «carnale». Così comprendia
mo per quale motivo, per il vescovo di Nissa, in questa carnalità
biologica, irrazionale e materiale, gli «onori» che incontra l’uo
mo sono irrimediabilmente effimeri, e per quale motivo le
«informazioni», vale a dire i fondamenti, le certezze della carne,
sono «di breve durata», vale a dire mortali e, per ciò stesso, por
tatrici di morte.
63
che e verso Dio, senza presentare la benché minima opposizione:
l’anima comunicava agevolmente sia con il mondo spirituale e
angelico, sia con lo Spirito di Dio. In quei tempi - dice il venera
bile vescovo di Nissa -, c’era un uniforme accordo tra la natura
razionale, quella angelica e quella umana, «che mirava verso il
Corifeo di questo accordo e verso l’armonia che ne emanava».
Ma venne il peccato a «dissolvere quel divino accordo», a porre
sotto i piedi dei primi uomini, «che comunicavano con le poten
ze angeliche», lo sdrucciolio dell’inganno. E l’uomo cadde. Si
mescolò con il fango, si autoproiettò verso il serpente, indossò le
pelli morte. E divenne «cadavere». Così, «venne a interrompersi
la congiunzione dell’uomo con gli angeli»98. E, in modo analogo,
si spezzò anche il legame che teneva unito l’uomo con il mondo
creato.
Siamo così giunti a un secondo punto della nostra indagine:
vedere cioè in modo più analitico come si è potuta verificare la
summenzionata disgiunzione e la corrispettiva congiunzione
dell’uomo con la «natura degli esseri irrazionali»; esaminare cioè
in modo più concreto come il beatamente tessuto abito divino,
che l’uomo indossava prima della sua caduta, si trasformò in tuni
che di pelli. In tal modo saranno forse chiariti alcioni punti del
nostro quesito iniziale, e cioè qual è il reale contenuto antropolo
gico delle «tuniche di pelle».
II .
L a « s o m ig l ia n z a » p r im a d e l l a c a d u t a
64
e l’anima, tra l’anima e Dio. Sappiamo bene - egli soggiunge -
«che l’anima si frappone tra Dio e la materia, e ha potenzialità
unificanti verso entrambe le parti» 10°. Usando dovutamente que
ste potenzialità, Adamo aveva il compito di trasformare l’unifica
zione virtuale in unificazione effettiva, amalgamando e, quindi,
abrogando le quattro grandi divisioni dell’Universo: la divisione
del genere umano in maschi e femmine; quella della terra in pa
radiso e mondo abitato (ecumene); la divisione del mondo sensi
bile in cielo e terra; la divisione della natura creata in realtà intel
ligibili e realtà sensibili. E, infine, abrogare anche l’inesprimibi
le e suprema quinta divisione: quella esistente tra creato e Crea
tore 101.
65
prima virtù è la prudenza (phrónèsis), che si forma dalla contessi
tura delle capacità noetica (noera) e razionale (logikè) dell’anima
con le facoltà della vista e dell’udito, ma anche con le loro corri
spettive attività: la percezione, che è l’attività della facoltà cono
scitiva, e la dimostrazione scientifica, che è l’attività della facoltà
razionale. Con l’intelligenza l’anima accoglie dentro di sé i lógoi
(le «ragioni») degli enti sensibili e, quindi, li amalgama con se
stessa. In modo analogo si sviluppano anche le tre altre virtù ge
nerali: la giustizia, la fortezza e la temperanza.
Con il congiungimento delle due prime virtù, della pruden
za e della giustizia, ciascuna delle quali aventi insite dentro di sé,
come abbiamo visto, le relative capacità dell’anima, le corrispet
tive facoltà sensitive e le attività dei sensi verso le realtà, si forma
in seguito la virtù più generale della sapienza {sophia). Questa ap
pare come la somma di tutte le attività conoscitive e le facoltà
sensitive - diremmo: somma di tutte le funzioni psicosomatiche
cognitive dell’uomo -, ma anche di tutte le attività di queste ca
pacità o acquisizioni che scaturiscono dall’incontro delle facoltà
conoscitive con le cose, e cioè le cognizioni (gnóseis). E con la
congiunzione delle altre due virtù generali, della fortezza e della
temperanza, si produce la virtù più generale della mansuetudine.
Essendo, questa, amalgama e somma di tutte le capacità attive
dell’anima, delle corrispettive facoltà sensitive del corpo e delle
attività degli organi sensitivi, si chiama anche impassibilità
[apàtheia), perché null’altro è se non «totale atarassia eli appetito
e di inclinazione verso tutto ciò che non è conforme alla natura
dell’uomo».
Queste due virtù più generali, che potremmo chiamare an
che situazioni «spiritonaturali» o funzioni psicosomatiche
dell’uomo, assieme a tutto ciò che, come abbiamo visto, real
mente contengono, si congiungono «nella più generale di tutte le
virtù: l’amore». L’amore, in quanto virtù unificatrice, concentra
su di sé ogni realtà: sia gli elementi primordiali (anima e capacità
dell’anima; corpo e facoltà sensitive del corpo; attività delle sen
sazioni sulle realtà e sui lógoi [le «ragioni»] delle realtà stesse),
sia il loro movimento verso la propria finalità (le virtù generali e
quelle più generali, che, come abbiamo visto, sono situazioni
reali) in una sintesi unitaria e unione definitiva e semplice, che si
concretizza in Dio. E possibile che l’amore compia tutto ciò per
66
ché trattasi di una virtù «estatica... e variamente su ogni singola
realtà deificante».
In questo modo - riassume san Massimo il Confessore -
l’anima, usando le facoltà sensitive «come veicoli razionali delle
sue capacità», percepisce per il loro tramite le realtà sensibili e
familiarizza con le loro ragioni conformi (lógoi); quanto poi alle
sue stesse capacità, con tutto ciò che esse contengono, le amalga
ma con le virtù e con i lógoi divini in esse connaturati, perché le
virtù non sono semplicemente condizioni umane, bensì «divi-
noumane» (teantropiche). E la mente spirituale {ho pneumatikós
nous), che trovasi nei lógoi divini, dal di dentro di ogni cosa
spinge l’anima «a donarsi tutta totalmente a Dio. E, avvolgendo
interamente l’anima insieme con tutto il corpo che quest’ultima
a sua volta avvolge, Dio trasforma analogamente il tutto simile a
se stesso»103.
«Convergendo verso l’una natura dell’uomo», il molteplice
può in questo modo unificarsi in uno, affinché, «analogamente
all’umanità, che domina su tutto, possa rivelarsi un solo Demiur
go di tutto» e, così, «Dio (diventi) del tutto in tutto, abbraccian
do tutto e trasformandolo secondo la sua ipostasi» 104.
Ecco qual è l’uomo che conformemente alla sua natura è
immagine cu Dio. Ecco la sua funzionalità naturale, il suo natura
le agire e la sua finalità. Quando l’uomo devia da questa direzio
ne, egli decade nella condizione contraria alla sua natura.
67
tura, al mondo sensibile, finì col decomporre anche quell’unifica
zione relativa o dinamica che, come abbiamo visto, la sua esisten
za, in quanto plasmata a immagine di Dio, formava nell’universo.
«Facendo cattivo uso della potenza conforme alla sua natura, che
gli era stata concessa per unire le cose separate, l’uomo produsse
la disgregazione delle realtà unite»107.
Pertanto, l’imprigionamento dell’anima da parte delle realtà
sensibili fa sì che le attività delle facoltà sensitive, le facoltà stesse
e, tramite loro, le corrispettive capacità dell’anima si rivestano
delle sembianze delle realtà sensibili, poiché soccombono a que
ste, e si trasformano adeguandosi ad esse. «Muovendo l’anima,
contrariamente alla sua propria natura, attraverso la carne verso
la materia, essa è rivestita dalla forma terrena» 108. Trattasi del
medesimo fatto che, studiando san Gregorio di Nissa, abbiamo
sopra chiamato congiunzione con la «natura degli esseri irrazio
nali». Conseguenza di questa congiunzione è la vita irrazionale
che, secondo l’insegnamento del santo vescovo di Nissa, è carat
terizzata dalle passioni. San Massimo il Confessore spiega anche
il modo in cui sono generate queste passioni.
Egli infatti scrive: quando la mente (nous) rifiuta il suo na
turale tendere verso Dio, non avendo un altro punto di riferi
mento si abbandona ai sensi. E questi lo ingannano senza tregua,
facendolo girovagare alla superficie delle realtà sensibili «me
diante cui (l’anima), dimenticando i beni conformi alla sua natu
ra, spreca ogni suo sforzo intorno alle realtà sensibili (23), inven
tando brame e volontà e piaceri che non le si addicono». Poiché
il piacere nulTaltro è se non una «forma di attività sensitiva, co
stituita da desideri irrazionali». Quando il desiderio irrazionale
68
cavalca le sensazioni, le trasforma in piacere, imprimendo loro
un aspetto, un èidos irrazionale; e la sensazione, che muove in ar
monia con il desiderio irrazionale, produce, con l’accettazione
del sensibile, il piacere109.
E in un altro testo, parlando esplicitamente di Adamo, dice:
«Resosi in tal modo trasgressore (avendo cioè mutato direzione)
e ignorando Dio con l’aver mescolato l’insieme delle sue capacità
noetiche con la somma delle sensazioni, egli abbracciò la cono
scenza composta e funesta, che agisce per mezzo delle passioni,
si trascinò verso la natura degli animali irrazionali e assomigliò
ad essi, compiendo e cercando e volendo le stesse realtà con essi,
e trovandosi in uno stato di maggior irrazionalità» (24)no.
69
III.
I l d u p l ic e a s p e t t o d e l l e t u n i c h e d i p e l l e
70
no, quella finalità iniziale che, facendo cattivo uso delle sue qua
lità naturali, Adamo non realizzò1H. Perciò Dio offre questa rela
tivamente positiva condizione delle tuniche di pelle a mo’ di se
conda benedizione all’uomo autoesiliato, la aggiunge alla sua na
tura a mo’ di seconda natura, affinché, usandola correttamente,
possa sopravvivere e realizzare il suo scopo primordiale in Cri
sto: «In realtà l’indumento fa parte delle realtà che ci sono appli
cate dall’esterno, e all’occasione fornisce al corpo la sua utilità,
senza appartenere alla natura. La condizione mortale, pertanto,
per analogia con la natura degli esseri irrazionali, fu concepita
secondo il piano della provvidenza (25) alla natura creata per l’im
mortalità» 115.
71
stigo: «Occorreva infatti che il nostro peccato venisse cancellato
per mezzo di un castigo, e, pagando un’adeguata ammenda per
quel che abbiamo peccato contro Dio, ci salvassimo»118. Pertanto,
il castigo, che cade fisiologicamente sull’artefice della hybris, non
proviene dalla giustizia di Dio, il quale né è stato ferito né chiede
soddisfazione, ma dalla giustizia del mondo creato. Le leggi di que
st’ultimo continuano a funzionare, anche se ora in modo disorga
nizzato e stravolto, coinvolgendo in questa loro funzionalità capo
volta anche l’uomo, col risultato di affliggerlo e tormentarlo.
Da questo punto di vista, quindi, il congiungimento dell’uo
mo con la natura degli esseri irrazionali e la trasformazione delle
sue capacità naturali in passioni (vale a dire: le tuniche di pelle)
costituiscono la dikè (il castigo) che la stessa giustizia del mondo
creato impone all’uomo. Ecco quindi perché l’uomo cercando il
piacere trova il dolore, e cercando la vita trova la morte. Stu
diando san Massimo il Confessore abbiamo visto come accade
ciò: il venerabile Cabasilas ci spiega anche il perché119.
Il castigo, che l’inesorabile giustizia del mondo creato impo
ne all’uomo, risulterebbe eterno, insegna Cabasilas, se non inter
venisse la giustizia/bontà di Dio a correggere la giustizia del
creato e a trasformare misericordiosamente e dal di dentro la
dikè in phàrmakon (farmaco, rimedio), sanando così il «trauma»
e castigando - dissolvendo120- la hybris che è il peccato. «Quan
to alla ferita e al dolore e alla morte, essi sono stati concepiti fin
dall’inizio contro il peccato... Immediatamente dopo il peccato,
Dio permise la morte e il dolore, non per castigare un peccatore,
ma per offrire un antidoto (phàrmakon) a un infermo»121.
Quanto è stato finora detto rende chiaro - e ciò ha per il no
stro argomento un significato decisivo e di primaria importanza -
che nell’unica e singolare realtà delle tuniche di pelle noi dobbiamo
riconoscere due aspetti distinti. Diremmo che trattasi di una realtà
biforme, come quelle figurine animate, cui basta un lieve movimen
to per apparire ora in un modo ora in un altro, ora nell’aspetto, di
ciamo, tragico ora in quello comico122. All’aspetto ripugnante, che
l’uomo produsse offendendo Dio e ferendo se stesso, all’«orrida
maschera», come dice san Gregorio di N issa123, Dio, usando sem
pre lo stesso materiale, aggiunge il secondo aspetto, creando così la
funzione positiva delle tuniche di pelle. Da una parte, quindi, le tu
niche di pelle sono la conseguenza fisiologica del peccato, costitui
72
scono l’offuscamento della condizione di «immagine» e il decadi
mento della condizione conforme alla vera natura dell’uomo, sono
nel contempo e hybris e dtkè e trauma-, dall’altra, esse si rivelano
come phdrmakon e come benedizione, costituiscono una nuova
possibilità concessa da Dio all’uomo, affinché questi, dato che ha
perso la vita, possa sopravvivere, e per giunta bene, nella condizio
ne mortale, di modo che possa ritrovare più completa la vita e più
bello l’aspetto della sua natura in Cristo.
Di fronte a una così concreta manifestazione dell’inenarra
bile mistero della divina misericordia, l’apostolo Paolo resta in
estatica adorazione: «O profondità della ricchezza, della sapien
za e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giu
dizi e inaccessibili le sue vie!» (Rm 11, 33).
IV.
D im e n s io n i a n t r o p o l o g ic h e e c o s m o l o g i c h e d e l l e t u n ic h e
DI PELLE
73
In questo modo si manifesta il grande miracolo della sa
pienza, dell’amore e della potenza di Dio. Il diavolo inganna
l’uomo e lo fa precipitare nell’abisso della corruzione, dove lo
tiene prigioniero mediante la morte. Dio, permettendo dal canto
suo la morte, la ritorce contro la corruzione e contro la causa
della corruzione, vale a dire contro il peccato, ponendo fine e al
la corruzione e al peccato. In tal modo, Dio delimita il male e re
lativizza la caduta. Il Suo disegno primordiale, e cioè la vita eter
na e beata dell’uomo in Lui, resta intatto. I venerabili Padri, illu
strando questo mistero dell’infinita misericordia di Dio, afferma
no che Egli accettò e perdonò la morte « affinché il male non ri
sultasse eterno» 125 (28). E, osservando da questa altezza la morte,
la deridono: «In modo gagliardo noi deridiamo la m orte!»126.
D ’altra parte, il diavolo cercò mediante la caduta di sotto
mettere l’uomo al mondo creato. E ci riuscì, rivestendo l’uomo
con la forza materiale degli esseri irrazionali. Ancora peggio: me
diante la morte, il diavolo cerca di annientare l’uomo nella mate
ria. E apparentemente ci riesce, dal momento che il corpo, resti
tuendo con la sepoltura alla terra gli elementi costitutivi che ha
preso da questa, si dissolve dentro di essa127. «Questo architettò
il seminatore del peccato...: far sparire le opere di Dio e dissol
vere quanto era stato composto per la generazione»128.
La Sapienza di Dio, però, intervenendo anche su questo
punto con la sua discrezione, arricchisce l’atto passivo della se
poltura con un elemento, diremmo, attivo e, in tal modo, la tra
sforma. La morte diviene il modo con cui il corpo umano s’intro
duce nel più profondo della terra, raggiungendo così le viscere
della creazione. Con la morte, l’uomo tocca i confini dell’univer
so, si trasforma in aria e acqua e fuoco, materia e operazione, ele
mento dello spazio: «Ritorni la polvere alla terra, com’era prima»,
dice l ’Ecclesiaste (12, 7). Ma questa «polvere», ormai non è più
solo materia. Come direbbe san Massimo il Confessore, ha su di
sé veramente e realmente il lògos (la ragion conforme) e l ’èidos (le
sembianze proprie) dell’uomo. Così il mondo creato, che, come
abbiamo visto, rivestì l’uomo con la corruzione in modo organi-
74
co, ora si veste diremmo dal di dentro, parimenti in modo organi
co, grazie all’altro aspetto della duplice realtà che costituisce la
morte stessa, con un elemento nuovo, che, in quanto corpo uma
no, è suscettibile di incorruttibilità. Perciò, contemporaneamente
con la finale risurrezione dei corpi, che porterà Cristo con la sua
seconda Venuta, porterà anche la trasformazione dell’universo in
una «terra nuova» e in un «cielo nuovo». «Allora... (la natura)
mostrerà incorruttibile la sua bellezza; infatti, poiché è destinata a
ospitare corpi incorruttibili, anch’essa sarà trasformata in me
glio» 129. «E, insieme con i nostri corpi, il cielo e la terra e tutto il
creato diventeranno incorruttibili» 13°.
La trasformazione escatologica dell’universo non potrà av
venire in modo magico o meccanico, con il semplice intervento
di una potenza esterna - dato che Dio nulla opera in questo mo
do - ma in modo organico e naturale e dall’interno: dall’interno
dell’uomo131 (29).
15
l’uomo successivamente alla sua caduta. Le tuniche di pelle, in
tese come vita irrazionale e inerte e soggetta a passioni, s’iden
tificano totalmente con i pensieri della carne (Rm 8, 5-8), col
«vivere secondo la carne», che conduce alla morte (Rm 8, 12-
13), con la «legge del peccato e della morte», dalla quale solo
«la legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù» (Rm 8, 2)
può liberare (31).
La legge dello Spirito giunse con Cristo, la legge del pecca
to derivò dalla caduta e, come dice san Giovanni Crisostomo,
opera «mediante la parte irrazionale dell’anim a»136. Fra queste
due leggi si frappone la legge giudaica, della quale, com’è noto,
san Paolo si trovò nella necessità di occuparsi diffusamente.
Paolo distingue la legge giudaica sia dalla legge del peccato
che dalla legge dello Spirito, chiamandola «spirituale» (Rm 7,
14). San Giovanni Crisostomo spiega: «Chiama lo Spirito legge
di Spirito. Come infatti chiama u peccato legge di peccato, così
pure chiama lo Spirito legge di Spirito. Ché, anche nei confronti
della legge di Mosè disse: sappiamo che la legge è spirituale. Lo
spazio che separa queste due leggi è vasto e infinito. La prima è
legge spirituale; la seconda è legge di Spirito... La prima è stata
semplicemente data dallo Spirito; quest’ultima, invece, concede
abbondanza di Spirito a coloro che la accettano»137.
Sviluppando ulteriormente il suo pensiero, san Paolo pone
il seguente quesito: «Perché allora la legge?». E con grande con
cisione risponde: «Essa fu aggiunta per le trasgressioni, fino alla
venuta della discendenza per la quale era stata fatta la promessa»
(G al 3, 19). L’espressione «fu aggiunta» è indicativa del carattere
cronologicamente posteriore di questa legge e non di un caratte
re primordiale. Quanto all’espressione «per le trasgressioni»,
non sarebbe difficile comprenderla se, per trasgressioni, noi in
tendessimo i molteplici peccati successivi alla caduta o anche lo
stesso peccato originale. Ma a questo punto si pone un interro
gativo molto importante e sotto vari punti di vista cruciale: vi è
per caso una qualche correlazione tra la legge che è stata data -
76
«fu aggiunta» - ai Giudei e «la legge del peccato», che risultò
come condizione umana in seguito alla caduta?
La risposta non è facile. È in qualche modo significativa la
parte conclusiva della Prima Lettera ai Corinzi, in cui Paolo
espone il suo pensiero sulla risurrezione dei morti (15, 35-58).
Egli inizia dicendo: «M a qualcuno dirà: “Come risuscitano i
morti? Con quale corpo verranno?”». In seguito spiega che «si
semina un corpo animale» e «risorge un corpo spirituale». Egli
fonda il suo pensiero sulla generazione e la rigenerazione: «Il
primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l’ultimo
Adamo divenne Spirito vivificante». Paolo garantisce che con la
risurrezione avrà compimento «la parola della Scrittura: “La
morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov’è, o morte, la tua vitto
ria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?”»; e conclude con que
ste parole interessanti: «Il pungiglione della morte è il peccato, e
la forza del peccato è la legge». E ovvio che, a questo punto, Pao
lo si riferisce alla legge giudaica. Com’è possibile, però, che la
legge che ha dato Dio possa essere forza cfel peccato? Se volessi
mo intendere queste parole collocandole nel loro contesto, in ri
ferimento alla morte e alla risurrezione, al primo Adamo, da cui
derivò la morte, e al Secondo, che annulla il «pungiglione» della
morte, il peccato, forse potremmo chiarire il suo significato. Può
darsi che la legge costituisca la forza del peccato perché sotto
certi aspetti essa stessa affonda le sue radici nel peccato, e per
ché viene data all’uomo proprio in quanto immerso in questa
condizione di peccato e in virtù della stessa, allo scopo di poterla
rettificare.
Intesa in questo senso, la legge, che a mo’ di «condiscen
denza» 138, «è stata aggiunta» successivamente alla caduta, costi
tuisce, potremmo dire, il lato positivo della legge del peccato,
mentre quest’ultima, espressione della condizione in cui si è ri
dotto l’uomo, costituisce il lato qualitativamente negativo. «Che
diremo, dunque? Che la legge è peccato? No certamente! Però
10 non ho conosciuto il peccato se non per la legge» (Rm 7, 7). E
11 lato positivo della realtà, vale a dire la legge che «è stata ag
giunta» da parte di Dio, a illuminare il lato costituito dalla legge
del peccato e a renderlo «negativo», di modo che si possa rettifi
care 139. La legge, che è stata aggiunta da Dio, non riuscirebbe a
rettificare in modo giusto la legge del peccato, se non si trovasse
77
in intrinseca connessione con Lui, se non affondasse le sue radici
in Lui. Ché, se così non fosse, la legge che ha dato Dio sarebbe
ingiusta, perché agirebbe dall’estemo e in modo obbligato: ma
Dio non opera mai in modo ingiusto.
Possiamo ora comprendere il tormento dell’apostolo Paolo,
così chiaramente espresso nelle sue epistole ai Romani e ai Gala-
ti, quando s’impegna di mostrare nel contempo i due aspetti di
una stessa realtà. La legge è «santa» (Rm 7, 12), ma costituisce
«maledizione» (G a l 3,13). Noi siamo stati liberati dalla legge (cf.
Rm 7, 6), Cristo dà il suo sangue affinché noi ce ne liberiamo (cf.
G al 4 ,5 ) 140, ma non si creda che, con la fede in Cristo, noi abo
liamo la legge: «Nient’affatto, anzi confermiamo la legge» (Rm 3,
31). La legge esisteva finché non fosse venuta la discendenza a
cui era stata promessa; ma l’amore che porta il Nunzio non è
abolizione bensì «compimento della legge» (Rm 13, 10): «Noi
sappiamo che la legge è buona», ma essa «non è fatta per il giu
sto, bensì per gli iniqui e i ribelli, per gli empi e i peccatori» (1
Tm 1, 8-9): in altri termini, riguarda tutti coloro trai quali opera
la legge del peccato. E fuori dubbio che la finalità della legge è
Cristo: «Termine della legge, infatti, è Cristo». Il carattere della
legge è chiaramente propedeutico: «Così la legge è per noi come
un pedagogo che ci ha condotto a Cristo» (G al 3 ,2 4 )M1.
Possiamo quindi concludere che la legge è stata data - «ag
giunta» - affinché l’uomo in quanto singolo, e la società, in
quanto totalità, possano moralmente sopravvivere nella condi
zione di caduta in cui si trovano142: il contenuto di questa legge è
positivamente utile, dal momento che controbilancia la legge del
peccato, ed è per giunta santo, perché conduce a Cristo. Ma
verrà un giorno in cui, assieme con la legge del peccato, anche
questa legge sarà alla fine superata in Cristo, e, per dirla meglio,
mentre la legge del peccato sarà abolita, questa sarà «completa
ta»: sarà trasformata nell’amore, nella nuova vita in Cristo.
Essendo infatti l’amore «compimento di legge» (Rm 13,
10), esso oltrepassa ogni limite della legge, conduce l’uomo
nell’ambito della libertà, ove nessuna limitazione o confine esi
ste, all’infuori del contenuto stesso della libertà. E, d’altra parte,
essendo la libertà perfetta armonia personale e accordo con Dio,
con gli uomini e con il mondo, essa si oppone all’indipendenza
individuale, suo contenuto proprio è l’amore e funziona come
78
amore. Amore e libertà sono funzioni e condizioni dell’uomo,
aventi il medesimo contenuto. Amore uguale libertà. Perciò la li
bertà non combatte la legge, ma la osserva con amore143 e con
amore la amplia, rende diafani i suoi confini, la trasforma. «La
verità non rifiuta le regole: piuttosto, le rende più evidenti»144. Il
contenuto morale della libertà si fonda sui legami dell’amore.
La legge, quindi, intesa come tunica di pelle, è buona e pre
ziosa: è un dono che Dio ha concesso all’uomo. Ma l’amore nella
libertà si pone al di sopra della legge. «Solo l’amore rende l’uo
mo immagine del suo Creatore... L’amore suggerisce alla mente
umana di agire concordemente con la sua natura, senza mai ri
bellarsi contro la ragion conforme della natura»145.
79
convinto di poter acquisire solo il piacere personale, senza prova
re alcun dolore. Ma egli non sa... che piacere senza dolore non
esiste. Ché, la pena del dolore è mescolata al piacere» U1.
Di questa nuova realtà che produce il peccato, vale a dire
del peccaminoso connubio piacere/dolore, Dio si servì miseri
cordiosamente dopo la caduta dell’uomo per donare alla razza
umana la sopravvivenza biologica, come con la legge Egli donò
la morale. Con un medesimo gesto, Dio delimitò drasticamente e,
alla fine, annientò in Cristo sia il piacere che il dolore.
80
Il corpo umano esisteva, ed esistevano distintamente l’uomo
e la donna, avendo ciascuno di essi una propria struttura psico-
somatica. Come però attesta in molti suoi scritti il venerabile
Crisostomo - per riferirci sempre allo stesso Padre - è certo che
i progenitori «non soggiacevano alle necessità dei corpi»149: pur
avendo un corpo, tuttavia non avevano bisogno «di nulla concer
nente il corpo»150; «essi vivevano in paradiso come angeli, né dal
desiderio infiammati né assediati da passioni aliene» 151. Per la
stessa ragione ignoriamo anche come si potesse attuare l’ordine
loro impartito anteriormente alla caduta: «Siate fecondi e molti
plicatevi» (Gn 1, 28). San Massimo resta nel vago: egli parla
semplicemente di una «crescita in moltitudine spirituale» della
razza umana152.
I santi Padri si limitano a precisare che «le forme della cor
ruzione» - l’attrazione sessuale, la congiunzione carnale e la nasci
ta biologica - non esistevano anteriormente alla caduta. Poiché,
però, essi non intendevano rispondere a una domanda che impe
gna la ragione, rifiutano di prendere qualsiasi posizione positiva
al riguardo. Ci troviamo cioè di fronte a un impiego del metodo
apofatico nell’ambito dell’antropologia. Con le loro insistenti ne
gazioni, i Padri mirano a creare quella condizione dinamica che,
impedendo all’uomo di arrestarsi in qualsiasi punto prima di ar
rivare a Dio, lo spinga incessantemente al raggiungimento della
sua finalità153.
In questa prospettiva crediamo vada letto il seguito del testo
di san Giovanni Crisostomo: «Ma dopo aver disobbedito a Dio
ed essere divenuti terra e cenere, persero assieme a quell’esistenza
beata anche la bellezza della verginità... Ma quando, divenuti
prigionieri del diavolo, dovettero deporre questa veste regale e
l’ornamento celeste, attirando su di sé la corruzione propria della
morte, le maledizioni, i dolori e le fatiche della vita, allora assieme
a tutti questi mali sopraggiunge anche il matrimonio... Vedi qual
è l’origine del matrimonio? Perché sembrò necessario? ... Dove
sta la morte, lì sta anche il matrimonio: se la morte non c’è, nean
che il matrimonio sopravviene... Quale matrimonio, dimmi, ha
fatto nascere Adamo? Quali dolori hanno generato Èva? ...
Un’infinità di angeli serve Dio, ...e nessuno di loro è nato dalla
generazione, dal parto, dai dolori e dal concepimento. Non
avrebbe dunque potuto Dio, a maggior ragione, creare gli uomini
81
prescindendo dal matrimonio?... La nostra razza è conservata
non dalla forza del matrimonio, ma dalla parola del Signore, che
disse all’inizio: “Crescete, moltiplicatevi e riempite la terra”». Al
la domanda: Come avrebbe potuto crescere la razza umana? forse
come sono nati Adamo ed Èva?, lo stesso padre risponde: «Se sa
rebbero nati così o in un altro modo, non sono in grado di dirlo.
Ciò che ora c’importa di stabilire, è che Dio non aveva bisogno
del matrimonio per moltiplicare gli uomini sulla terra» 154. Spie
gando poi il passo della Genesi che dice: «Adamo si unì a Èva sua
moglie», egli dice: «Bada che ciò è potuto avvenire successiva
mente alla trasgressione e dopo la cacciata dal paradiso: solo allo
ra essi incominciarono ad avere unioni coniugali. Anteriormente
alla trasgressione, essi vivevano come angeli, e di unioni coniugali
non si faceva nemmeno parola»155.
Anziché corroborare la nostra tesi facendo ricorso a testimo
nianze frammentarie, abbiamo preferito presentare esauriente
mente il pensiero di un singolo Padre, scegliendo, tra i Padri del
la Chiesa, uno dei più umani e socialmente più impegnati: in que
sto modo reputiamo d’aver presentato autorevolmente sia la cate
goricità del loro insegnamento che il contenuto morale di esso156.
Nondimeno, l’insegnamento secondo cui il matrimonio, co
sì come noi oggi lo concepiamo nella sua realtà, sia un fenomeno
successivo alla caduta dell’uomo e che costituisca elemento della
duplice realtà delle tuniche di pelle, non implica affatto disde
gno né disprezzo. Ciò infatti che da una parte risulta effettiva
mente come conseguenza del peccato, dall’altra è trasformato da
Dio in benedizione, in «grande mistero», che, secondo Paolo,
manifesta l’unione di Cristo con la Chiesa, la quale era comun
que prefigurata dal rapporto Adamo-Eva anteriore alla caduta:
«Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla
Chiesa!» (E f5 , 32).
Questa tesi di Paolo, che è variamente condivisa dalla lette
ratura patristica157, costituisce il fondamento della funzione litur
gica del matrimonio158. Durante la celebrazione di questo lieto sa
cramento, la Chiesa invoca ogni benedizione e augura ai novelli
sposi ogni gioia in questo mondo e in quello futuro: «Benedici lo
ro, Signore Dio nostro, come benedicesti Abramo e Sara. Conce
di loro il frutto delle loro viscere, prole buona, armonia nel corpo
e nell’anima. Eleva loro come cedri del Libano, come una vite
82
ben rigogliosa. Concedi loro abbondanza di raccolto, di modo
che, essendo del tutto autosufficienti, abbondino in ogni opera di
bene a Te gradita, e possano vedere i loro figli e i figli dei loro fi
gli come piante d’olivo appena germogliate attorno alla loro men
sa. E, resisi graditi a Te, possano risplendere come stelle del fir
mamento presso Te, che sei il nostro Signore»159.
Ecco perché i Padri, nel formulare in modo concorde e cate
gorico l’insegnamento summenzionato riguardo al sacramento
del matrimonio, considerano nel contempo eretici e scomunica
no, vale a dire tagliano fuori dalla comunità della Chiesa, tutti co
loro che, condannando il matrimonio come peccato (32), hanno
coscientemente scelto di stare dalla parte del diavolo. Il diavolo,
che ingannò una prima volta l’uomo e lo fece allontanare da Dio
e lo spogliò conseguentemente della veste splendente della vergi
nità, è il medesimo che ora, fon il suo insegnamento eretico se
condo cui il matrimonio è un peccato, mutando cioè tattica, cerca
di spogliarlo anche della sacra veste del matrimonio, con il quale
in seguito Dio rivestì misericordiosamente l’uomo (33).
83
Dopo tutte queste precisazioni, possiamo riprendere il no
stro discorso concernente il circolo vizioso piacere-dolore.
Intervenendo misericordiosamente in questo circolo vizio
so, Dio spostò il piacere verso la finalità della procreazione e, co
sì, lo delimitò e lo domò. Anzi, diede la possibilità di un suo su
peramento, trasformandolo da finalità a mezzo. E difatti, non
mancano esempi in cui il piacere è stato superato: si ricordi il ca
so della beata coppia Gioacchino e Anna, la cui prole non fu
frutto di piacere ma di preghiera.
Inoltre, il piacere, come atto egoistico, è superato nel matri
monio col suo trasformarsi in piacere e gioia spirituale: quando,
ovviamente, l’egoismo lascia il posto all’amore. Scrive il venera
bile Crisostomo: «Hai moglie e hai dei figli: quale altro piacere
può eguagliarsi a questo?... Dimmi: c’è qualcosa di più dolce
della prole e della moglie, per chi è sano di mente? Nulla vi è di
più gradevole della prole e della moglie, se si vuol vivere moral
mente» 160. Il Signore avvolge il piacere con l’abito positivo della
gioia, e non è privo di significato il fatto che il Suo primo mira
colo Egli lo compì in occasione di un matrimonio: Egli volle tra
sformare l’acqua in vino, affinché non venisse a mancare la gioia
dei partecipanti.
Con il medesimo Suo intervento misericordioso, Dio atte
nuò il dolore che la corruzione e la morte producono, poiché la
nascita dei figli «è il miglior antidoto contro la m orte»161. Ché,
come scrive san Giovanni Crisostomo, la morte è davvero «un
po che tu hai non è tuo, ed hai dei beni tuoi? Dopo che ci siamo sposati, amo
re mio, noi non siamo più due corpi distinti, ma uno solo; non possediamo
due proprietà distinte, ma una sola... Tutto quindi ti appartiene: e anch’io, te
soro mio, ti appartengo. Questo me lo insegna san Paolo quando dice che non
l’uomo è padrone del suo corpo, ma la moglie. Se quindi io non ho potere sul
mio corpo, ma appartengo a te, a maggior ragione apparterranno a te anche i
nostri beni!” ... Non le devi mai parlare in modo banale, ma sempre con deli
catezza, con rispetto e con tanto amore. La devi sempre rispettare, e vedrai
che non si troverà mai nella necessità di cercare rispetto presso altri; non avrà
mai bisogno delle altrui lodi, se avrà le tue. La devi preferire a tutti per ogni
cosa: per la sua bellezza e per la sua assennatezza. E la devi riempire di com
plimenti. Falle capire che la sua compagnia ti diletta, e che, piuttosto che an
dare fuori, preferisci restare a casa accanto a lei. La devi preferire a tutti i tuoi
amici. E, quanto ai tuoi figli, li devi amare perché è stata lei ad averteli dati»
{Omelie sulla lettera agli Efesini, 20,5, PG 62,146-148).
84
male insopportabile»162. E soggiunge: «Ecco perché Dio miseri
cordioso..., eliminando la maschera tremenda della morte, donò
immediatamente e fin dall’inizio la discendenza della figliolanza:
permettendo che il posto dei defunti fosse sostituito da altri, era
come se Egli volesse configurare la risurrezione»163.
Tutto ciò è avvenuto affinché il piacere e il dolore fossero
definitivamente domati con la Nascita del Signore, la quale potè
avvenire non solo senza piacere né dolori, ma addirittura con
una radicale innovazione di quelle leggi, cui la natura era sotto
posta: e cioè, con un concepimento «senza seme» e un parto
«senza corruzione» lM\ senza cioè che la verginità di sua Madre
fosse in qualche modo intaccata165.
Anzi: poiché il Signore ebbe una generazione (un inseri
mento nella vita) radicalmente diversa rispetto alla ben nota ge
nerazione biologica, che noi chiamiamo «nascita», Egli rimase li
bero da ogni costrizione biologica conseguente alla caduta
dell’uomo e, quindi, anche dalla morte. Mediante però la sua
nascita reale, epperò nascita libera e non sottoposta alle leggi
conseguenti alla caduta della generazione166 - e cioè libera «dal
concepimento per mezzo del seme e dalla generazione per mez
zo della corruzione, che dopo la trasgressione la natura umana
fece proprie» 167 - Egli accettò volontariamente queste norme
per annientarle. Dice san Massimo il Confessore: «Il modo di
generazione, che venne a verificarsi da Adamo in poi secondo il
piacere», tramite cui si moltiplica la razza umana, tormentava la
natura offrendola giustamente in «pasto alla morte»; ma «la mi
sericordiosa nascita del Signore eliminò entrambi i fatti: e il pia
cere introdotto da Adamo, e la morte che s’inserì mediante
Adamo, e fece scomparire contemporaneamente con il peccato
di Adamo anche il castigo di A dam o»168. In questo modo, il cir
colo vizioso piacere/dolore è stato annientato, e la natura uma
na è stata liberata.
Più ampiamente: per via del Suo diverso modo di generazione,
il Signore non solo ricondusse la natura umana allo stato antece
dente alla caduta, ma, per giunta, la completò. Ciò che costituiva
la finalità di Adamo - «eliminare», cioè, «dalla propria natura...
mediante un rapporto alieno da ogni passibilità per mezzo della
virtù divina» la distinzione dei sessi169 -, la portò a compimento
egli stesso, completando e manifestando libera dalle proprietà di
85
maschio e di femmina la più profonda e comune ad entrambi i
sessi e unificante «ragione» della natura umana170 (34).
Ancora: col Suo divenire veramente uomo, il Signore diede
un principio diverso alla natura umana, «principio di una secon
da generazione»171: e cioè, la nascita spirituale mediante il battesi
mo (35). Questa non è solamente liberazione dalle conseguenze
del peccato originale, ma è per i credenti anche compimento di
ciò che Adamo non ha compiuto. Il progenitore è stato plasmato
a immagine di Dio, dice san Massimo172, affinché, in virtù della
sua propria volontà, potesse generarsi in Dio per mezzo dello
Spirito, e «l’uomo potesse essere ad un tempo creazione di Dio
per natura, e figlio di Dio e dio per la grazia dello Spirito». Però,
ciò non poteva realizzarsi senza che fosse nato per mezzo dello
Spirito, e senza che liberamente egli stesso collaborasse mediante
«ì’impulso spontaneo e indomabile» a lui connaturato.
Ma, alla «divina e divinizzante e immateriale nascita» (36),
il primo uomo preferì la «nascita corporea, che è involontaria e
materiale e che subisce patimenti ed è asservita e piena di costri
zioni». Ad eccezione, come abbiamo visto, dell’inseminazione e
della corruzione173, Dio misericordioso, che è il solo libero e sen
za peccato, volle accettare, per nascere, proprio questa nascita,
«che includeva dentro di sé la forza della nostra condanna», e
così, spezzando per il nostro beneficio le catene, «diede la possi
bilità a coloro che credono al suo nome di diventare, per mezzo
della volontaria nascita dello Spirito, figli di Dio anziché figli del
la carne e del sangue»174.
San Massimo, di cui abbiamo sopra ricordato solo una par
te delle tesi, procede nei suoi testi ad analisi ancora più profonde
e formula alcune verità più elevate sia in relazione alla condizio-
86
ne dell’uomo antecedente alla sua caduta, che qui ci interessa,
sia in relazione alla realtà biologica in cui venne a trovarsi l’uo
mo in seguito alla sua caduta, come pure in relazione alla nuova
natura umana rigenerata in Cristo, nella quale, come attesta
l’Apostolo e come spiega diffusamente san Massimo, «non esiste
più né uomo né donna» (G al 3, 28). Ma queste verità superano la
nostra capacità intellettiva. Perciò ci limitiamo qui a segnalare al
lettore, che eventualmente desidera approfondire l’argomento, i
testi cui far ricorso175.
87
ne, intesa come prospettiva futura, piuttosto che tentare di con
cretizzarla hic et nunc, mortificando dentro di sé la dimensione
negativa dell’esistenza biologica - «mortificando le membra ter
restri», direbbe san Paolo179 (37) - e risuscitando, vale a dire tra
sformando per mezzo dello Spirito in Cristo, la dimensione posi
tiva. Pertanto, senza l’attuazione di questa risurrezione, l’uomo
non può liberarsi.
Per questa ragione, i nostri venerabili Padri, che conobbero
la potenza della risurrezione e sperimentarono la libertà che si
addice ai figli di Dio, non esitano a formulare nel loro amore per
l’uomo questa dottrina, malgrado essa a prima vista appaia dura.
E ciò lo fanno per indicare all’uomo la sua vera natura e la sua
vera grandezza in Dio. E anche per suggerirgli contemporanea
mente le vie che conducono a ciò. Ché il summenzionato inse
gnamento manifesta in modo radicale il significato ontologico che
na per l’uomo il battesimo e tutta la vita sacramentale, ascetica e
spirituale della Chiesa. Tutto ciò non costituisce elemento ag-
88
giuntivo alla natura dell’uomo, tale che uno può averlo oppure
no secondo le sue preferenze: piuttosto, costituisce e compone il
suo stesso essere secondo natura.
