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Luciano Alberti

Aida: le rivelazioni di unantica Disposizione scenica

Aida viene alla luce la vigilia del Natale 1871 al Cairo. Ma la sua grande epifania alla Scala, l8 febbraio del 1872: vale a dire nemmeno sette settimane pi tardi, fuori dal trionfale contesto delle celebrazioni per lapertura del Canale di Suez.A Milano, leditore Giulio Ricordi in persona veglia sulla preparazione; l sul palcoscenico della Scala. E ha insistito perch Verdi gli sia accanto. Non c da contar molto sulla mia abilit nel mettere in scena. Potr dare qualche consiglio, ma non mi sento abbastanza capace n abbastanza autorevole [!] per guidare le masse. La si persuada, una volta, Signor Giulio che io sono un grandasino!: cos da Lecco il 9 gennaio di quel 18711. Daltronde pochi mesi prima il 17 dicembre 1870 egli aveva scritto al Signor Giulio: A voi tocca poi gridare per la mise en scene [sic] e per lesecuzione musicale. Mettetevi bene in mente che senza qualche grosso Per Dio! non si arriva mai a far eseguire bene la musica. E, avvicinandosi la data fatidica, da SantAgata, il 10 luglio di quel 71: Abbiate ben fermo, mio caro Giulio, che se io vengo a Milano, non per vanit di dare una mia opera: per ottenere una vera esecuzione artistica. Tuttoggi i registi dopera che non detto che debbano saper leggere gli spartiti incominciano col basarsi sui libretti (salvo poi finire col prescinderne del tutto). Ed ora su un libretto (freschissimo di stampa) che lo stesso Verdi di proprio pugno annota in margine le sue intenzioni sceniche, in aggiunta alle pur circonstanziate didascalie. Fu Gino Roncaglia a scoprire e a studiare quel prezioso libretto postillato. Rimanendogli difficile immaginare tanta tempestivit, egli lo attribu alla ripresa che lopera ebbe poco dopo in primavera a Parma2. Ma Franco Abbiati ebbe ragione di riportare quelle annotazioni gi ai giorni delle prove scaligere. E immediata anche se usc senza data fu lorganizzazione approfondita di quelle note e quindi la pubblicazione della Disposizione scenica per lOpera Aida, compilata secondo la messa in scena del Teatro alla Scala da Giulio Ricordi: ricca di schemi, di piante, di vignette esplicative. Considerate curiosit estrinseche in quanto afferenti a una prassi commerciale, per la promozione delle varie opere nei diversi teatri lo stesso archivio di Casa Ricordi non conservava le proprie Disposizioni

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sceniche, quando ci si cominci a occupare di tali pubblicazioni: n questa per lAida e neanche quelle per le altre opere del Verdi maturo, per non dire di qualche altra ancora. Questo interesse incominci a suscitarsi nel mezzo degli anni Settanta del secolo scorso, in Italia: dopo che in Francia di livrets de mise-en-scne si parlava e si scriveva da qualche tempo, essendo essi i precedenti e i modelli per gli opuscoli italiani. Ricordi ne aveva aperto il filone, facendo appunto tradurre il livret pubblicato a Parigi per Les Vpres siciliennes (1855). Intanto, gi allinizio di quegli anni Settanta, il centenario di Aida (1871-1971) era stato loccasione per una fioritura di studi, a raggio internazionale, sulla genesi dellopera3. Ma unaria di stupita rivelazione ebbe il primo affondo in questo particolarissimo genere di documentazione: in chi loper e in chi ne colse la novit. Cio nel sottoscritto, che di fatti si diede cura di narrare come, per vie tutte contingenti e private, era venuto in possesso della Disposizione scenica di Aida4; mentre leco pi autorevole, a stretto giro di recensione, fu da parte di Fedele DAmico5. Cospicua ormai la bibliografia che si squadernata su questo orizzonte: anche a limitarci allorizzonte italiano, attorno alle Disposizioni sceniche di Casa Ricordi6 e a quelle di Casa Sonzogno7. Da Parigi, attraverso Camille Du Locle, direttore del Thtre des Italiens, arriva a Verdi la sensazionale commissione per il Cairo. Ed era stato lillustre egittologo Mariette Bey a designare il Maestro italiano (a preferenza di Wagner, di Gounod, non che del Principe Poniatowski). il Mariette che stende il programma della tragedia faraonica insieme con lo stesso Kediv dEgitto: programma che Verdi subito trova splendido di mise en scene [sic]. Ed sempre il fameux antiquaire che a Parigi una Parigi assediata dai prussiani, dove egli rimane bloccato per settimane cura la realizzazione delle scene e dei costumi da inviare in Egitto. Nel segno di unerudizione archeologica procede la stessa composizione musicale: da parte di Verdi continue, intense, instancabili, pluridirezionali sono le consultazioni relative ad antichi strumenti musicali egiziani (lidea fissa alla Flte egiziana del Museo archeologico di Firenze; la fabbrica appositamente commissionata di trombe lunghe e corte per la Marcia trionfale; lampio uso delle arpe a vista, nel boudoir di Amneris: siamo in Egitto e le arpe lavorano molto) e ancora consultazioni relative a costumi e a costumanze, a riti, danze, caste. Datemi queste nozioni e pensate seriamente ai costumi. Oh, in questo bisogna far bene e farli veri, che serviranno anche per lEuropa. Dunque dal Cairo il vestiario passa a Milano (quanto meno in buona misura). E pure per gli attrezzi ci si rivolger sempre a Parigi; come per i gioielli della protagonista, Teresa Stolz: li avr disegnati Granger. E

