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Evoluzione dello spazio scenico 25/11/19, 18)57

Evoluzione dello spazio scenico


a cura di MARCELLO MAJANI

La scenografia

1. Scenografia e rappresentazione dello spazio

2. La scena del teatro greco

3. La scena del teatro romano

4. La scenografia nel Medioevo

5. La scenografia rinascimentale e barocca

Il teatro Olimpico di Vicenza

Sebastiano Serlio

Nicola Sabbatini

Giacomo Torelli

Andrea Pozzo

6. La scenografia dal neoclassicismo all'ottocento

La scena d'angolo dei Bibiena

Alessandro Sanquirico

La riforma wagneriana dell'edificio teatrale

7. La scenografia del XX secolo e contemporanea

La rinascita della scena costruita e il ruolo della luce

La scena delle avanguardie artistiche

Evoluzione del palcoscenico

La frammentazione del linguaggio scenografico e la scena digitale

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Scenografia e rappresentazione
dello spazio
Scenografia, parola di derivazione greca, che sta ad indicare tutti quegli
accorgimenti destinati a dare l'illusione dell'ambiente nel quale si svolge
l'azione drammatica.
L'evoluzione della scenografia teatrale è da sempre strettamente legata
al problema della rappresentazione dello spazio poiché, al pari della
pittura, si prefigge di ricreare l'immagine di uno spazio architettonico
dotato di tre dimensioni, e dunque di profondità.
Tuttavia, fin dai tempi più antichi, la volontà di rendere credibili le
rappresentazioni visive, in particolare quelle pittoriche, si è scontrata con
la difficile trasposizione grafica della tridimensionalità del mondo esterno
sulla bidimensionalità del supporto materico di quelle immagini.
Quindi nel corso dei secoli, le intuizioni spontanee e le conoscenze
geometriche relative ai metodi di rappresentazione hanno trovato nella
scenografia un campo di immediata applicazione e sperimentazione.

La scena del teatro greco


La tipologia più diffusa del teatro greco consta generalmente di un
palcoscenico rettangolare sul cui fondo si erige una parete ricca di
elementi architettonici, generalmente di pietra, che fungeva da
diaframma tra lo spazio drammaturgico dell'azione e il retroscena, che
doveva restare invisibile agli spettatori.
Il palcoscenico era collocato in età più antica sullo stesso piano
dell'orchestra poi, probabilmente dopo il 200 a. C., rialzato rispetto al
livello dell'orchestra.
La scena, ricca e imponente, era fornita di numerosi portali d'accesso
che, a seconda della loro imponenza architettonica e ricchezza
decorativa, differenziavano l'ingresso in scena del personaggio principale
rispetto a quelli minori.

Nell'antica Grecia, sebbene la maggior parte delle testimonianze


pittoriche siano andate perdute, nei dipinti vascolari possiamo osservare
come l'allusione alla profondità dello spazio venisse realizzata mediante
rudimentali scorci, oppure con lo scaglionamento di numerosi piani, sia
verticali sia orizzontali;
analogo espediente illusorio fu usato anche nelle scene teatrali, per le
quali Agatarco di Samo (440 a.C.), scenografo delle opere di Eschilo
Sofocle, fu il precursore.

Ricostruzione della scena del teatro di Dioniso in Atene Nelle campate di alcuni portali della scena potevano trovarsi quindi
questi fondalini dipinti con immagini pseudo-prospettiche, volte a
sfondare la superficie del supporto e ad animarla con piani scaglionati
secondo profondità diverse.
Immagini venivano disposte anche sulle facce dei cosidetti periaktoi
quinte girevoli di forma prismatica che permettevano veloci cambiamenti
di scena;
la forma prismatica a base triangolare consentiva infatti di mostrare al
pubblico nella cavea solo la faccia posta frontalmente, rendendo
praticamente invisibile la decorazione pittorica delle restanti due, a causa
del violento scorcio prospettico.
Per quanto concerne il loro utilizzo le teorie sono contrastanti, poiché vi
è chi sostiene che non servissero per mutare la localizzazione della
scena all'interno della rappresentazione ma che avessero come scopo
quello di indicare quale genere fosse in corso di rappresentazione: non a
caso difatti sono triedrici, mostrando quindi tanti lati quanti sono i generi
letterari teatrali del mondo antico: Tragedia, Commedia e Satira.
Non è possibile stabilire le dimensioni reali dei periaktoi e nemmeno
quale fosse il meccanismo utilizzato per ruotarli.