E poiché questo è il loro carattere, gli elementi in discussio
ne, come vedremo più analiticamente in seguito, hanno anche la
possibilità di trasformare l’essere biologico, la nascita biologica e
tutte le altre espressioni e funzioni del vivere biologico dell’uo
mo, con a capo la dimensione del matrimonio. (38). Nel sacra
mento del matrimonio, l’amore che induce due persone a convi
vere è coronato dall’Amore che unisce le Tre Persone della San
tissima Trinità - «è incoronato il servo di Dio... la serva di
D io... nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo», re
cita la celebrazione di questo sacramento - e così la famiglia che
se ne forma non è semplicemente una realtà biologica, un con
tratto sociale, un’unione psicologica o, se vogliamo, erotica o esi
stenziale, ma qualcosa di infinitamente migliore: è una particella
della Chiesa, vale a dire veramente e realmente membro vivo e
attivo del santissimo Corpo di Cristo.
(38 ) Ibid.
89
mezzo dell’uomo, il movimento della materia seguiva naturalmente
il suo corso teleologico: grazie all’uomo, anche essa era spirituale.
Ma la trasgressione di Adamo fece sì che il movimento della mate
ria deviasse. Dal momento che la relazione esistente tra materia e
corpo umano, tra corpo e anima, tra anima e Dio è stata capovolta,
la materia si piegò su se stessa, il suo movimento divenne cieco e
senza uscita. La materialità è quella condizione in cui la materia è
caratterizzata esclusivamente in base ai suoi elementi propri, ed esi
ste priva di qualsiasi attrazione o movimento verso lo spirito. La ca
duta implica anche un decadimento della stessa materia. Così, l’im
prigionamento dell’uomo nella materialità trasformò il mondo da
«molto bello» qual era, in un «mondo caduco», e l’uomo, che in
dossò la materialità, vive in questo mondo per via della materialità
- vale a dire per via delle tuniche di pelle - una vita multiforme e
soggetta a mille patimenti. Il termine «siamo emigrati» non signifi
ca quindi uno spostamento nello spazio - dato che anche anterior
mente alla caduta dell’uomo non si trovava al di fuori di questo
mondo - ma alterazione di rapporti: e noi, che oggi sappiamo bene
che ogni condizione è risultato di una somma ai rapporti, possia
mo cogliere appieno il significato di questo testo.
90
la macina della vita, sempre dallo stesso punto partendo e sem
pre verso lo stesso tornando. Ecco in che cosa consiste questo
movimento circolare: appetito e sazietà, sonno e veglia, evacua
zione e riempimento. Si passa incessantemente dalla prima con
dizione alla seconda e dalla seconda alla prima, per poi ancora
ricominciare da capo, in un movimento circolare e senza fine». E
passando dal senso biologico a quello esistenziale, dice: «Fa be
ne Salomone a definire questa vita “orcio forato” e “dimora al
trui” ... Vedi come si consumano assieme con gli uomini e l’ono
re e il potere e la fama e tutto il resto? Ciò che è aggiunto si dile
gua, e nulla resta a chi lo possiede. La voglia di fama e di potere
e di onori è sempre in atto; ma l’orcio dei desideri rimane sem
pre incolmabile»183
San Gregorio il Teologo, d’altra parte, con la sua pregnanza
tipica, scrive in relazione alla condizione dell’uomo antecedente
alla caduta: «(l’uomo) viveva senza il bisogno delle arti, e senza
alcun abito o problema: tale infatti doveva essere la sua natura
all’atto della sua creazione»184.
E il filosofo san Massimo il Confessore, spiegando il passo
summenzionato di san Gregorio Nazianzeno, illustra con mag
gior chiarezza il nostro argomento. Egli infatti dice che il proge
nitore viveva prescindendo da ogni arte, perché «lo stato di bea
titudine a lui elargito in modo naturale» era inalterabile, e, quin
di, egli non sentiva quelle necessità per la cui soddisfazione oggi
si fa ricorso alle arti. «E non aveva bisogno di indumenti», per
ché l’impassibilità a lui connaturata lo teneva lontano dal pudo
re, ma anche perché egli non soffriva allora il freddo e il caldo,
per far fronte ai quali l’uomo dovette inventare le abitazioni e gli
indumenti. D ’altra parte - egli soggiunge - l’attività dell’uomo
verte attualmente o intorno alle percezioni fallaci, che, per moti
vi di piacere, gli sono procurate dalle passioni irrazionali per il
mondo esterno; o intorno alle arti, necessarie per la soddisfazio
ne delle necessità biologiche; o intorno alle ragioni naturali degli
enti, per motivi di istruzione. Nulla di tutto ciò, però, distoglieva
l’uomo anteriormente alla caduta, perché egli si collocava al di
sopra di tutto. Essendo infatti il progenitore «impassibile per gra
zia», nulla aveva a che fare con le immaginazioni fallaci che le
passioni producono mediante il piacere; ed essendo « autosuffi
ciente», egli era immune dal ricorso a quelle arti che permettono
91
di soddisfare le varie necessità; ed essendo veramente «sapiente»,
egli si trovava al di sopra della scienza degli enti, la cui indagine
richiede studio e apprendimento. Tra Dio e l’uomo non si frap
poneva nulla che dovesse indagarsi o che potesse ostacolare il li
bero, in virtù dell’amore, movimento dell’uomo verso Dio o la
sua familiarità con Lui. Ecco perché - continua san Massimo -
l’uomo è stato definito dal Nazianzeno «nudo nella semplicità»:
perché si trovava al di sopra di ogni ricerca naturale, perché vi
veva senza il bisogno delle arti «essendo libero da ogni neces
sità», e perché nessun indumento e nessun ostacolo gli preclude
va la realtà, in quanto l’uomo era estraneo al passivo congiungi
mento dei sensi con le realtà sensibili. In tutto ciò l’uomo venne
a soccombere «posteriormente, per aver peccato per difetto e
per aver arbitrariamente preferito all’essere completo l’essere
completamente vacuo, facendosi così inferiore a quelle realtà
che, all’origine, era stato plasmato a sovrastare»185.
In questo testo sono definite con chiarezza le funzioni cen
trali della vita a noi note, e cioè quelle concernenti la ricerca di
piaceri, l’indagine del sapere e le attività professionali, in quanto
fenomeni posteriori alla caduta, e cioè in quanto contenuto delle
tuniche di pelle. Le funzioni in discussione e quelle che da esse
derivano sono risultato del capovolgimento che il peccato origi
nale apportò all’ordine e all’armonia dell’universo.
Più precisamente, il sapere e il lavoro costituiscono in qual
che modo un ispessimento o, forse meglio, una manifestazione,
rivestita di materialità e funzionalità, delle qualità primitive pos
sedute dall’uomo in quanto immagine di Dio, e cioè della sapien
za e del dominio. Queste ultime proprietà, se adeguatamente uti
lizzate, dovevano condurre l’uomo, e insieme con lui il mondo
intero, a Dio. Ma con il peccato, esse si imprigionarono nel cir
cuito biologico corruttibile, si materializzarono e si trasformaro
no in tuniche di pelle.
Il medesimo vale, tanto per fare ancora qualche esempio,
anche nei confronti della profonda e naturale comunione inter
personale esistente anteriormente alla caduta (abbiamo infatti vi
sto che la dimensione fondamentale della condizione di immagi
ne consiste nel fatto che l’uomo costituisce nel contempo perso
na e natura): decadendo l’uomo in individuo, questa comunione
si è corrosa e sgretolata e, per sopravvivere socialmente, gli uo
92
mini necessitano di un’organizzazione esteriore, e cioè della
pòlis, la «città», e, per estensione, della vita politica 186 (39).
93
Ma non basta. L’intervento di Dio è ancor più positivo, e fa
sì che le qualità della condizione di immagine che, senza alterarsi
sostanzialmente, si sono trasformate in tuniche di pelle, possano
servire all’uomo non solo per la sua sopravvivenza, ma anche co
me mezzi per intraprendere di nuovo u suo cammino verso Dio:
il desiderio e la ricerca di piacere, infatti, non trovando appaga
mento in questo mondo, inducono l’uomo saggio a rivolgersi di
nuovo al Bene inalterabile. Scrive san Gregorio di Nissa: «L’arte
fice Lògos, la Sapienza che supera ogni intelligenza, ha predispo
sto anche questo meglio di qualsiasi altra cosa: noi siamo costret
ti ad ingannarci entro le realtà visibili, che variamente mutano e
fanno mutare, che si elevano e decadono ed errano e scivolano
via e sfuggono... affinché, resici conto della loro instabilità e del
loro disordine, ci rivolgessimo verso le realtà future» 19°. La stessa
peccaminosa ricerca di piacere - che è l’aspetto negativo della
divina possibilità di piacere, vale a dire la naturale elevazione
della nostra mente verso Dio 191 - continua a conservare il suo
principio positivo primigenio, e spetta all’uomo dirigersi di nuo
vo verso il Bene: farne cioè un uso positivo, non negativo.
Lo stesso si può dire e in maggior misura nei confronti del
sapere, del lavoro, della scienza, delle belle arti, della politica.
Queste attività possono e, quindi, vengono chiamate a divenire i
mezzi nuovi, tramite cui l’uomo potrà esercitare il suo dominio
sul mondo, e trasmettergli la grazia di Dio in cui egli stesso vive:
così, l’uomo potrà modificare le sue condizioni di vita e, ponendo
il Cristo come mèta finale di se stesso, delle sue condizioni di vita
e del mondo intero, potrà non solo sanare le fratture che a tutti i
livelli produsse il peccato, ma addirittura attuare nella storia
l’unità anche delle divisioni preesistenti alla caduta: unità che, a
favore del creato, Cristo ha realizzato in sé. Al di là quindi di una
semplice sopravvivenza, questo è il grande compito cui sono
chiamate a servire la conoscenza umana, il lavoro, l’arte, la politi
ca e tutte le altre attività dell’esistenza, successive alla caduta.
94
Conseguenze nei rapporti tra Chiesa
e mondo
i.
L a C h ie s a g iu d ic a i l m o n d o
95
ha il dovere di proclamare con fermezza questa verità, perché è
veramente giunta l’ultima ora.
Ma affinché la teologia contemporanea possa assolvere a
questo suo dovere, occorre che essa stessa ritrovi preventivamen
te le sue genuinità evangelica e patristica. E impossibile che qua
lunque persona seria possa ascoltare oggi l’insegnamento teolo
gico, se il peccato è prospettato come disobbedienza a comanda-
menti esterni, o, ancor peggio, come disobbedienza a un instau
rato status politico o sociale.
Il travisamento dell’insegnamento biblico-patristico da par
te della teologia cristiana, inizialmente quella occidentale, ha
avuto proporzioni vaste e ha condotto a conseguenze dolorose.
La teoria secondo cui la natura primigenia di Adamo corrispon
deva con la sua costituzione biologica, alla quale fu successiva
mente aggiunta da parte di Dio la grazia a mo’ di dono sopran
naturale, condusse taluni seri studiosi della natura genuina
dell’uomo - anche se in un panorama di pensiero più generico e
sotto influenze di vario tipo - alla negazione di D io192.
A conseguenze analoghe condusse il postulato di sant’Ago
stino secondo cui «si homo non periisset, Filius hominis non ve
nisset (se l’uomo non fosse decaduto, il Figlio dell’uomo non sa
rebbe venuto)»193. Questa affermazione ha imprigionato Cristo
e, quindi, la vita cristiana (le realtà della Chiesa, dei sacramenti,
della fede ecc.) entro i confini stabiliti dal peccato. Secondo que
sta prospettiva, Cristo non è il Demiurgo e il Ricapitolatore di
tutto o, come dice la Scrittura, l’Alfa e l’Omega, ma semplice-
mente il Redentore dal peccato; la vita cristiana non è concepita
come realizzazione della destinazione primigenia di Adamo, co
me trasformazione dinamica dell’uomo e del mondo e come
unione con Dio, ma semplicemente, come un’astensione dal pec
cato; e i sacramenti non appaiono come la realizzazione hic et
nunc del Regno di Dio e la manifestazione di esso, ma semplice-
mente doveri religiosi, e mezzi per ottenere la grazia. Lo stesso
dicasi delle opere di bene e della fede. In questo modo i confini
si restringono in modo asfissiante. La Chiesa dimentica il suo le
game ontologico con il mondo, e il mondo, vedendo che la sua
autenticità non si realizza nella Chiesa, parla di alienazione e
rompe ogni tipo di rapporto con essa.
La teologia dell’icona e delle tuniche di pelle supera tutte
96
queste difficoltà e altre consimili, e riesce ad aiutare realmente il
mondo. Considerando l’uomo e il mondo come immagine, la
teologia ortodossa onora l’immagine e il materiale che la rappre
senta. Quando il materiale si sforza di raggiungere una sua auto
nomia, quando vuole rappresentare non l’Archetipo, ma se stes
so, la teologia ortodossa non esita a dichiarare che con questo
suo agire esso si autodistrugge. La teologia condanna radical
mente l’autonomia, ma continua ad amare il materiale ferito e
corroso, poiché Dio stesso lo ammise e gli elargì con il Suo amo
re le nuove possibilità e la nuova funzionalità delle tuniche di
pelle. La teologia ortodossa apprezza le tuniche di pelle - il ma
trimonio, la scienza, la politica, l’arte, ecc. -, senza tuttavia esita
re ad avvertire gli uomini che l’autonomia di queste cela il finale
consolidamento del peccato e la perdizione dell’uomo. Con que
sta simultanea concfanna/valorizzazione del mondo, la teologia
ortodossa resta saldamente ancorata all’insegnamento biblico-
patristico concernente il duplice carattere delle tuniche di pelle.
Il contenuto di questa nostra tradizione assume per il mon
do d’oggi un significato particolare. Da una parte mostra che,
quando l’uomo ripone le sue speranze esclusivamente nelle tuni
che di pelle, in un loro qualsivoglia aspetto, egli compie non solo
qualcosa di inutile e di utopistico, ma addirittura un tragico er
rore (42): perché, una volta resesi autonome, le tuniche di pelle
funzionano alla rovescia. Non è perciò casuale, ma del tutto ov
vio e inevitabile, che in questo rovesciamento della realtà, le ri
voluzioni avviate col sincero intento di liberare l’uomo, lo con
ducono, una volta riuscite, alla schiavitù; che l’incremento di
97
produzione conduce all’inflazione; che la conservazione della pa
ce esige l’aumento degli armamenti, vale a dire la preparazione
alla guerra. In base a uno studio approfondito di tutti questi fe
nomeni, illustri sociologi sostengono che il vero problema
dell’umanità di oggi è un problema morale, grandi economisti
asseriscono che trattasi di un problema di autocontrollo o conte
nimento della spesa, mentre grandi filosofi affermano che trattasi
di un problema ontologico. Hanno tutti ragione: ma tutte queste
spiegazioni non sono ancora sufficienti. Per la Sacra Scrittura e i
Padri ortodossi, il nocciolo della questione sta nella fede in Dio:
e cioè, se l’uomo vuole riporre oppure no la sua finalità in Dio.
Se la finalità dell’uomo è collocata nell’ambito del mondo
creato, sia ad un livello più basso (benessere), sia più elevato (or
dine morale); e se ancora l’essere stesso dell’uomo è concepito
come qualcosa di immanente al mondo: allora ci si immette in
una via senza uscita, dal momento che il movimento o sviluppo
verso l’increato s’interrompe e l’uomo, teomorfo per natura, re
sta mutilato, rimanendo circoscritto entro i confini del mondo.
In questo caso, le forze che muovono l’uomo e il mondo si diso
rientano, si scontrano a vicenda, si autoannientano. Proprio per
questo motivo, e cioè per amore verso l’uomo, nel condannare
l’autonomia, la teologia ortodossa sente il dovere di assumere un
atteggiamento radicale e implacabile.
II.
A t t e g g i a m e n t o p o s it iv o d e l l a C h ie s a v e r s o i l m o n d o
98
noi oggi, egli vede agire e svilupparsi positivamente le facoltà di
cui Dio ha dotato la natura umana: «Ora, caro amico, ti esporrò
brevemente come è gestita la costituzione del mondo e come cia
scuno di noi, per via della sapienza di Dio a noi connaturata, di
venta inventore di un’arte e introduce nella vita le sue invenzio
ni. Un primo uomo inventò la coltivazione della terra, un secon
do la pastorizia, un terzo l’allevamento degli animali, un altro an
cora la musica, un altro l’arte manuale; questi (Noè), invece, in
ventò la viticoltura, per via dell’ammaestramento già insito in lui
per natura» 195.
In un’altra sua omelia, egli considera la capacità naturale
dell’uomo a sottomettere e sfruttare le forze della natura irrazio
nale come dono e benedizione di Dio. H cavallo, egli dice, è più
veloce dell’uomo; ma per quanto possa essere veloce, esso non
può percorrere oltre i duecento stadi al giorno. L’uomo, però,
cambiando cavalli, può percorrere oltre duemila stadi: «Quindi»,
egli conclude, «ciò che è concesso al cavallo dalla sua velocità,
all’uomo concedono abbondantemente la ragione e l’arte... Nes
suno degli esseri irrazionali», egli soggiunge, «è capace di sotto
mettere un altro animale a proprio beneficio: l’uomo, invece, può
farlo nei confronti di tutti gli animali e, tramite il versatile inge
gno elargitogli da Dio, può sottoporre ogni animale alle proprie
esigenze»1%. Non v’è dubbio, a questo punto, che noi siamo in
perfetta armonia con questo insegnamento dei Padri se diciamo
che è dono di Dio l’arte con cui l’uomo sottopone oggi «alle pro
prie esigenze» la forza del vapore e dell’elettricità e dell’atomo.
Di fronte alle acquisizioni della scienza contemporanea, ad
esempio dell’energia nucleare, si rimane spesso spaventati, così
come rimasero spaventati molti cristiani al tempo di Galileo per
ché vedevano crollare una ben precisa concezione del mondo su
cui avevano fondato ogni loro certezza. Ma i santi, che non ri
pongono le loro speranze su nessuna precisa concezione del
mondo e su nessun aspetto particolare del progresso, non si spa
ventano. Piuttosto, essi gioiscono e lodano il Signore per le arti
nuove, tramite cui gli uomini, nelle necessità che di volta in volta
si presentano nel corso dei tempi, gestiscono la costituzione del
loro mondo197.
San Giovanni Crisostomo, commentando il libro della Ge
nesi, scrive inoltre che Dio «manifestò la sua immensa filantro
99
pia» in quanto «depose (nell’uomo successivamente alla caduta)
molte altre e multiformi id ee»198. Si tratta delle nuove funzioni
delle quali Dio ha dotato l’uomo caduto nel peccato, dell’aspetto
positivo delle tuniche di pelle: «Bada» (vale a dire: apri bene gli
occhi, guarda), insiste altrove, «che mediante le arti Dio ha sot
tomesso al tuo piacere ogni cosa esistente negli abissi dei mari e
nei confini del firmamento» (noi diremmo oggi: ogni potenza
terrestre e marina e sottomarina e cosmica). Tutto ciò costituisce
un buon motivo per lodare il Creatore: «Continuiamo quindi»,
egli aggiunge giustificando la sua insistenza, «a confermare am
mirazione per la sua potestà, meraviglia per la sua sapienza e fi
lantropia e provvidenza per il genere umano»199.
100
viticoltura e il prodotto che ne deriva sono cose buone e che il
male che dal loro uso deriva non dipende da esso ma dal libero
arbitrio dell’uomo, è categorica. Questa medesima e basilare po
sizione dei Padri è formulata, con pari categoricità, anche da san
Giovanni Damasceno: «Non disprezzare la materia, perché non
è da disprezzare. Nulla vi è di disprezzabile in ciò che Dio ha crea
to: sono i Manichei a sostenere il contrario. L’unica cosa disprez
zabile, che però non è stata causata da Dio ma che abbiamo in
ventato noi dopo aver deliberatamente deviato dalla condizione
conforme alla natura umana, è il peccato»201.
101
che concernenti le «sensazioni spirituali» e l’«inabitazione di
Cristo», trascurate dalla teologia contemporanea, costituiscono
l’asse intorno al quale ruota l’insegnamento patristico. A partire
da Origene, dai Padri cappadoci e da Macario d’Egitto, questo
insegnamento si sviluppa attraverso Massimo il Confessore, Gio
vanni Damasceno, Simeone il Nuovo Teologo, Gregorio Palamas
e Nicola Cabasilas, per arrivare fino a Nicodemo l’Agiorita. Se
condo questo insegnamento, Cristo, inabitando nell’uomo, colle
ga con le sensazioni e funzioni del suo corpo le molteplici sensa
zioni e funzioni psicosomatiche dell’uomo, di modo che queste
ultime si trasformano in sensazioni e funzioni del corpo risusci
tato di Cristo, vale a dire in sensazioni spirituali e immortali203.
Perciò san Gregorio di Nissa, che si occupa diffusamente del
l’abito delle tuniche di pelle successivo alla caduta, conclude di
cendo che, nella nuova realtà che crea Cristo, l’abito nuovo
dell’uomo coincide, in ultima analisi, con Cristo stesso: «Egli in
fatti dice che l’abito è Cristo»204.
Riprendendo ora il nostro discorso, possiamo riassumerlo e
ricapitolarlo come segue. L’insegnamento patristico relativo
all’immagine e alle tuniche di pelle può trasformarsi in tramite
dell’ortodossia con il mondo contemporaneo, perché permette, o
meglio, obbliga il pensiero teologico ad assumere un atteggia
mento positivo nei confronti dell’uomo e della civiltà. Le acqui
sizioni della scienza contemporanea, le scoperte della psicologia,
le conquiste della tecnologia e le ricerche della filosofia non sono
cose cattive né semplicemente tollerabili, bensì positivamente
buone e stimabili. La vanagloria però della peccaminosa autono
mia altera quasi incessantemente la loro indole, le svende alla
corruzione e al diavolo in cambio di un piatto di lenticchie. Sic
ché le opere dell’uomo, anziché servire alla realizzazione della
propria finalità, servono il diavolo nella sua opera di distruzione
dell’uomo e del mondo.
A questo punto appare in piena luce il significato fonda-
mentale che la penitenza e l’ascesi hanno non solo per l’uomo,
ma anche per la storia e la civiltà. Queste attività spirituali costi
tuiscono la lotta tramite cui i fedeli mortificano dentro di sé e
dentro le loro opere la peccaminosa autonomia, unico male ed
elemento da rigettare - «tutto ciò che è stato creato da Dio è
buono, e nulla è da scartarsi, quando si prende con rendimento
102
di grazie» (1 Tm 4, 4) -, restituiscono l’uomo e le sue opere alla
bellezza primigenia, inclinano lo specchio verso il sole reale, e
così le conquiste dell’uomo s’illuminano e si vivificano.
Tramite questo metodo liturgico, ascetico ed eucaristico, i
Padri della Chiesa riuscirono a salvare le grandi conquiste sociali
dei loro tempi. Con questo metodo è stato battezzato e cristia
nizzato il pensiero greco classico, ed è stato trasformato in
espressione della trascendente e irraggiungibile verità divina. Gli
impareggiabili termini della filosofia antica si trasformarono sen
za alterarsi - i termini infatti restarono identici: lògos, immagine,
archetipo, triade, ecc. - e costituirono l’abito creato della verità
increata. Il che significa che si resero incorruttibili. E a tal punto,
che la nostra Chiesa considera i dogmi incorruttibili alla stessa
stregua delle reliquie dei santi.
III.
L ’ im p e g n o d e l l a t e o l o g i a c o n t e m p o r a n e a
103
che c’è di bene nelle conquiste della ricerca scientifica e dello
sviluppo tecnologico; collocarlo in seno alla verità universale
(perché lì per sua natura gli spetta di essere collocato: «Ogni ve
rità, detta da qualsiasi persona, appartiene a noi cristiani 205), e,
«rendendo ogni intelligenza soggetta all’obbedienza al Cristo» (2
Cor 10, 5), inondarlo della gloria dell’immagine, trasformarlo e
redimerlo: «E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno
specchio la gloria del Signore, siamo trasformati in quella mede
sima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito
del Signore» (2 Cor 3, 18).
Sarebbe davvero utile se la teologia ortodossa contempora
nea riuscisse a individuare il metodo più adatto per appropriarsi
di tutto ciò che nella filosofia contemporanea (della filosofia del
la materia, delle idee, della vita, della sostanza, dell’esistenza,
dell’ente, ecc.) appare in armonia con la teologia del Dio-uomo;
se amalgamasse all’esperienza della vita sacramentale e ascetica
ogni valida acquisizione della psicologia; se sfruttasse ogni ele
mento utile delle varie dottrine sociologiche per la formulazione
di un’ecclesiologia antropologica ortodossa, ecc.206.
È chiaro, però, che una simile indagine supera gli intenti di
questo studio. Qui ci eravamo proposti da una parte di mostrare
che una simile ricerca è possibile e opportuno che si faccia, e,
dall’altra, di determinare l’unico fondamento su cui questa ricer
ca si deve basare: «Infatti nessuno può porre un fondamento di
verso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo (1 Cor 3,11).
104
Note
105
vinizzazione», ecc., offrono dimensioni complementari ed esauriscono l’inse
gnamento ortodosso.
7 Gregorio di Nissa, L ’uomo, c. 11 La natura umana è inconoscibile, PG 44,
153D-156B, specialm. 156AB: «Poiché, dunque, tra le proprietà da considerarsi
nella natura divina è l’inconoscibilità dell’essenza, è necessario che anche in ciò
l’immagine abbia somiglianza con l’Archetipo. Se infatti la natura dell’immagine
si potesse comprendere e il prototipo fosse al di sopra della comprensione, que
sta contraddizione proverebbe lo scadimento dell’immagine. Ma poiché ci sfugge
la conoscenza della natura della nostra intelligenza che è ad immagine del Crea
tore, ciò dimostra in maniera perfetta la somiglianza con Colui che la domina,
esprimendo attraverso il mistero che è in lui la natura inconoscibile» (trad. B.
Salmona, pp. 52-54]. Si veda anche R. Leys, L ’image de Dieu chez Grégoire de
Nysse. Esquisse d’une doctrine, Bruxelles-Paris 1951, pp. 77-78.
8 Cf. H.C. Graef, L ’image de Dieu et la structure de l’àme chez les Pères
grecs, in «L a Vie Spirituelle» (Supplément), 22 (1952), pp. 331-339; P. Came-
lot, La théologie de l’image de Dieu, in «Revue des sciences philosophiques et
théologiques», 40 (1956), pp. 443-471; G.W.H. Lampe, A Patristic Greek
Lexicon, Oxford 1968, coll. 410-416, specialm. coll. 413-414. Talvolta, i Padri
usano alcune espressioni categoriche, di cui l’una esclude l’altra. Ciò si verifica
quando essi si trovano di fronte a una determinata eresia e la vogliono com
battere. Si veda, ad esempio, Origene, Omelie sulla Genesi, PG 12, 96: «la
condizione di “immagine” non appartiene al corpo ma all’anima razionale».
Qui Origene combatte coloro che limitavano la somiglianza «a immagine» so
lo al corpo, «fra cui Melitone, il quale sostenne in molti suoi libri che Dio è
corporeo» (PG 12, 95). Si veda anche più sotto la nota 18.
9 O. Cullmann, Die Christologie des Neuen Testaments, Tubingen 19582,
p. 152.
10 Cf. I.D. Karavidopoulos, Commento ai Colossesi dell’apostolo Paolo, in
«Annali scientifici della Facoltà di Teologia dell’Università di Salonicco», 13
(1969), pp. 383-492 [in greco], dove si trova anche recente bibliografia relati
vamente al testo. Per gli altri testi basilari concernenti il nostro argomento, co
me ad es. Rm 8, 29; 2 Cor 4, 4; Eh 1,3; 1 Gv 3, 2, cf. G. Kittei, Theologisches
Wórterbuch zum Neuen Testament 2, pp. 393-396.
11 A. Orbe, Antropologia di Sant’Ireneo, Madrid 1969; E. Peterson, L ’hom-
me image de Dieu chez saint Irénée, in «L a Vie Spirituelle», 100 (1959), pp.
584-594; A. Maver, Das Bild Gottes im Menschen nach Clemens von Alexan-
drien, Romae 1942; C. Mondesert, Vocabulaire de Clément d’Alexandrie: le mot
λογικός, in «Recherches de Science religieuse», 42 (1954), pp. 258-265; H.
Crouzel, Théologie de l’image de Dieu chez Origene, Paris 1956. P. Ch. Dimitro-
poulos, L ’antropologia di Sant’Atanasio, Atene 1954 [in greco]; R. Bernard,
L ’image de Dieu d’après saint Athanase, Paris 1952; J. Roldanus, Le Christ et
l’homme dans la théologie d’Athanase d’Alexandrie. Étude de la conjonction de
sa conception de l’homme avec sa christologie, Leiden 1968; B.J. Schoemann,
Eikón in den Schriften des hi. Athanasius, in «Scholastica», 18 (1943), pp. 31-
53.175-200; I. Moutsoulas, L ’incarnazione del Logos e la divinizzazione dell’uo
mo secondo Gregorio di Nissa, Atene 1965, pp. 63-76 [in greco], J. Daniélou,
Platonisme et théologie mystique. Doctrine spirituelle de saint Grégoire de Nysse,
106
Nouvelle édition, Paris 1954, pp. 48-60; R. Gillet, L ’homme divinisateur cosmi-
que dans la pensée de saint Grégoire de Nysse, in «Studia Patristica» 6, Berlin
1962, pp. 62-83; B.G. Ladner, The Philosophical Antropologo o f Saint Gregory
of Nyssa, in «Dumbarton Oaks Papers», 12 (1958), pp. 59-94; R. Leys, L'image
de Dieu chez Saint Grégoire de Nysse. Esquisse d’une doctrine, Bruxelles-Paris
1951; A. Lieske, Die Theologie der Christusmystik Gregors von Nyssa, in «Zeit-
schrift fiir Katholische Theologie», 70 (1948), pp. 49-93.129-168.315-340; H.
Merki,' Ομοίωσις Θεφ, Von der platonischen Angleichung an Gott zur Gottàhnli-
chkeit bei Gregor von Nyssa, Freiburg i. B 1952; T.J. Muckle, The Doctrine of
St. Gregory o f Nyssa on Man as thè lmage of God, in «Medieval Studies», 7
(1945), pp. 55-84; J.W. Burkhardt, The lmage ofG od in Man according to Cyril
o f Alexandria, Woodstock, Maryland 1957; R.W. Jenkinson, The lmage and thè
Likeness ofG od in Man in thè Eighteen Lectures on thè Credo o f Cyril ofjerusa-
lem, in «Ephemerides Theologicae Lovanienses», 40 (1964), pp. 48-71; E.
Montmasson, L ’homme créé à l’image de Dieu d’après Théodoret de Cyr et Pro-
cope de Gaza, in «Echos d’Orient», 14 (1991), pp. 334-339; 15 (1912), pp. 154-
162; L. Thunberg, Microcosm and Mediator. The Theological Anthropology of
Maximus thè Confessor, Lund 1965; J.J. Meany, The lmage ofG od in Man ac
cording to thè Doctrine o f saint John Damascene, Manila 1954.
Si vedano inoltre le seguenti trattazioni più generali, ma parimenti impor
tanti: D. Caims, The lmage of God in Man, London 1953; P. Camelot, La théo-
logie de l'image de Dieu, in «Revue des sciences philosophiques et théologi-
ques», 40 (1956), pp. 443-471; C.H. Graef, L'image de Dieu et la structure de
l’àme chez les Pères grecs, in «L a Vie Spirituelle» (Supplément), 22 (1952), pp.
331-339; J. Kirchmeyer, Grecque (Église), in Dictionnaire de spiritualité, 6
(1967), pp. 808-872, specialm. 812-822; B.G. Ladner, Eikon, in «Reallexikon
fiir Antike und Christentum», 4 (1954), pp. 777-789; VI. Losskij, À l’image et
à la ressemblance de Dieu, Paris 1967; M. Lot-Borodine, La déification de
l’homme, Paris 1970; A. Slomkowski, L ’état primitif de l’homme dans la tradi-
tion de l'Église avant saint Augustin, Strasbourg-Paris 1928; B. Zenkowsky,
Das Bild von Menschen in der Ostkirche. Grundlagen der Orthodoxen Anthro-
pologie, Stuttgart 1951; I. Romanidis, Il peccato originale, Atene 1957 [in gre
co]; A. Michel, lmage, in Dictionnaire de Théologie Catholique, Tables généra-
les, fase. 9 (1960), pp. 2181-2186 dove trovasi esauriente bibliografia.
12 Origene, Contro Celso, 6, 63, PG 11,1393.
13 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Lettera ai Colossesi, Om. 8, 2, PG
62, 353; cf. S. Atanasio, Contro i Greci, 2, PG 25, 8: l’uomo «contempla...
l’immagine del Padre, il Verbo di Dio, a immagine del quale è stato creato».
14 Cf. P. Bratsiotis, Gen. 1, 26 nella teologia ortodossa, in «Orthodoxia»
[Atene], 27 (1952), pp. 359-375, specialm. 361-364 [in greco].
15 Cf. ad esempio P.N. Trempelas, Dogmatica della Chiesa cattolica orto
dossa, voi. I, Atene 1959, pp. 487-494, specialm. p. 487 [in greco].
16 S. Atanasio, L ’incarnazione del Verbo, 3, PG 25, 101B; si veda anche
ibid., 5, PG 25, 104CD: «D io non solo ci ha creati dal nulla, ma ci ha anche
donato di vivere secondo Dio per mezzo della grazia del Verbo» [trad. E. Belli
ni], p. 45. Si veda anche il Contro i Greci di Atanasio, 2, PG 25, 5C-8A. Cf. R.
Bernard, L ’image de Dieu d’après saint Athanase, Paris 1952, pp. 21-56.91-126.
107
17 Clemente Alessandrino, Pedagogo, 2, 10, P G 8 ,497B; cf. Gn 1,27-31.
18 Gregorio di Nissa, L ’uomo, 4, PG 44, 136BC: «Infatti l’anima mostra
dal di dentro ciò che è regale e sublime, di molto separata dalla privata po
vertà, e, poiché è senza padrone e in suo arbitrio, si comporta con padronama
di sé. E di chi altro è ciò se non del re? E oltre a ciò, l’essere immagine della
natura che governa tutte le cose, niente altro significa che all’atto della crea
zione sia stata formata come natura regale» [trad. B. Salmona, p. 36]; Id., La
verginità, 12, PG 46, 369BC; Cf. R. Leys, L ’image de Dieu chez Saint Grégoire
de Nysse. Esquisse d’une doctrine, Bruxelles-Paris 1951, pp. 71-72; cf. Giovan
ni Crisostomo, A Stagirio 1, 2, P G 47, 427: «Egli manifestò sulla terra quel che
esisteva nei cieli. Infatti, le parole: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, se
condo la nostra somiglianza” null’altro significano che venivano sottomessi
all’uomo tutti gli enti della terra». Per l’uso dell’espressione «null’altro», si ve
da sopra, nota 8. Cf. anche Th. Zissis, Uomo e mondo nell’economia di Dio se
condo Giovanni Crisostomo [in greco], Salonicco 1971, pp. 76-78. Per l’attri
buzione più generica dell’espressione «a immagine» alla sovranità dell’uomo
da parte della scuola di Antiochia (per esempio da parte di Teodoreto di Tar
so, Commento alla Genesi 1, 26, P G 33, 1564-1565), cf. K. Kornitseskos,
L ’umanesimo secondo Giovanni Crisostomo [in greco], Salonicco 1971, p. 49.
19 Gregorio di Nissa, La verginità, 12, PG 46, 369C [trad. S. Lilla], Cf. R.
Leys, op. cit., pp. 72-75 e J. Gaith, La conception de la liberté chez Grégoire de
Nysse, Paris 1953, pp. 40-46. Vedi anche Massimo il Confessore, Conversazio
ne con Pirro, PG 91, 304C: «Se l’uomo è stato fatto a immagine della beata e
soprasostanziale divinità, e se, per natura, la natura divina è dotata di libero
arbitrio, allora anche l’uomo, in quanto effettivamente immagine di essa, sarà
dotato di libero arbitrio». Cf. anche Giovanni Damasceno, La fede ortodossa 2,
12, PG 94,920.
20 Teodoreto di Ciro, Commento alla Genesi, Questione 20, P G 8 0 ,109B,
dove trovasi incluso questo testo di Teodoro di Mopsuestia.
21 Anastasio Sinaita (?), L ’espressione «a immagine», PG 89, 1148D-
1149A; cf. anche PG 89, 1161C; Gregorio Palamas (?), Prosopopea, PG 150,
1361BC: «In base all’insegnamento della Scrittura concernente la creazione
dell’uomo, credo di poter affermare che “uomo” non viene detto in riferimen
to all’anima né in riferimento al corpo, ma, nel contempo, al corpo e all’anima·,
e proprio in quanto tale si dice che l’uomo è stato creato a immagine di Dio».
Sulla paternità di Prosopopea, che viene attribuita a Michele Acominato, cf. J.
Meyendorff, Introduction à l’étude de Grégoire Palamas, Paris 1959, p. 335 no
ta 17.
22 E la tesi proposta e difesa da VI. Losskij, Théologie mystique de l’Église
d’Orient, Paris 1944, pp. 109-129: qui si possono leggere anche alcuni signifi
cativi testi patristici.
23 Cf. per es. J. Mouroux, Sense chrétien de l’homme, Paris 1947; Igor Ca
ruso, Psicanalisi e sintesi dell’esistenza (Relazione tra analisi psicologica e valori
della vita), trad. A. Karandonis, Atene 1953; P. Teilhard de Chardin, Le phé-
nomène humain, Paris 1955; M. Barthélemy-Madaule, La personne et le drame
humain chez Teilhard de Chardin, Paris 1967; J.E . Jarque, Foi en l’homme, Pa
ris 1970; Olivier Clément, Questions sur l’homme, Paris 1972; Pierre-P. Gras-
108
sé, «Tot, ce petit Dieu! Essai sur l’histoire naturelle de l’homme», Paris 1971; B.
Hàring Perspective chrétienne pour une médecine humaine, Paris 1975; Cl. Tre-
smontant, La mystique chrétienne et Γavenir de l’homme, Paris 1977.
24 Atanasio il Grande, Contro gli Ariani, 2,28, PG 2 6 ,312BC.
25 Gregorio Nazianzeno, Omelia 45, 7, PG 36, 632AB; Gregorio di Nissa,
L ’uomo, 4, PG 44,136; Giovanni Crisostomo, A Stagirio 1,2, PG 47,427.
26 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi, Omelia 5, 4, PG 56, 475:
«Cosa significa l’espressione “a immagine” ?... Dio è giusto: se noi diventiamo
giusti e benevoli e misericordiosi, siamo immagine di Dio».
27 Nicola Cabasilas, La vita in Cristo, 2, P G 150, 560D-561A: « ... sin
dall’inizio l’amore dell’uomo è stato predisposto a tendere verso di lui (Cri
sto), come a sua regola e modello, e, direi, a mo’ di deposito profondo e spa
zioso, da poter contenere D io... La sete dell’anima necessita di un’acqua infi
nita: come può soddisfarla questo mondo finito?».
28 Cf. Gregorio di Nissa, L ’uomo, 16, PG 44, 177D-180A. Per la storia
del termine «microcosmo», cf. R. Allers, Microcosmos from Anaximandros to
Paracelsus, in «Traditio», 2 (1944), pp. 319-407.
29 L ’espressione è di Basilio: cf. Gregorio Nazianzeno, Orazione funebre
per la morte del grande Basilio, vescovo di Cesarea in Cappadocia, PG 3 6 ,560A:
«N on ammetto di adorare una creatura, pur essendo io creatura di Dio e chia
mato a diventare Dio».
30 Massimo il Confessore, Mistagogia, 4, PG 91, 672B: « ... l’uomo è Chie
sa mistica in quanto accende nel corpo, come se fosse un tempio, la facoltà at
tiva dell’anima, mediante un comportamento conforme ai precetti etici». Cf.
anche ibid., 6, PG 91, 684A: «Parimenti, per mezzo di una visione anagogica,
diceva che la Chiesa è un uomo spirituale, e che l’uomo è una Chiesa mistica».
31 Simeone il Nuovo Teologo, Discorso etico 4, in Traités théologiques et
éthiques, ed. J. Darrouzès (Sources chrétiennes 129), Paris 1967, p. 64.
32 Gregorio di Nissa, L ’uomo, 16, PG 44,180A.
33 Per la storia più antica di questo problema, cf. P. Des Places, Sygge-
neia. La parenté de l’homme à Dieu d’Homère à la patristique, Paris 1964.
34 Giovanni Damasceno, La fede ortodossa 1,13, PG 94, 853C.
35 G. Florovskij, Tvar i tvarnost [Creazione e creatura], in «Pravoslavnaja
Mysl’» (rivista dell’Istituto Teologico Ortodosso di San Sergio) (1928), pp.
176-212, specialm. pp. 179-181. Cf. anche Atanasio il Grande, Contro gli aria
ni, Omelia 1,20, P G 26,53; ibid., 1,21, PG 26,56; Omelia 3, 60, PG 26,448.
Macario di Egitto, Omelie spirituali, 49,4, PG 34,816.
36 Ibid., 148BC: «Così convenientemente la natura per gradi,... porta
avanti il cammino dall’inferiore fino al perfetto» (trad. B. Salmona); cf. il testo
intero in 145B-148C. Vedi P. Christou, Il pleroma umano secondo l’insegna
mento di san Gregorio di Nissa, in «Klironomia», 4 (1972), pp. 41-42 [in gre
co]; Atanasio il Grande, Contro gli ariani, Omelia 2,19, PG 2 6 ,188B; Nicode-
mo Agiorita, Le feste (Eortodromion), ed. Venezia 1836, p ...: «Come Dio ha
prescelto Abraamo tra la gente dei Caldei,... così pure Egli ha adottato Ada
mo tra tutto il creato».
37 Giovanni Damasceno, Contro i calunniatori delle sacre immagini, Di
scorso 3,26, PG 9 4 ,1348AB.
109
38 Gregorio Palamas, Suggrammata, voi. 2, ed. P. Christou, Salonicco
1969, pp. 255.356-357.440.
