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“IL SÉ COGNITIVO IN

RELAZIONE”

PROF.SSA ANNA FALCO


Università Telematica Pegaso Il sé cognitivo in relazione

Indice

1 INTRODUZIONE -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2 COSA SI INTENDE PER <<COGNIZIONE SOCIALE>> ----------------------------------------------------------- 4
3 I PRINCIPI BASE DELLA SOCIAL COGNITION -------------------------------------------------------------------- 5
4 LE ORIGINI DEL CONCETTO DI SCHEMA -------------------------------------------------------------------------- 7
5 FUNZIONE DEGLI SCHEMI: PERCHÉ ESISTONO? --------------------------------------------------------------- 8
6 DETERMINANTI CULTURALI DEGLI SCHEMI ------------------------------------------------------------------- 10
7 IL PENSIERO AUTOMATICO ED IL PENSIERO CONTROLLATO ------------------------------------------- 14
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 18

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)

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1 Introduzione

Gli studi sulla “Cognizione Sociale” si occupano dell’influenza esercitata dagli altri sul
pensiero e sul comportamento del singolo individuo. Un punto già messo in luce dalla Psicologia
Sociale è che i nostri pensieri e le nostre percezioni riguardo agli altri, a noi stessi ed alla società nel
suo complesso non necessariamente riflettono la realtà con esattezza, nonostante ci aiutino
comunque a crearla. Le nostre azioni sono guidate dalle nostre convinzioni che abbiamo imparato a
formarci sugli altri e noi stessi, veritiere o meno che siano (schemi di sé, schemi di persona, schemi
di ruolo, schemi di eventi). In quest’ottica, uno dei contributi più rilevanti che la Psicologia può
dare al benessere dell’umanità sta nell’individuare i processi e le distorsioni sistematiche sottostanti
alle convinzioni sociali. Lo studio specifico di questi processi e di queste distorsioni prende il nome
di Cognizione Sociale.

Nella moderna terminologia cognitivista, l’insieme organizzato delle nostre informazioni o


convinzioni su un evento o un’entità qualsiasi prende il nome di “schema”. Gli schemi sono
strutture cognitive attraverso cui vengono organizzate le conoscenze sociali in memoria e
costituiscono i filtri attraverso cui “leggiamo” noi stessi ed il mondo, guidandoci nella
comprensione della realtà, nelle scelte e nei comportamenti.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
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2 Cosa si intende per <<cognizione sociale>>


Gli esseri umani hanno sorprendenti facoltà logiche e cognitive, che usano per costruirsi una
propria visione del mondo. Lo studio del modo in cui gli esseri umani concepiscono il loro mondo è
detto approccio cognitivo alla psicologia sociale, o cognizione sociale.

Il termine “cognizione” si riferisce all’insieme delle attività attraverso le quali le persone


elaborano le informazioni provenienti dai sensi e dalla memoria.

La “Social Cognition” studia le modalità con cui gli individui attribuiscono un senso alla loro
esistenza e interpretano il comportamento proprio e degli altri; si occupa, quindi, dello studio
scientifico dei processi attraverso cui le persone acquisiscono informazioni dall’ambiente, le
interpretano, le immagazzinano in memoria e le recuperano da essa, al fine di comprendere sia il
proprio mondo sociale, sia loro stesse, ed organizzare di conseguenza i propri comportamenti.

Il compito però non è sempre facile o immediato, perché spesso il problema è la non conoscenza di
tutti gli elementi necessari a giudicare una data situazione. Ogni giorno prendiamo tantissime
decisioni, anche se non disponiamo di dati sufficienti.

Il focus di principale interesse è relativo alle strutture cognitive interessate nel giudizio e nel
comportamento sociale e dei processi mediante i quali tali strutture operano (attribuzioni di
causalità, la categorizzazione sociale, gli schemi cognitivi, le euristiche (scorciatoie mentali di
ragionamento) del pensiero sono i principali temi d’interesse della social cognition).

