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“EDUCAZIONE E COMUNICAZIONE NELLA

MODERNITÀ”

PROF.SSA LUCIA MARTINIELLO


Università Telematica Pegaso Educazione e comunicazione nella modernità

Indice

1 LA CULTURA MASSMEDIALE E L’EDUCAZIONE ---------------------------------------------------------------- 3


2 DALLA SCUOLA DI FRANCOFORTE AD UNA VISIONE ECOLOGICA ------------------------------------- 9
3 PROCESSO COMUNICATIVO E SVILUPPO SOCIALE ---------------------------------------------------------- 15
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 22

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)

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“Nessuno educa nessuno,


nessuno si educa da solo,
gli uomini si educano insieme,
con la mediazione del mondo”.
Paulo Freire

1 La cultura massmediale e l’educazione


Il processo educativo/formativo e comunicativo si intreccia all’interno di una cornice storica
e sociale che ne determina il cambiamento, mutandone le coordinate strutturali.
L’incremento dell’apparato produttivo dell’industria e il derivante benessere economico
hanno gradualmente avviato un forte sviluppo del settore terziario della società, dando avvio a
nuove competenze e ad istanze socioculturali e comunicative.
Il progresso culturale pare guadagnare più valore rispetto alla “utilità” del moderno, mentre
un radicale scetticismo e un diffuso disinteresse per le istituzioni e le autorità spingono ad un
potenziamento sia del soggetto e della sua indipendenza decisionale e di comportamento, sia della
riscoperta o riconsiderazione dei rapporti sociali e dell’associazionismo, processi che appaiono
sempre più orientati verso l'acquisizione di nuovi spazi e di nuove libertà.
Si può schematizzare che «dall’essere enfatizzato nel primo millennio si è passati al
riconoscimento dell’io, simbolo della soggettività nel secondo millennio, fino ad arrivare
all’esaltazione dell’altro come elemento morale impegnativo dell’io nel terzo millennio»1.
In un tempo di pronta trasformazione sociale e storica come quella che stiamo vivendo,
l’educazione, la comunicazione e la formazione divengono le forme più importanti di complicità
con la complessità sociale, poiché danno al soggetto gli strumenti dell’autonomia e
dell’orientamento, sostenendo sviluppo e crescita civile, sociale e democratica.
Per comprendere il valore e la portata dei mutamenti che stiamo vivendo è importante
focalizzare le zone di influenza reciproca fra processi formativi e istanze di comunicazione.
Se l’evoluzione della comunicazione, di fatto, fino a poco tempo fa era riconosciuta come
causa di una debolezza della formazione, oggi si intuisce una prima forma di adesione e
avvicinamento fra i due universi.

1
Mancini I., L’ethos dell’Occidente, Marietti, Genova 1990, p.64.

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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Non solo non è più immaginabile tralasciare la forte efficacia, anche simbolica, dei mezzi di
comunicazione sull’universo giovanile, ma ci si concentra su nuove e più mirate strategie per
impiegare questi “territori” di socializzazione e riaffermare la centralità dell’educazione. La
formazione deve essere un impegno vincente per il futuro a condizione che si operi per rinegoziare
la coscienza della sua crisi con azioni di intervento funzionali, in cui i media possano essere la
strada da percorrere per il superamento di questa frattura.
Il percorso di analisi che si intende seguire muoverà da una panoramica sui mezzi di
comunicazione e i cambiamenti che questi hanno generato sulla società, anche evidenziando le
cornici sociologiche di riferimento, per giungere ad una analisi sulla condizione della formazione in
rapporto alle nuove tecnologie della comunicazione e del sapere.
Prima di cominciare questo percorso è, però, confacente partire da una condivisa coscienza
sociologica e antropologica: l’identità del soggetto è effetto di una costruzione sociale all’interno
della quale vengono reinterpretatati i principi educativi; i soggetti plasmano la loro identità
attraverso il confronto, l’interazione e la partecipazione con l’altro.
Il punto di partenza sarà, pertanto, una considerazione intersecante sia il ruolo sociale sia la
mansione culturale dell’educazione in un momento di mutamento come quello attuale,
contraddistinto da antinomie destabilizzanti in cui sembrano scarseggiare stabili ancore per i
giovani; i media e la loro influenza nel contesto formativo raffigurano non solo nuovi ambienti di
socializzazione, ma, anche e soprattutto, nuovi spazi di educazione e di formazione.
Con la società di massa2, anni ’30 e ’40 del XX secolo, matura la coscienza dell’importante
potere d’impatto dei mezzi di comunicazione sulla popolazione (soprattutto, visto gli anni, della
radio e della stampa) non solo nel settore propagandistico ma più in generale sulla comunicazione e
sull’educazione, sulla cultura moderna.
In questi anni si avvia in USA la Mass Communication Research3 ossia le iniziali ed
elementari considerazioni teoriche sui mezzi di comunicazione e il loro impatto sulla società; tali
riflessioni hanno influenzato le ricerche per quasi tutto il secolo contribuendo a trasformare il
contesto socioculturale. Un contesto in continua evoluzione attraversato dalle idee nuove della
modernità, dalla spinta economico-produttiva e da un rinnovamento e una riorganizzazione delle
aree urbane.

2
L’espressione, utilizzata a partire dagli anni ’30 e ’40 del XX secolo, indica il forte coinvolgimento della popolazione
nella produzione, nella distribuzione e nel consumo dei beni, nonché nelle attività politiche e culturali
3
Corrente di studi affermatasi negli USA che raccoglie approcci disciplinari eterogenei accomunati dall’attenzione per
lo studio degli effetti dei media sui destinatari.