39 Nicodemo Agiorita, Apologia del brano contestato, contenuto nel libro
«La lotta spirituale», intorno alla Nostra Signora Madre di Dio, in Manuale di
consigli ovvero Sulla tutela dei cinque sensi, ed. S.N. Schoinas, Volos 1958, p.
207 : fl testo in questione viene riproposto nel presente libro.
40 Nicola Cabasilas, La vita in Cristo, 3, P G 150,572B.
41 Gregorio di Nissa, Catechesi, 5, PG 4 5 ,21CD [trad. M. Naldini],
42 Nicola Cabasilas, La vita in Cristo, 6, PG 150, 680A.
43 Id., PG 150,681AB.
44 Id., P G 150,681A.
45 Giovanni Damasceno, Discorso sul fico maledetto e la parabola della vi
gna, 2, PG 9 6 ,580B.
46 Nicola Cabasilas, La vita in Cristo, 2, PG 150,560D.
47 Gregorio Palamas, Omelia 7 Sull’Epifania, in Gregorio Palamas, Arcive
scovo di Salonicco. Ventiquattro omelie, ed. S. Ikonomos, Atene 1961, p. 259.
48 Massimo il Confessore, A Talassio, intomo a varie difficoltà concernenti
la Sacra Scrittura, 60, PG 9 0 ,621A.
49 Nicola Cabasilas, La Madre di Dio. Tre omelie mariane. Testo, introdu
zione, traduzione in neogreco e commento a cura di P. Nellas («Sulle Fonti».
Scelta di testi patristici, 2), Atene 19742, pp. 150-152. Cf. anche Nicodemo
Agiorita, Apologia..., dove si possono leggere anche molte altre testimonianze
patristiche: il testo viene riproposto in questo stesso libro.
50 Cf. Massimo il Confessore, Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e
Gregorio il Teologo, P G 9 1 ,1097C: «Affinché l’uomo non fosse allontanato da
Dio, occorreva che venisse introdotto... un modo... tanto più meraviglioso e di
vino del precedente, quanto il soprannaturale è superiore al naturale».
51 Massimo il Confessore, op. cit., 1097D. Cf. anche ihid., 1092BC.
1280ABC.1308C-1309A; Id., A Talassio, 22, PG 90, 317B-320C; 70, PG 90,
620C-621C.
E nota la tesi, che per primo ha formulato Ruperto di Deutz (sec. XII) e
che successivamente ha sviluppato Duns Scoto (sec. XIII), secondo la quale il
Lògos sarebbe divenuto uomo a prescindere dalla caduta di Adamo. Sono al
tresì note le lunghe dispute che questa tesi sollevò in Occidente (si veda una
sintesi in G. Florovskij, Cur Deus Homo? Il motivo dell’incarnazione, nel vo
lume Argomenti di Teologia Ortodossa [in greco], Atene 1973, pp. 33-42).
Dopo aver esaminato seriamente l’intera problematica, molti studiosi occi
dentali della teologia patristica (cf., per es., H.U. von Balthasar, Liturgie co-
smique. Maxime le Confesseur, Paris 1947, p. 205) ma anche alcuni teologi or
todossi (cf. G. Florovskij, op. cit., p. 38; N. Nisiotis, Prolegomeni alla gnoseo
logia teologica [in greco], Atene 1965, p. 67; A. Theodorou, Cur Deus Homo?
Incarnazione intenzionale o non intenzionale del Logos di Dio [in greco], Ate
ne 1974) trovano una certa perplessità quando cercano di collegare l’insegna
mento patristico circa la preeterna volontà di Dio di unire nell’ipostasi del
Lògos la natura umana e quella divina, con la summenzionata teoria di Duns
Scoto. Nel clima generale che si è instaurato in seguito alle dispute occidenta
li, si tende attualmente a concludere che, per la tradizione ortodossa, l’argo
110
mento in discussione non può considerarsi risolto, ma che resta un semplice
«theologoumenon».
Comunque, riteniamo che tra la problematica di Duns Scoto e l’insegna
mento dei Padri non esista alcun rapporto intrinseco. I Padri non parlano di
una questione teorica, e cioè che cosa sarebbe potuto accadere qualora Ada
mo non avesse peccato, né trattano di una questione teologica, e cioè quale in
tenzione avrebbe potuto avere Dio Lògos: com’è possibile, infatti, che Dio, il
quale è assolutamente semplice, possa avere una qualche intenzione, e per
giunta tale da essere condizionata dalla creazione? L ’insegnamento dei Padri è
prettamente antropologico e cosmologico: esso si riferisce alla finalità del
mondo. San Massimo il Confessore è molto categorico quando insegna che la
finalità del mondo era ed è la sua unione ipostatica con Dio : con la precisazione
che il modo di raggiungimento di essa è mutato. Pertanto, il mutamento del
modo di realizzazione della finalità non implica mutamento della finalità stes
sa. E, secondo i Padri, il nocciolo della questione consiste proprio in questa fi
nalità.
Con questa nota non riteniamo d’aver risolto il problema: piuttosto, vo
gliamo semplicemente spiegare perché l’insegnamento patristico relativo a
questo insegnamento non è qui considerato come un theologoumenon, bensì
come qualcosa di categorico, e precisare che l’insegnamento dei Padri nulla ha
a che rare con la tesi di Duns Scoto. Speriamo di poter approfondire ulterior
mente l’intera problematica in un lavoro futuro, perché trattasi di una proble
matica importante: essa costituisce il presupposto basilare del cristianesimo, e
una sua erronea comprensione condurrebbe a una fallace attuazione della fede
evangelica e patristica. L ’insistenza di san Nicodemo Agiorita, percepibile nel
testo che viene riproposto in questa sede (cf. pp. 236-245), è assai significativa.
Si veda anche infra, nota 193.
52 Cf. I. Romanidis, Il peccato originale [in greco], Atene 1957, pp. 113-
140; E. Peterson, L ’homme image de Dieu chez saint Irénée, in «Vie Spirituel
le», 100 (1959), pp. 584-594; A. Benoit, Saint Irénée. Introduction à l’étude de
sa théologie, Paris 1960, specialm. pp. 227-233; A. Orbe, Antropologia di
sant’Ireneo, Madrid 1969; A. Theodorou, L ’insegnamento di Ireneo sulla rica
pitolazione [in greco], Atene 1972; H. Lassiat, Promotion de l’homme en Jésus-
Christ d’après Irénée de Lyon, Paris 1977; Id., L ’anthropologie d’Irénée, in
«Nouvelle Revue Théologique», 100/3 (1978), pp. 399-417; cf. un significativo
testo di sant’Ireneo nelle pp. 213-214 di questo libro.
53 Nicola Cabasilas, La vita in Cristo, 2, PG 150,533D.
54 La teologia della prima Lettera ai Corinzi (11, 1-6) è significativa: l’uo
mo è capo della donna, Cristo è il capo di ogni uomo e Dio è capo di Cristo.
La linea è continua: se dovesse in qualche modo interrompersi, si creerebbe
una frattura di comunione, mancanza di completezza e sterilità.
55 Nicola Cabasilas, La vita in Cristo, 4, PG 150, 604A.
56 Basilio il Grande, La nascita di Cristo, 6, PG 31,1473A.
57 Gregorio Nazianzeno, Discorso 1, La Santa Pasqua, 4, PG 35, 397B.
58 Cf. Massimo il Confessore, A Talassio, 63, PG 90, 692B.
59 Massimo il Confessore, Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e Grego
rio il Teologo, PG 9 1 ,1084D.
I li
60 Cf. Dictionnaire de spiritualité, voi. 3, coll. 1376-1389 (Divinisation, pa
ragrafo: «Patristique grecque»).
61 Da quanto ci è dato di sapere, non è stato fino ad oggi studiato nel suo
insieme il rapporto esistente tra le tuniche di pelle e l'insegnamento patristico.
Si vedano pertanto alcuni studi di carattere più particolare: E. Stephanou, La
coexistence initiale du corps et de l’àme d'après saint Gregoire de Nysse et saint
Maxime l’Homologète, in «Echos d’Orient», 31 (1932), pp. 304-315; J.W. Mc-
Garry, St. Gregory ofNyssa and Adam’s Body, in «Thought», 10 (1935-36), pp.
81-94; J. Quasten, A Pythagorean idea in ]erome, in «American Journal of Phì-
lology» 73/2 (1942), pp. 207-215; J. Quasten, Theodore o f Mopsuestia on thè
Exorcism of thè Cilicium, in «The Harvard Theological Review», 35 (1942),
pp. 209-219; E. Peterson, Pour une théologie du vètement, Lyon 1944; W.
Burkhardt, Cyril of Alexandria on Wool and Linen, in «Traditio», 2 (1944),
pp. 484-486; J. Daniélou, Platonisme et théologie mystique. Essais sur la doctri-
ne spirituelle de saint Grégoire de Nysse, Paris 19532, pp. 48-60; G. Ladner,
The Philosophical Anthropology of saint Gregory o f Nyssa in «Dumbarton
Oaks Papers», 12 (1958), pp. 59-94, specialm. pp. 88-89; I. Moutsoulas, L ’in
carnazione del Logos e la divinizzazione dell’uomo secondo l’insegnamento di
Gregorio di Nissa [in greco], Atene 1965, pp. 87-96; L. Thunberg, Microcosm
and Mediator. The Theological Anthropology of Maximus thè Confessor, Lund
1965, pp. 159-164; J. Daniélou, Les tuniques depeau chez Gregoire de Nysse, in
Glaube Geist Geschichte. Festschrift fùr Ernst Benz, Leiden 1967, pp. 355-367;
K. Skouteris, Conseguenze della caduta e bagno di rigenerazione [in greco],
Atene 1973, pp. 61-68; M. Orfanos, L ’anima e il corpo dell’uomo secondo Didi
mo di Alessandria (il Cieco) [in greco], Salonicco 1974, pp. 94-102; A. Ranto-
salievic, Il mistero della salvezza secondo Massimo il Confessore [in greco], Ate
ne 1975, pp. 59-60; Ch. Bernard, Théologie Symbolique, Paris 1978, pp. 207-
210. Qui non affrontiamo il problema come lo hanno affrontato i filosofi non
cristiani: alcuni riferimenti ad essi, come pure al rapporto esistente con l’inse
gnamento patristico, si possono trovare nella bibliografìa suindicata.
62 Gn 2 , 25 - 3,24; cf. Gregorio di Nissa, Catechesi, 8 PG 4 5 ,33C; Id., La
preghiera, 5, PG 44, 1184B: il significato di questo avvenimento lo spiega J.
Daniélou, Platonisme et théologie mystique, pp. 58-59.
63 Gregorio di Nissa, Omelia sull’Ecclesiaste, 1, PG 44, 624B [trad. S.
Leanza].
64 Cf. H.F. Ellenberger, À la découverte de l’Inconsdent, Villeurbanne
1974; Cl. Tresmontant, Sciences de l’univers et problèmes métaphysiques, Paris
1976; si veda anche sopra, nota 23.
65 Cf. J. Daniélou, Les tuniques de peau chez Grégoire de Nysse, loc. cit., p.
355; K. Skouteris, Conseguenze della caduta e bagno di rigenerazione, p. 62; M.
Orfanos, L ’anima e il corpo dell’uomo secondo Didimo di Alessandria, p. 94 no
ta 1, dove trovansi anche rinvìi bibliografici.
66 Origene, Omelie sulla Genesi, 3, 2, P G 12, 101A: «Che bisogna inten
dere con l’espressione “tuniche di pelle”? Sostenere che Dio, dopo aver tolto
la pelle da alcuni animali... si mise a fare delle tuniche ... come se fosse lavo
ratore di cuoio, è da stolti e rimbambiti, perché si afferma una cosa che non si
addice a Dio. Identificare poi le tuniche di pelle con i corpi, questa interpreta
112
zione è più probabile e suggestiva, ma non può considerarsi né veritiera né
certa: se infatti le tuniche di pelle corrispondono con la carne e con le ossa,
come ha fatto allora Adamo a dire, prima ancora che esse esistessero: “Questa
Èva, sì, è osso delle mie ossa e carne della mia carne”?» [trad. I. Danieli].
67 Cf. Metodio di Olimpo, Aglaofonte o Sulla Risurrezione, 1, 39 (BEPES
18, p. 129: lo stesso testo si trova anche in Epifanio di Cipro, Panarion, 64, 23,
PG 41, 1105C); Epifanio di Cipro, Panarion, 64, 4, PG 41, 1077; Girolamo,
Contra Johannem Hierosolymitanum, 7, PL 23, 360BC. Ulteriori informazioni
in A. Guillaumont, Les «Kephalaia gnostica» d’Évagre le Pontique et l’histoire
de l’Origénisme chez les Grecs et chez les Syriens (Patristica Sorbonensia), Paris
1962, pp. 89-90: tutti questi Padri attribuiscono a Origene l’errata opinione
secondo cui le tuniche di pelle corrisponderebbero con il corpo: «Egli dice
che l’espressione “il Signore fece per loro (Adamo ed Èva) delle tuniche di
pelle e li rivestì” si riferisce al corpo» (Epifanio, PG 41, 1077B). Tuttavia, essi
(cf. ad es. Metodio, BEPES 18, 129) utilizzano l’argomentazione che per pri
mo ha formulato Origene («Questa Èva, sì, è osso dalle mie ossa e carne dalla
mia carne: cf. sopra, nota 66) e formulano la teoria, anch’essa risalente a Ori-
gene, secondo cui le tuniche di pelle sono la condizione mortale instauratasi
dopo la caduta (ne daremo indicazioni più precise in seguito). Può darsi che
Origene risulti qui vittima di quelle altre sue opinioni erronee: il suo preciso
punto di vista, quindi, riguardo alle tuniche di pelle resta argomento di studio:
cf. A. Guillaumont, op. cit., p. 109, nota 131 e L. Thunberg, Microcosm and
Mediator, p. 159.
68 Epifanio di Cipro, Panarion, 64, 18, PG 41, 1097D. Cf. Gregorio Na-
zianzeno, Omelia 45, Sulla santa Pasqua, PG 36, 632; Gregorio di Nissa, L ’uo
mo, 29, PG 4 4 ,233D; si veda anche sopra, nota 21.
69 Metodio di Olimpo, Aglaofonte o Sulla Risurrezione, 1,38 (BEPES 18,
p. 129).
70 Gregorio di Nissa, La Verginità, P G 46, 12, 373C.
71 Gregorio di Nissa, La Verginità, PG 4 6 ,1 2 ,376A; cf. K. Skouteris, Con
seguenze della caduta e bagno di rigenerazione [in greco], Atene 1973, p. 61.
72 Gregorio di Nissa, Catechesi, 8, PG 4 5 ,33CD [trad. M. Naldini],
73 Cf. Atanasio il Grande, Sulla passione e la croce del Signore, P G 28,
221 A; sull’autenticità di questa omelia, cf. J. Quasten, Patrology, voi. 3, Utre
cht 1960, p. 50; Gregorio Nazianzeno, Omelia 38, 12, PG 36, 324CD; Nilo,
Lettera a Sosandro, 1, 241, PG 79, 172A; Gregorio Palamas, Omelia 31, PG
151,388C.
74 Gregorio di Nissa, Omelia sul Cantico dei Cantici, 12, PG 44, 1021D:
«E una volta che la morte è stata unita alla natura umana, la condizione morta
le percorse anche tutte le generazioni degli esseri che successivamente nacque
ro. Ecco perché ci accolse una vita che è morte: la vita stessa di noi, se così si
può dire, era morte».
75 L ’intercalazione di Massimo il Confessore, che leggiamo nel testo qui
presentato, sorprende per la diversa concezione del tempo che la stessa pre
suppone: essa quindi assume un significato particolare nei confronti dell’argo
mento che trattiamo in questa prima parte del nostro studio. Il testo completo
è come segue: «Cibo di quella vita beata è il pane disceso dal cielo per dare la
113
vita al mondo; e, come il Lògos verace dice di se stesso nei Vangeli, per aver il
primo uomo rinunciato di nutrirsene, egli venne a perdere la vita divina dando
origine a una vita di morte»: Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e Gregorio
il Teologo, PG 91,1157 A.
76 Massimo il Confessore, Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e Grego
rio il Teologo, PG 9 1 ,1156C-1157A.
11 Op.cit., 1157C.
78 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla seconda lettera ai Corinzi, Omelia 1,
4, P G 61,387. Lo stesso brano si può leggere anche nelle Omelie sulla Genesi,
Om. 18, PG 53, 150, e, anche qui, in stretta relazione con la condizione di
morte e con le tuniche di pelle: «Poiché, per via della trasgressione, il progeni
tore divenne responsabile del castigo della morte..., egli (Dio) fece loro delle
tuniche di pelle, insegnandoci ad evitare la vita liquida e fluida».
79 Gregorio di Nissa, Omelie sui Salmi, 12, PG 4 4 ,556B.
80 Gregorio di Nissa, L ’anima e la Risurrezione, P G 4 6 ,148C-149A.
81 Gregorio di Nissa, L ’uomo, 18, PG 4 4 ,192BC.
82 Gregorio di Nissa, Omelia per i defunti, PG 4 6 ,524D.
83 Gregorio di Nissa, La preghiera, 5, PG 44, 1184B.
84 l b i d -
85 Gregorio di Nissa, Omelia per i defunti, PG 4 6 ,524D.
86 lbid., PG 4 6 ,532C.
87 Gregorio di Nissa, L ’anima e la Risurrezione, P G 46, 108A. Queste
espressioni, e altre consimili, inducono quasi la totalità degli studiosi di Gre
gorio Nisseno a collegare, se non proprio a identificare, le tuniche di pelle con
il corpo umano posteriore alla caduta; però si dimentica che, con l’espressione
«tuniche di pelle», il Nisseno si riferisce all’intero abito psicosomatico dell’uo
mo. Cf. ad es. G.B. Ladner, The Philosophical Anthropology o f Saint Gregory
ofNyssa, p. 88: «Le tuniche di pelle sono una ben precisa qualità della nostra
natura corporea posteriore alla caduta, una idiosincrasia corporea, molto di
versa da quella dell’uomo perfetto della prima creazione». Questa tesi, che
esprime chiaramente la dimensione corporea delle tuniche di pelle, disconosce
la loro dimensione psichica.
88 Gregorio di Nissa, L ’anima e la Risurrezione, P G 46, 108A [trad. S.
Lilla], Cf. Omelia per i defunti, PG 46, 532C; Omelia per la morte di Melezio,
PG 46, 861B. Cf. K. Skouteris, Conseguenze della caduta e bagno di rigenera
zione, p. 67.
89 Gregorio di Nissa, La vita di Mosè, P G 44, 388D. Questo testo invita
«chi s’incammina versa il sacerdozio» a «rendere sottile, attraverso una vita
pura, ogni atto del quotidiano vivere» e a «domare questa natura corporea»
(vale a dire la natura umana nel suo insieme, che è diventata corporea: il testo,
infatti, non dice «il corpo»). Analoga è la sensazione che, nei confronti della
rimodellazione dell’uomo, crea l’innografia della nostra Chiesa, specie quella
relativa ai martiri e ai santi: si veda ad es. l’Inno a sant’Eufemia (11 luglio).
90 Gregorio di Nissa, Omelia sul Cantico dei Cantici, 11, PG 44, 1005A.
Qui Gregorio descrive come la Sposa del Cantico, una volta spogliatasi di
«quella tunica di pelle di cui si era rivestita dopo il peccato», indossò la « tuni
ca dell’uomo creato a immagine di Dio, nella santità e nella giustizia». Questa
114
nuova tunica, spiega san Gregorio, è la «tunica del Signore, luminosa come il
sole... che egli mostrò durante la Trasfigurazione sulla montagna» [trad. C.
Moreschini], Questo testo è stato molto studiato: cf. K. Skouteris, op. cit., pp.
34.64. Gli studiosi attribuiscono l’espressione «tunica del Signore, luminosa
come il sole» al corpo di Cristo, mentre sarebbe più giusto intenderla in riferi
mento all’increata gloria della Divinità, che illuminò interiormente il Signore.
Ciò si desume dall’innografia della festività della Trasfigurazione: cf. Ode otta
va·. Cristo «si riempì di gloria e di luce». Si è altresì discusso sulla dipendenza
del termine «hèlioeidès» (luminoso come il sole) dal corrispettivo termine di
Platone, che è usato anche da Plotino: il Nisseno conosce certamente le opere
di Platone e ne fa uso nelle sue opere, ma qui è meglio supporre che egli abbia
in mente la Trasfigurazione del Signore come è narrata nel Vangelo.
91 Gregorio di Nissa, Omelie sul Cantico dei Cantici, 11, PG 44, 1004D-
1005A.
92 Gregorio di Nissa, La verginità, 13, PG 376B: «uscire dai rivestimenti
della carne togliendoci le tuniche di pelle, vale a dire i pensieri carnali».
93 È il termine che solitamente definisce, nell’innografia, l’abito dell’uo
mo anteriormente alla caduta: «M i .rivestisti di un abito divinamente tessuto, o
Salvatore» (Tropario primo, Ode sesta della Domenica della Tyrofagia). Cf.
Romano il Melode, Kontakion per la festa dell’Epifania, Stanza seconda; cf. an
che in questo stesso libro il capitolo concernente il Grande Canone (pp. 175-
212). Per quanto riguarda il pensiero di san Gregorio di Nissa circa la condi
zione del progenitore anteriormente alla caduta, cf. J. Gaith, La conception de
la liberti chez Grégoire de Nysse, Paris 1953, pp. 52s.
94 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi, Om. 15, 4, PG 53, 123 e
Om. 16, 5, P G 53, 131; cf. E. Peterson, Tour une théologie du vètement, Lyon
1944, pp. 8-9, dove si possono trovare ulteriori rinvìi alle opere di Ireneo, Am
brogio e Agostino.
95 Gregorio di Nissa, Omelia per i defunti, P G 46, 521D.
96 Gregorio Nazianzeno, Omelia 45, la santa Pasqua, 8, PG 36, 632C.
97 Massimo il Confessore, Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e Grego
rio il Teologo, PG 9 1 ,1353AB.
98 Gregorio di Nissa, Omelie sui Salmi, 2 ,6 , PG 4 4 ,508BC. L ’espressione
«(l’uomo) si mescolò con il fango, si autoproiettò verso il serpente» la inseria
mo nel discorso traendola da un’altra opera di Gregorio: cf. La preghiera, 5,
PG 4 4 ,1184C.
99 Massimo il Confessore, Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e Grego
rio il Teologo, P G 9 1 ,1097C.
100 Ibid., PG 9 1 ,1193D.
101 Ibid., P G 91, 1304D-1308C. L ’opera che non ha realizzato Adamo,
l’ha realizzata Cristo: si veda il prosieguo del testo 1308C-1313B (esso viene
integralmente riproposto nelle pp. 68, 115, 222-226 di questo libro). Una sin
tesi dell’insegnamento di Massimo il Confessore concernente le cinque divisio
ni e il superamento di esse si può leggere in VI. Losskij, Théologie mystique de
l’Eglise d’Orient, Paris 1944, pp. 103-105 (trad. greca S. Plevrakis, Salonicco
1964, pp. 121-124). Un’esposizione più esauriente dell’insegnamento in di
scussione in relazione con gli altri aspetti del pensiero teologico del santo Con
115
fessore si può invece leggere in L. Thunberg, Microcosm and Mediator. The
Theological Anthropology o f Maximus thè Confessor, Lund 1965, pp. 351-459.
102 Massimo il Confessore, Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e. Gre
gorio il Teologo, PG 9 1 ,1248A-1249C: il testo viene riprodotto in questo libro
(pp. 227ss.).
103 Ibid., PG 91, 1248A-1249C. Questo testo importante non è stato fino
ra studiato e opportunamente valorizzato dagli studiosi del pensiero teologico
di Massimo il Confessore; nemmeno da L. Thunberg, malgrado che esso abbia
un’importanza centrale per l’argomento del suo studio. Cf. PG 91, 1193C-
1196B.1113C.
104 Ibid, PG 9 1 ,1092C.
105 Ibid., PG 91,1305A.
106 Ibid, PG 9 1 ,1305B.
107 Ibid, PG 9 1 ,1308C.
108 Ibid., PG 9 1 ,1112C.
109 Ibid., PG 91,1112ABC.
110 Massimo il Confessore, A Talassio, PG 9 0 ,253CD.
111 Nei confronti di questa verità centrale della tradizione patristica, cf.
Basilio il Grande, Dio non è causa del male, P G 3 1 ,329A-353A.
112 Massimo il Confessore, Commento sul trattato I nomi divini, 4 , 33, PG
4 ,305D.
113 Dionigi Areopagita, I nomi divini, 4 , 20, PG 3 , 717C.
114 Massimo il Confessore, Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e Gre
gorio il Teologo, PG 9 1 ,1097CD.
115 Gregorio di Nissa, Catechesi, 8, PG 4 5 ,33CD.
116 Nicola Cabasilas, La vita in Cristo, 1, P G 150,508A
117 Nicola Cabasilas, op. cit., 516BC: «Quale potrebbe essere il giusto ca
stigo per il servo cattivo che ha rifiutato l’immagine regale e si è spinto a tal
punto di insolenza?»; cf. Basilio il Grande, L ’invidia, 3, PG 3 1 ,376AB.
118 Nicola Cabasilas, op. cit., 516B.
119 Cabasilas, sottolineando gli elementi già esistenti nella tradizione pa
tristica a lui anteriore, e presentandoli in modo organico, ha sviluppato la pre
sente teoria e per via dei sistemi soteriologici, che, a partire dal sec. X II e fino
al XIV, sono stati sviluppati in Occidente, e, soprattutto, per via della teoria di
sant’Anselmo concernente la soddisfazione. Quel che prima circolava diffusa-
mente nella tradizione patristica come elemento vivificante, necessitava di es
sere sviluppato da Cabasilas come teoria: sui motivi che favorirono lo sviluppo
di essa come pure sui rapporti che la legano con la teoria della soddisfazione,
cf. P. Nellas, L ’insegnamento di Nicola Cabasilas sulla giustificazione
dell’uomo, Pireo 1975 [in greco].
120 L ’espressione è di Nicola Cabasilas: cf. op. cit., 516B.
121 Nicola Cabasilas, op. cit., 513C. Lo stesso insegnamento, anche se non
sistematicamente impostato, trovasi anche in Giovanni Crisostomo, Commen
to sulle parole «Salutate Priscilla», 1,5, PG 51, 194: «Sembra che trattasi di in
ferno e di castigo... mentre in realtà trattasi di avvertimento e di correzione e
di farmaco per le ferite causate dal peccato». Per un’analisi antropologica del
modo con cui Dio, per sanare l’uomo, adopera in modo educativo le conse
116
guenze della giustizia ferita del creato, cf. Massimo il Confessore, Su vari luo
ghi diffiàli dei santi Dionigi e Gregorio il Teologo, PG 9 1 ,1104A-1105A.
122 Per esprimere un’altra realtà, Gregorio di Nissa adopera l’espressione
«sculture bifronti» che «gli artisti hanno scolpito per lo stupore di coloro che
vi si imbattono, rappresentando con una testa due forme di volto», cf. L ’uomo,
18, PG 4 4 ,192C [trad. B. Salmona].
123 Gregorio di Nissa, L ’uomo, 18, PG 44, 193C.
124 Metodio di Olimpo, Aglaofonte o Sulla Risurrezione, 1, 38 (BEPES 18,
129): «(Dio) ha fatto le tuniche di pelle per avvolgere (l’uomo) nella condizio
ne mortale, di modo che, con la decomposizione del corpo, trovasse la morte
ogni male in lui generato». Nel prosieguo di questo testo, specialmente nei
capp. 40 e 41, questa verità è esaurientemente sviluppata. Cf. Metodio di
Olimpo, Il banchetto delle dieci vergini, 2; Ireneo, Smascheramento e confuta
zione della falsa gnosi, 3, 23, 5-6; Gregorio di Nissa, Omelie sul Cantico dei
Cantici, 12, PG 44, 1020B: «Mediante la morte, l’anima si erge dalla morte (se
infatti non muore, essa resta per sempre nella condizione mortale) e, moren
do, rinasce in vita, deponendo ogni condizione di mortalità».
125 Cf. Massimo il Confessore, A Talassio, 61, PG 90, 633D: «Con la sua
passione, (Cristo) ha capovolto la natura della morte: egli infatti non ha con
dannato la natura, ma il peccato». In modo analogo «capovolgono» la natura
della morte anche i santi: cf. ibid., 637A. Sicché, come scrive san Giovanni
Crisostomo, «(Dio) ha annientato il peccato mediante queste due realtà (la
morte e la sofferenza) e ha distrutto il genitore per opera dei suoi figli» (Sulle
statue, 5 ,4 , PG 49, 75).
126 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Lettera agli Ebrei, Omelia 4, PG
63, 42; cf. I. Romanidis, Il peccato originale [in greco], Atene 1957, pp. 145-
Ì55.
127 Gregorio di Nissa, Catechesi, 8, PG 4 5 ,33D: «L a parte sensibile si dis
solve. .. la dissoluzione è il ritorno agli elementi del cosmo dai quali fu costi
tuita» [trad. M. Naldini].
128 Massimo il Confessore, A Talassio, 61, PG 90, 633BC: «Il seminatore
del peccato ha tramato questo:... rovinare le opere di Dio, disintegrare ciò che
era stato plasmato per la generazione,... spingendo (il peccato) la natura delle
realtà venute in essere verso la disgregazione secondo la morte». Cf. A
Talassio, 61, scolio 1, PG 90, 641B.
129 Giovanni Crisostomo, .<4 Teodoro, 1,11, PG 47,291.
130 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Lettera ai Galati, 6 ,3 , PG 61, 679.
Cf. anche, dello stesso, Omelie sulla Lettera ai Romani, 14, 5, PG 60, 530:
«(La natura) sarà liberata - egli dice - dalla schiavitù della corruzione: vale a
dire che non sarà più corruttibile, ma si conformerà alla bellezza del suo cor
po».
131 Oltre a quanto detto sopra, alla stessa conclusione conduce anche l’in
segnamento di Massimo il Confessore concernente l’uomo in quanto « legame
naturale» e « laboratorio contenente ogni cosa», entro cui sono superate le cin
que divisioni. Cf. Marco Eugenico, La Risurrezione, ed. A. Schmemann, in
«Teologia», 22 (1951), pp. 53-60, specialm. pp. 56-57; Nicola Cabasilas, Pre
ghiera al Nostro Signore Gesù Cristo, in P. Nellas, Introduzione allo studio di
117
Nicola Cabasilas [in greco], Atene 1968, pp. 58-59: J. Daniélou, La Résurrec-
tion, Paris 1969, pp. 95-98; K. Rahner, Le chrétien et la mort, Paris 1966, pp.
20-21.37-38.71-72. Chi desidera studiare l’intera problematica può leggere
Gregorio di Nissa, L ’uomo, cap. 27 dal titolo: «Come è possibile che, essendo
il corpo umano sciolto negli elementi del tutto, dalla massa ritorni a ciascuno
ciò che gli è proprio» [trad. B. Salmona, pp. 111-114].
132 Cf. sopra, p. 70.
133 Cf. sopra, p. 75 e nota 92.
134 Su quanto concerne questo paragrafo, cf. Giovanni Crisostomo, Ome
lie sulla Lettera ai Romani, Omelia 13 dal titolo: «Sappiamo, infatti, che la leg
ge è spirituale, ma io sono carnale, venduto schiavo al peccato», PG 60, 507-
524, specialm. 512-513.515-517.
135 Abbiamo tralasciato di evidenziare qui, facendo ricorso al metodo
analitico, l’identità d’insegnamento esistente tra i Padri che usano l’espressio
ne «tuniche di pelle» e quelli che, senza pronunciarla espressamente, si limi
tano ad esaminare il contenuto di esse (condizione mortale, le passioni, l’irra
zionalità, la sottomissione alla materialità, ecc.). Ci è sembrato che un simile
studio non avrebbe contribuito allo scopo della presente trattazione - e del li
bro in generale -, che non è quello di formulare un’analisi storico-filologica
del pensiero dei Padri, ma di contribuire a una rinascita di esso oggi. Lo stes
so vale anche nei confronti della relazione esistente tra le tuniche di pelle e
l’espressione paolina « pensieri della carne». Oltre alla tesi formulata da Gre
gorio di Nissa e l’implicita, ma non per questo meno lucida, interpretazione
del Crisostomo, crediamo che, per chi ragiona in modo ortodosso, non sarà
difficile intravedere nella diversità della terminologia la medesima dottrina.
136 Giovanni Damasceno, La fede ortodossa, 4,22, PG 9 4 ,1200B.
137 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Lettera ai Romani, 13,4, PG 60,513.
Cf. anche Id., Omelie sulla seconda lettera ai Corinzi, Omelia 6,2, PG 61,438.
138 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Lettera ai Romani, Om. 13, 4, PG
60,512: La legge «stabiliva tali obblighi, che si potevano adempiere anche sot
to il dominio del peccato. Quella legge, infatti, non imponeva una condizione
di vita perfetta: non vietava loro di avere molte mogli, permetteva loro di pos
sedere delle ricchezze, di comportarsi con collera al cospetto di un giusto, di
condurre una vita dissoluta. E la condiscendenza era tale, che la legge scritta
risultava più permissiva di quella naturale». Cf. anche il seguito di questo
scritto. Inoltre, si veda Id., La verginità, 16, P G 48, 545; Gregorio Nazianze-
no, Omelia 45, la santa Pasqua, 12, PG 36, 640B: «L a legge è stata posta a no
stro beneficio: come muro essa si innalza tra Dio e gli idoli, separandoci da
questi e unendoci a Lui. Essa ci concede inizialmente poco, affinché noi pos
siamo ottenere di più».
139 Ciò contribuisce a far rivivere il peccato e la pena che ne consegue. Si
tratta di dimensioni nei confronti delle quali l’Apostolo si sofferma, ma che
noi tralasciamo di affrontare in quanto non direttamente attinenti al nostro ar
gomento. Una dettagliata analisi dell’aspetto della legge si può leggere nel mio
articolo: La giustificazione dell’uomo in Cristo secondo l’apostolo Paolo, in Studi
in onore del Metropolita di Calcedonio Melitone [in greco], Salonicco 1977, pp.
379-400.
118
140 Cf.: «Per mezzo del tuo santo sangue, ci riscattasti dalla maledizione
della legge» (Triódion, Ufficiatura della Santa Passione).
141 Cf. Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Lettera ai Galati, Omelia 3, 5,
PG 61,655.
142 E come la ricetta medica, che prescrive all’ammalato non la dieta
dell’uomo sano, ma quella che gli permetterà di sopravvivere e ritrovare la sa
lute. Cf. Giovanni Crisostomo, La verginità, 16, PG 48,545-546.
143 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Lettera ai Romani, 12, 6, PG 60,
503: «Per mezzo di tutto ciò egli rivelò la superiorità della grazia nei confronti
della legge: la superiorità, non l'ostilità».
144 Cirillo di Alessandria, Omelia sulla Lettera ai Romani, PG 74, 780D;
cf. anche ibid., 801B-804A.
145 Massimo il Confessore, Epistola seconda a Giovanni Cavicoulario,
Sull’amore, PG 9 1 ,396C.
146 Massimo il Confessore, A Talassio, 61, PG 90, 628B.
147 Massimo il Confessore, A Talassio, PG 90, 256A; cf. anche ibid., 61,
PG 9 0 ,629D-632A.
148 Giovanni Crisostomo, La verginità, 14, PG 48,543.
149 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi, Omelia 18, 4, PG 53, 153;
cf. anche ibid., Omelia 16,1, PG 53, 126.
150 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi, Omelia 16,4, PG 53,130.
151 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi, Omelia 15, 4, PG 53,123.
152 Massimo il Confessore, Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e Gre
gorio il Teologo, P G 9 1 ,1341C.
153 Siamo del parere che, da questo punto di vista, vengono chiariti due
aspetti della costituzione dell’uomo di difficile interpretazione, che sono stati
ampiamente discussi dagli studiosi. Trattasi del pensiero di san Gregorio di
Nissa relativamente: a) al cosiddetto «uomo primitivo», e cioè alla «prima crea
zione» dell’uomo, nella quale non c’era diversità di sessi, e b) alla cosiddetta
«seconda creazione.» in cui, prima ancora della caduta, è stata da Dio «stabili
ta», come dice Gregorio, la distinzione di sessi, affinché il genere umano si po
tesse moltiplicare dopo la caduta, che Dio aveva previsto, mentre anterior
mente ad essa il genere umano si moltiplicava «come si è moltiplicata la molti
tudine degli angeli» (cf. Gregorio di Nissa, L ’uomo, 16, PG 44, 185A e ibid.,
17, P G 44, 189CD). Si veda l’intera discussione e relativa bibliografia in I.
Moutsoulas, L ’incarnazione del Logos e la divinizzazione dell’uomo secondo
l’insegnamento di Gregorio di Nissa [in greco], Atene 1965, pp. 63-96; E. Cor
sini, Pléròme humain et pléròme cosmique chez Grégoire de Nysse. Écriture et
Culture Philosophique dans la pensée de Grégoire de Nysse, ed. M. Harl, Lei
den 1971, pp. 111-126; P. Christou, Il pleroma umano secondo l’insegnamento
di Gregorio di Nissa, in «Klironomia», 4 , 1 (1972), pp. 41-62; L. Thunberg, Mi-
crocosm and Mediator. The Theological Anthropology o f Maximus thè Confes
sor, cit., pp. 155-163 (in relazione all’argomento della «doppia creazione»); F.
Floeri, Le sens de la «division des sexes» chez Grégoire de Nysse, in «Revue des
Sciences Religieuses», 27 (1953), pp. 105-111.
Sarebbe opportuno ampliare la discussione prendendo in considerazione
il pensiero anche di altri Padri della Chiesa, come ad esempio quello di Meto-
119
dio di Olimpo, che nega l’identificazione delle tuniche di pelle con il corpo
umano facendo notare che le espressioni «maschio e femmina Dio li creò» e
«(l’uomo) si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne» sono state det
te con riferimento alla condizione umana anteriore alla caduta (cf. Aglaofonte
o Sulla Risurrezione, 38, BEPES 18, 129), e quello di Giovanni Crisostomo se
condo cui, dopo la caduta, Dio «indirizzò verso l’utile» il corpo umano, che
«originariamente si trovava in una condizione migliore di quella attuale» (Le
statue, Omelia 11, 4, PG 49, 125): è interessante notare che Crisostomo non
parli di una seconda creazione, anteriore o posteriore alla caduta, ma di una
«trasformazione», e che, descrivendo nella stessa omelia le varie funzioni
dell’occhio, egli asserisce che le lacrime sono una funzione successiva alla ca
duta (Le statue, 11, 3, PG 49,122), il che, ovviamente, induce a trarre le dovu
te conclusioni. Ci siamo già sopra riferiti al modo di questa trasformazione e
abbiamo anche esposto in parte il relativo insegnamento di Massimo il Confes
sore. In base al quale, ci sarebbe da chiedersi se per caso le funzioni dell’orga
nismo psicosomatico dell’uomo non fossero reali anche anteriormente alla ca
duta, ma spirituali, e cioè non fossero prive del sentimento del piacere che di
sorienta, imprigiona, capovolge e, in ultima analisi, trasforma le funzioni psi
cosomatiche dell’uomo. E sarebbe inoltre utile prendere in seria considerazio
ne anche le interpretazioni patristiche di Gal 3, 28, vale a dire del fatto stesso
della divisione dell’uomo in maschio e femmina e del superamento di essa: in
terpretazioni, che sono da noi indicate alla nota 170.
Tuttavia, le interpretazioni patristiche sopra menzionate - e quanto stiamo
per dire riteniamo sia determinante per l’esatta comprensione del pensiero dei
Padri - non vanno intese come affermazioni categoriche, bensì come semplici
allusioni che, in ultima analisi, mirano ad escludere qualsiasi chiara e definitiva
presa di posizione in merito. Voler preferire considerazioni definitive nei con
fronti dell’uomo significherebbe voler spiegare questo essere, che, per natura, è
un essere teologico, basandosi esclusivamente su dati biologici, mentre invece
per i Padri l’uomo va sempre inteso in modo iconico. Perciò, per comprendere
esattamente le interpretazioni patristiche summenzionate, bisogna collocare le
stesse nell’ambito che noi abbiamo chiamato «apofatismo antropologico». Il si
curo contesto generale, da tutti sempre condiviso ed entro cui i Padri si collo
cano nel formulare le loro ricerche sull’uomo, è sinteticamente espresso da Gio
vanni Damasceno: «Dio, che tutto vede anteriormente alle generazioni, avendo
previsto che (i primogenitori) avrebbero disobbedito e sarebbero stati castigati
con la morte, avendo previsto tutto ciò, creò l’uomo maschio e femmina e or
dinò loro di crescere e moltiplicarsi» (La fede ortodossa, 4,24, PG 9 4 ,1208D).
Queste nostre considerazioni possono bastare, crediamo, per illuminare,
nei limiti consentiti a una nota, i suindicati passi ambigui di Gregorio di Nissa.
Nel suo libro sopra citato, E. Corsini definisce «enigmatica» la presa di posi
zione di san Gregorio nei confronti dell’«uomo primitivo» e della «seconda
creazione», e osserva che la comprensione di essa e il suo giusto inquadramen
to nel pensiero generale del vescovo di Nissa costituisce problema per tutti co
loro che fino ad oggi si sono occupati della sua filosofia, teologia e insegna
mento mistico. L ’osservazione di E. Corsini è fondamentalmente giusta. Se
condo noi, pertanto, il problema è superato se si tiene conto che il punto di vi
120
sta del Nisseno di cui si parla, non si presenta come risposta a una aporia filo
sofica, bensì come visione mistica, vale a dire una risposta apofatica e dal con
tenuto soteriologico, che, in ultima analisi, mira ad evitare l’imprigionamento
di essa in una qualsivoglia presa di posizione categorica.
