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Corso di Teoria e pratica della formazione – Prof. Caputo – a.a.

2020/21
La “paideia incompiuta”: formare l’uomo e il cittadino nella scuola della Repubblica*

La “paideia incompiuta”: formare l’uomo e il cittadino nella scuola della Repubblica


(Michele Caputo1)

L’educazione alla cittadinanza si presenta oggi come una sfida continua, una sorta di missione, al
tempo stesso necessaria e impossibile, per la scuola e la società contemporanea. Necessaria, perché
l’educazione dell’uomo e del cittadino è posta come finalità originaria e legittimante la funzione
pubblica della scuola stessa. Impossibile, perché la coscienza sociale e le analisi scientifiche
concordano nel giudicare non soddisfacente l’esito della progettualità politico-pedagogica
dell’educazione civica o educazione alla convivenza civile.
Tra i vari esiti della nostra ricerca si può sottolineare, in particolare, un dato “qualitativo”
piuttosto rilevante, sintetizzato nei termini di rappresentazione “frammentata” dell’idea di
cittadinanza. Gli studenti che hanno risposto ai nostri questionari2 hanno manifestato una pluralità
di concezioni della cittadinanza, il più delle volte di difficile ricomposizione su un piano teorico;
talvolta percepite in termini contraddittori e/o utopici e privi di agganci con l’esperienza; più spesso
giustapposte e affiancate come nozioni inservibili ed inutili. In altri termini, sembra lontano l’esito
di una formazione di soggetti maturi e consapevoli dei diritti e dei doveri propri di un cittadino
all’interno di una società democratica. Il frutto dell’impegno didattico delle scuole da noi
interpellate sembra così rispondere solo molto parzialmente alla finalità specifica attribuita alla
scuola, sia dal dettato costituzionale, sia dalle progettazioni emergenti nei diversi interventi di
riforma di ordinamento e di programmi della scuola italiana.
Il dato empirico da noi ricavato potrebbe rappresentare il punto di partenza di alcune domande di
carattere pedagogico: in che termini oggi la scuola educa alla cittadinanza? In che modo
l’educazione alla legalità si rapporta alla conoscenza dei diritti e dei doveri del cittadino? Con quale
consapevolezza gli insegnanti assumono, o rifiutano, il compito formativo dell'educazione del
cittadino nella scuola? Che senso acquisisce la cittadinanza nella scuola, e in particolare nella
scuola secondaria? Quale panorama di esperienze e rappresentazioni giovanili della convivenza
civile ci troviamo di fronte? Quale proposta di formazione alla cittadinanza è praticabile in questo
composito quadro di elementi socioculturali? In questo volume abbiamo fornito solo alcune
risposte parziali a queste domande, nell’ottica di una prospettiva assolutamente aperta e di un lavoro
in progress.
Non sono, comunque, soltanto i dati della nostra ricerca esplorativa a generare nuove domande.
Costituisce un nodo problematico già il convergere (dal punto di vista sociale e dal punto di vista
scientifico) di un giudizio critico sull'azione relativa all'educazione civica e/o educazione alla
cittadinanza svolta dalla scuola nell'Italia repubblicana del secondo Novecento. Questa convergenza
critica sembra confortare e consolidare reciprocamente la pedagogia “popolare”3 e quella
“scientifica” in una condivisa certezza empirica. Tuttavia è sempre necessario, per il sapere
scientifico, oltrepassare il senso comune: perciò occorre in primo luogo esplicitare le diverse
implicazioni semantiche sottese all'uso dei termini con i quali affrontiamo la questione.
Appare inoltre necessario riuscire a definire un repertorio di categorie interpretative, di ampio
respiro storico e teoretico, adeguate, per un verso, a garantire un’effettiva comprensione del
problema “educazione alla cittadinanza nella scuola”, e dall’altro lato capaci, soprattutto, di offrire
stimoli e strumenti, funzionali ed efficaci, al lavoro docente. Tutto ciò in linea con la

1
Dipartimento di Scienze dell’Educazione “G.M. Bertin”, Università di Bologna (2011).
2
M. T. Moscato, M. Caputo, R. Gatti, G. Pinelli, Esperienze didattiche e rappresentazioni della cittadinanza nella
secondaria superiore. Uno studio esplorativo, in: M. Corsi (a cura di), Educare alla democrazia e alla cittadinanza,
Lecce, Pensa MultiMedia, 2011, pp. 17-70. Si vedano i saggi di Moscato e di Pinelli in questo volume.
3
“Popolare” nel senso bruneriano, divenuto già “classico”, di pedagogia implicita presente nel vissuto di insegnanti ed
educatori e nell’immaginario sociale. Pedagogia “popolare” sarebbe quindi quella del senso comune.

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Moscato M.T. (a cura di), Progetti di cittadinanza. Esperienze di educazione stradale e convivenza civile nella scuola secondaria,
Milano, FrancoAngeli, 2011, pp. 75-90. 1
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consapevolezza che sono i modelli interpretativi a orientare l'intervento educativo e didattico degli
insegnanti nella scuola, sia sul piano diagnostico, sia sul piano operativo.
Dei modelli interpretativi pedagogici va anche sottolineata la implicita dimensione
epistemologica, che emerge già nel tentativo di definire le ragioni pedagogiche dell’educazione alla
cittadinanza nella scuola.
Avviamo perciò in queste pagine, sebbene in sintesi, il complesso percorso di ridefinizione del
compito della scuola, nel processo di formazione di una società di cittadini, capaci di far valere i
propri diritti, compiere i propri doveri, e al tempo stesso solidali nella costruzione di una positiva
convivenza civile.

La paideia della modernità: formare l’uomo e il cittadino.


