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Educazione e società - Elena

Besozzi
Sociologia dell'Educazione
Università degli Studi di Salerno (UNISA)
26 pag.

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1. LO STUDIO SOCIOLOGICO DEI PROCESSI EDUCATIVI
La scoperta sociale della funzione dell’educazione
Con lo sviluppo della società moderna, a partire dal 1500 e con le rivoluzioni (industriale e
francese) di fine 1700, si sviluppano nuovi modi di produrre, di lavorare, di stare insieme,
legati sia ai processi di urbanizzazione sia a nuovi modi di relazionarsi nel lavoro e in famiglia.
La società moderna è centrata su due nuove figure sociali: il lavoratore e il cittadino. Tutto
questo implica l’assegnazione di un ruolo centrale all’educazione, per costruire un nuovo
soggetto sociale in grado di assolvere ai compiti sociali della società moderna in cui il singolo
è sempre più distinto dalla collettività, con implicazioni importanti per i processi di
integrazione e coesione sociale. Questa nuova funzione dell’educazione è colta da Emile
Durkheim.
L’importanza assegnata all’educazione comporta un aumento dell’importanza dell’istruzione,
intesa come alfabetizzazione, e uno spazio sempre più ampio dato alla scuola. Durante la
prima metà del Novecento si attenua l’interesse sociologico verso l’educazione, per risorgere
dopo la Seconda guerra mondiale.
La “riscoperta” dell’educazione
Negli anni cinquanta e sessanta del Novecento si cerca di ricostruire economicamente e
politicamente le nazioni europee distrutte dalla guerra. All’istruzione è assegnato un
compito rilevante poiché lo sviluppo economico richiede persone istruite, qualificate, da
collocare nelle diverse posizioni lavorative.
La sociologia dell’educazione nasce pertanto come settore specialistico della sociologia volto
all’analisi dei fenomeni e dei processi legati all’istruzione, considerata strumento di sviluppo
sociale ma anche di promozione della persona e delle sue possibilità di realizzazione sociale.
Gli sviluppi della sociologia dell’educazione
A partire dagli anni sessanta, il legame istruzione-occupazione-mobilità sociale diventa uno
dei nodi centrali d’indagine della sociologia dell’educazione. Si assiste a un aumento di
persone con diplomi e lauree e questo produce difficoltà ad avere sbocchi occupazionali
congruenti con l’investimento messo in atto.
Il possesso di titoli di studio diventa sempre più importante da una generazione all’altra, non
solo per aumentare il proprio reddito ma anche il proprio prestigio (Bourdieu parla di
mercato simbolico). Nelle società moderne coloro che possiedono qualifiche di scarso rilievo
o che non possiedono alcun titolo spesso vengono messi ai margini.
Negli anni Settanta l’istruzione inizia ad essere considerata come un bene da fruire da parte
di tutti, in un’ottica di uguaglianza delle opportunità, con una visione di autorealizzazione
della persona, di sviluppo di tutte le sue potenzialità. Emerge la questione delle
disuguaglianze di fronte all’istruzione e del peso dell’origine sociale e culturale sui percorsi e
sugli esiti scolastici.
Il consolidamento del discorso scientifico
Negli anni novanta e nei primi anni del nuovo millennio la sociologia dell’educazione si
concentra soprattutto sulla società e sulle sue aspettative, sui soggetti e sui loro percorsi
differenziati e sulla dimensione individuale dei processi di socializzazione.

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Si sviluppa uno scenario definito di policentrismo formativo, vale a dire uno scenario che dà
rilevanza a più luoghi e attori della formazione. Entrano in gioco problematiche importanti,
come la realtà giovanile contemporanea, le situazioni diffuse di disagio e di trasgressività, i
rapporti tra le generazioni, le nuove tecnologie della comunicazione (che contribuiscono a
modificare le condizioni e le modalità dei processi di apprendimento formali e informali), la
formazione continua con l’attenzione alla popolazione adulta, la multiculturalità come tratto
caratterizzante le società occidentali (con la conseguente necessità di rivisitare le questioni
dell’integrazione, delle identità e delle appartenenze).
Sociologia dell’educazione come disciplina scientifica
La sociologia dell’educazione ha le sue radici nella sociologia e il suo oggetto di analisi
nell’educazione e ha incontrato difficoltà iniziali nel definire un proprio statuto autonomo
soprattutto nei confronti della pedagogia. L’importanza del contesto sociale e delle
condizioni dell’educabilità ha visto sviluppare in seno alla pedagogia una sociologia
educativa. La sociologia dell’educazione quindi si caratterizza come disciplina volta alla
conoscenza dei fenomeni e dei processi educativi.
Max Weber mette a punto il concetto di tipo ideale. Il tipo ideale rappresenta un “tipo puro”
che non esiste nella realtà ma fa da riferimento nello studio dei fenomeni sociali. La
sociologia dell’educazione assume un punto di vista del tutto diverso da quello pedagogico o
filosofico: la prospettiva sociologica ha carattere descrittivo e conoscitivo ed è rivolta allo
sviluppo di spiegazioni e interpretazioni piuttosto che alla definizione di orientamenti
normativi o alla risoluzione di problematiche educative.
La sociologia dell’educazione ha strutturato un suo statuto scientifico e una sua autonomia e
ciò consente di sviluppare anche un lavoro interdisciplinare con discipline di confine, come la
pedagogia o la psicologia, attorno a oggetti di studio o a problematiche in larga misura
comuni, ma affrontate con punti di vista diversi che possono rappresentare un notevole
arricchimento conoscitivo.

2. IL RAPPORTO EDUCAZIONE-SOCIETÀ
La centralità del legame educazione-società
L'oggetto di studio della sociologia dell'educazione è il rapporto che intercorre tra ideali e
pratiche educative e la società di riferimento. È un legame che rende possibile la costruzione
dell'essere sociale e la sua piena integrazione nel contesto sociale di appartenenza.
Considerando il rapporto educazione-società si colgono alcuni principi generali:
- ogni società ha bisogno di educare le nuove generazioni;
- in ogni società si sviluppano ideali educativi, scopi e modi dell'educazione;
- obiettivo dell'educazione è lo sviluppo di un soggetto in grado di realizzare
pienamente la propria esistenza all'interno della società di riferimento;
- il risultato positivo dell'azione educativa si evidenzia nell'integrazione dei soggetti tra
loro e con la realtà sociale in cui sono collocati.
Questi elementi generali sono ben individuati da Emile Durkheim. Tuttavia, il rapporto
educazione-società è sottoposto al cambiamento sociale e quindi direttamente legato a
scenari socioculturali e a problematiche sociali emergenti.

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La società moderna è una società problematica riguardo ai processi di integrazione e di
costruzione di solidarietà a causa delle profonde trasformazioni che la attraversano e anche
l'educazione appare come una dimensione problematica e la riflessione sociologica è
chiamata in causa nel dar conto degli elementi che caratterizzano tale problematicità.
Il legame individuo-società come fondamento
Per capire il modo di intendere il rapporto educazione-società è necessario rifarsi ai diversi
paradigmi o approcci teorici che sono stati sviluppati in sede di riflessione sociologica
generale: quello funzionalista, quello conflittualista e quello interazionista-comunicativo.
Secondo il paradigma funzionalista la società prevale sull'individuo. All'interno di questo
paradigma, che ha radici lontane in Emile Durkheim e che viene sviluppato dal sociologo
americano Talcott Parsons, l'educazione è concepita come quell'azione esercitata sugli
individui al fine di renderli conformi, adatti alla società in cui devono vivere, in grado cioè di
realizzare pienamente una corrispondenza con le aspettative sociali e i valori condivisi.
Il paradigma conflittualista ritiene centrali le azioni di gruppi di individui contrapposti ad altri
gruppi. L'azione educativa viene interpretata in funzione della formazione e della
contrapposizione, esiste pertanto una discontinuità nel rapporto educazione-società data dal
conflitto di interessi, dalla lotta per l'accesso alle risorse sociali e per il potere. L'integrazione
è solitamente realizzata all'interno del gruppo di appartenenza, in contrapposizione ad altri
gruppi: la classe sociale, quale raggruppamento economico, nell'accezione di Carl Marx, o
classe sociale, ceto, partito secondo la distinzione di Max Weber. La matrice conflittualista
contiene due interpretazioni del conflitto diverse per origine (del conflitto stesso) e negli
esiti.
Per Marx il conflitto è strutturale, dato dai rapporti di produzione che sono rapporti di
dominio e di sfruttamento della classe dominante sulla classe dominata. Il conflitto nella
prospettiva marxista è ritenuto insanabile e risolvibile solo attraverso l'abbattimento radicale
della struttura economica che definisce tale dominio. Solo la rivoluzione del proletariato e la
socializzazione dei mezzi di produzione (e quindi l'eliminazione della proprietà privata)
possono realizzare una società senza classi.
Per Weber, la lotta trova invece spazi di intesa e di ricomposizione, peraltro provvisorie
perché sottoposte al continuo avvicendarsi del gioco per il potere, la ricchezza, il prestigio.
In entrambi i casi l'educazione si rivela essere un ambito privilegiato o di riproduzione della
struttura di classe e di dominio (in Marx) o di lotta tra i ceti (in Weber), per il dominio
culturale e l'affermazione di una determinata visione del mondo.
Il paradigma interazionista-comunicativo può essere fatto risalire al sociologo tedesco Georg
Simmel, che definisce l'esistenza sociale dell'individuo sostanzialmente ambivalente, in
quanto giocata continuamente su due bisogni fondamentali: un bisogno di appartenenza, di
identificazione, che spinge il soggetto verso il gruppo, e un bisogno di distinzione, di
individuazione che evidenzia come il soggetto sia anche altro rispetto alla sua collocazione
sociale. L'analisi del rapporto individuo-società si caratterizza secondo un dualismo
esistenziale, dove la società condiziona l'individuo, ma dove l'individuo è considerato
soggetto attivo, capace di un'autonomia elaborazione e interpretazione e quindi di una
risposta che va o verso la società o se ne distanzia.