Da Giulio Polluce, grammatico di origine egiziana del II secolo d.C.,


otteniamo informazioni anche sull'utilizzo di altre tipologie di macchinari

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utilizzati sul palco quali macchine per i voli, utilizzate soprattutto per
l'apparizione delle divinità sulla scena, piattaforme su ruote con
movimento di andata e ritorno o con movimento rotatorio, botole aperte
sul piano del palcoscenico per l'entrata o l'uscita di altri apparati da
sotto il palco nonché l'utilizzo dei macchinari progettati per riprodurre dei
rumori naturali, come ad esempio la macchina per simulare per il tuono.
Per ciò che concerne i macchinari utilizzati per l'ingresso delle divinità in
scena vale la pena citare l'espressione Deus ex machina, la quale è una
frase latina a sua volta mutuata dal greco: "il dio che viene dalla
macchina".
Era definita mechàne (elevatore) la piattaforma di legno, mossa da funi
tramite argani e carrucole che faceva calare in scena dall'alto la figura
della divinità; di questo espediente scenotecnico dovette servirsene
abbondantemente Euripide, nei cui testi sono ricorrenti le apparizioni di
Dei.

Ipotesi di posizionamento dei periaktoi sul proscenio

Ricostruzione morfologica dei periaktoi

La scena del teatro romano


La disposizione della scena nel teatro romano non si discosta di molto
rispetto agli esempi dei predecessori greci, se non per un fasto ancora
maggiore attribuito alle scenografie di pietra, generalmente a tre piani,
secondo la tipologia architettonica in uso degli ordini sovrapposti.

Nonostante i progressi nel campo della rappresentazione pittorica


dovute alle interessanti intuizioni di poeti e pittori sull'apparente
convergenza verso un punto delle rette parallele orizzontali osservate

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lungo facciate di edifici e colonnati, in campo teatrale non viene


apportata alcuna nuova intuizione o progresso ai fini dell'evoluzione della
moderna scenografia.

Modello di teatro romano con la sua imponente scena architettonica

La scenografia nel Medioevo


Il teatro medievale non possedeva edifici stabili e dunque rimase legato
al concetto di "festa", da allestire solo occasionalmente.
Le prime scenografie del tempo non erano altro che una porzione di
spazio ritagliata da quello reale della piazza mediante la costruzione di
un palco e l'apposizione di un fondale sommariamente dipinto.

La non chiara conoscenza dello spazio come entità astratta e omogenea,


così come la mancanza di un metodo coerente per la sua
rappresentazione, furono i principali motivi per i quali, in epoca
medievale, non esisteva il concetto di "spazio scenico" ma piuttosto
quello di "spazio plastico reale", nel quale l'attenzione era incentrata
sulla sistemazione degli arredi e degli oggetti utili alla drammaturgia.
Il fondale dipinto, situato al di là di quegli oggetti, costituiva solo un
riferimento ai "luoghi deputati" all'azione, una sorta di ambientazione
non partecipe in termini di relazioni spaziali con i pochi elementi di
arredo antistanti, necessari a qualificare il luogo.
Sul palcoscenico erano già allestite tutte le ambientazioni, in ciascuna
delle quali sarebbe stato rappresentato un preciso brano del testo, e al
pubblico veniva chiesto lo sforzo di isolare l'attenzione sulla sola parte di
scena in cui si svolgeva quella determinata azione.

Per quanto riguarda il teatro drammatico, che veniva per lo più


rappresentato nelle chiese, con soggetti esclusivamente a sfondo
religioso, gli attori usavano illuminare, ove possibile, il solo luogo
deputato dell'azione, facilitando così lo sforzo immaginativo del
pubblico, non più distratto dagli altri scorci lasciati in penombra.

Carro mobile medievale per rappresentazioni itineranti

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La scenografia rinascimentale e
barocca
La prospettiva e la nascita della
scenografia moderna.
Quando nel Rinascimento, ad opera di alcuni artisti-scienziati quali
Leon Battista Alberti, Piero della Francesca e lo stesso Leonardo, venne
codificata in maniera scientifica la cosiddetta perspectiva artificialis
campo scenico ritroviamo, attraverso alcuni significativi esempi, i
momenti della svolta verso la nuova concezione dello spazio.
Costruzione prospettica rinascimentale con "taglio" dei raggi visuali
Si stabilì in quegli anni un immediato rapporto tra scenografia e
architettura che per alcuni secoli fece coincidere i due termini, fra
contaminazioni e interpolazioni, in un binomio unico per lo spazio della
rappresentazione.
L'applicazione del metodo prospettico alla scena teatrale condusse
all'abbandono dell'allestimento multiplo medioevale e all'unificazione del
quadro scenico; in secondo luogo, la scoperta delle capacità illusorie
della prospettiva offrì la possibilità di rappresentare una voluta
profondità in uno spazio minore, o addirittura su fondali piani, creando
una netta separazione tra l'ambiente reale della sala, dove siedono gli
spettatori, e quello illusionistico della scena, dove gli attori devono agire
in modo da non svelare la presenza di leggi spaziali e rapporti
dimensionali truccati.
Viene così a determinarsi, per la prima volta, la dualità spaziale
caratteristica dell'edificio teatrale italiano, in cui il palcoscenico è
separato dal pubblico attraverso una parete-diaframma, chiamata
boccascena, che incornicia l'immagine illusionistica di quello spazio.
Tutt'oggi, sebbene non venga più utilizzata come norma la prospettiva
centrale, la progettazione delle scenografie risente comunque di tale
retaggio del passato.