A prima vista, si potrebbe affermare che l’assenza/frammentazione del concetto di cittadinanza
riscontrata negli studenti, come supposto esito didattico, sia il frutto della riproposizione dei
conflitti, delle aporie, delle censure, delle utopie, delle prassi, delle diverse e conflittuali
rappresentazioni dell'idea di cittadinanza presente nel mondo adulto, anche nei suoi aspetti più o
meno consapevoli. Ma se si pone in questi termini una vera e propria corrispondenza deterministica,
tra mondo adulto e nuove generazioni, se ne dovrebbe dedurre una costitutiva impraticabilità della
domanda di cambiamento e una impossibile efficacia del progetto di formazione alla convivenza
civile. Il presente/futuro sarebbe destinato semplicemente a riprodurre il passato, e l’esigenza di
porre le condizioni di una diversa relazione sociale e politica sarebbe da confinare nel mondo
dell’irrealtà e dell’utopia.
Tuttavia porre una relazione diretta, di causa/effetto, fra l'idea di cittadinanza, propria del mondo
adulto, e la rappresentazione della cittadinanza riscontrata nelle nuove generazioni, costituirebbe
una semplificazione riduttiva. Si tratterebbe di un’analisi parziale, che offre una possibile (e
incompleta) interpretazione dei dati riscontrati, ma che lascia senza alcuna risposta l'esigenza e il
desiderio di proporre un diverso cammino, più efficace, di educazione alla convivenza civile e alla
cittadinanza attiva.
Un’analisi pedagogica più accorta deve al contrario partire proprio dal carattere ideale e
progettuale della dichiarata finalità di educare alla cittadinanza, una finalità sempre assegnata alla
scuola, nella storia contemporanea della civiltà occidentale. Solo a partire dalla consapevolezza del
carattere ideale/utopico di tale assegnazione è possibile fare i conti con i compiti specifici assegnati,
o riconoscibili, nel modello educativo proprio della scuola e con la possibile efficacia dell’azione
didattica.
La scuola moderna si struttura, fin dalla sua origine, come “istituzione generata dalla modernità
con il progetto storico – volta per volta adottato e ispirato dalle congregazioni religiose, dai
monarchi illuminati, dalle élites nazionaliste, dalle democrazie di massa… - di unificare la società
attraverso l’assimilazione del medesimo universo simbolico di conoscenze e di credenze”, agendo
non solo “attraverso il curricolo detto – per intenderci, attraverso le lezioni degli insegnanti – ma
anche – soprattutto per quel che concerne i valori – mediante le routines quotidiane del curricolo
implicito” 4. La scuola appare così un’istituzione funzionale ad un progetto, più o meno condiviso
e/o contrastato, di riduzione delle differenze e di assimilazione ad un medesimo universo simbolico,
un progetto di cui sussistono parti non propriamente e non sempre presenti ai suoi “esecutori”, a
coloro che possono essere chiamati gli “attori” del processo stesso. Credo che, proprio nella
direzione dell’educazione alla cittadinanza, quello che Damiano definisce il “curricolo implicito”, o
altresì il “non detto”, costituisca la chiave di volta per comprendere adeguatamente ciò che si può
concepire in termini pedagogici come compito educativo della scuola.

4
E. Damiano, L’educazione interculturale come innovazione scolastica, in Id (a cura di), Homo migrans. Discipline e
concetti per un curricolo di educazione interculturale a prova di scuola, Milano, F. Angeli, 1998, pp. 15-51, pag. 19.

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Tuttavia, accanto alla chiave di volta, abbiamo bisogno, per comporre adeguatamente l'arco
esplicativo del rapporto tra scuola e cittadinanza, di mettere a fuoco la complessità della relazione
tra ideologie politiche e prospettive pedagogiche. Tale relazione è resa ancora più intricata dalla
necessità di tener conto di due ulteriori elementi, cioè le trasformazioni socioeconomiche e le
innovazioni tecnologiche, per completare la descrizione/analisi degli scenari entro i quali si
collocano, nella loro consistenza storico/empirica, i processi educativi.
La questione dell'educazione alla cittadinanza nella scuola, posta nei termini suddetti, rappresenta
perciò un tema denso di implicazioni, non appena di carattere didattico e/o metodologico, e non
soltanto legato ai campi disciplinari attinenti le cosiddette scienze umane: educare alla cittadinanza
comporta fare i conti con numerosi impliciti di carattere filosofico, posti a fondamento della stessa
identità epistemologica della pedagogia.
In tale direzione di analisi esplicativa, per la quale si potrebbe risalire alla costitutiva relazione tra
pedagogia e politica già presente nella Repubblica di Platone, dobbiamo fare i conti con gli elementi
della modernità entrati a far parte costitutiva delle finalità della scuola, così come la conosciamo.
Nella formula "formazione dell'uomo e del cittadino" troviamo una “sintesi” universale,
ampiamente condivisa dalla riflessione pedagogica dell’Occidente, costituitasi già con Comenio, e
continuamente riproposta in ogni manifesto/ richiamo al bisogno educativo proprio dell’uomo e
delle comunità umane (dalla famiglia allo stato).
Tale formulazione della finalità della scuola, tuttavia, ricompone solo superficialmente le linee di
frattura e i conflitti ideologici che attraversano l’intera parabola della modernità, e che si
ripropongono in termini radicali alla fine del Novecento, di fronte alla globalizzazione e alla crisi
post-moderna dello Stato-nazione. L’uso non “definito” dei termini “uomo” e “cittadino”, posti
quasi come sinonimi interscambiabili, i cui significati appaiono evidenti ed universalmente
(ri)conosciuti, al punto da non richiedere alcuna trattazione, ha rimosso (quasi occultato) un
conflitto antropologico e ideologico implicito, profondo e continuo, soggiacente all’apparente
condivisione dei valori “democratici”.
Il conflitto diventa ben visibile, se si guarda alla consistente letteratura relativa al concetto di
cittadinanza, prodotta a partire dagli anni Novanta. La bibliografia relativa potrebbe da sola
riempire interi volumi, avendo il dibattito attraversato l’intero arco delle scienze umane, dalla
filosofia politica all’antropologia culturale, dalla sociologia al diritto, dalla psicologia sociale alla
stessa pedagogia5. Non casualmente si ebbe a coniare, in questa particolare renaissance del tema, il
sintagma “nuova cittadinanza”, in rapporto alla crisi dei paradigmi interpretativi della “modernità” e
dello “stato/nazione”, e alla necessità di nuovi modelli di analisi di fenomeni sociali e politici come
le migrazioni internazionali, la globalizzazione e i processi di integrazione democratica di nuove
soggettività sociali e culturali6.
La paideia oggi operante nel corpo sociale, e nel corpo docente in particolare, è indubbiamente
partecipe e debitrice di questo profondo travaglio del concetto di modernità, espressione di profonde