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Il rinnovo culturale sembra essere sempre più condizionato dal razionalismo,


dall’utilitarismo e dal personalismo determinando un’uniformazione dell’esistenza e una diffusione
del senso d’impersonalità, di indifferenza e di oggettivismo nella percezione della realtà4.
Le tendenze sociologiche e comunicative, di questi anni, sembrano prediligere matrici
funzionaliste e behavioriste; l’eredità del pensiero positivista5 si traduce in una visione olistica della
società dove i bisogni del singolo svaniscono di fronte alle necessità e alle aspettative di un sistema,
per essere riassorbiti all’interno di ruoli e funzioni predefinite.
Talcott Parsons6, fondatore dello struttural funzionalismo, rapporta la struttura sociale ad un
sistema in cui gli individui, con i loro ruoli e le loro funzioni, sono parti integranti e si uniformano
ai modelli sociali istituzionalizzati ed agiscono per il mantenimento di tale equilibrio.
In questa visione anche la comunicazione e l’educazione svolgono ruoli ben definiti poiché,
considerati sottosistemi funzionali al mantenimento del potere e dell’equilibrio socioculturale, sono
necessarie per garantire aggregazione sociale contro le minacce di cambiamento della
modernizzazione. A tal proposito, Parsors introduce il concetto di “ultrasocializzazione” con cui si
vuole intendere la creazione di un individuo sociale, depurato dalle sue caratteristiche istintuali e
capace di conformarsi alle regole del sistema sociale.
Diversa è la visione di Niklas Luhmann7 che focalizza la propria attenzione sulla
socializzazione come processo di adeguamento dell’individuo ad un sistema sociale sempre più
depersonalizzato e complesso dove i mezzi di comunicazione forniscono agli individui gli strumenti
sufficienti per costruire un patto di fiducia con le trasformazioni sociali, in virtù soprattutto degli
stimoli e dei simboli che i media continuamente comunicano. Per Luhmann il mondo è
caratterizzato da complessità ed ogni realtà sociale, per essere alla portata dell’esperienza
individuale, deve essere selezionata in un percorso di riduzione della complessità, in modo da
acquisire senso per il soggetto.
I mezzi di comunicazione, in questa duplice visione del funzionalismo, ottemperano a due
funzioni apparentemente contrastanti: da un lato sono interpretati ed utilizzati come strumenti di
controllo e di mantenimento del potere, come dispositivi di equilibrio socioculturale, dall’altro

4
Per ulteriori approfondimenti sulle caratteristiche del processo di modernizzazione. Cfr. Martinelli A., La
modernizzazione, Laterza, Roma-Bari, 1998.
5
Indirizzo diretto alla riorganizzazione sistematica e alla classificazione dei fatti. Cfr. Jedlowski P., Il mondo in
questione, Carocci, Roma 1998.
6
Parsons si discosta da Weber e Durkheim approfondendo gli studi sull’agire dell’individuo all’interno di un quadro
sovraindividuale di giochi di ruoli.
7
Sociologo tedesco (1927- 1998). Ha applicato la teoria generale dei sistemi alla società. Cfr. Luhmann N., Sistemi
sociali. Fondamenti di una teoria generale, Il Mulino, Bologna 1990.

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diventano espressione del progresso e del moderno poiché partecipano ad aumentare la conoscenza,
a trasformare la percezione dello spazio e del tempo, consentendo, dunque, l’adattamento del
soggetto agli sviluppi socioculturali contemporanei.
Nell’ultima chiave di lettura, i media offrono maggiori possibilità di apertura e di raffronto,
mentre contribuiscono a fortificare la socializzazione e la partecipazione democratica,
riconsegnando una forma di consenso collettivo ai valori sociali.
Questa duplice visione è interpretabile anche nel significato e nella funzione sociale
attribuita, in quegli anni, all’educazione da alcuni sociologi. Emile Durkheim8 si pone il problema
dell’ordine e della coesione sociale che la socializzazione deve aiutare a sostenere e conservare; la
società è un ordine morale che precede qualsiasi forma di contratto stipulato dagli individui.
Lo studioso ritiene che l’educazione sia una componente morfologica del sistema sociale, un
procedimento di conversione del soggetto alle norme civili contro i pericoli di anomia insiti nel
progresso; essa diventa un meccanismo all’interno di un funzionamento più complesso propenso
alla conservazione della stabilità strutturale e culturale della società o del potere esistente.
L’educazione è anche vista come uno strumento di adattamento dei soggetti alle
trasformazioni culturali moderne; l’ampliamento di un’istruzione di massa e il rafforzamento della
mobilità sociale, difatti, permettono agli individui di seguire il cambiamento sostenendo il progresso
scientifico e tecnologico.
«L’azione del singolo, anche in questo caso, è completamente svuotata di qualsiasi senso
soggettivo per essere riassorbita in una categoria funzionale, stabilendo un rapporto di reciproca
dipendenza rispetto ai ruoli svolti dagli altri membri dello stesso sistema sociale. Il senso
dell’azione sociale di ciascuno si riferisce all’atteggiamento dell’altro, in un modo tale che le azioni
sono reciprocamente orientate fra loro. In tal senso, la socializzazione rappresenta un fatto sociale e
individuale, un processo di conservazione e di mutamento, di riproduzione e di integrazione, di
stabilità e di innovazione»9.
La centralità del soggetto, secondo questa esposizione, può essere collocata all’interno di
una visione razionale, discendente dalla modernizzazione, secondo cui ogni attività, individuale o

8
Sociologo e antropologo francese (1858- 1917). Durkheim insieme a Karl Marx, Vilfredo Pareto, Max Weber e
Herbert Spencer viene considerato uno dei fondatori della moderna sociologia
9
Benadusi L., Censi A., Fabretti V., Educazione e socializzazione, Franco Angeli, Milano 2004, p. 66.

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collettiva, necessariamente diviene funzionale all’interno di un piano già organizzato e