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3 I principi base della Social Cognition


I principi cardine della ricerca sulla Cognizione Sociale possono essere così categorizzati: 1.
La realtà non esiste indipendentemente dalla mente che la percepisce e la modella: l’individuo è un
elaboratore attivo di informazioni, le INTERPRETA E le ORDINA. È UN ORGANISMO
PENSANTE CHE UTILIZZA LA PROPRIA ATTIVITÀ COGNITIVA PER RELAZIONARSI
ALL'AMBIENTE IN CUI VIVE; 2. I diversi elementi della realtà sono raccolti, nella mente, in unità
di significato (approccio olistico) che servono a dare un senso a ciò che osserviamo; 3. Il significato
che attribuiamo a ciò che osserviamo, dipende dal nostro personale modo di interpretare il reale; 4.
Cognizione e motivazione sono interdipendenti (l’interpretazione cognitiva del reale, ci guida nelle
scelte e nei comportamenti). La cognizione è lo strumento per costruire l’interpretazione del mondo
e aiuta l’individuo ad identificare ciò che egli deve fare e quale direzione intraprendere nel porre in
essere un certo comportamento. La forza della motivazione ci dice se è possibile predire se un certo
comportamento si realizzerà e in che misura. Facciamo un esempio: se ho deciso di iscrivermi in
palestra per rimettermi in forma, non mi basterà fermarmi solo all’intenzione, ma dovrò
impegnarmi con costanza (motivazione) a seguire regolarmente il mio programma di allenamento.

Nel tempo sono state proposte quattro diverse concezioni di uomo come organismo pensante:

Ricercatore di coerenza (anni 60): Tra gli anni '50 e '60 studiosi come Festinger con la sua teoria
della dissonanza cognitiva (1957) e Heider (1958) autore della teoria dell'equilibrio propongono
una concezione dell'uomo come ricercatore di coerenza teso a cogliere l'equilibrio, da un lato, tra le
credenze che possiede, dall'altro, tra il proprio sistema di credenze ed i propri comportamenti.
Secondo questa prospettiva, l'individuo avvertendo una incongruenza tra un suo atteggiamento ed
un suo comportamento proverebbe una sgradevole attivazione fisiologica, spinta motivazionale per
ricercare l'equilibrio e la coerenza cognitiva (la realtà sociale risulta quindi orchestrata non solo da
fattori puramente cognitivi, ma
anche da fattori di natura strettamente motivazionale);

Scienziato ingenuo (anni 70): A partire dagli anni '70, si afferma una nuova prospettiva che
propone una concezione dell'individuo inteso non più come ricercatore di coerenza, ma come uno
scienziato ingenuo.

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Lo scienziato ingenuo, al fine di spiegare gli eventi, mette in atto un'analisi cognitiva delle
informazioni riguardanti quegli eventi (es:incontro un amico che mi saluta freddamente e mi do le
seguenti spiegazioni : “probabilmente era di corsa”, oppure “era preoccupato per qualcosa” o
ancora “era imbarazzato dal non rivedermi da tanto”)
Fin quando tale analisi non viene distratta da fattori esterni e fin quando le risorse cognitive sono
disponibili, allora l'individuo sarà in grado di spiegare correttamente gli eventi; d'altra parte, una
errata esecuzione dei passaggi razionali necessari comporta un'inadeguata definizione della realtà.
In quest'ottica i fattori cognitivi giocherebbero un ruolo decisivo (1).

Economizzatore di risorse cognitive (anni 80): Successivamente, ci si è resi conto che l'individuo,
avendo a disposizione limitate risorse cognitive, deve ricorrere a delle strategie di elaborazione
delle informazioni, le cosiddette euristiche (dette anche scorciatoie mentali), che gli consentono di
risparmiare tempo e sforzi e, contemporaneamente, di ottenere delle informazioni sufficientemente
attendibili su quanto sta accadendo attorno a lui. Il modello di uomo che ne deriva è quello
dell'economizzatore di risorse cognitive.

Stratega motivato (dagli anni 90 ad oggi): In anni più recenti, le ricerche psicosociali hanno
sottolineato che l'individuo, nell'elaborare le informazioni, sceglie le strategie che preferisce in base
alle sue necessità ed ai suoi obiettivi.
Il modello di uomo come economizzatore di risorse cognitive si perfeziona, pertanto, in un modello
che vede l'individuo come uno stratega motivato, un soggetto che sceglie le sue strategie cognitive
più adeguate ai suoi scopi e alle sue motivazioni.
(Arcuri e Castelli, 2000; Pendry e Macrae, 1994).