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Dalla dipendenza all'interdipendenza
La fase della dipendenza
Per tutto l'Ottocento e nella prima metà del Novecento la problematica fondamentale è
quella dell'ordine e della convivenza sociale, con evidenti funzioni oltre che di integrazione
anche di controllo sociale assegnate all'educazione.
È in Emile Durkheim che appare chiaramente l'assegnazione di queste funzioni
all'educazione e quindi il legame di dipendenza dell'educazione dalla società definita come
autorità morale, e la sua finalizzazione a un'integrazione nei valori della coscienza collettiva.
Talcott Parsons a metà degli anni cinquanta definisce l'educazione come quel processo nel
corso del quale si struttura la personalità e si realizza una stabilizzazione dei modelli di
orientamento di valore e delle aspettative di ruolo. Parsons supera la visione lineare
durkheimiana. Per lui la socializzazione si realizza a partire da aspettative definite sul piano
sociale e culturale e dalle esigenze di adattamento all'ambiente.
Per Marx, l'educazione è in funzione degli interessi della classe dominante (la borghesia),
interessi che sono in contraddizione con quelli della classe dominata (il proletariato). Esiste
pertanto un'educazione borghese e un'educazione degli operai: la prima finalizzata a
preparare i figli della classe dominante a occupare la posizione dei padri, la seconda in
funzione degli interessi della borghesia.
Max Weber considerava invece la struttura sociale e quindi il rapporto fra le varie parti della
società in termini multidimensionali: economia, politica e cultura interagiscono pertanto nel
definire un'organizzazione sociale e i caratteri dei diversi gruppi che la compongono. Weber
intende far emergere come esista una dipendenza tra struttura sociale ed educazione.
In prospettiva storica, Weber fa emergere un cambiamento nei tipi di potere e quindi nella
cultura e nell'educazione (ideale educativo) che vi corrispondono: al potere carismatico
corrisponde una cultura orale e un tipo di educazione carismatica; al potere tradizionale
corrisponde una cultura scritta e un ideale educativo dell'uomo colto; infine, al potere
legale-razionale tipico delle società moderne corrisponde una cultura tecnico pratica e un
ideale educativo centrato sulla figura dello specialista. In questa fase storica più recente, il
soggetto dell'educazione è il cittadino in grado di conseguire una professionalizzazione.
La fase dell'autonomia
Negli anni settanta del secolo scorso riemerge la dimensione del conflitto, in relazione a uno
scenario di pluralismo culturale. Al pluralismo culturale si accompagna anche una caduta
della centralità della scuola e lo sviluppo di un policentrismo formativo, che accentua
ulteriormente la discontinuità dei processi educativi rispetto alla realtà sociale complessiva.
La fase dell'interdipendenza
Negli ultimi decenni del secolo scorso i processi educativi vengono descritti come processi di
interazione e come processi di produzione e riproduzione delle strutture sociali esistenti.
Società complessa e processi educativi
Lo sviluppo di concezioni diverse del rapporto educazione-società mostra chiaramente, da
un lato, un incremento e una sedimentazione teorica da parte della sociologia
dell’educazione; dall’altro, una crescente problematicità dello scenario sociale e culturale di
riferimento. La società contemporanea è complessa; questo significa sia una crescente

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specializzazione e differenziazione sia un aumento dell’imprevedibilità e dei momenti di
incertezza. Nelle società contemporanee, la cultura non è più un modello unitario di valori,
norme, regole e consuetudini largamente condivisi, piuttosto essa appare come un insieme
diversificato e disomogeneo di rappresentazioni, codici, testi, rituali, modelli di
comportamento, valori, che costituiscono, in ogni situazione sociale determinata, un insieme
di risorse, la cui funzione specifica viene variamente definita a seconda dei momenti.
Questa frammentazione del modello culturale di riferimento pone in primo piano il
problema della convivenza sociale che va fondata su basi nuove, in relazione alle
trasformazioni del rapporto tra gli individui e le loro collettività di riferimento e quindi della
separazione o disgiunzione tra sfera dell’individuo e sfera sociale.
Ciò ha delle ricadute rilevanti per l’educazione e l’integrazione sociale.

3. SOCIALIZZAZIONE, IDENTITÀ, INTEGRAZIONE


Educazione e socializzazione
In sociologia, con il termine "socializzazione" non si intende semplicemente la capacità di
relazionarsi o di stare insieme, bensì "tutto quanto attivamente o passivamente concorre
all'inserimento di un individuo nei gruppi sociali e, in particolare, dal punto di vista
sociologico, ogni elemento della complessa relazione esistente fra la struttura sociale e la
formazione della personalità".
L'educazione viene collocata dalla riflessione sociologica all'interno del processo di
socializzazione e comprende sia gli aspetti formali sia quelli informali.
Il livello informale comprende le relazioni sociali che producono un effetto socializzante, vale
a dire l'assunzione, da parte del soggetto, di orientamenti e significati e un suo adattamento
a norme e regole definite dalla situazione o dall'ambiente sociale di cui fa esperienza. È il
caso dell'aggregazione giovanile in gruppi spontanei, che ha come risultato una
socializzazione forte ed evidente a regole o stili di comportamento del gruppo, ma questo
non è negli obiettivi prioritari dell'aggregazione stessa.
La socializzazione è un processo che gradualmente costruisce la personalità di base del
soggetto, quindi i tratti portanti con riferimento a valori, orientamenti, atteggiamenti. La
cultura, in quanto insieme di valori, norme, regole, idee e immagini della realtà, rappresenta
il riferimento indispensabile alla strutturazione della personalità. Tuttavia, i modi attraverso i
quali la cultura è fatta propria dai soggetti di una collettività sono diversamente interpretati
dai diversi approcci sociologici. Nell'ambito del funzionalismo la cultura rappresenta il nucleo
di riferimento della società ed è trasmessa nei suoi tratti essenziali da una generazione
all'altra.
Nell'ambito della riflessione sociologica si sviluppa progressivamente un interesse specifico
attorno alla dimensione individuale e a quella sociale del soggetto.
Per Georg Simmel il soggetto è in larga misura sociale, ma è anche altro. Anche Georg Mead
- e l'interazionismo simbolico - distingue il Sé del soggetto in due componenti: il Me, parte
socializzata, frutto dell'interiorizzazione degli atteggiamenti degli altri, e l'Io, dimensione
autonoma, dell'interiorità, luogo di elaborazione riflessiva e di ricomposizione
dell'esperienza.

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I processi di socializzazione, identità e integrazione
Il modello funzionalista di socializzazione
La concezione funzionalista della socializzazione ha le sue radici nell'idea durkheimiana
dell'educazione, intesa come "il mezzo per il quale la società rinnova perpetuamente le
condizioni della propria esistenza". La stabilità è la continuità della società rappresentano
pertanto il fine ultimo dell'educazione.
Questa concezione normativa e funzionalista dell'educazione spesso viene definita anche
integrazionista per la particolare enfasi posta sull'integrazione nella società. Talcott Parsons
spiega come avvenga che l'individuo diventi un essere sociale, in grado di far propri gli
orientamenti fondamentali di valore e di apprendere progressivamente lo svolgimento dei
ruoli sociali adulti.
La socializzazione per Parsons è un processo di interiorizzazione di orientamenti riguardanti
ciò che ha significato per la società, che risponde quindi alle aspettative di ruolo presenti
nella società e serve al suo buon funzionamento. Parsons sottolinea come sia assolutamente
indispensabile costruire una complementarietà delle aspettative tra colui che educa e colui
che viene educato. Il bambino viene gradualmente portato a far corrispondere i propri
bisogni e motivazioni alle aspettative della società, rappresentata, nel corso della
socializzazione, dagli adulti importanti, come la madre e il padre.
Parsons distingue tra socializzazione primaria e socializzazione secondaria.
Nel corso della socializzazione primaria vengono interiorizzati i modelli principali di
orientamento di valore, mediante i quali si struttura la personalità fondamentale.
Nel corso di quella secondaria avviene una specificazione, in base alle situazioni, degli
orientamenti di valore precedentemente interiorizzati.
Parsons individua cinque meccanismi fondamentali attraverso i quali avviene
l'apprendimento:
- rafforzamento-estinzione, che fa riferimento alle gratificazioni o privazioni che
vengono messe in campo al fine di portare il bambino all'assunzione di modelli di
comportamento accettati;
- inibizione, per cui il bambino impara ad astenersi dal compiere immediatamente
un'azione che gli interessa e diventa capace di aspettare sia di agire sia di essere
ricompensato;
- sostituzione, attraverso cui il soggetto impara a trovare oggetti diversi di
gratificazione rispetto a quelli desiderati;
- imitazione, attraverso cui il bambino assimila dalle persone che lo circondano aspetti
importanti della realtà sociale, come conoscenze, abilità, comportamenti;
- identificazione, che comporta l'interiorizzazione vera e propria del soggetto con cui il
bambino entra in relazione, in forma di modello di riferimento, che stabilizza e regola
la personalità; è il meccanismo che porta alla strutturazione di quello che Parsons
chiama Super-Ego, prendendo in prestito il termine dalla psicanalisi.
L'identificazione appare quindi il meccanismo più importante nel corso della socializzazione
primaria, per l'interiorizzazione dei modelli di riferimento, mentre nel corso della
socializzazione secondaria è l'imitazione il meccanismo prevalente di apprendimento.

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Un esito positivo della socializzazione è ben visibile nella conformità del soggetto alle
aspettative sociali. Per contro, comportamenti non conformi (devianti) sono sempre il frutto
di una mancata o parziale socializzazione per diverse ragioni.
Parsons fa diretto riferimento a famiglia e scuola per la realizzazione di una piena
socializzazione. Le due agenzie di socializzazione sono entrambe fondamentali, devono
operare in continuità, ma risultano avere un peso diverso nel corso del processo di
socializzazione. La famiglia svolge un ruolo fondamentale nella socializzazione primaria dei
figli. Questa importanza assegnata alla famiglia, che, nei suoi compiti, non può essere
sostituita da altre agenzie, mostra un superamento, da parte di Parsons, della posizione di
Durkheim, il quale riteneva che la famiglia, nella società industriale, non fosse più in grado di
assolvere ai suoi compiti educativi perché sottoposta a profondi processi di trasformazione
nel suo assetto generale e quindi poco affidabile in un periodo di transizione.
Sempre secondo Parsons, la scuola si inserisce tra famiglia e mondo del lavoro e ha il
compito di verificare e integrare quanto appreso in ambito familiare con riferimento agli
orientamenti di valore e ai comportamenti richiesti invece nell'ambito dell'istituzione
scolastica.
La socializzazione scolastica presenta due dimensioni fondamentali: quella intellettuale, che
costituisce "l'apprendimento più propriamente cognitivo delle informazioni, delle capacità e
degli schemi di riferimento associati alla conoscenza empirica e alla competenza
tecnologica" e quella morale, che definisce il comportamento richiesto in classe.
Trattando della socializzazione, il riferimento è alla questione dell'integrazione sociale e alla
questione dell'identità.
Per Parsons integrazione significa costante riferimento al sistema culturale della società in
cui il soggetto vive e capacità di svolgere i ruoli in cui si è collocati, aderendo alle aspettative
di ruolo e assumendosi le responsabilità collegate agli specifici ruoli.
Per quanto riguarda l'identità, Parsons presta grande attenzione al tema della formazione
della personalità e fa diretto riferimento anche all'identità del soggetto.
Per una comprensione dell'organizzazione del sistema della personalità e la collocazione
dell'identità al suo interno è d'obbligo il riferimento al cosiddetto modello AGIL. Si tratta di
un modello generale di analisi che definisce i requisiti fondamentali di funzionamento di
qualsiasi sistema, compreso quindi il sistema della personalità. Questi requisiti funzionali
secondo Parsons sono:
- l'adattamento, che fa riferimento alla necessità per il sistema di stabilire una
relazione adattativa con l'ambiente in cui è inserito;
- il conseguimento dei fini, che impone al sistema di raggiungere i suoi scopi;
- l'integrazione, che richiede al sistema di provvedere all'integrazione delle sue parti in
modo che risultino armonicamente funzionanti e integrate tra loro;
- la latenza, che corrisponde alla necessità di mantenere nel tempo il modello culturale
di riferimento appreso.
Parsons individua quattro sottosistemi:
- Id, adattamento dell'organismo;
- Ego, conseguimento degli scopi;