predeterminato10.
L’azione educativa può essere vista come un insieme di azioni culturali ed operative che
assegna all’individuo gli strumenti utili per sostenere il necessario cambiamento. Questo graduale
adattamento dei metodi formativi alle istanze socioculturali del moderno, comunque, non si
interpreta meccanicamente nella integrale apertura al moderno o nel totale rifiuto della tradizione;
persiste un aspetto sia di considerazione per la cultura consolidata, sia di prudenza verso le
diversificate proposte moderne.
«L’educazione, dunque, mantiene e pratica attività prevalentemente trasmissive dei saperi e
dei valori della tradizione per difendere l’alta cultura contro i rischi di contaminazione simbolica e
ideologica determinati dai fenomeni della modernizzazione e dunque dai media (orientamento
dell’high culture)»11.
Lo stesso doppio aspetto si evidenzia rispetto ai mezzi di comunicazione, verso i quali
l’educazione ha un atteggiamento di salvaguardia o di sostegno. I media sono, infatti, parte
dell’evoluzione e della modernizzazione; è necessario evidenziare che, se essi sono apparati al
servizio del potere, quindi necessari per la conservazione dello status quo (secondo la logica
parsonsiana), o invece dispositivi di adattamento del soggetto ai mutamenti moderni (secondo la
lettura di Luhmann), dall’altra si espongono ad essere mezzi disgreganti, nella misura in cui
rappresentano e rispecchiano la varietà e la complessità del moderno.
Il sistema educativo viene indotto ad assumere un atteggiamento di resistenza all’universo
mediale poiché esso stesso è causa di nuovi simboli, idee e saperi, fattori preoccupanti per un
equilibrio socioculturale.
È competenza dell’educazione “frapporsi ai media”, principalmente quando con i loro
messaggi inducono al consumo, al fantastico, all’esteriore fuorviando il pubblico. Essa deve
introdurre l’antidoto per proteggere il soggetto dall’incursione culturale e concettuale non accertata
dei messaggi mediali, che sono dispositivi in grado di modificazione le coscienze.

10
Per ulteriori approfondimenti sulle teorie della scelta razionale cfr. anche Belardelli S. (a cura di), Teorie sociologiche
dell’azione, FrancoAngeli, Milano 1999; Collins R., Teorie sociologiche, Il Mulino, Bologna 1992.
11
Masterman L., A scuola di media, educazione, media e democrazia nell’Europa degli anni ’90, La Scuola, Brescia
1997, p. 19.

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Siffatta interpretazione è schematizzata nell’approccio inoculatorio (anni ’30) di


Masterman12 in cui domina un modello di comunicazione d’impronta behaviorista, fondato sullo
schema stimolo/risposta, ovvero su una relazione media/individuo unidirezionale e trasmissiva.
Molti ricercatori, a tal riguardo, schematizzano il ruolo della comunicazione con
l’espressione bullet theory13 (o teoria dell’ago ipodermico), condensando la loro attenzione sul
potere di influenza dei media sulla massa indifesa e debole, un potere comunque governato dal
sistema politico, economico, culturale e sociale prevalente. In queste primissime teorie il pubblico
non viene visto come partecipe e attivo pertanto le ricerche si focalizzano esclusivamente sugli
effetti della comunicazione rispetto alla massa.
Un esempio di quello che dicevamo è da ricercare negli studi di Harold Lasswell14 (1902-
1978), uno dei primissimi studiosi di comunicazione che dà avvio ad un filone di studi centrati
primariamente sui temi del contenuto e degli effetti dei mezzi di comunicazione, conservando la
partecipazione e l’interesse sull’attività dei media per le classi al potere.
La teoria funzionalista della società è al centro della maggior parte degli studi sulla
comunicazione nel XX secolo, l’attenzione, quindi, è orientata prevalentemente sul potere d’impatto
sociale dei media, visti come sottosistemi culturali.

12
Nella società moderna inoculatorio è l’atteggiamento di chi non conosce e rifiuta la cultura della comunicazione e dei
media perché minacciosa e “nociva” per lo sviluppo psichico e affettivo del bambino. Cfr. Masterman L., A scuola di
media, educazione, media e democrazia nell’Europa degli anni ’90, op. cit.
13
La bullet theory si è sviluppata negli anni ’20 del XX secolo quando i regimi dittatoriali Nazista e Fascista
cominciarono ad utilizzare i Media per creare intorno a sé il consenso delle masse. La teoria considera i mass media
come potenti strumenti capaci di persuadere la massa passiva e inerte.
14
Ai 5 quesiti postulati da Lasswell per ogni atto comunicativo (Chi, Cosa, Attraverso quale canale, A chi, Con quale
effetto) corrispondono altrettanti filoni di ricerca: -Analisi degli emittenti; -Content Analysis; -Analisi dei mezzi tecnici;
-Analisi dell’audience;-Analisi degli effetti della comunicazione.

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2 Dalla Scuola di Francoforte ad una visione


ecologica
Una diversa osservazione viene, invece, dagli esponenti della Scuola di Francoforte15 (fra gli
anni ’30 e ’40), che, sposando una visione “apocalittica”16 dei media, si mostrano fermi su una
veduta di resistenza culturale. Nasce, nel 1947, il pensiero di “industria culturale” secondo
un’accezione negativa, termine ormai entrato a far parte della tradizione teorica sugli studi della
comunicazione; l’espressione vuole sottolineare l’appiattimento culturale causato dai mezzi di
comunicazione attraverso meccanismi di costruzione e di distribuzione delle conoscenze di natura
prevalentemente industriale.
I media sono considerati “strumenti di alienazione e corruzione” al servizio del potere,
trasmettono una cultura e un pensiero dominante rivolto a soggetti privi di autonomia, producendo
necessità artificiali e sistemi di modificazione delle coscienze.
I teorici di Francoforte prendono le distanze da un’idea di società borghese di marchio
funzionalista, tanto che definiscono «happy end il tentativo di perseguire i beni materiali e il
consumo delle merci a cui istiga la visione capitalista»17. Essi reclamano un concetto di educazione
centrato primariamente sull’individuo, che ridesti la soggettività contro una visione olistica della
realtà.
I francofortesi, dunque, sembrano intravedere una nuova epoca per la comunicazione e
l’educazione, però non vanno oltre la denuncia; palesano i limiti della visione funzionalista, ma non
suggeriscono visioni alternative o risolutive sul problema dei media nella società e non danno
indicazioni per analizzare diversamente la realtà moderna. Per questo, è possibile situare la Scuola
di Francoforte in una fase di mutazione nel dibattito scientifico sui media, poiché pur anticipando il
cambiamento ancora non è in grado di contornare accuratamente le caratteristiche di una nuova
cornice socioculturale.
I primi segni di strappo con la visione funzionalista dei media e dell’educazione sono
rintracciabili in Merton, che oltre ad introdurre i cosiddetti fenomeni disfunzionali nella società,

15
Con l’espressione, mai ufficializzata, di Scuola di Francoforte vengono designati tutti quegli studiosi che furono
affiliati o influenzati dall’Istituto per la Ricerca Sociale (Institut für Sozialforschung) guidato dello storico marxista Karl
Grünberg.
16
Il termine rimanda alla distinzione proposta da Umberto Eco nel saggio “Apocalittici e integrati” pubblicato nel 1964.
17
Grassi C., Sociologia della comunicazione, Armando, Roma 2002, p. 84.