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francese il coreografo, Montplaisir, che riscuote tutta la fiducia di Verdi: So che un uomo molto cognito dellOriente e mi far certamente delle cose caratteristiche e originali. Lespressione quanto mai sintomatica: carattere e originalit dunque; scrupolosa esattezza storica e invenzione. Per tutti i suoi parametri lAida conferma la famosa metafora di Bruno Barilli: opera dallaspetto esotico eppure tutta nostrana; come, tra i frutti, il cocomero. La componente nostrana nello spettacolo milanese fu fortemente potenziata dal ricorso, per la scenografia, a Girolamo Magnani, di Parma: Verdi impone questo suo conterraneo con la pi profonda convinzione: un vero artista ed della razza di quelli cui il razionalismo dellepoca nostra non ha spento il fuoco sacro. Egli sente. Sente giusto; ragiona poco e fa molto. Quanto dire della sua stessa razza (per usare il termine caro a Verdi: e innocentissimo). Nella storia della scenografia italiana, era da circa un secolo che lEgitto aveva cittadinanza: dai tempi, cio, della sua ancora persistente supremazia a raggio europeo.Anche a lasciare da parte le fantasie massoniche del Flauto magico (del resto prossime alle documentate evocazioni egizie di un Maurino Tesi, lamico dellAlgarotti), un forte incremento alle egizianerie da palcoscenico e da arredamento: arredo urbano, di giardini; come pure di interni signorili: decorazioni parietali e mobilia viene dalle imprese napoleoniche e dalle rilevazioni dello Championnet. LEgitto, per lappunto, insieme con le Indie americane (precolombiane) erano state le acquisizioni della pi matura cultura etnologica dellilluminismo, che sui palcoscenici dei teatri dopera (e dei balli), con un impegno programmaticamente didascalico, attuava la propria pi accattivante divulgazione: alquanto dopo le copiose cineserie e turcherie. Aida sono gi ai nostri occhi certe scene faraonico-neoclassiche di Alessandro Sanquirico in una Scala primo Ottocento. Ma in Verdi chiara la consapevolezza che con Aida lEgitto, nel teatro musicale, diventa rivelazione tutta sua; dunque sua esclusiva. A Tito Ricordi, da Genova, egli scrive il 25 luglio sempre di quel 1871: Vedo sui giornali, e Giulio me lo conferm, che si prepara per la Scala un Ballo egiziano. questo un gravissimo errore tutto a danno dellImpresa, e dello spettacolo che verr secondo, [] un errore [] dei pi grossi che si possano commettere in teatro. E da Busseto, il 13 novembre: Vedo che si parla ancora della Figlia de Faraoni!!! Ci non pu essere; badate bene che non si facciano pasticci. Sul palcoscenico della Scala, tra il Mariette (legittologo che pure continua a seguire la trasferta dellAida dal Cairo allItalia) e leditore Giulio Ricordi, entrambi allombra di Verdi, la figura del librettista cui, per antica tradizione, era demandata la responsabilit della messa in scena

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ora si eclissa.Antonio Ghislanzoni, con la stesura del libretto amichevolmente tartassatissima dal compositore aveva chiuso il proprio compito. Si apre invece, sotto quella sorta di autorevole triunvirato, il compito del direttore di scena, per assurgere a nuovissima dignit. Mentre si ribadisce per questa figura la consueta funzione di ispettore e di responsabile militaresco dellordine sul palcoscenico (il direttore di scena badi soprattutto a che ogni cosa sia regolata militarmente), si attribuiscono a essa compiti ulteriori, via via pi alti e pi delicati. La Disposizione scenica di Aida d indicazioni precise per le entrate, i movimenti e le uscite dei cori e delle comparse: problema capitale sempre per i metteurs-en-scne. Le entrate: tra epistolario e Disposizione scenica (le due fonti sono assolutamente complementari, di lega analoga) il clou della mobilitazione di Aida in quanto impegno registico di grandi masse vale a dire la Marcia trionfale risulta enfatizzare quello che un antichissimo partito spettacolare, proprio delle stesse parate militari: la successione di entrate, cio di gruppi variamente e vivacemente connotati (le entres sono in se stesse una specifica risorsa coreografica, per lo spiegamento del corpo di ballo, quando se ne dia il caso). Nella lettera al Ghislanzoni, da SantAgata, datata 8 settembre 1870, Verdi aveva scritto:
Dopo la sua partenza [] non ho fatto che la marcia la quale molto lunga e dettagliata. Lingresso del Re, la Corte,Amneris, sacerdoti; il canto del Popolo, delle donne; un canto ancora di sacerdoti (da aggiungere); lentrata delle truppe con tutti gli arnesi di guerra, danzatrici che portano vasi sacri, cose preziose etc.; Alme che danzano; finalmente Radames con tutto il bataclan non formano che un pezzo solo, la marcia.

E al Du Locle, a partitura finita, quasi un anno dopo, il Maestro dettaglia le varie fasi della grande parata cos come saranno fissate nella Disposizione scenica, avvertendo: La Marcia lunga molto. Durer circa 8 minuti!!! Ma non vi spaventate, frammista di un piccolo ballabile, e perci riesce lunga. Le uscite del coro: il primo, il secondo e il quarto quadro dellopera risolvono i rispettivi concertati finali (il quarto quello che chiude la scena del trionfo), ricorrendo a un modulo militaresco pressoch identico, giocato interamente sulla rapidit e lordine: lo spaccarsi in due della massa corale, gi allargatasi parallelamente alla ribalta, dietro le spalle dei solisti, e il dietro-front dei solisti stessi: i primi a uscire dal fondo. Si legge nella Disposizione scenica alla chiusa del primo quadro:
Il Coro si divide immediatamente in mezzo, e il Re, presa per la mano Amneris, monta la scena ed entra nelle quinte di destra, seguito dal Messaggero, dallUffiziale, da tutto il Coro e dalle Guardie: Ramfis fa

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segno a Radames di seguirlo, ed alla testa dei Sacerdoti esce dalla porta di fondo in modo che la scena resti vuota al finire delle poche battute strumentali con cui si chiude il pezzo.

Fino a qui, dunque, il direttore di scena adempie al proprio impegno militaresco. Ma, tra le entrate e le uscite, per la condotta del coro, nel bel mezzo dei grandi quadri, si fa appello alla sua sensibilit artistica. La Disposizione scenica, allinizio, sotto lelenco dei personaggi ciascuno sinteticamente definito nei suoi tratti salienti per il Coro d un precetto fondamentale:
Persuadere i Cori, specialmente uomini, che non devono raffigurare una massa insignificante di persone, ma che bens ciascuno rappresenta un personaggio e come tale deve agire, muoversi per conto proprio, secondo i propri sentimenti, mantenendo soltanto cogli altri una certa unit di azione, atta a meglio assicurare lesecuzione musicale.