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- Super-Ego, integrazione dei ruoli interiorizzati;
- Identità, controllo e coordinamento.
L'identità è una componente fondamentale del sistema della personalità e svolge la funzione
di mantenimento del modello, cioè degli orientamenti di valore fondamentali interiorizzati
dal soggetto.
Il modello funzionalista sviluppa una concezione dell'identità forte. Si tratta di un'identità
sostanziale, in quanto corrisponde a un'attribuzione piena da parte del soggetto a se stesso
di caratteristiche e di orientamenti di fondo duraturi nel tempo. La diversità o alterità, che
corrisponde all'altra faccia dell'identità (l'altro da sé), è a sua volta in funzione dell'identità,
serve alla sua costituzione. La diversità, qualora non collocabile all'interno di un sistema di
aspettative sociali condivise, rappresenta una minaccia per la società, in quanto deviazione
rispetto a valori e norme condivise.
L'agire di ruolo e la complementarietà tra i ruoli sociali assumono un ruolo centrale.
Il modello conflittualista di socializzazione
Il modello conflittualista di socializzazione fa riferimento a un'idea di società (e di rapporti
sociali) basata sul conflitto, interpretato diversamente da Marx e da Weber.
L'analisi marxista è il punto di partenza delle teorizzazioni di diversi autori, distinti tra:
- teorici della riproduzione sociale, fra cui Louis Althusser in Francia e Samuel Bowles e
Herbert Gintis negli Stati Uniti, per i quali deve essere rimesso in discussione il
rapporto tra struttura economica e sovrastruttura;
- teorici della riproduzione culturale, fra cui Pierre Bourdieu e Jean-Claude Passeron in
Francia, che problematizzano il rapporto tra cultura familiare, che fornisce un'eredità
culturale ai suoi componenti e soprattutto ai figli, e cultura scolastica, depositaria
della cultura e dell'ideologia della classe dominante.
Da queste teorizzazioni emerge un ulteriore aspetto definito "ideale emancipatorio": le classi
subalterne devono potersi affrancare dal dominio sociale e culturale e ciò è possibile solo
attraverso il conseguimento di una coscienza di classe, cioè di una consapevolezza della
propria condizione di subordinazione e di sfruttamento e l'istruzione svolge un ruolo
importante in questa direzione.
All'interno dell'analisi weberiana possiamo collocare Raymond Boudon e Ralph Dahrendorf.
Per Dahrendorf il conflitto di classe è un elemento vitale per la società, si realizza quando
molti individui si trovano in una situazione di sottrazione o coercizione e rappresenta una
molla per il cambiamento. Dahrendorf mette a punto anche il concetto di chances di vita: il
soggetto si trova a dover interagire tra opportunità e condizionamenti culturali, sociali,
ambientali positivi o negativi.
Per quanto riguarda l'identità, il modello conflittualista della socializzazione, nella sua
matrice marxista, vede lo sviluppo di un'identità personale (legata alla propria biografia, alla
propria esperienza individuale, alle proprie scelte) subordinato alla strutturazione di
un'identificazione sociale basata su fattori ascritti, posizioni sociali, status e capitale sociale
(relazioni sociali significative). Pierre Bourdieu, con il concetto di habitus (l'insieme delle
caratteristiche di uno stile di vita), indica come l'identità sia già un costrutto sociale
consegnato al soggetto a partire dalla sua collocazione originaria.

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La prospettiva marxista mette in luce come identità sociali diverse siano in conflitto e tentino
di dominare le une sulle altre; chi viene marginalizzato cerca di opporsi. La diversità è
riconosciuta nella sua esistenza ma spesso è negata o marginalizzata oppure diventa
strumento di rivendicazione e di lotta.
Nella prospettiva conflittualista di matrice weberiana, l'identità è legata all'appartenenza di
ceto, che definisce gli orientamenti generali valoriali e lo stile di vita. Il soggetto, a partire da
un'appartenenza originaria, che ne definisce lo stile di vita e le possibilità di relazioni sociali
(capitale sociale), agisce intenzionalmente, sviluppando le sue scelte all'interno di uno spazio
sociale, tra vincoli, opportunità e conflitti.
Molti autori, anche non di derivazione marxista, hanno sviluppato l'analisi dei teorici della
riproduzione in diversi campi. Ad esempio Basil Bernstein, studioso del linguaggio in campo
educativo, stabilisce l'esistenza di un legame significativo tra competenza linguistica, definita
dall'appartenenza a gruppi sociali diversi, e riuscita scolastica.
Il modello interazionista-comunicativo di socializzazione
Secondo il modello interazionista-comunicativo di socializzazione l'uomo è attivo costruttore
di realtà sociale, cioè è capace di produrre simboli, di rappresentarsi gli oggetti della realtà
anche in assenza degli oggetti stessi, tramite segni che sono convenzionali in quanto
attribuiti e condivisi all'interno di un gruppo sociale.
All'interno di questo modello trovano posto le teorie di Herbert G. Blumer, che sottolinea
come i significati siano soggettivi, perché sempre interpretati dal soggetto, e di Manfred H.
Kuhn, il quale sottolinea gli aspetti oggettivi e la prevedibilità dei comportamenti. Queste
due teorie sono rielaborate da Mead in modo più unitario; egli infatti mette in evidenza
come i significati simbolici interiorizzati, che provengono dalle strutture oggettive di senso
esterne al soggetto, sono poi rielaborati dal soggetto stesso.
L'interazionismo simbolico ha influenzato l'analisi del processo di socializzazione, che è stato
riformulato da Peter L. Berger e Thomas Luckmann. Nel corso della socializzazione primaria,
il bambino interiorizza la realtà di senso comune in forma di modelli utili per l'agire, che
sono diventati tali perché oggettivati nella struttura sociale. Questa conoscenza viene
interiorizzata tramite identificazione e imitazione. È grazie all'identificazione con le persone
che gli stanno intorno che il bambino diventa capace di identificare se stesso.
Berger e Luckmann sottolineano tuttavia come, nel corso della socializzazione secondaria,
avvenga una messa in discussione di questa prima esperienza della realtà, che in ogni caso
rimane in ciascuno di noi come la prima "vera" visione del mondo. Il soggetto non solo
assume le forme oggettivate interiorizzandole, ma le conserva e le trasforma, ricreandole
continuamente attraverso lo scambio con gli altri.
A partire da Mead, l'identità assume l'aspetto di un dialogo tra la parte socializzare (il Me) e
l'interiorità e creatività del soggetto (l'Io). Per Blumer il soggetto rimette in gioco
continuamente la strutturazione oggettiva della realtà (valori, significati, modelli) nelle
diverse situazioni di interazione. L'identità si costruisce pertanto in modo dinamico
all'interno di processi comunicativi, dove il soggetto può anche rifiutare significati
generalmente condivisi. Un'identità flessibile implica un continuo interfacciarsi con l'alterità

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(l'altro da sé), che appare come una componente e una risorsa indispensabile per l'identità e
la sua continua riconfigurazione.
La socializzazione nella società contemporanea
I tre modelli considerati non possono essere ritenuti, se presi singolarmente, del tutto
adeguati alla costruzione di soggetti capaci di stare in società e di esistere pienamente
all'interno di uno scenario contemporaneo tanto ricco di possibilità quanto carente di
orientamenti culturali condivisi. Infatti, siamo in presenza di un profondo processo di
trasformazione, che implica la messa a punto di nuove strategie educative. Il conseguimento
di identità da parte del soggetto è centrale, ma è altrettanto fondamentale stabilire legami
centrati sul riconoscimento e il rispetto dell'altro.
Inoltre il pluralismo culturale, le nuove tecnologie di comunicazione, la pressione
all'omologazione negli stili e nelle mode che caratterizzano la società contemporanea
aumentano il rischio di vulnerabilità e di marginalità sociale, legate soprattutto alla povertà
materiale o culturale. Pertanto è necessario sviluppare strategie che promuovano
l'acquisizione di capitale culturale e il rafforzamento delle reti sociali di riferimento (capitale
sociale).

