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PETRARCA
Rosanna bettarini, allieva di Gianfranco Contini. Autrice di un’edizione del Canzoniere uscita
nei primi anni 2000 di un'edizione di Einaudi, che è raccomandata.
Petrarca si presenta fin da principio al suo pubblico come poeta. Famoso è l’episodio della
laurea poetica di Petrarca conferitagli l’8 aprile 1341 dal senatore e amico poeta Orso
dell’Anguillara, dopo l’esame compiuto da Roberto d'Angiò. Consacrato non come primo
poeta della modernità, come poeta d’amore, ma come poeta tragico, latino, nuovo Virgilio.
Capolavoro (quale?) mai finito, interrotto forse dalla morte del poeta. L’unica opera di
petrarca in latino, che utilizza il linguaggio delle muse, e che dice molto dell’officina poetica
di petrarca è … . Ma il poeta laureato è anche uno storico, critico di livio (de viribus
illustribus). Petrarca è soggetto a crisi di scrittura che lo portano ad abbandonare e
intraprendere molteplici progetti. IL canzoniere è la prima raccolta in lingua romanza di rime
sparse appartenenti al genere lirico, sapientemente organizzate da Petrarca in modo
organico sotto il segno dell’eros che è anche frustrazione, peccato, pentimento. La materia
del c. non è tutta d’amore, ma si mescola ad altre modalità del racconto in versi, rappresenta
anche altri amori, come l’amicizia, sperimentato da petrarca in vita, la passione civile, il
gusto per l’invettiva, ampiamente sperimentato nel C. e di cui p è maestro in prosa, amore
per la sapienza (appassionato di s.agostino). C’è dunque una sapiente oscillazione di piani,
non è solo canzoniere d’amore, è libro di frammenti, è un libro che si caratterizza per una
straordinaria varietà, che però a partire dal 500 ha portato i commentatori a smontare questo
organismo unitario di liriche, a propiziarne una lettura antologica, per generi metrici, per
temi, disperdendo il sistema ordinato disposto da petrarca. IL c. pone dei problemi di
storicizzazione di quel libro all’interno della storia di Petrarca, soggetto a continui
ripensamenti dell’autore nei cfr della propria opera. Da qui ne deriva il vario stile della
inquietudo animi del poeta, che muta irrimediabilmente nel corso del tempo. autore
cristallizzato dalla critica, molto più enigmatico di quanto appaia. Poco scrivibile in modo
rasserenante e univoco è la storia di Francesco e anche quella del Canzoniere. E’ una storia
di libri sottratti alla fuga temporis, la dispersione del tempo. I suoi libri, che lui cura come
delle piante cit di petrarca nelle epistole famigliari,
che il poeta peregrinus e inquietus che è petrarca, perennemente alla ricerca di se stesso, è
sempre accompagnato dai libri del cuore, i suoi e quelli che hanno forgiato la memoria…
primo tra tutti le confessioni di sant’agostino, che donano a Francesco la rivelazione paulina
dell’acutezza dello sguardo interiore. In questo libro francesco si interroga su se stesso,
autoanalisi, introspezione letteraria. Gli occhi del cuore, interiori, regalano al lettore
l’autoanalisi del...interiore. come secretum di petrarca. Ma Petrarca è anche collezionista,
possiede una serie di codici, libri sottratti alla dispersione di altri, in parte il Virgilio
ambrosiano, fondamentale per comprendere la genesi di tanti sonetti del canzoniere. Libri
persi riconquistati postillati che orientano le letture critiche sul canzoniere.
Bisogna essere prudenti a paragonare autoanalisi di petrarca ad autoanalisi del 900, se può
interessare questo spunto, Andrea Zanzotto è stato un grande petrarchista che ha
approfondito questo aspetto.
Intro di Bettarini al Canzoniere: “Esistono tanti fili nell’immensa tela di ragno del
fragmentorum liber e tanti tratti nuvolosi, in un libro così letto e al contempo poco decifrato,
sempre respinto, vero, una grammatica eterna e verso una adamantina trasparenza
secondo il persistente canone di Pietro Bembo che stende un velo su questa lingua limpida
nell'aspetto, ma elaborata nella sostanza, piena di parole cangianti dentro una
rappresentazione polisemica della realtà, intrisa di zeugmi e scorci sintattici, di mirabili fughe
affidate all’aspetto sonoro della rappresentazione verbale. Si tratta di una supposta trasp
che invece segmento su segm frammento dopo frammento oppone infinita resistenza alla
lettura lenta della interpretazione di ora, una lettura vicino- lontana scesa nell’animo
dell’esegeta, che commentando riapre l’infinito colloquio con gli interpreti del Canzoniere”.
da Google:
Rosanna Bettarini, allieva di Gianfranco Contini, riconosciuta come massima specialista del Petrarca
volgare, ha condotto a termine un lavoro durato più di vent'anni e che studiosi e studenti attendevano
da molto tempo. L'edizione di riferimento, minuziosamente commentata, del libro che ha parlato
ininterrottamente per secoli e secoli a tutta la poesia occidentale. «Se il cristallo del linguaggio e
l'euritmia dello stile del "Canzoniere" s'impongono come degli assoluti, sembra invece una fitta e
mobile rete il processo che fa convergere verso il capolavoro del Petrarca tutta la precedente poesia
cortese: trovadorica, siciliana e toscana. Avere ricostruito questo processo, punto per punto, nei suoi
momenti decisivi è il più evidente risultato del lavoro, durato lustri, di Rosanna Bettarini, la cui
sapiente filologia ha anche garantito l'opera di un poeta come Montale. Ma la maggiore novità di
questo commento sta nell'impegno a descrivere, con i "cappelli" e le note dedicati alle singole
composizioni, l'articolarsi del "Canzoniere" come successione di messe a fuoco non solo di episodi di
una ideale storia, ma anche di fasi di una vicenda molto concreta di amicizie e passioni letterarie e
politiche. Anche suggestiva l'attenzione a raggruppamenti interni di composizioni, quasi cellule
nell'organismo del "Canzoniere". Perciò, leggere qualunque testo di questa raccolta poetica col
sussidio delle minute, e luminose, illustrazioni della Bettarini, è un'esperienza che rende in certo
modo nuova un'opera incontestatamente canonica per molti secoli di storia della nostra letteratura e
tuttora paradigmatica. L'eleganza con cui sono presentati i risultati di ricerche eruditissime e
dell'analisi sistematica del discorso fa di questo commento (ma anche della concentrata,
chiarificatrice Introduzione) un esemplare di altissima critica letteraria» (Cesare Segre).
Seconda/terza di copertina (volume II): Se c'è un libro che abbia parlato ininterrottamente per secoli e
secoli a tutta la poesia occidentale e che sia diventato un canone lirico d'identificazione poetica anche
dentro fortissime incomprensioni e violazioni sintomatiche di vitalità, questo è il Canzoniere di
Francesco Petrarca, che alla distanza d'una generazione da Dante, e sui presupposti di quel suo
"dolce" Stil Novo che s'allunga nel Trecento con la voce di Cino da Pistoia, inventa un nuovo codice di
comunicazione nel quale i poeti e lettori di varia umanità si sono riconosciuti fino alla nostra epoca;
non a caso, in una piega del suo discorso in versi, Montale definisce "petrarchizzante" una parte di sé
e s'interroga sulla possibilità di avere mai scritto anche lui, così poco erotico, un canzoniere d'amore.
Il Libro è gestito dentro un arco temporale di più di quarant'anni, in un luogo ideale e ubiquo separato
dal mondo, un thalamus, o una "cameretta" piena di libri che assomiglia piuttosto a un'imponente
biblioteca, tanti sono gli auctores latini e volgari, classici e medievali, sacri e profani, che assistono
all'operazione; un luogo segreto lontano dal Palazzo dei Potenti dove si svolge la Storia, in cerca
d'un'altra Storia, secondo la polarità d'un Petrarca, sempre doppio a stesso, messa in luce da un altro
ultimo petrarchista sui generis qual è Andrea Zanzotto. […] Ma nel Canzoniere, il grande Libro che
per la prima volta nella letteratura romanza raccoglie «rime sparse» del 'genere' lirico in un disegno
retrospettivamente unitario sotto il segno dell' Eros-frustrazione, la materia non è tutta Amore,
mescolandosi nell'eventuale 'racconto' vari e diversi amori, come l'amicizia, la passione civile, il gusto
per l'invettiva, di cui Petrarca è maestro in prosa, l'amor Sapientiae, e cioè l'amore per quella
particolare donna bella e temibile che gli auctores da Sant'Agostino a Dante chiamano Filosofia o
Sapienza. […] Questi amori concorrono tutt'insieme a formare quel quadro di uomo nel tempo che
Petrarca vuol dare di sé, sottoponendo i testi, enigma dentro enigma, a quello sterminato lavoro e
disumana fatica di aggiornamento di sé, ovvero di quell'Io inquieto e fluttuante che aspira a una
poetica 'simultaneità essenziale' del sapere, inseguito fino all'ultima inclinazione, sfumatura e
oscillazione, non diversamente da quanto accade nelle lettere Familiari o nel Secretum.
Dall'introduzione di Rosanna Bettarini"
La rubrica di titolo apre la raccolta. Essa è in latino (petrarca è bilingue) e recita francisci
petrarche laureati poetae rerum vulgarium fragmenta. non esiste un titolo diverso.
Tradizionalmente le due parti sono state indicate come in vita e in morte di madonna laura,
non vero, perché la 264 presuppone laura in vita. è una semplificazione. L’opera più
importante che fonda la tradizione lirica italiana sorprende che venga edita con un titolo che
non è d’autore, perché il titolo petrarchesco puntualmente disatteso dagli editori è rerum
vulgarium fragmenta. Titolo inoppugnabilmente fondato sulla volontà dell’autore e per questo
scelto da Bettarini (non sceglie il titolo della vulgata, posteriore). è importante suddividere le
due porzioni di testo in parte prima e seconda anche se è un arbitrio dell’editore, non
fisicamente documentata dall’autografo. questa prima pagina del vat lat 3196 è uno
scartafaccio, molto diverso dal 3195. sono brutta e bella copia. per la gran parte della sua
estensione. perché Francesco è autore tormentatissimo non resiste a portare modifiche
anche alla bella copia. i testi si dispongono in modo spazioso, arioso, area vasta tra testo
scritto e margine, è una copia di lusso. presenta miniata la prima lettera del sonetto
proemiale e la prima lettera della canzone 264, se ne rimarca il ruolo esordiale. I fogli che
compongono il codice non sono imputabili a un’unica mano, una è indubitabilmente quella di
petrarca, non c’è dubbio che sia un manoscritto autografo, la seconda è quella di un giovane
copista di nome Giovanni Malpaghini da Ravenna, di straordinario ingegno che era al
servizio del poeta già da un po’ e in quegli anni si spostava tra venezia padova e pavia. lo
assume per copiare i familiarum rerum libri, straordinario documento autobiografico, che
mirava a raccogliere in 24 libri tutte le lettere del poeta. Giovanni aveva una straordinaria
sensibilità poetica, memoria conoscenza dei classici, termina la trascrizione delle lettere in
un tempo brevissimo, allora Petrarca gli dà il compito di mettere in bella copia i suoi
frammenti in versi. Così dall’ottobre del 1366 per altri da gennaio 1367 al 21 aprile 1367
questo giovane lavora al servizio di petrarca e si dedica alla scrittura di quello che sarebbe
diventato il codice vat lat 1395. da via all’opera su supporti in pergamena approntati dallo
stesso malpaghini. Questo codice procede in contemporanea tra la prima e la seconda parte
obbedendo non alla cronologia dei componimenti ma alle puntuali richieste di Petrarca,
suggerendogli l'ordine di copiatura nel libro e spesso consigliando di aggiungere nuove
ulteriori rime. il lavoro di malpaghini giunge fino al testo 190. Dall'altro inizia con la prima
canzone 264 per interrompersi con il sonetto 318. per questa porzione il vat lat 3195 non è
un autografo, ma un autografo idiografo, perché scritto da terzi su precise indicazioni e sotto
la costante sorveglianza dell’autore. pur essendo di mani altrui di fatto è riconducibile alla
volontà dell’autore. mistero filologico: questo rapporto di lavoro si interrompe drasticamente,
Giovanni a un certo punto se ne va e niente più traccia. sono anni di convivenza descritti da
(ricostruiti in modo congetturale e romanzesco) anche da marco santagata descrive ne Il
copista come anni di piacevole rapporto tra maestro e allievo. perchè?
Quel che è certo è che Giovanni, finito il lavoro di copia, decide di andarsene e poi si
perdono le tracce. Petrarca racconta nelle lettere un sincero dispiacere per questo
abbandono, accompagnato da una severa certezza: è impossibile tornare indietro.
Malpaghini umanista figura singolare, scompare nel nulla. Fondamentale è l’effetto prodotto
dall’attività del copista e poi dal lavoro abbandonato è stato oggetto di una larghissima
attenziona da paRTE DEgli studiosi che si sono soffermati sulla trascrizione del manoscritto
e sulla divaricata azione di petrarca che all’inizio è il supervisore e interviene con chiose e
postille poi scrive da autore di se medesimo. Dalla scomparsa di Malpaghini Petrarca scrive i
restanti componimenti ma interviene anche sui testi di Malpaghini. questo continuo
intervento sul testo fa pensare che anche il primo autografo della nostra letteratura sia un
incompiuto, infatti p. interviene fino a poche ore prima di morire. Anche il vaticano 3195
potrebbe consegnare l’ultima volontà dell’autore ma non definitivo.
Al Vaticano latino 3195 si rifanno tutte le edizioni critiche. Il canzoniere è un libro provvisto di
titolo d’autore su “dettatura” di petrarca, ma il titolo è continuamente disatteso dai copisti e
divulgatori che sentono stridente questo titolo in latino per rime in volgare. canzoniere entra
ufficialmente nella vulgata.
vat lat 3196 è un altro preziosissimo codice, è il codice degli abbozzi o degli scartafacci, si
tratta di copie in fieri d'autori; la grafia è petrarchesca. Pochi fogli del lavoro... in fieri del
lavoro di Petrarca sui suoi lavori. Sono 20 carte che contengono 54 rime del canzoniere in
vari stadi della loro elaborazione. es. i segni indicano versioni superate. abbiamo parti di
capitoli tratti dai trionfi, il frammento di una lettera familiare, 4 sonetti di corrispondenza che
non entrano e 11 testi che Petrarca non copia poi nel vat lat 3195. si tratta di frammenti
sparsi. Queste carte non costituiscono un quaderno dell’autore, un brogliaccio di petrarca,
non esiste continuità tra i testi se non per la numerazione. Alcuni testi contengono un
abbozzo originario di una canzone come la 268 che è il planctus, pianto, laura è morta, di cui
una versione intermedia iniziale sta nel 3196.
il codice degli abbozzi è lo specchio del lavorio del poeta della sua inquietudine, della lotta
contro in tempo, della provvisorietà
Montale scrive: io non so inventare nulla. la poesia ha origine da occasioni che vengono
trasfigurate e stilizzate dal poeta. nel momento in cui l’occasione autobiografica viene
riversata in poesia declina significati umani universali.
queste carte sono state riunite molti anni dopo il ritrovamento nello studio del poeta. Un
ruolo fondamentale ha pietro bembo per il 3195 e 96 entrambi i codici infatti entrano in suo
possesso passando dalla sua personale biblioteca a quella vaticana. Proprio sul 3195
Bembo poté preparare l’edizione aldina, per i tipi aldo manuzio in corsivo che diffonde la
poesia di Petrarca col titolo “cose volgari”. più misterioso è l’appropriazione del 3196 la
leggenda vuole che siano state salvate da bembo da un pizzicagnolo: usate per avvolgere
qualcosa di alimentare. 3196 non solo eterogenee ma appartengono anche a tempi remoti.
attestano l'attività di petrarca a partire da metà degli anni 30. databile al biennio 36 38 il
primo nucleo del libro, fino alla morte. 40 anni di mai smesso, mai pacificante lavoro. il
codice contiene oltre che materiale poetico anche postille annotazioni in prosa ma sempre
scritte in latino. la lingua del petrarca commentatore di sé e delle cose volgari è latino, la
lingua della sua quotidianità intellettuale. La lingua latina si giustappone e contrappone al
volgare, che rappresenta per il poeta la lingua assoluta della poesia. il latino è la lingua
dell’intellettuale studioso invece. dante: la lingua della madre è il volgare; pasolini friulano.