In epoca moderna ci sembra di poter dire che quasi soltanto un Felsenstein, tra i registi dopera, abbia potenziato al massimo le risorse mimiche di ciascuno dei suoi coristi: lo ha fatto soprattutto nei melodrammi alle cui scene di insieme si poteva (si doveva) applicare unarticolazione sostanzialmente realistica; e lo ha fatto in un regime di prove (innumerevoli), quale era a lui consentito dalla sua Komische Oper, nellantica Berlino Est. Per lo pi, molto comprensibilmente, i registi dopera (di ogni estrazione o scuola) diffidano dello spontaneismo dei Signori e delle Signore del Coro (oltre tutto disponibili secondo limitati orari di prove di scena), tendendo piuttosto a fissare le masse in blocchi statici, e ricorrendo magari a pi o meno copiose infiltrazioni di mimi: questi s mobilissimi.Tuttavia, limpegno di storicizzazione, cui specificamente invita lo studio delle Disposizioni sceniche, non pu non riconoscere in questa istanza verdiana per unespressivit anche scenica del cori un segno di novit, e dunque di modernit. E sintomatici in sommo grado risulteranno al proposito precisi riscontri per lappunto nel versante wagneriano. Per tornare alla scena del trionfo di Radams, assai artisticamente deve atteggiarsi il gruppo dei Prigionieri etiopi, i quali irrompono nella complessiva schematicit marziale del quadro come un vero coup-dethtre. E anzi, nella convenzione sovrana del grande finale, in cui lirto contrappunto del baritono (Amonasro) e della relativa sezione del coro maschile costituisce un magnifico partito musicale come sempre in Verdi, i congiurati larte scenica chiamata a coprire limplausibilit di questo condottiero etiope, il quale, coram populo eppure non visto non desiste dallordire trame di riscossa. Non solo: anche nelle scene sacrali quelle entro il Tempio di Vulcano: al secondo quadro, il quadro

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douard Desplchin, Ingresso a Tebe, bozzetto per la prima di Aida al Cairo (atto II, quadro II), 24 dicembre 1871 (1871; Parigi, Bibliothque Nationale, Dpartement de la Musique)

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della Consacrazione, come pure, stando alle originarie intenzioni di Verdi, al finale dellopera l dove imposto al coro dei Sacerdoti una solenne staticit, questa deve contribuire a quel carattere e a quella importanza scenica, cui il Maestro teneva profondamente. Le vignette della Disposizione indicano latteggiamento dei coristi (la posizione delle braccia). Nume, custode e vindice: nel grande coro religioso affidato alle voci maschili si profondono singolari ambizioni meta-liturgiche da parte del Maestro, e tutto il suo ben dichiarato culto palestriniano. Se la partitura di Aida, nel suo complesso, la pi vicina al Requiem, tra le altre del proprio autore, tanto pi lo per questa scena. Per larticolazione a canone del Nume, custode e vindice la Disposizione prescrive: Ciascuna frazione di coro, allattacco della propria parte far due passi innanzi, alzando le mani e volgendosi alquanto verso la statua di Vulcano; e tutta una pagina contiene lideogramma delle quattro entrate. Il preconcetto palestriniano, dunque, frutta tanto forte e fertile un inusitato limite registico di astrattezza coreutica. Semplicit ieratica, assolutamente antiaccademica, in questo quadro, era gi stata richiesta per le danze delle Sacerdotesse (interni la voce solista e il coro femminile). Ma che il gioco dei flabelli affidato alle ballerine, raccolte in gruppi piramidali ai piedi dei quattro tripodi doro ad apertura di sipario, si componga alla fine nellassemblaggio monumentale di un unico grandissimo flabello, tableau a sorpresa allaprirsi in due (rapido e simmetricissimo) del coro sacerdotale, induce di colpo un forte sentore di Ballo Excelsior ( quasi alle porte). E s che Verdi, per i balli di Aida in genere, aveva scongiurato che non si andasse a cadere in un mal gusto operettistico: alla Duchesse de Grolstein, alla Belle Hlne, etc. etc.. Per questo aveva censurato i figurini troppo disponibili al nudo. E per le Sacerdotesse danzanti, anzi, aveva prescritto insistendo lunghe vesti, secondo le indicazioni del Mariette. Daltra parte al flabello Verdi teneva molto. Esso evocava infatti pompe vaticanesche, secondo la chiave attualistica che ha presieduto alla concezione di questa componente drammaturgico-musicale dellopera: i Sacerdoti in Aida sono senzaltro preti, a cominciare dal loro capo: Ramfis il gran Prete; autocrate, crudele: cos indicato nella lista dei personaggi. I preti non sono abbastanza preti lappunto al Ghislanzoni durante la travagliata stesura della scena della consacrazione. Empia razza, tutti: quando il profondo anticlericalismo verdiano lanticlericalismo diffuso nellItalia liberale del tempo sembrer approfittare della smagliatura parossistica di Amneris, a conclusione della scena del giudizio, per lanciarsi in invettiva. Si accennato a riscontri nel versante wagneriano; e laccenno riguardava la condotta scenica dei cori. Verdi non sapeva degli opuscoli che il giovane Wagner esule aveva scritto per le realizzazioni del Vascello

