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L’OPERA ITALIANA

[Brevi appunti per una mappa dell’operismo


nazionale – in Italia e in Germania – durante il XIX sec.]

Riferimenti bibliografici da consultare sui libri di testo in uso:

- GROUT, pp. 619-640.


- BARONI-FUBINI-PETAZZI-SANTI-VINAY, pp. 294-326.
- DELLA SETA (VOL. 9 EDT), pp. 59-298.

Gli ascolti sono linkati ai titoli delle composizioni da conoscere.

VIVA V.E.R.D.I.!!!
Nabucco è l’opera che dà impulso definitivo alla carriera di Giuseppe Verdi (1813-1901). Andò in
scena alla Scala il 9.III.1842 e fu accolta assai favorevolmente così che la direzione del teatro la
ripropose bene 75 volte prima della fine dell’anno. La fama del Nabucco è strettamente legata al
coro Va’, pensiero, ossia il brano verdiano tutt’oggi più eseguito al di fuori del contesto teatrale. A
onor del vero si deve constatare che il “successo patriottico” di Nabucco sia più il frutto del senno
di poi, la fama dell’opera fu molto più casuale di quanto si possa pensare. Certo è che il mito di
Verdi ha inizio qui: Dio-Patria-Famiglia. Verdi fu sospinto dal lamento degli ebrei oppressi, ma non
ebbe secondi fini politici così impellenti. Il resto – è risaputo – venne da sé, dopo le condanne dei
patrioti per i moti risorgimentali del 1821, qualsiasi pretesto divenne un’occasione per fare della
politica antiaustriaca. Tuttavia, rimane innegabile l’idea di Nabucco come immagine di un Verdi
“impegnato”, “vate del Risorgimento”, faro nella lunga lotta dell’Italia per divenire qualcosa di più
di una semplice espressione geografica. A tal proposito è utile ricordare che vi furono molte opere
utilizzate a sostegno della propaganda di Unità nazionale. Qualsiasi coro, aria o marcia di Rossini,
Donizetti, Bellini, etc. – le cui parole potessero essere impiegate per il suffragio della causa
patriottica (a volte anche cambiando le parole originali) – vennero fatte proprie dal Risorgimento
italiano, ben prima di Nabucco. Dunque l’opera verdiana – il primo autentico successo di Giuseppe
Verdi – è stata alimentata e sostenuta da uno straordinario accumulo di significati extramusicali.
Ancora oggi gli italiani (semplici cittadini, ma anche addetti ai lavori) trattano Nabucco – nella
fattispecie il famoso coro del terzo atto – con quel misto di condiscendenza e timore reverenziale
che contraddistingue un vero monumento nazionale.

Le ragioni di tale inveterato successo? Proviamo a elencarle brevemente:

- Prima di tutto il testo del Va’, pensiero, lo scenario biblico, la storia di Nabucodonosor e degli
ebrei ridotti in schiavitù. Ergo viene data voce agli “schiavi ebrei” che lamentano il loro esilio da
Israele: una finzione – un travestimento operistico – che funziona per esprimere i sentimenti degli
italiani dell’epoca di Verdi: la “perdita” della loro patria, allora sotto il giogo di una dominazione
straniera (quella austroungarica).

- Secondariamente la struttura musicale del pezzo vero e proprio, cioè un coro prevalentemente
all’unisono, molto lento, che sembra anticipare il carattere di un inno. Infatti non vi è pressoché
alcuna varietà ritmica, non vi è mai un tentativo di manipolare l’andamento ritmico del verso nel
testo musicale. La melodia è facilmente assimilabile e il testo è pronto alla memorizzazione. Inoltre
l’incedere solenne e maestoso contraddistingue un “modello corale” (una preghiera dalla forma
innodica, omofonica e omoritmica) del primo Verdi.