4. ISTRUZIONE E UGUAGLIANZA DELLE OPPORTUNITÀ


L'istruzione come investimento
Nella società industriale l'istruzione corrisponde al progresso economico, politico e sociale. Il
tema del successo formativo è della qualità dei sistemi di istruzione ha trovato sempre più
spazio in ambito europeo e viene strettamente collegato al consolidarsi di una concezione
della formazione lungo tutto l'arco della vita (lifelong learning) e all'idea che la formazione
sia un requisito importante per lo sviluppo democratico.
Nel corso della sessione straordinaria del Consiglio europeo, tenutosi a Lisbona il 23 e 24
marzo del 2000 sono stati delineati gli obiettivi al 2010: "diventare l'economia basata sul
conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita
economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale".
Successivamente sono stati fissati i nuovi obiettivi strategici dell'agenda "Europa 2020"
(Commissione europea, 2010), delineando per il futuro una crescita intelligente, sostenibile,
inclusiva. Un ruolo centrale è assegnato all'istruzione e alla formazione con un impegno
esplicito a:
- estendere la frequenza prescolare ad almeno il 95% dei bambini tra i 4 anni e l'inizio
della scolarità obbligatoria;
- contenere la dispersione scolastica e l'abbandono precoce degli studi (mancato
conseguimento di un titolo di scuola secondaria superiore) entro il 10% nei giovani
tra i 18 e i 25 anni;
- ridurre la fascia di quindicenni che hanno insufficienti competenze in lettura,
matematica, scienze al di sotto del 15%;
- espandere l'istruzione terziaria (almeno il 40% di coloro che hanno tra i 30 e i 40 anni
con una laurea);

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- ampliare la lifelong education per gli adulti (almeno il 15% di coloro che hanno tra i
25 e i 64 anni inseriti in un corso formativo).
Anche le società europee del terzo millennio, quindi, si fondano sul binomio
istruzione-progresso.
È in questa prospettiva che le famiglie si sono progressivamente orientate verso
l'investimento in istruzione per i loro figli, nella convinzione che essa possa consentire di
avere una buona occupazione e di migliorare quindi la posizione sociale di partenza.
L'istruzione viene pertanto concepita come strumento di mobilità sociale, quale mezzo per
passare da una posizione sociale a una più elevata (conseguimento di status), alla quale si
assegna maggior prestigio. Nella società moderna le posizioni sociali sono sempre più
definite dall'occupazione. Si parla di "classi occupazionali", intendendo con questo termine
grandi raggruppamenti di occupazioni tra loro affini per la situazione di lavoro (o relazioni di
impiego) e per le ricompense loro associate (situazione di mercato e distribuzione dei
redditi).
Per quanto riguarda l'Italia è con l'unità che si può parlare di un sistema scolastico pubblico e
statale, organizzato, con la legge Casati del 1859, nei diversi livelli, dalle elementari
all'università. In quegli anni, circa tre quarti della popolazione era analfabeta. Rispetto agli
altri paesi, il processo di scolarizzazione della popolazione si rivelerà più lento e discontinuo,
tanto che, al censimento del 1951, ancora il 12,9% della popolazione risultava analfabeta e il
17,9% alfabeta, ma senza alcun titolo.
La piena scolarizzazione intesa come frequenza di scuola elementare e scuola media
inferiore da parte di tutta la popolazione in età corrispondente, viene raggiunta nel nostro
paese solo alla fine degli anni Settanta. L'aumento dei tassi di scolarizzazione nella scuola
media inferiore riceve impulso e legittimazione a seguito della legge 31 dicembre 1962, che
introduce la scuola media unica e obbligatoria per tutti.
Nei decenni successivi si riscontra una ripercussione sui tassi di scolarizzazione nella scuola
secondaria superiore che raddoppiano dagli anni Sessanta agli anni Settanta e anche sui tassi
di scolarizzazione all'università, dove l'incremento evidente sempre negli stessi anni. Un
ulteriore incremento della propensione al proseguimento degli studi nella scuola secondaria
superiore e all'università si ha negli ultimi due decenni del secolo scorso: per la scuola
secondaria l'aumento è vistoso tra gli anni Ottanta e Novanta, per l'università tra gli anni
Novanta e il 2001.
Con il terzo millennio, i tassi di scolarizzazione nella scuola secondaria superiore (oggi scuola
secondaria di secondo grado) si alzano ulteriormente anche grazie a diversi provvedimenti
legislativi, nello specifico con la legge 28 marzo 2003 (legge Moratti), che istituisce il
diritto-dovere all'istruzione e formazione fino ai 18 anni, e il decreto 22 agosto 2007 con il
quale il ministero della Pubblica Istruzione ha innalzato a dieci anni complessivi (quindi ai 16
anni) la durata del periodo di istruzione obbligatoria.
Per far fronte all'aumento della domanda sociale di istruzione e alle esigenze diversificate di
qualificazione del mondo del lavoro, a partire dagli anni Settanta, si sviluppano
notevolmente gli istituti di tipo tecnico-professionale. Tuttavia c'è chi sottolinea che si tratti
di una vera e propria stratificazione per indirizzi creata dalle élite culturali per proteggere i

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licei. Da un lato si riducono le disuguaglianze di opportunità di accesso, dall'altro persistono
fino ai giorni nostri le disuguaglianze nelle scelte dei percorsi e negli esiti, dovute
all'esistenza di una gerarchia di prestigio e qualità che vede i licei al primo posto, frequentati
da studenti che hanno in genere un background familiare "migliore".
La questione della disoccupazione intellettuale giovanile ripropone sistematicamente
l'interrogativo se valga la pena di investire in istruzione. Studi recenti mostrano come il
possesso di un titolo di studio elevato protegga in una certa misura dalla disoccupazione. Nel
nostro paese, soprattutto al Nord, i laureati registrano i tassi più bassi di disoccupazione,
mentre al Sud sono in concorrenza con i diplomati per i pochi posti disponibili. I soggetti con
bassa o nulla istruzione rischiano occupazioni incerte e precarie e di perdere facilmente il
lavoro.
Un fenomeno presente nel nostro paese è quello della mancata corrispondenza dei titoli di
studio alle qualifiche richieste dal sistema economico-produttivo. Allo stesso tempo i
soggetti qualificati e laureati sono insoddisfatti dei lavori offerti e manifestano aspettative
nei confronti del lavoro e della carriera professionale più elevate e in modificazione.
Un fenomeno altrettanto preoccupante è quello dei NEET (Not in Education, Employment or
Training), cioè dei giovani tra i 15 e i 29 anni che non sono né in formazione né al lavoro.
Concludendo, il nostro paese resta ancora lontano rispetto a quanto fissato negli obiettivi
"Europa 2020".
Istruzione e disuguaglianze
Lo sviluppo del processo di scolarizzazione si presenta in modo diverso nei vari paesi
occidentali.
Sono presenti due concezioni: una concezione selettiva, che ritiene che i gradi di scolarità
oltre l'obbligo debbano essere riservati a un'élite, e una concezione democratica, che
sostiene che l'istruzione sia un bene di cui tutti devono poter fruire con vantaggi tanto per i
soggetti quanto per la società. Queste due concezioni hanno determinato un diverso
sviluppo dei sistemi scolastici negli Stati Uniti e in Europa. Mentre nel caso americano la
democratizzazione degli studi è un fatto presente fin dall'inizio dello sviluppo del sistema
scolastico statunitense, ci sono voluti comunque 200 anni, fino cioè alla metà del nostro
secolo, perché la scolarità in Europa obbedisse a criteri di democrazia e pari opportunità.
Tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso il dibattito sull'uguaglianza delle
opportunità di fronte all'istruzione si fa particolarmente vivace anche in Italia, collegato alle
trasformazioni nella composizione della popolazione scolastica che è diventata
progressivamente sempre più eterogenea, portando all'interno della scuola tutta una serie
di diversità e differenze, riferite sia l'origine sociale sia ad altri aspetti come il genere o
l'appartenenza etnica che diventano elementi di distinzione riguardo alle pari opportunità di
conseguire esiti positivi in ambito scolastico.
Come sottolinea Roger Girod le disuguaglianze hanno direttamente a che fare con le
diversità e le differenze sociali e con il loro apprezzamento positivo o negativo. Il caso più
emblematico è quello della distinzione uomo/donna. L'essere maschio o femmina è una
caratteristica naturale e non ordinabile in una scala di importanza, invece a livello sociale il
sesso riceve un'attribuzione di valore diversa e quindi un trattamento differenziale, in

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relazione all'applicazione di compiti, funzioni, ruoli significativi per il gruppo sociale di
riferimento: la diversità legata al sesso si trasforma in disuguaglianza sociale. Le
disuguaglianze sociali sono il risultato di un confronto e di una valutazione, trovano la loro
base di partenza nelle caratteristiche o negli attributi dei soggetti, quindi nelle diversità o
differenze. Spesso si confondono questi termini anche in ambito educativo, creando un
malinteso per cui perseguendo l'uguaglianza si dovrebbero ridurre o addirittura negare
diversità e differenze.
Nelle società contemporanee si è arrivati alla consapevolezza che si debbano considerare
entrambe le istanze, garantendo l'uguaglianza delle opportunità, ma allo stesso tempo il
diritto all'espressione delle diversità e differenze. Questa è anche la sfida che si trovano ad
affrontare gli insegnanti oggi, di fronte a una popolazione scolastica estremamente
eterogenea per origine sociale e appartenenze culturali.
Le disuguaglianze in una determinata società fanno diretto riferimento alla stratificazione
sociale. Tanto la stratificazione sociale quanto le disuguaglianze sociali hanno direttamente a
che fare con la struttura occupazionale. Esistono diverse concezioni delle disuguaglianze: si
distingue tra un'idea di uguaglianza come uguale possibilità di accesso per tutti alle diverse
risorse sociali e a posizioni di potere e di prestigio, che di fatto sono considerate diseguali e
tali rimangono, e un'idea che considera l'uguaglianza come accesso a posizioni uguali ed
esprime pertanto una concezione di uguaglianza sostanziale, concretamente perseguita e
realizzata.
La concezione di uguaglianza formale e universale, per cui tutti possono e devono godere
delle stesse opportunità di accesso alle risorse e ai privilegi, indipendentemente dalla loro
origine familiare, è propria del funzionalismo e in genere del pensiero liberale, che
esprimono una concezione individualista e meritocratica e un ottimismo egualitario, poiché
vengono garantite a tutti le stesse possibilità di accesso e di sviluppo delle proprie doti e
aspirazioni.
Nella prospettiva funzionalista l'uguaglianza delle opportunità di fronte all'istruzione si
realizza garantendo uguali opportunità di accesso. La realtà ha tuttavia mostrato nel tempo
come questo principio formale non fosse sufficiente a garantire che tutti i soggetti dotati
arrivassero a conseguire una buona riuscita scolastica e titoli di studio elevati. Il problema
dello spreco di capitale umano e la necessità di trovare una spiegazione dell'insuccesso di
molti ragazzi dotati emergono all'interno di questa matrice funzionalista e meritocratica.
La concezione dell'uguaglianza in termini sostanziali, che persegue l'obiettivo dell'abolizione
di qualsiasi elemento discriminante tra le classi, esprime una visione collettività e
relazionale, chiaramente teorizzata nel pensiero marxista.
Nella visione sostanzialista dell'uguaglianza delle opportunità educative tutti dovrebbero
avere non solo l'opportunità di accedere al sistema d'istruzione ma anche uguali opportunità
di riuscita. L'analisi della realtà delle scuole mostra chiaramente che questo non avviene,
perché sul successo scolastico pesano molti fattori ascritti come l'origine familiare e il
background culturale di ogni singolo allievo. Soprattutto con la teorizzazione di Pierre
Bourdieu, la scuola si configura come istituzione finalizzata alla riproduzione culturale (dei
modelli culturali dominanti) e sociale (delle gerarchie sociali esistenti).

