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La continuità didattica

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La continuità educativa nel processo di integrazione degli alunni
portatori di handicap è uno di quei diritti garantiti, ma purtroppo non
viene rispettato.
Nella scienza educativa, il concetto di continuità educativo-didattica,
fa riferimento ad uno sviluppo e ad una crescita dell’individuo da
realizzarsi "senza macroscopici salti o incidenti": ogni momento
formativo deve essere legittimato dal precedente per ricercare
successive ipotesi educative ricche di senso e di significato per
l’autentica, armonica integrazione funzionale delle esperienze e
degli apprendimenti compiuti dal bambino.
La circolare 1/88, parla di continuità del processo educativo, come
fattore rilevante per la positività dell'esperienza scolastica di ogni
alunno, per il bambino portatore di handicap.
Inoltre sulla continuità educativa in senso lato e per tutti gli alunni
(compresi gli alunni con handicap) si parla nel D.M. 16-11-90 e nella
C.M. 339/92.
Infine, nel collegato alla Legge Finanziaria n. 662 del 23-12-96 art.
1 c. 72, è previsto il principio che sancisce: "è garantita la continuità
del sostegno per gli alunni portatori di handicap", in attuazione
all'art. 14 comma 1 lett. C, L. 104/92.
La mancanza di continuità didattica dello stesso insegnante negli
anni seguenti; un numero sempre più maggiore di insegnanti non
specializzati a cui vengono affidati i nostri figli;

una tutela sindacale sbilanciata a sfavore dell'utenza; l'inerzia
politica!
Sono tutti fattori che incidono negativamente. Si tratta di un
disservizio gravissimo, che danneggia in modo particolare le figure
più deboli, quelle che maggiormente avrebbero bisogno di relazioni
stabili e sicure.
Continuità educativa e didattica…una parola dimenticata spesso ,
anzi diciamo proprio dimenticata dalle OO.SS. e dalla macchina
burocratica dell'Amministrazione Scolastica.
Chissà se forse, è giunto il momento di rivedere alla radice il
modello contrattuale che regola le prestazioni dei docenti,
superando una logica troppo impiegatizia che non tutela a
sufficienza i diritti di apprendimento degli alunni.
Forse, direi che anche giunto il momento che, nei contratti
riguardanti professioni al servizio della persona, siano presenti
soggetti di tutela dei diritti delle persone, con forza contrattuale
propria. Chissà, forse, in questo modo si renderebbe più efficiente il
servizio

pubblico, forse si ridurrebbe la palude che induce spesso alla
lentezza

burocratica da parte delle amministrazioni e alla logica corporativa
dei contratti.Certamente non parlo solo dei contratti del comparto
scuola ma per tutti quei comparti (Enti Locali, Sanità etc..) nei quali
si erogano servizi alle persone.
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CONTINUITÀ EDUCATIVA E DIDATTICA
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Dopo la fase delle discussioni teoriche e delle sperimentazioni degli
anni '80, che non bisogna considerare affrettatamente inutili e/o
sorpassate, sul tema della continuità non si può non evidenziare
come, negli anni '90, si è tentato con vari interventi, legislativi e non,
di passare alle concrete azioni educative e didattiche generalizzate.
Anche se non è possibile in questa sede, fare una panoramica delle
sperimentazioni che in quegli anni si svolsero nelle scuole italiane,
pure è utile rivedere bibliografie, rubriche di riviste scolastiche, atti
di convegni dove questo tema, già da allora, risultava di crescente
importanza per la scuola militante e per la riflessione pedagogica
(Scocchera 1983 S. Guerra Lisi 1992 M. e P. Calidoni 1985). Allora
come oggi, non si sottolineava a sufficienza un'esigenza di
riflessione teorica che mi sembra ancora necessaria anche se il
linguaggio usato oggi è certamente più adeguato ed è stata
raggiunta una maggiore consapevolezza che questo tema deve
avere per la qualità della formazione.
La tematica e l'esigenza della continuità si sono progressivamente
imposte nella cultura pedagogica solo quando sono risultati sempre
più evidenti i danni della discontinuità del sistema educativo
italiano.
Le norme
Partendo da questa consapevolezza il legislatore ha emanato una
serie di norme specifiche sulla continuità che è bene richiamare
cronologicamente:
1. la Premessa generale ai Programmi didattici della Scuola
Elementare
( D.P.R. 12.2.1985)
2) gli articoli 1 e 2 della legge 148 del 5-6-1990 (Riforma
dell'Ordinamento delle Scuole Elementari)
3) il titolo 2 punto 4 degli Ordinamenti delle Attività Educative della
Scuola Materna ( D.M. 3.6.1991)
4) il D.M. 16.11.1992 e la C.M. n. 339/92 entrambi sulla continuità.
Queste norme e direttive sono state oggetto di varie iniziative di
aggiornamento tra cui il piano nazionale di aggiornamento per le
scuole elementari prima e per le scuole materne poi e il piano
nazionale d'aggiornamento su " Continuità e valutazione nella
scuola elementare."