Lo stesso atteggiamento assume san Gregorio nei confronti dell’asse crea-
zione-caduta-salvezza nella Chiesa-escatologia, dal momento che, come è no
to, egli tocca l’argomento delVapocatastasi, esimendosi però dal darne una ri
sposta definitiva (cf. J. Daniélou, L'apocatastase chez saint Grégoire de Nysse,
in «Recherches de Science Religieuse», 30 [1940], pp. 328-347; A.J. Phillips,
The Eschatology o f St. Gregory o f Nyssa, Oxford 1963). Mentre egli spiega
esaurientemente i due stadi intermedi di quest’asse, per quelli estremi, invece,
egli si limita a formulare considerazioni apofatiche, molto utili per la vita spiri
tuale. Come abbiamo visto nelle prime parti di questo studio, Colui che unisce
l’inizio con la fine è Cristo: il quale costituisce l’Icona del Padre e la realizza
zione dell’uomo in quanto icona. Perciò, fra tutte le interpretazioni finora for
mulate nei confronti dell’insegnamento del Nisseno concernente l’«uomo pri
mitivo» e la «seconda creazione», la più giusta riteniamo sia quella di J. Danié
lou, perché offre di esso una «interpretazione cristologica», anche se, a nostro
avviso, senza soffermarsi dovutamente su di essa (cf. Platonisme et théologie
mystique, pp. 52-53.56s.167s.).
4 Giovanni Crisostomo, ha verginità, 14-17, PG 48,544-546.
155 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi, Omelia 18, 4, PG 53, 153.
Cf. ibid., Omelia 15,4, PG 53,123-124.
156 San Giovanni Crisostomo è stato felicemente definito «strenuo difen
sore del matrimonio e apostolo della verginità»: cf. A. Moulard, Saint Jean
Chrysostome, le défenseur du mariage et l’apòtre de la virginité, Paris 1923. Pre
sentiamo anche l’insegnamento di san Giovanni Damasceno, perché sintetizza
anche su questo punto l’insegnamento patristico: « L ’espressione “crescete e
moltiplicatevi” non si riferisce al moltiplicarsi attraverso l’atto sessuale. Dio
era in grado di moltiplicare il genere umano attraverso anche altri modi, qua
lora il Suo comandamento fosse stato osservato inalterato fino alla fine» (cf. La
fede ortodossa, 4 ,2 4 , PG 94, 1208B). Si veda anche: D.S. Bailey, The Man-Wo-
man Relation in Christian Thought, London 1959, specialm. pp. 19-102; P.
Evdokimov, Mistero di amore, trad. S. Orfanos, Atene 1967; Ch. Vantsos, Il
matrimonio e la sua preparazione dal punto di vista della pastorale ortodossa [in
greco], Atene 1977, pp. 33-107.
157 Cf. per es. Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Lettera ai Colossesi,
Omelia 12,5, PG 62,387; Omelia 12,6-7, PG 62,389-390; Omelie sulla Lette
ra agli Efesini, Omelia 20, PG 62, 135-150: cf. Th. Zissis, Uomo e mondo
nell'economia di Dio secondo san Giovanni Crisostomo [in greco], Salonicco
1971, pp. 144-145. Per altri testi patristici, si veda la bibliografia della nota
precedente.
158 «Dio eterno, che ha riunito le realtà divise... e ha condotto come sua
Sposa la Chiesa...» (Eucologio).
139 Si vedano i canoni 1, 4, 9, 10 e 14 del Concilio di Gangra. Cf. G. Ka-
psanis, L ’attività pastorale secondo i santi canoni [in greco], Pireo 1976, pp.
175-184; Ch. Vantsos, Il matrimonio e la sua preparazione, pp. 35-41.
121
160 Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo secondo Matteo, Omelia 38,
6, PG 57,428.
161 Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo secondo Matteo, Omelia 48,
3, PG 58, 490; cf. Gregorio di Nissa, La verginità, 12, PG 4 6 ,376A.
162 Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo secondo Matteo.
163 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi, Omelia 18, 4, PG 53, 154;
cf. l’esposizione di questa tesi, Omelia 17, 7, PG 53,143-144.
164 Massimo il Confessore, Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e Gre
gorio il Teologo, PG 9 1 ,1341C-1349A.
165 Ibid., 1276A.
166 Cf. la descrizione e la profonda analisi che nei confronti di questa leg
ge espone Massimo il Confessore in A Talassio, 21, PG 90, 312C-313A. Si ve
da anche 61, 633B e, Su vari luoghi difficili..., PG 91, 1276ABC; 1316A-
1317C; 1345D-1348A.
167 Massimo il Confessore, Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e Gre
gorio il Teologo, PG 91, 1341; Id., A Talassio, 61, P G 90, 632B.
168 Massimo il Confessore, A Talassio, 61, PG 90, 632D; cf. ibid., 61, PG
90, 644B e 21, P G 9 0 ,313BC.
169 Massimo il Confessore, Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e Grego
rio il Teologo, PG 91, 1305CD. Ecco come prosegue il passo: «(L ’uomo) si ri
veli e diventi, secondo il progetto divino, solamente un unico essere umano, non
diviso dalle denominazioni maschio e femmina, in conformità con la ragione per
la quale anteriormente era esente da queste divisioni mentre adesso ne è sog
getto, divenendo perfettamente consapevole della ragione per la quale egli è».
170 Cf. Massimo il Confessore, Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e
Gregorio il Teologo, P G 91, 1309AB; Il Padre nostro, PG 90, 889C-892A: ri
guardo a quest’ultimo brano importante, cf. I.H. Dalmais, Un traité de théolo
gie contemplative: Le commentane du Pater Noster de saint Maxime le Confes-
seur, in «Revue d’Ascetique et de Mystique», 29 (1953), pp. 132-139 e 159,
dove si può trovare la relativa bibliografia. Cf. anche Gregorio Nazianzeno,
Omelia 7, 23, PG 35, 785C: «Affinché non ci siano maschio e femmina... ma
portiamo in noi solo il modello divino, dal quale e per il quale siamo stati fatti».
Evagrio, Capitoli gnostici, 1, 63, PG 40, 1237; Clemente Alessandrino, Stroma-
teis, 3, 13 (BEPES 8, 44). Per una ulteriore indagine circa la posizione di Cle
mente nei confronti del sesso e del matrimonio, cf. Stromateis, 6, 12 (BEPES
8, pp. 215-216); cf. anche F. Quatemberg, Die christliche Lebenshaltung des
Klemens von Alexandrien nach seinen Paedagogus, Vienna 1946, pp. 137-140,
e, nei confronti della posizione di Clemente circa le coabitazioni nei primi
tempi della Chiesa, cf. D.S. Bailey, The Man-Woman Relation in Christian
Thought, London 1959, pp. 33s.
171 Massimo il Confessore, A Talassio, 61, PG 90, 632A.
172 Presentiamo qui il brano PG 9 1 ,1345D-1348C.
173 Si tratta di una nostra aggiunta al testo.
174 Massimo il Confessore, Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e Gre
gorio il Teologo, PG 9 1 ,1345D-1348C.
175 Cf. PG 90, 253C-256B; 312B-313D; 628A-645C; PG 9 1 ,1195D-1196B;
1273D-1276D; 1304D-1305A; 1038D-1309A; 1313CD; 1316A-1321D; 1340B-
122
1341C; 1345C-1349A. Da quanto ne sappiamo, il lavoro fino ad oggi più meto
dico per un accostamento ai testi di Massimo il Confessore è quello di L. Thun-
berg, Microcosm and Mediator. The Theological Anthropology o f Maximus thè
Confessor, Lund 1965: riguardo all’argomento di questa nota, si vedano ivi le
pp. 396-405. Ci sembra pertanto opportuno che il lettore non si accontenti delle
affermazioni di L. Thunberg, ma die affronti anche la lettura dei testi stessi. La
migliore introduzione alla teologia di san Massimo il Confessore e la più fedele
esposizione del suo insegnamento le troviamo nelle note introduttive e nel com
mento che D. Staniloae ha scritto per l’edizione di: Massimo il Confessore, Mista-
gogia («Sulle Fonti», 1) [in greco], Atene 1973 e Massimo il Confessore, Questio
ni filosofiche e teologiche («Sulle Fonti», 4) [in greco], Atene 1978.
176 II rapporto con l’insegnamento biblico è evidente: «Vi spogliaste
dell’uomo vecchio» {Col 3,9).
177 «E avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, a
immagine del suo Creatore. Qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o
incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti»
{Col 3,10-11).
178 «Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo» {Gal
3,27).
179 Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra... de
ponete anche voi tutte queste cose» (Col 3,5.8).
180 Niceta Stetato, Centurie, 3, 10, PG 120, 957D-980A.
181 Gregorio Palamas, Omelia 31, PG 151,388C.
182 Giovanni Crisostomo, La verginità, 15, P G 48,545; cf. Id., All’Impera
tore, 1, PG 63, 474B: «Ti accorgi che nulla c’è in quella vita a simboleggiare
questa? Né le arti e il commercio, né le costruzioni e le vesti e i calzari, né i tet
ti e le mense, né il dolore e la tristezza e la morte, né alcunché dei nostri pati
menti: solo luminose prospettive e varchi festosi»; Omelie sulla prima Lettera
ai Corinzi, Omelia 17,3, P G 61, 143: «Adamo non aveva bisogno di vesti né di
dimore né di alcun altro strumento»; La verginità, 14, PG 48, 544; Omelie sul
la Genesi, Omelia 16,1-5, P G 53,126-131.
All’infuori di queste affermazioni, in altre sue opere (cf. per esempio Le
statue, 19,1, PG 49,188; Omelie sulla seconda Lettera ai Corinzi, 15,3, PG 61,
506), Giovanni Crisostomo parla di un’attività e di certe arti che Adamo eser
citava in paradiso già anteriormente alla caduta. Da quanto ci è dato di sapere,
la migliore indagine nei confronti di questa apparente contraddizione è stata
condotta in un lavoro di prossima pubblicazione, che l’autore ha avuto la gen
tilezza di mettere a nostra disposizione: I. Lappas, L ’insegnamento di Giovanni
Crisostomo riguardo al lavoro (Analecta Blatadon), cap. 3, paragrafo 2: «L a de
rivazione delle arti» [in greco]. Si veda anche più avanti, atta nota 189, una no
stra proposta per la soluzione dell’apparente contraddizione di cui parliamo.
183 Gregorio di Nissa, A Placilla, PG 4 6 ,888D-889A.
184 Gregorio Nazianzeno, Omelia 45, la Santa Pasqua, 8, PG 3 6 ,632C.
185 Massimo il Confessore, Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e Gre
gorio il Teologo, PG 9 1 ,1352B-1356A.
186 Cf. Gregorio Nazianzeno, Omelia 7, 23, PG 23, 785C: « ... affinché
tutti diventiamo uno in Cristo... affinché non ci siano maschio e femmina, bar
ili»
baro e Scita, schiavo e libero: connotati tutti, questi, della carne, ma che portia
mo in noi solo il modello divino, dal quale e per il quale siamo stati fatti, e sia
mo stati formati e modellati in modo tale, da essere da lui solo riconosciuti».
Cf. Evagrio Pontico, Capitoli gnostici, 1, 63, PG 40,1237.
187 Epifanio di Cipro, Panarion, 70, PG 42, 344B: « L ’uomo non ha perso
la condizione di immagine; ha semplicemente reso lurida la sua condizione di
immagine, imbrattando se stesso con varie azioni e con peccati irreparabili»;
cf. Gregorio di Nissa, Le beatitudini, PG 44, 1272A e Id., La verginità, 12, PG
4 6 ,373C.
188 Giovanni Crisostomo, Commento al Salmo 8, 7, P G 55, 118; cf. Id., Le
statue, Omelia 11, 4-5, PG 49,124-126.
189 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi, Omelia 29, 3, PG 53, 264-
265; cf. Id., Omelie sulla Genesi, Omelia 20, 2, PG 53, 168. In questa ottica
crediamo che sia risolta l’apparente contraddizione che si riscontra presso Cri
sostomo riguardo alla derivazione delle arti (cf. sopra, nota 182). Le tuniche di
pelle non sono indipendenti dalle potenze iconiche che l’uomo possedeva an
teriormente alla caduta: esse costituiscono una funzione rivestita di materia
lità, delle sue potenze anteriori alla caduta. L ’uomo doveva realizzare in para
diso un’opera (abbiamo visto una descrizione di essa in Massimo il Confesso
re) e la realizzazione di quest’opera costituiva una specie di arte: un’arte che,
ovviamente, era di qualità diversa da quelle attuali, ed era esercitata dall’uomo
a un altro livello e verso un’altra direzione. E significativo il fatto che Giovan
ni Crisostomo parli di quest’arte e di questo lavoro rivolgendosi soprattutto ai
monaci {Le statue, 19, 1, PG 49, 188; Commento al Vangelo di Matteo, 68, 3,
P G 58, 643), che, com’è noto, hanno il compito di percorrere a ritroso il cam
mino di Adamo: purgare le tuniche di pelle ed elevare le funzioni della loro
esistenza alle funzioni iconiche anteriori alla caduta.
190 Gregorio Nazianzeno, Omelia 14 (L ’amore verso ipoveri), 20, PG 35,
844AB: cf. Massimo il Confessore, Questioni filosofiche e teologiche (Su vari
luoghi difficili dei santi Dionigi e Gregorio il Teologo)·, cf. Gregorio di Nissa, Su
coloro che soffrono, PG 46, 524BCD e l’importante analisi di questo testo in J.
Daniélou, Les tuniques depeau, pp. 359-362.
191 Massimo il Confessore, A Talassio, 61, PG 90, 628.
192 Cf. J. Daniélou, Platonisme et théologie mystique, pp. 58-59: «Aussi
aboutissons-nous à une conception de l’homme très particulière, inverse de
celle de la théologie occidentale. Dans celle-ci on nous présente un homme
“naturel”, à qui la gràce est surajoutée: par suite, le danger est celui d’un hu-
manisme fermé, qui exclut le surnaturel. Dans la perspective de Grégoire,
c’est l’inverse qui est vrai: ce qui est primitif, c’est “l’image de Dieu” et c’est
l’homme “naturel” qui est surajouté». Cf. ibid., anche la p. 50.
193 Agostino, Enchiridion sive de fide, spe et charitate, V ili, 27-IX, 29. Cf.
J. Rivière, Le dogme de la Rédemption chez saint Augustin, Paris 19333; T.J.
van Bavel, Recherches sur la Christologie de saint Augustin, Fribourg (Suisse)
1954; P. Bergauer, Des Jacobusbrief bei Augustinus und die damit verbundenen
Probleme der Rechtfertigungslehre, Wien 1962. E chiaro che la tesi di Duns
Scoto (cf. sopra, nota 51) è agli antipodi della tesi di sant’Agostino. Non ci in
teressa qui di esaminare fino a che punto la tesi del primo risulti conseguenza
124
inevitabile di quella del secondo. Crediamo tuttavia che entrambi questi autori
cadano nell’errore fondamentale di attribuire a Dio una intenzione impostagli
dal mondo creato. Questo errore può condurre alla disistima del mondo (qua
lora si voglia ammettere che il mondo, in quanto radicalmente impotente, si
trovi unilateralmente di fronte alla esclusiva e assoluta disponibilità di Dio) o
alla sopravvalutazione di esso (qualora il mondo si voglia considerare capace-
di imporre a Dio l’Incarnazione). Nel prosieguo del nostro lavoro mostriamo,
molto brevemente, le conseguenze cui conduce la disistima del mondo. Conse
guenza inevitabile della sopravvalutazione di esso è, crediamo, una concezione
secolarizzata sia dell’Incamazione (cristologia generalizzata), sia di Dio stesso.
Per le conseguenze cui porta questa concezione, si vedano, tra l’altro, anche i
seguenti testi: G. Vahanian, The Death ofGod. The Culture ofO ur Post-Chri-
stian Era, New York 1961; P.M. van Buren, The Secular Meaning o f thè
Gospel, New York, 1963; J.A.T. Robinson, Honest to God, London 1963; D.
Sòlle, Stellvertretung. Ein Kapitel Theologie nach dem «Tode Gottes», Stuttgart
1965; Th.J.J. Altizer, The Gospel o f Christian Atheism, Philadelphia 1966;
Th.J.J. Altizer, Towarda New Christianity, New York 1967, ecc.
194 Più propriamente avremmo dovuto dire: le arti, come noi oggi cono
sciamo questa realtà. Cf. sopra, nota 189.
195 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi, Omelia 29, 3, PG 53, 264;
cf. anche ibid., Omelia 20, 2, P G 53,168.
196 Giovanni Crisostomo, Le statue, Omelia 11, 4, P G 49, 124. Riteniamo
utile presentare ancora alcuni brani di quest’opera di Giovanni Crisostomo,
per rivelare con quanto discernimento ed entro quale luce i santi vedano le
molteplici funzioni della vita: « ... L ’aquila è dotata di ali leggere, ma io di
spongo di intelligenza e di altre capacità, tramite cui posso abbattere e sotto
mettere tutti gli animali... E, tra gli animali, alcuni sono più forti e altri più
belli; alcuni ci rallegrano, altri ci nutrono, altri ci vestono: il pavone, ad esem
pio, ci rallegra; le galline e i maiali ci nutrono, le pecore e le capre ci vestono,
mentre i buoi e gli asini ci aiutano. Ci sono poi alcuni animali che non hanno
tali utilità, ma sviluppano le nostre forze: le belve feroci, ad esempio, fanno ac
crescere la forza dei cacciatori... Inoltre, gli animali hanno le armi sul loro
corpo, come il bue ha le corna, il cinghiale ha i denti, il leone gli artigli; Dio,
invece, non ha dotato di armi la natura del mio corpo, ma le ha poste fuori di
esso, volendo significare che l’uomo è un animale mansueto, al quale le armi
non sono costantemente indispensabili: infatti, alcune volte le depongo, altre
le utilizzo...»: ibid., PG 49,125.
197 Cf. Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi, Omelia 29, 3, PG 53,
264; cf. Omelie sul Vangelo di Matteo, Omelia 49, 40 PG 58,501: «organizzare
la nostra vita per mezzo delle arti».
198 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi, Omelia 27, 1, PG 53, 240.
Su questa verità Giovanni Crisostomo torna ripetutamente: cf. Th. Zissis, Uo
mo e mondo nell’economia di Dio secondo Giovanni Crisostomo [in greco], Sa
lonicco 1971, pp. 133-188: sotto il titolo generale «Aggiunta di nuovi beni»,
sono qui esaminati gli innumerevoli doni che Dio ha elargito all’uomo dopo la
caduta (matrimonio, arti, mestieri, ecc.).
199 Giovanni Crisostomo, Commento al Salmo 8, PG 55,119.
125
200 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi, Omelia 29, 3, P G 53, 264-
265.
201 Giovanni Damasceno, he sacre immagini, 16, P G 9 4 ,1245C; cf. Massi
mo il Confessore, Capitoli sull’amore, 3, 4, PG 90, 1017CD: «Non sono un
male i cibi, ma la ghiottoneria; non la procreazione, ma la fornicazione; non i
soldi, ma l’avidità del denaro; non la gloria, ma la vanagloria. Se quindi è così,
nulla di male c’è tra le cose, all’infuori del cattivo uso di esse».
202 Giovanni Crisostomo, Le statue, Omelia 2, 5, P G 49, 42; cf. Id., Ome
lie sulla seconda Lettera ai Corinti, 19, 3, P G 61, 534: «Superfluo è ciò che si
ha oltre il necessario. Quando, non possedendo una determinata cosa, siamo
egualmente in grado di condurre una vita sana e dignitosa, vuol dire che l’otte
nimento di essa è superfluo». Cf. Th. Zissis, Uomo e mondo nell’economia di
Dio secondo Giovanni Crisostomo [in greco], Salonicco 1971, pp. 151-161.
203 Dopo la prima parte del libro (immagine di Dio) e la seconda (tuniche
di pelle), sarebbe naturale studiare la restaurazione delle tuniche di pelle in
funzioni della condizione di immagine e la loro trasformazione in sensazioni e
funzioni del Corpo di Cristo, che si può ottenere con l’ascesi, la preghiera e i
sacramenti. In altri termini, sarebbe più naturale studiare prima gli importan
ti argomenti patristici concernenti «le sensazioni spirituali» e la «inabitazione
di Cristo» nell’uomo, per poi affrontare l’argomento delle tuniche di pelle,
intese come ponte gettato dalla Chiesa verso la realtà del mondo. Poiché,
però, quest’ultimo argomento è d ’importanza cruciale ed è molto urgente per
il giorno d’oggi, abbiamo preferito anticiparne la trattazione. Lo studio degli
altri due argomenti è affrontato nei due saggi che seguono, ed è svolto in rife
rimento a due ambiti ben precisi della nostra tradizione. Un lavoro sintetico,
relativo all’intera tradizione patristica circa l’insegnamento dell 'immagine e
delle tuniche di pelle nel modo in cui esso è stato qui affrontato, resta ancora
da farsi.
204 Gregorio di Nissa, Il Cantico dei Cantici, Om. 11, PG 44, 1005A. Cf.
Id., A Placilla, PG 46, 889C: «H a indossato Cristo: questi è effettivamente
l’abito regale e onorevole». Quanto è stato detto sopra induce alla formulazio
ne della fondamentale considerazione secondo cui non è di per sé sufficiente il
corretto uso delle tuniche di pelle; piuttosto, occorre che esso contribuisca al
lo sviluppo delle stesse, perché solo così la vita semplicemente umana si eleva
a vita teantropica e conduce al Regno di Dio. I beni hanno lo scopo di condur
re a ciò che è realmente bene. In questa prospettiva, occorre segnalare come
san Giovanni Crisostomo completi il suo insegnamento concernente le arti,
definendo anche i loro limiti. Questo secondo aspetto dell’insegnamento cri-
sostomico deve essere preso in seria considerazione (cf. I. Lappas, L ’insegna
mento di san Giovanni Crisostomo concernente il lavoro, paragrafo: «Il limite
dell’arte» [in greco]).
205 Giustino, Apologia seconda a favore dei cristiani, 13, PG 6, 465C.
206 Abbiamo cercato di affrontare in modo più specifico alcuni degli argo
menti qui trattati nei seguenti lavori: Ortodossia e politica: tre presupposti biblici
[in greco], in Testimonianza di Ortodossia, Atene 1971; Uomo e teantropo [in
greco], in «Klironomia», 3 (1971), pp. 111-124; I giovani e iproblemi dell’Orto
126
dossia [in greco], Atene 1971 (estratto); La pietra della Tomba {Studio sull’espe
rienza personale della Risurrezione di Cristo) [in greco], in Christianikòn Sympo-
sion, Atene 1972 (estratto); Il Santo e Grande Sinodo della Chiesa Ortodossa.
Considerazioni su una sua preparazione e visualizzazione [in greco], Salonicco
1972; La Madre di Dio e l’umanesimo teocentrico [in greco], Salonicco 1973
(estratto); La Morte di Dio e la risunezione dell’uomo [in greco], Atene 1975
(estratto); Per un ecumenismo ortodosso. Introduzione all’opera omonima di D.
Staniloae [in greco], Pireo 1976; La dottrina cristiana ortodossa riguardo all’in
segnamento della religione [in greco], Atene 1977 (estratto); Sacerdoce royal. Es
sai sur le problème du laìcat, in «Klironomia», 8 (1976), pp. 149-162; Les chré-
tiens dans un monde en création, in «Contacts», 99 (1977), pp. 198-217; L ’Égli-
se dans un monde en mutation, in «Contacts», 103 (1978), pp. 231-236; Témoi-
gnage et Service. Propositions pour un congrès, in «Service Orthodoxe de Pres
se», 36 (1979), pp. 15-17; Il contesto tecnologico occidentale della vita e la Chie
sa Ortodossa [in greco], in «Epoptéia», 38 (1979), pp. 713-719.
LA VITA SPIRITUALE IN CRISTO
Studio sull’antropologia cristocentrica
di Nicola Cabasilas
Tutta l’opera di Nicola Cabasilas ha per argomento la vita
spirituale. Ciò che rende particolarmente interessanti i testi di
questo mistico bizantino è che, contrariamente alla gran parte di
analoghi testi patristici, essi non descrivono le varie tappe della
vita spirituale né trattano dei metodi e dei mezzi (pentimento,
ascesi, purificazione, ecc.) tramite cui essa si ottiene, bensì, dan
do per scontata la conoscenza di tutto ciò, studiano la natura
stessa della vita spirituale.
Cabasilas, infatti, esaminando il significato della vita sacra
mentale, eucaristica e ascetica (ne La vita in Cristo e Spiegazione
della Santa Liturgia), il significato della devozione alla Vergine
(nelle sue omelie Sulla Madre di Dio) nonché il significato della
vita di alcuni illustri santi, di alcune festività centrali della Chiesa
e di determinate funzioni importanti della vita sociale (nelle ri
manenti omelie), presenta la struttura cristologica ed ecclesiolo
gica della vita spirituale in Cristo. Da questo punto di vista, il
suo contributo alla teologia ortodossa fa progredire Vantropolo
gia cristologica.
Di conseguenza, uno studio analitico dell’insegnamento mi
stico di questo teologo bizantino potrebbe intitolarsi: La vita spi
rituale in Cristo secondo Nicola Cabasilas (Contributo a una an
tropologia ortodossa in Cristo). Come schema generale, lo studio
in questione si potrebbe dispiegare nei seguenti capitoli: 1 . 1 pre
supposti della vita spirituale (La salvezza in Cristo); II. La natura
della vita spirituale (La vita in Cristo); III. 11attuazione della vita
spirituale (La cristificazione dell’uomo mediante la comunione
con Cristo); IV. I frutti della vita spirituale (La trasformazione
131
del creato in Chiesa, nel suo essere in Cristo): una concisa sintesi
di tale studio è offerta nelle pagine che seguono (43).
I.
I PRESUPPOSTI DELLA VITA SPIRITUALE
132
ne del Nostro Signore, e che, durante la Pentecoste, è stata data
agli uomini nella carne di Cristo: la Chiesa. Come abbiamo visto
esaurientemente, prima della caduta l’uomo aveva il compito di
rendersi degno di ricevere l’unione ipostatica, riconoscendovi il
suo vero essere e la pienezza della sua vita spirituale.
Con la caduta, la distanza e la differenza esistenti tra la na
tura umana e quella divina hanno assunto dimensioni drammati
che. L’uomo, preferendo vivere non in base alla vita che il soffio
di Dio gli donava, ma in modo autonomo, diede esistenza e vita
al peccato, che è per sostanza inesistente.
Conseguenza inevitabile di questa autonomia, che costitui
sce la radice del peccato, sono le azioni peccaminose, che, secon
do Cabasilas, celano dentro di sé due elementi: l’azione stessa e il
trauma (536A-537B). L’azione peccaminosa produce il trauma-
patimento; quest’ultimo va fortemente in cerca della consolazio
ne del piacere, che, a sua volta, è risultato dell’atto peccaminoso.
Così si crea l’abitudine (héxis) del peccare, che riveste l’uomo a
mo’ di seconda natura. In quanto seconda natura, il peccato av
volge l’uomo con le sue tenebre, lo inabissa nelle profondità
delYoblio (413C), lo rende invisibile (Θ 64). L’immagine si offu
sca, l’aspetto e la forma specifica dell’uomo si corrompono e, se
condo l’espressione di Cabasilas stesso, la natura umana decade
«a mo’ di materia senza aspetto e senza form a» (537D).
Il susseguirsi delle azioni peccaminose (necessità e soddisfa
zione di esse col ricorso al peccato; passioni, e soddisfazione di
esse col ricorso al piacere) instaura una certa concatenazione di
avvenimenti nel mondo esteriore e di sensazioni nell’uomo, che
danno l’impressione di essere vita, mentre in realtà null’altro so
no se non occultamento della mancanza del reale vivere. E que
sta è la morte spirituale: «Ecco come il peccato risulta senza fine:
l’abitudine genera le azioni peccaminose, e l’accumularsi di que
ste fa crescere l’abitudine. In questi due mali, che causano vicen
devolmente il loro accrescimento, “il peccato vive mentre io so
no morto”» (536B) (44).
Tuttavia questa impressione di vivere, di cui stiamo parlan
do, non è pura e semplice invenzione. Anche dopo la caduta, la
(44) Cf.: «Il peccato era in vita, e non poteva sorgere per noi la vita e
na» (513 A).
133
«materia» umana in quanto tale ha continuato ad essere organiz
zata e viva, animata e razionale, perché così l’ha creata Dio: e
nessuno è in grado di distruggere ciò che Dio crea. In questo
senso, l’uomo seguita ad essere reale, a vivere, a muoversi, a
creare nell’universo. Ma la sua vita e il suo agire non sono più
che funzioni biologiche. Le sue «potenzialità di vivere», di cui
era stato dotato e che fino a un certo punto erano spirituali, si
materializzarono, s’imprigionarono nella materialità e, anziché
elevarsi a «sensazioni spirituali», decaddero a semplici funzioni
biologiche psicosomatiche, a «tuniche di pelle». Così, quando
sopravviene la stanchezza fisiologica e il ciclo biologico dell’or
ganismo umano si conclude, il corpo smette di alimentarsi e di
respirare - funzioni, queste, tramite cui si conservava in questa
vita corruttibile -, si in-abilita a sostenere l’uomo e muore. E
questa è la morte naturale (45).
Da quanto abbiamo detto risulta chiaramente che le realtà
che separano l’uomo da Dio e che ostacolano la vita spirituale
sono tre: la natura, il peccato e la morte.
Tutte queste realtà, però, «sono state successivamente elimi
nate dal Signore: la natura è stata eliminata con la Sua partecipa
zione alla vita, il peccato è stato eliminato con la Sua morte sulla
croce e, per quanto riguarda il terzo impedimento, egli eliminò del
tutto la tirannide della morte con la Sua risurrezione» (572CD). E
così, «una volta eliminati tutti questi impedimenti, nulla più impe
diva che lo Spirito Santo si riversasse su ogni carne» (572C).
Il modo con cui Cristo ha vinto questi tre impedimenti, co
me pure il significato che ha questa vittoria per la manifestazione
della vera natura dell’uomo, del suo reale vivere e delle sue di
mensioni reali, sono studiati da Cabasilas in modo approfondito
ed esauriente:
Con la nascita della «carne beata» del Signore si compie
l’unione delle due nature fino ad allora «disunite», è abrogata la
134
distanza che le separa, dato che la comune Ipostasi «annulla la
distanza che separa il divino dall’umano, essendo essa termine
comune di entrambe le nature» (572B), ed è eliminata anche la
differenza delle nature, dal momento che Cristo, con la sua na
scita, «congiunse alla sua natura l’intero genere umano» (681A).
L’unione ipostatica (46) ricrea l’uomo e completa il suo essere
iconico anteriore alla caduta. Perciò, il concepimento della «car
ne beata» del Signore inaugura la nuova ontologia dell’uomo, e
Cristo si rivela come il reale genitore della nuova umanità.
Mediante la sua santa esistenza, la sua attività filantropica e i
suoi miracoli soprannaturali, Gesù Dio-uomo rivela Dio al mon
do, poiché è Dio che opera, e, contemporaneamente, rivela la ve
ra natura dell’uomo, poiché tutte le sue azioni si compiono me
diante la sua natura umana creata.
Con la passione, le piaghe e il sacrificio sulla croce della beata
carne del Signore, il peccato e il dominio del diavolo sull’uomo
sono annientati, la natura umana si libera dalla sua avversione a
Dio e dalla schiavitù al diavolo, è guarita e restituita alla sua bel
lezza primigenia, è redenta. Le piaghe del Signore si trasformano
in suoi medicamenti: «D a quando (Cristo) s’innalzò sulla croce e
morì e risuscitò, fu restituita la libertà agli uomini e si ristabiliro
no la sua forma e la sua bellezza» (537C).
Con la risurrezione della beata carne del Signore, la natura
umana è stata liberata dalla schiavitù della corruzione e dalla
morte. Con la sua nascita, il Signore prese su di sé la corruzione
iniziatasi con Adamo, e proprio per questo morì (680B). La mor
te del Signore non è solo conseguenza della crocifissione; essa
costituisce il fine ultimo dell’incarnazione. Nel soccombere,
però, insieme con la natura umana da lui assunta e tramite di es
sa alla morte, il Lògos ha rigenerato l’uomo e lo ha reso incorrut
tibile. Come la natura umana è stata redenta sulla croce dal pec
cato con il sangue del Signore, così pure con la deposizione nella
tomba delle tuniche di pelle, vale a dire della condizione morta
le, l’uomo è stato purificato dalla condizione mortale in modo or
ganico. Ché, con la sua sepoltura di tre giorni, il Signore pagò
letteralmente alla terra il debito di Adamo, restituì ciò che con la
sua caduta questi ne aveva tratto: la «carne offuscata» (493B), le
135
tuniche di pelle, la sua complessione e struttura biologica. E
rifondendo la natura umana a mo’ di «statua» (540C) distrutta e
corrotta, Cristo l’ha risuscitata nuova, spirituale, incorruttibile.
Con la sua risurrezione, il corpo realmente umano di Gesù si è
reso e si è manifestato «corpo immortale» (645D) e « spirituale»
(645C), libero dalle limitazioni spaziotemporali, naturalmente
dotato di nuove sensazioni e funzioni spirituali: «Fin dall’origine
la natura bramava l’immortalità. Questa però sopraggiunse po
steriormente, con l’incarnazione di Nostro Signore: con la risur
rezione del suo corpo alla vita eterna, egli diede inizio all’immor
talità del genere umano» (680C).
Così, la risurrezione della beata carne del Signore, in cui
funzionano le nuove sensazioni spirituali teandriche (la vista spi
rituale, il sapore spirituale, l’udito spirituale, ecc.), forma il nuo
vo «modello» dell’umanità. La risuscitata beata carne del Signo
re costituisce la realizzazione e rivelazione dell’uomo perfetto,
del Diouomo: «Primo e solo il nostro Salvatore ha rivelato, me
diante tutta la sua vita, qual è il vero e perfetto uomo» (680C).
Pertanto, la beata carne del Signore è precisamente la Chie
sa. Con la venuta dello Spirito, infatti, il «Corpo dominicale» è
stato rivelato come Chiesa e, da allora, costituisce lo spazio entro
cui è vissuta da parte dei fedeli la nuova vita spirituale ed entro
cui si concretizza la salvezza. In questo organismo del Corpo do
minicale, la vita spirituale del Capo raggiunge tutte le membra e
le vivifica. In questo senso, la formazione defla Chiesa costituisce
il secondo presupposto della vita spirituale, e la Chiesa si mani
festa come la seconda dimensione della salvezza. Cristo non è
semplicemente un redentore che, dopo aver redento gli uomini,
li abbandona poi a se stessi, affidando loro il suo sapiente inse
gnamento: molto più radicalmente, egli crea per gli uomini uno
spazio di azione nuovo. E questo spazio è il Suo corpo.
136
II.
L a NATURA DELLA VITA SPIRITUALE
137
cativo che san Paolo chiami questo uomo «psichico» ( 1 Cor 2,
14). Dal punto di vista ontologico, questa constatazione significa
che l’uomo non può considerarsi completo e vero, e ciò perché
l’unione dell’uomo con Dio non è qualcosa di complementare,
bensì un elemento costitutivo dell’uomo: rappresenta l’elemento
fondamentale del suo essere. L’uomo, per essere veramente uo
mo, deve diventare ciò per cui egli è stato plasmato.
Cabasilas sostiene in modo categorico che l’uomo è stato
creato a immagine di Cristo. Cristo è veramente «generato prima
di ogni creatura» (Col 1, 15), l’Archetipo e la Finalità di Adamo
(680AB). La natura umana è stata creata a immagine di Cristo,
affinché il Lògos potesse riceverne la Madre e potesse introdursi
come uomo nell’universo (Θ 150-152), e Dio divenisse realmente
Diouomo e, per grazia e partecipazione, anche l’uomo divenisse
diouomo. E questi è effettivamente l’uomo compiuto.
Adamo è stato il «modello» naturale dei suoi discendenti.
Con la loro nascita biologica, gli uomini portano le sembianze
adamiche, l’aspetto, la vita, le funzioni biologiche psicosomati
che di Adamo. Col suo divenire uomo, con la sua sepoltura e ri
surrezione, il Lògos demiurgo rifuse e rimodellò in sé il modello
adamico, plasmò un nuovo «modello» spirituale d’uomo. Egli fu
il Nuovo Adamo, il Genitore nuovo dell’umanità, il Padre del se
colo futuro (541A): «Quello (Adamo) introdusse la vita imper
fetta, che necessita di mille aiuti, mentre questi (Cristo) divenne
per gli uomini il Padre di vita immortale» (680C).
Cabasilas paragona la vita presente con la «vita nell’oscurità
e nella notte» che conduce l’embrione nel ventre materno, pre
parandosi alla nascita: «Come infatti la natura prepara l’embrio
ne, che vive nell’oscurità e nella notte, per una vita alla luce, e, in
base a leggi stabilite, esso è formato per ricevere la vita futura,
così pure accade anche nei confronti dei santi... Questo mondo
gestisce nelle doglie l’uomo interiore e nuovo, che è formato in
base ai comandamenti di Dio, e, dopo essere in questo mondo
plasmato e formato, egli nasce perfetto in quel mondo perfetto e
imperituro. E questo è quel che san Paolo dice nella sua lettera
ai Galati (4, 19): “Figli miei, per i quali io soffro di nuovo i dolo
ri del parto, finché non sia formato in voi il Cristo”» (496BC).
Questa vita costituisce «l’inizio della vita futura»; qui avviene
« l’approvvigionamento delle nuove membra e delle nuove sensa
138
zioni» e « la preparazione alla vita futura». E questa preparazione
non può realizzarsi se non con il nostro amalgamarci al Corpo di
Cristo, appropriandoci del suo modo di vita e delle sue sensazio
ni e funzioni: «Come non è possibile condurre questa vita uma
na senza far ricorso alle sensazioni di Adamo e alle sue potenzia
lità di vita propriamente umane, così pure non sarà a noi possi
bile partecipare alla vita beata, senza essere preventivamente
preparati alla vita di Cristo e formati a sua immagine»
(541 A) (47).
Questa constatazione rivela che il vero uomo nasce con la
sua nascita in Cristo, che la nascita biologica costituisce prepara
zione della reale nascita di Cristo. Quest’ultima è di molto supe
riore alla prima, perché genera l’uomo in una vita ed esistenza
unite con Dio, rendendolo effettivamente uomo vero. Abbiamo
già riscontrato questo insegnamento presso san Massimo il Con
fessore. Nicola Cabasilas lo ribadisce, sottolineandolo e spiegan
dolo.
139
tosto che comunione è separazione... Parimenti, non si può dire
che uno coabita nella stessa casa con un altro, se poi non condi
vide lo stesso tetto». La comunione con i genitori naturali è una
forma iconica di comunione; comunione reale, invece, è solo la
comunione con Cristo, «con il quale e il corpo e il sangue e tutte
le membra sono perennemente comuni». Cristo non ci ha dato la
vita per poi separarsi da noi, come avviene con i nostri genitori,
«ma è sempre presente in noi e unito con noi; e le sue azioni vi
vificanti e costitutive si esplicano propriamente col Suo essere
presente in noi» (600A-604A) (48).
In questo modo avviene la meravigliosa sintesi secondo cui
l’uomo è persona individuale e libera e, nel contempo, membro
indivisibile del Corpo di Cristo, che funziona con le funzioni di
Cristo: «Nulla desiderano i santi che non sia ciò che è Lui stesso.
Egli è infatti colui c le li genera e li fa crescere e li nutre, ed è per
loro luce e respiro; Egli forma i loro occhi e li illumina e li rende
capaci di vederlo. Egli è Colui che nutre ed è il Nutrimento, è
Colui che offre il Pane della Vita ed è il Pane offerto. Egli è Vita
per coloro che vivono, Profumo per coloro che respirano, Abito
per coloro che desiderano essere vestiti» (500BCD) (49).
(48) Quando citiamo lunghi brani di Cabasilas, ne diamo il rinvio alla fine
di essi.
(49) Riportiamo anche il seguito del brano: «Mediante Lui, noi possiamo
camminare, Egli è la Via e, nel contempo, il percorso e la meta. Noi siamo le
membra, Egli è la Testa; nella nostra lotta, Egli combatte accanto a noi, dei
nostri progressi Egli è l’Àrbitro, della nostra vittoria, Egli è la Corona. Sicché,
ogni realtà ritorna a lui: Egli non permette a nessuna cosa di distogliere la no
stra mente né di distrarre il nostro amore da lui stesso. Dovunque noi indiriz
ziamo il nostro desiderio, ci troviamo lui davanti a soddisfarcelo; e se ci vol
gessimo altrove, Lo troveremmo anche lì a riempire quest’altra via. Se salgo al
cielo - dice il salmista [Sai 138, 8-10] - là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti»
(500D-501A).
140
terrà viva l’esistenza umana nella vita eterna. Se noi siamo privi
di questo organismo e di queste facoltà sensitive, con quali occhi
- chiede Cabasilas - vedremo il Sole di giustizia che splenderà
nel secolo futuro? Come parteciperemo alla mensa che sarà of
ferta? In questo caso, l’esistenza umana sarà morta: «Morti e mi
serabili abiteremo in quel mondo beato» (496A).
E per sottolineare con maggior incisività la realtà del legame
di Cristo con il credente, egli scrive che questa unione è superio
re a ogni altra unione immaginabile, e non può esprimersi con
nessun paragone. Ecco perché la Sacra Scrittura fa ricorso a più
paragoni. Il legame di Cristo con il credente è più stretto di quel
lo esistente tra l’affittuario di una casa con la casa stessa, tra la
vite e il grappolo, tra l’uomo e la donna sposati, tra il corpo e le
membra del corpo. Quest’ultimo paragone è stato reso manife
sto dai martiri, i quali preferirono farsi privare della loro testa
piuttosto che di Cristo. E Paolo, dal canto suo, preferendo esse
re scomunicato purché ne tornasse gloria a Dio, ha mostrato che
il vero fedele tiene maggiormente all’unione con Cristo piuttosto
che con se stesso (500A).