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considera le reti di relazioni e la partecipazione sociale come elementi condizionanti i processi di


socializzazione18.
In questa stessa visione di passaggio, possono essere inserite “le teorie sociologiche del
conflitto” (di orientamento marxista) che da un’idea macrosociale dell’educazione, vista come
procedimento integrato in un sistema molteplice, prospettano una diversa lettura “di mediazione”.
Il concetto di socializzazione di ispirazione funzionalista si carica di una significato negativo
poiché viene compreso come uno strumento di testimonianza del potere che evidenzia le disparità di
classe. La cultura e i valori della tradizione sono affidati al nuovo apparato sociale, fortificati dal
potere di influenza reciproca e risposta del singolo, che assimila e riadatta le informazioni trasmesse
rafforzandole delle esperienze personali vissute e del proprio background socio-culturale.
Quindi l’attenzione si trasferisce dall’analisi della struttura sociale a quella dell’agire
individuale che si arricchisce di studi sui rapporti e scambi sociali e di interazione con strutture di
educazione quali la famiglia, la scuola, l’extrascuola.
«La socializzazione, dunque, diventa un processo circolare in cui gli aspetti individuali si
intrecciano con quelli sociali e dalla loro interazione scaturiscono meccanismi di identificazione»19.
Sul fronte della Communication Research, il modello S/R20 e l’idea di comunicazione come
trasferimento di informazioni21, cominciano ad essere sorpassati da alcune ricerche empiriche
sull’influenza dei media nei giovani22 che persuadono ad una visione della società più eterogenea e
complessa. Per la prima volta nella relazione soggetto/medium cominciano ad essere esaminate
variabili sociali, psicologiche e relazionali che differiscono il flusso comunicativo e rompono la
linearità del processo (S→O →R)23.
La diversità socioculturale e individuale, così come la crescita di dinamiche relazionali
diventano schermi che limitano il potere dominante dei media e la rapidità dei loro effetti.

18
Cfr. Massa R., Istituzioni di pedagogia e scienze dell’educazione, Laterza, Roma-Bari, 1990.
19
Censi A., La costruzione sociale dell’infanzia. Contesti, interazioni e pratiche educative, FrancoAngeli, Milano 1994,
p. 14.
20
Modello di natura comportamentista secondo cui la risposta comportamentale è conseguenza dello stimolo che
l’ambiente esercita sull’individuo.
21
Rientrano ad esempio in questa definizione della comunicazione “la teoria matematica dell’informazione” di Claude
Elwood Shannon e Warren Weaver del 1949.
22
Nel 1933 fu pubblicato uno studio del Payne Fund in cui sociologi, psicologi e educatori si interrogano sugli effetti
del cinema nei giovani in termini di atteggiamenti violenti e di conoscenza delle culture straniere. Gli studi
dimostrarono che la fruizione e dunque gli effetti mediali dipendono da fattori differenziali, quali l’età, il sesso,
l’ambiente sociale, etc.
23
Mauro Wolf invece definisce queste stesse teorie approccio empirico-sperimentale o “della persuasione” e approccio
empirico sul campo o “degli effetti limitati”; Cfr. Wolf M., Teorie della comunicazione di massa, Bompiani, Milano
1985.

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Gradualmente viene evidenziata la diversificazione del pubblico che reagisce individualmente agli
stimoli esterni, in virtù, principalmente, delle influenze socioculturali e soggettive.
È certamente affrettato parlare, già adesso, di centralità del soggetto nel processo di
costruzione della realtà poiché il focus delle discussioni scientifiche è ancora focalizzato sugli
effetti della comunicazione, tuttavia essi sembrano ridimensionati alla luce delle nuove
interpretazioni.
Gli studi in questi anni, dunque, si determinano «sull’analisi delle strategie comunicative
messe in atto dagli apparati mediali per massimizzare la capacità persuasiva dei loro messaggi,
tenendo conto delle caratteristiche specifiche del mezzo o del profilo socioculturale e psicologico
del pubblico»24.
Intorno agli anni ’50 vi avviano nuovi studi sui contesti sociali che porteranno ad una
diversa interpretazione del funzionalismo.
La precarietà degli standard normativi e l’insufficienza dei precedenti sistemi culturali in
rapporto alle nuove linee sociali, stimolano la ricerca verso un’analisi di diverse posizioni
interpretative sociologiche e comunicative: «il gruppo sembra diventare la dimensione privilegiata
entro cui legittimare l’esperienza quotidiana»25. Il vissuto del singolo e i suoi rapporti di scambio
diventano filoni di ricerca superando la visione olistica della società e proiettandosi verso una
visione ecologica26; nelle discussioni sociologiche degli anni ’60 gli attori sociali e i loro
comportamenti acquistano un ruolo decisivo.
È con gli studiosi della Scuola di Chicago27, che teorizzano l’interazionismo simbolico28,
che si riflette sugli effetti della società rispetto alla costruzione dell’identità individuale, muovendo
dal background culturale, dalle esperienze quotidianamente e dalle plurime influenze esterne; il
soggetto viene visto come costruttore dell’universo simbolico e il rafforzamento della sua identità
diventa una continua negoziazione all’interno di cornici socioculturali in cui i valori e le norme
rappresentano soltanto “le soglie minime” del processo interattivo.

24
Cfr. Grassi C., Sociologia della comunicazione, op.cit., p. 38.
25
Berzano L., Cepernich C., Società e movimenti, Ellissi, Napoli 2003, p. 70.
26
Secondo la prospettiva ecologica della comunicazione inaugurata dalla scuola di Chicago, la società comincia ad
essere letta e interpretata come una rete di rapporti sociali e comunicativi fra i vari membri e fra le diverse istituzioni.
La scuola non va oltre gli anni ’30 del XX secolo e i suoi esponenti principali sono R. E. Park (1864-1944) e C. H.
Cooley (1864-1929); le principali idee tuttavia riemergono qualche decennio più tardi con l’avvento delle sociologie
interpretative a partire dagli anni ’60 (interazionismo simbolico, fenomenologia sociale, etnometodologia).
27
Il nome esatto è Scuola dell’ecologia sociale, nata negli anni ’20, è stata la prima scuola di sociologia urbana negli
USA.
28
L’espressione “interazionismo simbolico” è stata coniata da Herbert Blumer (1969). È una teoria microsociologica
che si occupa principalmente dell’interazione sociale che ha luogo quotidianamente tra gli individui.