Dall'inizio del XVI secolo si diffuse la pratica degli spettacoli con


palcoscenici dedicati realizzati all'interno delle residenze signorili delle
diverse città italiane ed un buon scenografo, e di conseguenza anche
Il boccascena nel teatro all'italiana scenotecnico, poteva essere motivo di grande prestigio per il signore di
una corte.
Il sistema della scena fissa, scelto dal Palladio per il Teatro Olimpico di
Vicenza, fu subito dismessa in favore di un palcoscenico
tendenzialmente vuoto al fine di poterlo meglio adattare all'utilizzo di
ogni tipo di scenografia e di macchine scenografiche.
Per il cambio rapido di scena prese infatti grande voga la quinta su
telaio detta armata, costituita da un fondale inchiodato ad un'intelaiatura
lignea inserito in scena dal lato o calato dal soffitto; oppure
interamente in tela con due strisce di legno in testa ed al piede
esclusivamente calante dall'alto.

In seguito, nella pratica costruttiva dei palcoscenici era d'abitudine la


disposizione a scalare delle quinte; le quali, al fine di accentuare la
capacità prospettica di un palco di profondità limitata, erano disposte
sempre più vicine fra loro con il crescere della distanza che le separava
dal boccascena.
Quindi lo spazio praticabile nella zona del palcoscenico più remota era
nettamente inferiore rispetto a quello del boccascena, quasi il 50% in
meno, e le quinte angolari, rappresentanti di solito palazzi cittadini o file
di alberi, nel procedere verso il fondale diminuivano di altezza. Questo
espediente era necessario per poter accentuare l'effetto prospettico ma
qualora vi si fosse posto vicino un attore in carne ed ossa il gioco della
prospettiva sarebbe caduto immediatamente.
Spazio prospettico illusorio con quinte laterali, cielini e fondali
Tuttavia, la sproporzione ingannevole della scenografia, non era un
problema per gli attori, i quali recitavano solamente a ridosso del
boccascena per motivi di visibilità e di illuminazione, anzi, la disparità di
dimensioni fra gli apparati scenografici prossimi al fondale e le figure
umane in carne ed ossa venne tramutato in un punto di forza dagli
scenografi e scenotecnici dell'epoca per una maggiore resa d'effetto
nell'entrata in scena delle glorie celesti e dei trionfi, nei quali, essendo le

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figure umane di molto sproporzionate rispetto alla realtà scenica


circostante, parevano essere realmente delle entità soprannaturali dalle
dimensioni grandiose.

Nelle corti il ruolo di scenografo, o di architetto teatrale era affidato a chi


già si occupava di mansioni simili presso la corte, quali appunto
l'ingegnere militare, l'architetto militare, il pittore o l'architetto civile.
A partire dal XVI secolo vengono a sovrapporsi le mansioni dello
scenografo, dello scenotecnico e dell'architetto teatrale.

Cambio di scena in un allestimento di Stefano Landi (1634)

Architettura e scenografia del XVI secolo

Teatro Olimpico di Vicenza


Un significativo esempio del nascente sviluppo del teatro rinascimentale
e della scenografia è testimoniato dal Teatro Olimpico di Vicenza di
Andrea Palladio, con le prime scenografie costruite in prospettiva solida
da Baldassarre Peruzzi.

Per prospettiva solida accelerata si intende quella costruzione


geometrica che, imponendo studiate deformazioni agli elementi plastici
della scena, permette di simulare illusoriamente profondità molto
maggiori di quelle realmente disponibili lungo il piano del palco.
Le sette prospettive solide accelerate sono costituite da scene fisse e
immutabili che servirono per la prima rappresentazione dell'Edipo re e
Teatro Olimpico: sezione longitudinale sulla quinta in prospettiva solida accelerata raffigurano le vie di Tebe.

Le tre principali si dipartono dalla porta regia (varco centrale del fronte
scena), due dagli hospitalia (archi laterali) e altre due dalle porte delle
versure. La via regia, pavimentata in legno come tutte le altre, si sviluppa
in una profondità reale di 12 m., ma la sua apparente estensione viene
notevolmente accresciuta dagli artifici adottati dallo Scamozzi: la finta
strada infatti è soggetta a una forte accelerazione prospettica nei due lati
in fuga dovuta al restringimento verso il fondo della sezione trasversale; il
ripido pavimento presenta una pendenza del 20% e le rette di colmo dei
vari edifici che la fiancheggiano tendono a un punto di comune
convergenza.

Avendo funzione assolutamente illusoria, le vie dello Scamozzi non


devono essere percorse dagli attori che, paragonati alla dimensione reale
delle scene, apparirebbero giganteschi, denunciando così la finzione
spaziale in atto.

Teatro Olimpico: la scena architettonica fissa di derivazione romana (scaena frons)

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Sebastiano Serlio
Il primo trattato sulla costruzione delle scene, pubblicato nel 1545
dall'architetto Sebastiano Serlio, dà inizio a una lunga tradizione di
trattatistica sulla scenografia teatrale, che tuttavia si riallaccia ancora ad
autori del passato quali Vitruvio ed Euclide.