5
Solo a titolo esemplificativo, indichiamo alcuni titoli: Aa.,Vv., L’educazione tra solidarietà nazionale e nuova
cittadinanza, Brescia, “La Scuola”, 1993; Aa.Vv., Convivenza civile e nuovo impegno pedagogico, Brescia, “La
Scuola”, 2007; F. Andreatta, M. Clementi, A. Colombo, M. Koenie-Archibugi, V.E. Parsi, Relazioni internazionali,
Bologna, “Il Mulino”, 2007; S. Cingolani, Guerre di mercato, Roma-Bari, Laterza, 2000; P. Donati, La cittadinanza
societaria, Roma-Bari, Laterza, 1993; M. Fiorillo, Guerra e diritto, Roma-Bari, Laterza, 2009; A. MacIntyre, Dopo la
virtù. Saggio di teoria morale, (trad. it.) Roma, Armando, 2009; K. Parag, I tre imperi. Nuovi equilibri globali nel XXI
secolo (trad. it), Roma, Fazi, 2009; M.L. Salvadori, Democrazie senza democrazia, Roma-Bari, Laterza, 2009; M.
Santerini, La scuola della cittadinanza, Roma-Bari, Laterza, 2010; A. Scola, Una nuova laicità. Temi per una società
plurale, Venezia, Marsilio, 2007; A. Touraine, La globalizzazione e la fine del sociale. Per comprendere il mondo
contemporaneo, (trad. It.) Milano, “Il Saggiatore”, 2008.
6
Il tema è indubbiamente complesso e il dibattito è ulteriormente complicato dallo spostamento degli assi di riferimento
culturali costituiti dal paradigma dell’uguaglianza e dal progressivismo, determinato dall’attacco alle Torri gemelle di
New York del 2001. L’evento costituisce uno spartiacque tuttora operante, che ha reso distante la riflessione pedagogica
“interculturale” dal nuovo scenario ideologico.

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Milano, FrancoAngeli, 2011, pp. 75-90. 3
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mutazioni del corpo sociale e politico contemporaneo, di carattere economico, tecnologico, più
ampiamente culturale. Come sottolineava già Corallo, “le cosiddette epoche di crisi o di
smarrimento, se sono genericamente caratterizzabili, lo sono appunto per la perdita sociale di forza
di spinte di chiarezza di idee nell'educazione”7. Pur rifuggendo da ogni determinismo occorre
riconoscere, con Corallo, come “l'ambiente sociale, nel suo senso più generalmente comprensivo, è
per se stesso un veicolo della trasmissione valorizzante, che è propriamente la trasmissione
educativa"8. In ciò trova legittimità l’analisi dal punto di vista pedagogico della crisi dello
stato/nazione quale importante elemento dell’orizzonte di riferimento della paideia contemporanea.
Tuttavia, prima di passare all’analisi della paideia della modernità e della sua parabola, occorre
un ulteriore passo nella direzione di un approfondimento epistemologico del concetto stesso di
educazione, per evitare che lo stesso sia ridotto ad un processo di socializzazione. Il rischio è ben
presente, se si tiene conto che la tradizione pedagogica, a partire dal secondo Ottocento, “è stata
particolarmente ricca di ricerche pedagogiche ispirate prevalentemente, e talora esclusivamente, ai
principi del sociologismo”9. In tale prospettiva, che l'uomo sia un prodotto sociale non indica “solo
l’esito, l'oggetto in cui si compie la produzione, ma anche l'atto del processo medesimo"10. Una
posizione nella quale tuttavia finisce con lo sparire l'individuo, che è pur sempre diverso dal fatto
sociale e non è riducibile ad esso. Come osserva Corallo, la finalità educativa “è principalmente ed
essenzialmente della persona, e solo in vista e al servizio di questa appartiene alla società”11. In altri
termini, se da un lato occorre riconoscere che un uomo nasce e si sviluppa sempre all'interno di una
società che lo fa nascere e sviluppare, vi è pure da osservare che l'educazione è quel processo
mediante il quale nell'uomo prende forma “la capacità di agire rettamente con libertà”12.
L’educazione è chiamata a dare all'uomo il suo significato umano, che si dà nell'azione libera, vale
a dire nell'azione morale, poiché non esiste libertà al di fuori del campo morale. Ed è proprio il
concetto di libertà a rappresentare lo “svincolo” proprio della persona rispetto ad ogni possibile
nesso deterministico con l'ambiente sociale13.
Il richiamo alla qualità morale dell’educazione è ben presente nell’opera più significativa ed
influente nella storia della pedagogia del Novecento dedicata all’educazione “democratica”,
pubblicata nel 1916 da John Dewey. Se da un lato è innegabile il peso dato dal pedagogista
statunitense all’analisi sociale, altrettanto evidenti sono le considerazioni etico/morali che guidano
le sue riflessioni pedagogiche: "dire che l'educazione è una funzione sociale che assicura la
formazione allo sviluppo degli immaturi per mezzo della loro partecipazione alla vita del gruppo al
quale appartengono, è affermare che l'educazione varia con il tipo di vita che predomina nel
gruppo"14.
Diventa pertanto fondamentale, per Dewey, considerare la vita sociale del gruppo nel quale ci si
fa carico dell'educazione delle nuove generazioni, operando alcune necessarie osservazioni sui
termini in uso nell’analisi sociale. Il termine comunità e il termine società presentano degli aspetti
ambigui, laddove gli stessi vadano a rappresentare le diverse forme di vita associata, interne ad una
organizzazione sociale più vasta, con vincoli deboli, ben lontani dall'indicare una comunità
omogenea e compenetrata di azione di pensiero. Accanto a tale precisazione, Dewey pone la