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Oltre a queste due concezioni opposte dell'uguaglianza, è possibile considerare un ulteriore
posizione, quella di Weber. La teoria weberiana della stratificazione sociale sviluppa un'idea
relazionale dell'uguaglianza e della distribuzione sociale delle posizioni e del prestigio, legata
sia all'agire individuale sia all'aggregazione di individui e alla rilevanza di concetti come
quello di classe e di ceto. In relazione alla matrice weberiana emergono teorizzazioni
importanti, come quella di Raymond Boudon e di Ralf Dahrendorf, focalizzate sull'analisi dei
processi di scelta da parte del soggetto, dei vincoli, delle condizioni e dei legami che li
rendono possibili.
Il dibattito sull'uguaglianza delle opportunità di fronte all'istruzione ha direttamente a che
fare con la funzione di selezione sociale, cioè con quel processo attraverso il quale i soggetti
sono sottoposti a prove e valutazione e quindi distribuiti all'interno delle diverse posizioni
sociali disponibili. Questa funzione trova specifica applicazione all'interno della scuola e
produce il fenomeno della dispersione scolastica.
L'origine sociale sembra aver mantenuto nel tempo la sua capacità di influenzare tanto le
scelte quanto gli esiti scolastici. In particolare il titolo di studio dei genitori è importante nel
delineare le scelte del corso di studi dei figli, tanto nella scuola secondaria di secondo grado
quando all'università.
Riguardo a un'analisi del peso dell'origine sociale sui processi di apprendimento e sui loro
esiti, emerge una significativa differenza di prospettiva tra funzionalismo e conflittualismo.
Talcott Parsons mette in luce soprattutto gli aspetti meritocratici legati al bisogno di
successo, un orientamento acquisitivo che la scuola apprezza ma che viene sviluppato nel
corso della socializzazione primaria. Il risultato diventa pertanto una categoria discriminante
messa in atto dalla scuola per promuovere l'apprendimento degli allievi, premiando le loro
prestazioni e quindi differenziandoli a vari livelli di riuscita, che in futuro corrisponderanno a
una distribuzione diversificata di ruoli e di posizioni sociali.
Le teorie conflittualiste che si sviluppano in contrapposizione a quella funzionalista e
meritocratica considerano la scuola come istituzione che sancisce le disuguaglianze sociali
esistenti, in quanto ignora la presenza di condizioni disuguali di partenza fra gli allievi. La
selezione scolastica opera così a favore di chi è già avvantaggiato.
Pierre Bourdieu e Jean-Claude Passeron individuano due concetti fondamentali, quello di
capitale culturale e quello di ethos di classe. Il capitale culturale l'insieme dei beni simbolici
trasmessi dalle agenzie educative, in primo luogo la famiglia, e delinea le possibilità per un
soggetto di avere successo e di collocarsi in uno spazio e in una gerarchia sociale. Esso è
costituito dall'insieme delle buone maniere, dello stile di vita, del buon gusto oltre che dalle
informazioni e conoscenze. Il capitale culturale è legato anche al capitale sociale quindi
all'insieme di relazioni e frequentazioni che arricchiscono le possibilità di conoscenza, di
informazione e di posizionamento. Questo capitale è acquisito dalla famiglia di origine e
rappresenta un vantaggio e un prerequisito per accedere alla cultura scolastica. L'ethos di
classe è costituito dall'insieme dei valori di riferimento che contribuiscono a definire anche
gli atteggiamenti verso la scuola e la cultura scolastica. Capitale culturale ed ethos formano
l'eredità culturale di ciascun allievo e delineano un habitus che finisce con l'essere a tutti gli
effetti un prodotto dell'appartenenza a un determinato gruppo o classe sociale.

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È all'interno della classe scolastica che i diversi habitus e la ricchezza o adeguatezza della
propria eredità culturale vengono messi a confronto. Ma la maggior parte degli insegnanti
tende a ignorare queste differenze. Bourdieu sostiene che la scuola, trattando tutti i discenti,
anche se di fatto disuguali, come uguali nei diritti e nei doveri, finisce di fatto per sancire le
disuguaglianze iniziali di fronte alla cultura e all'istruzione e in tal modo trasforma il
privilegio in merito, considerando i risultati scolastici come se fossero legati esclusivamente
a doti naturali.
Il sociologo francese Raymond Boudon considera i fenomeni sociali anche come
conseguenza dell'agire individuale. Per questo, all'interno delle carriere scolastiche, risulta
importante il concetto di bivio scolastico, di fronte al quale il soggetto compie delle scelte. I
soggetti sono costretti, soprattutto se appartenenti alla classe sociale inferiore, a un calcolo
necessario dei costi/benefici a cui vanno incontro investendo nell'istruzione. La decisione
dipende quindi molto dalla situazione socio-economica, ma appare più libera se il soggetto
ha una buona riuscita scolastica, perché l'esito positivo tende a far decidere verso un
ulteriore investimento.
Fra le diverse variabili in gioco, l'appartenenza di genere è una delle più importanti nel
delineare le opportunità, le scelte e i percorsi scolastici. Nel tempo si osserva tuttavia come
si sia ridotta la sua capacità discriminante. Le donne dei paesi occidentali industrializzati
sono arrivate a ottenere la piena scolarizzazione e l'accesso all'istruzione nei gradi più
elevati, attraverso un processo lento e disomogeneo nelle diverse realtà.
Tuttavia permangono, per quanto riguarda le donne, stereotipi e forme di "segregazione
formativa" visibili nelle scelte dei indirizzi e delle facoltà universitarie. Oggi si evidenzia
anche come i maschi, a fronte di evidenti vantaggi, soprattutto in passato, negli accessi e
nelle possibilità di proseguire gli studi e di un'ampia gamma di opzioni riguardo alla scelta da
compiere, presenti tutta una serie di difficoltà come la disaffezione verso l'istruzione e
quindi l'uscita precoce dal sistema scolastico non necessariamente in presenza di un
insuccesso, la discontinuità nelle prestazioni e lo scarso rendimento rispetto alle possibilità,
che li rende particolarmente a rischio di confluire fra i NEET.
Per quanto riguarda l'appartenenza etnica Brint sottolinea che essa sia una "linea di
divisione variabile" che in alcuni casi si rivela più importante della classe sociale, in altri casi
invece del tutto marginale. Le problematiche riguardanti il legame tra appartenenza etnica e
istruzione sono gradualmente affiorate anche nella scuola italiana, poiché si è fatta
consistente la presenza di alunni stranieri. Le problematiche della fruizione, delle scelte e
degli esiti scolastici in relazione alla cultura d'origine stanno pertanto diventando questioni
cruciali.
L'ottica con la quale si considerano i fattori che intervengono tanto delle decisioni
scolastiche quando sui percorsi e sugli esiti è di tipo multidimensionale, volta a considerare
un intreccio complesso di elementi sia strutturali sia di tipo individuale, sia riferiti
all'ambiente esterno alla scuola sia interni alla stessa realtà scolastica.
L'istruzione come rischio e come chance
All'interno dello studio della mobilità, si distinguono:

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- la possibilità di conseguire un titolo di studio elevato rispetto alla condizione
originaria e in particolare al titolo di studio del padre - o dei genitori - (mobilità
educativa);
- la possibilità di conseguire posizioni sociali elevate in relazione al titolo di studio
conseguito dal soggetto, confrontata con la posizione sociale di partenza, definita
dalla professione e dal titolo di studio del padre - o dei genitori - (mobilità sociale).
Si parla di mobilità intergenerazionale quando si mettono a confronto le posizioni di diverse
generazioni nel tempo.
La crescente disoccupazione intellettuale ha messo in evidenza che, a parità di titolo di
studio, non si verifica sistematicamente il conseguimento di un'uguale posizione lavorativa. Il
titolo di studio non costituisce una garanzia di mobilità sociale per tutte le classi sociali in
modo analogo. Il legame tra origine sociale e risultato acquisito in termini di posizione
sociale finale tende a rimanere relativamente stabile nel tempo. L'accesso generalizzato
all'istruzione non ha contribuito a ridurre le disuguaglianze sociali perché le diverse classi
sociali mostrano capacità diversificate di spendere i vantaggi forniti dall'istruzione, per cui il
rendimento di una determinata credenziale educativa si differenzia a seconda di chi la
possiede.
L'investimento in istruzione può apparire oggi come un vero e proprio rischio, al contrario di
molti discorsi che invece enfatizzano la società della conoscenza e l'importanza della
formazione per tutta la vita. Un rischio per il soggetto di andare incontro alla scarsa
valorizzazione del costo e dell'impegno sostenuti, un rischio di vedersi sorpassare da soggetti
meno scolarizzati ma più attrezzati sul piano del capitale sociale (cioè di quelle relazioni che
si rivelano importanti per una buona collocazione professionale), il rischio di dover accettare
continui cambiamenti o di dover sviluppare processi di adattamento a situazioni lavorative
non desiderate, di abbassare quindi le proprie aspettative. Malgrado il rischio evidente,
investire nell'istruzione conviene. Innanzitutto perché il mercato del lavoro con il tempo
tende a premiare coloro che sono in possesso di titoli di studio elevati; in secondo luogo
perché l'istruzione, sviluppando abilità cognitive e comunicative, protegge anche
dall'incapacità di leggere e capire la realtà articolata e mutevole del mercato del lavoro,
consentendo l'acquisizione di abilità trasversali, metaprofessionali, ma altrettanto importanti
per muoversi in contesti lavorativi complessi.
Pertanto l'istruzione, lontano dall'essere semplicemente un rischio, appare piuttosto con una
chance.
Concepire l'istruzione come chance significa intenderla come possibilità/opzione da
spendere come capitale culturale, ovvero bene strumentale ed espressivo insieme che,
mentre protegge il soggetto della deprivazione di risorse culturali e simboliche, lo rende
anche più forte nell'ambito della competizione tra individui per l'accesso alle risorse sociali,
ai benefici o ai privilegi. Il concetto di chance si presenta in modo articolato: esso contiene
aspetti di vincoli (le legature) e di possibilità di scelta (le opzioni). All'interno delle opzioni,
Dahrendorf parla di entitlements (diritti) e di provision (risorse materiali, risorse di tipo
economico). L'istruzione è una risorsa, una chance senza la quale si è sicuramente più poveri
e maggiormente sprovveduti, quindi, come direbbe Dahrendorf, anche meno liberi.

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Le chance di vita in termini di opzioni, di possibilità, delineano un itinerario aperto, anche se
irto di difficoltà e di conflitti, nello spazio sociale all'interno del quale il soggetto è pensato
come attivo e capace di sviluppare scelte che lo possono portare a conseguire migliori
possibilità di vita e realizzare spazi di libertà.