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fantasma e del Tannhaser che egli non poteva seguire personalmente: in essi che dato coglier quei riscontri, e, in effetti, embrioni di Disposizioni sceniche sono quegli opuscoli, cos programmaticamente funzionali; e sono di molto anteriori a esse. Ma intanto Verdi che vediamo sul palcoscenico della Scala presiedere alle prove di Aida precede di un lustro Wagner che, nella sua Bayreuth, prova la tetralogia, affidando le proprie indicazioni registiche alle note di cui Felix Mottl ha corredato la partitura. Sono coincidenze legate allempirica esperienza comune di palcoscenico, nellimpegno fondamentale di un decoro spettacolare, di unautenticit drammatica basata su una nuova coesione: quella per cui si arrivano a definire, battuta per battuta, i movimenti, i gesti, gli sguardi, gli atteggiamenti dei cantanti, i raggruppamenti armonici e variati dei cori, lutilizzo congruo delle comparse. Inutile dire che la divaricazione tra le rispettive concezioni teatrali, in Verdi e in Wagner, aumenta quanto pi ci si alzi dalla quota palcoscenico verso formulazioni dordine generale. Verdi (homo sanza lettere) non ha scritto i trattati che ha scritto Wagner. Tuttavia anchegli, proprio nei mesi della composizione di Aida, costretto dalle istanze ministeriali dellItalia da poco unita, ha fermato la propria riflessione su problemi di riforma. Ed un fatto che anchegli si appunti per intero sul teatro scartando esplicitamente i Conservatori, verso cui non nasconde la propria diffidenza essendo il teatro, anche per lui, il centro focale della vita musicale della nazione. Il suo pragmatismo di tempra machiavellica (nelle cose, siano grandi o piccole, bisogna riescire o non intraprenderle), arriva a esprimersi in questi termini:
Che il ministro rialzi i teatri e non mancheranno n Compositori, n Cantanti, n Istromentisti. Ne istituisca per esempio tre da servire di modello a tutti gli altri. Uno nella Capitale, laltro a Napoli, il terzo a Milano. Orchestra e Cori stipendiati dal Governo. In ogni teatro, scuola di canto gratis pel popolo, collobbligo agli allievi di servire nel teatro per un dato tempo. Per ogni teatro un solo Maestro Concertatore e Direttore dellorchestra, e responsabile di tutta la parte musicale. Un rgisseur solo da cui dipende tutto ci che riguarda la mise en scne.

Alla quota pi alta si chiude cos il cerchio del direttore di scena, ovvero (pi riguardosamente) del rgisseur : con forti premonizioni, come si pu vedere, nella direzione del futuro regista. Pi a fondo. Si sa bene che a Verdi la frase pi wagneriana era sfuggita quando di Wagner egli non aveva il pi lontano sentore:
In quanto alla distribuzione dei pezzi vi dir che per me quando mi si presenta della poesia da potersi mettere in musica, ogni forma, ogni distribuzione buona, anzi pi queste sono buone e bizzarre io ne sono

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pi contento. Se nelle opere non vi fossero n Cavatine, n Duetti, n Terzetti, n Cori, n Finali etc. etc., e che lopera intera non fosse (sarei per dire) che un solo pezzo, troverei pi ragionevole e giusto.

La data: Busseto, 4 aprile 1851.Verdi confidava queste sue intenzioni avveniristiche al Cammarano nella corrispondenza per Il trovatore: per unopera, per lappunto, che segnava piuttosto una riconversione al pi acceso cabalettismo. Nella diversit profondissima dei venti anni trascorsi, una riconversione in qualche modo analoga ravvisabile in Aida rispetto alle opere che la precedevano; e non senza i segni di una conflittualit, nel Maestro: con se stesso e con il librettista, per quella sua recidiva tendenza a indurlo, proprio, in tentazioni cabalettistiche. Al Ghislanzoni, da SantAgata, il 17 agosto 1970,Verdi aveva espresso unaltra di quelle sue insofferenze cariche di presagi storici:
So bene che ella mi dir: E il verso, la rima, la strofa? Non so che dire; ma io, quando lazione lo domanda, abbandonerei subito ritmo, rima, strofa; farei dei versi sciolti per poter dire chiaro e netto quello che lazione esige. Purtroppo per il teatro necessario qualche volta che poeti e compositori abbiano il talento di non fare n poesia, n musica.

Verdi, per altro, allo stesso librettista, dice di non aver minimamente paura delle cabalette in s (in effetti gli hanno sempre dato tanta soddisfazione); purch esse siano drammaticamente appropriate. In Aida si pu ben dire che assistiamo alla riaffermazione della forma chiusa, rispetto alle ricorrenti, libere e geniali spezzature delle opere precedenti. In questopera la forma mentis del Maestro si ripropone con il vigore di una seconda giovinezza come eminentemente strofica, nel momento stesso in cui essa si apre pi che mai a quel senso della parola scenica che si enuncia come elemento paradigmatico del teatro verdiano. Ed proprio nellepistolario con il Ghislanzoni che la parola scenica si viene definendo: sia per le libere parti dialoganti e declamatorie come per laccentuazione delle pi tornite melodie strofiche. Estrinseco alla natura di Verdi lassillo della continuit musicale, come garanzia e pegno di unit, esso un portato inquietante dei tempi nuovi; laddove il genio eminentemente sintetico del Maestro avrebbe teso a raggiungere ha sempre raggiunto e raggiunger unit granitica in altri modi: per accostamenti, giustapposizioni (nel caso sovrapposizioni) di elementi distinti, ma dotati di unintrinseca forza di coesione, di una reciproca calamitazione drammatica. E attraverso la funzione unificante della tinta. Ora, la tinta, in Aida, eminentemente luce: luce solare, mediterranea; o anche nellatto del Nilo luce lunare: senza nubi e senza veli. , certo, anche tenebra: allinterno del tempio e nel sotterraneo tomba,