Queste chiose sono importanti, note di difficilissima lettura, perché contengono
autocommenti e offrono chiavi di accesso ai modi e tempi in cui petrarca ha iniziato a
pensare di riunire le sparse rime volgare in una sequenza ordinaria, o meglio in sequenze
ordinarie, poi unite.
esistono le cosiddette forme del canzoniere. le rime di petrarca sono sparse di petrarca
anche in senso fisico: p. fa circolare forme primigenie del canzoniere, raggruppate in alcuni
quaderni che invia ad alcuni amici e colleghi. testimoniano la volontà di Petrarca e la volontà
di raccogliere le rime sparse. esistono tutta una serie di raccoltine che Petrarca diffonde
prima del 3195, importanti perché attestano la lenta nascita del progetto del canzoniere.
wilkins. queste prime forme suscitano moltissime reazioni non sempre di consenso
Rapporto con Dante - le fonti del canzoniere sono fonti classiche e romanze. grazie a un
impegno di ricerca, di risorse petrarca raccolse attorno a sé la più grande biblioteca privata
d’europa. a questa grande biblioteca privata corrispose una conoscenza di autori antichi e
moderni, una pervasività di letture paragonabile solo a quella di giacomo leopardi. attraverso
il coinvolgimento attivo di amici inizia a fondare quella rete di intellettuali, di accademici, che
grande peso avrà un secolo o due più tardi. il centro di questa rete sarà la sua biblioteca. di
essa conosciamo ormai moltissimi titoli, che petrarca aveva suddiviso per materie. tra le fonti
i libri posseduti e non posseduti. Il poeta occulta le tracce dantesche. prestiamo attenzione
ai richiami ma anche alle assenze, di chi pensiamo di trovare ma mai citati. patrimonio
letterario sterminato.
v.155
La fama è vento, qui c’è tutta la cultura classica di Francesco, abilmente dispiegata. Qui
s’accampa l’altro nodo, il pensiero dolceamaro della gloria, che è seducente dolce e agro
(perché è tormentoso, fa ammalare anch’esso), e opprime il cuore di desiderio e lo nutre di
speranza.
flagro = ardo, se io sono pallido e più lo uccido e più forte rinasce
Grazie al cielo i desideri terreni cessano con la morte del corpo, ma se la mia fama sarà
celebrata in latino e in greco dopo la mia morte, tale fama è come un soffio. Io poiché temo
di raccogliere sempre quei beni effimeri che un’unica ora, quella della morte, può disperdere
vorrei stringere a me la verità lasciando le apparenze. Tutto il tormento nelle strofe, fino al
congedo. Morte avrebbe pacificato il poeta, invece, la canzone conclude con un’agostiniana
epochè, sospensione, che non ammette scelte, partiti che non vengano dall'interno del
poeta, dal suo animo, da una conversione annunciata nel sonetto proemiale. Quell’uomo
nuovo del proemio sgorgherà, ma non è ancora ora. La conclusione sembra suggerire che
quell’io nuovo è ancora stretto tra i due nodi, che non riesce a liberarsi. E’ la storia di un io
sospeso, che non è ancora un io futuro, perché ancora avviluppato da amore e gloria. Quale
sarà il passo che spingerà Francesco a diventare un uomo altro? Il passo che spingerà
Francesco a diventare un uomo altro è la canzone 268, in cui vedremo per la prima volta
rintoccare la morte di Laura. La morte della donna amata lo costringe a guardare al cielo,
perché in terra non ci sarà più alcun motivo di esistere. Per la prima volta questa canzone
colora la tavolozza del canzoniere delle tinte del cielo. E’ un planctus, un epicedio per la
donna amata che inizia con un interrogativa doppia reiterata, piena di disperazione. Trova il
coraggio di scrivere “Madonna è morta”. Si tratta di un testo tormentatissimo vedi
scartafacci. Gronda di dolore lo scrivere della morte .
Appello ad Amore. Dante risuona, lo convoca in ogni passo solenne, quando deve dire il
dolore. Quindi non canzone ma planctus. Modelli: Dante, Cino da Pistoia, Guiraut Riquier
per cui la morte di madonna era diventata occasione per approfondire il grande tema
provenzale della fin amor, motivo conduttore di un pianto che diventa preghiera, innalzando
la parola, parola che sfida la propria stessa essenza fisica per dire il paradiso. Carte 12 13
14 dello scartafaccio contengono in nuce nuclei di questo testo e testimoniano un dosaggio
di emozioni da parte del poeta difficili da gestire, e una nascita sparsa nel tempo di questo
testo, con varianti ossessivamente istillate nelle interlinee di questo testo, accavallarsi di
date.
Incertezza, è un esordio di un nuovo libro nel Canzoniere, in cui Francesco intrattiene un
dialogo con tutti i maestri del pianto che lo hanno preceduto. Attacco definitivo: “che dev’io
far”, assoluto smarrimento dopo la morte di Laura. Prestiti linguistici da Dante
Ricorda:
- il tema della vedovanza, non solo dell’amante: non è solo francesco ad aver però
laura ma anche amore, sono entrambi soli)
- la necessità del ritorno in paradiso: la morte di laura che induce lo sguardo del poeta
verso l’altro
- il desiderio di morire e il conforto che si può trovare nella morte (Dante)
Tu per tu con Laura. Anche questo incipit della sesta stanza è dantesco. Apostrofe alle donne, non c’è
quasi mai nel Canzoniere un appello al lettore né tantomeno a quello femminile. Dantesco è l’invito
alle donne testimoni di amore, invito a questa straziante sofferenza. Dantesco è sigillo della canzone e
congedo. L’aura → Laura
Petrarca abbraccia soluzioni dantesche in questa canzone che non è canzone ma è
planctus, che provengono dalla poesia e dalla prosa della Vita nova
vedova sconsolata in vesta negra e
Dante è chiamato da Francesco a ripercorrere le tappe del proprio innamoramento,
Nuovo pianto e anamnesi di una passione si scrive con scatto innovativo nella tradizione e
proietta la poesia amorosa nell’altro tempo, verso l’eternità e diviene exemplum di quella
conversione auspicabile per tutti gli uomini.
GOLDONI
Lo studio di Goldoni è oggi un cantiere. Dagli archivi privati e pubblici una straordinaria
quantità di testi. Bernardo Vescovo è uno dei più importanti goldonisti. Prefazione
all’edizione Bettinelli è un documento fondamentale per comprendere la poetica teatrale di
Goldoni. Goldoni è un auto-esegeta, la sua riforma è veicolata dai suoi interventi nelle
prefazioni, premesse, lettere accompagnatorie, autocommenti, mémoire, anche nei modi
della teleologia. La sua riforma ex abrupto è un mito. Processo lungo, faticoso, che trova
molteplici ostacoli, che si nutre di ... e rapporti con gli attori, una drammaturgia ritagliata
perfettamente sul ruolo dell’autore che guadagna faticosamente un nuovo ruolo,
indipendenza di voce.
26/10
La vicenda goldoniana è la rappresentazione del destino di un intellettuale moderno, che
conduce un giovane piccolo-borghese a diventare uno dei protagonisti della cultura europea
del 800. L'iniziale rapporto di carlo con la letteratura si ricava non solo dalle commedie
(scrive moltissime rime). IL primo Goldoni sembra ridonare il bagaglio culturale di una
persona mediamente colta interessata di letteratura ma avviata verso una delle professioni
liberali che gli avrebbero garantito uno status borghese di media tranquillità economica,
l’avvocatura. Cerca di accreditarsi fin dal principio presso il pubblico letterario. In questo
modo dovrebbe essere letta la sua iscrizione all’Arcadia, nella colonia pisana. Importante il
soggiorno a Pisa dove incontrerà una compagnia di comici destinata a influire sull’arte
comica. Si iscrive nel 1745. Da Arcade e avvocato veneziano amerà fregiare i frontespizi
delle sue opere, sia dell’edizione Bettinelli (che si interrompe per una questione legale, ma
anche degli infiniti libretti musicali). Saranno i contrassegni che avvieranno e consolideranno
la carriera di goldoni, cominciata con la compagnia volante del 1732. Intellettuale che fin dal
principio entra in contatto con le personalità più importanti del suo secolo. Ha sperimentato
tutti generi della letteratura, dalla poesia (intesa come opera in versi che muove da una cifra
ben precisa, barocca e arcadica e che si sviluppa saggiando varie forme in lingua, in italiano
o in dialetto), è la palestra dell’autore in continuo scambio con la versificazione che
sperimenta per tutta la vita nei libretti. Fortissimo orecchio musicale e poetico. Rime si
possono studiare per vedere rapporti tra i generi. Pratica anche la scrittura biografica, con i
memoire, che escono a ridosso della pubblicazione della prima parte delle Confessioni di
Rousseau e ambiscono quindi a sfidare il modello, il padre dell’autobiografia europea in
senso moderno. Approdo significativo anche a un tentativo di romanzo, prosa narrativa.
Tutta questa nebulosa creativa trova inequivocabilmente il suo senso nell’opera teatrale
comica ma anche recitata e musicale a cui Carlo deve la sua fama, una fama anche
autocostruita dall’immagine che di sé vuole raccontare nelle prefazioni e memoire. Fama
che inizia a fiorire anche tra i contemporanei e posteri: scrittore di successo, anche se
morirà solo e povero a Parigi. Maestro indiscusso nel genere dell’opera buffa, costituirà
modello per Da Ponte, che scriverà i libretti mozartiani e per i librettisti rossiniani. Influenza
nella musica e nell’opera buffa italiani. Trova il suo massimo riconoscimento però ancora
oggi come autore di commedie. La sua importanza va oltre la dimensione riduttiva della
letteratura teatrale. La riforma che nasce gradualmente nel tempo assieme a tentativi che
vanno ancorati al passato in una commistione di antico e moderno, presentata come una
riforma nel segno di Molière. La sperimentazione goldoniana ha avuto il ruolo di traghettare il
teatro nell'età teatrale dominata da Riccoboni Marie vo diderot lessing alfieri, teatro delle
maschere.
1) SCRIVERE SOPRA GLI ATTORI
A partire da una drammaturgia affidata completamente agli attori il cuore della
riforma: ridefinizione rapporto tra drammaturgia e scena, Goldoni è un attento
osservatore della sensibilità degli attori: ritaglia le battute muovendo dalla sensibilità
specifica e singolare e con i singoli talenti con cui ha la fortuna di lavorare,
costruendo un nuovo ruolo, donando un nuovo ruolo alla professione di
scrittore/autore di teatro e di attore, invenzione di una professione. Il “genio comico”
espressione che compare quasi ossessivamente nella prefazione, vocazione
irresistibile. All’inizio il teatro sembra lo spazio dell’avventura anarchica, della
trasgressione del modello borghese imperante. Questa precarietà avventurosa con
cui Carlo vede il teatro si attenua con il matrimonio con Nicoletta, conosciuta nella
parte teatrale della sua esistenza, nel momento in cui proverà a far convivere la
professione civile (avvocatura) con l’impegno teatrale. Solo il contratto con
Medebach e l'ingresso al teatro Sant’Anna gli permetterà di dedicarsi giorno e notte
al teatro (lettera 22 ott 1751, autoritratto, uno snatch montaliano). Professione
precaria dello scrittore di teatro. La condizione abituale del librettista scrittore comico
musicista è quella della “galera” (così si autodipinge Carlo), a cui cercherà più volte
di sfuggire a Napoli e infine a Parigi, condizione vissuta anche con insofferenza, da
parte di Goldoni.
Prefazione che nasce da un accordo con l’editore Bettinelli per la pubblicazione delle
commedie. Nasce lite giudiziaria tra i due a causa di un nuovo contratto di Goldoni con
Barberini per pubblicare le sue commedie, motivata dal fatto che Bettinelli aveva pubblicato
una sua commedia senza il suo avallo, inaccettabile. Si tratta di un momento importante
anche nella storia del teatro perché questo accordo inaugura un nuovo modo di intendere il
rapporto tra autore e capocomico. Moltissime sono le edizioni pirata, non autorizzate che
accompagneranno quelle con l’avallo dell’autore. Filologia goldoniana è problematica,
edizione corretta è di Venezia, Marsilio, cantiere immenso iniziato nella metà del secolo
scorso: i Rusteghi per esempio non sono ancora nell’edizione nazionale, per ora Garzanti.
Goldoni presenta problemi filologici per questo fiorire di edizioni non controllate da lui.
All’interno della mitologia goldoniana Carlo ci racconta nella prefazione della Bettinelli la
storia della propria vita e del proprio teatro. Un’edizione importante è quella Pasquali (1761-
1768), che conta 17 volumi e 28 commedie. Ciascuno dei volumi presenta un testo
prefatorio che insieme alla prefazione di Bettinelli estrapolati a formare un unico volume:
“Memorie italiane”. Qui prefazione pubblicata per Lacerta (???), importantissima, si
interrompe al terzo volume (1752), perché Goldoni non collabora più: Bettinelli d’accordo
con Medebach pubblica lo stesso, Goldoni si infuria e si rivolge a Paperini. Dal terzo volume
in poi la Bettinelli non rispecchia la volontà dell’autore ma è utile per ricostruire la genesi del
testo.
Il genio comico, la vocazione per il teatro. Genio è la parola che ricorre di più nei memoire
e prefazioni, inclinazione naturale, si dedica al teatro non per arricchirsi o perché attratto da
ambiente (fama equivoca), contro condizione che lo voleva, forse, avvocato: vuole
sottolineare che diventando poeta teatrale non ha fatto altro che ascoltare un’ispirazione
interiore che gli veniva dalla natura, diventa poeta comico per obbedire alla chiamata
interiore.
Testo:
Nella mitopoiesi goldoniana c’è connessione tra genio e forma?
Situazione di decadenza e corruzione del teatro italiano, allusione ai lazzi della commedia
dell’arte, parti mal rappresentate dagli attori, commedie che anziché correggere il vizio
(commedia deve essere morale, deve dare insegnamenti tramite il diletto) lo fomentavano.
Per i Rusteghi, il teatro/carnevale è corruzione per i giovani. “Accidente ben annicchiato”: è il
poco, casuale bene, anche in queste commedie, laddove i caratteri sono ben delineati, c'è
un significato morale, è vicina al naturale (piuttosto che al meraviglioso).
GLI INNAMORATI
Roberta Turchi: “Le maschere di Goldoni”, non quelle degli attori ma quelle che lui pare
indossare di volta in volta in queste prefazioni, nicchie che ci dedica per spiegare le sue
commedie. leggerezza calvino
Il tema è quello della gelosia folle: giovani, godete delle gioie di un amore sano e costumato!
Storie di innamorato garantiscono lo sviluppo di ogni vicenda. Spesso gli innamorati con la
purezza dei loro sentimenti si contrappongono ai vecchi che non colgono la forza primigenia
dell’amore. Innamorati che hanno di solito dei ruoli statici, non soggetti a evoluzione, ma
posizione di prestigio nella struttura scenica.
serie di viaggi nel 59, sosta a Bologna, dove scrive Gli innamorati, ispirandosi forse a un
episodio in una dimora romana, in cui osserva due giovani. Commedia della pazza gelosia
che sconfina in uno stato di malinconia. L’intento è quello di spiegare il carattere dei veri
amanti affascinati dalle passioni. Commedia tutta intessuta di baruffa, urla, minacce dei due
amanti che svolgono un’azione di disordine nella vita quotidiana e portano sulla scena un
inquieto malessere, tipico della gioventù. Rappresenta tutta una vicenda costretta in una
stanza, casa di Fabrizio. Per rendere visibile lo smarrimento d'amore altrimenti impalpabile
ed evanescente, necessario fissare nella commedia dei punti di riferimento, che
sopperiscono a cosa?. Manca l’azione, tutto costruito sapientemente sull’interminabile
altalena di slanci di battute sui due protagonisti. Lavora sui ruoli tradizionali degli innamorati,
sugli attori della sua compagnia e crea una corrispondenza perfetta tra i ruoli e i caratteri e
gli attori del San Luca. Personaggi:
- Fabrizio è il vecchio cittadino, fanatico, non il padre tradizionale (tutore degli
innamorati), è un vecchio zio che cerca di arginare i continui puntigli amorosi dei due
giovani, estroso, isolato, spesso chiuso nei suoi vaniloqui insoddisfazioni. Famiglia in
decadenza sperpera denaro in quadri poi falsi, millanta doti culinarie per affascinare
ospiti
- Fulgenzio è innamorato cittadino amante di eugenia
- Flaminia, accanto allo zio eccentrico si erge questa figura, la sorella maggiore di
Eugenia, che è una giovane vedova, che ha sperimentato amaramente su di sé la
difficoltà di conciliare amore e sentimento. E’ la voce della ragione, dell’esperienza e
del dolore che si scontra contro l’eterna incoscienza degli innamorati
- Roberto è gentiluomo che incarna il ceto nobiliare
- Ridolfo, amico di Fabrizio
- Lisetta è figura importante: ruolo della servetta nelle compagnie era importante,
dotata di una sapienza tutta basata sulla quotidianità. A lei affiderà il compito di
mettere a nudo alcuni tratti segreti della padrona, svela i turbamenti d’animo di
Eugenia. E’ anche una lettrice di libri curiosa. Goldoni si diverte a ribaltare i ruoli.
- Succianespole e altri ruoli secondari
Impianto convenzionale e collaudato, lo conduce al punto in cui si infrange, porta sulla scena
il punto di rottura, follia e gelosia, incrinature e ombreggiature psicologici nei personaggi, li
costringe in una stanza unica che ha i segni della decadenza. Sulla scrittura dei ruoli agisce
la presenza di Caterina. Il ruolo classico dell’innamorata implode sulla scena. Caterina era
un’attrice dal temperamento instabile. All’interno della compagnia si creano contrasti perché
lei tende a esorbitare dai propri ruoli, sfida la primadonna della compagnia. Goldoni
affascinato dalla sua irriverenza → Flaminia. La scena si rappresenta in una stanza comune.
Sotterraneo odio tra sorelle. Inizia procedimento drammaturgico tipico goldoniano,
personaggi soffocati negli interni, intricato labirinto della stanza, che mima il labirinto del
mondo riproducendo le dinamiche sociali, le trasformazioni della realtà. I personaggi
sembrano aggregarsi tutti attorno a un motivo comune, mentre gli innamorati si chiudono
nella loro follia
Scena 13:
Siamo nel cuore della commedia, scena di ripicca tra i due innamorati. Gli a parte sono
importanti. Espressioni proverbiali, gergali. Pazzo è parola-chiave della-commedia. I due
personaggi non si parlano: emblematico della non-comunicazione tra i due? Fazzoletto è
oggetto simbolico, stracciamento → addio. Non facciamo scene: allusione alle improvvisazioni
delle commedie del passato, dell’arte. Meta-teatro. La tenzone d’amore alla fine si
ricompone e c’è una lunga battuta di Eugenia nel finale.
Questa commedia è importante perché si confronta con la commedia dell’arte. Ricostruzione
delle caratteristiche dei personaggi a partire dagli attori. Goldoni dialoga con la tradizione,
ma calandola nella Venezia del proprio tempo.