1
Festinger, L. (1957). A theory of cognitive dissonance, Stanford, CA, Stanford University Press;
trad.it. Teoria della dissonanza cognitiva, Milano, Angeli, 1973.
Heider, F. (1958). The psychology of interpersonal relations, New York, Wiley; trad.it. Psicologia delle relazioni
interpersonali, Bologna, Il Mulino, 2000.

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4 Le origini del concetto di schema


Il contributo delle strutture cognitive è cruciale nel rendere significativa l’esperienza sociale
dell’individuo, il quale di norma è convinto che le sue esperienze del mondo abbiano un certo
“colore” ed una certa “forma” perché il mondo è fatto proprio così ed egli si limita a registrarne le
caratteristiche.

Ma la maggior parte della psicologia sociale può dirsi erede della psicologia gestaltiana e, come
tale, il carattere ricostruttivo della percezione ed il ruolo del contesto nel favorire la modificazione
di significato che gli elementi in esso inseriti subiscono diventano fondamentali.

Nella nostra vita quotidiana, formuliamo costantemente teorie su noi stessi e sul mondo circostante
ed, in base ad esse, comprendiamo ed interpretiamo noi stessi, gli altri ed ogni interazione o
contesto sociale in cui ci troviamo.

Le nostre teorie sul mondo sociale o schemi (Bartlett 1932; Markus 1977; Taylor e Crocker 1981)
influenzano profondamente le informazioni che registriamo, su cui riflettiamo e che,
successivamente, ricordiamo.

Gli schemi sono strutture cognitive che organizzano le informazioni su determinati temi o
argomenti, come le persone, noi stessi, i ruoli sociali.

Dal momento in cui formiamo uno schema, si producono effetti interessanti sul modo in cui
elaboriamo e memorizziamo nuove informazioni. Esso agisce da filtro, rifiutando le informazioni
che sono contraddittorie o incoerenti rispetto al tema prevalente (Fiske 1993; Higgins e Bargh
1987; Stangor e McMillan 1992).

Le ricostruzioni che avvengono in memoria tendono ad essere coerenti con il nostro schema. Sarà,
dunque, più probabile che sceglieremo di attuare dei comportamenti o fare delle scelte che si
concilino con i nostri preconcetti, piuttosto che sulla effettiva evidenza dei fatti (Darley e Akert
1993; Markus e Zajonc 1985).

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5 Funzione degli schemi: perché esistono?

Se gli schemi possono non di rado condurci ad una percezione errata del mondo, perché mai
dovrebbero esistere? Proviamo ad immaginare in quale condizione saremmo senza schemi sul
nostro mondo sociale: cosa accadrebbe se qualsiasi cosa in cui ci imbattessimo fosse
un’inspiegabile fonte di confusione, qualcosa di radicalmente diverso da quanto già incontrato? Gli
schemi assumono una notevole rilevanza perché riducono l’ambiguità che, a volte, incontriamo con
informazioni suscettibili di più interpretazioni. Le persone impiegherebbero, dunque, gli schemi per
completare le loro lacune informative allorchè non del tutto sicure di ciò che stanno osservando.
Essi ci guiderebbero altresì nella costruzione di nuove conoscenze (influenzano l’elaborazione, la
codifica in memoria e l’interpretazione delle informazioni) e nella scelta dei comportamenti da
mettere in atto in determinate situazioni (se nella mia mente esiste uno schema che mi dice che una
particolare situazione potrebbe essere pericolosa, sceglierò di mettere in atto dei comportamenti
adeguati a far sì che possa tenermi lontano dall’ipotetica minaccia). Il vero problema è che le
persone spesso vedono il mondo in maniera tale da credere di aver invocato lo schema giusto anche
quando ciò non è esattamente vero.