Va riconosciuto al Serlio il merito di aver intuito per primo che il punto di


fuga F delle rette ortogonali al fronte del palco non coincide con il punto
principale P della prospettiva dipinta sul fondale, ma si trova oltre il piano
stesso, verso il quale quelle rette convergono con il metodo del
"traguardare". Il trattato del Serlio descrive poi i tre tipi essenziali di
scene che, seguendo la tradizione vitruviana, sono la tragica, la comica
e la satirica.
La solennità dell'evento narrato nella scena tragica è simboleggiata dagli
edifici nobiliari in perfetto stile rinascimentale mentre nella seconda
scena, invece, compaiono case popolari di stampo tardo-medievale; di
ambiente silvestre la scena satirica.
A partire da questo autore un numero sempre crescente di trattatisti
comincia a dedicare intere parti della propria opera alla scenografia
teatrale, e al modo di adattarvi le leggi prospettiche.

Le principali caratteristiche del successivo teatro barocco sono la


creazione di "atmosfere suggestive", mediante l'ausilio di effetti ottici e
sonori volti a un godimento dello spettacolo di natura prevalentemente
sensuale e la spettacolarità, ossessivamente ricercata. La necessità di
stupefacenti e frequenti mutamenti di scena stimolò la fantasia degli
scenografi barocchi verso la ricerca di nuovi meccanismi per facilitare la
rapidità delle sostituzioni.
Mutevoli paesaggi marini, nuvole cupe improvvisamente incombenti
dall'alto, scorci di strade cittadine, caverne e rocce possenti sono solo
alcuni degli elementi sui quali il teatro barocco basava la sua
spettacolarità.

Sebastiano Serlio: scena tragica, comica, satirica

Nicola Sabbatini
Del pesarese Nicola Sabbatini, personaggio a cavallo fra la fine del
manierismo ed il barocco, ci rimane il trattato: Pratica di fabbricar
scene e macchine nei teatri pubblicato nel 1638 e nel quale tratta di
ogni elemento necessario alla scenografia del suo tempo, dalle regole
per la creazione di una prospettiva su di un fondale, all'inclinazione da
dare alle gradinate della platea o del palco, dall'illuminotecnica alla
scenotecnica vera e propria, ossia alla modalità di progettazione di
macchinari per i vari scopi. Insieme a Sebastiano Serlio è ritenuto uno
dei creatori dell'illuminazione artificiale dei teatri.

A lui si attribuisce la prima invenzione di un riflettore, ossia di


un'attrezzatura in grado di illuminare il palco attraverso una superficie
riflettente, il che può offrire una capacità di modulazione del fascio
luminoso molto maggiore rispetto alla luce diretta.
Pare che abbia collocato un catino lucidato dietro ad una lampada,
riuscendo a direzionare il fascio di luce in una precisa zona del palco.
Esperimenti di questo genere erano nello spirito del tempo, quando si
Ristampa del celebre trattato di Sabbatini e disegno di macchina scenica avvertì la necessità di una maggiore suggestione spettacolare e poter
colorare, graduare e direzionare la luce era un passo fondamentale.
Sempre a Sabbatini si attribuisce l'introduzione del cambio di

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illuminazione coordinato con il copione, fu inoltre il primo ad utilizzare le


lanterne magiche per proiettare le immagini sul palcoscenico e a creare
degli strumenti per effetti acustici, come la "scatola del tuono", un
macchinario che consisteva in pesanti sfere di ferro (attorno ai 15
chilogrammi) o di pietra, le quali venivano fatte rotolare al disopra di
scale di legno quando l'effetto era richiesto dal copione.

Giacomo Torelli
Proprio in quegli anni la progettazione degli edifici teatrali ebbe il suo
massimo sviluppo, arrivando a un modello largamente accettato da tutte
le nazioni: la pianta a ferro di cavallo, l'area riservata agli orchestrali, la
ricchezza del boccascena e l'estensione del palco condizionata dalla
presenza dei nuovi macchinari.

Per rendere possibili tali spettacolarità fu necessario abbandonare la


disposizione a casamenti della scenografia rinascimentale, formata da
ingombranti elementi volumetrici, per adottare soluzioni progettuali più
agili quali ad esempio i pannelli a telaio, assolutamente piatti, in
posizione frontale rispetto agli osservatori, e ripetuti in serie uno dietro
l'altro. Il soggetto viene dunque scomposto in una serie di immagini
pittoriche disposte per lo più parallelamente al boccascena: la
scenografia barocca dunque non costruisce più lo spazio ma lo raffigura
dipinto al fine di rendere più agevole l'illusione di paesaggi fantastici.