5. METODI E STRUMENTI IN SOCIOLOGIA DELL’EDUCAZIONE


Metodi e strumenti di indagine
La sociologia dell'educazione, come la sociologia in generale, ha bisogno della ricerca
empirica, si nutre di dati e di analisi empiriche.
Riguardo ai metodi, si distinguono metodi quantitativi e qualitativi. Fra i metodi quantitativi
troviamo la somministrazione di un questionario a risposte chiuse, che permette di
analizzare atteggiamenti e comportamenti o opinioni di un ampio gruppo di persone
(campione rappresentativo). Un esempio di metodo qualitativo invece è l'intervista non
direttiva, che offre la possibilità di cogliere in profondità il punto di vista, le idee, gli
atteggiamenti, le opinioni di singoli soggetti, che hanno modo di esprimersi liberamente
sulle questioni loro sottoposte.
In tempi più recenti, questa netta distinzione tra i metodi si è attenuata e si tende a ricorrere
a un approccio multimetodo, che consente di combinare i vantaggi di entrambi e di
contenere invece gli evidenti limiti presenti in ciascuno di essi.
Negli ultimi trent'anni, la ricerca sociologica ha potuto avvantaggiarsi dell'utilizzo dei mezzi
informatici sia per il caricamento che per l'elaborazione dei dati. Il software di analisi dei dati
più diffuso è SPSS (Statistical Package for the Social Sciences), e il suo utilizzo consente il
trattamento di un numero elevato di informazioni e la produzione di tabelle e grafici molto
utili alla lettura e al commento dei dati.
Le fonti dei dati statistici
Per la sociologia dell'educazione, come per le altre scienze sociali, esistono fonti ufficiali per i
dati statistici. I dati riguardanti il sistema d'istruzione vengono forniti ogni anno dal MIUR e
dall'ISTAT. Si tratta di dati relativi alla numerosità delle scuole, del corpo docente, degli
studenti iscritti nei vari ordini di scuola e all'università e alle scelte e agli esiti scolastici.
A livello regionale, provinciale e comunale, il MIUR, attraverso gli USR (Uffici scolastici
regionali), gli USP (Uffici scolastici provinciali), e il collegamento con le scuole, raccoglie
direttamente anche dati su fenomeni specifici.
Altri organismi istituzionali che dipendono direttamente dal Miur sono:
- l'INDIRE (Istituto nazionale di documentazione per l'innovazione e la ricerca
educativa), che si occupa di documentazione educativa ed è il terminale europeo dei
progetti Socrates, Erasmus ecc., quindi presenta collegamenti importanti con il
contesto europeo;
- l'INVALSI (Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione e
formazione), che si occupa della valutazione del sistema scolastico e quindi della
qualità dell'istruzione con molti riferimenti al contesto europeo e internazionale.
L'ISFOL (Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori), con sede a
Roma, sottoposto alla vigilanza del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e

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interlocutore diretto per i Fondi sociali europei e agenzia Nazionale Erasmus, è importante
soprattutto per il mondo della formazione professionale.
Fra le strutture di ricerca più importanti sul piano nazionale va citato il CENSIS (Centro studi
investimenti sociali) che realizza studi, ricerche e analisi per enti pubblici o privati.
Da segnalare è inoltre il Centro nazionale di documentazione dell'infanzia e dell'adolescenza,
istituto nel 1997, quale strumento governativo di indagine e di analisi sulla realtà
dell'infanzia e dell'adolescenza.
Riguardo a dati statistici e a indagini è importante anche la dimensione europea e
internazionale:
- EUROSTAT è l'Ufficio statistico dell'Unione Europea;
- l'OECD (in italiano OCSE) è l'organismo internazionale che ha messo a punto banche
dati su varie aree di interesse;
- l'UNESCO raccoglie molti dati su istruzione e cultura nei diversi paesi del mondo.
Importante è il processo per rendere confrontabili tra i diversi paesi i dati relativi ai singoli
sistemi di istruzione, perciò sono nati gli indicatori internazionali dell'istruzione.
Un aspetto importante da misurare e comparare è quello relativo agli esiti dei processi di
apprendimento sui singoli allievi, con riferimento anche alle abilità metacognitive, che
riguardano la capacità di gestire situazioni e problemi.
Il progetto PISA dell'OCSE, avviato nel 1997 e al quale ha aderito anche l'Italia, ha inserito
accanto a misurazioni di abilità scolastiche, anche un'analisi di motivazioni, atteggiamenti,
strategie di gestione di sé nella vita reale.
Un campo particolare di analisi è quello della valutazione. Si tratta di un insieme di attività
che vanno dall'analisi della qualità dell'istruzione, tramite indicazioni quali la riuscita
scolastica, i tassi di scolarizzazione, i tassi di passaggio da un ordine scolastico all'altro, ad
analisi mirate di processi o di risultati di un singolo istituto scolastico.
Il policentrismo formativo come scenario della ricerca
Nella seconda metà degli anni Sessanta si delinea una crescente discontinuità delle agenzie
di socializzazione, in particolare tra scuola e famiglia, e un'evidente difficoltà nella
transizione formazione-lavoro.
All'interno del policentrismo formativo, la scuola mantiene tuttavia una sua centralità, per
l'importanza assegnata alla certificazione e quindi al rilascio di credenziali educative e per il
fatto che su di essa si riversano molte problematiche sociali e culturali, e quindi l'analisi di
questa realtà diventa sociologicamente rilevante.
La sociologia dell'educazione da sociologia della scuola diventa sociologia delle istituzioni e
dei processi educativi; inizia a porre attenzione alle problematiche, ad analizzare il
mutamento in atto e a sviluppare sensibilità verso questioni importanti come il diritto allo
studio, l'uguaglianza delle opportunità, l'importanza dell'origine sociale e culturale, delle
capacità linguistiche e relazionali per i processi di apprendimento.
Diventa sempre più importante l'analisi dei rapporti scuola-famiglia e dei legami
scuola-territorio nel tentativo di capire gli elementi significativi della discontinuità tra gli
orientamenti culturali, portatrice di tensioni e di conflitti.

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All'interno di un quadro formativo policentrico emergono diverse agenzie di socializzazione
informali e balza in primo piano la questione giovanile. Oggi, la realtà dell'aggregazione nei
gruppi adolescenziali e giovanili rappresenta uno dei campi continuamente indagati dalla
sociologia dell'educazione proprio per la sua rilevanza nei processi di crescita e di transizione
alla vita adulta e nella formazione dell'identità.
All'interno di questo scenario policentrico, la sociologia dell'educazione inizia anche ad
analizzare i media della comunicazione e la loro importanza nel produrre rappresentazioni,
orientamenti, nel veicolare stili di vita, nel costruire nuovi linguaggi.
Dagli anni Settanta in avanti diventa indispensabile ritornare su ambiti di studio già in
precedenza indagati per cogliere i cambiamenti in atto: le ricerche sugli insegnanti e le
indagini sull'insuccesso e la dispersione scolastica sono un esempio.
Negli anni Novanta, la ricerca in sociologia dell'educazione inizia a problematizzare la
discontinuità tra le agenzie di socializzazione e a ricomporre lo scenario della formazione in
un quadro più unitario: si parla di sistema formativo allargato per indicare le diverse opzioni
e opportunità per la formazione presenti, anche al di là dell'età giovanile e dell'esperienza
scolastica in senso stretto; in questi ultimi anni l'ottica è quella di un sistema formativo
integrato in cui le diverse realtà dell'educazione e della formazione devono operare in
sinergia.

6. LA RICERCA NELLE DIVERSE AGENZIE DI SOCIALIZZAZIONE


Le ricerche sulla scuola e sugli insegnanti
La scuola si presenta come una realtà complessa nella quale l'attività si realizza su due
dimensioni: quella riferita all'istruzione quale insieme di contenuti, saperi organizzati in
sequenze curricolari e didattiche (dimensione cognitiva) e quella riferita all'educazione e
quindi a valori, norme, atteggiamenti e comportamenti (dimensione normativa).
La scuola viene considerata allo stesso tempo istituzione, servizio e comunità: istituzione
perché svolge funzioni importanti per la società, promuovendo un innalzamento dei livelli di
istruzione (funzione economica), formando il cittadino alla convivenza civile (funzione
sociale) e trasmettendo un patrimonio sia di conoscenze e competenze sia di valori, norme e
regole necessari a integrarsi (funzione culturale); servizio perché fornisce prestazioni a
individui e gruppi in base a indicazioni politiche e culturali, a risorse disponibili e a una
domanda sociale di istruzione e formazione; comunità perché si presenta come un ambiente
di vita sia fisico (spazio) sia simbolico (attribuzione di senso e di appartenenza), orientato
allo sviluppo e alla crescita del singolo e del gruppo (comunità di apprendimento o learning
community).
La scuola si trova a interagire con una cultura variegata ed eterogenea, espressa sia da
genitori e alunni sia da altri interlocutori presenti nella comunità locale e sia da diversi
riferimenti reali e virtuali, materiali, simbolici, normativi, locali e internazionali, in una
prospettiva quindi globalizzata.
La riflessione sociologica individua due funzioni specifiche fondamentali della scuola, quella
di socializzazione e quella di selezione, sulle quali si è applicata anche la ricerca per
descrivere e spiegare i processi e i loro esiti, ad esempio l'insuccesso scolastico.