7
G. Corallo, Pedagogia, Vol. I, L’educazione, Torino, SEI, 1961, pag. 66.
8
Ivi, pag. 67
9
G. Corallo, Educare la libertà, Scelta antologica a cura di M.T. Moscato, Bologna, Clueb, 2010, pag. 266.
10
Ivi, 268.
11
Ivi, 271.
12
Ivi, 136.
13
Tutta la riflessione di Corallo si gioca sull’assunto della dualità dell’essere come fatto e significato, e del tema della
libertà individuata come forma dell’educazione. Cfr. M. Caputo, Il sapere pedagogico in Gino Corallo: fondamenti
epistemologici e problemi teoretici, in “Itinerarium” n. 29, 2009, pp. 43-62; M.T. Moscato, Una pedagogia cristiana fra
anticipazioni e “sentieri interrotti”: Don Gino Corallo, in “Orientamenti Pedagogici”, vol. 57, n. 4 (340), luglio-agosto
2010, pp. 561-579; ID, Introduzione a G. Corallo, Educare la libertà, op. cit.
14
J. Dewey, (1916), Democrazia e educazione, (trad. it.), Firenze, “La Nuova Italia”, 1949, 1992, pag 127.

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necessità di esercitare una valutazione concreta della qualità morale, etica, dei diversi gruppi,
perché è tale qualità che ci consente di dare un giudizio pedagogico: "qualsiasi educazione data da
un gruppo tende a socializzare i suoi membri, ma la qualità e il valore della socializzazione
dipendono dalle abitudini e dagli scopi del gruppo"15.
Il rapporto strutturale tra società ed educazione è posto da Dewey a fondamento della sua
riflessione sul concetto democratico nell'educazione: “poiché l'educazione è un processo sociale e vi
sono molte specie di società, un criterio critico costruttivo deve basarsi su un ideale sociale
particolare. I due moduli sui quali misurare il valore di una forma di vita sociale sono il grado in cui
gli interessi di un gruppo sono condivisi da tutti i suoi membri, e la pienezza e la libertà con la quale
esso si comporta con altri gruppi. Una società indesiderabile, in altre parole, è una società che
pone, all'interno e all'esterno, delle barriere alle libere relazioni e alla comunicazione delle
esperienze. Una società che ponga in grado tutti i suoi membri di partecipare, a condizioni eguali, a
quel che ha di buono e che assicuri un riadattamento flessibile delle sue istituzioni attraverso lo
scambio delle diverse forme di vita associata è democratica. Una simile società deve aver un tipo di
educazione che interessi personalmente gli individui alle relazioni e al controllo sociale e sappia
formare le menti in maniera che possano introdursi cambiamenti sociali senza provocare
disordini”16.
La posizione di Dewey risente, nel linguaggio e nella terminologia utilizzata, proprio del
sociologismo pedagogico, criticato ampiamente da Corallo in quanto posizione metafisica che
diventa sempre più insostenibile, quanto più si scende nella pratica dell’educazione17. La finalità
dell’educazione non può limitarsi alla interazione individuo/società, ma va posto l’accento sulla
reciprocità come apertura verso l’altro che perciò diventa un socio.
Educare alla cittadinanza può pertanto avvalersi di una piena accezione pedagogica laddove si
riscopra la dimensione etica della persona e non ci si rinchiuda in tematiche sociali e
contrattualistiche incapaci di contenere l’interezza della dimensione sociale senza ricadere in uno
sterile determinismo sociologico.

Il mito fondativo della scuola della Repubblica Italiana: il ”mandato” costituzionale


In un breve saggio di Roberto Sani, dedicato al rapporto tra scuola e educazione alla democrazia
negli anni del secondo dopoguerra, l’autore mette in evidenza la comune valutazione della
storiografia italiana, relativa alla storia dell’Italia repubblicana, che sostanzialmente riconosce come
"nel nostro paese la democrazia formale non è riuscita - o non è riuscita compiutamente - a
trasformarsi in una democrazia sostanziale, capace di permeare le scelte dei comportamenti
individuali e collettivi, di farsi costume civile, pratica diffusa"18.
Prima di analizzare i fattori di natura ideologica e politica che condizionarono il clima culturale
dell'Italia repubblicana, e incisero sul modo stesso di affrontare e di dare soluzione al problema
della democratizzazione attraverso la scuola, a mio parere è bene individuare i confini istituzionali
del mandato assegnato alla scuola, di formare i nuovi cittadini. Attorno a quei confini si sono svolti
– di fatto - i conflitti "narrativi" delle diverse rappresentazioni di cittadinanza e di democrazia
presenti sul piano ideologico nei partiti, le strutture portanti della nuova democrazia repubblicana.
Lo stesso Sani, riprendendo un giudizio di Pietro Scoppola, rileva come proprio la forma partito
abbia costituito un forte elemento frenante dello sviluppo di un senso di appartenenza democratica
alla base del paese: se, da un lato, nella Costituzione i partiti hanno posto le premesse di una
cittadinanza democratica di tutti gli italiani, dall'altro lato essi hanno contribuito non poco a formare

15
Ivi, pag. 128.
16
Ivi, pag. 145.
17
G. Corallo, Educare… cit., pag. 268.
18
R. Sani, La scuola e l’educazione alla democrazia negli anni del secondo dopoguerra, in M. Corsi, R. Sani, (a cura
di) L’educazione alla democrazia tra passato e presente, Milano, “Vita e Pensiero”, 2004, pp. 43-62, pag. 44. Vedi, in
particolare, la bibliografia citata da Sani nella nota 1.