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alla fine: una fine in pp. Eppure la rivelazione probabilmente pi sorprendente della Disposizione scenica di Aida fa emergere anche in Verdi lassillo di unaltra continuit: di una continuit a livello scenico. Lincalzare dei subito, degli immediatamente che scandiscono la successione delle varie entrate dei personaggi, dei cori, dei figuranti e soprattutto la successione dei quadri, allinterno degli atti bipartiti (il I, il II e il IV atto) sono raccomandazioni dettate non soltanto dal terrore dei tempi morti comunque funesti in teatro ma da una ricerca assai pi profonda: esse tendono a perseguire una suggestione emozionale di nuovo conio. Che gi il primo quadro si apra con quel dialogo tra Ramfis e Radams (S, corre voce) come continuazione di un discorso avviato dietro le quinte novit abbastanza sorprendente in unopera eroica; la si direbbe mutuata piuttosto dal teatro drammatico borghese. Ed novit, per lappunto, che risponde a un effetto di continuit. Alla fine di quel primo quadro, luscita di Aida dopo il Ritorna vincitor! si risolve nellinvocazione Numi piet, che si perde dietro le quinte: un do centrale filato, in pp. Dietro le quinte, su un morbido mi bemolle in una continuit armonica assoluta attacca il canto della Sacerdotessa: Possente Fth. Dalla sala luminosa siamo passati al buio del Tempio di Vulcano. Per questo passaggio la Disposizione scenica ammonisce: Un ritardo nel cambiamento di scena guasterebbe tutto leffetto musicale. Si deve escludere un mutamento a vista, perch la scena del primo quadro non pu essere corta (ha bisogno dellagibilit di tutto il palcoscenico, come pure quella del secondo quadro). Quel che si chiede, dunque, che il sipario (verisimilmente quello supplementare, il comodino, non il sipario aulico) si chiuda e si apra (ovvero si abbassi e si alzi) nel minimo tempo possibile: il tempo per gli applausi dopo il Ritorna vincitor! E gi gli applausi disturberebbero semmai gli applausi disturbano leffetto musicale in s. La partitura, dunque, punta su una vera e propria dissolvenza. E la dissolvenza del Numi piet che si smorza e muore dietro le quinte, ripetendosi ulteriormente, vuol essere tratto caratteristico del personaggio di Aida: suo Leitmotiv anche scenico. Si ripeter in piena simmetria, nel II atto, al passaggio ancora dal primo al secondo quadro: dallappartamento di Amneris a uno degli ingressi della citt di Tebe. litinerario della principessa; la quale, appunto, seguita dalla schiava, esce per partecipare alla pompa trionfale di cui ora sono risuonati, lontani, gli appelli delle trombe e dei cori. Quella lontananza si fa primo piano; e anche questa volta rapidamente. Cambia scena subito; ma la scena dellappartamento di Amneris era corta e a essa pu seguire con facilit, interamente predisposta dietro di essa, una scena lunga: la grande scena del trionfo.

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Dopo che i primi due atti erano divisi ciascuno in due quadri, il III tutto atto del Nilo. Il IV torna a riproporre una bipartizione. Ancora una scena corta la sala, luogo della disperazione di Amneris cede alla grande scena finale divisa in due piani, orizzontalmente. In essa il Tempio di Vulcano ricompare, ma sopraelevato sul corrispettivo sotterraneo. E, ancora una volta, il cambiamento deve aver luogo subito. Ma ecco che, a questo punto, avviandosi verso la conclusione, la drammaturgia dellopera approfondisce e complica quelleffetto di continuit scenica che fino a qui lha segnata, facendo corrispondere a essa un singolare senso di contiguit logistica: logistica e temporale. La sala da cui Amneris segue il processo e la condanna di Radams ha da pensarsi come un ambulacro del Tempio. Il processo ha luogo nel sotterraneo. I Sacerdoti passano per la sala, insieme con il tenore, per scendervi; e per la sala essi ripassano, senza di lui, dopo la ferale condanna. Lidea di far risalire i Sacerdoti in scena dal sotterraneo tutta di Verdi. Cos in una lettera al Ghislanzoni (4 novembre 1870): Io avrei unidea che ella trover forse troppo ardita e violenta Farei ritornare in scena i sacerdoti, ed a vederli Amneris come una tigre scaglierebbe contro Ramfis parole acerbissime. Radams lasciato nel sotterraneo, sepolto vivo. La fatal pietra viene apposta sulla scala. Senza soluzione di continuit i Sacerdoti si raccolgono nel Tempio; dove le Sacerdotesse rinnovano le loro danze e Amneris segue in preghiera.Alloscurit del Tempio si accorda il buio del sotterraneo, che ora viene rivelato agli occhi del pubblico. Qui Radams appare abbandonato sui gradini della scala, al di sotto della pietra che lha chiusa per sempre. Su quei gradini egli e Aida, emersa dalle tenebre pi fitte, intonano il loro addio alla vita. Pace, pace: ad Amneris spetta lultima parola dellopera, su, in alto, davanti allaltare, fra i tripodi da cui sale il fumo degli incensi. L dove la tradizione esecutiva ci ha abituati a un filato in pp su questo re basso (secondo una suggestione musicale che partecipa quanto pi possibile della purezza del canto richiesta ad Aida e a Radams per il loro duetto),Verdi da Amneris, proprio in contrasto con quella purezza vocale, si aspettava unesclamazione colla voce rotta dai singhiozzi e con accento straziante. La continuit temporale con la precedente agitatissima scena postula il protrarsi della vibrazione drammatica. Il fatto che il personaggio di Amneris Verdi lo ha immaginato tutto percorso dalla tensione di una femminilit perennemente inquieta. Nellelenco dei personaggi la Disposizione scenica laveva indicata ventenne, coetanea di Aida (ma questa dellet una delle tante sfide che dalla pagina scritta sogliono alzarsi alla realt effettuale del palcoscenico); molta vivacit, carattere impetuoso, impressionabile sono i dati psicologici della principessa. Dotata di quel certo non so che che si

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Philippe-Marie Chaperon, Interno del Tempio di Vulcano (fondale), bozzetto per la prima di Aida al Cairo (atto IV, quadro I), 24 dicembre 1871 (1871; Parigi, Bibliothque Nationale, Dpartement de la Musique)