02/11/21
una microsocietà famigliare. La famiglia è uno specchio delle dinamiche della città.
Margherita declina in apertura alla commedia un vero e proprio catalogo dei divertimenti
leciti per una donna veneziana: l'opera e la commedia (le commedie bone, valore morale).
Nelle battute affidate a Margherita sembra di ripercorrere i luoghi teatrali di Venezia. Una
città teatrale, rimpianta; qualcosa a venezia sta cambiando. Se venezia era ricchissima nella
realtà teatrale altrettanto lo era negli ambienti domestici dove fioriva la conversazione, era
diffusa una consuetudine a partecipare con moderazione, con garbo, ai divertimenti
carnevaleschi della città, ad apprezzare le attrazioni che la città offriva. ora anche il
carnevale appare pernicioso, immorale e così alle giovinette è proibita la partecipazione agli
spettacoli. e ora dalle parole delle due donne viene presentato Leonardo, che è il più
accanito reprensore dei costumi illeciti ormai dilaganti nella città. Occorre ribadire per lui la
distanza che c'è tra una famiglia onorata come la sua dalla Venezia del tempo. La
compagnia dei salvadeghi si distingue e proibisce la partecipazione al carnevale ai giovani.
la proibizione coercitiva è uno dei caratteri dominanti dei rusteghi. Il mercante è fiero di poter
consegnare al giovane sposo una figlia sposa illibata, che non ha mai partecipato al
carnevale. Simone, amico di Leonardo nelle sue parole è presente il tempo che fu, una
venezia confinata in una lontananza inattingibile, chiusura rispetto alla…libertà? rimpianta
dalle donne. Sin dalle prime battute lo spettatore coglie una barriera insormontabile tra il
maschile e il femminile. la commedia si svolge tutta in un interno. Le case dei rusteghi sono
una roccaforte in cui Venezia non entra se non nelle parole che la descrivono, o il tempo
passato o il presente corrotto. Anche in questo sono diversi i personaggi femminili e
maschili. I pers maschili sono colti, ritratti, a proprio agio in queste fortezza in cui possono
esercitare il loro potere, le donne irresistibilmente rivolgono lo sguardo fuori, verso la città,
sono curiose di nuovi rapporti sociali ma allo stesso tempo devote credono nell’amicizia, nel
sentimento??. i rusteghi no, sono personaggi inquietanti perché si presentano come non
spettatori Lo statuto di pers che rifiutano il teatrale è inquietante in un opera che è meta-
teatrale, perché lo questo statuto equivale al rigetto della funzione autoriale, della
emarginazione del poeta comico, che non ha più un ruolo in questa città (goldoni sta per
abbandonare citta). La filosofia del rustego non si limita a proibire, ma costruisce un sistema,
che vanta una storia e una morale ben precisa. La comunità degli uomini salvadeghi è
nemica della società della cultura. Scritta nel 1763 questa prefazione (terzo tomo si apre con
commento in veneziano perché dedicato a commedie veneziane). I rusteghi non solo
minacciano alle radici la centralità della famiglia veneziana, che tradizionalmente ruotava
intorno a un'idea, l'apertura verso il mondo, il cosmopolitismo. I rusteghi archiviano questa
storia e la solidità della famiglia veneziana, fondata sull’intraprendenza (ormai forma
deteriore del mercante). I rusteghi sono stati identificati in prototipi non veneziani,
rappresentano una nuova classe sociale che andava emergendo a venezia prv dalla
terraferma e che metteva in discussione i miti il cosmopol le abitudini di una volta e anche la
vita teatrale che erano i punti cardine, sono misantropi e misogini. La razionalità è incarnata
sia nei Rusteghi sia negli Innamorati in una figura femminile.
Leonardo simon calciano e marovizio vogliono impedire ad ogni costo che Venezia si insinui
più del dovuto nello spazio dominio delle loro abitazioni fortezze, extraterritoriali. Vige la
legge dell’esclusione piuttosto che dell'apertura verso il mondo. Nel teatro goldoniano
venezia è spesso rappresentato come un labirinto, luogo impenetrabile ma anche grande
straordinaria vitalità. Questi uomini sono benestanti, ricchi, non nobili. Sono benestanti in
una V in cui il tessuto economico comincia a sgretolarsi, comincia una politica di
radicamento in terraferma e non apertura verso gli altri, I rusteghi difendono questa
decadenza, la sicurezza della loro casa. La loro sicurezza, di questi rozzi, si incrina nella
commedia solo una volta, per una banalità. Due promessi sposi ignari di esserlo, per una
banalità viene divulgato l’accordo matrimoniale: i padri hanno deciso che Lucetta e Filippetto
si sposeranno senza essersi mai visti. Grazie all’intervento di due donne, Felice e Margarita,
questi due giovani si conosceranno (per loro è impensabile sposarsi senza conoscersi).
Organizzano questo incontro proprio quando i padri decidono di mandare a monte il
matrimonio perché è stata calpestata la loro volontà. La trasgressione che rende possibile il
loro incontro è il carnevale: indossando una maschera possono non essere riconosciuti. Il
carnevale apre un varco nello spazio autarchico dei rusteghi. Il carnevale è un elemento che
rientra nella sfera della teatralità. importante che incontro avvenga nel momento teatrale per
eccellenza della città. I due si rivelano l'uno all’altro nella scena 15 dell’atto 2 (centro della
commedia). Goldoni è attentissimo nelle partiture delle commedie. L’ultimo atto è sempre
precipitosamente costruito verso la catastrofe. L’ultimo personaggio di cui bisogna parlare è
Felice (generazione di Margarita, importante perché a lei viene affidato un compito decisivo
nella commedia), importante perché a lei affidato compito di ...arringa in cui mostra
l’incongruenza di essere rustego demolisce l'autorità di questi pers portatori di un'ideologia
negativa che distrugge la famiglia. Si distingue dagli altri (es mirandolina) perché sa come
agire ed è l’unica nella commedia ad essere dotata di consapevolezza. Quando l'inganno
svilisce l'autorità dei rusteghi diventa facile per questa donna dimostrare quanto fragile sia
l’etica caparbia dei rusteghi. Il mascheramento carnevalesco apre uno squarcio sulle calli
veneziane, unico momento in cui si evade dalla chiusura delle case dei rusteghi. L'aria la
portano i giovani e questa “renga ” …di felice che ha il ruolo della sospensione del ruolo
teatrale. Felice apre uno spiraglio verso la ragionevolezza contro l’ottusità dei rusteghi.
Incarna una luce (filosofie settecentesche animano le opere goldoniane). Scegliere un
personaggio femminile per spiegare sulla scena quali sono le ottusità della….contro la luce
della ragione + è una cosa moderna per il proprio tempo. L’intervento di Felice non è
risolutivo. All’interno della commedia si ristabilisce l’ordine: finirà con uno sposalizio tra i due
giovani avanti, che garantirà una pausa un attimo di serenità nella vita grigia dei giovani, ma
poi i 4 rusteghi si dirigono nella sala del banchetto, uno dopo l’altro si allontanano nelle
parole di Felice. Lieto fine ma rimane un senso amaro: la consapevolezza che nulla è
cambiato, i rusteghi tornano ad essere rusteghi dopo festa. Lo spettatore attento capisce
che una sola commedia non può ricomporre il rapporto difficile e contraddittorio tra la scena
e il mondo e anche tra goldoni e venezia.
Prima dicevano e abbiamo anche le chat perché altrimenti io non li
leggo ma perché c'è questa roba Non si saprà mai veramente idea di
cosa sia questo gli affari devo tenere per mano come un prima o poi
finirà è tutto ciò sta benedetta chat ecco quando vedete scritto
nelle noticine è estremamente parte prima si apre lo abbiamo detto
nei momenti interni Quindi abbiamo la camera di Leonardo Leonardo
Calciano e Simona un'ora in merito del reputazione del casa mia un
uomo della mia sorte cosa direi bene cosa diranno l'interrogativo
nel quale luogo è stato è chiuso è la onorabilità della propria
famiglia Chi è che ha compare uno gay in colpa se casa le donne
cattive le è tutto il mondo me lo dirà Quindi l'unico modo è quindi
la causa della perdizione della onorabilità e la famiglia è libera è
pregiudicata è iniziata delle donne e delle iniziative femminili che
occorre castigare il rispetto dell'ordine basta attraverso un severo
controllo dell'autorità maschile si bisogna dare un esempio bisogna
unire la superbia del tempo così alfiere e insegnare agli uomini da
castigare cui non credo ci sia bisogno di commentare e che gli
attori che se giustifichi la parola chiave della commedia viene
esibita che anche connotativo ontologico esistenziale di questi
protagonisti che si riconoscono
Il rustego è perfetta consapevolezza della propria violenza e brutalità ma anche del fatto che
esse sono le uniche armi per mantenere l’ordine stabilito. Io so quel che dico fintanto che
rimango chiuso nella mia casa, attaccato al meschino tornaconto economico è morale della
mia casa. Rifiutano di concedere ai propri sottoposti (no trattati come affetti) alcuna
autonomia di comportamento. Quattro reazionari misantropi, accaniti lodatori della propria
morale, da difendere a tutti i costi. Cederanno solo in finale di commedia, dopo arringa di
felice, e sotto pressione di moglie e figli, ma solo per il breve spazio di un banchetto. Qui
tutto torna com’è, nel mondo di manzoni invece no, qualcosa sarà irrimediabilmente perduto.
dopo il banchetto dei prom sposi si apre lo squarcio della colonna infame, vero finale del
romanzo. Qui goldoni polemico nei confronti della nuova società ma mai eversivo. La
commedia ha un valore morale ma non porta mai al sovvertimento dell'ordine civile, accade
così anche nella locandiera.
Teatro la Pergola
Tieni presente cronologia goldoniana 59 innamorati 60 u rusteghi, teatro san luca.
ALFIERI
La storia di Alfieri è la vicenda di un nobile. E’ un conte, nasce nel 1749 da una famiglia
nobile piemontese di antichissima nobiltà terriera. Il padre Antonio sposa Monia de tournon,
già vedova di un precedente matrimonio, una nobile savoiarda. Aveva già una figlia Giulia Il
padre muore quando Vittorio ha un anno e com’era consuetudine Monica contrae un terzo
matrimonio, con giacinto alfieri, appartenente a un ramo cadetto della famiglia alfieri. Nel
1758 viene inviato nella reale accademia di Torino per volontà dello zio tutore Pellegrino
Alfieri, personaggio di assoluto rilievo nell’amministrazione del regno di sardegna. Vittorio
nasce nella situazione nobiliare senza problemi economici ma fratture familiari insanabili.
Esce dall’accademia soltanto nel 1766, con un titolo militare. Risente della mancanza del
padre, del nuovo matrimonio della madre, della straordinaria freddezza nel rapporto con la
figura materna, che nella vita scritta da esso è una figura assente o distante quando è
presente, ne parla come una matrona anziché madre. Mantenne con lei sempre rapporti
buoni in apparenza, formali. Questa lacuna affettiva insieme al soggiorno in accademia e la
vita militaresca ebbero un ruolo determinante nella formazione di alfieri. Nella sua infanzia e
adolescenza solitarie e non scaldate da affetti familiari hanno origine alcuni tratti del
carattere alfieriano: impulso alla ribellione, intolleranza verso regole gerarchie militari
verso ...monarchico………. Tutto ciò ha (Giacomo benedetti): è qui che si annidano i
sentimenti e i traumi della vocazione tragica di Alfieri. Appena uscito dall’accademia
approfitta degli scarsi obblighi della vita familiare e dei privilegi economici per viaggiare, in
un modo diverso da goldoni che doveva pensare a campare, affanno. Peregrinazioni con
ansia sì…… per l’europa, accompagnato da un servo,il servo elia che ne sopporta le
molteplici angherie (lettere a Francesco elia il cameriere, interlocutore privilegiato risolutore
di problemi pratici).
manca parte,
03/11/21
Lo scrittore solitamente fa passare un po' di tempo tra queste fasi, per farle sedimentare. E’
un’operazione faticosa quella della nascita della scrittura sopra nella 2 e 3 fase. La fase
della versificazione è la più tormentata, perché testimonia la strenua ricerca di uno stile che
risponda ad esigenze espressive ben precise. L'edizione nazionale delle opere di alfieri è un
cantiere ancora aperto. Alfieri non si accontenta quasi mai della prima versificazione, fino al
miglior risultato possibile. Gli autografi permettono di seguire questo tormentato lavoro.
Edizione che inizia a Siena durante il primo soggiorno di Alfieri presso l’editore Pazzini-Carli.
E’ in tre volumi, fondamentale perché contiene la prima tragedia alfieriana. Antonio e
Cleopatra negletta, non degna di apparire nella prima edizione, c’è il Filippo. Apre il primo
volume della pazzini carli. Indicati i tre tempi compositivi delle tragedie. Guarda quante
stesure: 1775-76-80-81. La Merope stesa e versificata in un solo anno, nel 1782. Le edizioni
a stampa non seguono mai le prime stesure di Alfieri, che vengono solitamente lette a A a
un gruppo ristretto di alfieri o diffusi in forma manoscritta sempre in questo piccolo circolo.
Grazie alle lettere siamo in grado di ricostruire le stesure intermedie. Molte tragedie
rappresentate prima della loro edizione e stampa, in teatri o saloni privati di nobili amici e
talvolta brillantemente recitate dallo stesso Alfieri. Antigone recitata a Roma nell’82 da una
compagnia di nobili appassionati, nel palazzo del re di spagna con Alfieri che ha la parte di
Creonte. Molte recitate a Firenze, in cui Alfieri ha la parte di Saul. Deliberatamente alfieri
destina questo suo teatro alle occasioni private, mostrando sdegnoso disprezzo verso la
volgarità e frivolezza del teatro. Quando desidera un pubblico preferisce pensare a un
pubblico nazionale … E’ un teatro da camera, diffuso a Bologna (Francesco bergata
fasatelli, che fu in contatto con alfieri e rappresentò molte sue tragedie). Anche per quanto
riguarda le edizioni delle opere, P-C sia la francois-didot, 1787-89, alfieri rifiuta di prenderne
in considerazione edizioni commerciali, edizioni sono solo modo necessario per fissare
definitivamente i suoi testi e per raggiungere la società del tempo. mercato librario elitario
non per stabilire un rapporto con un anonimo pubblico. Libri molto eleganti per questo
motivo
IL primo volume che si apre con la trilogia filippo polinice antigone contiene testi importanti,
perché contengono una chiarissima esposizione delle idee alfieriane sul teatro tragico.
Anche lui sente esigenza di spiegare i caratteri distintivi del teatro tragico, perché il suo
teatro tragico subirà una serie di critiche da parte dei nobili del tempo e altri tragediografi,
vero e proprio dibattito. Ranieri de calzabigi, tragediografo, invia una lettera 20 ago 1783
che contiene riflessioni su teatro tragico in italia. La scrive dopo aver letto le 4 tragedie del
primo volume p-c. Pazzini carli rappresentata anche da melchiorre cesarotti. Alfieri reagisce
alle critiche, legge la lettera di calzabigi con interesse tale da rispondergli. Caratteri originali
del nuovo sistema tragico alfieriano spiegati in due testi che aprono l'edizione parigina.
Quindi in essa lettera di calzabigi, due testi, più testo con giudizio dell’autore sul teatro
comico. Alfieri definisce sinteticamente la sua esigenza di un teatro tragico che dev’essere
tutto di azione, che miri a mostrare la forza interiore dei personaggi principali.
Testo:...
Si tratta di un manifesto di una nuova rete tragica in italia. La tragedia deve essere d’un solo filo
ordita → eliminati i personaggi accessori, tutti i fili che distolgono dalla trama principale, oggetto
della critica è la tragedia francese in cui proliferavano personaggi secondari. Tragedia deve:
- scorrere velocemente verso la fine e la catastrofe, tetra e veloce
- rifiutare lo stile melodioso (melodramma)
- servirsi di una lingua contratta, di un verso e una sintassi frammentati.
Modelli: Virgilio e Seneca.
Si sofferma su alcune singole tragedie e risponde alle polemiche del tempo, si concentra su:
● invenzione
● sceneggiatura
● stile (criticato per asprezze, sprezzature, verso rotto contratto non musicale,
dissonante nelle tessitura metrica stilistica)
- Dà indicazioni ben precise sul modo di lavorare, sui soggetti della tradizione che
devono sempre essere ritagliati da un repertorio classico. Le vite parallele di Plutarco
furono fondamentali. Rifarsi alla tradizione non significa imitare, anzi la finalità
dell'autore è quella di utilizzare il repertorio classico ma poi disinventare, cioè
introdurre nuove situazioni drammatiche nei soggetti utilizzati.
- Un’altra novità e peculiarità è da rintracciare nella sceneggiatura e nei dialoghi. Alfieri
attribuisce una straordinaria importanza ai soliloqui. La presenza del soliloquio è
importante perché diviene lo specchio nel quale si riflette l’io del personaggio luogo
in cui il personaggio si rivela al pubblico/lettore, ma la presenza del soliloquio
risponde anche ad un'altra finalità, è legata all’eliminazione dei personaggi secondari
per esempio confidenti (che davano info sulla trama, momenti di passaggio, ora ruolo
converge tutto nei soliloqui).
- presenza di 5 atti
- Inoltre toglie di mezzo gli espedienti tradizionali del repertorio tragico es.
travestimenti, agnizioni, ecc. e rispetta fedelmente le tre unità aristoteliche.
Fondamentale per un’esigenza di concentrazione e di assolutezza della tragedia.
- Per quanto riguarda il lavoro di scrittura e di revisione alfieri afferma un'altra nec:
trovare un equilibrio tra la naturalezza delle battute e la concisione (e qui inclina
verso la difficoltà e ricercatezza stilistica, perché nel linguaggio tragico è impossibile
ogni abbassamento di tono, banalità) ricerca del sublime: ogni verso deve mantenere
una forte tensione, correndo il rischio della difficoltà linguistica e dell’uniformità.