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Sulla scia delle ricerche della Scuola di Chicago e di Palo Alto, entra in crisi la visione del
mondo fino ad allora duratura: non può esistere un solo punto di vista, in aggiunta oggettivo, per
interpretare la realtà; ogni rappresentazione del mondo è influenzata dalla cornice storico-culturale
entro cui è generata, in tal senso è evidente una relatività di spiegazioni del reale, spesso connessa
alla situazione esistenziale di ciascuno.
Gli studiosi del Circolo di Vienna giunsero a considerare la realtà come vita quotidiana
“fatta di sensi e di cose fisiche” che il soggetto avverte, assimila e ripropone nel percorso
conoscitivo e di costruzione della realtà.
In questa visione il sociale assume un valore semantico dal momento che la comprensione
avviene attraverso un processo ermeneutico di negoziazione continua di significati, in cui ogni
interpretazione è accresciuta dalle esperienze di ciascuno.
«Il mondo sociale è retto da un insieme reiterato di accordi che non possono essere
esplicitati ma che sono fondamentali per la vita in comune. Non si tratta di norme fissate una volta
per tutte. È qualcosa che tutti noi siamo costantemente impegnati a rigenerare»29.
Si approda ad una visione costruttivista o relazionale del sociale in cui le relazioni e le
interazioni danno un grande contributo al rafforzamento di una nuova cultura, lasciando e
superando la logica trasmissiva dei saperi.
Questo compito sociale necessariamente rispecchia le dinamiche strutturali e culturali del
mondo reale. Michel Maffesoli, sociologo francese, con questa visione, tenta di rappresentare la
complessità del moderno sfuggendo da interpretazioni troppo rigide e strutturate (teoria del
neotribalismo)30. Scrive lo studioso: «Le tribù rappresentano le forme, forse irreali, della
molteplicità di situazioni, di esperienze, di emozioni, di azioni logiche e non logiche che
costituiscono la socialità. Si assiste oggi alla sostituzione di un sociale razionalizzato con una
socialità a dominanza empatica che si esprime in una successione di ambiances, di atmosfere, di
sentimenti e di emozioni»31.
In questo pensiero si trovano le basi che portano ad una visione sociale soggetta al continuo
cambiamento strutturale, spesso di matrice individualista.

29
Jedlowski P., Il mondo in questione, op. cit., p. 254.
30
Corrente di pensiero secondo cui le nuove forme di aggregazione sociale costituiscono la risposta al crescente declino
delle forme di organizzazione tradizionali.
31
Maffesoli M., Il tempo delle tribù. Il declino dell'individualismo nelle società postmoderne, Guerini e Associati,
Roma, 2004, p. 54.

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Il soggetto è esaminato in relazione ai ruoli che di volta in volta è chiamato a rivestire nel
proprio contesto socioculturale, tuttavia in questo nuovo pensiero l’accrescimento dei villaggi
urbani e delle relazioni umane, la riscoperta dell’intersoggettività, sono dimostrazioni di una
trasformazione in atto, diventano particelle di una visione sociale sottoposta al continuo
cambiamento strutturale, spesso di matrice individualista.
Il cambiamento importante si ha tra gli anni ’50 e ’60 con due diverse correnti interpretative:
quella che potremmo delineare ecologica32 e quella semiotica.
I mezzi di comunicazione cominciano ad essere analizzati come parti integranti di un
contesto socioculturale di cui rispecchiano sviluppi e contraddizioni. Essi partecipano al
cambiamento socioculturale perché avviano un processo di costruzione continua di rappresentazioni
del reale.
In tale ottica si mutano in strumenti di comunicazione del popolo e della loro storia; da qui
nasce il concetto di “media come arti popolari”, il cui senso e valore è indicato dalle stesse masse,
dai loro bisogni e dalle loro realtà.
La veduta ecologica è decifrabile nei Cultural Studies33 che considerano la cultura non più
intesa come un insieme stabile e oggettivato di idee, credenze e comportamenti, ma come un
processo incessante di produzione e distribuzione culturale.
Essa diventa una pratica sociale garante dei valori della tradizione e dei rapporti sociali degli
individui: una prospettiva avversa alla cultura di massa.
Secondo la cornice presentata «i media rappresentano forme culturali ed espressive di modi
di essere soggettivi e di sottoculture emergenti. L’individuo non è più identificato con la massa
amorfa, esso è un soggetto che costruisce giorno dopo giorno, attraverso le proprie esperienze,
universi simbolici di significato che restituiscono dignità a se stesso e alla sua vita»34.
Dal punto di vista degli studiosi britannici, comunque, il popolo da solo non è in grado di
avviare questo processo di maturità, è essenziale una guida e un orientamento, spesso riconosciuta
nell’élite al potere, che utilizza i media come principali strumenti di mediazione.

32
“Ecologia dei media” è un’espressione coniata per la prima volta dagli esponenti della scuola di Chicago (Park,
Cooley) agli inizi del novecento e rinvigorita nell’ambito dei Cultural Studies britannici circa dopo un ventennio. Il
punto di vista ecologico consiste nel percepire ogni fenomeno nella sua relazione con l’ambiente esterno e nel rileggere
le iniziative come azioni all’interno di un gioco di retro azioni polivalente e complesso.
33
Corrente di pensiero sviluppatasi intorno al Centre for Contemporary Cultural Studies (CCCS) dell’Università di
Birmingham.
34
Grassi C., Sociologia della comunicazione, op. cit., p. 195.