È questa comunione di Cristo con l’uomo che libera
quest’ultimo dalla vita e dall’esistenza inermi, dalla deformità,
dall’ invisibilità e daH’ignoranza. Questo presupposto è degno di
attenzione. Affrontando le cose dall’angolazione di Dio, Cabasi
las non esita a sostenere che Dio «conosce le proprie cose», e
cioè che il Padre conosce il Figlio e che appartiene a questi. Ciò
che non esiste in Cristo, non è «manifesto né noto a Dio». Ma
ciò che è ignoto a Dio è oggettivamente ignoto, non esiste davve
ro: «Nulla fa parte della verità, se non è manifesto alla luce di
Lui» (525BC).
Con il battesimo, la cresima, la santa Eucaristia e tutte le al
tre forme di vita spirituale, noi ci amalgamiamo con il Corpo di
Cristo, assumiamo l’essere cristiano, vale a dire l’essere cristo
centrico e cristomorfico, con le corrispettive forma e vita. In
questo modo, «il Padre... riconosce nei nostri volti lo stesso Vol
to del Figlio» e «riconosce in noi le membra del Figlio Unigeni
to» (600B). Così, «essendo noi conosciuti... da Colui che cono
sce le proprie cose» (525B), daU’invisibilità e dall’oscurità del
l’oblìo {lethè) usciamo alla luce della verità {a-lètheia). L’uomo
«si trasforma in luce, essendo anteriormente tenebre; ed esiste,
141
nulla essendo·, e prende dimestichezza con Dio e diventa figlio di
Dio, elevandosi, dalla condizione di schiavitù, al trono regale»
(532 A).
Il titolo dell’opera fondamentale di Cabasilas non è casuale.
Per il teologo bizantino, la vita spirituale è precisamente la vita
in Cristo, ovvero la vita di Cristo dentro di noi. La sostanza della
vita spirituale è resa con chiarezza con le parole di Paolo {G al i ,
20) se prese alla lettera: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vi
ve in me».
Da quanto è stato detto sopra, risulta chiaro che la verità
dell’uomo consiste nel suo teomorfismo o, più precisamente, nel
suo cristomorfismo e nella sua cristocentricità. Di conseguenza,
l’antropologia ortodossa deve cercare di strutturarsi mirando
non solo alla sostanza, ma anche al metodo e alla forma, nella
prospettiva di un’antropologia cristologica. L’antropologia cri
stiana ortodossa è letteralmente una teoantropologia.
III.
L ’ a t t u a z io n e d e l l a v it a s p ir it u a l e
142
quanto tale, una nuova creazione dell’uomo. Questa nuova crea
zione, però, non è una creazione ex nihilo né, come avviene nei
confronti del primo uomo, una creazione col ricorso alla materia
preesistente, bensì col ricorso al préesistente essere biologico
dell’uomo.
Come abbiamo visto, rimanendo al di fuori di Cristo, l’esse
re biologico dell’uomo, l’uomo biologico, resta senza «forma» e
senza «nome»: è materia «amorfa». Spiega questo antropologo
bizantino: quando l’oro e il rame sono versati nel crogiuolo, essi
sono ripuliti delle diverse impurità e, una volta versati nello
stampo, assumono la forma di gioiello o di moneta o di statua:
diventano proprio ciò che erano predisposti a divenire, e solo al
lora è loro attribuito il nome di ciò che essi sono divenuti. Ante
riormente a questo procedimento, essi avevano il nome generico
di materia. In modo analogo, l’uomo è immerso nell’acqua del
battesimo a mo’ di «materia senza forma e senza aspetto» e ne
emerge con addosso «l’aspetto bello» di Cristo: «Siamo plasmati
e modellati, e la nostra vita senza forma e indefinita assume for
ma e aspetto» (525A.537D).
143
corpo di Cristo non avviene mediante la distruzione delle prime,
ma mediante la loro trasformazione. Cristo, spiega Cabasilas, s’in
troduce in noi in modo reale, corporeo, attraverso le funzioni bio
logiche «tramite cui, respirando e alimentandosi, soccorriamo la
vita del corpo» (520A). Cristo fa sua («si appropria» di) queste
funzioni, si amalgama e si mescola inconfondibilmente ma real
mente con tutte le nostre facoltà psicosomatiche (520A) e, in que
sta naturale e mistica mescolanza e sotto l’influenza attiva della
sua carne risuscitata, trasforma gli elementi, rigenera e rinnova le
nostre funzioni psicosomatiche in funzioni del suo corpo: «Tra le
forze, quelle superiori impediscono alle inferiori di raggiungere il
loro livello: il ferro trattato col fuoco non conserva nulla di ferro, e
la terra e l’acqua trasformano le loro proprietà in proprietà del
fuoco, quando si espongono ad esso. Se dunque nelle forze della
medesima natura quelle più potenti si comportano così nei con
fronti di quelle più deboli, cosa bisogna dire nei confronti di Colui
che è al di sopra della natura? È evidente che, quando Cristo si ri
versa su di noi e si mescola con noi, egli muta e trasforma la nostra
indole nella sua a mo’ di una goccia d’acqua inondata da uno
sconfinato pelago di profumo» (593C). E in un altro punto egli di
ce: «Essendo mescolato e totalmente amalgamato con noi, Cristo
ci trasforma in suo corpo e diviene per noi ciò che è la testa nei
confronti delle membra» (520A). «E anima e corpo e tutte le fa
coltà spirituali sono confuse: l’anima con l’anima, il corpo con il
corpo, il sangue con il sangue. E qual è il risultato? Ciò che è su
periore domina su ciò che è inferiore; le facoltà divine, quindi, do
minano sulle facoltà umane; e, come dice san Paolo parlando della
risurrezione, “ciò che è mortale è assorbito dalla vita” e “Non so
no già più io che vivo, ma Cristo vive in me”» (584D).
Quest’ultima frase dell’Apostolo, cui Cabasilas attribuisce
un’importanza particolare, mostra che il rinnovamento e la tra
sformazione dell’uomo nel battesimo non è solo trasformazione
della sua natura, delle sue dimensioni e funzioni fisiche, ma an
che rinnovamento della persona umana. Nella sua totalità, l’uo
mo, che è natura e persona, è rigenerato e, in quanto tale, ricrea
to. L’uomo è rigenerato spiritualmente «non secondo il san
gue,... né per volontà d’uomo, ma dallo Spirito Santo di Dio»
(601D). Nell’amalgamarsi con Cristo, l’essere biologico dell’uo
mo trova la sua vera ipostasi spirituale.
144
La natura umana creata, entro cui si struttura la persona
umana e senza cui questa non è concepibile, si trasforma iposta-
ticamente in Cristo e trova la sua verità, integrità, salute e la sua
vera e totale infinita funzionalità. Parimenti, la persona umana
creata, entro cui si concretizza la natura umana e senza cui que
sta non è concepibile, si trasforma in Cristo e trova la sua eterna
vera ipostasi in Cristo, il quale è l’unico «essere ipostatico»
dell’uomo (533D). In questo modo, Cristo diviene entro l’uomo
letteralmente («in verità», non come si suol dire con una certa
esagerazione tra amici) un altro se stesso (665A).
Il battesimo ha una molteplice funzionalità: esso purifica
l’uomo dai suoi peccati personali, lo libera dalle catene costruite
per il genere umano dal peccato originale e, ancor più radical
mente, gli dà un essere ipostatico in Cristo·, il che causa l’elargi
zione di tutti gli altri doni di questo sacramento. Il battesimo co
stituisce per l’uomo un avvenimento ontologico, plasma di nuovo
e completa il suo essere creato. Perciò esso costituisce il punto di
partenza di ogni accostamento ortodosso alla problematica
dell’ontologia umana. Il battesimo è, quindi, la «radice», la «fon
te» e il «fondamento» della vita spirituale.
145
(569C-572A). Con la sua incarnazione, il Lògos ha unto (51)
l’umanità con la divinità.
Lo Spirito Santo s’introduce attualmente nell’umanità non
come durante la prima creazione, ma in modo personale: «Sta
scritto: Egli allora soffiò un soffio di vita; ora invece Egli ci co
munica il soffio dello Spirito». Si tratta dello Spirito che muove e
vivifica la beata carne del Signore e si riversa su ogni uomo rige
nerato, che pone la sua finalità in Cristo: Dio mandò lo Spirito
del Figlio suo nei nostri cuori, il quale grida: “Abbai, Padre!”»
(617B). Il sacramento della sacra unzione costituisce la Penteco
ste di ogni singolo uomo.
Nell’amministrazione di questo sacramento, lo Spirito atti
vizza e vivifica le nuove funzioni in Cristo dell’uomo: «Essa
(l’Unzione) rende operanti le energie attive - a chi questa, a chi
quest’altra, a chi più energie - in base alla preparazione che cia
scuno ha nei confronti di questo sacramento» (569A). Si tratta
dei doni dello Spirito, che nei primi anni del cristianesimo erano
trasmessi ai battezzati con l’imposizione delle mani da parte de
gli apostoli e che ora si concedono mediante il santo Unguento,
e tramite cui la Chiesa si organizza sotto lo slancio divino. Si
tratta inoltre delle virtù, che sono riflessi degli splendori divini,
dei frutti delle operazioni dello Spirito, trasmesse da questo sa
cramento agli uomini. Così, i doni, come pure le virtù, si posso
no intendere a mo’ di modo nuovo e trasformato, con cui opera
no le sensazioni e funzioni psicosomatiche dell’uomo, per coloro
che pongono come finalità Cristo e si lasciano guidare dallo Spi
rito. «Si tratta di virtù divine e superiori alla legge umana, poiché
Dio le muove» (576B).
146
(Cristo) risuscitato... il benefattore stesso e la nuova arca, che dà
inizio al ciclo di grazie» (581 A).
«Ciclo di grazie» chiama Cabasilas il ciclo liturgico e sacra
mentale, l’organizzazione intera della vita della Chiesa, intera co
me Corpo di Cristo. E, in verità, il Corpo di Cristo - più giusta
mente: Cristo intero, il Lògos con la carne da lui assunta, insieme
con tutte le opere da lui compiute -, esiste e si offre nell’Eucari
stia: «(Nell’Eucaristia) noi non riceviamo parte di Lui, ma Lo rice
viamo tutto intero» (584D). Perciò l’Eucaristia «rende perfetti
anche gli altri sacramenti» (585B).
L’Eucaristia è il centro e la fonte della vita spirituale in Cri
sto. Qui l’unione con Cristo è totale e completa. L’uomo intero,
in tutte le sue dimensioni e con tutte le sue funzioni e sensazioni
psicosomatiche, si unisce in una profonda unione con Cristo, si
trasforma e si cristifica·. «Questo è il tanto celebrato Matrimonio,
in cui il santissimo Sposo prende la Chiesa come una vergine
sposa... Di questo Sposo noi siamo carne dalla carne e ossa dalle
sue ossa» (593D). La santa Eucaristia rende «Cristo un nostro
bene, da prediligere sopra ogni altro bene naturale» (616C).
«Quale magnifico sacramento! La Mente divina sovrasta la men
te umana, la nostra volontà si rende Volontà divina, la terra è do
mata dal fuoco» (585A).
La cristificazione dell’uomo non è una semplice illusione,
che il fedele produce a proprio beneficio. L’uomo non è come se
divenisse membro di Cristo: lo diviene realmente. Cabasilas por
ta come esempio Paolo, presso il quale tutte le funzioni umane
sono state trasformate in funzioni di Cristo: «Infatti, “noi posse
diamo il pensiero di Cristo”, dice l’Apostolo ( 1 Cor 2, 16), e “voi
volete la prova che in me parla Cristo” (2 Cor 13, 3), e “credo di
avere anch’io lo Spirito di Dio” (1 Cor 7, 40), e “io vi amo tutti
nel cuore di Cristo Gesù” (FU 1, 8) e, sintetizzando in una sola
frase, “Non sono già più io che vivo, ma Cristo vive in me” [Gal
2 ,2 0 ]» (585A).
Cabasilas cerca di descrivere e spiegare in chiave fisiologica
questa trasformazione, che egli chiama anche «cambiamento»
(716A). Nell’mterpretare la celebre espressione «colui che man
gia di me vivrà per me» (Gv 6, 57), egli ammette che l’uomo, es
sendo un essere superiore, può assimilare il pane, il pesce e qual
siasi altro cibo mangiato; ma questi cibi, egli soggiunge ispiran
147
dosi ancora a san Massimo il Confessore, non hanno di per sé la
vita e, quindi, non possono vivificare. Essi danno semplicemente
rimpressione di offrire la vita, perché alimentano provvisoria
mente il corpo, ma, in realtà, concedono al corpo una banale so-
Ejrawivenza, che soccombe alla corruzione ed è orientata verso
a morte. Invece, egli continua, il pane dell’Eucaristia, Cristo, è
veramente vivo, e perciò può offrire realmente la vita. Anzi, es
sendo assolutamente superiore, egli stesso non è trasformato
quando si offre cibo all’uomo, bensì trasforma l’uomo in ciò che
Egli è: «Qualsiasi cibo - pane o pesce o altro -, quando è man
giato dall’uomo, si trasforma in sangue umano; nell’Eucaristia,
invece, accade il contrario; il Pane stesso della vita muove colui
che lo riceve trasformandolo in se stesso» (597AB). Così l’uomo
è realmente un membro del Corpo di Cristo, che trae alimento e
vita dalla Testa: «Perché occorre che dalla testa si passi al corpo»
(520A). Questa analisi rende chiaro il senso letterale dell’espres
sione summenzionata di Paolo. Esse infatti mostrano con chia
rezza l’asse centrale intorno alla quale ruota l’antropologia di
Cabasilas (52).
Ma la santa Eucaristia ha anche una dimensione più genera
le: una dimensione cosmica. Essa trasforma non solo l’uomo ma
anche le dimensioni dell’universo. Secondo Cabasilas, l’Eucari
stia costituisce l’ultima realtà, la finalità (il télos) degli enti, lo
148
scopo della vita terrena e il contenuto di quella celeste, la tra
sformazione della storia. Il tempo dell’Eucaristia unifica il passa
to^ il presente e il futuro, rivela e attivizza realmente nella quoti
dianità l’eternità. Lo spazio dell’Eucaristia è spazio del Regno
celeste, la vera patria dei cristiani.
In quanto assemblea dei cristiani attorno all’altare, l’Eucari
stia costituisce la ricostituzione dell’antica sede del paradiso. In
quanto piena comunione dei credenti con il loro Dio e tra loro
stessi, l’Eucaristia completa questa sede, unifica assolutamente
l’umanità rendendola Corpo di Dio. In quanto sacrificio e offerta,
essa crea di nuovo e perfeziona il rapporto anteriore alla caduta
esistente tra l’uomo e il creato. Le creazioni, che costituiscono la
ricchezza dell’uomo, sono da questi offerte con amore a Dio. In
questo modo, il creato diviene il tramite che unisce l’uomo con
Dio. La materia si colma di Spirito e la vita spirituale funziona
nell’Eucaristia con compiutezza. Tutto ciò si verifica perché l’Eu
caristia è il Cristo, che costituisce il passato, il presente e il futuro
dei santi, il reale passato, presente e futuro del mondo.
La santa Eucaristia, tanto in quanto funzione che come atto
di trasformazione del pane e del vino in Corpo e Sangue di Cri
sto, come pure in quanto comunione dei fedeli con questo Cor
po e con questo Sangue, rappresenta e riattivizza nel presente ciò
che per la salvezza dell’uomo Cristo ha compiuto nel passato - la
sua nascita e la sua vita, la passione, la morte, la risurrezione,
l’assunzione in cielo, l’invio dello Spirito: «Il tempo presente
(dell’Eucaristia) rappresenta il tempo passato (della vita di Ge
sù)». Così, la funzione dell’Eucaristia rende per noi presenti gli
avvenimenti passati e futuri della nostra storia sacra, e la nostra
partecipazione ad essa ci toglie fuori dal movimento circolare e
ci introduce nel nuovo tempo della Chiesa, in cui l’eterno s’inse
risce nel tempo e funziona come un perenne presente.
H corpo storico di Cristo, così come ha vissuto, è morto ed è
risuscitato, così come splende glorioso alla destra del Padre, è
realmente presente sul santo altare e si offre ai fedeli come ci
bo (53). Cibandosi di questo, i fedeli si rendono membra di que-
149
sto corpo e, quindi, contemporanei del Gesù storico e partecipi
fin da ora dei beni eterni. Questo corpo eucaristico è il corpo della
Chiesa, il corpo dei fedeli, la salvezza del creato, la gloria di Dio e
degli uomini, la libertà, la gioia e il nutrimento dei santi. Questo
corpo, in quanto Eucaristia e comunione, in quanto corpo di Cri
sto e corpo dei fedeli, è il vero Spazio e il vero Tempo della Chie
sa: in esso noi viviamo e ci muoviamo e siamo (54).
150
Per «uomo» si intende fondamentalmente colui che pensa e
colui che vuole. Di conseguenza, non è possibile che l’uomo pos
sa considerarsi unito con Cristo, senza che queste più elevate
funzioni di pensiero e di volontà risultino unite con Lui: se que
sto non accade, l’uomo continua ad essere «membro» e «figlio»
di Dio, dato che comunica con Lui nel corpo e nel sangue, ma lo
è in modo «mimico» e «inerte» (641D). Viceversa, qualora il
151
amalgamarsi con noi, rendendoci templi suoi e sue mem
bra? (56).
(56) «Una volta che mente e anima si sono resi conto di queste realtà,
è facile a loro rivolgersi verso un altro pensiero o verso un altro desiderio: ché
quelle realtà sono altamente belle e seducenti. Le elargizioni di Dio, infatti, ec
cellono e per quantità e per maestosità, e l’amore da cui esse emanano è im
possibile che sia afferrato dall’intelligenza umana. Nella misura in cui la malìa
d’amore leva il senno agli amanti... così pure l’eros verso gli uomini svuota Dio.
Egli, infatti, non chiama il servo verso di sé restando immobile al suo posto:
piuttosto, Lui che è ricco perviene alla conquista del povero, e, awicinando-
glisi, gli manifesta la sua brama... E se non è corrisposto, non desiste; se di
sprezzato, non si adira; se respinto, rimane alla porta e fa di tutto per manife
stare il suo vero amóre e sopporta ogni sofferenza e muore» (644D-645A).
152
per ragionamento, verso Cristo: non solo per via della divinità,
che è il fine ultimo di ogni realtà, ma anche per via della diver
sità di natura. Egli è infatti il rifugio degli amori umani, è la de
lizia dei pensieri». Quando il nostro amore o la nostra mente,
egli soggiunge, si rivolgono verso qualsiasi realtà che non è in
Cristo, allora si compie un’evidente «deviazione da ciò che, fin
dall’origine, è stato posto come conforme alla (nostra) natura».
E avviene ciò, perché Cristo è il presupposto (hypó-thesis:
l’espressione più giusta sarebbe l’ipo-stasi, hypó-stasis) dei no
stri pensieri (681B).
Come abbiamo già detto, Cabasilas non descrive un preciso
modo di vita spirituale né una precisa fase del suo percorso;
piuttosto, egli vuole indicare il fondamento ontologico comune a
tutte le forme e a tutte le fasi di essa. Qui egli presenta il fonda
mento ontologico di quella «divinizzazione» che, dopo un lungo
esercizio di purificazione e di autoconcentrazione, è raggiunta
dagli esicasti (57). La mente purificata e unita con Dio può ve
derlo e riposarsi in Lui, poiché Egli è il «presupposto» finale dei
pensieri umani.
Ma, contemporaneamente, egli mostra che sullo stesso prin
cipio ontologico può basarsi anche la purificazione e trasforma
zione della mente che, concentrando ogni pensiero in Cristo e in
tutto ciò che struttura il Suo corpo, come pure nei modi tramite
cui ogni cosa può modificarsi in corpo di Cristo, possono pro
gressivamente attuare tutti i fedeli di questo mondo, raggiungendo
così la pienezza della vita spirituale. Cabasilas propone quindi ai
suoi contemporanei un modo di vita spirituale adatto a loro che,
straordinariamente, risulta attuale anche per il giorno d’oggi.
Esistono, egli insegna, varie condizioni di vita e, conseguen
temente, varie forme di virtù. Diversamente è vissuta la vita spi
rituale da coloro che «si occupano delle cose pubbliche», e di
versamente da coloro «che si occupano delle cose private»; di
versamente da coloro che non hanno assunto alcun obbligo par
ticolare dopo il battesimo, e diversamente da coloro che «hanno
fatto voto di verginità e di estrema povertà... che conducono
una vita monastica». Tuttavia, vi è un dovere comune per tutti co
loro che si proclamano cristiani» (641B): e ciò, nel punto preciso
153
di cui stiamo trattando, è la concentrazione di ogni pensiero in
Cristo, che si completa nella preghiera.
Per pregare, egli spiega, non è necessario che uno si trovi in
circostanze particolari: «Non c’è bisogno di preparazione parti
colare per pregare, né di luoghi precisi, né di clamore... Non c’è
caso in cui (Cristo) non v’è presente o che non sia accanto a noi,
Egli che, per coloro che lo invocano, è più vicino del loro cuore
stesso. Né occorre che qualcuno abbia raggiunto le più alte vette
di santità; infatti, non invochiamo il Signore affinché ci incoro
ni». Perciò, tutti devono pregare. Anche «i malvagi»: poiché
«Colui che è invocato è buono» (681BC). I sacramenti e la pre
ghiera costituiscono la via comune a tutti, il contenuto comune
di tutte le forme di vita spirituale.
Mediante la preghiera, i pensieri dell’uomo e tutto ciò che li
concerne - persone, cose, situazioni, preoccupazioni - vengano
offerti a Cristo, e Cristo è invocato a scendere in essi. La pre
ghiera, anche se non raggiunge la divinizzazione, conduce i pen
sieri e il loro contenuto a Dio, illumina con la luce di Dio la
mente e tutto ciò che la mente comprende e, quindi, conduce
l’uomo alla verità. Ecco perché secondo tutta la tradizione patri
stica la preghiera dona la vera conoscenza, e l’arte di pregare co
stituisce la vera scienza e la vera filosofia.
L’insistente e continua comunione della mente umana con
la mente di Cristo, che si ottiene mediante la preghiera, permette
alla prima di osservare la realtà dall’angolazione di Dio e di pen
sare in sintonia con la mente di Cristo.
Nella sua completezza, la comunione costituisce una reale
trasformazione della mente e una sua cristificazione, che dona la
suprema conoscenza. Il Padre riconosce nella nostra mente la
mente di suo Figlio, e, tramite la mente del Figlio, noi riusciamo
a conoscere il Padre: il che, secondo l’evangelista Giovanni, co
stituisce il contenuto della vita eterna: «Questa è là vita eterna:
che conoscano te, l’Unico Vero Dio, e colui che inviasti, Gesù
Cristo» (Gv 17,3).
154
umani. Qualsiasi bene riesca a ottenere l’uomo, il suo desiderio
10 spinge sempre oltre: «All’uomo tutto è sempre inferiore e ina
deguato; e per quanto sia alto il numero di beni che egli può rag
giungere, e quand’anche riuscisse a ottenerli tutti, l’uomo guar
derebbe sempre oltre, cercherebbe sempre quel che non ha sen
za badare a quel che ha». Se ciò accade, non è perché, mentre il
bene che l’uomo desidera è infinito, la sua anima appetitiva inve
ce, e cioè la facoltà di volere e di desiderare, è qualcosa di finito:
se così fosse, il finito non avrebbe potuto tendere verso l’infinito.
Piuttosto, ciò accade perché la facoltà appetitiva dell’uomo «è
stata predisposta· a tendere, ed effettivamente tende, verso l’infi
nito». E questa capacità dell’uomo «non conosce limiti», perché
11 Creatore anch’essa «ha predisposto in funzione di L u i... affin
ché solo in Lui si possa godere il Sommo piacere» (708BC) (58).
Ecco verificarsi anche qui il principio basilare della creazione
dell’uomo a immagine di Dio: la volontà dell’uomo tende verso
il Bene infinito perché così è stata modellata fin dall’origine.
Questa predisposizione appare come elemento costitutivo del
suo essere. Questa è la base su cui Cabasilas costruisce il suo in
segnamento circa la cristificazione della volontà umana.
L’antropologo bizantino completa questa sua prima consi
derazione ontologica con la formulazione di una seconda che,
come diremo noi oggi, s’inserisce nell’ambito dell’antropologia
fenomenologica. La volontà, egli scrive, costituisce per l’uomo la
forza motrice centrale: «Tutte Te nostre azioni seguono l’impulso
della volontà e vanno dove questa porta». La volontà governa
non solo lo slancio vitale del corpo umano e lo spiegamento dei
ragionamenti, ma anche ogni altro nostro atto e, in una parola,
tutto l’essere umano: «L a volontà ci guida e ci conduce; e se
qualcosa ne causa l’arresto da qualche parte, là resta bloccata
ogni nostra azione» (721C).
Pertanto, egli prosegue collegando le due summenzionate
osservazioni, l’uomo vuol vivere felice. Egli vive per «essere feli-
155
ce». Tutti i movimenti della sua anima cercano l’esistenza vera e
felice: «Vogliamo essere per un felice essere» (709C). Ora, poi
ché il vero «essere» umano si trova, come abbiamo visto, nell’es
sere in Cristo, ne consegue che coloro la cui volontà «è imprigio
nata in Cristo e dimora in Lui, e ogni realtà da loro voluta o desi
derata o cercata non è altro che Lui», trovano in Cristo la loro
vera completezza e la loro reale felicità (721C).
In questa prospettiva, la vita spirituale si rivela non come
una vita condizionata da leggi estrinseche all’uomo, ma da una
sua fondamentale esigenza esistenziale per la felicità. La vita spi
rituale ha un’importanza e utilità capitali per l’uomo, perché
conduce il suo «essere» a un «felice essere». Il suo contenuto
non è di ordine morale (col significato che di questo termine so
litamente facciamo uso noi oggi) o sociologico o qualsiasi altro
affine, bensì ontologico. Se così non fosse, Cristo non sarebbe
per l’uomo qualcosa di essenziale, quell’«uno di cui si ha biso
gno»; e la Chiesa cristiana non sarebbe la verità universale
dell’uomo e del mondo, bensì una manifestazione, sotto forma
di religione, delle varie teorie cosmologiche, politiche, sociologi
che e di altre caratteristiche di questo popolo o di quell’altro.
Né basta: la vita spirituale si rivela come lo sviluppo e l’eser
cizio supremi delle possibilità e funzionalità umane. Riguardo alla
volontà, che qui ci interessa, Cabasilas scrive con perfetta aderen
za alla realtà che essa è stata plasmata per tendere verso il bene
che emana da Dio. Quando la volontà, questo organo sensitivo
della felicità, si allontana dal bene, allora soccombe alla necessità,
ed esplica una funzionalità latente o difettosa, come difettosa
mente funziona l’occhio, l’organo della vista, in assenza della lu
ce. L’occhio dell’uomo è stato creato in funzione della luce, e la
volontà in funzione del bene. Quando l’occhio è privato della lu
ce e la volontà è privata del bene, allora essi deviano dalla loro
natura: funzionano in modo non conforme alla loro natura: «La
volontà non può esistere e agire se non dimorando in Cristo: per
ché ogni bene si trova in Lui, come l’occhio non può adempiere
alla sua funzione senza la luce» (721C). «L’occhio è stato plasma
to per la luce, l’udito per i suoni, e ogni altro organo per la sua fa
coltà corrispettiva; il desiderio dell’anima si dirige solamente verso
Cristo. Questi è il suo rifugio perché Lui solo è il bene, la verità e
qualsiasi altra realtà la possa attrarre» (561A).
156
Affrontando un altro aspetto del nostro problema, Cabasi
las insegna che la chiamata dì Cristo riguarda tutti gli uomini, a
prescindere dalla razza o dalla nazione cui essi appartengono,
dalla loro età o mestiere o condizione sociale, e non tiene conto
se essi abitano nel «deserto» o «fra i rumori della città». E que
sto invito comune a tutti è: «Non opponetevi alla volontà di Cri-
sto»{641C). L’accettazione di questa chiamata costituisce il con
tenuto della vita spirituale al suo livello più basso. Nei livelli più
elevati della vita spirituale, la chiamata diventa invece: «Parteci
pate al pensiero di Dio» (701C) (59). Al di là, però, della diversità
di livello, il contenuto della vita spirituale, in tutti i suoi stadi e
in tutte le sue forme, se considerato dal punto di vista qui studia
to, risulta sempre il medesimo: la comunione della volontà uma
na con la Volontà di Cristo.
Poiché la volontà ha un ruolo così decisivo per la vita spiri
tuale, Dio desidera appropriarsene prima di qualsiasi altra fun
zione. Egli creò il cielo e la terra e il sole e tutte le altre meravi
glie del mondo visibile e di quello invisibile; come i più ardenti
amanti quando offrono i loro regali, così pure Lui manifesta
all’uomo la sua sapienza e la sua bontà, «affinché possa attrarlo
verso di sé». E quando l’uomo, piuttosto che concedersi a Lui,
ne fuggì lontano, Dio indossò la natura umana e patì mille pene
«affinché potesse riconquistare il suo amato... lo facesse tornare
in sé e lo convincesse di desiderare solo Lui». E non si limitò so
lo a questo: Egli offrì se stesso come riscatto sulla croce, al fine
di comprare la volontà dell’uomo: Dio infatti può offrire all’uo
mo la felicità solo se questi la desidera». «Nei confronti di ogni
altra cosa, (Dio) era rimasto padrone e comandava su tutta la na
tura». Solo noi sfuggivamo al suo dominio, in virtù del libero ar
bitrio: «E per poterlo eliminare, Dio fece di tutto. E proprio per
ché voleva fare sua la nostra volontà, Egli non ci aggredì né si
appropriò di essa prepotentemente: la comprò». Sicché, ricono
scere Cristo come salvatore significa offrirgli totalmente e assolu
tamente la propria volontà. La volontà della persona redenta
non appartiene più a se stessa ma al suo Redentore. Questo è, di
ce Cabasilas, il significato delle parole di Paolo: «Non sapete
che... non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a
157
caro prezzo» ( 1 Cor 6, 19.20). Riporre la nostra volontà nella Vo
lontà di Cristo costituisce la (nostra) salvezza (657C.688BC.716
BCD) (60).
La perfetta comunione della volontà umana con Cristo, la
cristificazione della volontà, costituisce il contenuto della vita spi
rituale al suo livello più alto, funziona come amore e si chiama
santità. Il santo desidera «non se stesso, ma Cristo... E con tutta
la sua volontà, egli abbandona se stesso per emigrare verso Dio.
E dimentica la propria povertà immergendosi nella ricchezza di
Lui... La forza dell’amore, infatti, sa rendere proprie agli amanti
le realtà delle persone amate. La tensione della volontà e del de
siderio dei santi verso Dio sono inalterabili. Per i santi, Egli è
l’unico bene che possiedono, e non c’è corpo e anima né alcun
ché dei parenti o degli amici che può soddisfarli. Piuttosto, essi
ignorano la propria identità come se fossero usciti da loro stessi
e avessero trasferito altrove la loro vita e i loro desideri» (708D-
709A). Così i santi si rallegrano di ciò che rallegra Cristo, si rat
tristano di ciò che rattrista Cristo, esprimono e attuano nella sto
ria la Volontà di Cristo. Parlano come se fossero essi stessi la
bocca di Cristo e rivelano la verità. Agiscono come se fossero es
si stessi le mani di Cristo, e compiono miracoli.
Perseverare nell’amore significa perseverare in Dio: «Chi
sta nell’amore - dice l’apostolo ( 1 Gv 4, 16) - dimora in Dio e
Dio dimora in lui» (721 A). Il nostro mistico antropologo insegna
che la vera vita spirituale consiste nell’amore, proprio perché
Dio è amore: «Se la vita è quella forza che muove ogni essere vi
vente, ciò che muove gli uomini, in quanto realmente viventi, e il
cui Dio è veramente Dio, che non è un Dio di morti ma di viven
ti, non può essere nient’altro che l’amore... Esiste dunque un no-
158
me più appropriato alla vita all’infuori di quello dell’amore?»
(725CD).
Ecco perché, riassume Cabasilas, la vita beata, vale a dire
l’inalterabile, unica e perfetta felicità, si ottiene con la volontà
dell’uomo e inabita in questa: «Se noi sviluppiamo la volontà in
conformità col Dio Vivente, troveremo splendere in essa la vita
beata» (689A).
IV.
I FRUTTI DELLA VITA SPIRITUALE
159
Ne consegue che la materia assunta dal Lògos, il Corpo do
minicale, funge da «unzione» (61) per il resto del creato (572A).
Cabasilas spiega che è avvenuto ciò che può avvenire in un vaso
di alabastro contenente unguento. Se, per un motivo o per un al
tro, le pareti del vaso si potessero trasformare anch’esse in un
guento, allora, anziché separare l’unguento dall’atmosfera circo
stante, esse contribuirebbero positivamente alla sua diffusione:
«In modo analogo, essendo deificata la nostra natura con l’inse
rimento di essa nel corpo salvifico, non v’è più nulla che separi
Dio e il genere umano» (572B). «(Dopo che) la carne è stata dei
ficata e la natura umana ha assunto come ipostasi Dio stesso, il
muro di separazione divenne unguento» (572A). Sicché, ciò che
prima separava l’uomo da Dio, ora lo unisce con Lui. La natura
creata, ricevuto il crisma, divenne portatrice della divinità, Cor
po di Cristo, natura cristificata, Chiesa. E tutto ciò che via via
s’innesta nel Corpo dominicale, è anch’esso realmente trasfor
mato in Corpo di Cristo: diventa Chiesa. La Chiesa è la creazione
innestata in Cristo e vivificata dallo Spirito.
160
Questo movimento è duplice: Cristo si proietta nel tempo
mediante le operazioni dello Spirito, e il mondo è da lui accolto.
Cristo stesso si proietta e accoglie il mondo. La Chiesa non è
una condizione statica^ essa costituisce un movimento dinami
co di trasformazione. E il perenne matrimonio, nello spazio e
nel tempo, del Creatore con la sua creazione, la continua fusio
ne del creato con l’increato. In questo inconfondibile amalga
ma in Cristo della natura creata con quella increata, il mondo
creato si rifonde nella carne di Cristo, si ricompone mistica-
mente, si trasforma: diviene Corpo di Cristo e vive come Corpo
di Cristo.
161
re le azioni, vale a dire le celebrazioni o funzioni mediante cui si
realizza la trasformazione - sono chiamati sacramenti (62).
Secondo la teologia scolastica, nei sacramenti c’è un ele
mento estrinseco, e cioè i segni sensibili, e, in contrapposizione
ad essi, c’è la sostanza stessa dei sacramenti, che è la grazia divi
na invisibile. Secondo Cabasilas, e, più generalmente, secondo
tutta la tradizione ortodossa, questa distinzione non esiste. Nel
sacramento del battesimo, il sacerdote santifica prima l’acqua e
in quest’acqua santificata l’uomo è battezzato. Nella divina Eu
caristia, il pane e il vino si trasformano realmente e veramente in
corpo e sangue di Cristo. Nel sacramento dell’unzione, il fedele
è unto con l’olio benedetto. Il corpo dell’uomo e, quindi, l’uomo
stesso, non può concepirsi se non nel suo legame organico con il
resto del creato.
In questa prospettiva, Cabasilas insegna che i sacramenti
costituiscono la «porta» e la « via» da cui la vita di Dio s’introdu
ce nel mondo creato, lo libera dal peccato e dalla corruzione, lo
vivifica e lo santifica: «Questa via il Signore ha tracciato venendo
presso di noi, e questa porta Egli aprì introducendosi nel mon
do. E, quando è salito al Padre, egli non ha voluto chiuderla: egli
infatti torna dal Padre presso di noi uomini attraverso questa
porta. Anzi, egli è perennemente con noi, e lo sarà per sempre...
Questo mondo, quindi, null’altro è se non la casa di Dio»
C504CD). E ancora: «Mediante questi divini sacramenti, il sole
della giustizia s’introduce come da finestre in questo mondo te
nebroso, e mortifica la vita a questo confacente, risuscitando
quella soprannaturale, e la luce del mondo vince il mondo... in
troducendo in un corpo mortale la vita immortale» (504 BC). Le
due parole sottolineate nei brani surriportati mostrano la conce
zione di Cabasilas nei confronti del mondo redento: esso è «ca
sa» e «corpo» di Dio. E i sacramenti sono le finestre tramite cui
il sole di giustizia illumina la dimora, le arterie tramite cui la vita
della Testa vivifica il Corpo.
La perfetta unione del mondo creato con quello increato,
che si realizza attraverso i sacramenti, «vince» gloriosamente,
senza distruggerli, i confini spaziotemporali, dandone nuove di
mensioni. Il creato, ricomposto e rigenerato attraverso i sacra
162
menti, che si chiama Chiesa, assume nuove dimensioni, nuove
funzioni e nuova vita: si tratta delle dimensioni, funzioni e vita
del corpo di Cristo Risorto. Conseguentemente, ogni realtà può
ristrutturarsi ed esistere nel mondo creato in maniera nuova: non
solo umana o solo divina, ma in modo teantropico. Sono così sta
biliti i limiti spaziotemporali liturgici, ove si concretizza l'in
confondibile amalgama della vita terrena con quella celeste, della
storia con l’eternità: «Uno è il corpo di Cristo... uno il corpo dei
fedeli... e questo corpo né il tempo né lo spazio può divide
re» (63). «Ci ha formati Colui che risiede tra gli angeli, ci ha col
locati nel coro di questi» (413A).
L’unione in questione è talmente radicale e completa, che non
solo riconduce il creato alla sua condizione anteriore alla caduta,
alla dimora paradisiaca, ma crea una nuova dimora e un nuovo pa
radiso, di molto superiore al primo: la Chiesa. D mondo non è sola
mente casa dell’uomo, ma la casa del Dio Vivente (409B). Dio, che
anteriormente all’incarnazione era, nei confronti del mondo, «sen
za casa», trova ora uno spazio creato come permanenza e come di
mora (Θ 144). Così, dentro il creato non si trova solo l’altare in cui
è venerato Dio, ma Dio stesso; e l’umanità si trasforma in famiglia
di Dio. E la trasformazione è ancora più profonda: la Chiesa non è
solo Dimora e Famiglia, ma Corpo di Dio.
(63) Giovanni Crisostomo, Omelia sul detto: «Vói potete conoscere in que
sto», 6, PG 56,277.
163
In verità, la santità non sgorga che da Dio: «I santi sono santi
e beati perché sono uniti al Beato... Nulla proviene da se stessi,
dalla propria natura umana o dai propri sforzi. Piuttosto, essi sono
santi per il Santo, e sono giusti e sapienti per il Giusto e Sapiente
che portano nell’anima» (613A). Qualsiasi virtù umana ha un va
lore reale nella misura in cui essa è virtù di Cristo: solo ciò che è
incorporato in Cristo e, quindi, spirituale («generato nello Spiri
to») può superare i limiti biologici della corruzione e della morte,
può vivere e avere un valore reale, «un valore confacente» (616D),
nell’etemità: «Siate dunque misericordiosi come è misericordioso
il Padre vostro e amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato». I fe
deli sono chiamati ad amare «nella misura in cui amava Paolo: nel
cuore di Cristo Gesù»; e ad avere «la pace di Cristo» e l’amore
«con cui il Padre amò il Figlio». Perché, come la nascita è «divina
e soprannaturale», così pure «la vita e il modo di vita e la sapienza
e ogni altra realtà sono nuove e spirituali» (616A).
164
intellettuale e a tutto il resto del mondo psichico di addormen
tarsi e perire) si completa e si trasforma radicalmente con la rige
nerazione reale del battesimo, che dona all’uomo la vita spiritua
le stabile e incorruttibile.
Uamore esistente tra due persone, che le conduce al matri
monio, e che, per quanto sincero possa essere, soggiace alla cor
ruzione essendo creato, si rafforza con il sacramento della Chie
sa e si dilata alPinfinito, si rende eterno, muta radicalmente e,
senza che sia abrogato, si trasforma nella dimensione dell’amore
di Dio per il mondo. L’unione dell’uomo con la donna si innesta
nel supremo mistero dell’unione di Cristo con il mondo, che
eleva il mondo - assieme con la nuova famiglia che è formata -
in Chiesa.
Come spiega il nostro teologo nei suoi trattati di contenuto
sociologico, la giustizia, che governa le relazioni interpersonali e
regola la vita sociale, è parimenti chiamata a diventare efficace, a
trasformarsi in giustizia teomorfa, vale a dire in giustizia che ri
flette e rende operante nella società la giustizia di Dio: quella su
prema armonia e quel supremo amore, entro cui Dio creò all’ori
gine il mondo e lo ricrea in Cristo.
Questi esempi mettono bene in luce che tutte le dimensioni
e funzioni della vita sono chiamate, perché possono, a trasfor
marsi in Cristo.
E diventa inoltre chiaro che la vita spirituale non è una fuga
dal mondo, ma una trasformazione di esso. Non è cambiamento
di luogo, ma cambiamento del modo di condotta e di esistenza.
Noi, scrive Cabasilas, viviamo in Dio «in questo modo: avendo
trasferito la nostra vita da questo mondo visibile a quello invisi
bile, non mutando di luogo, bensì di esistenza e di modo di vi
ta». E spiega il perché: «Non siamo stati noi a muoverci ed ele
varci verso Dio, ma è stato Lui a venire e abitare in noi... Egli si
è chinato sulla terra ritrovando l’immagine... e l’ha sollevata
traendola dall’inganno, senza trasferirla di qui, ma facendo in
modo che restassimo, e ci ha resi celesti e ha infuso in noi la vita
celeste senza portarci in cielo, ma piegando e abbassando il cielo
fino a noi» (504AB).