- Un’altra caratteristica mostrata è lo scontro fra un tiranno e l’eroe tragico. Si tratta di
tragedie spesso animate da una fortissima tensione politica, una scelta politica anima
anche la scelta del genere tragico. L’aspirazione di Alfieri allo scontro con il mondo
comporta anche una scelta politica. La scelta letteraria è in questo scrittore sempre
una scelta di libertà, si libera del ruolo di vassallo del regno di sardegna e sceglie la
letteratura. scelta vista come tensione a rompere le convenzioni della società
assolutistica ancora dominante nel 1700. Esigenza di alcuni individui dotati di forte
sentire (preromanticismo, guarderà a questo foscolo e primissimo manzoni). Il forte
sentire è lo strumento per trasformare una vita sociale scialba impegnandosi in uno
scontro tragico con il potere (assolutistico) e le sue istituzioni → distinguersi dalla
nobiltà di cui pure faceva parte per critica alla tradizione, al dispotismo.
→ Fondamentale è il trattato Della tirannide scritto in una prosa aspra nel 1787, stampato solo
nel 1789 non con volontà di essere divulgato. In questo testo non si rivolge ai contemporanei
ma agli italiani che verranno che infatti faranno di questo testo il manifesto dello scontro pre-
risorgimentale e risorgimentale… dello scontro a potere assoluto. Amato da … e
Montesquieu.
Una fucina fondamentale per la costruzione dell’io tragico alfieriano, della lingua e dello stile
è costituita dalle Rime. La scrittura di rime occuperà la vita di questo scrittore così come
l’epistolario è fondamentale per comprendere genesi di molte tragedie e stile. Ciò che
caratterizza tutta la sua opera è una straordinaria vocazione autobiografica, il poeta
rappresenta il proprio io, vocazione già abbozzata nell’abbozzo di giudizio universale (primo
testo satirico, piccolo cameo), autobio sono i giornali francesi, le rime e la Vita, che
rappresenta il momento più esplicito di questa vocazione. La scrittura delle rime, soprattutto i
sonetti, accompagna tutta la carriera di Alfieri e diventa un diario speculare in versi. sorta di
diario in versi perché non è un caso che tutti i componimenti in versi di alfieri rechino data.
es questo 9 giu 1786. Perché recano una data? La data segnala il legame di questi versi
con occasioni ben precise. La raccolta delle rime alfieriane pone problemi filologici: nel 1789
alfieri pubblica una raccolta intitolata rime, come quelle composte fino a quel momento. Si
suole chiamarla prima parte delle rime, perché poi nel 1804 uscirà postuma raccolta da lui
stesso predisposta delle rime successive. Queste rime hanno delle caratteristiche precise e
ben delineabili, che vediamo emergere chiaramente da questo testo. Alfieri definisce i propri
sonetti un’escrescenza “della mia machina autobiografica???”. Tende a dare una
dimensione privata rispetto al monumento di sé affidata all’edizione delle tragedie
specialmente didot. ritenne i sonetti degni di pubblicazione, provvedette egli stesso alla
prima uscita dell’opera. Decisione di renderli pubblici dice qualcosa della volontà di
partecipare a un progetto: costruzione dell’immagine del proprio io da consegnare ai posteri,
costruita fin dalle origini, dalla sua conversione letteraria. Rime nascono da occasioni
autobiografiche e quindi importanti per conoscere la natura intima del poeta tragico, non così
marginali come Alfieri vuole farci credere.
1) La prima parte delle rime comprende sonetti, versi di altro metro ed epigrammi.
Questa distinzione per generi e metrica fatta da lui stesso, comprende testi scritti fino
ai 40 anni.
2) La seconda parte rime fino ai 50 anni, considerati dal poeta il termine del proprio
percorso creativo. Temi: amore (per la contessa d'albany il primo degno amore),
l’amicizia, la passione per i cavalli e per gli scenari naturali, il colloquio con i grandi
del passato, e la meditazione intorno alla propria attività letteraria. Palestra per
l’acquisizione del verso, delle forme metriche.
Su queste rime agisce modello petrarchesco, Petrarca modello di una liricità sublime a cui
alfieri sovrappone una nuova inquietudine, più brusca e piu aggressiva, rime in cui si
accampa l’io del poeta, anche con agonismo. Un’io che viene ingrandito a dismisura e che si
erge su scenari naturali, tutte le occasioni dell’esistenza fissate su molteplici date sono
pretesti perché l’autore possa raccontare ai posteri, mettere in scena un io in preda allo
scontro tra l’ira e la malinconia, la tensione alla libertà, il desiderio di essere un uomo libero,
spregiatore de presente (non mi piacque il mio vil seclo mai) e d’altra parte fortissimo
sentimento di viltà, timore di essere un uomo vile e non all’altezza di questi sentimenti
grandiosi. Tendenza all’autoritratto, che vede rappresentato soprattutto l’autore travestito da
poeta e attore delle sue tragedie.
MANZONI
Manzoni si presenta a noi come straordinario intellettuale europeo. Formazione
straordinaria. E’ il simbolo della letteratura dell'Italia unita, il più rappresentativo intellettuale
del romanticismo italiano, che è riuscito attraverso un genere letterario completamente
nuovo in italia, il romanzo, a riportare la letteratura italiana agli altissimi ranghi della
letteratura europea. Saranno i molteplici soggiorni parigini ad aprire i sogni di questo
scrittore, lì infatti riuscirà ad innestare le idee dell’illuminismo e della rivoluzione francese al
riformismo culturale milanese?. L’originalità della formazione manzoniana sta in questa
commistione di europa e di tradizione squisitamente lombarda. Manzoni è importante anche
dal pdv della teoria della letteratura, si interroga profondamente sul ruolo della letteratura e
della poesia nella società civile, Le riflessioni teoriche ruotano attorno a tre grandi temi
cardini:
- il vero, che deve essere l'oggetto, la finalità precipua
- l’utile per iscopo, la lett deve avere un'utilità
- il bello, l’interessante, il piacevole, per mezzo. la letteratura deve aspirare a una
forma armoniosa per attirare e sedurre il lettore.
Fino a una vera e propria radicalizzazione estrema della tensione verso il vero, che si
concretizza nell’antiromanzo per eccellenza, la storia della colonna infame, indagine
analitica e spietata della realtà. Un anello solidissimo connette alfieri e manzoni: la funzione
civile della letteratura, che nasce nel solco del magistero di un altro padre della letteratura e
della scelta di scrivere questo modello: Parini, uno dei maestri di manzoni, di cui era erede
tutto il mondo culturale milanese, attorno alla rivista del Caffè e dell’accademia dei Pugni.
Pugni caffè e la lezione pariniana si configurano come letterari antecedenti della concezione
letteraria manzoniana. Lo scrittore prende la penna per educare il popolo, la letteratura deve
avere una per educare il popolo nascituro. Altra anima forte, nucleo generativo della
letteratura manzoniana: esperienza spirituale molto forte senza la quale non si potrebbe
comprendere il percorso letterario. La "conversione" non avviene dal nulla ma si sedimenta
nel tempo e che ha la forza di orientare tutta l'attività letteraria manzoniana e tutta la sua
vita, condiziona tutta la sua famiglia, gli amici, i circoli intellettuali frequentati da Manzoni.
Questa esperienza spirituale così profonda e drammatica induce Manzoni a sperimentare un
rifiuto dell’io del poeta. In manzoni c’è sempre e solo un noi, c’è un orrore dell’io (mario luzi),
letteratura che mira a fortificare dal pdv umano e morale d'una nazione che non guarda
all’individuo ma alla collettività. Rifiuto dell’io campeggia nelle prime esperienze poetiche. dal
rifiuto dell’io all’acquisizione di questo corale noi, in cui l’io non si estingue ma acquista
nuova vita: io inserito nella realtà corale di uno stato che aspira ad essere una nazione.
Abbandona l’esperienza lirica e tragica, ricerca di una lingua.
→ Rifiuto della lirica perché espressione della realtà interiore di un singolo uomo e non universale.
La realtà è un dato oggettivo. Il cristianesimo che non è una realtà intellettualistica ma
storica, incarnata nel reale è la più in linea con la ricerca di manzoni.
- Leopardi consegna al 900 un nuovo tipo di lirica filosofica,
- Manzoni invece indica alla letteratura della nazione una strada diversa ma
ugualmente florida che è quella del recupero di una lezione realista, che possiamo
far risalire all’indietro alla dialettica mondo teatro e alla poliedrica realtà narrata da
decameron. Si inserisce nella tradizione e la rinnova. Ciò che fa di Manzoni il primo
intellettuale europeo della nostra letteratura è che questa letteratura non viene piu
attraversata … ma coralmente nella storia, in compagnia dei più audaci innovatori del
tempo. Fervida tradizione realistica: Boccaccio, goldoni. Il grande filone del romanzo
inglese realista: fielding richardson insieme a Scott. Scelta irreversibile
Costruisce un’antropologia della nazione, all’interno dello straord affresco del romanzo,
affresco della nazione eseguito in primo luogo con la ricerca ventennale di una lingua, che
dona alla nostra tradizione letteraria, una lingua che per la prima volta possa far parlare tutti
gli appartenenti della futura nazione italiana. Ricerca 20ennale che matura anni prima: il
vero luogo di sperimentazione della lingua manzoniana sono lirica e tragedia che lasciano
anch’esse un segno.
Alessandro nasce a milano nel 1785 da Giulia Beccaria, figlia di Cesare autore del trattato
Dei delitti e delle pene che portò in toscana l’abolizione della pena di morte e che ispirò la
nascita della costituzione americana, vero e prorpio bestseller in europa. Manzoni
abbandonato dalla madre come spesso succedeva e messo a balia. Il conte pietro manzoni
vive nelle chiese? Manzoni come sappiamo e come confermato da alcuni documenti di
archivio è il frutto di questa breve relazione tra Giulia e Fratello minore dei Verri, Giovanni,
che la porta alla separazione dal marito, dopo infelicissimo matrimonio. Alessandro viene
messo in collegio, marate lugano milano...solitudine di un bambino cresciuto fuori da un
contesto familiare. A 16 anni entra nella società culturale milanese, non prosegue studi???
Mentre giulia segue il nuovo amore Carlo imbonati a Parigi, Manzoni entra nei circoli della
cultura illuminista. Ridotto contenuto affettivo del rapporti con i genitori. Anche con la madre
rapporto solo più tardi, e questo provoca conseguenza nell’opera letteraria e nella vita. le
figure paterne nei promessi sono inesistenti, tutta una serie di appunti nel fermo e lucia sulla
necessità di dare un padre a lucia, invece figure femminili importanti.
- oppressione educativa
- assenza di affetti
A Milano conosce gli esuli napoletani della rivoluzione del 1799, Cuoco e Lo Monaco, che gli
ispirano ardore politico
- spirito liberatore
- refrattarietà al conformismo anche religioso
Scrive le prime liriche, Trionfo della Libertà, che risentono del dantismo mediato dalla
lezione di Vincenzo monti. La rivoluzione è per Manzoni un mito positivo un sogno in cui
credere.
negli anni...è ospite di un cugino, inviato spedito in una serie di viaggi per sottrarlo alla vita
libertina che conduceva e alla passione per il gioco d’azzardo. A Venezia conosce isabella
teotochi albrizzi, musa di foscolo? conosce il teatro di goldoni, di cui lo affascina la lingua,
sente esigenza di sperimentare una letteratura diversa da quella esercitata finora. inizia a
cercare una nuova strada, sente ancora la seduzione dell’io che presto abbandonerà e
presto lo porterà all’acquisizione del noi. Scrive un sonetto autobiografico:
Specchio
Solcata fronte
entrambe ispirazioni per la prova poetica manz del 1801, testo rigettato da manzoni, che
reca in calce la data 1801. Si tratta di un esercizio letterario di maniera ma indicativo di
alcuni tratti peculiari del carattere manzoniano. Rispetto alla versione andata poi a stampa,
questa versione manoscritta custodita alla braidense presenta una sola variante: crocetta v9
freccia con variante che riecheggia l’explicit di foscolo. Variante cassata da Manzoni.
Si dispiegano alcuni punti cardine della poetica manzoniana (Lingua or spedita or tarda,
e non mai vile, Che il ver favella apertamente, o tace) vero dio, non odia, buono,
caratterizzazione anaforica e quindi acerba di questa poetica, che fa sì che emerga una
fortissima caratterizzazione del giovane e tutta un’istanza lett orientata al vero, equilibrio…
senza nessun narcisismo, che invece domina negli altri ritratti. L’egemonia dell’io è già in
crisi nei primi esercizi letterari manzoniani, no pieno di orgoglio narcisistico di alfieri. Giovane
autore che sceglie di confrontarsi col maestro morale delle...generazioni. Tra le prime prove
emergono anche i Sermoni , poemetti satirici in endecasillabi sciolti, che seguono anche la
satira neoclassica di parini.
Altra data importante per la sua formazione è il 1805, soltanto dopo luglio 1805 alessandro
raggiunge la madre a parigi, dopo cioè la morte di carlo imbonati, ricongiungimento con la
madre che segnerà avvicinamento affettivo straordinario tra i due, accompagnata dalla
dedica del carme
IN MORTE DI CARLO IMBONATI
che presenta sottotitolo: versi di alessandro beccaria a giulia sua madre. no rivedi. La lingua
dell’avvicinamento…
Editore è Didot, prestigioso editore delle tragedie di alfieri per pubblicare opuscolo che
possa fungere da balsamo per la morte del compagno. Esce nel febbraio 1806. In tutte le
storie della parabola creativa manzoniana nel 1805 questi versi aprono una nuova stagione
dell’opera in versi, animata dall’affetto ritrovato con la figura materna, che negli anni
successivi diverrà esclusiva signora del cuore di Alessandro. Endecasillabi sciolti metro più
frequentato da manzoni. Lui non usa mai parola carme, lo usano gli studiosi, lui parla di
epistola. Forse carme nasce per attrazione subita da sepolcri foscoliani. Dopo la stagione
eroica e politica dei trionfi della libertà e dei sermoni inaugura la stagione di poetico rigore
morale su cui influiscono i primissimi contatti che Alessandro intrattiene con gli ideologues
francesi. Imbonati allievo di Parini che gli aveva dedicato l’ode “L’educazione”. Imbonati visto
come erede della maggiore tradizione poetica e civile lombarda. In questa epistola in forma
di sogno imbonati diventa padre poesia di manzoni, lo traghetta verso nuova poetica
parini→ imbonati→ manzoni
Manzoni rivendica ruolo tradizione civile poet lombarda fondata su un legame tra virtù e
verità → distacco dal magistero di vincenzo monti e iscrizione in tradizione lombarda. Epistola
segnata dal dialogo ideale con imbonati che Alessandro non conoscerà in vita. E’ un notturno,
visione notturna che fa da preambolo al dialogo con imbonati. Spregio di manzoni al proprio
tempo
………..intessuta di valori morali viene narrata dalla madre. ….
Questa epistola in cui M esprime il proprio difficile e tormentato rapporto con la lirica diviene
esaltazione occasione per un elogio delle stelle fisse del cielo manzoniano.
Nucleo dei prom sposi: ha osato mostrare le miserie dei potenti e gli inermi umili
manca parte
09/11/21
L'esperienza di Manzoni lirico, poeta, che inizia agli albori della sua formazione prosegue a
lungo. Manzoni sperimenta anche altri generi letterari, in primo luogo si dedica alla tragedia
(Conte di Carmagnola), Adelchi. Al gennaio 1816 risale la stesura del conte di Carmagnola
che si conclude nel 1819. Dopo la riforma della lingua poetica il successivo scoglio che
Manzoni intende affrontare è la riforma del teatro che doveva essere affrancato dalla
tradizione classica e mitologica alfieriana. Quella tragedia appariva a M troppo avulsa dalla
storia. Già avvicinamento al vero storico, che comincia con la lettura di Shakespeare, che gli
permette svecchiamento della tragedia italiana. Per i romantici shakespeare rappresenta la
migliore unione di rappresentazione di vicende storiche e introspezione psicologica del
personaggio (già presente in Alfieri, es. Saul).
1) Il rispetto del vero che gli sta a cuore lo porta a dichiarare l'impossibilità del rispetto
delle unità aristoteliche, tanto a cuore ad Alfieri. Rispettata della trad 500esca e poi
consolidata nel 700 grazie ad alfieri. Per Manzoni l’unica unità che deve essere
rispettata per mantenere una fedeltà al vero è l’unità di azione. L'esperienza tragica
manzoniana è importante perché dà luogo a una nuova drammaturgia, che guarda a
shakespeare. Nella biblioteca manzoniana c’è un libro fondamentale, Il corso di
letteratura drammatica, di schlegel. Da Shakespeare e Schlegel nasce il progetto di
una nuova drammaturgia manzoniana. Lo spettatore è di necessità una mente
esterna al dramma, dunque non può percepire l’inverosimiglianza a causa della
differenza di tempi e luoghi della tragedia rispetto ai propri. Al contrario lo spettatore,
anche se lontano, vede l’unità, che deve essere creata dal drammaturgo, creando
l’illusione della realtà.
2) Come si raggiunge il vero tragico? altro cardine: analisi spassionata (agg
manzoniano) delle passioni dei personaggi che permette di adempiere al fine
precipuo del teatri, didascalico e morale, connaturato alla genesi stessa delle
tragedie manzoniane. Solo una storia verosimile permette all’ideologia dell’autore di
non prevaricare nella rappresentazione, allontanando ogni possibile accusa di
degenerazione e amoralità dell’opera. Inizia qui la ricerca che anche Verga porterà
avanti nel suo teatro.