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I mezzi di comunicazione diventano prodotti culturali, forme di “Arte”, che devono guidare
il soggetto alla riscoperta della vera cultura, quella della tradizione; è tuttavia, evidente, che la
classe al potere educa alla scelta del prodotto mediale culturale, quindi perdura ancora un intento
proveniente dall’alto.
Il medium cardinale che favorisce l’attenzione di pedagogisti e di studiosi di comunicazione
è il cinema, di cui si analizzano gli effetti sulle giovani generazioni e inoltre i risvolti educativi e
didattici.
In questi anni gli interventi educativi prediligono la comprensione critica dei testi, capace di
limitare gli effetti nocivi dei media sui giovani, tuttavia si insinua ancora una visione protezionistica
dei media. «L’intervento educativo sul cinema di questi anni presenta una natura prevalentemente
estetica; l’obiettivo è affinare il gusto dello spettatore affinché sia in grado di distinguere la
genialità o la valenza culturale di un film nel caos generico dei prodotti cinematografici sviluppati a
partire dagli anni ’50»35.

35
Felini D., Pedagogia dei media. Questioni, percorsi e sviluppi, La Scuola, Brescia 2004, p. 91.

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3 Processo comunicativo e sviluppo sociale


Sul rapporto fra comunicazione ed educazione si apre un dibattito fatto di pressioni
tradizionali e fortemente progressiste, in ogni caso dannoso per gli studi scientifici.
La linearità del processo comunicativo inizia a barcollare per lasciare il posto alla
dimensione dello scambio e della reciprocità, gradualmente matura una forza culturale proveniente
dal basso, capace di ribellarsi alla proposta istituzionale, attivando processi alternativi a quelli
dominanti. Questa inversione di rotta restituisce potere al sistema dei mezzi di comunicazione
rivalutando il pubblico come primo attore del processo comunicativo.
Educare, in questo contesto, significa incominciare a tener conto della presenza dei media
nella costruzione dell’identità sociale e cultuale, rimane, però, ancora, la preoccupazione di tutelare
il soggetto dai rischi della modernizzazione. Il soggetto deve essere educato ad osservare ed a
interpretare la realtà, il sociale che lo circonda; è importante, da questo momento in poi, il processo
e i meccanismi di costruzione dei saperi e di interpretazione della realtà. I media, quindi, vengono
considerati possibili alleati nell’acquisizione di una identità culturale e non più ostili alla cultura
anche se rimane costante un intento da parte della classe governante di preservare la cultura dalla
modernizzazione che sempre più passa attraverso le tecnologie e i mezzi di comunicazione.
A partire da questo periodo storico, affiorano nuovi stili di vita, abitudini, consumi e bisogni
di identità che non trovano precisa collocazione in cornici sociali e comunicative delimitate ed
esatte. «Entrano in gioco e convivono sia forze socioculturali centrifughe che conducono alla
frammentazione, alla differenziazione e all’individuazione, sia forze centripete che invece portano
all’omologazione e all’uniformità delle interpretazioni. Il macrolivello delle politiche culturali
s’intreccia con la dimensione micro delle esperienze quotidiane, generando spesso inevitabili, ma
apparenti, contraddizioni»36.
I primi segnali di questo cambiamento interpretativo della realtà si scorgono
nell’etnometodologia37 che raggruppa i propri interessi sulla dimensione introspettiva del soggetto,
ossia sul processo ermeneutico di assegnazione di significato alla realtà; «nelle situazioni di tutti i

36
Buckingham D., Né con la tv, né senza la tv, FrancoAngeli, Milano 2004, p. 135.
37
Scuola sociologica che si interessa dei metodi di cui i membri di un gruppo etnico si servono per comprendere la loro
stessa attività.

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giorni, le persone fanno ricorso al loro mondo simbolico costituito da valori e credenze, per dare un
senso a tutte le loro azioni»38.
Tutto ciò condiziona la letteratura scientifica di quegli anni proponendo più una nuova
chiave di lettura orientata alla costruzione personale dell’esperienza.
Importante è il pensiero di due autorevoli studiosi Peter Berger e Thomas Luckman39 che da
un lato riconoscono l’evoluzione lineare del sapere mentre dall’altro esaltano l’azione dei singoli in
contesti comunicativi e relazionali di socializzazione.
Questa visione si concentra prevalentemente sulle prassi comportamentali costantemente
messe in campo per comprendere ed dare senso al quotidiano, contagiando anche il rapporto fra
comunicazione e formazione/educazione, più diretto ad un approccio semantico e sintattico.
Importanti a tal proposito sono gli studi di natura semiotica40 e l’attenzione posta ai contesti
sociali. L’idea di comunicazione che ne sgorga supera il semplice atto trasmissivo e si modifica in
un percorso di costruzione frutto della relazione che intercorre tra l’emittente e il destinatario
secondo la logica della cooperazione interpretativa, in cui i contenuti mediali diventano universi di
discussione dei significati proiettati al loro interno. «La cornice socioculturale di appartenenza, le
relazioni vissute e le conversazioni scambiate giorno dopo giorno, così come il background
culturale ed educativo di ciascuno incidono sugli stili fruitivi del pubblico»41.
È importante sottolineare che le strutture e le relazioni necessariamente influenzano l’agire
dei soggetti che fanno parte di un sistema sociale e dinamico42. In questo senso, diventa difficile
parlare di conoscenza quotidiana senza che essa sia raffrontata e/o inserita in contesti più ampi
dell’agire sociale. Queste nuove cornici immettono un modo diverso di intendere l’educazione,
soprattutto in relazione alla comunicazione muovendo dall’analisi dei bisogni e dal contesto
circostante e costruendo un rapporto dialogico e di interscambio fra pensiero teorico e pratica
organizzativa.
Riepilogando e riassumendo si può certamente affermare che il ruolo sociale
dell’educazione e la funzione culturale della comunicazione hanno vissuto una trasformazione
radicale nel corso del tempo; da una considerazione olistica della società elaborata all’inizio del
’900, secondo cui i contenuti diffusi dai media possono modificarsi in una fonte di intimidazione

38
Berzano L., C. Cepernich, Società e movimenti, op. cit., p. 102.
39
Cfr. Berger P., Luckman T. in La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna 1966.
40
A tal proposito si possono approfondire gli studi di Ferdinand De Saussure, Claude Levi-Strauss e Noam Chomsky.
41
Cfr. Wolf M., Teorie delle comunicazioni di massa, op. cit., p. 44.
42
Si veda a tal proposito Volli U., Il libro della comunicazione, il Saggiatore, Milano 1994, cfr. anche Buckingham D.,
Né con la tv, né senza la tv, op. cit.