Esistono diversi tipi di schemi sociali, a seconda del genere di informazioni contenuti in essi
(Taylor e Crocker 1981) :

- Schemi di persone

- Schemi di sé

- Schemi di ruolo

- Schemi di eventi (script)

Gli schemi di persona sono strutture di conoscenza che contengono le informazioni che ci aiutano a
descrivere le persone in base ai loro tratti di personalità e i loro scopi. Sulla base dell’attivazione di
specifici schemi di persona siamo in grado di concettualizzare i nostri simili usando termini generali
per rappresentare particolari combinazioni di attributi ( autoritario, loquace ecc.).

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Gli schemi di sé sono strutture in cui il soggetto, pensando a se stesso, costruisce categorie grazie
alle quali struttura la propria autocoscienza. Essi contengono i tratti particolarmente centrali per la
descrizione di sé. Servono per rappresentare l’oggetto di conoscenza al quale siamo più vicini: noi
stessi. Rappresentano il giudizio che quotidianamente l’individuo impiega per considerare se stesso.

Gli schemi di ruolo definiscono i comportamenti previsti in relazione alle posizioni che le persone
occupano in una data realtà sociale. Si riferiscono a quell’insieme di comportamenti che ci si
attende che una persona, che occupa una particolare posizione in una struttura sociale, metta in atto.
E’ la struttura cognitiva che organizza la conoscenza che una persona ha a proposito dei
comportamenti più appropriati connessi ad una specifica prestazione di ruolo (professioni, gruppi
politici, sesso, razza).

Gli schemi di eventi contemplano le conoscenze relative al modo con cui ci si comporta nelle
diverse situazioni sociali, comprese le aspettative che abbiamo sul modo in cui si comporteranno gli
altri (scripts o copione).

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6 Determinanti culturali degli schemi


La cultura in cui siamo cresciuti costituisce una fonte fondamentale dei nostri schemi, che ci
guideranno nell’interpretare noi stessi ed il nostro mondo sociale. Frederic Bartlett (1932) osservò
che culture diverse possiedono schemi fra loro molto differenti in funzione di ciò che è ritenuto
importante in quella determinata cultura.

In molte culture occidentali le persone hanno una visione di sé indipendente che esalta
l’individualismo (Kitayama e Markus 1994) : gli occidentali imparano, dunque, a definire se stessi
in chiave di netta separazione dagli altri, valorizzando la loro unicità. Le culture non occidentali,
invece, possiedono una visione di sé interdipendente, in cui viene valorizzata l’associazione fra le
persone. L’indipendenza e l’unicità sono disapprovate. Ciò non implica che ogni membro della
cultura occidentale abbia una visione di sé come individuo indipendente e che ogni rappresentante
della cultura asiatica abbia una visione di sé come individuo interdipendente. Anche all’interno
delle culture vi sono differenze nel concetto di sé e queste differenze hanno più probabilità di
acuirsi con l’aumentare del contatto fra le culture. La differenza del senso di sé tra cultura
occidentale ed orientale oltre che una sua realtà, avrebbe delle conseguenze interessanti anche sulla
comunicazione fra culture.

1. Problematicità relative all’utilizzo degli schemi:


errori e scorciatoie

a. Errori
Il grande valore degli schemi è che ci aiutano a filtrare le informazioni del contesto che riteniamo
importanti. Può capitare, tuttavia, di incorrere, talvolta, in errori di valutazione. Esemplificativo, in
questa direzione, il cosiddetto “effetto precedenza (primacy)” [Jones et al., 1968], per cui
l’individuo si lascerebbe influenzare dalle primissime impressioni su un dato evento e, dunque,
guidare nelle interpretazioni successive (ad esempio, arriva un cliente in agenzia di viaggi che mi
appare un po’ indeciso e questa cosa mi condiziona nelle successive interazioni, impedendomi di
relazionarmi a lui in maniera serena ed assertiva, per il timore di non riuscire ad aiutarlo nella
scelta del viaggio, tralasciando, dunque, la possibilità che questa confusione possa essere del tutto

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normale all’inizio e che ciò non significhi necessariamente che l’operazione fallirà, anche se, il
giorno prima, con un cliente simile, non ero riuscito). Altro errore potrebbe essere quello del
cosiddetto “effetto recenza (recency)”, per cui le informazioni ricevute per ultime produrrebbero
l’impatto maggiore (sono una guida turistica e quasi alla fine del tour, noto un gruppetto di
persone che sembrano distrarsi e penso che tutto il mio lavoro non sia stato poi così apprezzato ed
efficace, magari trascurando il fatto che, invece, per tutte le due ore precedenti, l’intero gruppo si
era mostrato attento e soddisfatto e focalizzandomi solo sull’ultimo fotogramma dell’evento) .