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una forte identità di parte, radicati sentimenti di appartenenza partitica, che hanno sovrastato il
sentimento di un'appartenenza comune19.
Proprio la Carta Costituzionale offre l’opportunità di delineare i confini prima richiamati, e che
costituiscono in qualche modo una sorta di “filosofia della scuola” italiana, un “mito fondatore”
espresso negli articoli 33 e 34 della Costituzione. In questi articoli sono definiti i compiti della
Repubblica rispetto al diritto di istruzione dei cittadini, assegnando allo Stato il compito di istituire
scuole di tutti gli ordini gradi, e riconoscendo da un lato la libertà di insegnamento (tanto preziosa
alla fine dell'esperienza totalitaria del fascismo), e dall'altro, la libertà dei privati di fondare scuole
"senza oneri per lo Stato", prevedendone il possibile riconoscimento paritario (art. 33); inoltre,
proclamando la destinazione universale dell'istruzione scolastica, la Costituzione rendeva
obbligatoria e gratuita la frequenza almeno dei primi otto anni di istruzione, vincolando lo Stato a
promuovere l'istruzione superiore dei “capaci e meritevoli”, attraverso borse di studio, assegni alle
famiglie e altre provvidenze (art. 34).
Nei due articoli citati si trovano così intrecciati gli elementi principali dei diversi dibattiti sulla
scuola, dibattiti che hanno sostanziato, e che sostanziano tuttora, la relazione tra politica e
pedagogia in Italia. Tali elementi possiamo sintetizzare, da un lato, nella definizione “democratica”
degli aspetti “istituzionali/ordinamentali”; dall’altro nell’individuazione di un “nuovo” progetto
nazionale dei programmi scolastici della scuola italiana post-bellica e post-fascista. Attorno a questi
elementi si sono sviluppati quei conflitti, ideologici e politici, che hanno contribuito a rendere
l'identità collettiva democratica italiana "debole, frammentaria, caratterizzata da una sostanziale
incompiutezza"20, proprio in quanto risultavano più forti e diffusi gli elementi ideologico-identitari
dei partiti nell’Italia repubblicana.
L’articolazione degli aspetti definiti “istituzionali/ordinamentali” è particolarmente significativa:
in primo luogo il rapporto tra scuola statale e scuola privata, uno dei principali nodi critici del
confronto/scontro tra la pedagogia cattolica e la pedagogia laica, fatte salve le eccezioni e i
distinguo pur sempre presenti in ogni area culturale. Sul piano politico il tema è tuttora foriero di
conflitti aperti, nonostante il tentativo di prefigurare, alla fine degli anni Novanta, la strutturazione
di un sistema di scuola “pubblica”, includente sia le istituzioni scolastiche statali sia le scuole non
statali “paritarie”21. Qui entra in gioco il conflitto radicale tra una definizione di “democrazia delle
istituzioni” (per la quale va pertanto tutelata la libertà di istituire “scuole private” a garanzia di
progetti educativi culturalmente orientati), da una definizione di “democrazia nelle istituzioni”, che
afferma la sufficienza dello spazio pubblico comune a garantire pari opportunità e uguali diritti e
doveri a tutti i cittadini, a garanzia del principio di uguaglianza.
La storia del conflitto in questione presenta numerosi spunti interessanti sul piano pedagogico.
Tuttavia, l’analisi degli aspetti “ordinamentali” della scuola ci mostra una seconda articolazione,
alquanto complessa, del compito istituzionale democratico della Repubblica, un vero e proprio nodo
cruciale dell’educazione alla cittadinanza, vista come azione istituzionale dello Stato. Difatti, a mio
parere, il “nucleo generativo” più fecondo della relazione tra politica e pedagogia va individuato
nel compito affidato alla Repubblica di promuovere il diritto all’istruzione, che ha costituito il leit

19
Ivi, 46.
20
Ivi, pag. 44.
21
Occorre dire che già nelle proposte politiche di Gonella, ministro della pubblica istruzione dal 1946 al 1951, il tema
della parità e del riconoscimento legale delle scuole “private” costituiva l’asse del rapporto con le scuole di ispirazione
cattolica, cfr L. Pazzaglia, Ideologie e scuola fra ricostruzione e sviluppo (1946-1958), in Aa.Vv., Chiesa e progetto
educativo nell’Italia del secondo dopoguerra (1945-1958), Brescia, “La Scuola”, 1988, pp. 495-544, pp. 500-513. La
questione della “scuola privata” ha coinvolto a fondo la pedagogia italiana nella misura in cui in essa veniva posta la
centralità del progetto educativo della scuola e pertanto il valore positivo o negativo di una scuola governata sul piano
dell’adesione ideologico/culturale, più radicalmente confessionale. Il dibattito pertanto richiamava anche il conflitto
latente tra visione del mondo delle famiglie e proposta ideologico/culturale della scuola statale, vista come possibile
fonte di relativismo e/o scetticismo etico-religioso. Viceversa in campo laico veniva lamentata una funzione di
indottrinamento della scuola “confessionale”. Temi ancora largamente e vivacemente dibattuti.