3) L’unico luogo in cui può esprimersi l’autore è il cantuccio che egli su ricava, ovvero il
coro, espediente che rivive in manzoni dopo essere scomparso nella tragedia
alfieriana (l’unica trag alfier in cui il coro spravvive è la Mirra, luogo deputato da alfieri
alla drammatizzazione del conflitto interiore di mirra attanagliato dal sentimento
incestuoso di amore nei cfr del padre).
Riassumendo punti riforma teatrale:
- no unità aristoteliche
- analisi passioni
- coro
A differenza del coro nel teatro greco cui pure Manzoni dichiara di ispirarsi, quello
manzoniano non riferisce le azioni fuori scena, che invece quello greco faceva. Il coro
manzoniano commenta quel che avviene e offre allo spettatore un pdv dove l’autore possa
parlare in prima persona.
- Il 1821 è un anno cruciale e proficuo dal pdv letterario mentre
- dal pdv spirituale il 1817 è un anno di crisi, di incertezze religiose.
Manzoni non è “ortodosso e privo di dubbi”, ma sente un cristianesimo autentico. 1821
annus terribilis per la convergenza della crisi politica italiana e personale. IL 1821 segna per
M la nascita della poesia patriottica declinata in forme nuove rispetto al trionfo della libertà.
La lingua delle odi civili è ormai matura. Manzoni si inserisce nel dibattito tra classici e
romantici, con Marzo 1821, poesia scritta prima di getto poi distrutta poi pubblicata,
tormentata e con Il 5 maggio. Le date nella loro nuda evidenza parlano. Il 5 maggio 1821
muore Napoleone a Sant’Elena, la notizia con i tempi 800esche arriva solo a luglio, nella
Gazzetta di Milano. Il 5 maggio, l’ode, viene composta in preda a un raptus compositivo
dopo la stesura di Marzo 1821. Gianfranco Contini definisce il 5 maggio un vero inno sacro
fuori dagli inni per la componente sacra e sacrale della poesia civile di Manzoni. Il 1821,
anno della fulminea stesura delle odi civili è anche l’anno di avvio dell’impresa del romanzo
1821-1823, date che possono essere definite le prove generali, anni in cui Manzoni è alla
ricerca della forma giusta, date estreme del Fermo e Lucia. A questa altezza il romanzo non
ha un titolo definitivo, ma oscilla tra il nome dei due protagonisti e la loro condizione di sposi
promessi. Dubbio emerge nella corrispondenza epistolare. Soltanto con la stampa del 27
che però inizia nel 25 (pubblicazione lentissima) il titolo definitivo sarà Promessi sposi.
Soltanto la prima edizione del romanzo avrà il titolo definitivo. Che Manzoni avesse già in
mente la vicenda anni prima è molto probabile. Quel che stupisce è che prima del fermo e
lucia non abbiamo testimonianze dei abbozzi precedenti a questa prima stesura che
presenta una felicità di scrittura quasi priva di tentennamenti, tormenti linguistici che lo
affliggeranno dopo e che poi porteranno a intervenire su personaggi, ambiente, tempi e fatti
che nel fermo e lucia appaiono già ben delineati e compiuti.
I temi di riflessione che stanno a monte del romanzo e che Manzoni stesso illustra con
grande precisione nell’introduzione, coeva ai primi due capitoli, che inizia a scrivere nella
primavera del 1821 e conclude a giugno. Anno dei subbugli politici e risorgente vena poetica
patriottica. le matrici del romanzo vanno rintracciate:
- nel dialogo con fauriel,
- nella lettura di Scott
- nella lettura delle Osservazioni sulla tortura (Pietro Verri, iniziate nel 1860 e stesura
def nel 1867, custodite anchesse nella sua biblio e fittamente postillate.
Ricostruivano arbitri disumanità atrocità compiute da uomini verso di altri uomini nel
corso di un processo famosissimo, quello svolto contro il barbiere Giangiacomo Mora
accusato insieme al commissario di sanità guglielmo piazza di presunte unzioni
malefiche durante la peste che colpì la Lombardia e in part milano nel 1630 (1629-
33). Questo libro offre a Manzoni lo spunto per parlare di Milano, della corruzione dei
propri tempi, per riflettere sui misfatti del presente attraverso la griglia storica), che
spingono Manzoni all'indagine storica.
Come lucidamente dirà Gadda, lettore di manzoni, la grandezza di Manzoni è stata scegliere
di parlare di nuora perché suocera intendesse: ambientare nel 600 una storia di denuncia
del proprio tempo.
GENESI DEL ROMANZO
Moltissime notizie sulla genesi del romanzo, tratte dalle lettere, in cui Manzoni dichiara
chiaramente di avere a cuore un punto: “il nucleo del mio romanzo non è la finzione
romanzesca, ma sta tutto in dati storici e politici, protagonista del mio romanzo è il tema
della giustizia che nel famoso processo che chiamiamo della colonna infame rappresenta
l’emblema dell’ingiustizia e della corruzione degli uomini di tutti i tempi ma ancora di più
delle ingiustizie del potere giudiziario”. e dunque denuncia:
- contro le autorità e ignoranza dei religiosi (superstizione) e
- dell'insipienza del popolo (considerazione delle masse come fiumana acefala).
Romanzo sorretto da infiniti documenti, inizia a compiere una serie di indagine sulle grida, e
documenti del tempo, perché quello che più gli sta a cuore è la verità della storia e la
ricostruzione della storia, al centro dell’invenzione romanzesca, che deve essere concessa
al narratore. Il narratore deve inventare personaggi e vicende per rendere la storia più
verosimile. Manzoni si trova a scegliere un genere letterario che in italia è reietto,
considerato minore, infimo, non ha ancora trovato il giusto equilibrio e soprattutto non ha
ancora un pubblico letterario, un destinatario (cosa che invece succedeva in francia e in
Spagna cervantes), in ita per ragioni sociali e di frammentazione anche linguistica, più che
altrove dominano altri generi letterari, la lirica, la novella e il romanzo cavalleresco, forma
suppletiva di narrazione affidata cmq all’ottava, quindi in versi. Manzoni è un gigante anche
perché sceglie questo genere proscritto, considerato inferiore. Oggi pare scelta scontata, ma
non lo è e neanche semplice. La tradizione romanzesca che in inghilterra sviluppata sin
dalla metà del 700 (robinson crusoe, richardson, fielding romanzo picaresco) in italia fatica
ad arrivare, arrivano tantissime riduzioni teatrali, preferite dal pubblico italiano. Si consolida
la novità scottiana, che ha straordinario attecchimento soprattutto in Francia, dove riscuote
successo, risveglia negli scrittori italiani l’interesse per il folklore e per la valorizzazione di
vicende familiari. successo tradotto, ma Scott per manzoni è solo un punto di partenza, scott
non si peritava di reinventare senza scrupoli la storia, non gli stava a cuore il vero l’intento di
denuncia che persegue il valore morale del romanzo di manzoni. Manzoni legge scott nelle
traduzioni francesi ma poi il nucleo poetico da cui nascono i promessi è altro. In questi anni
fiorisce anche il romanzo gotico, shelley, ecc. che contribuisce alla genesi dei promessi
sposi ma da lontano. Gli elementi di distacco di Manzoni da questo genere letterario sono
evidentissimi, già nel fermo e lucia che ha una caratteristica precipua che è quella delle
frequentissime digressioni storiche. C’è una carta geografica teorica del genere romanzo in
cui manzoni si inserisce con straordinaria originalità. Com
La questione delle riduzioni teatrali è legata a venezia, la fruizione è più immediata. Chi
leggeva questi romanzi in italia e chi li stampava? Nessuno. Invece riduzione teatrale sicuro
successo, anche economico. La fruizione privata arriva dopo, anche se in realtà la 27ana va
a ruba.
FERMO E LUCIA
Il primo dato caratteristico del rispetto del vero nel fermo e lucia è l'espediente del
manoscritto ritrovato. Come fa a risolvere questione del rapporto tra vero e verosimile, realtà
e finzione. Adotta un espediente di antichissima fortuna letteraria, che gli permette di
garantire la veridicità delle cose che racconta e di ripararsi dalle accuse di inverosimiglianza
che aveva rivolto? (lettera a monsieur chauvet).
INTRO FERMO E LUCIA (NON DEF)
L’intro del fermo e lucia viene scritta da manzoni a caldo, infatti il racconto vero e proprio è
anticipato da una digressione teorica sugli effetti della storia che egli finge di copiare
direttamente da un manoscritto 600esco, dilavato autografo così lo definisce di cui però non
menziona l’autore e di cui non fornisce indicazioni neppure per renderne possibile il
ritrovamento. Infatti ancora oggi nonostante ricerche pare un espediente letterario. Tutto
quello che manzoni voleva che trovassimo è stato ritrovato puntualmente (es. copia di Verri),
quindi espediente. Questo testo è fondamentale perché dopo poche righe in cui Manzoni
presenta il manoscritto dilavato Manzoni autore sceglie di prendere direttamente la parola e
dichiara di aver copiato il testo solo fino a quel preciso punto decidendo poi di conservare i
fatti letti nel manoscritto 600esco ma poi rifarli di pianta adducendo come motivo principale
non, come poi farà nella intro def del 1823 motivazioni di ordine stilistico e linguistico, perché
incomprensibile altrimenti, ma di ordine storico: al centro della riflessione il rapporto tra vero
e verosimile, storia e invenzione,. Il tema già affrontato nella lettera a monsieur chauvet
dell’ingerenza del narratore. Testo originario comunque sempre presentato come
documento reale, in cui l’anonimo redattore non manca mai di tralasciare il suo punto di
vista, ma dove l’atteggiamento di manzoni autore non è più la prospettiva dello storico ma
del narratore che cerca di trovare conferma nei fatti narrati - inventati- nei documenti. Ci
deve essere una rispondenza, esigenza di verosimiglianza. Non bisogna dimenticare che
l’espediente del manoscritto letterario è quanto di più letterario tramandato dalla tradizione
… e cavalleresca (pulci, innamorato, furioso, don chisciotte). Espediente tradizionale
riproposto. Il duplice piano proposto nel confronto con l’anonimo permette di sviluppare i due
livelli della narrazione:
- storico (vicenda narrata dall’anonimo)
- riflessivo, di cui il responsabile è solo manzoni
Giacché tra i giudizi dell’anonimo e i propri molto più sensati i suoi, quelli dell’anonimo
inattendibili. Primo esempio di ironia…
Le frequenti incursioni dell’autore nella storia trovano giustificazione in questo duplice piano,
non solo giustificate ma rese necessarie da Manzoni da un pdv anacronistico e inattendibili
come quelli dell’anonimo. Non solo orpello e omaggio alla tradizione. Terminata l’adelchi nel
---- Manzoni si dedica al romanzo e alla documentazione storica per verificare la veridicità
delle notizie tramandate dall’anonimo. Interruzione dovuta alla volontà di terminare adelchi.
Nel terzo capitolo avverte necessità di documentarsi, ci torna nel 1822. Possiamo definire il
romanzo un miracolo di felicità creativa,
- nel 1822 conduce questa scrittura fino alla fine del secondo tomo (di quattro). Scrive
di getto fino alla fine del 2.
- Il terzo è scritto tutto tra la fine di novembre 1822 e il marzo 1823, tempi rapidi.
- Il quarto sta tutto nel 23, tra la primavera e la data apposta da manzoni che suggella
la fine della stesura del fermo e lucia, 17 sett 1823.
Questa scrittura trae linfa creativa da letture a riletture di fonti necessarie ad accompagnare
la narrazione con l’illustrazione puntuale dei fatti. Il sottotitolo della stampa della prima
edizione del fermo e lucia (NO! NON è LA PRIMA EDIZIONE IL FERMO E LUCIA). La storia
del 17 secolo scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni. Da un lato si sviluppa da personaggi
di invenzione. Paesino in cui alessandro fu inviato a balia
- trama -
Proliferano le digressioni storiche e dunque è più facile grazie alla lettura del fermo risalire
alle fonti storiche, in primo luogo le gride emanate per contrastare i soprusi dei signorotti
locali e le angherie dei loro bravi contro la popolazione locale. Rinvenute nella biblioteca
manzoniana. Servono a M per ricostruire usi e costumi del tempo. Questi documenti
spasmodicamente richiesti da M agli amici, specialmente per due, protagonisti del romanzo
- Marianna de Leyva → monaca di monza;
- molteplici documenti relativi alla peste, la cui fonte principale è Ripamonti la
historiarum patriae e poi
- moltissimi documenti relativi a Federico Borromeo.
La peste è a tutti gli effetti lo scenario in cui le vicende private dei due contadini perseguitati
si collocano. Sin dal principio la storia minuscola si interseca alla grande storia, perché la
vicenda subito collocata nella guerra per la successione del ducato di mantova, la carestia,
l’epidemia portata dai lanzichenecchi. Un grande affresco sociale e di costume ricostruito
con lunghe e documentate letture. Questo sfondo all’interno del fermo e lucia occupa una
parte molto più consistente, quindi ad esempio la vicenda di marianna costretta alla
monacazione dalla sua famiglia e dalla sua impossibilità di reagire per debolezza e per la
crudeltà dei tempi così come le vicende di borromeo e fra cristoforo vengono poi
sapientemente tagliate da manzoni nelle edizioni successive.
- La lingua del fermo e lucia è composita, piena ricca di francesismi di lombardismi di
latinismi, lontana dalla forma definitiva che Manzoni conferirà all’opera non solo nella
prima edizione ma ovviamente anche nella 40ana. Innanzitutto deve affrontare
digressioni incastonate nella storia e che rischiano di distrarre il lettore che vengono
drasticamente ridotte quando stampa prima edizione (2,) ridimensionati fra cristoforo
borromeo e monaca. Sfoltisce le esagerazioni romanzesche per donare più forza
narrativa alla vicenda principale. Nonostante ciò i personaggi non perdono spessore
introspettivo. Eliminata storia della colonna infame che doveva figurare nel 5 capitolo
del 4 tomo. Ma non cade, solo estrapolata.
storia del romanzo italiano, alfano e… secondo volume 800, capitolo dedicato a verga dei
malavoglia scritto da antonio manganaro
VERGA
Verga prosatore. Pregiudizi critici che hanno gravato sulla sua storia. C’è ancora oggi chi
dice che Verga essendo scrittore verista ritrae la realtà così com’è con oggettivo distacco e
senza coinvolgimento emotivo. Difficile immaginare più amenità messe insieme in una frase
sola. Non si mette in dubbio che sia uno scrittore verista, ma semplicemente etichetta per
orientarsi nella storiografia letteraria. Ciò che bisogna mettere in dubbio è che verga ritragga
la realtà così com’è e senza coinvolgimento emotivo. Non è assolutamente vero: la realtà
così com’è è una frase che non ha senso, destituita di senso, basta riflettere sul fatto che la
realtà possiede una connotazione fisica tattile, ha una consistenza, ma tutto dipende da
come la si guarda, da come si valuta questa fisica consistenza, da come si giudica, con quali
occhi esteriori e con quali occhi interiori guardiamo la realtà. Ce ne sono tanti quanti noi
siamo. L’uomo del 2021 non può leggere l’ingenuità di questa frase. Viviamo in ben altri
labirinti e anche Verga lo sapeva. Tutto dipende dalla prospettiva visuale e dal proponimento
conoscitivo (dall’intenzione). Pirandello nel 1920 scrive: “non ha senso il dire nella realtà egli
vede il mondo quale esso è. Il mondo non è per se stesso in nessuna realtà se non gliela
diamo noi. Tutta la moderna filosofia della visione ci avverte che noi vediamo soltanto quello
che guardiamo- e quanto ci sfugge del mondo degli altri! e anche ci avverte che ciò che
guardiamo è in buona misura già prefigurato in noi”. Forma proverbiale: vedi solo quello che
vuoi vedere! Il nostro sguardo è strettamente connotato alla nostra educazione, cultura,
idee, sensibilità. Che cosa interessa a Verga? A Verga interessa la rappresentazione della
realtà severa, tagliente, dissacrante non tanto della realtà (crea in sé un infingimento…?), è
scrittore di cose, quanto della società del proprio tempo. La parola è denuncia, gli sta a
cuore la denuncia appassionata e più coinvolgente possibile della degradazione morale in
cui sono precipitati i costumi e i comportamenti morali dei contemporanei che regolavano la
vita civica e le relazioni individuali e sociali nati dalla delusione post risorgimentale. La nuova
Italia è delusiva, Scrittori interpreti di quel sogno ne rimangono delusi. I carbonari della
montagna, sulle lagune ecc. Più siamo delusi dalle cose che abbiamo sognato più è amaro il
sottofondo da cui nascono opere di denuncia. Verga è romanziere e scrittore di teatro.