E' possibile cogliere il passaggio dalla scena costruita rinascimentale a


quella dipinta nelle scenografie del fanese Giacomo Torelli (1608-1678)
soprannominato "il grande mago", nella quali la visionarietà barocca
Bozzetto scenografico di Giacomo Torelli diventa la protagonista dell'immagine e dello spazio della scena.
Giacomo Torelli perfezionò l'uso delle quinte forate e contornate con
rinforzi in legno sottile o tela che consentivano eccezionale rapidità dei
cambi di scena; portò al massimo punto di espressione anche la tecnica
del punto di fuga centrale e della prospettiva infinita. Torelli si dedicò
anche alla progettazione delle macchine teatrali necessarie per
esprimere le innovazioni da lui introdotte, in grado di trasformare le
scene sotto lo sguardo sbalordito degli spettatori. Questo accorgimento
di "mutazione a vista", elimindo di fatto le lunghe pause necessarie
cambi di scena, andava inoltre a vantaggio della fuidità della narrazione.

Sistema di scorrimento delle quinte

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Andrea Pozzo
Il gesuita Andrea Pozzo, nel suo trattato Perspectiva pictorum et
architectorum (1693), propone chiare regole prospettiche per la
costruzione delle scene.
Il problema geometrico, affrontato chiaramente per la prima volta,
consiste nell'individuare nella sala il punto di visione privilegiato, centro
della proiezione che regola lo spazio prospettico della scena (indicato nel
testo originale con la lettera F).
Prolungati i fianchi del palco, i relativi allineamenti risulteranno
convergenti verso un unico punto (punto di fuga della scena in
prospettiva solida), la cui distanza, ribaltata dal lato del pubblico,
individuerà il punto di vista cercato (V).
Dai disegni dello stesso autore, il centro di vista così definito cade in una
Andrea Pozzo: individuazione del punto di vista privilegiato della scena (V) zona inaccessibile agli spettatori, così da non privilegiare alcuna
specifica posizione in sala. Sebbene con alcune non sostanziali
modifiche, il sistema proiettivo definito da Andrea Pozzo, ancora oggi
rappresenta la base della moderna prospettiva solida teatrale.

La scenografia dal
neoclassicismo all'ottocento
Nei primi anni del Settecento, la scenografia è ancora dominata
dall'impianto prospettico barocco, ma in questo stesso periodo il
sistema degli assi visivi si complica e si arricchisce di nuove possibilità
espressive.
Si realizza una nuova forma, apparentemente irregolare, in cui,
rinunciando all'asse unico centrale, si moltiplicano i punti di fuga.
Questa nuova forma in realtà è controllata tecnicamente ancora una
volta dall'applicazione rigorosa delle regole prospettiche.
La veduta per angolo e la prospettiva a fuochi multipli sono le due
formule in cui si riassume l'ottica scenica del Settecento, identificata con
il lavoro della famiglia di scenografi ed architetti dei Galli da Bibiena

La nuova macchina prospettica usa comunque lo spazio del


palcoscenico in termini diversi rispetto al Seicento: divide la profondità
del palco in due parti progettando a misura d'uomo gli elementi del
proscenio e del primo settore e utilizza per l'immagine prospettica il
restante spazio.
Scena d'angolo di Ferdinando Galli da Bibiena Si conferma quindi ancora lo scollamento fra i due protagonisti assoluti
dello spettacolo, l'attore-cantante e la scenografia: distacco inevitabile e
dichiarato.
Il cantante conduce l'azione del dramma nel e dal proscenio; la scena,
costruita sullo sfondo, è conclusa in se stessa e vive una propria realtà
figurativa.
Muta a vista nel corso dello svolgimento dello spettacolo e rimane una
grande macchina ottica la cui finalità visiva non ha un vero e proprio
rapporto con l'azione ma offre pretesti a invenzioni più o meno
complesse, originali e tese soltanto a catturare l'attenzione dello
spettatore.
Questo secolo vede anche la nascita di un nuovo genere che divenne
molto popolare in poco tempo: l'opera buffa, genere che utilizzava
molto le scene domestiche e gli ambienti rustici.

La stagione dell'illuminismo e della monarchia illuminata comporterà un


mutamento nei costumi e nelle attitudini sociali.
Si ricercherà nelle rappresentazioni sceniche uno stile la cui bellezza
Esempio di scenografia con elementi plastici praticabili tridimensionali nascesse dalla finezza della sobrietà più che dal tripudio delle
decorazioni, più dalla soddisfazione intellettuale offerta dalla trama e
dalle liriche che non dall'appagamento dell'occhio.
Gli effetti meravigliosi e stupefacenti del teatro barocco vennero
aspramente criticati come causa della decadenza dei contenuti morali e
sociali delle opere rappresentate: da qui la necessità di realismo e

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correttezza dell'ambientazione storica e geografica del soggetto


rappresentato, in consonanza con le nuove teorie estetiche di Johann
Joachim Winckelmann (1717-1786).