165
sulla terra attraverso la celebrazione dei sacramenti, i fedeli si
rendono capaci di vivere la pienezza della vita spirituale senza
avere bisogno di fattori esterni·, la vita liturgica e sacramentale
della Chiesa è strutturata in modo tale da poter trasformare
questi fattori.
Cabasilas dice che non occorre che il fedele abbandoni la
sua attività lavorativa: «Nulla vieta che si continui l’esercizio del
le arti, e nulla impedisce lo svolgimento delle altre consuetudini:
lo stratega potrà guidare il suo esercito, l’agricoltore coltivare la
sua terra, l’architetto sovrintendere alle costruzioni» (657D).
Tutte le dimensioni della vita - quelle sia lavorative, sia artistiche
e intellettuali, come pure quelle altre funzioni che, come abbia
mo visto, costituiscono le tuniche di pelle - sono chiamate, per
ché possono, a innestarsi nella vita sacramentale: e allora esse si
trasformano non solo in «forze di vita», ma, ancor più, in «sensa
zioni e funzioni spirituali», che, anziché ostacolare, favoriscono
la vita spirituale e, per giunta, diventano mezzi tramite cui i fede
li abbracciano il mondo e lo incorporano nella Chiesa. Così la vi
ta storica trova il suo epicentro in Cristo e diviene suo corpo. A
questo plinto appare evidente la missione apostolica dell’Orto
dossia e la sua indole trasformatrice.
166
teologia cristiana. Questo insegnamento di Cabasilas ha contri
buito positivamente alla confutazione delle teorie che i dòtti
umanisti suoi contemporanei avanzavano contro i monaci: i pri
mi vedevano il tentativo dei santi di raggiungere l’unione del
corpo con Dio come una grossolana caduta nella materialità; Ca
basilas, invece, ha mostrato che non solo il corpo può unirsi con
Dio, quando ovviamente le sue funzioni si santificano con l’asce
si e si ricolmano di Spirito Santo, ma anche la vita del mondo e il
mondo fisico stesso, una volta riabilitate le sue funzioni eucari
stiche - «tutto ciò che è stato creato da Dio è buono e nulla è da
scartarsi, quando si prende con rendimento di grazie» (2 Tm
4, 4) - e ricolmate, attraverso i sacramenti, dello Spirito, può an-
ch’esso unirsi con Dio e trasformarsi in suo corpo, contribuendo
alla formazione della Chiesa.
Nicola Cabasilas si colloca così nella linea di san Gregorio
Palamas e di tutta la tradizione patristico-biblica ortodossa. Egli
ha mostrato con chiarezza che il mondo creato è chiamato, per
ché può, a unirsi con Dio: purché rinunci totalmente, fino alla
morte, alla sua autonomia, che costituisce il nucleo e la causa ge
neratrice del peccato. Così, nel bel mezzo della polemica del sec.
XIV e convalidando le posizioni teologiche di Gregorio Pala-
mas, Cabasilas ha rivelato la verità ortodossa, ha contribuito af
finché l’umanesimo eretico dei suoi contemporanei fosse con
dannato. Egli inoltre mostrò con pari chiarezza che tutto il crea
to e, più concretamente, tutte le forme ed espressioni di vita pos
sono, una volta rinunciato alla loro autonomia, unirsi attraverso i
sacramenti con Dio. Con quest’ultimo elemento del suo insegna
mento, con cui si appropria di ogni aspetto positivo degli umani
sti del sec. XTV, Cabasilas pone le basi teologiche di un umanesi
mo teocentrico.
Parallelamente, mostrando che la pienezza della vita spiri
tuale può attuarsi anche vivendo nel mondo e nell’indicare le
modalità basilari di questa attuazione, egli spianò la strada affin
ché la grande rinascita esicasta del sec. XIV si espandesse nel
mondo, in quanto rinascita della vita liturgica e sacramentale. Co
sì egli pose le basi di una spiritualità sociale ortodossa. Questa
sua opera, la cui importanza è molto evidente per il giorno d’og
gi, occorre che sia ulteriormente sviluppata.
167
Parimenti prezioso è l’insegnamento di Cabasilas relativo al
la nuova organizzazione che attinge il mondo quando si trasforma
in Chiesa e, ancora, al ben preciso e cruciale problema dell’orga
nizzazione della Chiesa stessa. Occorre quindi che siano affron
tati anche questi problemi.
La ristrutturazione del mondo in seno alla Chiesa si ottiene
con l’estensione della vita liturgica e la riorganizzazione delle di
mensioni fondamentali che definiscono il mondo: del tempo e
dello spazio.
Le festività liturgiche, distribuite lungo l’anno solare, costi
tuiscono punti centrali che strutturano il tempo in una nuova di
mensione. La Pasqua, il Natale, il 15 agosto, la festività dei Santi
Apostoli e tutte le altre festività, assieme con il digiuno che le ac
compagna e le corrispettive sacre funzioni, danno al tempo un
nuovo orientamento e una dimensione nuova. Senza che sia an
nullato, il monotono trascorrere del tempo fisico è superato. Alla
stessa finalità, e cioè all’ampliamento e alla nuova organizzazione
del tempo, mirano le commemorazioni quotidiane dei martiri e
dei santi, come pure le sacre funzioni per le diverse parti del
giorno e della settimana. Come abbiamo riferito più in particola
re nelle pagine precedenti, questa trasformazione del tempo si
realizza e si manifesta soprattutto nella divina Eucaristia, verso
cui tende ogni funzione e digiuno e festività.
In modo analogo si ottiene una nuova organizzazione dello
spazio. Ànch’esso si concretizza principalmente durante la divina
Eucaristia, ma non si esaurisce lì, perché l’Eucaristia stessa non
si esaurisce nello spazio della messa domenicale. Il quartiere do
ve gli uomini trascorrono la loro quotidianità, se organizzato co
me parrocchia intorno alla Chiesa, è trasformato e, insieme con
esso, è trasformata anche la vita degli uomini, dal momento che,
in seno alla Chiesa, questi ultimi non vanno considerati in base
alla loro condizione sociale (se cioè sono ricchi o poveri, istruiti
o illetterati, ecc.), ma si conoscono con il loro nome di battesimo
e sono chiamati a vivere come fratelli. In modo analogo si tra
sforma una provincia, se è organizzata e se vive come diocesi ec
clesiastica, e può trasformarsi anche tutta l’ecumene, se vorrà vi
vere e affrontare i suoi problemi avendo come modello il sinodo
degli Apostoli e i Concili ecumenici, vale a dire se vorrà vivere
come assemblea sotto il soffio dello Spirito: «Abbiamo deciso, lo
168
Spirito Santo e noi» (At 15, 28). Ma anche le più umili preoccu
pazioni umane - costruire una casa, aprire un negozio, coltivare
un terreno, ecc.; - se sono coscientemente collegate dai fedeli
con la santificazione ecclesiastica, si trasformano; la casa, il nego
zio, il prato non sono più parti dello spazio che noi conosciamo,
ma diventano cellule di un organismo ecclesiastico entro cui
l’uomo, pur non rinnegando le condizioni concrete della vita ter
rena, può vivere l’infinita vita celeste. Questo altro contenuto e
questa altra organizzazione delle condizioni a noi note, entro cui
scorre la vita umana, è il grande dono della Chiesa al mondo.
Questa è la trasformazione del mondo, cui chiama Cristo.
169
dell’altare è il vescovo e che «tra tutte le realtà visibili, solo la na
tura umana può diventare tempio e altare di Dio» (629ABC).
Come l’artista possiede prima nella sua mente ciò che crea, così
pure il vescovo, in quanto altare animato di Dio, imprime sulla
pietra ciò che egli stesso è. Anzi, «il vescovo cosparge l’altare coi
nostri odori, col vino e il profumo: questo concede semplice-
mente un diletto... l’altro, soccorre anche la vita», di modo che,
prima della santa unzione, che «introduce Gesù», sia posta
sull’altare «ogni realtà umana» (633AB). Solo una mensa real
mente umana, infatti, può trasformarsi in altare di Dio. Anche in
questo caso, quindi, risulta chiara la dimensione antropologica e
cosmologica dell’ecclesiologia cabasiliana.
La terza dimensione fondamentale dell’organizzazione del
mondo trasformato in Chiesa è costituita dai santi. Perciò, oltre
all’unguento e al vescovo, nel rito di consacrazione è attribuita
un’importanza particolare alle reliquie dei santi: «La potenza
dell’altare è il santo unguento: occorre quindi che la materia che
riceve questa potenza sia di per sé predisposta allo scopo, di mo
do che, a sua volta, possa trasmetterla con maggior efficacia; co
me il fuoco e la luce, che si trasmettono con maggior efficacia at
traverso corpi atti a riceverli» (636A). Pertanto, «nulla vi è di più
affine ai sacramenti aU’infuori dei santi: questi, infatti, hanno in
comune con Cristo e il corpo e lo spirito e il tipo di morte; Cri
sto viveva in essi durante la loro vita e la loro morte... ; nella pol
vere sorda di queste ossa (dei santi), Cristo continua ad essere
presente e intimamente unito» (636B).
Da quanto abbiamo detto finora risulta chiaro che, per Ca
basilas, esiste una intrinseca relazione tra l’altare, il vescovo e la
santità: questa relazione consiste nel contenuto e punto centrale
comuni: Cristo. Nel modo in cui «l’altare è il Cristo» (580A), così
pure il vescovo, che celebra la santa Eucaristia, è il Cristo: «Co
lui che celebra questo santo rito è il Cristo» (477A). Ma anche le
reliquie dei santi portano realmente dentro di sé il Cristo e, in
qualche modo, costituiscono altri sacramenti, dato che, «se nelle
realtà visibili è possibile trovare o possedere il Salvatore, ciò av
viene solo nelle ossa dei santi» (636B).
Questi tre punti cardinali, intorno ai quali si articola l’orga
nizzazione e l’unione della Chiesa, sono fra loro inscindibili. Il
vescovo ha bisogno dell’altare e dei santi, l ’altare ha bisogno del
170
vescovo e delle reliquie, i santi hanno bisogno del vescovo e
dell’altare. Ciascuno di questi tre punti trova la sua pienezza
all’interno dell’altro e ne è determinato. Tutti e tre costituiscono
presupposti e conducono alla santa Eucaristia, nella quale si rea
lizza e si rivela nella sua totalità la vita e l’unità della Chiesa. Se
viene a mancare uno di questi tre punti, è impossibile la celebra
zione dell’Eucaristia.
Il turbamento di questo equilibrio, l’accentuazione unilate
rale di uno di questi tre punti, conduce alla rottura dell’unità, al
la disorganizzazione della vita ecclesiale e, quindi, alla decompo
sizione e disorganizzazione della Chiesa in quanto Corpo indivi
sibile di Cristo. La gran parte delle eresie e degli scismi verifica-
tisi lungo la storia della Chiesa, come pure molte difficoltà che
nel giorno d’oggi incontra la Chiesa ortodossa per giungere alla
pienezza e organizzazione della sua unità visibile, si devono al
turbamento di questo equilibrio.
Ma nella suindicata prospettiva ecclesiastica universale di
Cabasilas, che è nel contempo prospettiva cristologica, pneuma-
tologica e cosmologica, possono trovare soluzione anche molte
altre problematiche, parimenti importanti, che la Chiesa affronta
oggi: problematiche relative non solo alla sua unità e organizza
zione, ma anche alla pastorale ed evangelizzazione, nonché ai
suoi rapporti con il mondo e al tentativo di proporre un’attua
zione oggi della vita ascetica, morale, ecc. Dal momento che, co
me sottolinea insistentemente Cabasilas, Chiesa è il mondo tra
sformato in Corpo di Cristo e vivificato dallo Spirito, i problemi
della Chiesa smettono di essere questioni riguardanti una comu
nità chiusa e, per loro stessa natura, risultano problemi concer
nenti la strutturazione, l’unità e la vita del mondo intero.
È chiaro che Cabasilas invita la ricerca ecclesiologica e teo
logica dei nostri giorni a superare il suo carattere storico-filolo-
gico, strettamente confessionale e strettamente canonico, ad ab
bandonare le biblioteche e a dirigersi verso gli orizzonti aperti
della divina provvidenza: verso l’opera che «fino ad oggi» attua
il Padre, per trasformare, attraverso lo Spirito, il mondo - an
che il nostro mondo, in cui oggi noi viviamo - in Corpo di suo
Figlio.
171
V.
I l C o r p o t o t a l e d e l S a l v a t o r e a l m o m e n t o d e l l a P a r u sia
172
dei santi: «una volta liberatisi, si slanceranno con incontenibile
forza verso Cristo, acquistando il posto che compete loro»
(624C). H Corpo risuscitato del Demiurgo (65) incarnato splen
derà come punto di riferimento e d’attrazione mondiale, attraen
do verso di sé ogni realtà.
Ogni uomo ritroverà allora il suo corpo: «Ossa e parti e
membra incontreranno la loro testa», formeranno la «totalità»
umana. Qualcosa di analogo accadrà «anche nei confronti del
Cristo Salvatore, che è il Capo comune di tutti». Non appena
splenderà il Capo tra le nubi, «accoglierà da ogni parte le pro
prie membra», per ricomporre quel grande Corpo (624BC).
Pertanto, le membra del corpo universale saranno persone.
Perciò il Corpo sarà nel contempo famiglia, Eucaristia, coro:
«Con l’apparizione del Signore si formerà il coro dei servi buoni;
e questi splenderanno del Suo splendore. Quale spettacolo! Una
moltitudine di splendori, superiore a qualsiasi numero, sarà vista
sulle nubi, uomini rapiti in alto in una impareggiabile festa, molti
tudine di dèi intorno a Dio, esseri belli intorno al Bello, compo
nenti della stessa casa intorno al Padrone» (649BC). Nel tempo
futuro, i santi saranno «dèi intorno a Dio ed eredi della sua Casa
e regnanti nello stesso suo Regno» (520C). Diouomo splenderà
come «Dio fra gli dèi», come Π Corifeo dei belli, che guiderà la
bella danza dei santi: «Corifeo meraviglioso di una danza meravi
gliosa» (624B).
Quest’immagine ricorda l’Apocalisse, la nuova cosmologia
nel Cristo Salvatore: «Scende dal cielo sulla terra Colui che
splende. La terra irradia altri soli verso il Sole di giustizia. E tutto
rifulge di Luce» (649D).
177
della seconda Parousia, e perciò nella chiesa domina il buio e
l’estrema immobilità) e, subito dopo, lo stupore e l’inno del
creato davanti a Dio Trino (l’Alleluia e gli inni triadici), nonché
la recita dei Salmi, che, a mo’ di inno di guerra, preparano i fe
deli alla lunga lotta notturna: questi sono i primi elementi che,
ristrutturando lo spazio e il tempo corrente, producono quelle
altre condizioni reali entro cui può realizzarsi l’opera suprema
dell’uomo: la preghiera.
178
grafìa della chiesa: tutto aiuta l’esistenza umana a rivolgersi verso
fl Dio Triadico e a porsi di fronte a Lui:
A Te io canto l’inno
solenne che, nell’alto,
incessamente è cantato.
Ti lodiamo, ti benediciamo
ti veneriamo, Madre di Dio,
perché partoristi l’uno dell’indivisibile Trinità
179
e anzitempo apristi a noi, che abitiamo questa terra,
il mondo celeste.
180
Colui che amasti e che desiderasti,
o Madre, e di cui seguisti le orme,
egli, che è l’Unico Dio benevolo,
ti elargì il dono della penitenza:
pregalo incessantemente
affinché ci liberi da ogni patimento e ostacolo.
181
tempi coincidono») e, dentro la Chiesa, Corpo di Cristo, in questo
altro spazio, diventano contemporanei di sant’Andrea e di santa
Maria Egiziaca e di tutti i santi, della Madonna e di Cristo, e abita
no i loro stessi luoghi. In queste altre dimensioni a noi note che as
sume la spaziotemporalità, le persone si espandono in ampiezza e
profondità, assumono dimensioni infinite senza pertanto perdere
la loro ipostasi concreta, e, parimenti, si espandono in ampiezza e
profondità anche le parole e i fatti narrati, dal momento che si ar
ricchisce infinitamente il loro significato.
Oggi troviamo difficoltà a comprendere la profonda
logicità (71) delle celebrazioni liturgiche - sacramenti (72), fun
zioni, cicli liturgici, preghiera, ascesi, pentimento - perché impe
diti dalla concezione unidimensionale del tempo e dello spazio.
A ll’interno della Chiesa, però, vige un’altra cosmologia. Questa
diversa spaziotemporalità è espressa dall’architettura e dal
l'iconografia bizantine ed è il presupposto delTinnografia bizan
tina. I complessi architettonici, le icone, gli inni (Oggi [Cristo] è
messo sulla croce: venite, crocifiggiamoci anche noi insieme con
lui, ecc.) non sono modi di dire o allegorie, creazioni di una fan
tasia dotata, ma esprimono una realtà. Come la nascita nuova,
concessa dal battesimo, così pure la comunione del Corpo e del
Sangue di Cristo, che avviene durante la santa Eucaristia, non è
metaforica ma reale. Se non prendiamo sul serio l’altro contesto
cronologico e antropologico, entro cui vive e si muove la Chiesa,
è impossibile comprendere l’arte bizantina, i testi biblici, patri
stici e liturgici, come pure è impossibile comprendere la logicità
e realtà che racchiude in sé il modo concreto con cui è struttura
ta la vita ecclesiale, in quanto rifondazione e trasformazione atti
va e decisiva e salvifica delle precedenti dimensioni e funzioni
del mondo creato e dell’essere creato dell’uomo.
In quest’altra prospettiva, quella ecclesiologica, in cui il
mondo creato si eleva in mistero (in cui, cioè, trova in Cristo la
profonda armonia, le vere dimensioni e la sua totale funzionalità),
possiamo capire che il Grande Canone, come è stato composto
dal suo autore e come è celebrato dalla Chiesa, è qualcosa di ra
dicalmente diverso da un semplice testo letterario, oggetto
182
dell’analisi filologica, o da un testo cui la scienza teologica con
temporanea potrebbe far ricorso per attingere concetti teologici.
Più precisamente, potremmo dire che si tratta di un testo lettera
rio nella sua completezza, dal momento che con la sua profonda
armonia, le sue dimensioni vere fino all’infinito e la sua teantro-
pica funzionalità, esprime quell’altro tempo e quell’altro spazio
invitando l’uomo a penetrarvi, e del quale la vera arte presuppo
ne o coglie e cerca di esprimere alcune dimensioni. Ed è un testo
teologico nella sua completezza, dal momento che il pensiero,
l’arte, l’informazione storica, funzionando dentro di esso a mo’
di preghiera, trovano le loro vere dimensioni e la loro completa
funzionalità, diventano mezzi che conducono l’uomo alla metà-
noia·. vale a dire alla trasformazione e ristrutturazione di sé e
dell’ambiente. È un testo teologico nella sua totalità, perché non
è uno scolio scientifico, ma funzione ecclesiologica, vale a dire
azione che trasforma e salva l’uomo e il mondo.
183
Tutti questi fatti li ha «perfettamente e armoniosamente amal
gamati il nostro santo padre Andrea, arcivescovo di Creta» nel suo
Grande Canone.
Rievocando la memoria di Salomone, il quale
184
nuovo vita gli eventi salvifici, si dilata, accoglie in sé ogni realtà
incontenibile: i confini del tempo e dello spazio si annullano ed
esso si estende fino all’infinito e vi si immerge.
Questa trasformazione dei dati fisici - o metànoia o ristruttu
razione, o come la si voglia chiamare -, che conduce all’uomo
nuovo e alla creazione nuova in Cristo, è la salvezza. Essa è con
cretamente realizzata nella santa Eucaristia, ove ciò che è creato
comunica perfettamente con ciò che è increato ed è deificato:
costituisce il contenuto e la finalità di tutta la vita ecclesiale, sa
cramentale e ascetica: il contenuto, cioè, dei sacramenti, delle fe
stività, delle sacre funzioni, della preghiera, del digiuno, della ve
glia (73).
Questa procedura che, con profonda conoscenza della com
posizione psicosomatica dell’uomo e delle sue relazioni con il
mondo, è stata stabilita dalla tradizione apostolico-patristica or
todossa, presuppone un contesto cosmologico e antropologico
ben determinato: si tratta del contesto scaturito dall’origine e
dalla finalità della creazione, dall’insuccesso dell’uomo nel rag
giungimento della sua finalità e dall’inserimento personale di
Dio nello spazio e nel tempo creati. Questo contesto generale
descrivono limpidamente le Sacre Scritture parlando della gene
razione del mondo e dell’uomo, della caduta e della pedagogia
dell’umanità, dell’incarnazione di Dio, della crocifissione e risur
rezione e ascensione del Diouomo, della venuta dello Spirito e
dell’attesa del Regno escatologico.
Tutto ciò non costituisce un insieme di postulati metafisici,
che l’uomo deve ammettere onde evitare un qualche castigo o
per ottenere la salvezza, bensì un insieme di avvenimenti storici,
che determina le coordinate entro cui l’uomo e il mondo sono
stati creati, continuano ad essere in seguito alla caduta, e si ritro
vano poi in Cristo. Per questo motivo, l’insieme di tutto ciò de
termina la vera natura dell’uomo e del mondo: la verità della sto
ria. AU’infuori di questo contesto, il mondo creato è qualcosa di
innaturale; entro questo contesto, il mondo creato trova la sua
vera natura e progredisce nella sua perfezione.
In questo contesto cosmologico e antropologico è struttura
ta l’intera vita ecclesiale. Tutte le azioni ecclesiali, ivi incluso il
185
Grande Canone, presuppongono questo contesto. Pertanto, pur
supponendo, ciascuna delle funzioni ecclesiali, l’insieme di tutto
ciò, tuttavia, presa singolarmente ogni funzione sottolinea in mo
do particolare taluni presupposti, in relazione con la finalità spe
cifica e con la funzionalità ad essa inerenti. Essendo la celebra
zione del Grande Canone collocata nel mezzo della Quaresima,
mira ad aiutare l’uomo a rendersi consapevole della tragicità del
la condizione non conforme alla sua vera natura, entro cui egli
venne a trovarsi in seguito al peccato, e a consolidarlo nella deci
sione di lottare per la riconquista della sua condizione originaria,
anteriore alla caduta, come essa è stata perfezionata in Cristo.
Ecco perché il corrispettivo contesto risulta maggiormente evi
dente nel Grande Canone. Cercheremo di descrivere questo con
testo.
II.
C o n t e s t o a n t r o p o l o g ic o p r im a d e l l a c a d u t a
Vivificando la creta,
o Vasaio,
ponesti in me
carne e ossa
respiro e vita
186
l’armonia, la bellezza, la beatitudine. La grazia di Dio - vale a di
re l’amore, la vita, la gloria, in una parola: le increate energie - è
stata concessa e amalgamata con l’esistenza e formazione dell’uo
mo in Dio. Essa costituisce
l’abito primo,
che il Demiurgo all’origine intessé
la bellezza dell’immagine
la bellezza primigenia
la primogenitura
della bellezza prima.
possiede
dignità regale
diadema e porpora,
egli è
dovizioso e giusto
187
portata dei versi poetici, non disgiunti dal concorso dell’ele
mento catechistico, indicano come dardo appuntito la condi
zione umana anteriore alla caduta, da molti testi patristici de
scritta, e la cui conoscenza costituisce presupposto indispensa
bile per questa celebrazione liturgica. Così i versi che abbiamo
sopra riportato, sono di per sé sufficienti per rievocare con
chiarezza nel profondo del credente il ben noto insegnamento
della Chiesa concernente la creazione dell’uomo a immagine di
Dio, che, proprio perché fondamentale, è stato da noi analitica-
mente esposto nella prima parte di questo libro. Il Grande Ca
none, in quanto funzione liturgica, costituisce esperienza per
sonale e realizzazione di questo insegnamento. D ’altro canto,
esso aiuta decisamente alla perfetta conoscenza dell’insegna
mento dogmatico, dal momento che, per la dottrina ortodossa,
la conoscenza si ottiene fondamentalmente con l’esperienza
personale.
III.
C o n t e s t o d e l p e n t im e n t o
188
Vivendo non nella vita di Dio bensì in quella della sua «na
tura propria» (74), l’uomo conduce fisiologicamente se stesso
verso la morte. La perdita del suo riferimento ontologico com
porta il discioglimento della sua struttura psicosomatica. La sua
condizione di immagine è ottenebrata, la condizione di somi
glianza a Dio si trasforma in dissomiglianza, e l’uomo, perdendo
il suo «abito dall’impronta divina», si riveste delle tuniche di
pelle·, dalla sua condizione di «essere teologico» egli decade in
un «essere biologico».
Il contesto antropologico, entro cui si realizza questo pro
cedimento di disorganizzazione e decomposizione dell’uomo, è
delineato con chiarezza nell’officiatura del Grande Canone·, ne
riparleremo più avanti. Occorre pertanto definire preliminar
mente il contesto più generale, entro cui viene a collocarsi il
peccato.
È significativo il fatto che fin dall’inizio e fino alla fine del
Grande Canone, i verbi usati per esprimere l’atto peccaminoso o
per definirne le conseguenze non si riferiscono a Dio ma all’uo
mo, e che, nella maggior parte dei casi, questi verbi norl esprimo
no sanzioni penali ma mutamento di condizione naturale:
189
Trasgredii, profanai,
mi incamminai tra i peccati:
aggiunsiferite alla mia ferita,
o il suo soggetto:
190
Influenzati dalla teoria occidentale concernente il peccato
originale, di solito attribuiamo al peccato connotati penali: ri
teniamo che esso sia disobbedienza ai comandamenti di Dio e
che le sue conseguenze siano castighi di Dio. Per la tradizione
biblico-patristica ortodossa, invece, il peccato originale, come
pure ogni peccato, è collocato in un ambito naturale: quando
l’uomo chiude i suoi occhi alla luce, egli piomba nelle tenebre;
quando perde il suo centro di gravità, si disorganizza; quando
si allontana dalla vita, trova la morte. I comandamenti di Dio
non minacciano un castigo che piomberà da un principio
estraneo all’uomo: piuttosto, essi pongono quelle condizioni
entro cui l’esistenza umana può conservarsi in uno stato di sa
lute. La malattia, il dolore, la morte, che derivano dalla tra
sgressione delle norme del vivere in salute, non sono castighi
stabiliti dalle leggi; sono conseguenze naturali delle trasgres
sioni stesse. Non Dio crea il male, ma l’uomo: e questa è ima
verità di importanza fondamentale. Stando così i fatti, il fedele
si pone di fronte a Dio non per stabilire di chi sono le respon
sabilità, ma in quanto diretto responsabile. Sicché, la strada
della penitenza rimane sempre spianata. Dio misericordioso
non abbandona in nessun caso la sua creatura. È stato l’uomo
ad allontanarsi da Dio: ed è lui che è invitato a farvi ritorno.
Questo ritorno, questa trasposizione nello spazio di Dio, che
va di pari passo con la guarigione, la ristrutturazione e la tra
sformazione dell’esistenza umana, costituisce il nucleo del
191
pentimento e il contenuto dell’intera lotta spirituale, ivi inclu
sa la lotta che affronta il fedele nel corso della celebrazione del
Grande Canone.
192
trarre dalla materia (76) vita e gioia. E proprio perché le passioni
corporali, per essere soddisfatte, vanno in cerca della materia,
l’uomo che conduce una vita di passioni finisce col considerare
la materia come fonte di vita, e la sostituisce a Dio. Conseguenza
inevitabile della concupiscenza è l’idolatria:
193
re la fonte vitale del corpo e il centro dell’anima. Perciò nel cuo
re, in quanto intimissimo punto centrale della cosciente, libera e
razionale persona umana, sempre secondo la tradizione ortodos
sa, Dio incontra l’uomo.
Quando la libera volontà dell’uomo rinnega Dio, e l’uomo,
dalla condizione di essere a immagine di Dio, si riduce a un idolo
di se stesso, il cuore s’indurisce e, secondo il Grande Canone, «di
venta insolente», l’unità delle funzioni psicosomatiche «si spezza»,
la personalità si decompone. Le funzioni corporali, non alimen
tandosi della grazia di Dio, si riducono a semplici funzioni biologi
che. E le facoltà dell’anima, prive della grazia divina, s’indurisco
no e si materializzano, diventano parvenze di facoltà e, alimentate
dal peccato, perdono la loro giusta funzionalità e si alterano.
La volontà, che quando funziona conformemente alla sua
natura, esplica la sua attività per mezzo della libertà e dell’amore,
si trasforma con il peccato in desiderio, si rende schiava di questo
e «partorisce insolenza». L’intelletto (nous), che nell’uomo confor
me alla sua natura costituisce la somma delle sue capacità cono
scitive, il punto verso cui esse convergono unificandosi, l’occhio
dell’anima, la luce della teomorfa ragione umana che illumina e
guida l’uomo, con il suo allontanamento da Dio funziona come
semplice pensiero. Così la conoscenza, che nella funzionalità ad
essa conforme è perfetta comunione tra colui che conosce e ciò
che è conosciuto, nella condizione contraria alla sua natura si ri
duce a una semplice osservazione, vale a dire a cumulo di infor
mazioni empiriche relative all’oggetto di conoscenza e semplice
rielaborazione sillogistica dei dati acquisiti. Il contenuto dell’in
telletto, i pensieri, abbandonando il cuore, loro punto di riferi
mento naturale, errano per il mondo esteriore e inducono l’uomo
a rinnegare la sua realtà, a divenire assente da se stesso, a insegui
re all’infuori della sua esistenza idoli inesistenti di se stesso.
194
Rivestì di tuniche di pelle, r
il peccato, anche me, <
dopo avermi denudato della veste divinamente tessuta.
Questo abito psicosomatico della persona, successivo alla
caduta, può certamente diventare di nuovo spirituale mediante
l’ascesi e la vita spirituale, e l’uomo può vivere di nuovo la vita
divina. Ma può anche peggiorare, rendersi
vergognosamente screziato e lordo di sangue
dalflusso della mia vita piena di passioni e voluttà (79).
In verità, vendendo «ad estranei» (vale a dire alle passioni
peccaminose) la primogenitura della sua libertà, la volontà può
ridursi a «impeto irrazionale» e «indomabile» e a «voracità volut
tuosa», sottomettersi completamente al piacere e trasformarsi in
concupiscenza.
Nello stato avanzato di peccaminosità, anche Xintelletto « è
imbrattato di fango», diventa « terra», sprofonda nella materialità
e, pur compiacendosi di apparire « magniloquente», in realtà, co
me dice il Grande Canone, risulta « sommerso». I ragionamenti,
dovendo collaborare con le passioni del piacere, si concretizzano
nelle azioni peccaminose, le quali feriscono profondamente l’uo
mo. Avendo come contenuto il peccato, i sillogismi diventano
« passibili» e « sanguinari», il fedele li percepisce come ladroni
che saccheggiano la sua esistenza:
Sto in preda a ladroni -
ai miei peccati -
sono continuamente percosso da essi,
sono pieno di colpi (80).
Quest’anima « forsennata», dalla quale ha origine ogni pec
cato, corrompe anche il corpo. Il tempio dello Spirito si riduce a
195
un «albergo di lordure corporee». D fascino del corpo umano, le
molteplici possibilità di comunione che offre alla persona il cor
po umano, sono bruciate e distrutte dall’amore del piacere: il
corpo e, insieme con esso, l’uomo diventano «scempio di mutabi
le lascivia».
Con la sua totale sottomissione al peccato, l’uomo raggiun
ge l’estremo limite dell’autodistruzione. Con il suo libero arbitrio
egli riesce a ridurre a morte la sua coscienza, a dilapidare il corpo,
a uccidere la propria mente:
196
partecipano, dopo la situazione tragica e attraverso la catarsi,
raggiungono la redenzione.
In questo contesto in cui viene a trovarsi l’uomo in seguito
alle prospettive nuove dello spazio ristrutturato e in cui, come in
uno scenario, è rappresentata la vita intera ed è celebrato il pas
saggio dalla condizione tragica alla redenzione, il fedele prende
consapevolezza della reale gravità del peccato. Egli si accorge
che questo non costituisce un semplice offuscamento morale, ma
un degrado totale. Peccare non significa semplicemente compie
re un numero più o meno alto di azioni peccaminose, ma perde
re letteralmente la vita. Si tratta di una rovina nel senso più stret
to del termine, che l’uomo percepisce come assenza di Dio, delle
altre persone, di se stesso e delle creature. In una parola, come
assenza di mèta e di finalità, e, quindi, come solitudine e ango
scia insopportabili. Sono assai significative a questo punto alcu
ne espressioni del Grande Canone·.
197
salvezza, il suo punto di partenza. A questo punto conduce l’uo
mo, prima di qualsiasi altro fatto, il Grande Canone.
Parallelamente, questa funzione liturgica spiana davanti al
fedele la strada del ritorno, lo invita e lo assiste nell’opera con
creta del pentimento e della trasformazione, vale a dire della
guarigione, ristrutturazione e perfezione di se stesso. La progres
siva attuazione di quest’opera forma la via del ritorno.
Cercheremo di descrivere il contesto entro cui la celebrazio
ne del Grande Canone colloca quest’opera.
IV.
C o n t e s t o d e l r it o r n o
198
Non mi respingere, Salvatore,
mentre mi prosterno davanti alla tua porta
Non mi giudicare,
aprimi la tua porta
Ecco, ammiriamo
la filantropia del nostro Dio e Signore.
199
Tu sei il mio Creatore,
In Te io troverò la mia salvezza.
Ma l’opera della salvezza non la compie esclusivamente la
grazia di Dio. Si richiede anche la collaborazione dell’uomo: una
collaborazione responsabile, concreta, decisiva. Il peccatore che
vuole salvarsi è chiamato a realizzare dentro di sé, attraverso un
risanamento progressivo e una ristrutturazione delle sue funzioni
psicosomatiche, un concreto «rivolgimento» verso la sua comple
tezza e salute iconiche, affinché possa nel contempo «accedere»
realmente a Dio.
L’accesso a Dio è indispensabile: la salvezza, infatti, - vale a
dire il perfezionamento fino all’infinito dell’uomo, che avviene
con l’aiuto di Dio, e l’ottenimento di quella felicità che è talmen
te grande da vincere la morte - non può realizzarsi entro lo spa
zio dell’apostasia. In quest’ultimo spazio, il peccatore sente se
stesso come la perduta « dracma regale». Il suo valore in quanto
uomo è svalutato. Tutto ciò che è, che ha e che fa è insignifican
te, corruttibile, inutile. Perciò l’uomo volge i suoi occhi e i suoi
passi verso la « terra dell’eredità», chiede di essere trasportato in
questa terra e di divenire, come Àbramo, « emigrante»:
Esci dalla tena di Haran (81),
vieni nella terra dove scorre l’eterna incorruttibilità.
Non si tratta, tuttavia, di una trasposizione nello spazio. La
fuga da « Sodoma e Gomorra» è fuga dalla « fiamma di ogni appe
tito irrazionale». La salvezza si deve guadagnare su questa terra,
entro questo corpo; è salvezza non solo dello spirito ma anche
del corpo: è salvezza dell’anima, vale a dire salvezza della vita.
Nella funzione del Grande Canone incontriamo l’importantissi
ma espressione: « Recupera la vita»\
200
Occorre che vengano alla luce non solo le azioni peccami
nose nascoste, che il peccatore svela nel sacramento della confes
sione per ottenere il perdono, ma anche le cause nascoste delle
azioni stesse: la malvagità, le passioni, le radici da cui spuntano
le azioni peccaminose:
201
L’osservanza delle leggi induce l’uomo a prendere le distanze
dalle «azioni impure» e a perseguire le « azioni divine», attraverso
le quali « la vita contagiata di lebbra diviene candida e purificata».
D duro sforzo che richiede l’osservanza delle leggi (83), e gli
inevitabili insuccessi, concedono all’uomo un « cuore in perenne
contrizione» e una «povertà spirituale». Il fedele si rende conto
della sua debolezza e dei grandi pericoli che deve affrontare,
«delle insidie e delle astuzie dell’errore», e, passo dopo passo,
« rafforza» i suoi sforzi « col timore di Dio». Egli si riveste della
« dignità» e della «pietà», che costituiscono la « base stabile» della
scala che conduce in cielo. Quest’opera è propria della volontà,
che, con l’osservanza dei comandamenti, si abitua poco alla volta
a trovarsi in sintonia con la Volontà di Dio, il quale nuli’altro
vuole se non la salvezza dell’uomo.
Il terzo gradino, che, nel tempo, è parallelo al secondo, è co
stituito dalla conoscenza (gnòsis). L’atto della volontà è pilotato e
rinvigorito dall’attività dell’intelletto. Il risveglio delle facoltà
noetiche e il loro assenso alla chiamata di Dio segnano l’inizio
del «rivolgimento» e «accesso» dell’uomo a Dio:
Ridesta il mio intelletto per un ritorno.
L’attività della purificazione dei ragionamenti (pensieri),
tramite cui l’intelletto esplica la sua attività - attività che costitui
sce la dimensione basilare della riconquista, da parte dell’uomo,
della sua salute e integrità - richiede un duro sforzo.
Occorre che i pensieri smettano di stare al servizio dei desi
deri. Fintanto che i pensieri restano asserviti ai desideri, quelli
non fanno altro che inventare modi per soddisfare questi. E
quanto più sofisticati, abili e penetranti sono i pensieri, tanto più
perfetti sono i modi da loro inventati per la soddisfazione dei
piaceri, tanto più essi abbelliscono e perfezionano il male:
Vernasti di costruire un castello, o anima,
di metter su una fortezza
per i tuoi desideri.
202
Si ha corretto rapporto tra pensieri e desideri quando i pri
mi guidano i secondi verso tutto ciò che è vero e, quindi, buono.
Inoltre, occorre che i ragionamenti si liberino dalla schiavitù
delle creature. Fintanto che quelli restano sottomessi a queste, i
ragionamenti non riescono a intravedere né il loro senso né la lo
ro finalità: diventano servi di uno sviluppo senza via d’uscita, di
cui, a sua volta, l’uomo diventa schiavo, traendo come magra
consolazione la soddisfazione dei loro desideri. I ragionamenti
sono chiamati a illuminare le realtà, a portare in luce il loro si
gnificato, a sviluppare ed edificare in armonia con la natura ad
essi conforme, vale a dire in armonia con la finalità posta in loro
dal Creatore.
Nella misura in cui i ragionamenti si liberano dai desideri e
dalle creature, essi sono purificati e si concentrano nell’intelletto.
L’uomo fa ritorno in se stesso. D ’ora in poi, l’intelletto governa
ragionevolmente la vita e le azioni dell’uomo. Avendo trovato il
loro punto centrale, le funzioni psicosomatiche dell’uomo non si
combattono a vicenda: l’uomo ritrova la sua unità e semplicità.
Parallelamente, l’intelletto ristrutturato e illuminato dalla
203
la grazia di Dio e funzionano in modo nuovo. Al posto della vo
luttà subentra la letizia. La libertà, da indipendenza egoistica
qual era, si manifesta, fintanto che l’uomo progredisce, come
amore. Le passioni si liberano dalla passibilità, si esplicano come
funzioni naturali e, secondo il loro grado di unione con Dio, si
elevano a virtù, per giungere, in condizioni di grande santità,
quando cioè l’unione con Dio ha raggiunto una certa completez
za, a sensazioni e funzioni spirituali. L’uomo esce dalle tenebre,
si rivela «figlio del giorno», ottiene un abito di nozze, mostra
mirabile la bellezza della sposa.
Si hanno così tutti i requisiti per salire sul quarto e più alto
gradino della vita spirituale: la contemplazione (theória) e l ’impas
sibilità (apàtheia). La mente purificata e illuminata dalla verità
divina discende con grande sforzo di autoconcentrazione nel
cuore, e lì l’uomo puro e unificato contempla le realtà invisibili.
La contemplazione, che è supremo grado di conoscenza, cammi
na di pari passo con l’impassibilità, la quale si trova agli antipodi
della passibilità, giacché è la sublimazione dell’attività e il som
mo grado dell’azione:
Hai ottenuto /'apàtheia celeste
attraverso una perfetta condotta sulla terra.
Il che significa che il fedele non si cura più di ciò che è effi
mero e corruttibile. Come il mercante, che ha scoperto la pietra
204
preziosa, egli vende tutti i suoi averi per ottenere «con amore im
pareggiabile» ciò che è unico e supremo, « di cui si ha bisogno»:
205
umana del Dio-uomo, fanno proprie la sua vita e le sue funziona
lità e si salvano. Questo innestarsi in Cristo costituisce il conte
nuto reale e lo scopo finale dell’intera vita ecclesiale, sacramen
tale e ascetica. Il santo diviene « riproduzione di Cristo». Il Gran
de Canone chiama questo innesto «riconciliazione».
Dal punto di vista antropologico, la salvezza si chiama tra
sformazione, cambiamento di mentalità (metànoia). Ma la tra
sformazione dell’uomo è possibile in virtù della sua unione e del
la sua ri-conciliazione con Dio, che è realizzata nel corpo di Cri
sto: la Chiesa. Influenzati dalla concezione giuridica della salvez
za, noi intendiamo la riconciliazione come semplice remissione
dei peccati, mentre si tratta di qualcosa di più vasto. E la remis
sione dei peccati avviene perché nella ri-conciliazione con Dio
l’oceano della divina misericordia annienta i peccati umani. Nel
la sua realtà più totale, la riconciliazione è « comunione con
Cristo» e «comunione con il Regno di Cristo».
V
L O SNODARSI DEL DRAMMA
206
spirituale nel cammino di Cristo, che conduce al Golgota e alla
Risurrezione: cammino che racchiude in sé il destino dell’uma
nità.
Abbiamo detto sopra che il Grande Canone è un dramma.