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motiv delle progressive modifiche introdotte negli ordinamenti della scuola “gentiliana”, e
l’ispirazione ideale delle numerose convergenze intervenute nel dibattito pedagogico italiano tra le
sue diverse componenti culturali22, come la riforma della scuola media unificata del 1962 e le
riforme dei programmi della scuola media nel 1979 e delle elementari del 198523.
In questa direzione di sostanziale condivisione del compito di promozione del diritto
all’istruzione, si possono collocare i lavori di specifiche commissioni ministeriali e le inchieste
parlamentari sulla scuola e sullo stato dell’istruzione del paese, una linea inaugurata proprio in
concomitanza con i lavori dell’Assemblea Costituente della neonata Repubblica. Infatti, nell'aprile
del 1947, l'allora Ministro della pubblica istruzione, Guido Gonella, istituì una Commissione
nazionale incaricata di condurre un'inchiesta sullo stato della scuola italiana. I risultati del lavoro
della Commissione furono resi pubblici nell'aprile del 1949, e in essi si ha conferma della forza
della matrice culturale di derivazione idealista, permanendo in larga parte la preferenza del corpo
insegnante per una suddivisione degli studi post-elementari in diversi canali formativi24. Sul piano
culturale e politico erano certamente presenti valutazioni e prospettive diverse, ad esempio due
figure di grandi intellettuali come Banfi e Vittorini, i quali auspicavano una scuola che avrebbe
dovuto promuovere la crescita di ogni singolo cittadino, "le loro erano, però, posizioni abbastanza
isolate, poiché la maggioranza delle forze politiche, oltre che degli stessi ambienti culturali,
continuava ad essere vincolata alla visione gentiliana di un sistema scolastico concepito, in via
principale, per formare e selezionare la classe dirigente”25.
Una prima linea di posizionamento del rapporto tra scuola e democrazia va così individuata
proprio nel concepire la scuola diversamente rispetto all’impianto gentiliano, per cui il lento
passaggio da una scuola “finalizzata a scegliere i migliori per riprodurre il ceto dirigente (il meglio
a pochi)” ad “una scuola di ampia durata per tutti (il meglio a tutti, almeno in linea di principio)” 26,
rientrava pienamente tra gli obbiettivi “democratici” del progressivismo pedagogico, già
preannunciato dai precedenti riferimenti al Dewey27.
Accanto alla dimensione istituzionale messa in evidenza con riferimento al rapporto scuole statali
e scuole “non statali”, e alla “costruzione/apparizione” della scuola di massa, il tema
dell’educazione alla cittadinanza è particolarmente connesso alla funzione “identitaria” svolta dalla
scuola, affermata già nell’età risorgimentale, concependo la “scuola come istituzione educativa,
chiamata a promuovere la formazione dell’uomo e del cittadino”28. La legge Casati ha presente
“questa fiducia nel potere della scuola di formare la coscienza civile e nazionale dei cittadini
dell’Italia unita”, ma essa è soprattutto “testimoniata dai vari programmi scolastici per l'istruzione

22
Fino alla fine degli anni Novanta la pedagogia accademica italiana ha sostanzialmente patito una rigida suddivisione
ideologica tra i diversi orientamenti presenti anche sul piano politico. Particolarmente vivace è stato il conflitto tra la
pedagogia cattolica e quella marxista, specie sul piano della filosofia dell’educazione.
23
Cfr. G. Bertagna, Cultura e pedagogia per la scuola di tutti, Brescia, “La Scuola”, 1992; E. Bosna, Tu riformi… io
riformo, Pisa, ETS, 2005; G. Chiosso, Sviluppo e declino della scuola italiana, in G. Acone, G. Bertagna, G. Chiosso,
Paideia e qualità della scuola, Brescia, “La Scuola”, 1992, pp. 13-84; E. Damiano, (a cura di), Idee di scuola a
confronto. Contributo alla storia del riformismo scolastico in Italia, Roma, Armando, 2003; M. T. Moscato, Diventare
insegnanti Verso una teoria pedagogica dell’insegnamento, Brescia, “La Scuola”, 2008, pp. 163-168.
24
Cfr. L. Pazzaglia, op. cit.; R. Sani, op. cit.
25
L. Pazzaglia, op. cit., pag. 497.
26
G. Chiosso, La scuola e le politiche dell’istruzione, in: G. Chiosso, (a cura di) Luoghi e pratiche dell’educazione,
Milano, Mondadori Università, 2009, pp. 45-65.
27
Si tenga conto che, proprio negli anni Cinquanta, Dewey costituirà il più forte punto d’appoggio teoretico della nuova
pedagogia accademica italiana.
28
S. S. Macchietti, Dai ‘Doveri del cittadino’ all’ ‘educazione civica e costituzionale’, in L. Corradini, G. Refrigeri,
Educazione civica e cultura costituzionale. La via italiana alla cittadinanza europea, Bologna, “Il Mulino”, 1999, pp.
139 - 155, pag. 139. Il tema della funzione identitaria della scuola è molto complesso, sia sul piano storico-educativo,
sia sul piano epistemologico-pedagogico, in particolare per le attuali dinamiche interculturali. Cfr. M. Caputo, Scuola
laica e identità minoritarie. La via francese all’interculturalità, Brescia, “La Scuola”, 1998; M.T. Moscato, La scuola
fra identità nazionale e intercultura. Principi di metodo, in “Pedagogia e vita”, n. 4, 1993, pp. 66-85.