L’opera di Verga nasce da un presupposto amaro, da una parola malinconicamente
disincantata. La sua scrittura non tende a offrirsi come “documento”, specchio accertamento
di una realtà che Verga ha sotto gli occhi. La sua scrittura ha già una funzione interpretativa
della realtà, è la realtà filtrata da Verga dalle sue scelte linguistiche. La scrittura non è solo
documento, è funzione interpretativa della realtà. Verga non si limita a registrare,
inventariare, catalogare, monitorare la realtà, anzi ne fornisce un'interpretazione sempre
diversa come d'annunzio ma lui con connotazioni estetiche-simboliste. la realtà risulta non
più descritta con la minuzia del cronista. Grandissimi cronisti del reale denunciano la
situazione disastrosa del mezzogiorno. Non la precisione del cronista, distaccata. C’è altro,
Verga non è uno scrittore distaccato, ha un pdv sulla realtà rappresentata che è giudicante,
lo dà il suo giudizio, tutto è mantato in modo polemico comunicativo? con coinvolgimento
emotivo e con partecipazione sentimentale. Il lettore sa da che parte sta Verga, qual è
l’impeto di denuncia che sottende quelle pagine. Il paradosso che verga tenta di spiegare
nelle lettere è:
- dare una veste il più distaccata, oggettiva, impassibile alle scene che rappresenta,
scene che rappresenta ma di cui fornisce una interpretazione personale
appassionata emotiva individuale che deve celare per far sì che sia più vera
Il paradosso sta nel mettere tanto più impegno nell’inventare uno stile della realtà quanto più
soggetto e personaggi sono la rappresentazione della realtà. Rappresentazione soggettiva
della realtà ammantata di una veste oggettiva. La superficie delle cose e il sentimento
(pirandello, entrare a fondo della realtà cercare di comprendere la parte che ci tocca, che è
residuale). “invenzione della realtà" verga inventa il reale. Gino Tellini professore in congedo
da pochi anni studioso di manzoni e verga dice che l'equivalente figurativo di verga non
sono i macchiaioli, è van gogh, non sono gli impressionisti italiani, per quanto i nostri migliori
macchiaioli siano responsabili di una pittura che è tutt'altro rappresentazione bozzettistica
della realtà, anche lì denuncia e interpretazione. Gino Tellini video su pirandello. L’atto del
vedere la realtà è fondamentale perché per verga importa la visualizzazione ravvicinata dei
dati sensibili, fa degli zoom. La regia di Verga. Importante anche la resa figurativa dei luoghi,
degli ambienti, dei personaggi che in quei luoghi e ambienti si muovono. Verga è uno
scrittore che non si ferma alla registrazione naturalistica e fenomenica della realtà perché
l’atto del vedere è sempre un atto intellettualistico, mentale, che si traduce nello stile e nella
parola che è l’arma il pennello il colore.
Lettere a Capuana, teorico del verismo italiano. A colloquio con lui si affina la poetica di
verga. Nella lettera del 14 marzo 1879, a Catania Giovanni scrive a capuana: “non ti pare
che per noi (si stabilisce un orizzonte comune) l'aspetto di certe cose non ha risalto che
visto sotto un dato angolo visuale che mai riusciremo ad essere tanto schiettamente ed
efficacemente veri che allorquando facciamo un lavoro di ricostruzione intellettuale e
sostituiamo la nostra mente ai nostri occhi”. Riuscire ad essere veri è difficile, in quegli anni
lamenta che la verità è un'incognita, un obiettivo alto, difficile da raggiungere, obiettivo che si
raggiunge con efficacia attraverso lo sguardo interiore, quando sostituiamo la visione
intellettuale alla visione materiale della realtà. Non si tratta di descrivere ciò che noi vediamo
ma di interpretarlo, decifrarne il significato. Ciò che si presenta davanti a noi ha sempre tanti
aspetti volti colori, occorre cogliere il loro tratto unificante. Bisogna non fermarsi alla
dispersione dei tanti colori che appaiono sulla superficie della realtà e cogliere il carattere
distintivo delle cose e delle persone. Cit da Pirandello: gancio che inchioda il personaggio, (il
personaggio di Pirandello che è spesso irretito da tic, es. follia, può essere di matrice
verghiana). Molti lettori di verga attratti dalla sua intensità cromatica pensano che essa
risalga a un rapporto di immediata vicinanza con gli oggetti che rappresenta perché verga
nel 78 mentre scrive i malavoglia scrive: “penso di andare a stare una settimana o due a
lavoro finito ad acitrezza onde dare il tono locale, a lavoro finito e a te non sembrerà
strano…”, l’ottica è più efficace ed artistica se non piu giusta da lontano, perché da vicino i
colori sono più sbiaditi quando non sono già sulla tavolozza. Intende finire e poi tornare ad
Acitrezza. Il rapporto ravvicinato, di gomito con la realtà fa sì che i colori siano troppo sbiaditi
perché troppo condizionati dalla mimesi. La vicinanza genera superficialità. Importantissima
e necessaria è la prospettiva della lontananza perché nella solitudine del distacco della
memoria l'oggetto acquista risalto, giustezza di proporzioni, efficacia e vita, come
ricostruzione intellettuale e libera dell’immagine della realtà che scaturisce dalla mente.
L’autore dei Malavoglia è inimmaginabile senza la Sicilia, ma la straordinaria Sicilia creata
da Verga è inimmaginabile senza Milano e non solo per la contingenza biografica della
residenza dell'autore li ma anche per la distanza prospettica che pone. IL verga 32enne si
trasferisce a milano 1872, signore alto elegante, solitario, frequentatore di camere
ammobiliate che cercava a prezzo accessibile, inizia ben presto a conquistare la città. Le
signorine della città sono colpite da quello che definiscono “un uomo celibe grazie a dio” un
gentiluomo del sud, con valori spirituali e ideali dell’etica risorgimentale. Valori: patria amore
famiglia dignità lealtà profondo senso del dovere. Giovani a Milano apre gli occhi sulla realtà
che è altra rispetto a quella di Catania. incontra gli scapigliati che descrivono Milano come
una metropoli in grado di inghiottire il passato e a diventare altro, iniziano i presagi di quella
modernità destinata a implodere a inizio 1900. Qui coi suoi occhi giovanni vede la realtà
affaristica economicistica bancaria pre-industriale e finanziaria della nuova italia. Lo
spettacolo lo sconvolge come dichiara a denti stretti nelle righe di prefazione del romanzo
definito scapigliato dell’Eva (1873). C’è subito una forte spinta narrativa. giovanni condanna
la degradazione morale. Eva ambientato a firenze ed è un romanzo concepito prima del
trasferimento a milano, prefazione scritta a milano ed è un atto di denuncia della
degradazione morale del mondo contemporaneo. E’ già una visione intellettualistica.
Prefazione a Eva:
Però non maledite l'arte ch'è la manifestazione dei vostri gusti. I greci innamorati ci
lasciarono la statua di Venere; noi lasceremo il cancan litografato sugli scatolini dei
fiammiferi. Non discutiamo nemmeno sulle proporzioni; l'arte allora era una civiltà, oggi è un
lusso: anzi un lusso da scioperati. La civiltà è il benessere, e in fondo ad esso, quand'è
esclusivo come oggi, non ci troverete altro, se avete il coraggio e la buona fede di seguire la
logica, che il godimento materiale. In tutta la serietà di cui siamo invasi, e nell'antipatia per
tutto ciò che non è positivo - mettiamo pure l'arte scioperata - non c'è infine che la tavola e
la donna. Viviamo in un'atmosfera di Banche e di imprese industriali, e la febbre dei piaceri
è l'esuberanza di tal vita.
Risaliamo alle origini della civiltà del benessere- verga è il primo a raccontare questo
disastro. Una civiltà sempre più persuasa (lettera a capuana) che i soldi possano essere
risolutivi, gli uomini sono affannati verso un’unica meta ormai,il benessere, il denaro. Tutto
ciò mi pare generare solo insoddisfazione,... febbre di piaceri.
Giovanni faldella non viene da catania ma negli stessi anni viene a milano da Vercelli stesso
effetto di straniamento di fronte a quella città tentacolare. L'impatto è traumatico perché gli
scrittori avvertono che quella civiltà è una minaccia per un sistema di valori. Pasolini leverà
un grido di dolore verso una società che sta cambiando, una lingua che si impoverisce
(lettere luterane). Verga condanna società che assegna un primato non alla felicità ma
all’accumulo di beni, l’uomo è prigioniero della categoria dell’avere. Impoverimento dello
spirito. Dal primato del godimento letterario discendono dei corollari …
- l’antagonismo
- la conflittualità nei rapporti personali in un mondo che porta in primo piano
l’aggressività rapace degli uomini (cit)
Alla base del trauma c’è la volontà di rappresentare dal vivo e in presa diretta quello che è
un processo di disumanizzazione che ancora è in atto. La prefazione a Eva denuncia le
ragioni economicistiche dell’italia post risorgimentale. In questa società qual è il ruolo
dell’artista? Scelte diverse es da d'annunzio, che andrà verso un’altra direzione-
Nell'atmosfera di banche, di imprese industriali, dominate dalla febbre dei piaceri è anche
tramontato il ruolo istituzionale dell’intellettuale fino a quel momento consapevole del loro
ruolo di maestro (leopardi profondissimo grido di protesta verso il proprio tempo).
Intellettuale non più ritenuto promotore di idee, di ideali e di virtù, quella sacralità
dell’intellettuale-scrittore funzionale all’epopea del rinascimento si è rivelata superata.
L’artista nella società non ha certo il ruolo di sacerdote del sublime che aveva avuto in
passato, allo scrittore si chiede di divenire creatore di balocchi creativi per trastullare il
lettore. la scrittura come merce preconfezionata da sottoporre al lettore con intenti
gratificanti, con cui può occupare il tempo (‘ozio lo terrorizza). Per questa via si raggiunge
l’uomo di lusso, nel progetto di verga. Si giunge all’intellettuale che non serve a nulla,
addobbo decorativo. lusso superbo. Baudelaire: perdita dell’artista nel mondo della
mercificazione dell’arte. Verga rifiuta di essere superfluo e si ritaglia il ruolo di superstite (di
una civiltà che sta per morire, come Pasolini). La storia dei balocchi creativi per assopire le
menti inizia a questo livello. Scrittore controcorrente, scomodo e incompreso, arduo.
[Il mestiere di vivere - Pavese]
Verga rispetto a questa situazione non vede via d’uscita, non-ritorno. Egli sa bene di non
voler essere uno scrittore di intrattenimento, si propone e propone con la sua opera la
denuncia, il tentativo di radiografare la condizione di degradazione morale a cui pare giunta
la società del tempo. che significa?
- Verga rifiuta la tecnica del narratore onnisciente, propria di Manzoni, amatissimo da
Verga, perché essa implica una fiducia costruttiva, prospettiva propositiva: la
progettazione di un mondo diverso e migliore. adotta quindi la tecnica
dell'impersonalità, una scelta di metodo senza equivalenti nella coeva narrativa
europea (cit)L’autore non vede nessuna possibilità di riscatto di fronte alla deriva
etica della società contemporanea. la tecnica dell’impersonalità è un artificio che
nasce da una cognizione del dolore?? del negativo, che sgorga da un pessimismo
profondo nei riguardi dei destini collettivi della società. che prevede saranno gravi.
Significa che la voce del narratore è identificabile con quella dell'autore. La realtà è
sempre interpretazione. La voce del narratore onnisciente manzoniano, responsabile
istruito consapevole della propria cultura scompare, subentra una voce altra, l’intero
racconto è formulato senza mediazioni immediatamente visibili dalla parola di un
narratore che si colloca non all’esterno ma all’interno. Si tratta di far sparire dalla
scena l’io dell’autore, ingombrante, la sua soggettività, la sua sensibilità, la sua
cultura il suoi affetti, i suoi commenti. Si cerca di dare risalto alla cultura agli affetti di
un altro narratore, quello che compare sulla scena. Perché questa scelta
compositiva? Grazie alla tecnica dell'impersonalità Verga si propone di fare
emergere con chiarezza immediatezza le caratteristiche dei personaggi e degli
ambienti in cui si muovono senza ricorrere alle proprie osservazioni ai propri
commenti di autore fuori da quadro, tutto deve sgorgare dai personaggi perché
ritiene che la rappresenta in questo mondo raggiunga una maggiore concretezza e
credibilità.
- Si tratta di rilasciare una pittura desolante della propria Italia, quadro
espressionistico, ruvido, spietato, perché la corsa verso l'utile e il piacere conduce ad
un’esistenza spietata a una vita strozzata perduta disumanizzata. L’autore è convinto
che ritrarre il quadro dall’interno così da dare risalto alla spietatezza dei personaggi
travolti dal vortice dell'utile, alienati nella roba. Universo non più illuminato dalla luce
di quel che conta: gli affetti per esempio, anche oggi piuttosto ridicolizzati, messi alla
berlina. La tecnica impersonale non cancella le emozioni di verga da quadro
rappresentato, ma le tiene a freno e fa in modo che essi ci raggiungano per via
indiretta dagli ambienti dai personaggi. la scomparsa dell’autore che non guida il
lettore col suo commento. La sua vigile dialettica di presenza e assenza comportano
l’eliminazione di ogni mediazione esterna anche sentimentale o moralistica.
L’impersonalità è un mezzo per tratteggiare nel modo migliore le ombre necessarie
per ritrarre le cose più dolorose della vita (sempre cromatismo) nei risvolti più cupi,
triti, nel liberare sulla pagina, nel dipanare il groviglio di avidità e sopraffazione che
angustia e che corrode i rapporti personali nella nuova realtà economicistica. La
presunzione: Nedda, cavalleria rusticana, passaggio tra generi letterari diversi,
malavoglia. Trait d’union è il pessimismo. Leopardi è autore carissimo a Verga. La
prospettiva verghiana si alimenta del pessimismo leopardiano e della concezione
darwiniana della lotta per la vita (anche nella Ginestra). La lotta per la vita in Verga si
alimenta della letteratura (nella più alta lezione dei Canti) e della scienza (Darwin). Il
legame tra letteratura e scienza è antichissimo, e qui gli antichisti possono anche
aggiungere qualcosa.
La convivenza sociale, nella nuova Italia, chiusa la grande stagione degli ideali risorgimentali
è vista come un campo di battaglia dove ognuno si affanna da solo, chiuso nella propria
solitudine per raggiungere la vittoria, una qualsiasi, che sia di sopraffazione dell’altro,
ingannevole, fittizia, perché disumana. La disumanizzazione indotta dai nuovi
comportamenti toglie per verga significato all’esistenza e rende perdente chi si ritiene
vittorioso. Si tratta di effigiare una lotta quotidiana dove non ci sono vincitori perché tutti alla
fine sono sconfitti (Verga disperante), tutti hanno smarrito le qualità ideali, le virtù affettive
per le quali questa esistenza è degna di essere vissuta. Lo chiama lo spettacolo di una
società intenta a inseguire ricchezza e benessere materiale, con toni che sono sempre quelli
di una perdita. Corsa dell’uomo che comporta la perdita di sé. Pirandello parte da questo
smarrimento. Gente smarrita che si precipita verso il nulla, folla nera che corre non si da
dove, spinta protesa verso il nuovo (cit) appartiene a una prefazione inedita dei malavoglia.
Questo ritratto è già nel canto notturno. Si potrebbe dire tantissimo sul leopardismo di verga.
In questo rapporto tra la letteratura e le scienze un ruolo importantissimo avrà il giornalismo.
La prefazione a Eva, che risale al 1873 rappresenta a tutti gli effetti il punto di inizio che
consente a verga di elaborare dentro di sé il giudizio sulla disumanizzazione della società.
nasce così la volontà di fare un inchiesta, in quegli anni già quella di Sonnino, conoscitiva,
dissacrante, che coinvolga tutti i gradini della scala sociale.
L'idea si chiarisce il 21 aprile del 1868, in una lettera a Salvatore Paola (amico catanese
avvocato) il 21 aprile 1878 in cui parla del ciclo dei vinti, la marea, titolo che dà idea di un
travolgimento di destini ma non abbastanza spietato quindi poi sceglie i vinti. Comunica a
salvatore Paola un lavoro che gli sembra bello e grande, una specie di fantasmagoria della
lotta della vita. E’ la prima definizione dei primissimi nuclei dei malavoglia:
Ho in mente un lavoro, che mi sembra bello e grande, una specie di fantasmagoria della lotta per la
vita, che si estende dal cenciaiuolo al ministro e all'artista, e assume tutte le forme, dalla ambizione
all'avidità di guadagno, e si presta a mille rappresentazioni del grottesco umano; lotta provvidenziale
che guida l'umanità, per mezzo e attraverso tutti gli appetiti alti e bassi, alla conquista della verità.
Insomma cogliere il lato drammatico, o ridicolo, o comico di tutte le fisionomie sociali, ognuna colla
sua caratteristica, negli sforzi che fanno per andare avanti in mezzo a quest'onda immensa che è
spinta dai bisogni più volgari o dall'avidità della scienza ad andare avanti, incessantemente, pena la
caduta e la vita, pei deboli e i maldestri.
La formulazione del progetto è quella del ciclo dei vinti, lotta quotidiana in cui non esistono
vincitori ma solo, tutti, vinti. La formulazione del progetto risale al 21 aprile ‘78, nel
medesimo 1878 verga mette a punto il procedimento dell’impersonalità, infatti è l’anno di
Rosso malpelo il primo testo in cui trova applicazione il nuovo metodo, punto di svolta. In
questa tecnica l’autore confida per raggiungere un effetto di realtà in una rappresentazione
oggettiva, per dare completa al lettore l’illusione di realtà, per tratteggiare i personaggi
(lettera a Cameroni) come persone vive, con l’impronta di una cosa avvenuta davvero.
- L’arte di verga trova la sua prima motivazione in un giudizio di denuncia contro i
costumi della nuova italia ma nasce da fondamentale distacco dall'oggetto
rappresentato. La protesta e la denuncia restano mute, sono tacitamente implicite,
risuona un’altra musica, quella dolente straziante, suggestiva, della
compartecipazione umana. E’ un narratore che esprime la muta sofferenza di chi
soccombe alla violenza della sopraffazione. Personaggi integrati dotati di una
umanità ancora, cadono rovinosamente lungo la strada (Rosso malpelo, padron
Ntoni).
- Questa tecnica impersonale richiede lettori non distratti, attivamente collaborativi,
esperti. Il narratore onnisciente manzoniano ci guida informa, ci istruisce su come
interpretare senso e interpretazioni, tiene il lettore sotto tutela. Nella pagina di Verga
il lettore è solo, senza guida davanti a fatti che il narratore interno dipinge con tinte
che possono essere distorte, tendenziose, può anche non condividere.
❖ Chi legge non può essere impartecipe, è chiamato a un intervento di
decifrazione. Non c’è un commento tra gli eventi che compongono novelle e
romanzi. E’ il lettore che deve riconoscere la debita funzione che compete le
parti in gioco (cit Pirandello).