Ed è noto che, in tutti i veri drammi, la soluzione giunge dal fu
turo. Nel caso specifico, la soluzione arriverà, e arriva, con la Ri
surrezione di Cristo, alla quale i fedeli si preparano durante tutta
la Quaresima: con la Risurrezione, che abolisce la corruzione e
distrugge la morte e che porta all’uomo e all’universo la nuova
vita e le nuove dimensioni, proiettate all’infinito.
Ma questa nuova realtà si manifesta fin da adesso davanti
agli occhi dei fedeli in una visione messianica: la profezia cristo
logica di Isaia, con la cui lettura si conclude la celebrazione del
Grande Canone.
Alla fine della lunga veglia, serena e maestosa come un sole
che sorge, suona nelle parole del profeta la voce di Dio Padre
che manda suo Figlio nel mondo e proclama i fatti meravigliosi
che egli compirà:
207
ANTOLOGIA DI TESTI DEI PADRI
Nota sulla scelta dei testi
211
quanto «punto di congiunzione naturale» di tutto, aveva il com
pito di unificare queste divisioni; all’uso non conforme alla sua
natura che Adamo ha fatto della potenza a lui connaturata e alla
conseguente caduta di lui; a Cristo, che, «compiendo in quanto
uomo... quanto era stato prestabilito che egli compisse in quan
to Dio», ha unificato le divisioni in discussione, ecc.
b) È qui esposto l’insegnamento fondamentale di san Massi
mo da noi presentato nelle pp. 64ss., 222ss.
c) Si risponde al quesito relativo al rapporto esistente tra
nascita biologica e nascita spirituale; si affronta il problema
dell’origine e della caduta dell’uomo; si espone brevemente il
progetto divino circa la deificazione dell’uomo anteriormente e
posteriormente alla trasgressione. Su questo testo si basa fonda
mentalmente la seconda parte del paragrafo da noi dedicato al
matrimonio. Occorre che questo testo di san Massimo il Confes
sore sia messo in relazione con quegli altri brani dello stesso san
to che, proprio perché contenuti nel testo di san Nicodemo più
avanti presentato, non sono qui riprodotti.
212
Ireneo
S m a sc h e r a m e n t o e c o n fu t a z io n e d e l l a fa l sa g n o si (dal
Libro IV, 38,1-3: BEPES 5,157-158).
213
giare il corpo e bere il sangue del Lògos di Dio, il pane dell’im
mortalità, che è lo Spirito del Padre, e potessimo contenerlo
dentro di noi.
2. Perciò san Paolo dice ai Corinzi: «Vi dovetti dare del latte
da bere e non del cibo solido, perché non lo potevate ricevere» (1
Cor 3, 2); e cioè, voi avete appreso la venuta del Signore in quan
to Uomo, ma lo Spirito del Padre non riposa ancora su di voi, per
via della vostra debolezza... Nel modo in cui Paolo poteva offrire
a loro cibo solido... mentre essi non potevano riceverlo... così
pure Dio era in grado di offrire fin dall’origine la perfezione
all’uomo, ma questi, in quanto posteriormente venuto in essere,
non poteva riceverla, o, una volta ricevuta, non poteva contener
la, o, una volta contenuta, non poteva conservarla. Ecco perché il
Figlio di Dio, pur essendo perfetto, si rese bambino accanto
all’uomo, non per se stesso, ma per l’uomo, manifestandosi come
bambino, di modo che l’uomo potesse contenerlo...
3. (...) L’ordine, il ritmo e la condotta con cui l’uomo gene
rato e creato diviene a immagine e somiglianza del Dio ingenera
to, è questo: il Padre decide e comanda, il Figlio esegue e model
la, lo Spirito nutre e fa crescere, l’uomo progredisce gradualmen
te e si eleva verso la perfezione: vale a dire, si avvicina all’Ingene-
rato. Perfetto, infatti, è l’ingenerato; e questi è Dio. Occorreva
quindi che l’uomo fosse prima generato, che una volta generato
crescesse, che una volta cresciuto divenisse adulto, che una volta
divenuto adulto si moltiplicasse, che una volta moltiplicatosi di
venisse forte, che una volta dotato di forze venisse glorificato, e
una volta glorificato riuscisse a vedere il suo Sovrano. Dio è, in
fatti, colui che sarà visto nel futuro; e la visione di Dio è costituti
va di incorruttibilità: «l’incorruttibilità rende simili a Dio».
214
Gregorio il Teologo
215
infatti originariamente la natura conforme all’uomo. E Dio im-
216
mortalità; di Colui che è l’Impronta del modello, il Sigillo inalte
rato, l’Immagine perfetta, il Termine e il Verbo del Padre. E il
Lògos di Dio si avvicinò alla sua immagine, indossò la carne a fa
vore della carne, si mescolò con l’anima noetica a favore della
mia anima, eliminando ogni cosa attraverso il suo simile, e, all’in-
fuori del peccato, diventa del tutto uomo. Concepito nel seno
della Vergine, precedentemente purificata nel corpo e nell’anima
ad opera dello Spirito Santo (occorreva infatti che nel contempo
fosse onorata la nascita e sublimata la verginità), è nato un unico
Dio dopo aver assunto due opposti: la carne e lo spirito: questo
divinizza, l’altra è divinizzata. Quale nuovo amalgama! Quale
miracolosa fusione! Colui che è, diviene; l’Increato è creato;
l’Inafferrabile si rende concreto attraverso un’anima noetica, in
termediaria tra la divinità e lo spessore della carne. Colui che ar
ricchisce diventa povero: Egli, assumendo la mia carne, diventa
povero affinché io mi arricchisca della sua divinità. Colui che
tutto contiene si priva di tutto: per un breve periodo Egli si priva
della sua gloria, affinché io ottenga la sua pienezza. Quale la ric
chezza di questa misericordia! Qual è questo mistero, compiuto
a mio beneficio? Avevo ricevuto la condizione di immagine, e
non ho voluto conservarla: Egli, invece, riceve la mia carne e per
ripristinare la sua immagine e per rendere immortale la mia car
ne. Egli instaura una seconda comunione molto più straordinaria
della prima: prima Egli aveva elargito il massimo; ora, invece,
Egli riceve il minimo. Ciò è ancor più divino del precedente, e,
agli occhi di chi è sano di mente, più sublime.
217
Gregorio di Nissa
218
primo uomo nato dalla terra, o piuttosto colui che fece nascere il
male nel genere umano, trovava il bello e il buono a portata di
mano in qualsiasi punto del suo ambiente naturale e ne poteva
disporre come voleva; purtuttavia, agendo contro se stesso, in
trodusse volontariamente delle novità contrarie alla natura e co
sì, rifiutando la virtù, venne a provare il male di sua libera scelta.
Il male, considerato al di fuori della libera scelta e in se stesso,
non esiste nella natura: «ogni creatura di Dio è bella e non va di
sprezzata» {1 Tm 4, 4), e «tutte le realtà che Dio ha fatto sono
fin troppo belle» (Gn 1, 31). Ma quando l’ingranaggio del male
s’introdusse nel modo sopra descritto nella vita dell’uomo cor
rompendola, e quando in seguito al rivelarsi nell’uomo di
un’enorme quantità di vizi originatisi da un piccolo pretesto, an
che la bellezza della sua anima - simile a Dio a imitazione della
bellezza originaria - fu annerita come un ferro dalla ruggine del
vizio, l’uomo in quelle circostanze non seppe più conservare la
grazia dell’immagine che gli era propria e che era conforme alla
natura, e assunse l’aspetto turpe caratteristico del peccato. Per
questo l’uòmo, «questa realtà grande e preziosa» (Prov 20, 6) -
così la chiama la Scrittura - abbandonò la propria dignità: come
chi scivola e cade nel sudiciume diventa irriconoscibile anche al
le persone con cui ha familiarità perché tutta la sua figura è spor
ca di fango, così anche l’uomo, caduto nel sudiciume del pecca
to, perse l’immagine del Dio incorruttibile e assunse con il pec
cato un’immagine soggetta a corruzione e fangosa. La Parola di
vina suggerisce di toglierla lavandola con l’acqua pura della retta
condotta di vita, in modo che una volta eliminato l’involucro di
terra, possa apparire di nuovo la bellezza dell’anima. La deposi
zione di ciò che è contrario all’uomo consiste nel ritorno a ciò
che gli è proprio e secondo natura: in quest’intento egli non può
riuscire, se non ritorna ad essere quello che era all’inizio, quando
fu creato (...).
Se il ritrovamento di ciò che si cercava significa il ritorno al
la condizione primitiva dell’immagine divina che ora è nascosta
dalla sporcizia della carne, noi dobbiamo diventare quello che il
primo uomo creato fu all’inizio della sua vita. Com’era dunque?
Non aveva vestiti fatti con pelli morte, poteva guardare con tutta
sicurezza il Volto di Dio, non giudicava il bello mediante il gusto
e la vista, «gioiva solo nel Signore» (Sai 36, 4), e a tale scopo -
219
questo fa capire la divina Scrittura - si serviva dell’aiuto che gli
era stato dato, giacché non conobbe la sua donna prima della
cacciata dal paradiso e prima che essa fosse condannata alla pe
na del parto per il peccato che aveva commesso lasciandosi in
gannare.
Possiamo ritornare alla primitiva beatitudine ripercorrendo
in senso inverso quello stesso cammino che ci portò fuori del pa
radiso, quando ne fummo scacciati insieme al nostro progenito
re. Di quale cammino si tratta? Allora il piacere, prodotto dal
l’inganno, diede inizio alla caduta. Alla passione accesa dal pia
cere seguirono quindi la vergogna, la paura, il non avere più il
coraggio di stare al cospetto del creatore, e il nascondersi tra le
foglie nell’ombra; dopo di che, essi si ricoprirono di pelli morte.
Così furono mandati esuli in questa regione malsana e aspra, nel
la quale il matrimonio fu concepito come un mezzo di consola
zione di fronte alla morte.
XIII. Se è dunque nostra intenzione andarcene via di q
unirci a Cristo, è bene cominciare questo distacco dall’ultimo
stadio, così come coloro che sono lontani dai propri familiari,
quando vogliono ritornare al loro punto di partenza, lasciano
per primo l’ultimo posto nel quale sono arrivati. Il matrimonio è
l’ultimo momento della separazione dal soggiorno nel paradiso:
proprio perché rappresenta l’ultima tappa, il nostro scritto sug
gerisce a coloro che ritornano a Cristo di considerarlo come la
prima realtà da lasciare. Occorre quindi abbandonare le miserie
terrene in cui fu posto l’uomo dopo il peccato e, successivamen
te, uscire dai rivestimenti della carne togliendoci le tuniche di
pelle, vale a dire i pensieri carnali. Abbandonata «ogni azione
vergognosa fatta di nascosto» (2 Cor 4,2), non dobbiamo più co
prirci con il fico della vita amara, ma gettare via queste foglie ca
duche che ricoprono la vita, ritornare al cospetto del Creatore,
rifiutare l’inganno offerto dal gusto e dalla vista, e farci consiglia
re non più dal serpente velenoso ma dal comandamento di Dio.
Questo ci ingiunge di toccare solo il bene e di rifiutare l’assaggio
del male, giacché tutto il male che ci colpisce si origina proprio
dal nostro desiderio di non ignorarlo. Per questo ai primi uomini
creati fu vietato di conoscere assieme al bene il suo contrario e
ordinato di tenersi lontani dalla conoscenza del bene e del male
e di cogliere il bene puro, non mescolato con il male. A mio awi-
220
so, ciò significa stare soltanto con Dio, gustare questa delizia
all’infinito e ininterrottamente e non mescolare al godimento del
bene ciò che trascina verso il suo opposto. E se si deve parlare
con franchezza, bisogna aggiungere che in tal modo ci si può
forse allontanare da questo mondo sommerso dal male, e tornare
di nuovo in paradiso, giunto nel quale Paolo udì e vide realtà
ineffabili e non contemplabili, di cui non è lecito agli uomini
parlare.
(trad. S. Lilla)
Massimo il Confessore
222
zione degli enti secondo causa, si possa manifestare chiaramente
nell’uomo la finalità del grande mistero del progetto divino: e
cioè che l’uomo, unificando gli uni con gli altri tutti gli opposti, i
più lontani con i più vicini, gli inferiori con i superiori, riesca,
dopo un continuo cammino ascendente, a giungere all’unione
con Dio. L’uomo, quindi, è stato introdotto nel mondo creato ul
timo fra gli esseri ed è stato posto come punto di congiunzione
naturale e mediatore degli opposti, verso cui convergono unifi
candosi tutte le cose che per natura si trovano a grande distanza
tra loro, per una finalità precisa: e cioè, cominciando a eliminare
per prima la distinzione che lo concerne e riconducendo, per via
di un procedimento graduale e ordinato, tutte le realtà all’unione
con Dio in quanto loro Causa, l’uomo possa finalmente vedere
realizzato lo scopo del suo cammino ascendente verso Dio - nel
quale non esiste divisione alcuna, poiché egli ha completamente
rigettato la preesistente distinzione di maschio e femmina, la
quale originariamente non rientrava nelle intenzioni della gene
razione dell’uomo - e, quindi, possa rivelarsi e diventare secon
do il progetto divino solamente un unico essere umano, non di
viso dalle denominazioni maschio e femmina, in conformità con
la ragione per la quale anteriormente (alla caduta) era esente da
questa divisione, mentre adesso ne è soggetto, acquistando per
fetta conoscenza della ragione per la quale egli è. Successivamen
te, dopo aver unificato, mediante una sua condotta divina, il pa
radiso e il mondo abitato Q ecumene), l’uomo potrà formare
un’unica terra, non divisa in base alle differenze tra le sue parti,
ma del tutto unita, e senza che nessuna delle sue parti subisca al
cunché. In seguito, dopo aver unito il cielo e la terra comportan
dosi, per quanto è possibile all’uomo, in modo angelico, riuscirà
a unificare l’intera natura sensibile in sé, senza che le distanze
spaziali implichino separazioni di sorta, essendo diventato il suo
spirito leggero e libero da ogni peso che lo trattenga verso la ter
ra e gli impedisca di risalire in cielo: infatti, senza badare alle
realtà di quaggiù, egli s’incammina mentalmente verso Dio, pre
ferendo sapientemente di tendere verso di Lui e, come percor
rendo una strada larga, riuscirà ad arrivare direttamente a Dio.
Poi, unificando fra sé gli enti sensibili e quelli intelligibili, egua
gliando la sua conoscenza a quella degli angeli, renderà un
tutt’uno l’intero mondo creato, senza che vi siano distinzioni tra
223
realtà conosciute e realtà sconosciute: la conoscenza, infatti, del
le ragioni degli enti acquistata dall’uomo sarà simile a quella de
gli angeli; in conformità a questa, infatti, a coloro che se ne ren
dono degni, è elargita direttamente la percezione inconoscibile e
inesplicabile di Dio. E, infine e sopra tutto, unificando mediante
l’amore la natura creata con quella increata (quale miracolo della
misericordia di Dio a favore dell’umanità!), egli risulterà solo e
unico possessore della grazia, in una totale coinsessione (perichó-
rèsis) con Dio e, escludendo un’identità sostanziale, diventerà
del tutto simile a Dio accogliendo in sé la totalità di Dio. E allora
accoglierà Dio stesso come unico e solo premio della sua ascesi
verso di Lui, ché è il fine ultimo di ogni realtà soggetta a moto,
riconoscendolo come Punto stabile e immutabile, Termine e Fi
ne invisibile e infinito di ogni termine e istituzione e legge e ra
gione e intellezione e natura.
Poiché quindi l’uomo, anziché muoversi, conformemente
alla natura con cui era stato creato, verso ciò che è immobile (va
le a dire verso Dio) in quanto verso il proprio principio, si è vol
to, contrariamente alla sua natura e ad ogni logica, verso le realtà
che, per volontà di Dio, egli doveva dominare; e poiché, facendo
cattivo uso della potenza a lui connaturata, anziché unire le real
tà che per generazione risultavano separate, ne ha accentuato la
separazione, rischiando così di ridursi miseramente alla condi
zione di non essere, per questo motivo le nature sono rifondate:
ciò che per natura è in sommo grado immobile, mirabilmente e
ineffabilmente si è mosso, per così dire, senza muoversi verso la
natura mobile: Dio si è fatto Uomo per salvare l’uomo distrutto,
e, sanando in modo soprannaturale le fratture della natura e ri
velando le ragioni particolari degli enti, per il cui tramite si ottie
ne l’unione delle cose separate, ha manifestato l’immensa Vo
lontà di Dio Padre, ricapitolando ogni realtà in sé, nel quale so
no state create. Mirando all’unione del tutto con se stesso, Egli
ha incominciato da ciò che concerne la divisione dell’uomo: Egli
diviene perfetto Uomo, prendendo da noi e per noi e secondo
noi ogni realtà, tranne che il peccato, e senza che per la sua na
scita risultasse necessario un atto matrimoniale: e ciò per rivelar
ci nel contempo, io credo, che nella scienza precognita di Dio
c’era un altro modo per la moltiplicazione del genere umano,
qualora il primo uomo avesse osservato il comandamento e non
224
si fosse spinto verso la condizione animalesca per via della tra
sgressione delle proprie qualità, spingendosi verso la distinzione
di maschio e femmina e verso la diversità di natura: distinzione
che, come ho già detto, non era indispensabile per la moltiplica
zione dell’uomo e di cui questi può fare a meno, senza che tale
distinzione debba permanere in eterno: «In Cristo Gesù - dice
infatti l’Apostolo - non c’è né maschio né femmina»... Poi, do
po aver beatificato il nostro mondo abitato conducendo una vita
conforme alla natura umana, fece ritorno direttamente in paradi
so, come veracemente ha dichiarato al ladrone... Dopo di che,
come se per Lui non esistesse differenza tra paradiso e mondo
abitato, Egli, dopo la sua Risurrezione dai morti, di nuovo si ma
nifestò in questa terra ai discepoli e mangiò con loro, mostrando
che c’è una sola terra indivisibile e mantenendo intatta la ragione
della distinzione per diversità. Poi, con la sua ascensione in cielo,
unì il cielo con la terra, e, ritornando nei cieli insieme con questo
corpo materiale, che è della stessa sostanza e natura di quelli no
stri, rivelò la ragione universale per la quale c’è una sola natura
sensibile, e annullò la qualità per la quale era soggetta a distin
zioni. Dopo di che, attraversando tutte le potenze celesti con il
corpo e l’anima, vale a dire con la nostra natura perfetta, unificò
tutte le realtà sensibili con quelle intelligibili, rivelando indivisi
bile e immutabile in se stesso la ragione primissima e universalis
sima, che induce l’intera natura verso l’uno. E, infine e soprat
tutto, Egli, pensando al genere umano, vale a dire al nostro bene,
fa ritorno verso Dio, manifestandosi, come è stato scritto, davan
ti al Padre come vero Uomo, Lui che, in quanto Lògos del Padre,
non può in alcun modo dividersi da questi, avendo come Uomo
portato con obbedienza a termine, per mezzo del suo operato e
in verità, quanto Dio aveva prestabilito, e portando a compimen
to ogni volontà di Dio Padre a favore di noi che, facendone cat
tivo uso, abbiamo reso inoperosa la potenza fin dall’origine a noi
connaturata: anzitutto, egli unificò in sé tutta la nostra natura,
eliminando la distinzione maschio e femmina, e, al posto di ma
schi e femmine, in cui consisteva la distinzione, rivelò prevalen
temente e prettamente la nostra natura dell’essere umano, affatto
simile a Lui, e ne riprodusse l’immagine, in sommo grado libera
da ogni corruttibilità. E assieme con noi e per noi egli unì, par
tendo dal centro e fino ai confini estremi, l’intero mondo creato:
225
attirando irrefrenabilmente su di sé il paradiso e il mondo abita
to {ecumene), il cielo e la terra, le realtà sensibili e quelle intelli
gibili, come se avesse corpo e sensazioni e anima e intelletto
umani, divinamente ricapitolò in sé ogni realtà. E con ciò mostrò
che tutta la creazione costituisce un tutt’uno a mo’ di un essere
umano: essa è formata dal mutuo compenetrarsi delle sue singo
le parti e riposa in se stessa nella totalità della sua esistenza, in
virtù dell’unica, semplice, ineffabile e inalterabile Intelligenza
che l’ha creata dal nulla: dalla quale l’intero mondo creato trae
l’unico e identico e indivisibile lògos, poiché il non essere della
creazione è anteriore al suo essere.
226
SU VARI LUOGHI DIFFICILI DEI SANO DÌONIGIE GREGORIO IL
T e o lo g o , PG 91,1248A-1249C.
227
nasconde Dio silenziosamente annunciandosi, allora essa riesce
volontariamente a creare dentro la propria mente (diànoia) un
mondo spirituale: e cioè, combinando le quattro virtù generali,
alla stregua di quattro elementi, per la formazione del mondo in
telligibile da esse scaturito, riesce ad abbinare ogni singola virtù
alla sua corrispettiva facoltà sensitiva. Quindi: l’intelligenza sca
turisce dall’attività conoscitiva e scientifica - frutto di combina
zione della facoltà noetica e logica con le sensazioni ottica e au
ditiva - sulle realtà da queste percepibili; il coraggio scaturisce
dall’attività estremamente regolare, frutto di combinazione
dell’impetuosità con l’olfatto, vale a dire del naso (infatti, si so
stiene che il naso sia la sede dell’impetuosità); la moderazione
deriva da un’attività controllata - conseguenza di combinazione
della facoltà appetitiva con la sensazione del gusto - sul corri
spettivo oggetto sensibile; la giustizia, deriva dall’equa e ordinata
e armoniosa distribuzione della facoltà vitale, attraverso il tatto,
a quasi tutti gli oggetti sensibili. Dalla combinazione di queste
quattro virtù generali, l’anima forma due virtù più generali: la sa
pienza e la temperanza. La sapienza è il fine ultimo delle realtà
intelligibili, la temperanza delle realtà pratiche. Dalla combina
zione infatti dell’intelligenza e della giustizia, l’anima produce la
sapienza: questa è conoscenza derivata dal coordinamento delle
acquisizioni intellettive e della scienza della giustizia e, quindi,
come ho detto, è il sommo grado del sapere. Dalla combinazione
della fortezza con la temperanza, invece, si forma la mansuetudi
ne: quest’ultima nuli’altro è se non estrema impassibilità di tem
peramento e impassibilità al desiderio contrario alla natura (al
cuni la chiamano apatheia) e, perciò, risulta come fine ultimo
delle realtà pratiche. Dalla combinazione di queste due ultime
virtù, infine, l’anima produce la virtù più generale dell’amore.
L’amore è estasi e guida e vincolo per chi da esso procede, da es
so è mosso e in esso approda, e divinizzazione per ciascuno at
tuata in un modo particolare. Qualora l’anima muova con sa
pienza e operi secondo la ragione che conduce a Dio, essa perce-
iisce opportunamente, attraverso i sensi, le cose sensibili, fami-
iarizzanao con le loro ragioni spirituali e le adopera come veico-
i delle sue facoltà. Poi, unifica le sue facoltà con le virtù e, attra
verso le virtù, unifica se stessa con le loro ragioni divine, che, a
loro volta, si unificano con la mente spirituale misticamente na
228
scosta in esse. Questa, stimolando ogni relazione spontanea o vo
luta che l’anima instaura, la conduce semplice e completa a Dio.
E Dio, abbracciandola assieme al corpo che la avvolge, rende il
tutto analogicamente simile a se stesso. Sicché, Egli, della cui na
tura nessuno degli enti può in qualche modo partecipare, riesce
a rivelarsi ineffabilmente e integralmente ad essa.
229
SU VARI LUOGHI DIFFICILI DEI SANTI DlONIGI E GREGORIO IL
T e o lo g o , PG 91,1345C-1349A.
230
per mezzo di uomini e, a favore degli uomini, nasce corporal
mente senza peccato, e, Lui che è per natura Dio e per natura Fi
glio di Dio, è battezzato e, sempre a favore dell’uomo, accetta
volontariamente la nascita spirituale secondo lo Spirito, affinché
venga abolita la nascita per mezzo del corpo. Ora, poiché il Fi
glio e Lògos che ci creò, che è Dio parimenti al Padre e allo Spi
rito Santo e della stessa loro dignità, diventò uomo per noi e se
condo noi e da noi, e nacque corporalmente senza peccato, e,
Colui che è per natura Dio, accettò di ricevere il battesimo della
filiazione spirituale, secondo me volle aggiungere all’Incarnazio
ne la nascita secondo il battesimo per un motivo preciso: e cioè,
per abrogare la nascita corporale e liberarci da questa. Ciò che,
per essere stato volontariamente rinnegato (e cioè la divinizza
zione attraverso la nascita per mezzo dello Spirito), condannò
Adamo alla nascita corporale che soccombe alla corruzione, que
sto stesso, per aver accettato di divenire uomo, Colui che è buo
no e misericordioso nei confronti del nostro peccato, amalga
mandosi volontariamente con noi, Colui che è libero e immaco
lato, e accettando la nascita corporale, che racchiude in sé il mo
tivo della nostra condanna, misticamente la trasformò in nascita
spirituale; e, spezzando le catene della nascita corporale, dette il
potere a coloro che credono in Lui di divenire attraverso la na
scita dello Spirito volontariamente figli di Dio piuttosto che esse
re figli della carne e del sangue. La mia condanna quindi è stata
causa dell’Incarnazione e della nascita corporale del Signore, alla
quale fece seguito la nascita spirituale attraverso il battesimo a
favore della mia salvezza e del mio richiamo o, per dirla meglio,
della mia rifondazione: nascita spirituale, che ha attirato su di
me la predisposizione di Dio nei confronti del mio essere, anzi
del mio felice essere, e ha colmato la precedente distanza e sepa
razione, riconducendomi sapientemente verso la Ragione eterna:
in virtù della quale non si può più chiedere verso dove l’uomo è
trasportato o verso dove egli stesso tende, dal momento che, per
mezzo della grande risurrezione generale, si è reso noto il fine ul
timo di tutti i fenomeni: infatti, l’uomo, per il quale la natura dei
fenomeni ebbe origine per generazione, e per mezzo del quale
essa diverrà per grazia incorruttibile di natura, è stato generato
per l’immortalità secondo un’esistenza inalterabile. Ricapitolia
mo ora quanto abbiamo fin qui esposto. La nascita corporale del
231
Salvatore nostro si può intendere nei modi seguenti: secondo la
ragione della natura umana anteriore (alla caduta) e secondo la
ragione attualmente in vigore, per la quale egli morì; poi, secon
do la ragione della generazione conforme alla natura umana e se
condo la modalità (attuale) della nascita; poi, secondo i vari mo
di della generazione dell’anima e del corpo e, infine, secondo la
concezione senza seme e la generazione senza corruzione. Spetta
ora a voi, in quanto giudici imparziali, giudicare rettamente qua
le nascita tra queste è da preferire.
232
Nicola Cabasilas
La v ita in C r is t o , PG 150,680A-684B.
233
va verso l’immortalità: potè però raggiungerla solo posterior
mente, mediante il Corpo del nostro Salvatore: con la risurrezio
ne dai morti per una vita immortale, egli divenne Guida d’im
mortalità per il genere umano. E, per dirla in breve: primo e solo
il nostro Salvatore ha rivelato, mediante tutta la sua vita, qual è il
vero e perfetto uomo.
Se la finalità dell’uomo, verso cui guardava Dio nell’atto di
234
)arazioni particolari né di luoghi speciali né di clamore. Non c’è
uogo in cui Cristo non sia presente o che non sia accanto a noi,
^ui che, per coloro che Lo cercano, è più vicino del loro cuore
stesso. Di conseguenza, siamo pure certi che egli risponderà alle
nostre preghiere e non ne dubitiamo, per il fatto che noi siamo
cattivi; piuttosto cerchiamo di osare, perché Colui che è invocato
è buono (...). Infatti, noi non invochiamo il Signore affinché ci
incoroni (...) ma affinché abbia misericordia di noi (...). E invo
chiamo Dio e per mezzo di parole e per mezzo di pensieri e per
mezzo di ragionamenti affinché possiamo applicare su ogni no
stro peccato l’unico farmaco salutare: «Infatti, non esiste - egli
scrive \At 4, 12] - altro Nome dato agli uomini per mezzo del
quale noi possiamo essere salvati».
A renderci capaci per l’ottenimento di tutto ciò, è sufficien
te quel Pane (dell’Eucaristia) che sorregge effettivamente il cuo
re dell’uomo e concede vigore, estirpando dall’anima ogni indo
lenza. Questo Pane, che è sceso dall’alto dei cieli per portarci la
vita, noi dobbiamo a ogni costo cercare, affinché, cibandoci con
tinuamente di esso, riusciamo a soddisfare la nostra fame. Né,
col pretesto che non occorre accostarsi ai sacramenti oltre il do
vuto, è lecito restare lontani dalla mensa, rendendo così la nostra
anima ancor più povera e debole. Piuttosto, dopo aver confessa
to i nostri peccati al sacerdote, dobbiamo bere il Sangue che pu
rifica. Ed è certo che se noi coltiviamo questo pensiero, non
commetteremo mai nulla di così grave, da poterci precludere
dalla santa Mensa; piuttosto, nella misura in cui sarebbe empio
accostarsi ai sacri Doni dopo aver commesso un peccato morta
le, così pure sarebbe inopportuno rifuggirne, se non si è così gra
vemente infermi.
235
Nicodemo l’Agiorita
A p o l o g ia d e l b r a n o c o n test a t o , c o n t e n u t o n e l l ib r o « L a
LOTTA INVISIBILE», INTORNO ALLA SOVRANA NOSTRA, LA MADRE DI
Dio [in Manuale di consigli ovvero sulla tutela dei cinque sensi,
Ed. S. Schoinas, Volos 1969, pp. 207-216].
236
Madre di Dio, e (secondo il ragionamento umano) quel frutto
che è il suo Figlio Unigenito» (Omelia seconda nella festa
dell’Annunciazione, voi. II, p. 143). E da parte mia aggiungo an
che quanto segue: che tutto il mondo sensibile e intelligibile è
stato precostituito e predisposto proprio per questa finalità.
Vuoi sapere da dove risulta chiaro tutto ciò? Da quanto sto per
esporre. La Sacra Scrittura testimonia che il mistero dell’Incar
nazione del Dio Lògos è inizio di tutte le vie del Signore, che è il
primo di tutte le creature, e che questo mistero è stato predispo
sto prima che fosse predisposto ciò che doveva essere redento.
Le frasi della Scrittura, che lo testimoniano, sono: «Dio mi creò
fin dall’inizio dei suoi atti, prima ancora delle sue opere»; «Fin
dall’eternità io fui costituito» (Prov 8, 22.23); «Egli è Icona del
l’Invisibile Dio, il Primogenito di tutta la creazione» (Col 1, 15: e
bada che qui non si limita a dire della creazione, ma di tutta la
creazione, e cioè di quella sensibile e di quella intelligibile); e
«Poiché coloro che Egli conobbe in antecedenza, li predestinò
ad essere conformi all’Icona del Figlio suo, affinché Egli sia Pri
mogenito fra molti fratelli» (Rm 8, 29). E fin qui la testimonian
za di san Paolo.
L’insegnamento poi di molti Padri della Chiesa è in armonia
con i summenzionati detti della Sacra Scrittura. Interpretando
infatti le espressioni «Dio mi creò fin dall’inizio dei suoi atti» e
«Primogenito di tutta la creazione», i Padri sostengono che le
espressioni in questione vanno intese in riferimento a Gesù Cri
sto: non in relazione alla sua divinità - che, in quanto Dio, egli è
consustanziale e coetemo al Padre, e né è stato creato da Dio né
Egli è il primo della creazione, come sosteneva il blasfemo Ario
- ma in relazione alla sua umanità, che, antecedentemente ad
ogni altra cosa, Dio previde come inizio delle sue eterne previ
sioni prima di tutta la creazione. I Padri che sostengono ciò so
no: il Grande Atanasio (nel suo trattato Contro gli ariani), Cirillo
di Alessandria (nel libro IV dei Tesori, capp. 4, 6 e 8) e il divino
Agostino (nel De Trinitate).
Che la predestinazione di Cristo sia principio della predesti
nazione di tutto ciò che necessita di salvezza, lo testimonia l’apo
stolo Paolo quando dice: «Poiché coloro che Egli conobbe in an
tecedenza, li predestinò ad essere conformi all’Icona del Figlio
suo», e lo testimonia anche Ecumenio interpretando questo det
237
to come segue: «Ciò che il Figlio di Dio è per natura nella sua
Incarnazione (ed è chiaro che egli è santo e senza peccato), lo
stesso sono fatti anche essi per grazia: egli infatti chiama Imma
gine di Dio il modo di vita di Cristo e, conseguentemente, il suo
corpo». Questa immagine, vale a dire la vita in santità, che tende
verso ogni realtà pura, l’ha espressa in modo analogo ad Ecume-
nio anche san Cirillo di Alessandria. E anche Coressio, nel suo
trattato sulla predestinazione, si occupa di questo dogma in mo
do ancor più diffuso.
E san Massimo il Confessore, nella 60a aporia sull’Incarna
zione divina dice: «Ecco il grande mistero rimasto nascosto. Ec
co il fine beato, in vista del quale ogni realtà fu posta in essere.
Ecco la finalità divina precognita che diede inizio agli esseri e
che, volendola definire, noi diciamo che essa è il Fine precognito
per la cui causa ogni realtà esiste, mentre essa stessa rimane libe
ra da ogni necessità. In vista di questa finalità Dio creò le sostan
ze degli enti. Questo è il fine della provvidenza e delle realtà pre
disposte, per via del quale si realizza la ricapitolazione in Dio.
Questo è il mistero che descrive i secoli e l’inrinitamente infinita
preeterna e immensa Volontà di Dio, che il Lògos di Dio, dive
nuto uomo, potè annunciare, manifestando l’abisso della bontà
preeterna e indicando se stesso come finalità di tutte le creature
che ebbero sapiente origine». Senti come ogni realtà è stata pre
cognita e predisposta per questo mistero, mentre quest’ultimo è
libero di ogni precognizione e di creazione e di finalità?
Di parere analogo a quello di san Massimo il Confessore è
anche Gregorio di Salonicco, il quale, nella sua omelia Sull’Epi
fania, dice testualmente quanto segue: «Il Padre, dicendo nei
confronti di colui che era battezzato secondo la carne: “Questi è
il Figlio mio, il Diletto, nel quale mi compiacqui”, ha mostrato
che ogni fatto precedentemente operata dai Profeti (le Leggi e le
annunciazioni e le adozioni) era rimasta ancora imperfetta, e non
è stato detto e fatto secondo la primitiva volontà di Dio, bensì in
vista di questa finalità attuale, e con il compimento di quest’ulti-
ma sono state compiute anche quelle. E ciò non vale solo per le
leggi, le annunciazioni e le adozioni dei profeti: anche la stessa
fondazione del mondo era sin dall’inizio finalizzata a Cristo, a
Colui che era battezzato quaggiù come Figlio dell’uomo e che
era proclamato lassù come il Figlio, il Diletto del Padre e, come
238
dice l’Apostolo, per il quale e per mezzo del quale ogni realtà è
stata fatta. Ne consegue che anche la creazione dell’uomo è stata
fatta a immagine di Dio per Lui, affinché potesse un giorno con
tenere l’Archetipo. E anche la legge posta in paradiso era finaliz
zata a Cristo: Colui infatti che ha posto questa legge, non
l’avrebbe posta se avesse predisposto che l’uomo dovesse restare
imperfetto. E tutte le altre realtà, che Dio pronunciò e compì
posteriormente a Lui, quasi tutto è stato fatto in riferimento a
Cristo. Se così non fosse, si potrebbe dire che tutto ciò che è nel
mondo dell’aldilà e la natura e le potenze angeliche e le leggi di
vine ivi poste, anch’esse erano fin dall’inizio finalizzate a Lui:
che hanno servito dall’inizio fino alla fine l’economia teandrica.
Compiacenza di Dio, infatti, è l’anteriore e buona e perfetta Vo
lontà di Dio; e il Figlio è l’Unico in cui Dio si compiace e su cui
riposa e di cui gioisce il Padre; Egli è il suo Mirabile Consigliere,
il Nunzio della sua immensa Volontà, Egli è Colui che ascolta la
Volontà del Padre e la dichiara e, a coloro che l’accettano, con
cede la vita eterna». Vedi che Dio ha creato l’uomo secondo la
sua Immagine affinché questi potesse un giorno contenere l’Ar
chetipo mediante l’Incarnazione? Dio creò l’uomo come vincolo
del mondo sensibile e di quello intelligibile, e lo rese ricapitola-
tore e punto terminale di tutte le creazioni per questa finalità: af
finché, unitosi con Dio, egli potesse unirsi con tutto il creato e,
come dice san Paolo, ogni realtà celeste e terrena si ricapitolasse
in Cristo, e, come dice Massimo il Confessore, Creatore e creatu
re divenissero ipostaticamente una sola realtà. Che l’Incarnazio
ne di Dio fosse necessaria, lo testimonia il divino Cirillo di Ales
sandria (Commento al Vangelo secondo Matteo, cap. 17)... E an
che il divino Agostino (cf. Enchiridion, cap. 26) dice che Dio ha
assunto corpo affinché l’anima e il corpo dell’uomo fossero bea
tificati: l’anima per la sua divinità, il corpo per la sua umanità.
E ritengo superfluo sottolineare che anche gli ordini degli
angeli avevano bisogno dell’Incarnazione: non solo per acquisi
re, mediante questa, l’immutabilità (secondo il parere di molti
teologi, infatti, essi non la possedevano anteriormente all’Incar
nazione), ma affinché, sempre mediante questa, crescessero in
ampiezza, onde godere in maggior misura degli splendori e mi
steri tearchici. Perciò il sapiente Teodoreto disse che, in seguito
all’Incarnazione, gli angeli vedono Dio, non in quanto immagine
239
della sua gloria, come accadeva precedentemente, ma Lo vedono
vivo e vero avvolto nella carne. E per questo motivo Paolo ha
detto che Cristo (in quanto Uomo, ovviamente), è la Testa di tut
to, o, come scrive san Girolamo, «(Cristo) è a capo della Chiesa,
vale a dire degli angeli e degli uomini» (E f 1, 22). E, nei confron
ti degli angeli, Dionigi l’Areopagita dice: «(le prime essenze: sdì.
gli angeli) sono allo stesso modo ritenute degne di entrare in co
munione con Gesù; <tale comunione si realizza> non grazie a sa
cre immagini, che riproducono in figure una parvenza dell’atti
vità divina, ma perché esse si avvicinano veramente a Lui e par
tecipano in modo immediato della conoscenza della sua Luce di
vinamente operante» (Gerarchia celeste, 7,2). E il santo Isacco il
Siro dice: «Anteriormente all’Incarnazione di Cristo, neanche ad
essi (sdì. agli angeli) era consentito avvicinarsi a questi santi mi
steri; ma dopo che il Lògos s’incarnò, si aprì ad essi la porta in
Cristo Gesù» (Omelia 84).
E il predicatore Miniatis afferma lo stesso nella sua omelia
Sulla domenica che precede il Santo Natale: «Il grande mistero
dell’Incarnazione, essendo l’opera più sublime e più nobile e più
perfetta delle divine sapienza e potenza demiurgiche, è stato pre
disposto dalla sapientissima mente di Dio ed era precognito ad
essa. Prima ancora che Dio predestinasse il mondo creato o gli
angeli o il genere umano o qualsiasi altra creazione, egli aveva già
prestabilito nella sua preetema Volontà l’Incarnazione del Lògos
divino. Ragion per cui l’Incarnazione del Lògos divino è detta, nei
sacri testi, “Principio delle vie del Signore” e lo stesso Lògos in
carnato “Primogenito di tutta la creazione”». Dopo di che, così
prosegue: «E opportunamente la divina Incarnazione è stata pre
stabilita da Dio anteriormente a ogni altra realtà: perché, come
sostengono i venerabili Padri, di tutte le opere di Dio, l’Incarna
zione rende maggiormente gloria a Lui: tutti gli uomini e gli ange
li insieme non riescono a rendere tanta gloria a Dio quanto gliene
rende il solo Lògos Diouomo. Il quale, conversando col suo Pa
dre imprincipiato, dice: “Io ti ho glorificato sulla terra”». Se
quindi, come sostiene questo saggio maestro, il mistero dell’In
carnazione è stato prestabilito e precognito anteriormente a ogni
altra realtà, ne consegue che esso stesso costituisce la finalità ver
so cui sono state predestinate e precognite tutte le altre creazioni,
in quanto successivamente a quello predestinate e precognite.
240
E anche Giorgio Coressio, nelle Aporie sull’Incarnazione, di
ce che presso Cirillo di Alessandria e altri Padri il Cristo è chia
mato finalità delle opere di Dio. Ora, se l’Umanità di Cristo è la
finalità delle opere di Dio; e se la finalità di ogni singola realtà
precede nel pensiero e nella conoscenza e consegue nell’attuazio
ne e nel compimento (come dice Aristotele nel libro VII della
Metafisica, e come sostengono tutti i filosofi, antichi e moderni):
allora l’umanità di Cristo, che è la finalità di tutte le opere di Dio,
benché posteriormente compiuta, è stata comunque da Dio ante
riormente contemplata e conosciuta e determinata: ché, secondo i
filosofi, tutte le realtà intermedie sono modellate in base a una fi
nalità presupposta nella mente. Inoltre, Isaia dice che il mistero
dell’Incarnazione è l’antica Volontà di Dio. Egli, infatti, dice: «Si
gnore, tu sei il mio Dio, io ti esalterò e loderò il tuo Nome, per
ché hai fatto cose stupende: i tuoi antichi disegni sono fedeli» {Is
25,1). Egli chiama «antica» la Volontà di Dio in quanto Principio
principiante di tutte le altre Volontà di Dio: se infatti ci fosse
un’altra volontà conosciuta anteriormente a questa, allora non
l’avrebbe chiamata antica, bensì più recente e conseguente.