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La “paideia incompiuta”: formare l’uomo e il cittadino nella scuola della Repubblica*

primaria, in cui figurava l'insegnamento dei Doveri dell'uomo del cittadino, il quale, a seconda della
varietà del clima politico e della cultura del legislatore e dei ministri, assumeva connotazioni
diverse, rischiando anche di configurarsi come proposta della morale laica, volto a sostituire
l'insegnamento della religione”29. La Macchietti sottolinea come la prospettiva in cui fu posto
questo insegnamento, per quasi tutto l’Ottocento, fosse quello dell’educazione ai doveri, rilevando,
al tempo stesso, come il modesto spessore culturale rendesse incerta la sua collocazione, “pertanto
esso fu collegato prima alla ‘lettura’ e dopo il 1894 alla ‘storia ed alla geografia’ ”30.
Più ancora che nella riforma Gentile del 1923, la Macchietti colloca l’asservimento politico
ideologico della scuola al regime fascista nel processo di fascistizzazione della scuola, avviato negli
anni Trenta e codificato poi nella “Carta della Scuola”, presentata il 19 gennaio del 1939 da
Giuseppe Bottai, allora ministro dell’Educazione nazionale. In essa si affermava che “lo studio deve
mirare alla formazione morale e culturale e, in armonia con le finalità educative della GIL, alla
preparazione politica e guerriera”31.
Alla fine della seconda guerra mondiale, di fronte al compito di ricostruire la nascente
Repubblica Italiana, “sugli orientamenti dei principali esponenti della nascente democrazia italiana
pesava, indubbiamente, il ricordo dell'uso politico della scuola fatto dal fascismo; così come pesava
la consapevolezza della grave mistificazione perpetrata dal regime mussoliniano dell'ideale di
‘scuola formativa del cittadino’, già presente nella legge Casati e riproposto con forza dalla riforma
Gentile del 1923"32. Non a caso, già a partire dalla commissione Washburne, la scuola venne
individuata come campo da “bonificare” dagli influssi fascisti, mentre per diversi intellettuali si
trattava di un compito di liberazione totale, togliendo allo Stato “quel formidabile strumento di
parte che è la scuola educativa e formativa, … la scuola formativa può essere molto comoda finché
nel governo e nella struttura statale ci siamo noi o dei nostri amici, ma la faccenda diventa fastidiosa
quando vi si insediano degli avversari decisi e senza scrupoli. La scuola deve istruire e basta … un
partito modernamente democratico non deve chiedere allo Stato di fabbricare della gente onesta, dei
buoni patrioti, degli scrupolosi padri di famiglia”33. In queste parole di Vittorio Foa è ben chiara la
consapevolezza della funzione svolta dalla scuola nella costruzione dell’identità personale e sociale.
Su questi temi Sani ha ragione di evidenziare la presenza di posizioni contrapposte e/o poco
componibili all’interno delle stesse aree politico-culturali presenti nell’arco costituzionale fin dagli
inizi della Repubblica34. Posizioni culturali e ideologiche contrapposte sono rimaste presenti, in
maniera composita, nella società italiana, nei decenni che accompagnano lo sviluppo del sistema
scolastico e l’estensione dell’obbligo. Nella stessa area cattolica, alcune componenti sono state
spesso critiche rispetto all’azione dei ministri della pubblica istruzione, per quanto democristiani35.
Diffidenze e contrapposizioni che hanno segnato e accompagnato la stessa gestazione
dell’introduzione dell’insegnamento dell’educazione civica nel 1958, ad opera dell’allora ministro
della pubblica istruzione Aldo Moro36.

Il “paradosso istruttivista”: il neutralismo educativo e la paideia incompiuta


Occorre riconoscere che l’istanza del neutralismo educativo scolastico, istanza evocata da Foa
nell’intervento prima citato, può rappresentare una chiave di lettura adatta a farci cogliere alcune
linee di sviluppo della storia della scuola italiana del secondo dopoguerra e a comprendere alcuni

29
S.S. Macchietti, op. cit., pag. 139.
30
Ivi, pag. 140. L’autrice riporta interessanti notazioni riguardo al dibattito pedagogico sull’argomento, richiamando gli
interventi di Aristide Gabelli e il ruolo “civile” della letteratura del tempo.
31
Ivi, pag. 150.
32
R. Sani, op. cit., pp. 46-47.
33
Ivi, pag. 47
34
Ibidem.
35
Cfr. L. Pazzaglia, op. cit., pp. 506-509.
36
Ivi, pp. 530-532.

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sui esiti proprio nel campo dell’educazione alla cittadinanza. Di fatto è possibile definire il
neutralismo educativo come “dominante” nella rappresentazione comune del compito e dell’identità
del docente, una rappresentazione non smentita dalla presenza di minoranze militanti. Al contrario,
proprio la prevaricazione denunciata, sperimentata, o solo paventata, di possibili forzature
ideologiche da parte dei docenti attesta la forza di una rappresentazione “neutralista” della scuola e
dell’insegnamento37.
Si può indicare nel clima conflittuale avviato dal ’68 (e concluso alla fine degli anni ’80 con il
crollo del muro di Berlino del 1989) un “principio di realtà” giustificativo dell’opzione neutralista
di gran parte del corpo docente, in anni nei quali il conflitto ideologico e politico ha attraversato e
messo a dura prova tutte le istituzioni sociali, dalla famiglia allo stato, dalla Chiesa alla stessa
scuola38. Presumibilmente, e soprattutto a partire dagli anni Settanta, la supposta possibile
“neutralità” dell’istruzione scolastica è apparsa come una scelta necessaria e garantista rispetto al
pluralismo ideologico della società. Tuttavia la sola “esperienza storica” non è sufficiente a spiegare
la forza della scelta neutralista. Come ogni errore, il “neutralismo educativo” rappresenta una
“verità impazzita”, in quanto assolutizzata. Si tratta della “verità” che è possibile indicare nella
funzione, propria della scuola, di “luogo protetto” per la maturazione dell’Io39. La giusta esigenza di
“proteggere” l’Io immaturo degli studenti da conflittualità ideologiche, dense di violenza e
menzogna, ha però condotto ad una sorta di agnosticismo morale via via esteso al piano cognitivo,
per cui tutte le posizioni finiscono con equivalersi, un agnosticismo di cui il corpo insegnante fa
fatica a prender coscienza, e che genera una “paideia incompiuta”.
Il tentativo di recidere il legame tra istruzione ed educazione nella scuola, espellendo dall’area
pubblica ogni riferimento all’educativo, e “neutralizzando” il concetto di istruzione, si è sviluppato
attraverso la normativa di scuola degli ultimi quaranta anni 40. Almeno due o tre generazioni di
insegnanti secondari si sono scommessi sull’idea di dover soprattutto “fornire degli strumenti” ai
loro studenti, aprendo ad essi l’accesso ai beni di una conoscenza condivisa, e così garantendo loro,
per ciò stesso, la partecipazione democratica.
Questa concezione “istruttivista” della formazione nella scuola permane tuttora nel corpo
docente, per l’esperienza che ne abbiamo, nonostante la reintroduzione del tema delle educazioni, e
in particolare dell’educazione alla cittadinanza/ convivenza civile, a partire dagli anni Novanta 41.