❖ Chi legge deve fare attenzione ai comportamenti dei personaggi non a quello
che si dice di loro. Contano i fatti non le parole. Le parole del narratore
interno possono essere malevole, di antipatia.
L'insuccesso dei malavoglia forse si annida anche qui. L’interesse di Verga scrittore non si
orienta in modo specifico verso le sorti delle classi umili, ma verso l’intera società che si
trova coinvolta a tutti i gradi negli ingranaggi della medesima mercificazione. L’accento non
cade quasi mai sui conflitti sociali ma sul modo di essere e di pensare. E’ un verga che ha
aperto gli occhi su Milano e che apre la sua inchiesta in negativo. L’inchiesta parte dal
mondo che conosce meglio, il suo sud, per tentare la faticosissima risalita al continente e
alle sfere più alte della società. Metodo chiamato anche da molti tra cui Tellini, nel suo
saggio “Verga e l’invenzione della realtà” di un microscopio, perché questo metodo richiede
un ingrandimento dei particolari. Lui (Verga) parla in fantasticheria di un microscopio. Per
guardare la realtà così da vicino è necessaria una frequentazione assidua, grande
conoscenza e al contempo un’infinita distanza e di un rapporto di straniamento. Ripensati da
Milano i fantasmi della memoria siciliana si animano e offrono agli attori i luoghi più adeguati
per l’inchiesta di verga. Il conflitto di classe esula dall’orizzonte verghiano.
DOCUMENTAZIONE
Verga non è interessato neppure al valore testimoniale che si attribuiva all’epoca al
documento, che è parola magica della poetica verista. Resta per verga un guscio vuoto il
documento, che ha quasi carattere antropologico, etnografico. E importante per lo scrittore
partire da documento, premessa necessaria ma non sufficiente. Non può fermarsi al
documento, la sua scrittura tende sempre alla rappresentazione di una condizione interiore,
esistenziale. Questo ha posto una serie di problemi critici. La narrativa verghiana è intessuta
di documenti, riportati dall'autore con puntuale ricchezza, finissima efficacia coloristica, lo
scrittore si documenta sulla vita materiale dell’italia di fine 800, non si affida solo
all’immagine che ha del sud. Il documento possiamo avvalercene come fonte storica. Nedda
nasce da alcune precise riflessioni verghiane attorno allo sfruttamento di salariati stagionali
nella raccolta di olive nelle fattorie del catanese, condizioni del lavoro minorile nelle cave,
tutte condizioni denunciate nel 1876 dall’inchiesta sulla sicilia pubblicata da leopoldo
franchetti e sidney sonnino. Sopraffazione violenza sfruttamento, ma non solo denuncia
(documento è il guscio), originalità di verga nel panorama della nostra letteratura.
- La letteratura italiana già dal secondo 300 con il declino della fortuna di Dante (subito
rimozione, che inizia in vita poi portata a termine dai suoi contemporanei poi
umanesimo) si è orientata subito sulla soggettività, io, prospettiva dell’autore e sua
sensibilità.
- La svolta si registra con Manzoni. Sliricamento manzoniano, autore prediletto da
verga, significa innanzitutto abbandono del classicismo, della mitologia e della
soggettività.
- Quando è ancora in vita Manzoni, risuona la lezione di Carducci, restaurazione
classicistica e anti-manzoniana segna di nuovo il trionfo della soggettività di segno
petrarchesco.
- Si distingue Verga oevo ma antitetico a Carducci. Verga è decisamente
anticlassicista, legato non a mitologia ma a vita di tutti i giorni e letteratura della
quotidianità. Verga si raccomanda con Maria Brusini di.... Ribelle a tutte le autorità i
dogmi, convenzioni e idee e tradizioni. Azzera la prospettiva soggettiva
individualizzante nei romanzi: è importante non l’io ma un pdv intersoggettivo
impersonale, il più possibile condiviso dagli altri osservatori. In una letteratura come
la nostra sempre incline all’esibizione autobiografica e narcisistica dell’io vedi alfieri
lui è reticente e pudico, ritiene che i fatti personali non debbano interessare agli altri.
Il volto nuovo di questo scrittore si manifesta con rosso malpelo.
Verga che finora aveva dato alle stampe 7 romanzi, conquistandosi un successo discreto da
parte dei lettori si avvia con rosso a diventare un grande scrittore non più popolare e senza
successo di pubblico. Con le opere edite fino a questa data ha assecondato gusti e attese di
una società in trasformazioni, indagando il tema dell’amore e gli ambienti personaggi della
vita contemporanea comunque con l’intento di far luce sulla corruzione dei costumi ecc. ha
coltivato comunque anche qui finalità educativa. Dal 78 volge le spalle agli intenti educativi e
sceglie impersonalità. Il nuovo stile, novità di rosso, è aspro, dissonante, anti-melodico e il
lettore viene immediatamente messo dinanzi a una materia drammatica, dolente, risponde
con scarso entusiasmo. I libri che stanno per uscire di verga sono capolavori con pochi
lettori. Nel 78 ha 38 anni. Nell’80 esce Vita dei Campi. Verga ha esordito giovanissimo, poco
più che 20enne con I carbonari della montagna. Due volumi nel 61 due nel 62, a non è
precoce il suo esordio come verista. Della mancanza di successo Verga non si cura
all’inizio. Lo ricorda Riccardo Bacchelli, altro scrittore del 900, nel 22, anno della scomparsa
di Verga, che Scrive in un saggio che Verga non ha mostrato di curarsi del poco interesse
pubblico per la maggior parte del quale egli è ancora il librettista di mascagni e l’autore di
storia di una capinera. Dalla sua origine provinciale Verga diventa un classico costruito sullo
stile prima di tutto, nuovo. Bacchelli lo definiva un parlare popolare. Lo stile di Verga riesce
sempre a esprimere l’umana sofferenza, la condizione di inf senza riscatto, le certezza ideali
che hanno nutrito speranze e aspettative sono ormai caduti → non può più portare sulla pag
esempi di virtù ormai crollati e desueti. Stile atto a comunicare lo sgomento di uno scrittore
di fronte a una realtà profondamente mutata. Non c’è nemmeno il profumo della Ginestra nel
deserto.
PRODUZIONE NOVELLISTICA DI VERGA
Nell’arco di 20 anni (1774-1794) compone 77 novelle in 4 raccolte più altri pezzi spicciolati.
un totale di circa 90 novelle.
- La prima raccolta, può ancora intitolarsi “primavera” 77.
- Vita dei campi 80,
- novelle rusticane 83,
- per le vie 83,
- drammi intimi 84,
- vagabondaggio, 87,
- ricordi del capitano Darce 91,
- don Candeloro 1894.
20 anni. Si sa che il genere novellistico appartiene al canone della letteratura italiana, non al
romanzo che invece è reietto. Tradizione nobile che inizia se non dal novellino almeno dai
grandi novellieri trecenteschi, boccaccio e sacchetti. Dopo la stagione 500esca, si tocca
nell’800 uno dei vertici assoluti della novella, insieme a Svevo, Pirandello, Tozzi. Il
programma del ciclo dei vinti è rimasto incompiuto, là il vuoto è colmato dalla narrativa breve
che propone l’analisi di ambienti rurali urbani cittadini nobiliari. Si tenga conto che con la
misura più agile della novella lo scrittore saggia il terreno, sperimenta collauda forme
espressive e personaggi, si esercita la mano per la tela più movimentata del romanzo. Nulla
toglie alla splendida autonomia delle novelle. [Vita dei campi prelude magnificamente ai
malavoglia come le novelle rusticane e vagabondaggi aprono la pista a mastro don gesualdo
(88 in rivista, 89 in volume, ufficialmente 1890)].
23/11/21
La prima raccolta nasce nell’ottobre 1876 con data 1877. Raccolta importante perché
presenta racconti di impianto tradizionale. L’inedita inchiesta conoscitiva di Verga, inchiesta
che si carica di una forte ansia conoscitiva e di denuncia della realtà del suo tempo, si avvia
nel 1780, anno in cui esce la raccolta vita dei campi. Data che si associa al romanzo della
famiglia malavoglia. Il gentiluomo che dal sud arriva a milano ed è traumatizzato
dall’atmosfera di vita industriali sente il bisogno di dare voce ai personaggi umili del profondo
sud, scavando in quella che gli appare ormai uno spazio angusto, la sicilia, rivelata negli
spazi arcaici?? ma comunque non immune alla logica dell’utile. Verga smantella la mitologia
del progresso (invece con le avanguardie progresso è mito), che era a quell’epoca
orgogliosamente esaltato dall’ottimismo degli imprenditori nascenti che iniziano a essere i
paladini delle moderne tecnologie. Alla nuova italia coinvolta in mille difficoltà amministrative
e politiche, con un organismo statale farraginoso appena costituito, mostra a Verga il
rovescio della medaglia. Italia canta le glorie del progresso e della modernità, verga mostra
l’altra faccia dell’esultanza, euforia, trionfalismo delle macchine, ne scrosta la belletta, la
seducente patina di attrazione che è superficie. Quel che farà Pier Paolo nel cuore del 900
prevedendo e denunciando prima di tutti e con lo straordinario acume che veniva dalla sua
diversità gli effetti della società tecnologica. Le pagine verghiane di vita dei campi sono
dominate da “poveri diavoli in lotta per la sopravvivenza”, che contrastano con le expo. IL
1881 è l’anno dell'expo di milano. Il mondo primitivo siciliano che verga porta in primo piano
non è stato risparmiato dal mito del denaro che inizia a corrodere, i germi sono già presenti.
Domina infatti il codice dell’egoismo nei rapporti personali. Non siamo di fronte alla tragedia
degli umili che lottano contro la miseria ma una vera e propria deriva etica, che investe
anche gli umili, che sono irretiti dagli ingranaggi del possesso, dell’avere, del denaro. In
questo verga è una voce narrante popolare, che aderisce alla mentalità collettiva, che
obbedisce alla logica dell’utile. E’ una voce anonima, corale, che possiede “il timbro
dell’assolutezza indubitabile”. Invece una voce maligna, tendenziosa verso quanti non sono
integrati nella logica del denaro. Da qui il metodo impersonale ha il ruolo di dare una
dimensione autentica ai fatti e scongiura il rischio del coinvolgimento emotivo troppo forte,
patetico, con i personaggi moralmente intimi. Intende creare un diaframma, una distanza,
perché i personaggi integri vengono sconfitti e visti attraverso l’occhio ostile di un narratore
che sembra disprezzarli. Spetta al lettore l’incarico di ristabilire l’equilibrio, dare credito
all’umana solidarietà con i protagonisti che sono calunniati dal coro paesano.
LINGUA
Come il nuovo verga di vita dei campi malavoglia novelle rust smonta l’euforia del progresso, così il
nuovo stile non seduce il lettore, lontano dai gusti del lettore del proprio tempo, con parole nobili
idealizzanti, classicismo → ora parole povere…
citofono
E’ una lingua altra rispetto a quella di D’Annunzio, scelte non dialettali ma scelte stilistiche
fortemente… lingua disadorna, priva di orpelli. Luigi Capuana primissimo lettore di verga
scrive “parole che coagulano sulla pagina e diventano cose”. Non scrive in dialetto perché lo
considera uno strumento provinciale, di respiro limitato. Quando Alessio di Giovanni, suo
carissimo amico, comunica l’intenzione di tradurre in siciliano i malavoglia, Verga replica in
una lettera del 15 giugno...replica “no no caro di giovanni lasci stare i malavoglia come sono
e come ho voluto che siano, rendere il quadro coi colori propri ma senza felibrismo che
rimpicciolisce volere o no”. FELIBRISMO è un termine di origine francese che indica la
volontà di valorizzare, tenere in uso le forme dialettali nella lingua nazionale, tentativo di
connubio o rivitalizzazione della lingua nazionale tramite l’uso del dialetto. Verga cerca la
resa realistica di ambienti concreti e quotidiani anche intrisi di colore locale ma rifiuta il
dialetto perché vuole indirizzare un pubblico vasto e non circoscritto geograficamente.
De Roberto sarà un grandissimo lettore stimatore di Verga, a questo proposito scrive
“bisogna rendere il colorito siciliano con la lingua di tutti gli italiani, il dialetto è una
diminuzione”. Verga impiega un suo originale strumento linguistico. Controtendenza rispetto
al proprio tempo. Straordinario perché anche verga non ha moltissimi precedenti. Lingua che
si è creato pezzo per pezzo nella sua officina di scrittore, “lingua di laboratorio”
effetto di una straordinaria espressività linguistica, usando alcune caratteristiche
morfologiche e sintattiche del dialetto siciliano. Su questa struttura di base lessico nuovo, di
tipo colloquiale, parlato, che in molti casi Verga trae dai vocabolari, perché no antecedenti
letterari. Importante è il ricorso alle forme proverbiali, che incastona per creare mimesi del
parlato. Non linguaggio dialettale in senso imitativo stenografico, ma originale creazione di
linguaggio inedito che si segnala per la sua efficacissima aderenza alla più semplice realtà
popolare.
Novelle rusticane segnano un passo in avanti, che presentano un mondo posseduto dalla
febbre del denaro, possesso, avidità.
Per le vie segue a distanza di pochi mesi le rusticane ma muta l’ambiente, i toni e i colori. Si
lascia per qualche tempo la terra di sicilia, verso il nord. Non più il silenzio delle campagne
assolate, argille lave cave di rena latifondi cantieri, ma il rumore assordante dei centri urbani.
Non firenze che è la città dei precedenti romanzi mondani di Verga. Milano, la più moderna
città nazionale, in profonda trasformazione industriale, agli inizi del 3 decennio post unitario,
non più campagne ma navigli e bastioni, teatri, caffè (da lui frequentatissimi), osterie,
carrozze. La novità ( e qui bisognerebbe studiare gli scapigliati) è lo sguardo. Intanto rimane
immutato lo sguardo, dal basso, la metropoli si rivela attraverso gli occhi non di chi va in
carrozza o ai veglioni ma attraverso gli occhi di chi la carrozza la guida e al veglione ci mette
piede come inserviente, cameriere. L’orizzonte cittadino è osservato da un’angolatura
straniante, subalterna, che perde i contorni abituali. Ogni cosa anche se vista tutti i giorni
sfugge alla nostra attenzione quando la guardiamo in modo automatico distratto. Lo sguardo
automatico non lascia vedere nulla rende gli oggetti invisibili. La Milano di Verga è ritratta in
un prospettiva subalterna e insolita ed è in grado di mostrare lati finora rimasti in ombra.
In Piazza della Scala (novella di Per le vie), la piazza del più famoso teatro lirico d’Italia
appare sotto la neve, nei riverberi di un biancore spettrale. Questo scenario è
inevitabilmente profetico. Spettri sono gli uomini che si muovono come parvenze di sé in
questa inedita modernità. Guardare la realtà con gli occhi di un povero diavolo senza lavoro,
consente uno straniamento che è esso stesso eversivo, perché ridisegna la metropoli e la
vita dentro la metropoli secondo parametri bassi ingenui emarginati secondo uno sguardo
dall’altro. Spettacolo della vita diverso da quello istituzionalizzato, gerarchizzato codificato
come immutabile dalla storiografia, giornali, narrativa del tempo che assecondava mito del
progresso. Cambiano i rapporti, le proporzioni, le gerarchie e i valori. Le novelle di per le vie
tratteggiano una Milano abitata dalla miseria, ma l’accento non è sull’indigenza dei ceti
subalterni. Il programma di verga non comprende rivendicazione sociale né è animato da
indulgenza verso gli umili. La contrapposizione tra poveri e ricchi non si arricchisce di
nessuna rivendicazione storica né personale da parte dello scrittore, sono due mondi che
coesistono e si fronteggiano senza incontro. Due mondi incomunicabili in cui non si
visualizza il dramma della miseria ma senza nessuna concezione? pietistica il dramma è il
dramma dell’assenza di umanità, che investe tutti i gradini della gerarchia sociale, uniti stretti
tutti nella comune mercificazione e nel culto del dio denaro. Una dolorosa conferma di ciò
esiste nella novella Ultima giornata, che chiude per le vie. Tema è l’odissea di un uomo
sconosciuto dalla barba rossa lunga di 8 giorni, che termina la sua ultima giornata sulle
rotaie della ferrovia (mito progresso) che andava verso Monza. E’ un suicida, personaggio
che come carattere autonomo non esiste, in effetti è una funzione, serve allo scrittore a
chiarire la natura di quanti lui ha incontrati prima di gettarsi sotto quel treno e anche di quanti
continuano a incontrarlo nel momento in cui è cadavere. Verga lo descrive che con la faccia
tumida guardava il cielo azzurro. C’è l’avversione sorda la…. di chi invita...battuto percosso
questo uomo. Anche da morto cosa tocca a questo anonimo? L’indifferenza di chi se lo trova
sulla propria strada, la cattiveria sadica della folla di chi gli si fa attorno incuriosita. Qui folla
che è una frotta di contadini, non casuale, macabra curiosità di vedere com’era e per levarne
i numeri del lotto. IL cantoniere gli si avvicina per mettergli una manciata di erbacce sul volto
che era sfracellato e faceva un brutto vedere per chi passava. Il garzone il cameriere,
sguardo inclemente come ricchi, corrono l’ per l’odore del morto come corvi. Il garzone
osserva che non avrebbe mai creduto che facesse tante storie per andare a finire sotto una
locomotiva. Poi commenti spietati degli altri che sono folla ma convocati uno per uno. Se
questi umili senza umanità si imbattono nell’uomo e riescono a conquistarsi da protagonisti
un ruolo di primo piano è inquietante. Novella inquietante e dimenticata, di altissima fattura,
qui si esercita verga in quegli effetti di noncuranza studiata e al contempo efferata degli…
Tentazione! novella di Drammi Intimi
Se per le vie ritrarre la inerzia grigia di esistenze-pedine in una scacchiera dalle mosse
preordinate, Vagabondaggio propone come tema centrale la inutilità, la vanità del
movimento, mostra come sia illusorio darsi da fare tentare evasione avventurarsi alla
scoperta di chissà che. La corsa precipitosa che affatica la nostra esistenza in
Vagabondaggio non porta da nessuna parte. La strada che il personaggio può percorrere in
realtà è una strada circolare. Le storie di Per le vie che sono accomunate da un disegno di
rappresentare la reclusione coatta dell’individuo, qui in vagabondaggio no esigenza di
rappresentare la reclusione esistenziale a volte anche fisica ma la contestazione di un
punto, di una parola e di un’altra condizione esistenziale opposta, la libertà. La libertà è
fittizia, in realtà non esiste, è impossibile iscrivere la vita in un diagramma di scelte
individuali. Il ritmo del tempo narrativo si rallenta, diventa vischioso, lento, narratore di
logoranti ore, tempi infiniti (come il tempo mitico immobile sospeso a volte nei Malavoglia).