Altro errore consueto è quello detto “effetto persistenza” (Ross, Lepper e Hubbard, 1975) che si
verificherebbe quando le credenze dei soggetti persistono anche dopo che ne sono state confutate le
prove a sostegno; quando, cioè, nonostante le prove siano contrarie al mio pensiero, per
confermarlo, vado a ritroso nella mia memoria alla ricerca di fatti accaduti in passato, dove, in
circostanze simili, non sono riuscito (o, al contrario, sono riuscito) in quella determinata
performance (commetto un errore a lavoro e non lo ammetto perché mi ripeto di non aver mai
sbagliato in passato in compiti simili).

Altre volte, può succedere, invece, di creare innavertitamente delle prove che sostengono il nostro
schema, processo definito “profezia che si autoavvera” (Rosenthal e Jacobson, 1968). Questo
significa che, anche quando le persone cercano di relazionarsi agli altri in maniera imparziale e
priva di condizionamenti, sono le loro aspettative ad intromettersi ed a modificarne il
comportamento, il quale, a sua volta, modifica il comportamento della persona con cui stanno
interagendo (se un cliente non ci sta molto simpatico ci porremo nei suoi confronti in una maniera
tale da suscitare in lui una reazione analoga alla nostra [vedi tono della voce freddo e distaccato,
postura rigida e trattenuta], creando un circolo vizioso che si automantiene e che, in un certo
senso, ci conferma la nostra idea iniziale).

b. Scorcoiatoie
Sovente, le persone, nel compiere delle scelte si avvalgono di scorciatoie mentali che
faciliterebbero le loro decisioni. Non è detto, però, che queste scorciatoie portino sempre alla scelta
migliore. Con il termine “euristica” ci si riferisce, dunque, ad un insieme di regole che gli individui
seguirebbero per formulare giudizi in maniera rapida ed efficiente (“euristica del giudizio”).

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- Euristica della disponibilità: quando formuliamo giudizi sulla base della facilità con cui
riconduciamo esempi alla mente (Manis et al., 1993; Schwarz et al., 1991). Un esempio
potrebbe essere quello in cui ci ritroviamo in comitiva al ristorante e ad un nostro amico
viene portato un piatto che non aveva ordinato ed egli lo accetta lo stesso. Si apre quindi una
discussione se egli sia o no una persona capace di imporsi. Un modo per rispondere a questa
domanda è richiamare un opportuno schema preconfezionato. Se però non ci siamo mai
posti una simile domanda sul nostro amico, allora siamo costretti a pensare a come
rispondere. In questa situazione, spesso ci affidiamo alla facilità con cui ci vengono in
mente esempi diversi. Concluderemo, pertanto, che il nostro amico è capace o no di imporsi
a seconda di quali esempi riusciamo ad evocare con maggiore facilità.

Numerose sono le situazioni in cui questa ci appare una buona strategia da usare. Un
problema insito in essa è però che, qualche volta, ciò che con più facilità viene ricondotto
alla memoria non è caratteristico del quadro generale e può condurci, quindi, a conclusioni
errate.

- Euristica della rappresentatività (Kahneman e Tversky, 1973): un’altra scorciatoia


mentale viene impiegata quando le persone cercano di categorizzare qualcosa di nuovo,
giudicando quanto questo possa essere simile al loro concetto di caso tipico (sono un
portiere d’albergo e mi arriva un cliente inglese a chiedere una stanza. In base al concetto
che ho di “persona inglese”, magari fredda e distaccata, tenderò a farmi un’opinione di chi
ho di fronte, basandomi sui miei schemi precostituiti o stereotipi).