37
Numerosi potrebbero essere qui i riferimenti anche a vicende legate all’attualità politica. Mi limito a segnalare la
ricorrente polemica sui libri di testo, in particolare di storia.
38
Potremmo qui parlare di una sorta di “effetto Ypsilanti”, laddove soggetti potenzialmente in conflitto sostanzialmente
ignorano i temi del contrasto, optando funzionalmente per il quieto vivere. Nell’esperimento psichiatrico avviato nel
1959 da Rokeach, docente dell’università del Michigan, tre schizofrenici detentori di una identità divina furono costretti
per due anni ad una convivenza forzata. L’ipotesi psichiatrica riteneva possibile il superamento della condizione
schizofrenica a fronte della contraddizione sperimentabile nella compresenza di più persone reclamanti la stessa
identità. Dopo una fase iniziale di estremo conflitto, finanche fisico, i tre smisero di litigare, mettendo da parte la
diatriba identitaria. Analogamente si può affermare che la scuola abbia seguito una dinamica simile, nella misura in cui
la scuola (in qualche modo) ha evitato conflitti distruttivi, insostenibili per la stessa sopravvivenza dei soggetti operanti
in essa. Cfr. M. Rokeach (1964), trad. fr., Les trois Christs, Paris, Gallimard, 1967.
39
Cfr. a tal proposito l’analisi delle funzioni della scuola presenti in M.T. Moscato, Diventare …cit., pp. 151-188.
40
Il percorso normativo relativo all’educazione alla cittadinanza viene ricostruito nel dettaglio dal saggio di A.
Porcarelli in questo stesso volume. Mi riferisco tuttavia all’intero percorso normativo che contrassegna e accompagna lo
sviluppo della scolarizzazione in Italia fin dalla l. 1859/62, e segnatamente ai Decreti Delegati e ai programmi della
scuola media del 1979. L’introduzione di un modello didattico procedurale accompagna infatti la neutralizzazione
dell’educativo, sempre nella logica di evitare agli allievi l’indottrinamento condizionante, e riservando la sfera
dell’educativo ai diritti delle famiglie.
41
Fra i pedagogisti italiani, il più autorevole e “ostinato” propugnatore dell’educazione nella scuola e di una cultura
costituzionale dal forte valore formativo, è stato certamente Luciano Corradini, che per le educazioni nella scuola si è
battuto fin dagli anni Settanta e fino alla recente introduzione dell’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione. Cfr. S.
Chistolini, Cittadinanza e convivenza civile nella scuola europea. Saggi in onore di Luciano Corradini, Roma,
Armando, 2006; L. Corradini, (a cura di), Cittadinanza e Costituzione. Disciplinarità e trasversalità alla prova della
sperimentazione nazionale, Napoli, “Tecnodid”, 2009.

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L’idea che “la scuola, quando insegna efficacemente, educa anche alla cittadinanza” appare
molto presente nei vissuti degli insegnanti, ma anche fra le risposte di un gruppo di studenti
universitari da noi interpellati, tramite questionario, nell’a.a. 2010/201142. La resistenza degli
insegnanti secondari, quando affrontano il problema delle educazioni nella scuola, nei confronti di
metodologie attivanti e partecipative, non è tanto – dal mio punto di vista – una sorta di “incapacità
metodologico-didattica”, ma piuttosto l’esito concreto di una convinzione più profonda e più
remota, di una radicata “diffidenza” nei confronti dell’educativo, quando esso viene riproposto nella
scuola.
Ma tale diffidenza diventa anche resistenza a comprendere che l’educazione alla cittadinanza (e
anche alla cittadinanza democratica) nella scuola è incompatibile con il modello pedagogico di un
istruttivismo neutrale: ci vogliono orizzonti di senso condivisi, valori motivanti esplicitati, e un
consenso sociale relativamente generalizzato a supporto dell’azione della scuola. Quale che sia la
responsabilità diretta che gli insegnanti agiranno, in termini di scelta di contenuti e di metodologie, i
percorsi scolastici non potranno mai essere del tutto isolati dai processi formativi che si compiono
prima ed in parallelo all’esperienza scolastica. Gli effetti degli uni e degli altri possono potenziarsi,
oppure indebolirsi a vicenda, e di ciò occorre diventare consapevoli, prima di ipotizzare e proporre
qualsiasi nuova e diversa strategia. Pedagogisti ed insegnanti dovranno prima ripensare il tema
dell’educazione alla cittadinanza nella scuola e scioglierne le contraddizioni (almeno nelle loro
scelte personali) prima di affrontare il compito di qualsiasi nuova progettazione effettiva.

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42
Mi riferisco ai dati di una nuova esplorazione avviata dal nostro gruppo nell’autunno 2010, i cui risultati sono ancora
in fase di elaborazione. Ne da un’anticipazione Giorgia Pinelli nel suo saggio in questo volume.

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