Per quanto siano novelle proiettate verso il mastro don gesualdo, non conoscono la nozione
del tempo come investimento produttivo, che è invece un tema cardine della giornata di
gesualdo che deve monetizzare tempo e denaro. Novelle che si articolano in una durata
senza misura, senza scopo. Vuole mettere in scena il disfacimento delle cose e delle
persone. verga mette protagonisti che vivono esistenze esauste, corrose, al punto limite
della vita. Accade spesso che i personaggi non abbiano più un nome, un volto, una
fisionomia. Diventano es. in Lacrymae Rerum ombre che si agitano frettolose (alienazione
moderna). Si spiega sempre più in quest’opera l’assenza della creatura umana. Compaiono
oggetti sottoposti al medesimo oggetto di logoramento. Infatti in lacrime rerum la vera
protagonista è una casa osservata dal narratore occhio esterno nel suo immobile
vagabondaggio fino a quando entrano dei muratori, la radono al suolo per far luogo a una
strada nuova che deve passare di là. nel corso della demolizione la casa appare un
reliquario profanato che mette alla luce del sole ciò che resta delle persona che l’hanno
abitata e se ne sono lasciate lasciando nient’altro che una macchia sul muro. la distruzione
della casa è emblematica della distruzione della vecchia Milano che rompe e scompagina le
vite dei personaggi.
Ultima raccolta è il Don Candeloro, il più pirandelliano tra i libri di verga. Nel don candeloro
centrale è il tema della maschera. L’automatismo coatto che è stato descritto in per le vie il
vagabondaggio immobile di vagabondaggio si esasperano nella fisionomia di personaggi
che vivono nella… e nella finzione, persone che hanno perso la consapevolezza di fingere e
sono diventati comici, comicità amara. No si tratta della finzione delle buone maniere che
verga effigia nelle classi alte. nel don candeloro è un differente tipo di finzione, una
maschera che si intreccia alla realtà fino a confondersi con essa. Verga però non polemizza
con questo modo di essere, contro questo costume di cui prende amaramente atto, gli basta
additarlo come catalogo di “tratti impuri” deformanti dell’uomo. Maschera finzione e presunto
volto reale si intrecciano in modo che diventa impossibile distinguere la linea tra la
messinscena e la realtà. E un approdo drammatico e senza consolazione. Verga a questo
punto si arresta perché il suo itinerario artistico ha esercitato appieno la propria parabola, ha
raggiunto il capolinea. Tutte le antenne, possibilità di decriptazione delle realtà veriste si
arrestano. Di fronte a questo “gioco delle parti inedito” della realtà che frantuma il velo delle
cose? ma non va oltre, don candeloro distorce in modo caricaturale la maschera dei
personaggi no denuncia. E’ il preludio delle marionette pirandelliane, personaggi ..… che
commuovono il lettore ma insieme lo fanno ridere con un umorismo grottesco eccentrico
paradossale. Il lungo percorso iniziato in vita dei campi all’insegna di personaggi
moralmente limpidi disinteressati e destinati alla sconfitta dalle leggi della società si
conclude con la deformazione di volti umani. L'umanità verissima di nedda viene corrosa
dalla maschera di don candeloro, non c’è più spazio per l’umanità, ma anche nei loro con
carabinieri
Narrativa campagnola, rusticale, fiorente nel Quattrocento, Ippolito Nievo (Confessioni di un
italiano). narrativa rilanciata con solido impegno editoriale da le monnier negli anni 60/70?
frequentata da verga. La narrativa campagnola propone una narrazione intimistico-
sentimentale della vita dei campi, con intenti verso …...ed esorcizzare lo spettro delle rivolte
contadine perché la miseria delle plebi rurali impauriva allarmava e allo stesso tempo
impietosiva l’intellettuale borghese. I narratori campagnoli descrivono sofferenza e fatica di
chi lavora la terra ma al contempo vedono questa condizione compensata dalla natura,
dall’autenticità di valori morali del mondo in cui vivono. Non soltanto però pittura di genere e
astrazione edulcorata della realtà. Successo perche piacere dell’esotico, dell’ignoto,
riscoperta di alcune classi … urbane. Sarà compito di Nedda 1778 da Rosso malpelo, dagli
astri acuminati del mondo verghiano che avverrà la svolta nella narrativa campagnola italiana.
→ riscritto bene rosso malpelo cambia poetica di verga e genere della narrativa campagnola. Il
fiducioso ottimismo si manifesta anche nel considerare le campagne come oasi interrotte di
civiltà, depositarie di una moralità autentica. Adesione sentimentale a quel tipo di realtà
NEDDA
- Il 25 giugno esce col titolo “Bozzetto siciliano”, inizialmente è autonoma, poi inserita
in Primavera e successivamente in Vita dei Campi
paradigma che non è quello realistico ma all’insegna della fantasticheria. lettore avvertito: il
suo sangue deve circolare più caldo, il suo cuore più rapido, premessa di una partecipazione
filantropica, sembra imboccare la strada del patetico, la novella sra uno spettacolo del
pensiero che svolazza vagabondo cit. Segue invece ed è dissacrante quasi, la storia
siciliana, etnea di una modesta timidissima raccoglitrice di olive. La funzione dell’impianto
narrativo della novella non cambia. La fanciulla rappresenta il culmine dell’esemplarità. E’
esemplare nello scandalo della sua miseria, nell’oltranza dello spirito di sopportazione di
questa donna. Incombe su di lei una serie interminabile di sventure, che ne esaltano la
capacità di resistere, nelle tribolazioni, nel dolore. Emerge nella distribuzione della povera
mensa l’egoismo dei datori di lavoro e l’incomprensione delle compagne, morte madre
ostilità del parroco, indifferenza di tutti.
Novella etnea. La prospettiva è dall’alto e garantisce il contrasto tra lo sfondo della folla e dei
luoghi e il primo piano, l’aspetto minaccioso del paesaggio e la miniatura della protagonista.
IL focolare della fattoria è immenso, fiamma gigantesca, cane color di lupo mentre di nedda
si percepisce solo la voce, breve, che vien dall’angolo più buio. Sarà descritto nella novella
un viaggio (viaggio in novelle sempre esistenziale, di rilevazione di sé), quello verso
raganusa, notturno, le tenebre sono profonde, l’oscurità è fitta, tanto che la ragazza urta
contro muro, siepe, vento, scheggia di lava, si ferma tremante come una capretta sbrancata.
Questa opposizione vittimizza la ragazza ma la isola, nedda è sola, nella natura, isolata in
un antagonismo contro l’universo intero che la offende e la umilia. Forse qui una traccia di
patetismo. E’ il primo incontro con la povera dura sofferente realtà della sicilia. Uno dei lati
che non piaceva a verga di questo testo è che era troppo scandaloso quindi lo accompagna
con un lungo cappello giustificativo iniziale, borghese, confortante, poi scarto brutale. Infinita
lontananza. é quasi una visione fiabesca che non turba il lettore di città. Lettore
accompagnato per mano, invitato a partecipare allo spettacolo delle umiliazioni offese subite
da nedda inserita nelle desolate campagne alle falde dell’etna, dove regnano egoismo
sopraffazione, campagna in cui perfino il nome di dio è pronunciato invano. Finale è di
pathos acuto altro che ………..
CAVALLERIA RUSTICANA
Cavalleria rusticana testimonia rapporto stretto tra novella e teatro. Verga ne trae il dramma
omonimo col sottotitolo “scene popolari”.
- Rappresentato per la prima volta al teatro carignano di torino nel 1784. Nella parte di
santuzza si esibisce Eleonora Duse. Dopo sei anni opera di mascagni su libretto di
targioni tozzetti e menasci.
- La cavalleria di mascagni data prima al teatro dell’Opera di Roma nel maggio 1889 a
verga non piace lo definisce pasticcetto finale con brindisi….
Passa attraverso generi letterari differenti, transcodificazione, dal registro narrativo a teatrale
a musicale.
- Il racconto sembra precipitare verso l’epilogo.
- E’ già una novella teatrale, caratterizzata da una intensissima essenzialità dialogica:
proliferano i dialoghi.
- Il titolo è ironico, perché non ci sono valori cavallereschi.
- Domina utile, rivalità, vendetta, gelosia, inganno, slealtà, bramosia del denaro porta
ad antagonismo aggressività e soffocamento sentimenti veri. Onore tradito è
concetto primitivo e distorto. non esiste più un codice di valore, non c’è ombra di
cavalleria, il duello pure svuotato. Memorabile per il taglio secco con cui si corre al
finale senza indugiare su quadri ambientale, situazioni, gesti. Caso unico
03/12/21??? → 29
PIRANDELLO
Pirandello ha praticato molti generi letterari. Gli esordi di Pirandello nella scrittura sono in
poesia. A confronto con il carattere della prosa e del teatro, Pirandello è un poeta
tradizionale. Carducci, Pascoli antidannunziano, Leopardi sono i suoi poeti di riferimento.
[i vecchi e i giovani piace a lei]
Anche l’avvio della prosa non avviene con la misura di ampio respiro del romanzo ma con la
narrativa breve. Nella sua vita, la fine della grande guerra segna per lui un fondamentale
momento di svolta. Mentre il suo antagonista letterario D’Annunzio era partito più che
50enne per il fronte (perso un occhio, guadagnato medaglie), Pirandello di formazione
tedesca completata a Bonn e non aveva assolutamente condiviso la passione interventista
di d'Annunzio. Punto di divaricazione fortissima. A 48 anni aveva assistito a malincuore la
partenza volontaria del figlio Stefano, che cade prigioniero nel 1925, ragazzo cagionevole di
salute che terrà preoccupato il padre sempre. Il dialogo tra i due continuerà attraverso le
lettere. In questi anni, nella sua casa romana, con gli altri due figli rimasti, Lietta e Fausto,
dovrà fronteggiare un'altra guerra, quella con la moglie Maria Antonietta, sofferente di una
malattia mentale, che porterà la famiglia alla deriva. Di questa storia noi sappiamo una parte
della verità, quella di Luigi, di Stefano, la voce di questa donna è completamente assente → fatica a
esprimere un giudizio. L’ansia per la partenza di Stefano peggiorerà la situazione della moglie che
sarà colta in seguito da forti paranoie. Lietta arriverà a tentare il suicidio. Il ritorno di Stefano
nel novembre 1918 spingerà la famiglia a prendere una sofferta ma irrinunciabile decisione:
internamento della madre in una casa di cura romana, fino alla morte nel 1959. La vita di
questa famiglia sembra lentamente riprendere. Si crea un legame strettissimo tra un padre
premurosissimo e attentissimo nella gestione dei figli. Ha inizio la collaborazione con il
teatro, in arte con l’attore napol angelo musco, a cui Pirandello dà alcune commedie in
dialetto, tra cui Liolà, il berretto a sonagli, e la Giara. → leggi. Tra il 1917 e il 1918 così è se vi
pare, il gioco delle parti in scena, inoltre anche versioni cinematografiche delle novelle.
Pirandello decide più tardi di raccogliere le sue novelle, confortato dal successo di pubblico.
NOVELLE PER UN ANNO
Firma un contratto nel 1919 con il celebre editore fiorentino Enrico Bemporad a cui aveva
proposto di riunire tutte le sue novelle scritte e ancora non in 12 volumi, sotto il titolo novelle
per un anno, una al giorno 365. In parte già pubblicate da treves e altri editori. Pirandello
non ne aveva scritte già 365, doveva scriverne molte altre: progetto di revisione di quelle e
nuova scrittura fino a 365. Volontà di accompagnare il lettore per un anno ci dice quanto
amasse le sue novelle su cui si proponeva di tornare nel periodo di grande attività
drammaturgica, periodo che sfocerà, dal 1919 al 1921 nei Sei personaggi in cerca d’autore.
Pirandello scrive un testo introduttivo avvertenza premessa a ciascun volume di bemporad
(progetto poi incompiuto). Dice che era sua originaria intenzione contenere 365 novelle in un
volume unico, intenzione che sfuma. Volume unico che avrebbe testimoniato materialmente
l’organica costruzione di un libro i cui modelli sono le mille e una notte e il decameron. Due
opere in cui il narrare diventa il solo modo di sconfiggere la morte, sia per Sheherazad che
notte dopo notte tiene sospeso un sovrano misogino uso ad uccidere la mattina la fanciulla
con cui ha trascorso la notte sia i 10 giovani decameron. E’ un volume, avverte, uno di quei
monumentali che da grande tempo della letteratura nessuno usa più confezionare.
Incompiuto per ragioni economiche: Bemporad decide di pubblicare non 12 volumi ma 24,
più piccoli e agili, ognuno dei quali avrebbe contenuto 15 novelle con un titolo per ogni
volume. Pirandello chiede che il titolo possa essere scelto da una novella all'interno. Novella
eponima. Pirandello si lamenta: imposizione che scempia la sua idea. Raccolta → dispersione,
mortifica il suo progetto. L’ha vinta l’editore, ma comunque di libri ne escono solo 13 su 24.
Dopo di questi ne usciranno altri due, di cui uno postumo, stampati da Mondadori, perché
ormai divenuto il nuovo e definitivo editore pirandelliano (scaduto contratto con bemporad).
La stesura di novelle subisce una bruschissima sospensione, smette verso la metà degli
anni 20, in cui pirandello drammaturgo diventa per breve tempo regista e vive il sogno di un
teatro nazionale stabile da cui aveva sperato convenzione dal regime nazista. In questo
periodo anche soavemente distratto dall’incontro con Marta Abba, attrice da lui scritturata e
musa delle sue ultime opere e destinataria di tutte le sue opere del tempo. Pubblicato il
carteggio straziante. Man mano che andrà affievolendosi la propensione drammaturgica
riaffiorerà la novella.
Rapporto con benedetto croce. Solo con la riflessione si può entrare nel ...della realtà. Il
compito dello scrittore umorista Pirandello è quello di penetrare attraverso la riflessione nei
fatti e portare alla luce i meccanismi paradossali che governano la vita umana. Inizia una
polemica sanguinosissima con Benedetto Croce che ha influenzato la metà del secolo
scorso. Benedetto croce si mette in polemica con l’estetica. Lui indica come caratteristica
fondamentale dell’arte non la riflessione ma la pura intuizione della realtà senza il bagaglio
di nessuna...intellettuale.
- Chiave di questa riflessione è il relativismo, attraverso cui Pirandello disgrega
l’immagine tradizionale e unitaria della realtà, non solo i fatti ma la scomposizione.
Ne deriva l’inesistenza della verità, esistono le verità molteplici tante quanti sono
individui ognuno dei quali presume di essere detentore della verità e della realtà.
Consapevolezza tipicamente novecentesca della verità che è multiforme e
polivalente. IL compito dello scrittore in questo universo frammentato è quello di
raccontare l’angoscia, non nega la possibilità che la verità esista ma narra l’angoscia
di raggiungere anche solo una verità parziale. Rivoluzione copernicana della
letteratura.
- Rifiuto delle certezze positiviste, dell’arte tradizionale che puntava alla compostezza
all'armonia, nell’arte umorista domina il grottesco…l’impossibilità di professare
gerarchie sul mondo, scomposizione dell’io e della personalità, già evidentissima in
mattia pascal. Non solo il reale è inconoscibile, ma anche ogni individuo è ignoto a
se stesso. L'uomo è perduto in un immenso labirinto, quello della società inoltre è
ignoto anche a se stesso, quando si guarda si apre abisso di un’identità incerta
oscura e frantumata ……. Dramma del personaggio, dell’uomo che si sente uno e
che avverte di essere per gli altri 100000 persona diverse e in fondo il percorso di
frantumazione conduce agli esiti estremi del nessuno.
L’essere stato a bonn induce pirandello ad approfondire alcune letture filosofiche, bergson,
schopenhauer, Binet, opera fondamentale nel relativismo pirandelliano in cui si dissolve l’io.
Binet fu studioso di psicologia, pubblica il libro Le alterazioni della personalità. Binet indaga
la compresenza di molteplici livelli nella vita psichica, alcuni evidenti altri inconsci, prima
volta che Pir trova conferma psicologica della sua teoria della pluralità dell’io.
- Pirandello rifiuta il presupposto positivista della verità oggettiva e scardina il mito
romantico dell’io e della verità soggettiva. Per il romanticismo il soggetto era centrale,
dava senso al mondo e stabiliva la verità. Per Pirandello il soggetto disgregato,
destituito di ogni potere di……..non può conoscere verità su se stesso e sul mondo.
Fausto Pirandello pittore. Ne deriva un assunto fondamentale dal relativismo
gnoseologico ed esistenziale, la vita come farsa.
Lettera autobiografica → in cui fa il punto sulla propria poetica. Decidono di raccontarsi. Io penso
che la vita è una molto triste buffoneria. creazione di una realtà, maschera.