La formula teatrale iniziò a cercare nei nuovi ideali della ragione la sua
nuova modernità.
L'esigenza di scenografie che descrivano in maniera veritiera le
ambientazioni e i luoghi, il ritorno del fascino dell'antico anche se in
forma di rovina, l'equilibrio compositivo e luministico sono solo alcuni dei
temi di ricerca della nuova messa in scena neoclassica.
Quindi le messinscene accentuarono la ricerca verso l'imitazione più
realistica possibile della natura e della vita quotidiana con il richiamo ad
un'estetica più essenziale.
Esempio di scenografia "di camera" con arredi e suppellettili di uso comune Venne conseguentemente stigmatizzata la pratica delle grandi variazioni
sceniche quindi si dismisero anche i grandi macchinari per il moto
scenico in auge nel secolo precedente e si puntò la ricerca scenotecnica
e scenografica su altri aspetti.
Così il teatro dei carri volanti, delle glorie immerse nelle nuvole terminò la
propria parabola insieme alle macchine progettate all'uopo.

Si pose inoltre al centro della riflessione, ancora oggi in corso, sulla


libertà espressiva della scenografia rispetto al testo analizzato in chiave
interpretativa e critica, piuttosto che descrittiva. Cioè il tema del rapporto
tra testo, ambientazione storica, evocazione stilistica e libera astrazione.

Un'altra innovazione teatrale del periodo neoclassico si verifica sul piano


del colore e dell'illuminazione, attraverso l'abolizione delle abbaglianti
file di lumi lungo il proscenio, a favore di un'illuminazione di tipo tonale,
di intensità diversificata a seconda delle varie parti della scena e in grado
di dosare sapientemente zone di luce e di ombra.
La vera rivoluzione della luce avvenne con l'introduzione
dell'illuminazione a gas, dal 1822 presente all'Opera di Parigi dal 1850
presente in tutti i teatri d'Europa.
Ma una delle differenze principali fra le due forme di illuminazione
constava nella capacità della lampada a gas di erogare luce ad intensità
regolabile, costante e soprattutto a fiamma ferma.
Le scenografie concepite quindi come dipinti su superfici piane, poste
dinnanzi alla lampada a gas risultarono squallidamente piatte, poiché la
luce ondulante delle candele e delle lampade era in grado di creare coni
d'ombra mutevoli sulle superfici sceniche invece la luce a gas, essendo
fissa metteva in maggior risalto le pieghe dei telai che non il disegno al
disopra.
Il gusto scenico mutò quindi verso una scenografia plastica, di camera,
tridimensionale con la presenza in scena di oggetti veri e di uso comune.

La scena d'angolo dei Bibiena


Il teatro barocco mostrava dunque con orgoglio il suo valore di
"illusione": in tale clima comincia ad affermarsi un nuovo tipo di scena
grazie alla prospera attività della famiglia Bibiena, audaci propositori
della "scena d'angolo", caratterizzata dalla posizione accidentale di ogni
elemento rispetto al piano del boccascena.
Non è più la facciata di un edificio ad apparire in primo piano ma
piuttosto un suo spigolo, dal quale dinamicamente si dipartono le rette
verso punti di fuga diversi dall'unico centrale presente nella scenografia
rinascimentale.
Lo spigolo respinge in tal modo lo sguardo dello spettatore, inducendolo
a scivolare lungo le facciate laterali, liberandolo dalla necessità di
collocarsi in posizione centrale per la migliore percezione dello spazio
scenico.
Queste regole prospettiche, che si basavano sulla disposizione di due
punti di fuga laterali esterni alla scena, permettevano di creare quindi un
fondale impostato su linee prospettiche indipendenti da quelle della sala,
senza che il palco fosse la continuazione ideale della platea, rendendo
così lo sfondo più fruibile dalle diverse angolazioni e non solo dal punto
di vista privilegiato.

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La fama dei Bibiena e della scenografia italiana fu così vasta da varcare i


confini nazionali, creando larghi consensi di pubblico, soprattutto in
Francia.

Scena d'angolo: costruzione prospettica

Alessandro Sanquirico
Ad Alessandro Sanquirico, il più famoso degli scenografi operanti alla
Scala di Milano all'inizio del XIX secolo, si deve la scelta singolare di
tenere in ombra gli elementi architettonici in primo piano, al fine di
convogliare lo sguardo degli spettatori verso i luminosi scorci prospettici
dei fondali riccamente dipinti, anticipando la radicale svolta operata in
seguito dall'invenzione dell'illuminazione elettrica, che permise un
veloce oscuramento della sala durante le rappresentazioni: il pubblico,
totalmente immerso nel buio, poteva finalmente godere di una perfetta
illusione, concentrando l'attenzione unicamente sulla scena.

La pressante ricerca di un perfetto realismo spinse gli scenografi ad


adottare con sempre maggior frequenza scenari costituiti da elementi
plastici, al fine di creare uno spazio nel quale gli attori potessero
liberamente agire senza denunciare l'illusione prospettica in atto.
L'illuminazione elettrica, inoltre, poneva urgentemente la necessità di una
maggiore accuratezza nella realizzazione dei fondali dipinti, fino ad allora
fortemente suggestivi proprio perché lasciati nella penombra del
palcoscenico barocco.