Verdi, genio immenso ma anche uomo di terribile concretezza, dovette provare la sensazione di
avere toccato, con la sua “opera corale”, un tasto felice e si dimostrò subito disposto a ripetere la
formula del successo con I Lombardi alla prima Crociata (che andò in scena alla Scala l’11.II.1843
e ottenne ben 27 repliche). Ancora un soggetto storico, ancora un’opera di cui è protagonista il coro
e nella quale il pezzo di maggior successo è una pagina corale del quarto atto: O Signore, dal tetto
natìo. Un brano che infiamma subito i cuori tesi all’esaltazione dell’italianità. Verdi dedicò il suo
Nabucodonosor (nel 1844 a Corfù gli accorciarono il titolo che diventò Nabucco, più pratico da
dire) a Maria Adelaide, arciduchessa d’Austria (futura moglie di Vittorio Emanuele II). I Lombardi
alla prima Crociata sono invece riservati alla duchessa di Parma, Maria Luigia d’Asburgo-Lorena,
figlia dell’imperatore d’Austria Francesco I. Con tutte le scusanti imposte dalle circostanze, non mi
sembra che queste siano le scelte di un rivoluzionario, di un patriota. Le opere verdiane e Verdi
stesso appartengono più che altro alle ideologie del Risorgimento italiano, poiché esso se ne
appropria ipso facto, decontestualizzando alcuni cori – non solo quelli di Nabucco, ma anche de I
Lombardi alla prima Crociata – dal loro luogo operistico originale. Il compositore e la musica
assurgono così a un ruolo extramusicale – o metamusicale – abbandonando la proprietà privata in
favore della comune causa dell’Unità nazionale. Ecco quindi spiegato il cognome Verdi possa
diventare l’acronimo V.E.R.D.I. ([Viva] Vittorio Emanuele [II] Re D’Italia).
NABUCODONOSOR (1842)

[Solera/Verdi]

Va, pensiero, sull’ali dorate;


Va, ti posa sui clivi, sui colli,
Ove olezzano libere e molli
L’aure dolci del suolo natal!

Del Giordano le rive saluta,


Di Sïonne le torri atterrate...
Oh mia patria sì bella e perduta!
Oh membranza sì cara e fatal!

Arpa d’or dei fatidici vati,


Perché muta dal salice pendi?
Le memorie nel petto raccendi,
Ci favella del tempo che fu!

O simile di Solima ai fati


Traggi un suono di crudo lamento,
O t’ispiri il Signore un concento
Che ne infonda al patire virtù!

STAMPA DEL 1859


FRONTESPIZIO CON DEDICA
DELLA STAMPA MUSICALE
PER CANTO E PIANOFORTE
I LOMBARDI ALLA PRIMA CROCIATA (1843)

[Solera/Verdi]

Oh Signore, dal tetto natìo,


ci chiamasti con santa promessa;
noi siam corsi all’invito di un pio
giubilando per, l’aspro sentier.

Ma la fronte avvilita e dimessa


hanno i servi già baldi e valenti
deh! non far che ludibrio alle genti
siano Cristo, i tuoi figli guerrieri

Oh fresche aure. volanti sui vaghi


ruscelletti dei prati lombardi!
Fonti eterne! Purissimi laghi!
Oh vigneti indorati di sole

Dono infausto, crudele è la mente


che vi pinge sì veri agli sguardi
ed al labbro più dura e cocente
fa la sabbia di un arido suol!

Fa la sabbia – fa la sabbia di un arido suol!


D’un arido suol – d’un arido suol!