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per lo status quo e trasformarsi in principi di corruzione e di degrado per la massa, si passa ad una
visione negoziata contrassegnata da giochi di raffigurazione simbolica della realtà.
L’educazione, quindi, non è più «orientata soltanto alla trasmissione delle conoscenze, ma è
incentrata sul processo di apprendimento, in tal senso da una socializzazione intesa come
addestramento (anni ’60), si passa a un’idea di socializzazione come acquisizione di un habitus per
la convivenza, come scambio di prospettive basato sull’interdipendenza e la circolarità»43.
In questo scenario, diventa fondamentale munire ogni soggetto di strumenti sufficienti ed
utili per sapersi collocare autonomamente nella società dell’informazione e della comunicazione.
La nuova idea di educazione moderna che ne scaturisce è molto prossima alla teoria
sull’ecologia della mente di Bateson44. È, pertanto, dovere del sistema educativo insistere sul
deuteroapprendimento45 ovvero sullo sviluppo nel soggetto di capacità metacognitive, di sistemi e
strategie per analizzare la realtà ed adattarsi al cambiamento.
Negli ultimi anni, la nascita e la espansione dei new media ha richiamato l’attenzione di
ricercatori facenti parte di campi di studio diversi, dalla sociologia alla semiotica, dalle scienze
dell’educazione alla psicologia cognitiva.
In questa rete di interscambi culturali assume una particolare importanza anche il settore
delle Scienze della Comunicazione che guadagna progressivamente una valenza scientifica
nell’universo dei saperi educativi.
I media, infatti, secondo gli studi e le analisi degli ultimi decenni, si configurano come
strumenti di socializzazione, collocandosi oltre il semplice tecnicismo.
Questi diventano strumenti concreti di apprendimento ed opportunità di arricchimento e di
sviluppo soggettivo, poiché partecipano alla determinazione di complessi processi cognitivi e nuovi
forme di comunicare e di interazione. In tale prospettiva, i media assumono repentinamente un
valore educativo che immancabilmente segnerà i processi di insegnamento/apprendimento,
causando trasformazioni in termini di strategie e metodi didattici.
Nel corso degli anni, i cambiamenti socioculturali originati dalla modernizzazione hanno
prodotto una trasformazione del pensiero e del modo di interpretare la conoscenza, consentendo la

43
Censi A., La costruzione sociale dell’infanzia, op. cit, p. 140.
44
Individua diversi livelli di apprendimento: -Apprendimento Zero; -Protoapprendimento; -Deuteroapprendimento; -
Apprendimento terziario.
45
Cfr. Bateson G., Mente e Natura, Adelphi, Milano 1984; Bateson G., Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano
1976.

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proliferazione di varie chiavi di lettura sulle direzioni e sui modelli collegati alle pratiche educative
e comunicative.
Ne è derivata una vasta prospettiva di definizioni semantiche e di riflessioni simboliche sul
senso di educare e sul suo compito socioculturale. Si sono perfezionate, pertanto, molte
considerazioni sull’evoluzione della sua relazione con la tecnologia.
«I processi di acculturazione non possono prescindere dalla pluralità del sapere, dalla
complessità dei nuovi mezzi di comunicazione globale, dalla richiesta di mutate e più raffinate
competenze comunicative, dalla capacità di negoziare con la differenza […] e richiedono anche alla
pedagogia di ripensarsi criticamente e di ridisegnare la propria rete di relazioni con altri saperi»46.
Secondo Morin, «l’oggetto dell’educazione non è dare all’allievo una quantità sempre
maggiore di conoscenza [poiché] imparare a vivere richiede non solo conoscenze, ma la
trasformazione, nel proprio essere mentale, delle conoscenze acquisite in sapienza e
l’incorporazione di questa sapienza per la propria vita»47.
Il senso moderno di educare è composto dalla condivisione di due orizzonti culturali: da un
lato l’esaltazione dell’autorealizzazione individuale dall’altro la costruzione di una civitas
collettiva48.
Nel primo caso, la mansione educativa sembra più interiore e di origine socratica, in quanto
collegata allo crescita della personalità muovendo dal background socioculturale di ciascuno e
condivisa dalla tradizione letteraria; nel secondo caso, al contrario, l’educazione appare come un
percorso di completamento dell’individuo nella società.
Queste due espressioni, intrinsecamente connesse fra loro, schematizzano il processo di
formazione secondo cui l’azione consapevolmente educativa si inserisce sulle inclinazioni e le
peculiarità personali dei singoli soggetti, operando sulle necessità di socializzazione e di
identificazione sostenendoli nella fortificazione di una forma di coscienza delle responsabilità
individuali e sociali. Tali spinte descrivono una tensione a cui il soggetto è costantemente
sottoposto durante l’intera vita, una tensione protratta fra l’universale e l’individuale.

46
Tarozzi M., Pedagogia generale. Storie, idee, protagonisti, Guerini Studio, Milano 2001, p. 123.
47
Il sociologo francese si è occupato alla “riforma del pensiero” concentrandosi sull’importanza di una nuova
conoscenza che superi la separazione dei saperi sviluppando così la capacità di rispondere alle sfide della globalità e
della complessità. Morin E., La testa ben fatta, Raffaello Cortina, Milano 2000, p. 45.
48
Cfr. Scurati C., Fra presente e futuro. Analisi e riflessioni di pedagogia, La Scuola, Brescia 2000.