I problemi storico-istituzionali
E' utile ritornare ad esaminare più a fondo i motivi e i problemi cui il
legislatore ha cercato di rispondere: le discontinuità, a vari livelli,
che storicamente hanno caratterizzato il sistema scolastico italiano.
Dal punto di vista istituzionale, sappiamo che non solo esistono
diversi ordini e gradi di scuola, che di per sé non sarebbero
elemento di negatività, ma vere e proprie fratture che si
manifestano in modo eclatante nei momenti di passaggio (in
particolare nelle prime medie inf. e sup.) con alte percentuali di
bocciature, abbandoni, dispersione scolastica ecc.… Queste
fratture istituzionali non sono facilmente ricomponibili con i soli
strumenti di tipo normativo e con progetti educativi e didattici senza
la consapevolezza dei motivi storici che vi stanno dietro. E'
necessario ricordare il fatto che la scuola elementare sia nata come
"scuola del popolo", rivolta almeno nell'area influenzata dalla
Riforma Protestante a tutti, perché tutti, autonomamente, devono
poter interpretare le "Scritture". Al contrario, le scuole materne sono
nate come "asili" per i più bisognosi e per gli orfanelli e hanno
mantenuto per secoli, a causa di questa diversa origine, diverse,
separate, se non contrapposte finalità,quasi come un marchio
distintivo, percepite diversamente prima di tutto nell'immaginario
collettivo e nel senso comune. Ci dobbiamo chiedere quanti sforzi
siano stati fatti per far superare queste percezioni sociali delle due
istituzioni e quanto invece alcune concezioni della scuola
dell'infanzia definita ancora "scuola materna" non si portino dietro
residui di una concezione vecchia: "l'asilo" dove i bambini vanno
assistiti e custoditi in un luogo protetto e separato. Diversamente la
scuola media inferiore, nata come trasformazione delle prime tre
classi del vecchio ginnasio, ha conservato e conserva anche dopo
la riforma del 1962, vissuta dai professori come una diminuzione di
ruolo(Barbagli- Dei 1969 ), il carattere di scuola secondaria,
destinata alla formazione delle sole classi dirigenti, dei ceti colti e
benestanti ed è oggi attraversata da una crisi di identità e di
significatività misurata dalla grave demotivazione del personale
insegnante. E' bene aver presenti questi scenari storici che fanno
da sfondo alle questioni complesse della continuità educativa, che
un certo sperimentalismo educativo e le stesse direttive ministeriali
non hanno aiutato a capire.