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chiama comunemente avere il diavolo addosso Verdi la dice in unaltra lettera a Ricordi: unidea di donna (se non proprio un ideale) fin du sicle. Ricordiamo: Tosca, il personaggio di Sardou, sar tra i progetti dellultimo Verdi; e Amneris vi si approssima di continuo, al limite di una Sarah Bernhardt. per Amneris che Verdi a un certo punto pensa e lidea gli si presenta con leccitazione della grande trovata a Teresa Stolz. E del resto Amneris nasce soprano. Il passaggio della Stolz al ruolo di Aida, comportando tra laltro laggiunta di O cieli azzurri (aria gi tentata e poi esclusa, quindi portata a levigatissimo compimento in chiave di idillio, di odor dEgitto ma come souvenir ai luoghi natii, come balsamo), rientra nella forza delle vecchie convenienze teatrali, nel preconcetto per cui il puro eroe-vittima sembrava appartenere a un rango pi alto dellantagonista: ancora per poco. Attorno al Pace, pace in pp di unAmneris ormai irreversibilmente mezzosoprano, la storia dellinterpretazione di Aida ha visto la falcidia di altre originarie indicazioni verdiane. chiaro: per il finale dellopera il Maestro puntava su una piena spettacolarit. Non avendo potuto collaudare la tenuta della sola presenza di Amneris sul piano sopraelevato del Tempio, questo era pensato gremito di sacerdoti e di sacerdotesse: gli uni immobili, le altre sempre danzanti. Della solitudine di Amneris (vertice del triangolo imminente sulla coppia moribonda nel sotterraneo-tomba) fa invece tesoro la messa in scena moderna di Aida, che affida alla suggestione di interni il canto dei sacerdoti e delle sacerdotesse. La piena spettacolarit del finale comportava una massima mobilitazione scenotecnica. Per lultima mutazione la Disposizione d la sezione in profondit e lo schema frontale dello scenario. La divisione in due piani comporta lingombro di una costruzione, nel gioco corrente delle tele dipinte: quinte, principali, fondali; nella cui bidimensionalit si era tranquillamente (prospetticamente) disposta tutta la monumentale volumetria architettonica delle altre scene. Per esse, dunque, la prescrizione categorica sempre cos insistita di mutazioni rapidissime rispondeva allordine di una scenotecnica comune: purch certo lubrificata al massimo. La concezione scenografica novecentesca volumetrica,costruita, tridimensionale: sensibile alla nuova illuminotecnica, alla suggestione dei tagli di luce ha complicato indefinitamente il destino spettacolare di Aida; ha finito per fare di questopera lo spettacolo da Arene per antonomasia: per teatri, appunto, i quali, per essere en plein air, mancano della precipua disponibilit scenotecnica della tradizione pittorica ottocentesca: mancano della soffitta. chiaro che in questo modo viene tradito per lappunto quel principio di continuit scenica (e alla fine anche di

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contiguit) sul quale lilluminato e vigoroso riformismo del Verdi maturo contava: tanto pi ora, al punto di acuta sensibilizzazione nel confronto con Wagner. Di giorno in giorno il confronto va facendosi collusione storica. Il Lohengrin rappresentato a Bologna il 1 novembre 1871; lAida va in scena al Cairo il 24 dicembre. Si sa bene che Verdi assistette a una replica dellopera wagneriana, in incognito solo nelle intenzioni: dal fondo di un palco, tuttorecchi e tuttocchi, munito di spartito e di matita. Il pubblico di Bologna lo vede e, mescolando al generale tripudio esterofilo clamori patriottici, lo applaude come anti-Wagner. Ancor pi patriottico, comprensibilmente, sar il pubblico della Scala di l a poco, allattesissima Aida. In tutta la documentazione relativa alla preparazione di questopera Disposizione scenica in primis Verdi appare impegnato nella cura di chi, prima del duello, verifichi lefficienza della propria arma: che assolutamente non abbia a incepparsi. Se lopera deve far fiasco, voglio che sia per colpa mia, e non dellesecuzione: cos a Ricordi, allindomani della puntata a Bologna. un duello Verdi lo sa bene che trascende le individualit e coinvolge due culture, due grandi tradizioni musicali, due razze. Da una lettera di questi stessi giorni a Domenico Morelli:
Non dubitate per; lora del risveglio verr, se dimenticheremo la frase fatale Noi siamo stati e ci ricorderemo che siamo duna razza, ed abbiamo un sole, non voglio sapere se pi bello o pi brutto, ma diverso da quello che risplende di l dai monti. Diverso voi mi capite Con questa parola voglio dire arte non forestiera, ma nostra, e dellepoca nostra. Lartista che rappresenta il suo paese e la sua epoca diventa necessariamente universale, del presente e dellavvenire.

Di continuo, gli scritti di Verdi, nella tensione di questi giorni, tendono a sconfinare dal particolare alluniversale.Anche le pagine della Disposizione scenica: con il consueto contrappunto dellepistolario coevo. E da queste enunciazioni proprio il Finale di Aida lo vediamo assurgere al ruolo di summa verdiana musicale-spettacolare. Al Ghislanzoni, il 3 novembre 1870, il Maestro aveva scritto:
Cos un cantabile un po strano per Radames, un altro a mezzaria di Aida, la nenia dei sacerdoti, la danza delle sacerdotesse, laddio alla vita degli amanti, lin pace [sic] di Amneris formerebbero un insieme variato, bene sviluppato; e sio posso musicalmente arrivare a legar bene il tutto, avremo fatto una buona cosa, o almeno cosa che non sar comune; siamo alle frutta; ella almeno.

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Nella Disposizione scenica, per questa scena, a ribadirne il carattere sincretistico (verdiano al massimo: per sovrapposizione di elementi distinti), lappello dellottimismo avveniristico scaturisce dallaridit di una nota tutta pratica, impegnata a precisare la dislocazione dei maestri di palcoscenico per le varie, delicate mansioni:
Per tal modo si potr assicurare una perfetta esecuzione musicale, per quanto sembri difficile ottenere un insieme con tante suddivisioni di parti, semprech vi sieno persone istrutte, intelligenti ed amanti dellarte: il che a sperarsi si verifichi nei nostri teatri.

Infine:
E nel chiudere queste indicazioni sceniche, non posso ristarmi dal raccomandare a tutti coloro che sono preposti alla messa in scena, di non trascurare ogni bench minimo dettaglio, per quanto sembrar possa insignificante. Coi progressi attuali del dramma musicale, qualunque movimento ha la sua ragion dessere, e non sono permesse le antiche convenzionalit sceniche.