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La socializzazione scolastica si differenzia da quella familiare perché è un processo che
comporta contemporaneamente un'emancipazione del ragazzo dall'attaccamento
emozionale alla famiglia, un'interiorizzazione di valori e di norme sociali universalistiche, una
differenziazione della classe scolastica in termini di livelli di successo raggiunto. Mentre della
concezione parsonsiana viene evidenziata una forte continuità tra socializzazione familiare e
socializzazione scolastica, nella società contemporanea, caratterizzata dal pluralismo
culturale, il rapporto tra le agenzie di socializzazione è discontinuo, se non conflittuale.
Seppur oggi si ritenga indispensabile la funzione di selezione scolastica perché è necessaria
una valutazione, si tende a rendere maggiormente espliciti processi e meccanismi selettivi
che avvengono nella scuola e si discute sugli scopi, sui criteri, sulle modalità di tale funzione.
Il dibattito degli anni Sessanta e Settanta ha lasciato in eredità un concetto importante,
quello di selezione legata alla valutazione formativa e orientativa, che rivolge la sua
attenzione non soltanto a risultati oggettivi, ma anche al processo di costruzione
dell'apprendimento e quindi agli esiti conseguiti dal soggetto all'interno di un suo percorso
personale. La funzione di selezione viene pertanto considerata nell'ambito di un discorso più
ampio sul successo formativo, tema emergente di questi ultimi anni.
Uno dei campi privilegiati di ricerca in sociologia dell'educazione è il ruolo e la funzione degli
insegnanti.
Le prime ricerche sugli insegnanti in Italia si collocano a metà degli anni Sessanta e sono
direttamente collegate all'introduzione della scuola media unica a seguito della riforma del
1962. Sono due le indagini che vengono svolte e che rappresentano ancora oggi un punto di
riferimento costante per l'analisi sociologica della figura dell'insegnante, ma anche per la
stessa fondazione della sociologia dell'educazione in Italia. Si tratta della ricerca condotta da
Vincenzo Cesareo e quella svolta da Marzio Barbagli e Marcello Dei. Queste ricerche avevano
lo scopo di indagare gli atteggiamenti degli insegnanti nei confronti della riforma della scuola
media. Le conclusioni in entrambe le indagini mettono in luce una resistenza al
cambiamento da parte dei professori di scuola media, atteggiamento che verrà riscontrato
anche in molte ricerche successive.
Dagli anni Settanta in avanti la riforma della scuola secondaria superiore diventa un vero e
proprio motivo ricorrente che caratterizza il dibattito sulla scuola, e l'attenzione è posta
sull'analisi della disponibilità degli insegnanti al cambiamento, che è messa spesso in
relazione con altri aspetti ritenuti fondamentali per l'agire di ruolo professionale, come la
motivazione verso la professione, la soddisfazione per l'attività educativa o i bisogni di
aggiornamento. Sottolineare continuamente le resistenze al cambiamento e quindi la
centralità degli insegnanti nel far passare o meno le riforme ha prodotto una lettura distorta,
perché è stato sottovalutato il fatto che l'insegnante è collocato all'interno
dell'organizzazione quindi non può essere ritenuto il solo e diretto responsabile del
fallimento delle riforme.
Negli anni Novanta si assiste all'esigenza di analizzare la situazione di crisi diffusa nel corpo
docente, che manifesta chiusura e ripiegamento nella routine quotidiana, come risposta alle
crescenti difficoltà nella gestione dei processi di insegnamento/apprendimento e di
legittimazione di ruolo nell'opinione pubblica e in sede istituzionale.

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Nelle ricerche sugli insegnanti realizzate dallo IARD in tre edizioni diverse (1992, 2000 e
2010) si mette in luce un ritorno all'omogeneità del corpo docente dopo l'eterogeneità
crescente che si era verificata a cavallo degli anni Settanta, soprattutto per l'ingresso nella
scuola di insegnanti di varia estrazione sociale e con orientamenti ideologici diversi.
L'omogeneità è data dalla femminilizzazione dell'insegnamento e dalla stabilizzazione in
ruolo della maggior parte del corpo docente, ma anche dal diffuso malessere e dal forte
bisogno di ridefinire la propria identità professionale.
L'autonomia degli istituti, la riforma Moratti (2003) e la Buona Scuola (2015) riportano in
primo piano la necessità di una ridefinizione del ruolo dell'insegnante e del suo profilo
professionale.
Accanto ai temi tradizionali della professionalità del docente, si stanno aprendo nuove piste
di ricerca legate a fenomeni in parte nuovi, come il bullismo o l'uso didattico dei media
digitali.
Ma è la crescente presenza di alunni stranieri nella scuola italiana a rappresentare un
fenomeno, relativamente recente, che chiede di essere studiato nei suoi aspetti quantitativi
e qualitativi.
La composizione della popolazione scolastica straniera si presenta molto eterogenea,
mentre la distribuzione sul territorio nazionale appare molto disomogenea e differenziata.
In questi ultimi anni, a seguito del vistoso incremento di alunni stranieri, la ricerca
sociologica sulla realtà multiculturale della scuola si è sviluppata indagando gli atteggiamenti
degli insegnanti e i problemi emergenti sul piano dell'accoglienza, dell'inserimento e della
didattica. Nel corso di una prima ricerca sugli insegnanti di scuola primaria negli anni
Novanta, "Allievi in classe, stranieri in città", si coglieva la polarizzazione su tre modi di
intendere l'integrazione da parte degli insegnanti: o come assimilazione alla cultura di
accoglienza, o come tolleranza delle diverse culture ma inclusione nella nuova cultura solo a
condizione che se ne rispettino i valori di fondo, o come incontro, scambio e dialogo fra le
diverse culture per una valorizzazione delle diversità e un arricchimento reciproco.
Tra il 1999 e il 2001 il ministero dell'Istruzione ha realizzato due indagini. La prima analizza
gli atteggiamenti e le esperienze concrete degli insegnanti, così come la necessità di
formazione. Questa indagine mostra l'apertura e la disponibilità degli insegnanti della scuola
elementare verso gli alunni stranieri, ma mette anche in evidenza le loro difficoltà nella
gestione quotidiana del lavoro in classe e delle relazioni con le famiglie, la questione della
lingua per la comunicazione e per lo studio, il problema posto dall'eterogeneità culturale
degli alunni stranieri e il rischio di sovraccarico del singolo insegnante qualora il loro numero
sia troppo elevato nella classe. La seconda indagine approfondisce sul piano quantitativo e
qualitativo le trasformazioni della scuola nella società multiculturale. L'indagine mette in
luce le diverse problematiche riguardanti il percorso di inserimento dell'alunno straniero
nella scuola: l'iscrizione e l'impatto con i compagni, con i docenti e con l'istituzione, facendo
emergere sia criticità che aspetti positivi.
Per quanto riguarda le ricerche sugli alunni stranieri il primo versante che diventa oggetto di
ricerche quello dei bambini, in relazione alla presenza di alunni stranieri soprattutto nella
scuola elementare. Una prima ricerca organica e completa riguardante gli adolescenti

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stranieri è quella pubblicata con il titolo "Una scuola in comune", svolta nell'anno scolastico
1998-99 in nove città italiane, mediante la somministrazione di un questionario a risposte
chiuse e alcune domande aperte. Nell corso dell'indagine si analizzano i percorsi migratori,
gli esiti e le scelte scolastiche di adolescenti stranieri messi a confronto con i loro compagni
italiani. Nell'analisi dei dati si evidenzia che la povertà materiale e culturale delinea, in
entrambi i sottocampioni, possibilità di riuscita, stima di sé, fiducia nel futuro. Anche gli esiti
scolastici sono influenzati dalle stesse variabili per i ragazzi stranieri e per quelli italiani: un
buon clima scolastico fatto di relazioni positive con gli insegnanti e con i loro compagni, il
tipo di aspettative e il grado di sostegno scolastico e familiare e di fiducia verso il futuro. Di
recente c'è da segnalare uno sviluppo della ricerca sui minori stranieri, considerando anche
la realtà fuori della scuola. Ci si rende conto di come sia necessario esplorare la condizione
sociale e culturale complessiva dei minori stranieri, perché appare evidente che
un'integrazione positiva scolastica non sia sufficiente a garantire una integrazione sociale
piena e soprattutto duratura nel tempo.
L'attenzione alla riuscita scolastica degli alunni stranieri mostra un nuovo volto di un
fenomeno, quello della dispersione scolastica, ampiamente indagato dalla ricerca in
sociologia dell'educazione. Negli anni Ottanta si realizzano diverse ricerche. Alla luce dei dati
di ricerca vengono delineati alcuni tratti ricorrenti, significativi ancora oggi: il fenomeno
dell'abbandono e della bocciatura tocca di più i maschi delle femmine; l'abbandono della
scuola avviene solitamente in relazione a un curricolo caratterizzato da marcato insuccesso,
risulta spesso legato a situazioni di povertà materiale e culturale della famiglia; gli alunni con
frequenti bocciature o che mettono in atto la decisione di abbandonare la scuola hanno un
vissuto di inadeguatezza rispetto alle aspettative degli insegnanti e in genere anche riguardo
alle relazioni in classe. Fra gli insegnanti si è colta la tendenza a un'interpretazione
dell'insuccesso scolastico e dell'abbandono come fenomeni causati da fattori estranei alla
scuola.
Il fenomeno della dispersione scolastica nella scuola secondaria superiore si presenta in
parte diverso. Nel tempo questo ordine di scuola si ritrova gravato dal problema
dell'insuccesso scolastico, soprattutto nei primi due anni e ciò è dovuto all'incremento dei
tassi di passaggio in questo ordine di scuola. Si può parlare di una sorta di spostamento
progressivo della selezione, dalla scuola elementare dove praticamente tanto le bocciature
quando gli abbandoni tendono a scomparire, alla scuola media inferiore e successivamente
alla scuola secondaria superiore.
Un fenomeno che permane nel tempo è quello dell'insuccesso al primo anno, tanto nelle
medie quando nelle superiori. Le cause dell'insuccesso scolastico e dell'abbandono della
scuola secondaria di secondo grado sono lo status sociale di origine, la demotivazione verso
lo studio, il disagio e la disaffezione verso l'ambiente scolastico, il desiderio di rendersi
indipendenti a livello economico, l'accorgersi di aver sbagliato scelta.
Oggi, per quanto riguarda gli abbandoni si rileva un'interruzione di frequenza
particolarmente elevata tra gli studenti stranieri rispetto alla popolazione scolastica
complessiva. Gli studenti nati in Italia raggiungono in generale i livelli migliori di
apprendimento rispetto ai compagni nati all'estero.

