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Fabrizio Serra Editore

Accademia Editoriale

Exinde, La Penna e il trapano


Author(s): Maurizio Bettini
Source: Materiali e discussioni per l'analisi dei testi classici, No. 36 (1996), pp. 167-171
Published by: Fabrizio Serra Editore
Stable URL: http://www.jstor.org/stable/40236081
Accessed: 22-10-2015 00:12 UTC

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Maurizio Bettini

Exinde, La Penna e il trapano

Nel lontano 1985 avevo scritto una nota a proposito di alcune


pagine di Antonio La Penna. Si intitolava Per amore di «exin-
de», e muoveva delle obiezioni al modo in cui La Penna aveva
analizzato il ricorso di questa parola (che continuo ad amare)
nel De divinatione di Cicerone . Il lettore può dunque immagi-
nare la mia sorpresa nel vedere che, a distanza di dieci anni, La
Penna ha risposto alle mie osservazioni di allora: con ben quat-
tordici pagine fitte di compilazioni dal Thesaurus, insulti e sar-
casmi da professore del Regio ginnasio2.
Lasciando da parte gli insulti, a cui certo non voglio rispon-
dere, i sarcasmi sono di questo genere. La Penna mi definisce
ripetutamente «gazzettiere», parola che sul momento mi aveva
lasciato perplesso. Per fortuna un amico, che da bambino era
stato educato nella casa dei nonni, ha potuto spiegarmi che si
tratta di un termine peggiorativo usato in luogo di «giornali-
sta». Pare comunque che questo sarcasmo fosse già considerato
fiacco nel periodo della grande guerra. Si possono poi incontra-
re fulmina epigrammatici del seguente tipo. Commentando una
mia frase, in cui ricorrevano le parole «banalissimo» e «sempli-
cemente», La Penna dice: «II "semplicemente" e il "banalissi-
mo" dimostrano che, con tutta la sua spiritosaggine da gazzet-
tiere, in questioni di lingua e stile resta [seil, il aProf. Bettini"]
un "banalissimo sempliciotto "». Che sono quelle battute di
fronte alle quali anche una quarta classe del Regio ginnasio
avrebbe guardato il professore con pena e rammarico.
A insulti e sarcasmi segue poi una dichiarazione solenne, la
seguente: La Penna, in un suo articolo, avrebbe a suo tempo

1. M. Bettini, Per amore di «exinde», «MD», 15, 1985, pp. 165 sgg.; A. La Penna,
Polemiche sui sogni nella stenografia latina arcaica, in Aspetti del pensiero storico
latino, Torino Einaudi 1978, pp. 105 sgg.
2. A. La Penna, Per la storia di exinde ovvero un amore non corrisposto (con
un'appendicesugli errori), «Maia» n. s. 47, 1995, pp. 89 sgg. Debbo dire che, fino a
questo momento, non mi ero mai reso conto di quanto possano essere larghe, lun-
ghe e fitte le pagine della rivista «Maia».

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disvelato al mondo intero un mio grossolano errore (che natu-


ralmente non ho mai commesso)3 - cosa che secondo lui avreb-
be costituito la vera ragione di quelle mie osservazioni a propo-
sito di exinde. È abbastanza impressionante vedere qualcuno
che, come si dice, fa tutto da solo. D'ora in avanti, per essere
informato sui miei pensieri mi rivolgerò sempre a La Penna.
L'articolo si conclude poi in modo piagnucoloso, con oscure
allusioni a certe ferite accademiche che La Penna, data la sua
inflessibile e catoniana probità, avrebbe ripetutamente ricevuto
(stavolta non da me, che sollievo). Dopo di che l'autore si av-
volge pudicamente nella toga e cala il sipario. Brutta roba, in-
somma, di quella che a rimestarci si fa peggio.
Comunque sia, bisognerà almeno dire che - nonostante i die-
ci anni a disposizione - le innumerevoli pagine di La Penna
aggiungono poco alla nostra conoscenza di exinde. Al massimo
dimostrano che cosa diventerebbe la linguistica se fosse pratica-
ta dagli avvocati. Purtroppo per La Penna, la questione è di
quelle che si riassumono in poche righe. L'autore sosteneva in-
fatti che i due exin che si trovano in Cicerone, De divinatione 1,
55, deriverebbero dalla fonte di questo paragrafo, Celio Antipa-
tro: con l'argomento che «exinde, e tanto più exin, è estraneo
alla prosa di Cicerone». Io obiettavo che questo non è vero,
perché in realtà tale avverbio ricorre varie volte in Cicerone, e
in contesti diversi. Ma soprattutto, che in Orator 154 lo stesso
Cicerone, parlando dei troncamenti in uso nella lingua latina, si
esprime così: «ain» pro «aisne» ... «dein» edam saepe et «exin»
pro «deinde» et pro «exinde» dicimus. Se dunque Cicerone stes-
so testimonia che exin lo «diceva», che bizzarra idea è sostenere
che, per usarlo nel De divinatione, l'autore doveva andare a
ispirarsi a Celio Antipatro? La Penna da prova di un'insospetta-
ta capacità di arrampicarsi sugli specchi, quando cerca di dimo-
strare che questa testimonianza deli*Orator in realtà vorrebbe
dire un'altra cosa da quello che tutti pensano che voglia dire.
Però, anche se per arrampicarsi La Penna monta in piedi su pile