Il problema psicopedagogico
Il quadro dei problemi implicito nelle questioni della continuità ha
inoltre una valenza psicopedagogica che risulta utile indagare a
fondo. C'è un'esigenza di continuità educativa e didattica che
attiene al cuore di che cosa intendiamo per educazione e che in
qualche maniera percepiamo come necessaria per l'efficacia di ogni
curricolo. Si cercherà di analizzare gli altri aspetti del problema
separatamente e di ricomporne in un quadro possibilmente unitario
le diverse facce. Negli anni ottanta si è teorizzata la "scuola come
centro di ricerca" che costituirebbe il perno di un sistema scolastico
allargato e/o integrato in continuità con l'ambiente familiare e
sociale; la sottolineatura è andata, anche qui, in direzione della
continuità, mirante ad evitare che ci sia frattura tra vita scolastica ed
extrascolastica e che la scuola sia legata alle problematiche e ai
bisogni formativi del territorio: è questa la cosiddetta "continuità
orizzontale". Per molti anni oltre che di continuità tra scuola ed
extrascuola si è discusso anche di continuità curriculare tra i vari
ordini e gradi di scuola in cui transita il soggetto in età evolutiva.
Recentemente si è messo in discussione la ripetitività dei cicli
scolastici e dei "ritorni" sugli stessi argomenti per tre o quattro volte
nell'intero percorso dell'istruzione. La discussione su questo piano
ha diversi risvolti uno dei quali è legato alla problematica degli stadi
di sviluppo studiati principalmente da Piaget e dalla sua scuola.
( Piaget 1967,1968,1971) Sappiamo quanto nei suoi studi Piaget
abbia insistito sulla continuità degli stadi di sviluppo che
caratterizzano le fasi di ogni crescita oltre che sulla discontinuità tra
i vari stadi. Secondo Piaget negli stadi inferiori dello sviluppo sono,
per così dire, già presenti i "prodromi" di quelli che saranno i livelli
superiori i quali ne rappresentano una maturazione in continuità. Da
qui la sua insistenza sulla necessità nel far acquisire i cosiddetti
"prerequisiti" e sulla continuità tra i curriculi formativi tra i vari ordini
e gradi di scuola. La psicologia dell'apprendimento, sviluppando
queste indicazioni del Piaget, ha progressivamente cercato di
informare attraverso le pubblicazioni più diffuse, la didattica
scolastica. Ma le questioni della continuità meritano uno sguardo
più a fondo di quanto fino ad oggi si sia fatto nella pubblicistica
pedagogica più vicina temporalmente a noi. Da varie parti si
percepisce l'importanza della questione e i pericoli della
frammentazione dell'azione educativa senza però indagarne in
profondità i risvolti.