- Euristica dell’ancoraggio e dell’accomodamento (Tversky e Kahneman, 1974) : è una


strategia con cui le persone utilizzano un numero o un valore come punto di partenza e
quindi precisano la loro risposta rispetto ad esso. Spesso però i valori da cui si parte sono
frutto di esperienze personali atipiche, e perciò non sono affatto rappresentative del reale.
Quando si generalizza partendo da un campione di informazioni per arrivare alla sua totalità,
viene messo in atto un processo chiamato campionamento tendenzioso.

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c. Euristica e cultura

Sono stati effettuati diversi studi per stabilire se i “biases” attribuzionali siano tipici di determinate
culture oppure si possano considerare universali. In fondo la cultura può essere considerato il
“fattore situazionale di base”, quello che ci condiziona fin dalla nascita.

Gli studi hanno dimostrato che le persone appartenenti a culture individualiste (ad es. USA e
occidente in genere) sembrano preferire le attribuzioni disposizionali, mentre gli appartenenti a
culture che pongono in risalto l'appartenenza di gruppo e l'interdipendenza (soprattutto
orientali) tendono a fare attribuzioni situazionali.

In realtà anche i membri di culture collettiviste fanno attribuzioni disposizionali, ma sono


maggiormente predisposti a considerare i fattori situazionali. Essi quindi sono in grado con più
probabilità di combattere l'errore fondamentale di attribuzione, che comunque è presente
universalmente.

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7 Il pensiero automatico ed il pensiero controllato

Si devono distinguere due tipi di cognizione sociale:

 un tipo di pensiero veloce e automatico, che interviene quando agiamo “senza pensare”,
ovvero senza riflettere coscientemente;

 un pensiero controllato, deliberato, che interviene quando dobbiamo prendere decisioni


importanti riguardanti la nostra vita e riflettiamo su queste consapevolmente.

A. IL PENSIERO AUTOMATICO

Il pensiero sociale possiede, dunque, un’ importante proprietà che facilita notevolmente la nostra
comprensione del mondo sociale: la capacità di elaborare informazioni in maniera rapida ed
inconscia. Il nostro modo di pensare può diventare automatico, proprio come le nostre azioni.
Quanto più ci siamo addestrati a pensare in un certo modo, tanto più naturale ed automatico diventa
quel genere di pensiero, fino a potervi accedere senza alcuno sforzo, quasi senza accorgercene.

Questa modalità di pensiero inconscia, non intenzionale, involontaria viene definita “elaborazione
automatica”.

Categorizziamo, senza sforzi, persone ed eventi in base ad i nostri schemi preesistenti. Questo,
indubbiamente ci agevola nella velocità e nella fatica, ma c’è un prezzo da pagare: vi sono, infatti,
dei rischi nel categorizzare automaticamente un oggetto o una persona in maniera erronea . Noi
riponiamo rapidamente ogni persona nella sua casella sulla misura dei nostri schemi evocati
automaticamente in base a razza, sesso, età e bellezza (Devine, 1989; Fiske, 1989).

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 Pensiero automatico e stereotipi

Il pensiero automatico ci aiuta a comprendere situazioni nuove collegandole alle nostre esperienze
precedenti. Per fare questo utilizziamo gli schemi, ovvero strutture mentali che organizzano la
nostra conoscenza del mondo sociale. Tali strutture influenzano profondamente le informazioni che
registriamo, su cui riflettiamo e che successivamente ricordiamo.

Quando vengono applicati ai membri di un gruppo sociale, al genere o all’etnia, gli schemi
vengono definititi come stereotipi.

Numerosi esperimenti hanno dimostrato che gli stereotipi influiscono in maniera notevole anche
sulle percezioni, portando a comportamenti distorti ed errati. Ciò accade quando le persone
utilizzano il pensiero automatico, anche se consciamente non si riconoscono nei pregiudizi incarnati
dagli stereotipi.