3. Credo che La Penna si riferisca a un mio lontano libro, Studi e note su Ennio,
Pisa, Giardini 1979, pp. 120 sgg., in cui avevo suggerito una interpretazione del
destertuit di Persio, Satire, 9, 10, diversa da quella tradizionale. Dato che La Penna
accetta come buone solo le interpretazioni che stanno già nelle voci della Pauly
Wissowa, e non ama che se ne avanzino di nuove, la mia proposta si è trasformatain
«un errore grossolano e assurdo».

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Exinde y La Penna e il trapano 169

di schede del Thesaurus e altra bibliografia di facile reperimen-


to, sempre di specchi si tratta. Per un attimo abbiamo anzi te-
muto che si facesse male, quando lo abbiamo visto affrontare la
scalata dei quattro casi di exin(de) presenti nel De re rustica di
Varrone: che certo mal si accordano con la tesi di La Penna
secondo cui exinde sarebbe «una parola proveniente dalla tradi-
zione epica e dalla tradizione storiografica, ma dalla prima più
che dalla seconda». È difficile credere infatti che Varrone, scri-
vendo un trattato di agricoltura, si accendesse di entusiamo
epico-storico proprio quando doveva dire «perciò»4.
Il fatto è che La Penna non ha neppure capito bene su quali
specchi doveva arrampicarsi. Le sue pesanti acrobazie riguardo
alla «storia di exinde» confermano solo che, della struttura del
linguaggio, egli ha la stessa idea che ha del sarcasmo, quella di
un professore del Regio ginnasio. Da tutta la grande lezione
della filologia e della linguistica storica La Penna è riuscito a
trarre solo una conclusione ridicola: cioè che uno scrittore, an-
che per usare una parola ovvia come «dunque» «perciò», deve
necessariamente andarsi a ispirare a un altro scrittore. Evidente-
mente La Penna non ha mai pensato che esiste una cosa chiama-
ta «lingua», la quale va molto al di là dei testi, oltre a tutto
pochi, che la rappresentano ai nostri occhi. Per questo stesso
motivo, a poche righe di distanza La Penna era in grado di mal-
trattare anche perterebravisse ed exterebratum5: forme usate da
Cicerone pochi paragrafi prima di quello in cui ricorre anche il
povero exin(de) .

4. Nella mia nota manifestavo poi qualche perplessità sulla formulazione di La


Penna «exinde, e tanto più exin, è estraneo alla prosa di Cicerone» (spaziato
mio). E questo per due motivi: il primo, perché nella prosa di Cicerone compaiono
se mai quattro exin e nessun exinde ; il secondo, perché detto così, sembra che ci
siano chissà quali differenze 'stilistiche' di natura fra exin ed exinde: mentre exin
costituisce solo la «Kurzform» (F. Skutsch) in uso davanti a consonante. Per cui,
Cicerone ha semplicemente fatto quello che altri scrittori latini hanno fatto quando
si trattava di usare exin(de) davanti a consonante, cioè ha usato la «Kurzform».
Nella sua replica (pp. 96-97) La Penna intensifica i «gazzettiere» e i «dilettante», poi
mi ricorda che davanti a consonante si usa anche la forma piena, exindey come del
resto dicevo già io stesso: ma non riesce naturalmente a spiegare perché exin do-
vrebbe risultare più estraneo di exinde alla prosa di Cicerone.
5. Mi riferisco ancora a Polemiche sui sogni nella storiografia latina arcaica, op.
cit., p. 109.
6. De divinatione 1, 48.