«Dal Nabucco in poi non ho avuto, si può dire, un anno di quiete. Sedici anni di galera!». Ed
effettivamente fu così: Verdi diede alle stampe ben diciannove nuove opere nei sedici anni seguiti al
trionfo di Nabucco (1843-1857). Nel 1848 Verdi era a Parigi proprio durante le Cinque giornate –
che egli seguì con tesa partecipazione – arrivò a Milano solo quando gli Austriaci erano già stati
cacciati dai patrioti. Lo spirito patriottico – questa volta ben consapevole sia al librettista che al
compositore [Cammarano/Verdi] – gli consegnò nelle mani un soggetto su un argomento che
esaltava «l’epoca più gloriosa della storia italiana»: la ribellione della Lega Lombarda
all’oppressione del Barbarossa. Nacque La Battaglia di Legnano (che andò in scena al Teatro
Argentina di Roma il 27.I.1849). Durante la prima rappresentazione si gridò il famoso “Viva Verdi”,
“Viva l’Italia”.
Verdi crede in questo nuovo lavoro, tanto da curarne personalmente l’allestimento nel clima rovente
della Repubblica retta dal triumvirato (la Repubblica Romana del 1849 fu guidata da un triumvirato
costituito da Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini e poi da Aurelio Saliceti,
Alessandro Calandrelli e Livio Mariani). Sebbene sempre defilato dalla vita politica, Verdi intesse
rapporti di cordialità con Giuseppe Mazzini (1848-49) – che lo spinge a comporre un inno
patriottico, Suona la tromba, e un’opera patriottica, La Battaglia – dopo il 1853 si stacca dal
pensiero mazziniano, avvicinandosi all’idea annessionista di Cavour, che ammira moltissimo,
compone un Inno delle Nazioni (1862) e infine viene nominato senatore del Regno d’Italia (1874).
MELODRAMMA VERSUS GESAMTKUNSTWERK
Opera d’arte totale, o Gesamtkunstwerk, è un concetto creato da Richard Wagner (1813-1883) il
“padre putativo” dell’opera tedesca; in realtà il vero padre fu Carl Maria von Weber con il singspiel
der Freischütz (1821). L’opera d’arte del futuro, l’incontro di tutte le arti – poesia, danza e musica –
è il Drama: l’unica vera arte completa, possibile, che reintegrerà l’espressione artistica nella sua
unità e comunicabilità. L’opera d’arte totale è dunque un prodotto inscindibile in cui musica, poesia
e arte drammatica contribuiscono alla realizzazione di un prodotto artistico unico. Non per niente
Wagner si affrancherà ben presto dal melodramma italiano; non solo per la questione della lingua
nazionale e l’assenza di numeri chiusi (quali arie, romanze, cori, duetti, terzetti, etc.), ma anche per
la stesura originale del libretto d’opera. Un soggetto legato alla mitologia germanica, o comunque
sia intriso di pangermanesimo (pagano o cristiano), fatto proprio dal compositore che non può non
essere anche il librettista. Una melodia infinita che sostituisce recitativi e arie, un procedere aperto,
senza soluzione di continuità, durchkomponiert. Concetti molto complessi che trovano la propria
esegesi nella lunga gestazione dell’Anello del Nibelungo, der Ring des Nibelungen (1876), una
tetralogia dedicata alla teogonia del Walhalla, che si dipana in quattro giornate senza soluzione di
continuità: das Rheingold (1869), die Walküre (1870), Siegfried (1876), Götterdämmerung (1876).
Wagner fu anche un uomo d’azione – fin tanto che gli convenne – nel 1849 partecipò, infatti,
all’Insurrezione di Dresda – o sollevazione di maggio – un evento afferente alla Primavera dei
popoli (moti del 1848), durante la quale fu compagno di lotta dell’anarchico Michail Bakunin (814-
1876), le cui idee sostenne a distanza. Ma Wagner si può spiegare solo con Wagner, che suona in
una dimensione “fantascientifica” rispetto al Risorgimento del “nostro” Verdi e al melodramma
italiano di Rossini, Donizetti e Bellini, tanto vituperati e aspramente criticati da Wagner stesso. La
distanza non è certo siderale come con l’opera lirica italiana, ma è evidente anche tra l’opera
nazionale tedesca – cioè quella in lingua tedesca mutuata dal singspiel (una pièce teatrale in cui
musica e recitazione si avvicendano compenetrandosi) – e l’imminente Gesamtkunstwerk. Il
classico singspiel di Schikaneder/Mozart – die Zauberflöte (1791) – non è poi così lontano, nella
forma musicale, dal romantico Freischütz (1821) di Kind/Weber. Il libretto è in tedesco, i pezzi
chiusi non proliferano, ma ci sono, eccome: arie, soprattutto cori. Librettista e compositore non si
fondono ancora in una sola persona, tuttavia l’ambientazione è quella aspra e brulla appartenente a
una natura tempestosa e brulicante di vita, di boschi e foreste, di richiami e segnali, di arcane
presenze fiabesche. Non è certo l’ambientazione di Norma o Aida, ma neppure quella della
Valchiria!
Un itinerario operistico variegato potrebbe essere quello proposto di seguito, costituito da un secolo
circa di rappresentazioni che – apparentemente omologate al modello italiano – sfociano in quanto
di più diverso si possa ascoltare nel giro di pochissimi anni a una distanza geografica non
particolarmente significativa.

1762, Calzabigi/Gluck, Orfeo ed Euridice


1787, Da Ponte/Mozart, Don Giovanni
1791, Schikaneder/Mozart, die Zauberflöte [il fatuo magico]
1821, Kind/Weber, der Freischütz [il franco cacciatore]
1821, Sterbini/Rossini, Il barbiere di Siviglia
1831, Romani/Bellini, Norma
1832, Romani/Donizetti, L’elisir d’amore
1851, Piave/Verdi, Rigoletto
1853, Cammarano/Verdi, Trovatore
1853, Piave/Verdi, Traviata
1869, Wagner/Wagner, das Rheingold [l’oro del Reno]
1870, Wagner/Wagner, die Walküre [la Valchiria]
1876, Wagner/Wagner, Siegfried [Sigfrido]
1876, Wagner/Wagner, Götterdämmerung [Crepuscolo dei dei]
FRONTESPIZIO DELLA STAMPA
MUSICALE DEL RING
con dedica a Ludwig II di Baviera