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I tassi di promozione di alunni stranieri e italiani seguono lo stesso andamento nei diversi
indirizzi di scuola secondaria di secondo grado: sono più elevati nei licei e negli istituti
magistrali e più bassi negli istituti tecnici e negli istituti professionali. A produrre l'esito finale
positivo o negativo concorrono una serie di elementi esterni e interni, tra cui anche il tipo di
scuola, di utenza, di contenuti, di programmi e stili didattici.
Le ricerche sulla socializzazione familiare
Soprattutto nella società contemporanea è difficile definire la famiglia. L'ISTAT considera
tanti tipi di famiglia: unipersonale, composta da una sola persona, nucleare (coppia senza
figli, coppia con figli, solo un genitore con figli), nucleare ed estesa ad altre persone, famiglia
con due o più nuclei. Questo scenario si intreccia con fenomeni quali il calo della natalità,
l'allungamento della vita, la presenza di famiglie immigrate. Anche il processo di
socializzazione e gli stili educativi in ambito familiare hanno subito profonde trasformazioni,
sia nella struttura sia nel modo di intendere la distribuzione dei compiti e funzioni, il
rapporto fra i generi e fra le diverse generazioni.
Nello studio della famiglia si è costantemente messo in evidenza come essa sia allo stesso
tempo un gruppo primario, fondamentale per la socializzazione del bambino e per i legami
emotivi profondi che legano i suoi componenti, e un'istituzione sociale, perché possiede un
assetto normativo che è definito socialmente. In questa prospettiva si sottolinea l'esistenza
di uno stretto rapporto tra famiglia e società, dove la società vede la famiglia come un'entità
importante che individua e definisce la collocazione dei suoi componenti. La famiglia è
un'istituzione anche perché la vita che vi si svolge al suo interno non è scandita
semplicemente da norme interne definite dai suoi membri, ma è pervasa da modelli che
regolano il comportamento di coloro che vi abitano e che contemporaneamente mettono in
relazione questo comportamento con contesti di riferimento più ampi.
Dagli anni Settanta si è verificata una rottura con schemi e modelli familiari precedenti. Nello
studio della famiglia, l'approccio istituzionale è stato sostituito da un approccio centrato
sull'analisi delle relazioni interpersonali. Di recente, la famiglia è stata valorizzata come
relazione sociale e non solo luogo dell'intimità e degli affetti. Da questo cambio di
prospettiva emerge una rivalutazione delle funzioni della famiglia, considerando sia i compiti
svolti all'interno sia quelli orientati a stabilire legami con il mondo esterno.
Le trasformazioni di questi anni toccano sia i rapporti tra le generazioni sia quelli tra i generi,
mostrando lo sviluppo di modi nuovi nel realizzare l'azione educativa.
Esiste una tradizione di ricerca sugli stili educativi sviluppati in famiglia. Importante è la
ricerca di Talcott Parsons e Robert F. Bales, pubblicata nel 1955 negli Stati Uniti. Essa analizza
il processo di crescita e individua ruoli genitoriali diversi ma complementari, che fanno da
modelli e sviluppano stili educativi differenti (più espressivo quello materno, maggiormente
strumentale quello paterno), ma che perseguono lo stesso obiettivo nell'educazione dei figli:
la costituzione di personalità ben integrate e capaci di corrispondere alle aspettative sociali.
Il modello parsonsiano di socializzazione, di impostazione funzionalista, lascia
progressivamente il posto al modello interazionista-comunicativo, più centrato sul soggetto,
sul processo in individualizzazione e di autorealizzazione. Le ricerche condotte in questi anni
mostrano sia esiti positivi sia aspetti problematici di questa rilevanza del soggetto.

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Da un lato, l'attenzione ai bisogni del bambino, la sua valorizzazione e l'importanza
assegnata al conseguimento dell'autonomia sviluppano autostima nel soggetto e quindi
competenze e capacità nell'interazione anche al di fuori della famiglia, in particolare a
scuola, quindi influenzano positivamente anche i risultati scolastici. Dall'altro, uno stile
educativo più permissive rispetto all'educazione autoritaria tradizionale produce la perdita di
capacità di tipo prosociale, indispensabili alla vita in comune con i coetanei e con adulti
diversi dai genitori.
Indagini più recenti considerano il rapporto fra generazioni intrecciandolo con la dimensione
di genere. Nella società contemporanea esistono diverse concezioni della differenza di
genere. Ricerche sociologiche di questi ultimi anni confermano la persistenza di stereotipi
sessuali, soprattutto riferiti a una differenziazione nell'abbigliamento, nei giocattoli,
nell'immagine del lavoro "da grande", nei comportamenti ed emozioni, nell'assegnazione di
compiti ecc. Oltre a evidenziare l'esistenza di orientamenti differenti nei genitori riguardo
alla socializzazione al genere, vengono messi in luce stili educativi diversi a volte anche
praticati all'interno della stessa famiglia in situazioni differenti: uno stile indifferenziato, che
ritiene la differenza come non legata al genere ma a scelte e percorsi individuali; uno stile
parzialmente differenziato, applicato soprattutto alle regole, all'abbigliamento, alle uscite;
infine uno stile differenziato, che sottolinea una differenza nei compiti, nei ruoli e nelle
opportunità. Queste ricerche evidenziano anche una migliore intesa dal punto di vista
affettivo e relazionale tra componenti dello stesso sesso. Questa analisi delle relazioni di
genere in contesti familiari mostrano un'evidente crisi dei modelli tradizionali. Pertanto,
nelle generazioni adulte si sviluppa una discussione critica della socializzazione ricevuta, e
piuttosto che la preoccupazione di creare nuovi modelli, un'attenzione alle situazioni
concrete da affrontare quotidianamente.
Una problematica importante riguarda la figura del giovane adulto e quindi il prolungamento
della permanenza nella famiglia d'origine dei giovani adulti di entrambi i sessi.
Le indagini più recenti hanno usufruito di concetti nuovi riguardo alle condizioni e alle
risorse interne ed esterne della famiglia, che hanno implicazioni anche sul contesto
scolastico. Si tratta dei concetti di capitale sociale e di capitale culturale, che, con quello di
capitale economico costituiscono l'insieme delle risorse della famiglia.
Il capitale culturale familiare influenza le scelte e i percorsi di vita dei giovani, posizionandoli
all'interno del sistema di stratificazione sociale, ed è una vera e propria chance di vita che
tuttavia i figli utilizzano in modo diverso, a volte sprecandolo.
I processi di crescita e gli stili educativi familiari risultano influenzati anche dall'intensa
presenza e dalla fruizione dei mezzi elettrico-elettronici. Si parla di videosocializzazione per
indicare una socializzazione attraverso un mezzo piuttosto che mediata da persone, e di
desocializzazione con riferimento alle tradizionali agenzie, scuola e famiglia.
Le indagini sui giovani e sulla condizione giovanile
Negli ultimi due secoli è stata riconosciuta una propria specificità prima all'infanzia e poi
all'adolescenza e alla giovinezza. In particolare, il prolungamento del periodo di
preparazione alla vita adulta avviene in concomitanza con processi sociali e culturali
importanti, come l'industrializzazione e la scolarizzazione.

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La sociologia dell'educazione arriva a occuparsi direttamente della realtà giovanile a partire
dal contesto scolastico, dove essa diviene visibile soprattutto negli anni Sessanta-Settanta
con la contrapposizione e il conflitto con le generazioni adulte. In seguito il campo di
indagine si allarga verso i diversi contesti di vita: la famiglia, l'aggregazione in gruppo, il
tempo libero, la fruizione dei media, la questione lavorativa. Le ricerche di questi anni sui
giovani delineano anche scenari che cambiano: il rapporto fra le generazioni, il trattamento
dell'aggressività giovanile da parte del mondo adulto, le rappresentazioni dei giovani, le
politiche sociali messe in campo per affrontare problematiche poste dalla condizione
giovanile, come il disagio, l'uso di droghe, la difficoltà di inserimento lavorativo, l'abbandono
degli studi.
Lo sviluppo delle ricerche sui giovani si intensifica negli anni Sessanta, proprio quando si
incrina l'integrazione fra giovani generazioni e mondo adulto. La contestazione giovanile
degli anni Sessanta fa emergere due aspetti: la fine della continuità generazionale e la
visibilità sociale delle problematiche giovanili. Il conflitto tra generazioni si gioca su aspetti di
grande rilievo come il riferimento ai valori. I giovani promuovono valori nuovi, che
enfatizzano il Sé, la propria autonomia e una costruzione di identità complessa, perché
portata a dare spazio e rilevanza a tanti ambiti o sfere di influenza.
La ricerca sociologica sui giovani è particolarmente fiorente nella seconda metà degli anni
Ottanta, con diretto riferimento al cambiamento della realtà giovanile nei modi di realizzarsi
ed esprimersi: lo si coglie guardando alla sfida, fondamentalmente simbolica, delle bande
spettacolari - le cosiddette "tribù" di stile - che negli anni Ottanta e Novanta enfatizzano
soprattutto il bisogno di produzione d'identità attraverso l'elaborazione di simboli e di
significati. Negli anni più recenti, la ricerca sociologica sui giovani ben documenta la
caratterizzazione multiforme della realtà giovanile e il prolungamento a oltranza
dell'ingresso pieno nella vita adulta, particolarmente visibile della realtà italiana. I risultati
delle indagini di questi ultimi anni mostrano un mondo giovanile variegato, che esprime
grande vitalità, ma anche molti segni di disorientamento e di disagio, una capacità di tenuta
dentro la complessità sociale, ma anche bisogno di punti di riferimento e di rassicurazione. I
giovani si mostrano alla ricerca di forme di espressione di questi bisogni relazionali e affettivi
sia all'interno della famiglia e della scuola sia nelle diverse forme di aggregazione spontanea
o nell'associazionismo, ma anche e soprattutto attraverso l'impiego dei media digitali. È una
ricerca in cui emergono possibilità di realizzazione di forme di sicurezza e autonomia, ma
anche tante difficoltà.
Indagini su media e socializzazione
Studi che vanno sotto il nome di media education mettono in evidenza l'importanza di
un'educazione ai media e non soltanto attraverso la scuola. Nell'ambito della ricerca in
sociologia dell'educazione i media vengono indagati soprattutto per il loro impatto sui
processi di crescita, sull'apprendimento, sulla formazione dell'identità, sulla costruzione di
sentimenti di appartenenza nelle diverse forme di aggregazione adolescenziale e giovanile.
Nel corso degli anni sono state svolte numerose ricerche soprattutto sull'uso e sugli esiti
della fruizione televisiva nell'infanzia, che hanno messo in luce un'esposizione elevata a

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questo mezzo nella maggior parte dei casi senza alcuna presenza di adulti e quindi senza
mediazione o dialogo.
Nella società contemporanea la socializzazione attraverso i media, per molti aspetti, manca
di intenzionalità educativa e di controllo da parte degli adulti. È il caso dell'utilizzo del
computer, dei videogiochi o dei cellulari.
Adolescenti e giovani risultano particolarmente attratti dalla condizione di interattività che
offrono i nuovi mezzi di comunicazione, i quali aprono una serie di possibilità di acquisizione
di informazioni e conoscenze in forma autonoma, non predefinite da un programma o da un
curricolo scolastico. Queste forme di esperienza enfatizzano l'autonomia e la possibilità di
sperimentazione, di provarsi in molte situazioni, di mettere in campo possibilità di
comunicazione e di produzione di identità variegate e provvisorie.
Le indagini sulla valenza socializzante dei media mettono chiaramente in evidenza come il
contesto indagato rimandi immediatamente ad altri contesti. Ad esempio, studiando
l'utilizzo del computer negli adolescenti, si intercetta immediatamente la questione dei
rapporti in famiglia o a scuola, la realtà di una cultura adolescenziale, l'importanza
dell'ambiente di vita e quindi del territorio con le sue opportunità o le sue carenze.

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