Anzi: dirò ancora qualcosa di più sublime e profondo. Tre
realtà si riconoscono in Dio: la sostanza (ousia), le ipostasi (per
sone) e l’energia. Quest’ultima è la più esterna, ripostasi più
all’interno di Dio e la sostanza in sommo grado all'interno di
Dio. Dice infatti san Basilio: «Le energie di Dio discendono ver
so di noi, mentre la Sua sostanza rimane ineffabile». In base a
queste tre realtà, Dio ha instaurato fin dall’eternità tre relazioni
universali: la relazione secondo cui il Padre comunica secondo
sostanza con il suo Figlio consustanziale e con lo Spirito Santo,
generando il primo fin dall’eternità ed emanando il secondo: in
fatti, se Dio restasse assoluto e senza alcuna relazione, Egli non
avrebbe né Figlio né Spirito Santo, né avrebbe trasmesso loro la
sua sostanza: le Tre Persone, pertanto, sono Uno per via del
l’identità della sostanza. Il Figlio ha instaurato la relazione unen
dosi per ipostasi con l’umanità, per la quale relazione egli ha
preconosciuto e predeterminato la conseguente, in ordine crono
logico, reale unione: l’umanità, infatti, non avendo una propria
ipostasi, ha partecipato dell’ipostasi del Figlio, traendo da que
sto l’essere. Fin dall’eterno Dio (e specificamente lo Spirito San
to, cui è affidata tutta la comune energia della Santissima Trinità)
241
ha stabilito la relazione basata sulla comunione secondo energia
con il resto del mondo creato, per la quale relazione sono state
precognite e predeterminate tutte le creazioni sensibili e intelligi
bili. Le creature, infatti, partecipano solo dell’energia e della po
tenza di Dio, e non anche dell’ipostasi o dell’essenza e natura,
avendo ricevuto l’essere nella divina potenza ed energia. Ora,
poiché, in base a tutto ciò, l’ipostasi è più all’interno di Dio di
quanto lo sia l’energia, ne consegue che la relazione secondo ipo
stasi è più all’interno della relazione secondo energia; e se questo
è vero, ne consegue che la precognizione e predestinazione della
relazione secondo ipostasi dell’umanità del Dio Lògos è più
all’interno della precognizione e predestinazione della relazione
secondo energia di tutte le altre creature. Se poi la precognizione
dell’Umanità di Cristo è più all’interno di Dio, è chiaro che que
sta è anteriore anche secondo l’ordine, ed è causa della precogni
zione delle creature: ché la divina ipostasi, su cui si basano la re
lazione e la precognizione dell’umanità, è secondo tutti i teologi
la causa effettiva dell’energia divina, sulla quale si basa a sua vol
ta la relazione e precognizione di tutte le creature.
A quanto fin qui detto si aggiunga anche quanto segue. Le
stesse parole sublimi e divine, mediante cui san Massimo il Con
fessore espone e celebra il mistero dell’Incarnazione, sono usate
dal grande melode e sommo tra i teologi Andrea di Creta, per
celebrare la persona della Madre di Dio, che è principio di vita e
ha ricevuto dentro di sé Dio ed è strumento e mezzo immediato
e concausa necessaria e conditio sine qua non del mistero dell’In
carnazione. E tutto ciò perché lei è la Madre del Dio Lògos in
carnato. Nella seconda delle sue tre Omelie sulla Dormizione,
Andrea di Creta dice nei confronti della Madonna quanto segue:
«Il corpo della Madre di Dio è principio di vita, avendo accolto
dentro di sé la Pienezza della divinità, l’Immagine perfetta della
bellezza primigenia, la materia in sommo grado armoniosa della
divina incorporazione, il mondo immenso in un mondo piccolo,
che ha portato il mondo dal non essere all’essere. Questo corpo
è stato offerto a nostro beneficio dal Dio che è; questo corpo è la
manifestazione dei reconditi abissi della divina insondabilità.
Questo è lo scopo pensato anteriormente ai secoli dal Creatore
dei secoli: Lei è l’apice dei divini oracoli, la Volontà inenarrabile
e ineffabile della provvidenza preetema concernente l’uomo,
242
ecc.». Ora, se la Deipara (Theotókos) è definita da questo teolo
go «volontà predestinata da Dio»; e se san Massimo il Confesso
re, nel definire la Volontà predestinata di Dio, ha detto che essa
è la finalità prestabilita: ne consegue necessariamente che la Dei
para può opportunamente considerarsi finalità prestabilita, mi
rando alla quale Dio ha posto in essere le sostanze degli enti, va
le a dire il mondo intelligibile e sensibile... E ciò appare chiaro
dai risultati: il mondo noetico degli angeli, infatti, e quello sensi
bile degli uomini, hanno ottenuto, mediante la Deipara, il primo
l’immutabilità, l’altro la conoscenza di Dio, come appunto testi
monia il celebre tra i teologi Giuseppe Briennios dicendo (nella
sua Omelia seconda sulla nascita della Deipara)·. «(Dio) ha creato
un altro cielo, animato e razionale, affinché tramite esso gli uo
mini acquistino la conoscenza di Dio e gli angeli l’immutabilità»
(voi. Ili, p. 15). E attualmente, trovandosi la Nostra Signora Dei
para, in quanto Madre di Dio, al secondo posto dopo Dio stesso,
e avendo prevaricato non solo tutti gli uomini, ma anche gli ordi
ni primi e superiori dei Cherubini e Serafini, distribuisce la ric
chezza di tutte le grazie e dei divini splendori di Dio a tutti
quanti, sia uomini, sia angeli, come all’unisono proclama tutta la
Chiesa di Cristo.
(...) Perché allora san Massimo il Confessore ha sostenuto
che tutte le creazioni sono state fatte per il mistero dell’Incama-
zione, e che quest’ultimo mistero non è stato fatto per nessuna
finalità, mentre la Sacra Scrittura e tutti i Padri dicono espressa-
mente che questo mistero è stato fatto per la rifondazione e la
salvezza del genere umano? Mi sembra che ciò si spiega perché,
come sostengono i filosofi, alcune realtà sono soltanto mezzi e
non fini, altre sono al contempo mezzi e fini (vale a dire che so
no fine per ciò che è inferiore a loro, e mezzo per ciò che è supe
riore a foro), altre invece sono fine e non mezzo, vale a dire che
sono fine di finalità, come sono chiamate in quanto superiori a
tutto. Per questo motivo quindi il divino Massimo sostiene qui
che il mistero dell’Incarnazione del Dio Lògos è fine e non mez
zo soltanto, essendo l’opera più alta e più sublime della Santa
Trinità, e finalità che svetta sulle finalità, alla cui causa si ricon
ducono tutte le realtà, mentre questo non si riconduce a nessu
na: che altro di più sublime può esistere infatti dell’unione ipo
statica del Fattore con le fatture? Quand’anche si volesse con
243
templarlo per altri motivi, tuttavia questo mistero è stato fatto
per la rifondazione e la salvezza del genere umano. E per dirla
perfettamente, il mistero dell’Incarnazione divina è principio e
mezzo e fine di tutte le creature: delle noetiche, delle sensibili e
di quelle miste. È principio di tutte le creature, perché la preco
gnizione e la predestinazione di questo mistero costituiscono
l’inizio e la causa della precognizione e predeterminazione e
creazione di tutto il creato, come si deduce dalle espressioni «Il
Signore mi pose all’inizio delle sue vie», e «Primogenito di tutta
la creazione»: espressioni, queste, che, come abbiamo stabilito,
vanno intese con riferimento al Figlio e Lògos in quanto Uomo.
Dice infatti san Massimo il Confessore nella 60a Aporia: «Per
Cristo Gesù, vale a dire per il mistero che concerne Cristo, han
no avuto inizio e fine in Cristo tutti i secoli e quanto i secoli con
tengono. E stata infatti prestabilita un’unione tra secoli ed eter
nità, tra misura e incommensurabilità, tra limite e infinitudine,
tra Creatore e creatura, tra fissità e mobilità, la quale, al compi
mento dei secoli, è stata rivelata in Cristo, portando a compi
mento tramite essa stessa la precognizione di Dio».
Il mistero dell’Incarnazione divina è poi mezzo, perché, co
me ha detto san Massimo, portò a compimento la precognizione
di Dio. Questo mistero ha concesso l’immutabilità agli angeli e
refrattarietà al male, come abbiamo sopra accennato seguendo
Gregorio di Salonicco, Giuseppe Briennios e Niceta Stetatos.
Nella sua omelia Sulla santa Pasqua, Gregorio Nazianzeno ha
chiamato l’immutabilità degli angeli «salvezza del mondo invisibi
le». E san Massimo il Confessore dice che il mistero dell’Incarna
zione è stato precognito «affinché, le realtà che per natura si tro
vano in movimento, riposino in ciò che per natura è immobile,
abbandonando il proprio e mutuo movimento»: lo scoliaste delle
opere del Confessore spiega: «Nella loro unione con Dio, tutte le
realtà si rendono immobili». Questo mistero ha inoltre donato la
libertà dal peccato originale, porzione di grazia divina, incorrutti
bilità, immortalità, immutabilità, salvezza e ancor mille altri beni.
E questo mistero dell’Incarnazione è anche fine, in quanto
esso si è rivelato nei confronti degli angeli e nei confronti di tutto
il creato come perfezione e divinizzazione e gloria e beatitudine; e
perché esso risulta come ricapitolazione delle realtà celesti e ter
restri e come unione ipostatica del Creatore con le creature e co
244
me gloria del Padre imprincipiato, il quale è stato glorificato non
da parte di una semplice creatura, bensì da parte dell’identico per
sostanza Figlio suo e Lògos: con l’indossare la natura degli uomi
ni, fine ultimo di ogni realtà e di cui niente di più alto può esiste
re, e a causa del quale ogni realtà esiste, mentre egli non ha come
causa nessuno, e come dice ancora lo stesso Massimo il Confesso
re: «affinché, dice l’Apostolo, nel nome di Cristo Gesù pieghi il
ginocchio ogni realtà esistenté in cielo e in terra e negli abissi, e
ogni realtà proclami che Cristo Gesù è il Signore». Perché, e a
che prò? Per la gloria di Dio Padre: «in gloria di Dio Padre».
Da quanto è stato finora detto, ognuno può concludere che
il mistero dell’Incarnazione era necessario: in primo luogo e di
per sé, perché, come abbiamo detto seguendo Gregorio di Salo
nicco, questo mistero costituisce la Volontà primigenia di Dio,
che trova la sua prima causa motrice nell’infinita e sostanziale e
suprema bontà di Dio, anzi, come dice Massimo il Confessore,
nella profondità più intima della bontà paterna; in secondo luo
go, perché questo mistero risultava necessario per tutte le crea
ture, noetiche e sensibili, in quanto, come è stato dimostrato, è
loro principio e mezzo e fine.
Credo che quanto sopra riferito possa bastare ai benevoli
giudici e lettori della mia nota concernente la Sovrana nostra, la
Madre di Dio, che prego di non accusarmi ingiustamente. Infat
ti, io non ho esposto lì il mio pensiero, ma ho seguito il pensiero
dei Padri suddetti. Se poi ad accusarmi sono dei malevoli (fatto
che non mi auguro), questi accusino non me, bensì Massimo il
Confessore, Gregorio di Salonicco e il grande Andrea e tutti gli
altri, dai quali io ho appreso questa dottrina.
245
Lessico
Arti - Parola usata qui per tradurre di volta in volta il termine greco te-
chne, che rinvia meno alla creatività artistica in senso moderno e
più alla tecnica del bravo artigiano.
247
Cosmologia - D iscorso sulla struttura dell’universo così come è stato
creato da Dio.
Ipostasi - P arola usata dai Padri del prim o Concilio ecum enico (N icea
I) per indicare le tre Persone della indivisa Trinità. O gni Persona
«ipostatizza» la natura divina comune. N ella seconda Persona della
Santissim a Trinità, la natura divina e la natura um ana hanno una
sola ipostasi, quella del Verbo. E l’«unione ip ostatica» delle due
nature.
248
Logia - Il linguaggio greco filosofico e teologico ricorre spesso ai com
p osti in «-logia». M olti sono passati nelle lingue m oderne per indi
care i vari cam pi delle conoscenze intellettuali. Va rilevato però che
il senso m oderno è leggerm ente diverso da quello antico. Vedi le
singole parole.
Myron - Indica l’olio usato per conferire l’unzione dei doni dello Spiri
to Santo al neo battezzato (equivalente alla conferm azione dei cat
tolici). Si p u ò anche usare la parola «u n gu en to» (crisma) che serve
per P«un zion e» (crismazione) e che fa di ogni battezzato un «c ri
sto » (unto).
Padri della Chiesa - Sono gli uom ini che la Chiesa ha riconosciuto - ta
lora d op o averli perseguitati - quali interpreti dello Spirito, e che
hanno precisato, in genere contro le costruzioni degli eretici, i dati
della Rivelazione.
249
R azion alità (logicità, verbeità) - Parola usata per tradurre un derivato
dal termine « L o g o s » (Verbo), e che indica la conform ità di ciascun
essere con la volontà del Verbo.
Sacram enti (m isteri) - Indica le realtà spirituali che la m ente um ana non
pu ò cogliere da sé e che le sono rivelate da Dio. M a questa parola,
nella vita della Chiesa ortodossa, indica anche più concretam ente i
santi misteri celebrati per far m em oria dell’econom ia (vedi provvi
denza) della salvezza e in obbedienza alla parola del Salvatore, e
principalm ente il santo m istero dell’Eucaristia e quello della nuova
nascita: battesim o e conferm azione.
250
Indice patristico
251
119; 16,5, PG 53,131, 63,115; 17,7, P G 53,143-144, 85,122; 18,4, PG
53,153, 81, 82,119,121; 18,4, PG 53,154, 85,122; 18, PG 5 3 ,1 5 0 , 114;
27, 1, PG 53, 2 4 0 , 100,125; 29, 3, PG 53,264-265, 93, 100,124,126; 29,
3, PG 53, 264, 99, 125; La verginità, 14-17, P G 48, 544-546, 78, 119; 14,
PG 48, 543, 80, 119; 15, PG 48, 545, 90, 123; 16, PG 48, 545, 546, 119;
Commento al Salmo 8, 7, PG 5 5 ,1 1 8 , 93,124; 8, PG 5 5 ,1 1 9 , 100,126; Le
statue, 11, 3, P G 49, 122, 120; 11, 4, PG 49, 124, 99, 125; 11, 4, PG 49,
1 2 5 , 120,125; 19, 1, P G 49, 1 8 8 , 124; 2, 5, PG 49, 4 2 , 101,126; 5, 4, PG
49, 75, 117; Omelie sul Vangelo secondo Matteo, 38, 6, PG 57, 428, 84,
122; 48,3, PG 58,490, 84,122; 49,4, P G 5 8 ,5 0 1 , 125; 68,3, PG 58,643,
124
G io v a n n i DAMASCENO, La fede ortodossa, 1, 13, PG 94, 853C, 45,109; 4, 22,
P G 94, 1200B, 76,118; 4, 24, PG 94, 1208D, 120; Le sacre immagini, 16,
PG 94, 1245C, 101, 126; Discorso sul fico maledetto e la parabola della vi
gna, 2, PG 9 6 ,580B, 49,110; Sulle due volontà in Cristo, 30, PG 9 5 ,168B,
38; Contro i calunniatori delle sacre immagini, discorso 3, 26, PG 94,
1348AB, 46,109
G iustino , Apologia seconda a favore dei cristiani, 13, PG 4 6 ,465C, 104,126
G r e g o r i o d i N issa , L ’uomo, 11, P G 44, 153D-156B, 106; 16, PG 44, 177D-
180A, 44; 16, PG 44, 180A, 44, 109; 16, P G 44, 185A, 119; 17, P G 44,
189CD, 119; 18, PG 44, 192BC, 61; 18, P G 44, 192C, 117; 18, PG 44,
193C, 72, 117; 4, PG 44, 136BC, 41, 108; 8, PG 44, 145B, 46; 8, P G 44,
148BC, 109-110; 21, PG 44, 225A-229A,. 118; La vita di Mosè, P G 44,
388D, 62, 114; Omelia sul Cantico dei Cantici, 11, P G 44, 1004D-1005A,
114,115; 11, PG 44, 1005A, 62,102,114; 12, P G 4 4 ,1020B, 117; 12, PG
44, 1021D, 113; Omelia per i defunti, PG 4 6 ,524D, 62; P G 4 6 ,521D, 63;
PG 4 6 ,532C, 114; Catechesi, 5, PG 45, 21CD, 47; 8, P G 4 5 ,33C, 114; 8,
PG 45, 33CD, 59, 71,116; 8, PG 45, 33D, 117; Omelia sutt’Ecclesiaste, 1,
PG 44, 624B, 57, 112; L ’anima e la Risurrezione, PG 46, 108A, 62, 114;
PG 46, 148C-149A, 60, 80, 114; La preghiera, 5, PG 44, 1184B, 61, 114;
5, PG 44, 1184C, 64, 115; La Verginità, 12, PG 46, 369B-376C, 218-221;
12, P G 4 6 ,369C, 41,108; 12, PG 4 6 ,373C, 59,113; 12, PG 4 6 ,376A, 59,
113; 12, PG 46, 376B, 62, 115; Le beatitudini, 3, PG 44, 1228AB, 93;
Omelie sui Salmi, 12, PG 4 4 ,556B, 60,114; 2, 6, PG 4 4 ,508BC, 64,115;
A Placilla, PG 4 6 ,889C, 126; P G 4 6 ,888D-889A, 91,123
GREGORIO N a z ia n z e n o , A l grande Re, P G 36, 560A, (espressione di Basilio),
109; Discorso 1, la Santa Pasqua, 4, PG 35, 397B, 111; Discorso, 14, 20,
PG 35, 884AB, 124; Omelia 38, la Teofania, 11-13, P G 36, 321C-325D,
215-217; Omelia 45, la santa Pasqua, 12, P G 36, 640B, 118; 1, PG 36,
632AB, 44; 8-9, PG 36, 632A-636A, 215-217; 8, PG 36, 632C, 63, 91,
115,124; Omelia 7 , 23, PG 3 5 ,785C, 122; 23, PG 3 5 ,785C, 124
G r e g o r i o P a la m a s , Suggrammata, 29 (Ed. Christou), II, 356-357, 46, 110;
Omelia 31, PG 151, 388C, 89, 123; Omelia 7 sull’Epifania (Ed. S. Ikono-
mos), 259, 49, 110, 238s.; Prosopopea, PG 150, 1361BC, 108; Théopkane,
21 (Ed. Christou), II, 2 5 5 , 46,110
252
Ieeneo di Lione, Smascheramento e confutazione della falsa gnosi, IV, 38, 1-3,
BEPES 5,157-158, 51,111,213-214
M acahio di E g itto , Omelie spirituali 12,2, PG 3 4 ,557B, 189
Massimo il C on fessore, A Talassio, 21, PG 9 0 ,312C-313A, 85,122; 45, PG
90,436A, 86 ; 60, PG 90, 620D-621C, 238,244; 60, PG 90, 621A, 50,110;
61, PG 9 0 ,628A, 94,124; 61, PG 90, 628B, 79,119; 61, PG 9 0 ,632D, 86;
61, PG 90, 633BC, 74,117; 61, P G 90, 633D, 117; 61, P G 90, 637A, 117;
63, PG 90, 692B, 51, 111; PG 90, 253CD, 116; PG 9 0 ,256A, 80,119; Ca
pitoli sull’amore, III, 4, P G 90, 1017CD, 126; Conversazioni con Pirro, PG
91, 304C, 108; Epistola seconda a Giovanni Cavicoulario, sull’Amore, PG
91, 396C, 79,119; Mistagogia, 4, P G 91, 672B, 109; 6, PG 91, 684A, 109;
Commento sul trattato I nomi divini, 4, 33, PG 4, 305D, 70, 116; Su vari-
luoghi difficili dei santi Dionigi e Gregorio il Teologo, P G 91, 1084D, 52,
111; P G 91, 1092C, 67, 116; PG 91, 1097C, 51, 64, 110, 115; PG 91,
1097CD, 71,116; PG 9 1 ,1097D, 51,110; PG 9 1 ,1104A-1105A, 116-117;
P G 91,1112ABC, 69,116; PG 9 1 ,1112C, 68,116; PG 9 1 ,1156C-1157A,
60, 114; P G 91, 1157A, 59, 113; P G 91, 1157C, 60, 114; PG 91, 1193D,
65, 115; PG 91, 1248A-1249C,‘ 67, 116, 227-229; PG 91, 1276A, 85, 122;
P G 91, 1304D-1308C, 65, 115; P G 91, 1304D-1312B, 222-226; PG 91,
1305A, 67,116; P G 9 1 ,1305B, 67,116; PG 9 1 ,1305CD, 85,122; PG 91,
1308C, 68, 116; PG 91, 1309AB, 86,122; PG 91, 1341C, 81, 85, 87,119,
122, 123; PG 91, 1345C-1349A, 230-232; PG 91, 1345D-1348C, 86, 123;
P G 91, 1352B-1356A, 80, 124; PG 91, 1353AB, 63, 115; Il Padre nostro,
P G 90, 889C-892A, 122
M etodio DI OLIMPO, Aglaofonte o Sulla Risurrezione, 2, 10, BEPES, 18, 160,
159; 1,39, BEPES, 1 8 ,1 2 9 , 5 8 ,5 9 ,1 1 3 ,1 1 7
N i c e t a S t e t h a t o s , Centurie, 3,10, PG 120, 957D-980A, 89,123
NICODEMO l ’A gio rita, Apologia del brano contestato, contenuto nel libro «La
lotta invisibile»... (Ed. S. Schoinas), pp. 207-216, 33,46,110,236-245
N i c o l a Cabasilas, Spiegazione della santa Liturgia, PG 150, 392D, 160; PG
150, 409B, 163; PG 150, 413A, 163; PG 150, 413C, 133; PG 150, 444D-
445A, 151; PG 150, 452B, 149; PG 150, 452CD, 160; PG 150, 461CD,
150; PG 150, 465AB, 150; P G 150,477A, 170; Omelie sulla Madre di Dio,
p. 144, 163; p. 64, 133; p. 70, 133; p. 150-152, 26, 138; La vita in Cristo,
P G 150, 493B, 135; PG 150, 496A, 141; PG 150, 496BC, 138; PG 150,
500A, 141; PG 150, 500BCD, 140; PG 150, 500D-501A, 140; PG 150,
504AB, 165; PG 150,504BC, 162; PG 150,508A, 71,116; PG 150,513A,
133; PG 150,513C, 72, 116; PG 150, 516B, 7 2 , 116; PG 150,516BC, 71,
116; PG 150, 517D, 143; PG 150, 520A, 144, 148; PG 150, 520C, 173;
P G 150, 521A, 142; PG 150, 525A, 143; PG 150, 525B, 141; PG 150,
525BC, 141; PG 150, 523A, 142; PG 150, 533D, 51, 111, 145; PG 150,
536A-537B, 133; PG 150, 536B, 133; PG 150, 537C, 87, 135, 143; PG
150, 540C, 136; PG 150, 541A, 139; PG 150, 560D-561A, 43, 109; PG
150, 560D, 25, 86, 155; PG 150, 561A, 156; PG 150,564B, 163; PG 150,
564C, 163; PG 150, 569A, 145-146; PG 150, 569C-572A, 145-146; PG
253
150, 572A, 132-159-, PG 150, 572B, 135, 160-, PG 150, 572C, 134; PG
150,572CD, 134; PG 150, 576B, 146; PG 150,577D-580A, 169; PG 150,
580A, 170; PG 150, 580AB, 169; P G 150, 581A, 146; PG 150, 584BCD,
148; P G 150, 584D, 144, 147; P G 150, 585A, 147; PG 150, 585B, 147;
PG 150, 592C, 164; PG 150, 593C, 144; PG 150, 593D, 147; PG 150,
596B, 132; PG 150, 597AB, 148; PG 150, 600A-604A, 140; P G 150,
600B, 141; PG 150, 601D, 144; PG 150, 604A, 51, 111; PG 150, 613A,
164; P G 150, 616A, 164; PG 150, 616C, 147; PG 150, 616D, 164; PG
150, 617B, 146; PG 150, 624AB, 172; P G 150, 624B, 173; PG 150,
624BC, 173; PG 150, 624C, 173; PG 150, 625C, 169; P G 150, 628A, 169;
PG 150, 629BC, 170; PG 150, 632A, 169; PG 150, 633AB, 170; PG 150,
633C, 169; PG 150, 636A, 170; PG 150, 636B, 170; PG 150, 641A, 150;
PG 150, 641B, 153; PG 150, 641C, 157; P G 150, 641D, 151; PG 150,
644D-645A, 152; PG 150, 645C, 136; P G 150, 645D, 136; P G 150, 648A,
151; PG 150, 648B-649A, 152; P G 150, 648C, 152; PG 150, 649BC, 173;
PG 150, 649D, 153; PG 150, 652A, 152; PG 150, 657C, 158; PG 150,
657D-660A, 166; PG 150, 657D, 166; PG 150,665A, 145; PG 150, 680A-
684B, 233-235; PG 150, 680A, 49, 152; PG 150, 680AB, 138; PG 150,
680B, 135; PG 150, 680C, 136, 138; PG 150, 681A, 135, 48-49; P G 150,
681AB, 48-49; PG 150, 681B, 153; PG 150, 681BC, 154; PG 150, 688BC,
158; PG 150, 688D, 139; PG 150, 689A, 159; P G 150, 701C, 157; PG
150, 708BC, 155; PG 150, 716A, 147; PG 150, 716BCD, 158; PG 150,
721A, 158; PG 150,721C, 155; PG 150,725CD, 159; PG 150,725D, 163
O r ig e n e , Contro Celso, 6, 63, PG 11, 1393, 40,107; Omelie sulla Genesi, PG
1 2 ,101A, 57-59; PG 1 2 ,101B, 57-59; PG 12, 9 5 , 106; P G 1 2 ,9 6 , 106
Sim eo n e i l N u o v o T e o l o g o , Discorso etico 4, S C 1 2 9 ,6 4 , 44,109
T e o d o r e t o d i C ir o , Commento alla Genesi, 20, PG 80, 109B (testo di T e o
doro di M opsuestia), 41,108
254
Indice tematico
adozione, 86, 87, 105-106, 142, 230- asservimento, 51, 67, 74, 75, 76, 90,
232 93, 97, 134, 135, 192, 194
altare, 169 autonomia, 45, 47, 55, 59, 95, 133,
alterazione, 96, 102 137, 167, 188, 198
amore, 42, 45, 49, 76, 78-79, 83-84, battesimo (cf. nascita spirituale), 86-
87, 89, 92, 97, 98, 137, 158-159, 88,103, 141, 142-145, 165
164, 165,196,228 bene, 57, 70s., 94, 154, 156, 206,216,
amore di Dio (misericordia, amore 220
per l’uomo), 57, 70-71, 74, 80, 87, biologico (cf. nascita biologica), 44,
99-100, 157-158, 198-199, 207, 54, 60, 85, 87, 89, 91, 95, 100, 134,
238, 245, 216-217 136, 137, 142, 189
amore per l’uomo; cf. amore di Dio caduta (cf. peccato), 49, 59-60, 64,
anima, 41-43, 58, 61, 65, 66, 67-69, 67-69, 71-72, 84, 87, 93, 113, 120-
76, 82, 93, 132, 144, 178, 186-187, 121,133,188,198, 231
190-194, 217, 227s. canone, regola, 70-71, 74, 116, 219,
antropologia (apofatica), 81-82, 119- 220s.
121, 191 carne, 62, 75-77, 124, 189, 190, 196,
antropologia (in generale: cristologi 215-217
ca, teantropologica), 37, 39, 40, carne (orgoglio della —), 62, 75-76,
54, 55, 57-58, 64, 104, 110-111, 95, 115, 205
131, 148, 152, 156, 159, 170, 177, castigo, 71s, 73, 116, 117, 189-190,
185, 189, 205 216
archetipo, 43, 47, 48, 67, 97, 106, chiesa (ecclesiologia), 44, 51, 53, 82-
138, 152, 169, 216-217, 218, 233, 83, 88-89, 95, 98, 101, 127, 136,
234, 238, 239 146-147, 160-171, 179, 205, 206 ;
arte (professione), 90-94, 98-100, cf. mondo
123-125,126, 166 civilizzazione, 98s., 102, 103, 137
ascesi, 69, 88, 102, 104, 131, 166, condiscendenza, 77, 118
167, 171, 195, 201 conoscenza, 43, 48, 56, 66-92, 94,
aspetto (forma), 69, 74-75, 133, 135, 136, 141, 152, 154, 188, 194, 196,
138, 141, 143-144 205, 222, 233
assenza, 197 contemplazione, 153, 204-205, 216
255
contronatura, 56, 57, 67-69, 79, 101, 95, 97, 101, 102, 119-121, 144,
185,193, 218-219 146, 156, 163, 167
corpo, 41, 58, 60, 62-63, 74, 75, 80s., funzioni (del corpo di Cristo), 101,
87, 112-114, 134, 136, 143, 148, 102, 126, 139, 143-144, 147, 160,
149-150, 155, 160, 162-164, 167, 163, 164, 207
171, 178, 186, 192-194, 195, 204, funzioni (della vita), 89, 92-93, 95, 101,
215, 225, 229 102,118-125, 131, 162, 163,166s.
corpo (spirituale, prima della cadu funzioni (psicosomatiche), 31-38, 66,
ta), 62-63, 77, 101-102, 136 71, 72, 73, 79, 101, 102, 134, 138,
creato-increato, 44, 45, 46-47, 64-65, 147, 164, 192, 193, 194, 195, 200,
69, 98, 103, 161, 163, 167, 185, 203
193, 216-217, 222, 224 funzioni (spirituali), 136,153-144, 166
creazione, 47, 52, 64, 71-72, 74-75, furore, 201
89-94, 137, 156, 159-171, 182, fusione, 137, 138, 151s., 163, 217
226-227, 236-237 generazione dei figli, 84, 85, 88, 126
crescita, 43-44, 46-47, 49, 52, 54, 55, genitore, 113, 132, 135, 138, 233
56, 63, 79, 85, 97, 98, 99, 102, 127, giustizia (di Dio, della Creazione), 43,
156, 203, 213-214, 222-223 57-58, 71-73, 78-79, 141, 165, 228
cresima, 141, 145-146, 160, 162, 169 grazia, 94, 96, 118-119, 138, 162, 187,
cristificazione (cf. divinizzazione), 39-
192, 194, 204
40, 52-53, 139s., 141, 142s., 154,
habitus, 133, 216s., 223-224
155, 158s., 164
il sensibile, 65-68, 92, 117, 163, 222,
Cristo, 39-41, 48-49, 50-51, 54, 59,
227-230, 244
77, 102, 104, 120-121, 131, 139,
immagine (ad immagine), 39-54, 61,
141, 143, 145s., 147, 148, 149,
156, 160, 170-171, 179, 205-206, 68, 73, 89, 92, 93, 94, 97, 104, 105-
217, 239-240, 244-245 110, 120, 124-125, 132, 136, 137,
cuore, 52, 62, 193-194, 204, 234 138, 165, 186-189, 190-194, 215,
desiderio, 48, 65, 68, 80, 88-89, 91, 218, 219, 227, 230, 233, 237, 238
94, 109, 136, 140, 152-154, 156, immortalità, 231
157, 158, 181, 202, 203, 227-228, immortalità (incorruttibilità), 59, 63,
233, 234 71, 75, 90, 93, 103, 135-136, 140-
divinizzazione, 52-53, 54, 67, 106- 141, 2 0 0 ,213s., 215, 233, 234
107, 143, 160, 184-185, 217, 224, impassibilità, 63, 66, 91, 194, 198-
244 206, 228
dolore, 72, 79, 80, 84, 85,117 inabitazione di Cristo, 102, 126, 148
eresia, 53, 58, 83, 96, 167, 171, 213 incarnazione (cf. inumanizzazione)
esistenza, 42, 43, 88, 90, 139, 141, incorporazione a Cristo, 94, 126, 138-
179, 186-187, 195, 197, 226, 231 139, 144, 147-148, 160-161, 164,
eucaristia, 101, 103, 142, 146-150, 166s., 172s., 183s., 204s., 206, 216-
160-161, 168, 169-172, 235 217
fede, 53, 96, 98, 203 incorruttibilità; cf. immortalità
filosofia, 45, 55, 69, 102, 103, 104, in-umanizzazione, 51, 52, 138, 160,
137,154 165s., 205, 213s., 218-219, 224-
funzionalità, 61, 67, 71, 72, 88-89, 92, 226, 230s.
256
in-umanizzazione (causa, scopo), 31, morte, 59-60, 73-77, 79, 81, 84, 85,
44-47, 48-51, 54, 96, 143-147; cf. 95, 117-118, 133-136, 200, 216,
inabitazione di Cristo 220; cf. mortalità
inumanizzazione (causa, scopo), 110, movimento, 63, 66, 90, 91, 92, 94, 98,
124-125, 236-245; cf. unione se 134, 142, 146, 224, 244
condo nascita (biologica), 51, 60, 82, 85-89,
infanzia, 51, 213-214 137, 138-139, 164, 215, 228-233
infinità, 42, 43, 182, 185, 207 nascita (del Signore), 50, 51, 85-89,
ipostasi, 46, 50, 51, 52, 67, 133, 144, 134
145,153, 159, 182, 241-242 nascita (spirituale), 85-89, 137-139,
irrazionalità (non-senso), 60-61, 68, 1 6 4 ,166s., 228-233
69-70, 76-78, 79, 178, 190, 195, nascita (venuta all’esistenza), 85-89,
196, 197-203, 230 231
lavoro; cf. arte, 92, 93-94, 99, 101, 120 natura (struttura cristologica, ecc.),
legge, 53, 72, 76-79, 95, 104, 118-119, 40-44, 45-48, 56, 57-59, 80, 89,
137-138, 189, 201, 202, 205, 216, 124-125, 134, 135, 137, 142-143,
233, 238 ; cf. funzionalità 152, 185, 189, 205, 218s„ 233; cf.
libertà (libero, liberazione), 31, 41, uomo (persona e natura)
45, 54, 56, 75, 78-79, 88, 92, 100, naturali (forze), 57, 64, 65-69, 99,
103, 135, 145, 150, 157, 172s., 134, 139, 204, 225; cf. sensazioni,
193, 231
funzioni
male, 54, 133, 216, 233
nutrimento, 59, 60, 113-114, 134,
materia, 41, 44, 46, 47, 54, 65, 69,
139-140, 144, 147-148, 150, 193,
117-126, 191s., 211-212
194, 195, 213-214, 216, 235
materialità, 61-62, 68, 89-90, 92, 134,
oblio, 68,133, 141, 197
167, 193, 195, 201
ontologia, 44, 46-47, 50, 52, 54, 55,
matrimonio, 80-82, 83, 89, 97, 118-
66, 88, 96, 98, 135, 138, 140, 144-
123, 141, 147, 161, 165, 204, 220,
224-225; cf. sesso 145,153,156,186, 189, 222-223
maturazione; cf. crescita organismo (psicosomatico), 42, 61,
membra di Cristo, 89, 136, 138-140, 67, 69, 81, 108-109, 119-121, 143-
143, 147, 148, 150, 151, 152, 158, 144, 164, 193, 195; cf. sensazioni,
173 funzioni
metodo (del presente libro), 32, 37, oscurità, 133, 141,197
38, 39-42, 53, 58, 69, 117-126, passione, 60, 61, 62, 68-69, 75-77, 91,
191s., 211-212 93, 133, 134, 190, 192-193, 195,
misericordia; cf. amore di Dio 201, 204, 218
misteri, 44, 52, 82, 100-101, 104, 131, peccato, 54, 55, 72-74, 75-76, 77-78,
139, 147, 154, 160-164, 165, 182 89, 92, 101, 103, 117, 133, 134,
monacheSimo, 123-125, 153, 166, 167 135, 167, 189-192, 197, 216, 234
mondo, 37, 43, 44, 71-72, 89-94, 95- pensieri, 48, 153-154, 190, 194, 200,
104, 159-171, 177, 179, 182; cf. 202, 203, 234, 235; cf. spirito
Chiesa pentimento; cf. trasfigurazione, 102,
mortalità, 59-60, 62, 63, 70, 113-114, 178, 183, 184, 198, 203
135, 140, 152, 162, 216 perdono, 206-207
257
persona; cf. Ipostasi, uomo (persona), somiglianza con Dio, 86, 98, 141s.,
139, 140, 144-145, 186, 194, 195, 165, 200, 219
201 sopravvivenza, 57, 59, 71, 83, 75, 78,
piacere (amore del piacere), 61, 62, 80, 93, 94, 148
68, 72, 79-80, 84, 85, 93, 94, 120, sovranità, 41, 43, 93, 224
133, 155, 189, 192, 195, 196, 220 spazio, 101, 136, 149-150, 161-163,
politica, 93, 94, 95, 96, 97, 126-127 168-169, 172-173, 178, 179, 182,
pratica, 133, 195, 200-202, 203, 2Ò4 197, 205
preghiera, 69, 84, 154, 178, 179, 180, spirito, 47, 62-64, 67-68, 95, 137, 147,
183, 198-199 151-154, 178, 195, 196, 201-203,
razionalità, 41, 99s., 152 205-206, 233s.
religiosità, 137-138, 156 Spirito Santo, 76, 87, 89, 104, 132,
ricapitolazione, 41, 44-45, 54, 186, 134, 136, 137, 144, 146, 150, 163,
213, 224, 226, 238, 244 167, 195, 214, 217, 241
rimedio, 72, 116, 216, 233 sporcizia; cf. morte, 60, 63, 73-74, 84,
risurrezione, 77, 85, 88, 117-118, 126- 85, 103, 135, 184,191, 219, 232
127, 135, 136, 142, 146, 163, 172- storia (divenire storico), 54, 102, 149,
173, 207, 233 152 183 185
ritorno, 156-157, 184s., 191, 198-201, tecnologia, 99, 102, 104,126-127
202, 203, 220 tempo, 6 3 , 103, 136, 149, 150, 162,
saggezza, 42, 43, 48, 66-70, 92, 164, 168, 178, 179, 182
228 teologia, 32, 38-40, 53, 55, 95-98,
salvezza; cf. crescita, trasfigurazione, 102, 103-104, 161, 166-167, 171,
51, 53, 96, 104, 136, 150, 183, 184, 181, 183, 236
198, 199, 206s., 225-227 tessuto da Dio, 63, 64, 115-116, 194
santità, 99,138,158, 164, 170, 204 tipo, 47, 48-49, 50, 51, 52, 102-104,
scienza, 43, 47, 55, 92, 93, 94, 97, 98, 109-110, 133, 138, 239-245; cf. in-
102, 103, 104,154 umanizzazione
secondo natura; cf. uomo prima della trasfigurazione (trasformazione, cam
caduta, 57-58, 59, 64-67, 86-88, 93- biamento), 54-55, 74, 75, 80, 85,
94, 102, 185s., 191s„ 219s., 227-230 88, 94, 96, 103, 104, 117-118, 143-
sensazione; cf. funzioni, 65-68, 86, 144, 147, 148-149, 160, 161, 162,
92, 102, 139, 164, 178s., 227-229; 164-167, 168, 171, 183, 191, 208,
cf. sensazioni psicosomatiche 243s.; cf. pentimento
sensi spirituali, 102, 117-126, 134, trasparenza, 63
136, 138-139, 140-141, 143-144, tuniche di pelle, 55-94, 112-116, 117-
159, 166, 204, 205; cf. funzioni del 126, 134, 135, 195, 216s„ 220
Corpo umanesimo, 124-125, 167
separazione (differenza, spezzettamen unità (unificazione, congiunzione),
to), 45, 46, 64, 65, 67-68, 89-90, 93, 46, 53, 64-68, 80-81, 94, 96, 101,
94, 132, 134, 140, 171, 188s., 191, 135, 137, 138-141, 143, 147-151,
196s„ 222-227 153, 160, 162, 171, 179, 198, 205,
sesso, 118-121 222-229, 241; cf. fusione
sesso; cf. matrimonio, 222-226 uomo (essere teologico), 44, 46, 48,
sinergia, 150, 151, 164s., 200-206 55, 87-88, 120, 186-189
258
uomo (legame naturale dell'univer uomo (vocazione), 31, 39-40, 41-45,
so), 41, 67-68, 117-118, 159, 162, 47, 48-55, 67, 71-73, 74, 81, 98,
201, 223 100, 137-138, 159s., 236-245
uomo (microcosmo), 44,109, 186, 215 uso, 64, 67, 68-69, 73, 92, 94, 100-
uomo (nuovo, autentico), 44-48, 120, 101, 102-103, 117-126, 224-225
137-138, 140, 152, 159, Ì85, 225, verbo, 66, 67, 69, 74, 79, 89, 92, 103,
231 152, 223, 224, 225, 227-230, 231
uomo (origine), 44-48, 49, 234 vescovo, 169-170
uomo (persona e natura), 39, 42-48, vestito naturale, 114-116
88, 1 2 0 ,188s. virtù, 67-68
uomo (prima della caduta), 64-65, 80- virtù, 146, 164, 204, 223s., 228
82, 87, 91-92, 114-115, 118-123, vivificare, 53-54, 133, 136, 139-140,
119-121, 132, 186-188, 215s., 219 158, 160, 162
uomo (regola della creazione), 234 volontà, 68, 69, 79, 86, 87, 100, 136,
uomo (vecchio), 75-76, 87-88, 114- 142, 155-159, 177, 194, 195, 201-
115, 120, 138 203
259
Indice
261
II. La natura della vita s p ir it u a le ................................pag. 137
III. L’attuazione della vita s p i r i t u a l e ........................ » 142
IV. I frutti della vita s p ir it u a le ................................... » 159
V. Il Corpo totale del Salvatore al momento della
Parusia....................................................................... » 172
L e ssico ...............................................................
262