PRIMA PAGINA DELLA PARTITURA MUSICALE


DEL RHEINGOLD
L’ITALIA DI D’ANNUNZIO E WAGNER
Non può essere trascurata l’attività giornalistica che Gabriele D’Annunzio (1863-1938) svolse in
giovinezza specialmente per «La Tribuna», «La Cronaca Bizantina» di Roma, «Il Mattino» di
Napoli, etc.. Una parte abbondante di questi articoli si riferiscono alla musica e in particolare
all’amato Richard Wagner, che rappresentò un elemento costante nelle sue opere maggiori. Il primo
articolo – datato 29 dicembre 1884 – si riferisce proprio a La prima del Lohengrin al Teatro Apollo.
Ma i suoi articoli più famosi sono tre – apparsi sulla «Tribuna» del 28 luglio, 3 e 9 agosto del 1893
– sotto il titolo di Il caso Wagner. La “trilogia wagneriana” rappresentò una reazione allo scritto
omonimo – Der Fall Wagner (1888) – un feroce pamphlet in cui Friedrich Nietzsche (1844-1900)
attaccò duramente l’ex-amico, demolendone l’intero operato artistico.
Il Poeta si rivelò strenuo wagneriano, piuttosto che nietzschiano tout court, come molto spesso la
critica ha sottolineato, appellandosi al mito nietzschiano del «super uomo». Per D’Annunzio, così
come per Wagner, l’eroe che lotta e che conquista per sé e per la sua razza – anche a prezzo del
sacrificio degli altri, dei meno forti e dei meno volitivi – non si pose in contrasto con il desiderio del
riscatto e della redenzione mutuati dalla cultura apollinea, ovvero dal cristianesimo.
Per Nietzsche, l’artista deve redimere l’uomo, demistificando la realtà e mostrandogli la verità
originaria. La redenzione è concepita nei termini di strumento di riscatto nei confronti delle brutture
del mondo moderno:

«Il modo più bello di vivere per gli individui è di maturare per la morte e immolarsi, nella lotta per la
giustizia e l’amore. Lo sguardo che il misterioso occhio della tragedia ci rivolge, non è un incantesimo
che infiacchisca e leghi le membra».

L’incantesimo cui il filosofo si riferisce è presto detto: il misticismo che avvolge il concetto di
redenzione cristiana. È il Parsifal (1882), l’opera con cui Wagner ha tradito il suo dovere di artista
nel mondo moderno. Decadenza, malattia, mancanza di vitalità, cristianesimo, modernità, sono tutti
termini equivalenti che trovano nel cristianesimo del Parsifal – il “puro folle”, insapiente di Dio,
alla ricerca del Graal – la loro incarnazione. La grande colpa di Wagner è l’aver rinunciato alla
verità e l’aver fatto della musica e del teatro tragico uno strumento consolatorio, l’aver confuso il
senso tragico della redenzione, con la redenzione cristiana e con il senso della rinuncia.
Significative a questo proposito le tre frasi lapidarie con cui Nietzsche chiude il suo feroce
pamphlet – Il caso Wagner – Der Fall Wagner:

«Che il teatro non diventi il signore delle arti. Che il commediante non diventi il seduttore degli esseri
genuini. Che la musica non diventi un’arte della menzogna».

Prima di ascoltare la musica di Wagner, mi paiono utili le parole del biografo wagneriano
Glasenapp in merito alla genesi della “Tetralogia”:

«Soltanto la fusione della morte di Sigfrido con l’antichissima idea germanica della futura distruzione del
mondo presentava questa morte non come quella di una singola fortuita personalità, ma dell’uomo in
genere, e come necessaria espiazione di una colpa divina. L’oro del Reno non aveva quindi solo il
compito di far rivivere le più belle figure dell’antica saga degli dei […] ma doveva anche dimostrare
quale fosse l’origine di quella minacciata rovina del mondo: una “colpa” degli dei stessi. […] I germani
non conoscevano alcun dio al di sopra della natura. Questa era per loro un dato primordiale. […] La
supremazia spirituale degli dei vince la rozza potenza dei giganti e assoggetta l’abilità dei nani; ma
inganno e astuzia sono più volte i mezzi ai quali si ricorre in questa lotta. […] Il rapimento dell’anello che
conferisce potenza, nonché la maledizione la cui forza malefica termina soltanto con la contemporanea
rovina di Sigfrido e dei beati nella sala del Walhalla [...]».

La Valchiria [III Atto, Scena 1, Le nove valchirie si danno convegno sui loro cavalli alati]

Parsifal [Atto I, Scena 4, L’ingresso alla sala del Graal]

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