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«Se non sappiamo ove siamo stati è difficile sapere dove stiamo andando. Il passato è la
base dell’identità individuale e collettiva, gli oggetti del passato sono fonti di significato in quanto
simboli culturali»49.
Questa tensione rinvia, ancora, all’antitesi fra passato e moderno; le esperienze passate e i
valori tramandati, assimilate dal soggetto, convivono con l’orientamento all’innovazione, divenendo
sia impulso per il fare e panacea del senso di disorientamento dell’uomo moderno, sia punto di
inizio per assegnare un nuovo senso al proprio fare e orientare le scelte di vita.
L’essenza dell’uomo è connessa ad un passato fatto di ideali, regole e valori morali e
s’interseca in una cornice culturale che non solo incoraggia l’espressività individuale, ma permette
anche di ridimensionare l’eccedenza di individualismo.
Il significato moderno di educazione va interpretato come capacità di condizionare
intimamente l’animo del soggetto, incitando uno sviluppo interiore, comprendere e ricercare
costantemente il senso della propria vita nelle relazioni d’interazione e nei contesti in cui ognuno si
trova continuamente coinvolto.
È funzione, quindi, dell’educazione far sviluppare e crescere il proprio io dalle incertezze,
dalle domande, dai dubbi che la complessità sociale incita a porsi. Essa può svincolare l’identità del
soggetto mediante la crescita delle personali potenzialità biologiche, mentali e interiori dentro una
cornice in cui cresce una morale sociale flessibile ma debole focalizzata sui valori della
cooperazione e della convivenza.
La soggettività dell’essere umano e la sua rappresentazione nel mondo sono un “un cantiere
aperto” intrinsecamente unito alla sua propulsione culturale, pertanto crescere in una società
democratica e moderna esprime un significato di appartenenza, ma anche una capacità di distacco
critico, indirizzarsi nella complessità sociale sviluppando «i costrutti dell’identità personale e della
solidarietà, della libertà e della responsabilità, della competizione e della cooperazione»50.
Delors51 manifesta e interpreta questa duplice natura dell’educazione in alcune riflessioni
che superano il semplice trasferimento di conoscenza ed attingono «alla dimensione semantico-

49
Harvey D., La crisi della modernità. EST, Milano 1997, p. 112.
50
Corradini L., Essere scuola nel cantiere dell’educazione, SEAM,. Roma 1995, p. 67.
51
Il rapporto Unesco-Delors del 1996 codifica i “quattro pilastri dell’insegnamento”: -imparare a conoscere;-imparare a
fare; -imparare a vivere insieme/con gli altri; -imparare ad essere.

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simbolica, insistendo sul valore metaprocessuale dell’educazione e sulla centralità del processo di
apprendimento»52.
In questo senso, la conoscenza raffigura molto di più di un atto trasmissivo, essa si orienta
verso la cognizione dei modi o dei funzionamenti alla base del processo di apprendimento
giungendo all’idea di meta cognizione.
In tal senso, in una società dell’informazione, come quella in cui viviamo, la necessità di
conoscenza deve includere anche i media, spesso definiti “cultura di vita”, giacché sono parti
indispensabili della quotidianità. Essi fanno parte del vissuto e, come tali, «vanno non soltanto
accettati ma anche compresi, controllati, gestiti e ridefiniti in termini di significati e simboli, in
modo da attribuire loro un valore semantico»53.
Da tutto ciò, discende un’altra ipotesi dell’educazione similmente considerevole, quella
secondo cui la conoscenza nella società moderna non si discosta dall’essenza educativa sottesa
all’esercizio del fare.
L’esercizio del fare permette il progresso di capacità che sostengono lo sviluppo di un nuovo
modo di vivere e di fare nella società, dando ad ognuno le premesse per amministrare il proprio
destino e esporsi, conservando attivi la curiosità, l’autonomia, la capacità al raffronto e alla
condivisione, accrescendo l’attitudine ad adattarsi al mutamento e alle peculiarità del contesto
socioculturale.
L’imparare confrontarsi consolida il senso di una cultura civile, che si valorizza spesso nel
rispetto delle differenza individuali e culturali, conservando la ordinaria tendenza all’apertura e al
confronto di idee.
Come chiarisce Cesare Scurati, è opportuno «imparare a leggere, cioè a conoscere,
comprendere, capire e giudicare una quotidianità fatta di immersione nel concreto e nell’immediato
dell’azione»54.
In questo quadro, «i mezzi di comunicazione assolvono un ruolo fondamentale poiché sono
veicoli di conoscenza e d’informazione, consentono un aggiornamento tempestivo e una mappa
d’inquadramento sulla diversità e complessità socioculturale»55.

52
Delors J., Nell’educazione un tesoro. Rapporto all’UNESCO della Commissione Internazionale sull’educazione per il
XXI secolo, Armando, Roma, 2003 (VI ediz.), p. 19.
53
Scurati C., Quattro culture: un ambiente per i media in Di Mele L. (a cura di), “La ricerca nella media education”,
UCSI-IUSOB, Napoli 2004, p. 36.
54
Ivi p. 37.
55
Felini D., Pedagogia dei media. Questioni, percorsi, sviluppi, La Scuola, Brescia, 2004, p. 206.

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Ulteriore assioma dell’educazione è l’imparare a essere56 in relazione alla scoperta e alla


crescita dell’individuo, ossia alle inclinazioni, ai desideri e alle attitudini soggettive alla base delle
scelte e delle azioni dei soggetti.
I media, in questa visione, svolgono un ruolo notevole nei processi di conoscenza della
realtà e nella costruzione di atteggiamenti e valori sociali. Essi influenzano il linguaggio, le
rappresentazioni ed i modi di agire delle persone, concorrendo a trasformare i rapporti nei processi
di identificazione, le strutture della comunicazione ed il rapporto fra norme e strutture simboliche;
in tal senso gravano sull’efficacia comunicativa mutandosi in agenzie di socializzazione, anche se
“informali ed immediate”57 o “leggere”58.
Questo senso moderno di educazione pare essere l’obiettivo di un lungo ed organizzato
percorso figurativo sviluppato nel corso del tempo, ciò nonostante ancora Scurati ci fa notare che
nella società odierna si parla ancora di “enigma dell’educazione”, valutazione spesso collegata
all’inadeguatezza dell’oggi di mettersi in relazione a ieri per edificare un’immagine di domani più
rasserenante. L’immagine è di smarrimento dei «fili di connessione senza dei quali l’aggancio al
presente e, soprattutto, la progettazione del futuro si trovassero sospese in una sorta di poco
rassicurante vuoto di riferimenti e di speranze»59.

56
Cfr. Delors J., Nell’educazione un tesoro. Rapporto all’UNESCO della Commissione Internazionale sull’educazione
per il XXI secolo, op. cit.
57
Cfr. Morcellini M., Passaggio al futuro. Formazione e socializzazione tra vecchi e nuovi media, FrancoAngeli,
Milano 1997.
58
Cfr. Martelli S., Videosocializzazione. Processi educativi e nuovi media, FrancoAngeli, Milano 1996.
59
Scurati C., Fra presente e futuro. Analisi e riflessioni di pedagogia, op. cit., p. 10.

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