 Pensiero automatico e schemi

Gli schemi, anche se ci possono portare ad una visione distorta del mondo, in realtà sono
fondamentali per poter affrontare le situazioni nuove, riducendo l’ambiguità interpretativa e
permettendoci di selezionare le informazioni che ci vengono dal mondo esterno. Il problema si pone
quando ci si aggrappa eccessivamente a schemi che non sono rappresentazioni accurate del mondo.

Gli schemi inoltre fungono da guide della memoria: la memoria umana è ricostruttiva, e le persone
riempiono gli spazi vuoti con le informazioni coerenti con i propri schemi.

La scelta dello schema da applicare alle diverse situazioni dipende dall’accessibilità. Esistono due
tipi di accessibilità:

 in base all’esperienza passata: questi schemi sono sempre accessibili

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 in base ad un evento contingente che ha fissato uno schema in memoria: in questo caso
l’accessibilità può essere temporanea, e indotta.

Il “priming” è appunto il fenomeno per cui esperienze recenti aumentano l’accessibilità di uno
schema.

Il priming è un ottimo esempio di pensiero automatico, in quanto le persone non sono consapevoli
del fatto che stanno applicando concetti o schemi cui è capitato di pensare poco prima.

B. IL PENSIERO CONTROLLATO

A frenare e riequilibrare l’elaborazione automatica ci viene in soccorso l’ “elaborazione


controllata”, fatta di pensieri consapevoli, intenzionali, volontari e deliberati.

A differenza dell’elaborazione automatica, il pensiero controllato richiede motivazione ed impegno:


quando la posta in gioco è bassa e noi non siamo particolarmente interessati all’accuratezza di una
decisione o di un giudizio, lasciamo spesso che sia il nostro pensiero automatico ad occuparsene,
senza curarci di controllarlo o di correggerlo.

Gilbert (1991) sostiene che le persone sono programmate per credere automaticamente in tutto ciò
che vedono e che sentono. Questo processo sarebbe insito negli esseri umani perché gran parte di
quanto osserviamo è vero. La vita diventerebbe veramente difficile se dovessimo fermarci e
decidere ogni volta sulla veridicità di ciò che incontriamo. Di tanto in tanto, tuttavia, ciò che
sentiamo e vediamo non è vero: abbiamo pertanto bisogno di un freno e di un successivo
riequilibramento che ci renda capaci di “non accettare” ciò che avevamo inizialmente creduto
(Gilbert, Tafarodi e Malone, 1993).

2. Conclusioni

Le abilità cognitive del pensiero umano possono portare a grandi risultati culturali e intellettuali, ma
anche a compiere errori fondamentali.

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E’ tuttora in corso un dibattito su quale dei due tipi di pensiero (automatico o controllato) sia più
importante per il nostro funzionamento. Ciò che è chiaro è che entrambi sono estremamente utili.
Forse la migliore metafora del pensiero umano è quella secondo cui le persone sono “scienziati
imperfetti”, che cercano di scoprire la natura del mondo sociale in maniera logica, ma che non ci
riescono alla perfezione. Possiamo ancora migliorare.

Viste le conseguenze spiacevoli, e a volte tragiche, del ragionamento umano, ci si deve porre il
problema di come rimediare, insegnando alle persone come migliorare le proprie inferenze.

Uno dei possibili metodi è quello di spingere le persone a considerare con maggiore modestia le
loro capacità di ragionamento: spesso infatti ci sentiamo infallibili.

Un'altra possibilità è quella di insegnare alle persone alcuni dei principi statistici e metodologici
fondamentali relativi al ragionamento corretto, nella speranza che poi li applichino nella loro vita
quotidiana.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)

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Università Telematica Pegaso Il sé cognitivo in relazione

Bibliografia
 Arcuri L., Castelli L., “La Cognizione Sociale”, Laterza, (2006).

 Aronson E., Wilson T., Akert R., “Psicologia Sociale”, Il Mulino, (1997).

 Amerio P., “Fondamenti di Psicologia Sociale”, Il Mulino, (2007).

 Smith E., Mackie D., “Psicologia Sociale” Zanichelli, (2004).

 Gray P., “Psicologia”, Zanichelli, (2012).

 Polmonari A., Cavazza N., Rubini M., “Psicologia Sociale” Il Mulino, (2002).

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