La continuità in altre situazioni educative


Se riflettiamo storicamente su alcuni esempi di intervento educativo
che più o meno intenzionalmente e più o meno razionalmente, le
società hanno organizzato per le future generazioni, vediamo come
esso ha cercato sempre di avere questo carattere della continuità e
possiamo allora più facilmente capire a che cosa risponde
quest'esigenza di fondo dell'azione formativa. Per fare un esempio
utile anche se lontano storicamente, pensiamo all'educazione del
giovane spartano: per formare un ottimo guerriero (obiettivo
formativo finale di quel processo educativo), fin dalla più tenera età
ci si preoccupava di sottoporre il giovane a prove ed esercizi fisici di
destrezza, che costituivano i "prerequisiti" delle abilità richieste al
futuro guerriero. La meta finale guidava l'azione educativa
dell'istruttore di ginnastica e garantiva unitarietà e continuità al
processo educativo. Lo stesso si può dire, pur nelle mutate
condizioni, dell'educazione, a partire dal Rinascimento, del "giovin
signore" delle classi nobili che aveva addirittura un unico ed
esclusivo precettore che fin dalla tenera età lo educava e lo istruiva
per tutta la giovinezza garantendo qui la continuità anche della
persona fisica che guidava il processo di formazione e che lo
introduceva con gradualità nella vita attiva.
La riflessione pedagogica moderna
Dobbiamo attendere la riflessione pedagogica moderna ed in
particolare quella di John Dewey per vedere esplicitamente
delineato questo carattere dell'esperienza educativa. (Dewey 1949).
Egli, nella descrizione che fa dell'esperienza, che, nella sua
concezione, è alla base di ogni educazione, mette in luce il
carattere "della continuità dell'esperienza e di quello che si può
chiamare il continuum sperimentale"(Dewey 1949 p.13). Come
dimostra in ripetuti passi del volume "Esperienza e Educazione
"( che arieggia "Il Canto del Cigno" del Pestalozzi come
sottolineava Codignola nella prefazione all'edizione italiana, ) egli
ha individuato in questo principio della "continuità" il discrimine per
distinguere le esperienze che hanno un valore educativo da quelle
che non lo hanno. E' la continuità dell'esperienza che sta alla base
della formazione delle abitudini. Ogni esperienza "riceve qualcosa
da quelle che l'hanno preceduta e modifica in qualche modo la
qualità di quelle che seguiranno"(Dewey 1949 p. 17-19).Già nella
sua opera pedagogica più famosa "Democrazia e
Educazione" (1970) aveva insistito su quest'aspetto. Riflettendo
sull'esempio di colui che impara ad andare in bici aveva già fatto
notare che "l'atto semplice dell'andare in bici, comporta una
'continuità' nei movimenti e l'eliminazione di quelli superflui e
dannosi e che l'abitudine incorpora in modo automatico una serie di
processi "concatenati" e in sequenza temporale: l'atto finale
dell'andare in bici non è poi così semplice come appare, ma
presuppone un processo di apprendimento in cui una serie di
tentativi sbagliati e dannosi sono stati eliminati e solo quelli utili
sono stati 'continuati' e via via perfezionati." ( Dewey 1970 p.32) E'
la continuità secondo Dewey che sta alla base delle abitudini e
quindi della formazione. Gli studiosi a noi più vicini e in particolare
Bruner e Gardner (Bruner1980, Gardner1987) tenendo conto sia
delle ricerche di Piaget sia di quelle di Vygotskji ( Vygotskji 1969)
convergono nella stessa direzione : poichè l'apprendimento di un
ambito disciplinare consiste soprattutto nell'acquisizione delle sue
"strutture" profonde, la scuola non può e non riesce mai a fare
apprendere tutte le nozioni, che sono sempre più ampie e non
immagazzinabili da una persona. Essa deve fornire i quadri
concettuali, le strutture ,appunto, che sono "isomorfe" , secondo
Piaget, alle strutture mentali del bambino. Il processo educativo si
inserisce nella continuità del processo di apprendimento il quale
trova nelle strutture concettuali degli ambiti disciplinari il fine-mezzo
del suo realizzarsi.
I compiti del presente
Nonostante queste chiare determinazione dell'analisi
psicopedagogica e storica, il processo educativo nella società e
nella scuola è caratterizzato da discontinuità e fratture sempre più
evidenti. Ne richiamerò alcune che appaiono oggi le più
macroscopiche. C'è prima di tutto un problema di continuità nella
trasmissione della memoria storica necessaria alla definizione di
una nostra identità morale e civile di cittadini della nostra Nazione.
Credo che a questo la scuola può e deve contribuire riallacciando i
fili del senso dell'appartenenza ricostruendo una consapevolezza
del senso di continuità con il nostro passato ( Cerroni 1996).
L'ambiente culturale degli alunni è oggi "omogeneizzato " dai mass-
media, ciò nonostante essi assorbono culture e comportamenti
familiari e locali che sono i residuati delle culture popolari e
folkloriche. (Gramsci 1975). Continuità deve significare recuperare il
valore positivo del patrimonio di cultura di ogni comunità
valorizzandone tutte le valenze pedagogiche e didattiche. (I.
Sacchetti 1980, R. Laporta 1979).Esiste un problema di recupero
della continuità non solo sul piano generale delle finalità dell'intero
processo di formazione, ma su quello concreto e specifico dei
concatenamenti dei processi di apprendimento, poiché si apprende
e si progredisce nella crescita solo se le nuove esperienze si
inseriscono e trovano un legame con quello che già si sa e si
sapeva fare. Questo obiettivo è reso ancora più difficile da quella
che viene definita "l'inflazione da eccesso di informazione" che i
nuovi media riversano sull'individuo.Più cose si sanno e minore è
paradossalmente la capacita di capire, comprendere le informazioni
in cui siamo sommersi in mancanza di continuità con il nostro
passato e il nostro vissuto come individui e come società. Internet
può essere una grande opportunità formativa se e solo se si
apprende con capacità critiche e se ne fa a un uso mirato e per
mappe concettuali. C'è un drammatico bisogno di "guide alle
risorse" per i naviganti, che altrimenti sono attratti da varie sirene ,
non sempre di valore educativo accettabile. Non penso solo e
principalmente alla pornografia che può essere facilmente evitata
se si sanno usare i filtri a disposizione nei nuovi programmi di
navigazione, ma penso ai contenuti di chiara ispirazione razzista
che vi circolano abbondantemente.(P.Greco 1999) La scuola e solo
la scuola è il luogo dove l'informazione può essere "semplificata ed
essenzializzata", per essere criticamente capita. Non c'è bisogno,
quindi, di nessuna abdicazione, ma semmai c'è la drammatica
necessità di ridefinire il proprio ruolo di insegnanti consapevoli della
sfida che dobbiamo accettare come compito del 2000 ormai alle
porte.

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