Alessandro Sanquirico: bozzetto di scenografia

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La riforma wagneriana
dell'edificio teatrale
Negli ultimi anni dell'Ottocento l'opera di Richard Wagner in Germania
avvia una significativa riforma in ambito teatrale, globalmente rivolta
all'intero edificio teatrale, nonché ai principi dell'allestimento scenico.
L'innovazione wagneriana consiste nella democratica unificazione del
pubblico in un unico ordine di posti; in luogo della platea a forma di ferro
di cavallo risorge il cuneo della cavea classica, coronato in sommità da
una galleria, mentre lo sviluppo del palcoscenico prende il sopravvento a
discapito dell'orchestra.

Il progetto di Wagner porta alle estreme conseguenze la


contrapposizione tra sala e palcoscenico, aspirando alla possibilità di
un pubblico unitario, interamente concentrato nella contemplazione
dell'illusione scenica, per la quale risultò necessario l'occultamento
dell'intero apparato tecnico; anche lo spazio dell'orchestra venne
nascosto alla visione degli spettatori, creando la tipica struttura a fossa
alla base del proscenio denominata golfo mistico.
Infine, per garantire la perfetta idealità del quadro visivo delle scene, fu
necessario eliminare ogni elemento che potesse servire da riferimento
metrico tra lo spazio della sala e quello del palco; la suggestione dello
Sala del teatro wagneriano, senza palchi e con orchestra nascosta nel golfo mistico spettacolo doveva essere dunque composta da "quadri scenici"
appartenenti a un mondo ideale.

La riforma wagneriana si pone in tal senso come termine del percorso di


separazione e dualità spaziale tra la sala e la scena, percorso iniziato con
la scenografia italiana del Rinascimento al fine di massimizzare l'effetto
illusorio della scenografia che, come quadro a tre dimensioni, si disvela
magicamente al pubblico solo al momento dell'apertura del sipario,
nascondendo con accurata maestria l'insieme dei trucchi e degli artifici
che concorrono alla formazione della voluta suggestione.

La scenografia del XX secolo e


contemporanea
La scenografia come arte autonoma
Il XIX secolo si conclude con l'inizio di una riflessione e di una
sperimentazione nel campo del teatro, e in particolar modo della
scenografia, concepita non più solo in una dimensione decorativa e
illustrativa, ma costruendo lo spazio dell'azione come un'opera d'arte
dotata di autonoma espressività attraverso forme, volumi, luci e colori.

Lo spazio della rappresentazione scenica diviene dunque un quadro a tre


dimensioni che lo scenografo crea con la libertà compositiva di un
pittore, potendo tuttavia disporre nel proprio linguaggio di volumi e
masse plastiche da giustapporre sul palco, qualità cromatiche delle
superfici e fasci di luce vera, vibrante, direzionabile, che diventano
elemento drammatico e teatralizzante della rappresentazione.
La luce divenne un mezzo fondamentale per creare lo spazio e
l'atmosfera ma soprattutto mezzo di espressione incomparabile, con il
quale lo scenografo può far intendere una determinata interpretazione
La luce nella costruzione della scena
psicologica della scena in corso grazie alla direzione ed ai colori che
essa poteva assumere.
Progressivamente l'illuminazione della scena diverrà l'elemento di
massima suggestione psicologica.

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La rinascita della scena costruita


e il ruolo della luce
Un notevole contributo al rilancio della scena costruita si ebbe grazie
all'opera innovativa di Gordon Craig (1872-1966) e Adolphe Appia
(1862-1928), entrambi determinati nel combattere gli eccessi del gusto
realistico dell'epoca, la cui pretesa di una perfetta imitazione della natura
finiva troppo spesso per sostituirsi all'arte.
Grande oppositore della scenografia dipinta, Craig caratterizzava i suoi
allestimenti con il prepotente inserimento di elementi tridimensionali,
massicce presenze simboliche costituite da forme solide elementari, tra
le quali il movimento degli attori fosse plasticamente armonizzato.

L'opera dello svizzero Adolphe Appia parte dalle stesse tematiche di


Gordon Craig, sottolineando con forza il ruolo fondamentale svolto
dall'illuminazione, capace di sottolineare la volumetria delle masse con
dosate proiezioni d'ombra.
Pura, astratta, simbolica, la luce si esprime nel rapporto con le ombre
vere e mutevoli che delinea sui volumi di scena.
Appia ce lo ricorrendo alla seguente analogia: "... ciò che nella partitura è
la musica, lo è la luce nel regno della rappresentazione: l'elemento
espressivo in opposizione al segno che significa. La luce, come la
Bozzetto scenografico di Gordon Craig musica esprime ciò che appartiene all'essenza intima di ogni visione...".
Teorie sceniche e avanzamento tecnologico mostrano sempre più una
fertile interconnessione con il perfezionamento degli strumenti che
consentono un impiego artistico della luce artificiale.