Dalla Francia allItalia, dal secondo Ottocento al primo Novecento (in Italia, da Verdi a Boito, a Puccini, nellambito di Casa Ricordi; e da Giordano a Leoncavallo e a Mascagni, in quello di Casa Sonzogno) le Disposizioni sceniche rispondono a un assioma: tanto scontato ai loro tempi quanto flagrantemente smentito ai nostri tempi. Lassioma era quello secondo cui lautore di unopera si attendeva da parte dei metteurs-en-scne totale, tautologica fedelt ai propri dettami (che erano poi tuttuno con i dettami del librettista). Da questo punto di vista si pu dire che il moderno interesse per le Disposizioni sceniche da trentanni in qua si sia suscitato fuori tempo massimo: sia dunque tutto retrospettivo, storico, filologico, magari simpaticamente erudito; vivo, in quanto capace di farci penetrare nel cuore delle idee, delle intenzioni, della poetica del compositore. interesse profondamente musicale. Resta pur sempre interesse specificamente spettacolare; ma afferisce tutto alla storia dello spettacolo; non ha pi alcuna possibilit di influenzare lattuale interpretazione scenica, la concreta visualit melodrammatica; evaporata la funzione che aveva occasionato i curiosissimi opuscoli. Il loro primo destinatario si visto era il direttore di scena (o rgisseur); che per lappunto la Disposizione scenica di Aida ci ha mostrato investito di compiti progressivamente elevati. E tuttavia fatale fu il passaggio da quelle responsabilit ancora sempre al grado indotto direttamente dal compositore, o comunque dal testo scritto: libretto, spartito, partitura verso una sempre pi sicura libert di iniziative persona-

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li, verso quella autonomia che i registi programmaticamente (quando non sfrontatamente) via via si sono arrogati. da tempo che essi aspirano alla titolarit dellevento interpretativo: quanto meno alla pari con il direttore dorchestra. Il peso specifico del quale ancora nel passaggio dal XIX al XX secolo per parte sua, era cresciuto a dismisura. Intanto, dalla prima alla seconda met del XX secolo, la storia dellopera labbiamo vista volgere verso il proprio tramonto; un tramonto anche ricco di bagliori (come si dice), ma sempre pi frastagliato di nuovi sperimentalismi drammaturgici e spettacolari. La sintesi sommaria attraverso cui si procede tende semplicemente alla verifica di unattualit: di un costume esecutivo, se vogliamo, quale ha finito per imporsi nella vita dei nostri teatri. Il regista dopera moderno trova le maggiori chances alla propria professionalit nel passato; i suoi referenti, dunque, sono fantasmi. E se le partiture fanno sempre testo per i direttori dorchestra e per i cantanti, i libretti hanno finito per farne sempre meno; e meno che mai allinterno di essi le didascalie: azioni e ambientazioni. Che lo scardinamento epocale sia stato determinato da Wagner circostanza che ha imposto rilevazioni e riflessioni alquanto problematiche. Sempre sommariamente:Wagner rivoluzionario musicale consapevole e calcolatissimo, e invece apprenti sorcier sul piano della messa in scena pretendeva anchegli la fedelt massima dai propri allestitori, nel teatro che un re gli aveva messo a completa ed esclusiva disposizione. Solo che, chiedendo loro letteralmente limpossibile, dopo aver messo alle corde la scenotecnica e la sensiblerie spettacolare del suo tempo e ancora del tempo della generazione a lui successiva (fino a tutta la reggenza di Cosima, nel sacrario di Bayreuth), ha visto la precipitosa fuga per la tangente dei propri nipoti: per lappunto registi,Wieland e Wolfgang Wagner, oltre che reggitori del sacrario per lineare successione dinastica. E con loro, e dopo di loro, la dluge. Tuttavia, prima che il diluvio si generalizzasse sui palcoscenici operistici di tutto il mondo, e assai prima che la globalizzazione (ineludibile, per forza, anche in questo campo) ingenerasse acquiescenze varie le pi ingenerose non di rado proprio la storia della messa in scena melodrammatica italiana aveva conosciuto un tempo felice di fedelt. Fu fedelt che, per essere molto profonda, ebbe il grato sapore di novit e il senso sorprendente di preziosi recuperi. Parliamo di quella che per qualche lustro tra gli anni Cinquanta e Sessanta potuta apparire e affermarsi nel mondo come scuola italiana. Fu la scuola di Luchino Visconti: per dire un nome in grado di compendiarla nelle sue variegature, nellassunzione di qualche precedente e nella prospettiva di un largo seguito. Fu scuola, in quanto partiva da unidea e in quanto possedeva un metodo. E infatti ebbe molti adepti.