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Si tratta della storia di Annibale che, prima di rubarla, fece


prudentemente saggiare con un «trapano» la colonna che stava
nel tempio di Iuno Lacinia: per vedere se era davvero d'oro
massiccio oppure no. Sentiamo dunque La Penna. Dato che
queste forme verbali sono rare, argomentava, è dato che «anche
il semplice terebrare è poco diffuso», se Cicerone usa questi
verbi vuoi dire che anch'essi «sono residui dell'annalistica per-
duta». La Penna non dovrebbe accanirsi così anche contro tere-
brare e i suoi composti. Il suo è un comportamento tanto ingiu-
sto quanto imprudente - la penna non tocchi il trapano, dice
infatti il vecchio adagio!
Dunque vediamo. Dato che queste forme sono rare, sostiene
La Penna, vuoi dire che in Cicerone esse costituiscono dei «re-
sidui dell'annalistica perduta». Ma per forza che terebrareyexte-
rebrare, perterebrare sono tutte parole rare. Si tratta di verbi
tecnici, che indicano un'operazione meccanica qual è appunto
quella di «trapanare». Mentre la letteratura latina che possedia-
mo è fatta di poemi, orazioni, opere storiche, trattati di filoso-
fia. Come si sarebbe potuto sperare che, in testi di questo tipo,
la gente stesse continuamente a trapanare? Si può immaginare
Orazio mentre, travolto dalla fugacità del tempo, sta lì e «trapa-
na, trapana...»? Anche Annibale, il noto condottiero cartagine-
se che nel De divinatione aveva «trapanato», è presumibile che
di solito facesse altro. Per forza che terebrare e composti sono
'rari'. Se guardasse bene, La Penna potrebbe scoprire che anche
runcino e descobino sono rari, ma non certo perché erano in
contrasto con i gusti stilistici di Cicerone: semplicemente per-
ché Marco Antonio né «piallava» né «raspava», e anche Catilina
aveva una certa riluttanza a farlo. Si lasci dunque trapanare chi
deve e, soprattutto, si dia respiro a Celio Antipatro.
Che poi, se proprio si vuole, il problema sarebbe caso mai un
altro. In latino, quando si deve dire «trapanare» si usa per forza
il verbo terebrare uno dei suoi composti. Questo valeva tanto
per Cicerone quanto per Celio Antipatro. Perché diavolo mai
Cicerone, per dire terebrare^ avrebbe dunque avuto bisogno di
ispirarsi a Celio Antipatro? La stessa, identica domanda che ci
eravamo posti a proposito di exinde. Il latino non era proprietà
esclusiva né di Cicerone né di Celio Antipatro. Il latino era
semplicemente una lingua, come tutte le altre. Magari è vero che
Celio Antipatro aveva usato perterebrare e exterebrare - magari
invece non lo aveva fatto. In ogni caso, che cosa importa?

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Exinde, La Penna e il trapano 171

Mi sono chiesto per quale motivo quella mia remota nota su


exinde abbia occupato così a lungo la mente di La Penna: sino al
punto di fargli pubblicare, ben dieci anni dopo, tante cose catti-
ve sul mio conto. Per fortuna, dato che La Penna deve essere
rimasto l'unico a non aver letto il noto saggio di Freud sulla
negazione, egli ha la semplicità di spiegarlo: «Qualcuno si chie-
derà perché io abbia tardato dieci anni per rispondere: la ragio-
ne è che non ho mai sentito l'urgenza del problema e che gli
altri compiti non mi hanno lasciato il poco tempo necessario»
(corsivi miei). E poi ci sono i colleghi. I soliti, terribili colleghi.
«D'altra parte» continua infatti La Penna «anche colleghi non
dilettanti, perché non hanno studiato la questione per male-
volenza per gusto del pettegolezzo per tutte queste ragioni
insieme, sono propensi a dare qualche credito agli argomenti di
un dilettante» . Come sono perfidi, i colleghi, sempre pronti a
dar retta ai dilettanti come me e non a un professionista del
livello del La Penna. E questo per ben dieci anni. Anche facen-
do una media grossolana, La Penna è stato lì a distillare pagine
1, 4 l'anno contro il sottoscritto mentre non sentiva l'urgenza
del problema e stentava a trovare il poco tempo necessario. Fuo-
ri intanto, nel mondo, torme di perfidi colleghi continuavano a
dar ragione a me, che sono un dilettante, e non a lui.

7. A. La Penna, Per la storia di exinde etc., op. cit., p. 90 . 5.

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