Ricostruzione della scena per Orphée et Eurydice di Gluck, da un disegno di Adolphe Appia, Hellereau,
1912;
(modello per la mostra SCENAMADRE realizzato dagli studenti della Scuola di Scenografia
dell'Accademia di Belle Arti di Torino)

La scena delle avanguardie


artistiche
Il teatro del XX secolo nasce dunque dall'esigenza di individuare forme
innovative di spettacolo, in una concezione globale che superi il limite
del bello affidato al solo allestimento scenografico, per sperimentare
nuove forme di scrittura dei testi e della messa in scena.
Un folto gruppo di artisti, quali Picasso, Braque, Depero e altri,
Bozzetti scenografici futuristi portarono in teatro la ricerca anti-naturalistica delle avanguardie
pittoriche, superando il gusto decorativo ottocentesco attraverso
un'innovativa sintesi cromatica a tinte piatte, evocatrice di immagini e

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suggestioni piuttosto che descrittiva di eventi.


In ambito futurista si cercò la rottura definitiva con il passato sotto ogni
aspetto, con la critica alla drammaturgia passata, al melodramma, al
dramma borghese, al teatro classico.
In campo scenografico fu fondamentale l'esperienza di Enrico
Prampolini (1894-1956), il quale propone l'abolizione della scena
dipinta, ancora largamente usata in Italia, e la sostituzione della
scenografia con un insieme di strutture tese alla generazione di emozioni
violente e dirette e che abbia una costruzione che richieda una
decodifica da parte del pubblico per potersi caricare di valore
espressivo.
Egli eleva inoltre lo scenografo al rango di creatore e non di esecutore,
quindi con facoltà espressive autonome da quelle del regista, tanto
quanto il drammaturgo o il musicista; definisce la scenografia come una
sintesi di "dinamismo, simultaneità e unità d'azione tra uomo ed
ambiente" che si esprime attraverso i colori, della scena o delle luci,
figure geometriche ed astrazione delle forme.

Teatro futurista

Evoluzione del palcoscenico


D'improvviso anche lo spazio tradizionalmente definito palcoscenico
sembrò non corrispondere più alle esigenze dei registi e degli
sperimentatori più audaci.
Già da fine ottocento si sperimentarono, utilizzando la forza motrice
dell'energia elettrica, palcoscenici doppi con scene tridimensionali
preventivamente montate su un sistema di montacarichi, o palcoscenici
girevoli, che erano in grado di ruotare piattaforme con scene diverse già
montate. Nel 1927 Walter Gropius (1883-1969) propose in Germania
l'idea di "Teatro Totale" come una struttura teatrale in cui il pubblico può
disporsi anche a 360 gradi attorno al piano scenico.La scena delle
Palcoscenici contemporanei avanguardie artistiche Si possono tendenzialmente considerare le
scenografie del periodo come improntate verso una modernizzazione e
rottura con il passato, soprattutto in merito all'utilizzo della luce e
l'assenza dei teli di fondo a favore di una scenografia più spesso plastica
e tridimensionale.
Sempre in termini generici si possono trovare due tendenze nelle
modalità di progettazione scenografica:
- la scenografia di suggestione, la quale si avvale di colori ed effetti
luminosi per esercitare un potere quasi ipnotico sull'inconscio dello
spettatore creando un'atmosfera impossibile da contemplare con
distacco;
- la scenografia neutra, la quale si compone di elementi molto semplici e
poco suggestivi in modo da esercitare la minore coercizione possibile
sulla fantasia dello spettatore e permettergli di dominare lucidamente
tutto il processo narrativo.

La frammentazione del
linguaggio scenografico e la
scena digitale
Dopo Appia il mondo della scenografia ha intrapreso innumerevoli strade
diverse alla ricerca di espressività e suggestioni sempre nuove in nome
dell'ormai affermata libertà artistica; in un simile terreno di
sperimentazione, frammentazione e velocità è venuto tuttavia a mancare
il rapporto tra le esperienze realizzate e l'individuazione delle regole da
esse dedotte ed acquisite e dunque la letteratura sulla scenografia ha

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smesso di seguirne le tappe, i risultati e i protagonisti.

Attualmente, il nuovo campo di ricerca è quello offerto dal disegno


digitale, e più precisamente dalla creazione di uno spazio tridimensionale
alternativo, quello virtuale, nel quale sia consentita la possibilità di
azione, e reciproca interazione tra attori e pubblico; tuttavia, tra le tante
teorie in campo, sono ancora poche le pratiche teatrali in grado di farci
comprendere realmente le nuove possibilità della computer grafica in
campo scenico.
Conseguenza dell'introduzione del digitale in ambito teatrale è la
progressiva scomparsa dell'osservatore unico, e del sistema prospettico
da quest'ultimo diretto; lo spazio "illimitato" a disposizione della
modellazione 3D in ambiente digitale non richiede accorgimenti di natura
prospettica al fine di creare l'illusione di una voluta profondità del palco.
In realtà, è possibile notare che non è più il palcoscenico il luogo delle
Scenografia contemporanea con fondali riflettenti scene, poiché tali spettacoli sono concepiti anche per luoghi alternativi
dall'edificio teatrale.

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