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N si pu tacere il rammarico che lapprossimazione endemica della vita culturale italiana, e di quella teatrale in specie, abbia impedito che essa mettesse radici pi profonde e si istituzionalizzasse in vitale organicit. Lidea era di ordine storicistico: ritrovare quella che fu la realt degli antichi spettacoli per verificarne la possibilit di una riproposta, o quanto meno la forza di una suggestione che orientasse elaborazioni congrue ed eloquenti alla sensibilit e alla fantasia del nostro tempo. Il metodo era la documentazione: scandagli nel grande patrimonio dellantica, gloriosissima scenografia italiana e oltre negli orizzonti della storia dellarte (e del costume) prossimi nel tempo e nello spazio alle opere da rappresentare. N Visconti n i viscontdi ebbero modo di imbattersi in quei documenti capitali che sono le Disposizioni sceniche. Non c da dubitare che le avrebbero lette con molta partecipazione. Si pu ora tornare alla nostra Aida. Nel 1963 Franco Zeffirelli firma lo spettacolo di una grande Aida alla Scala. Gi forte di una personale preparazione antiquaria (fiorentina), egli era partito come scenografo, costumista e aiutoregista di Visconti, ed era diventato ben presto scenografo-costumista-regista in proprio. Ora, per le scene e per i costumi di questa Aida si vale di unartista carissima allentourage viscontiano: Lila De Nobili, francese, connotata da un flou impressionistico, non lontano da certi esiti di Christian Brard. Dirigeva Gianandrea Gavazzeni; il cast era costituito da Leontyne Price, Fiorenza Cossotto, Carlo Bergonzi, Piero Cappuccilli e Nikolai Ghiaurov. Fu uno spettacolo fatto di scene dipinte; che per altro, ovviamente, non rinunciava ai praticabili. In particolare, alla scena del trionfo, si issarono alte e ripide tribune sia per la Corte faraonica che per i Sacerdoti. Ma i volumi quasi si smaterializzavano nel colore: nel prezioso cromatismo dei costumi indossati dagli astanti, che occupavano quelle strutture. Nello scorcio del fondale era addirittura dipinta la folla accalcata in lontananze polverose e dorate: ammiccamento toccante a unantica ingenuit scenica. Invero, su tutto lo spettacolo aleggiava un garbato sentore ottocentesco: cos nei panneggi che incorniciavano le scene, come nei tendaggi di gusto orientale che in qualche caso ne costituivano la copertura; gli abiti femminili dalto rango esibivano sontuosi coulissons. Si respirava laria di una pompa pi vicina alla corte di un Kediv che non a quella di un qualche remoto Ramsete. Uno straordinario dettaglio: la cosiddetta danza dei Moretti, nel boudoir di Amneris, suscit il sussulto di una agnizione stilistica (musicale) esattissima, nello sfarfallio di quei costumi belle poque; a ballare erano ballerine, non piccole allieve della scuola di danza tinte di nero. Fu quasi un siero della verit in rapporto al Verdi che s visto tanto sdegnosamente aborriva dal venir confuso con Offenbach.

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Soprattutto, nellAida di Zeffirelli-De Nobili, luso delle scene dipinte fece giustizia dei ripetuti tradimenti perpetrati dalle scene costruite, nel senso che recuper la fluida fedelt alle intenzioni originarie verdiane, quali emergono con tanta evidenza dalla nostra Disposizione scenica. Del tutto indipendentemente dalla conoscenza di essa, dunque, si adempiva limperativo nuovo e moderno di una continuit di rappresentazione. In particolare, per la scena finale, orizzontalmente bipartita, si ricorse a una soluzione tanto congrua quanto scenotecnicamente aggiornata: la contiguit logistica e temporale presupposta in quel cambiamento di scena si obiettivava con il sollevamento a vista del palcoscenico e con la conseguente rivelazione del sotterraneo.Visibile anche, ed emozionante, loperazione di chiusura, per via di argani, della fatal pietra. Ripreso trentanni dopo, con poche varianti, allOpera di Roma, lo spettacolo ha riconfermato il proprio fascino: cosa rara, stante il fatto che la vita naturale di una messa in scena ancorch nata nel migliore dei modi in genere assai pi breve. Alle scene e ai costumi dellAida scaligera Zeffirelli aveva fatto parziale ricorso anche nel film Il giovane Toscanini (il passaggio dal posto di primo violoncello al podio, avvio della formidabile carriera direttoriale, si sa bene che si verific proprio in occasione di unAida, a Rio de Janeiro, nel 1886:Toscanini diciannovenne). Che poi in tempi pi prossimi lo stesso regista sia passato, sempre per Aida, dal formato tascabile del Teatro di Busseto alla dilatazione dellArena di Verona fatto che d la misura della sua brillante versatilit. Si accenner solo che lAida di Busseto fu una scommessa al limite, giocata con disinvoltura; mentre lAida areniana (necessariamente volumetrica, anzi modernamente materica) entrata autorevolmente nel destino che ha presieduto fin dal principio alla conversione melodrammatica dellinsigne monumento romano. storia famosa: quella fortunatissima conversione avvenne con Aida esattamente novantadue anni or sono.
1 Fondamentale, per le citazioni dallepistolario verdiano per questa come per le altre del presente studio in quanto organizzate entro lampio racconto della genesi di Aida, resta il III volume del Giuseppe Verdi di Franco Abbiati (Ricordi, Milano 1963).

Cfr. Gino Roncaglia, Galleria verdiana, Curci, Milano 1959. Cfr. Saleh Abdoun, a cura di, Genesi dellAida, Quaderni dellIstituto di studi verdiani, 4, Parma 1971; Ursula Gnther, Zur Enstehung von Verdis Aida, Studi musicali, rivista dellAccademia di Santa Cecilia, II, Roma 1973, n. 1; Philip Gossett, Verdi, Ghislanzoni and Aida:The Uses of Convention, Critical Inquiry, rivista della Chicago University, I, n. 2, 1974. 4 Cfr. Luciano Alberti, I progressi attuali [1872] del dramma musicale. Note sulla Disposizione scenica dellopera Aida, in Nino Pirrotta, Marcello Conati, a cura di, Il melodramma italiano dellOttocento. Studi e ricerche per Massimo Mila, Einaudi,Torino 1977.
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Fedele. DAmico, Sessantacinque anni, che Melodramma, LEspresso, 12 giugno 1977; anche in F. DAmico, Tutte le cronache musicali, II, LEspresso 1967-1989, Roma 2000. 6 Casa Ricordi, sotto la dizione Musica e Spettacolo viene pubblicando una Collana di Disposizioni sceniche diretta da Francesco Degrada e Mercedes Viale Ferrero. Si indicano qui i volumi dedicati a opere di Verdi: James A. Hepokoski, Mercedes Viale Ferrero, Otello, Ricordi, Milano 1990; Marcello Conati, N. Grilli, Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi, Ricordi, Milano 1993; David Rosen, Marinella Pigozzi, Un ballo in maschera, Ricordi, Milano 2002. 7 Casa Sonzogno, nel primo dei due volumi dedicati alla propria storia (Mario Morini, Nandi Ostali, Piero Ostali jr., a cura di, Casa Sonzogno, I, Testimonianze e Saggi. Cronologie, Casa Musicale Sonzogno, Milano 1995), ha pubblicato lo studio di Luciano Alberti, Le Messe in Iscena di Casa Sonzogno.

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