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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELL’AQUILA

Corsi di formazione per il conseguimento


della specializzazione per le attività di sostegno

a.a. 2020/2021

“CON I PIEDI PER TERRA”: INTERVENIRE SUL


DISTURBO DELLO SPETTRO DELL’AUTISMO
NELLA SCUOLA DELL’INFANZIA

Linda De Clerico Relatrice


Prof.ssa Maria Vittoria Isidori
“Ogni studente suona il suo strumento, non c’è niente da fare. La cosa difficile
è conoscere bene i nostri musicisti e trovare l’armonia. Una buona classe non è
un reggimento che marcia al passo, è un’orchestra che prova la stessa sinfonia.
E se hai ereditato il piccolo triangolo che sa fare solo tin tin, o lo scacciapensieri
che fa soltanto bloing bloing, la cosa importante è che lo facciano al momento
giusto, il meglio possibile, che diventino un ottimo triangolo, un impeccabile
scacciapensieri, e che siano fieri della qualità che il loro contributo conferisce
all’insieme. Siccome il piacere dell’armonia fa progredire tutti, alla fine anche
il piccolo triangolo conoscerà la musica, forse non in maniera brillante come il
primo violino, ma conoscerà la stessa musica.”

Daniel Pennac, Diario di scuola.


INDICE

Introduzione

PARTE PRIMA

Capitolo primo. Perché educare alla corporeità e al movimento

1.1 Immagine corporea

1.2 Consapevolezza corporea

Capitolo secondo. “Il disturbo dello spettro dell’autismo”

2.1 Menomazione, Disabilità, Handicap

2.2 Il disturbo dello spettro dell’autismo

2.2.1 La diagnosi

2.2.2 Lo sviluppo nel bambino

2.2.3 Approccio psicoanalitico al disturbo dello spettro dell’autismo

2.2.4 Le basi biologiche del disturbo dello spettro dell’autismo

2.3 Decorso e trattamento

Capitolo terzo. L’inclusione per tutti.

3.1 Inserimento, integrazione, inclusione

3.1.1 L’inclusione nel sociale

3.1.2 L’inclusione nella scuola

PARTE SECONDA

Relazione di tirocinio

Descrizione del prodotto multimediale

Riferimenti bibliografici

Riferimenti sitografici

Allegati
Introduzione

L’inclusione scolastica è inevitabilmente connessa all’inclusione sociale,


entrambi processi strettamente interrelati al tema della formazione alla
cittadinanza attiva intesa quale partecipazione responsabile alla società civile,
alla vita politica e di comunità di tutti gli individui sulla base di condizioni che
garantiscono il reciproco rispetto, la non violenza, la rimozione di ostacoli e di
barriere (fisiche, culturali, sociali), in accordo con la democrazia ed i diritti
umani (Perla, 2013 ; Striano, 2010, p. 20; Massaro, 2013). Come evidenza
Perla (2013): «La prospettiva inclusiva implica un allargamento
dell’interpretazione del mandato istituzionale della Scuola (in relazione ai suoi
scopi) e la concreta trasformazione degli ambienti di apprendimento in
direzione qualitativa, al fine di riuscire ad incontrare i bisogni di tutti, in
un’ottica di pari opportunità e di partecipazione» (p. 27). Nell’ ottica inclusiva,
l’attenzione è in primis volta all’ identificazione dei bisogni, un tema che
rimane centrale (De Anna, 1998; Cottini, 2004; d’Alonzo, Caldin, 2012; Ianes,
2005; Canevaro 2006; Elia, 2012), anche in ragione del fenomeno della sempre
maggiore eterogeneizzazione delle classi italiane, arricchitesi con la presenza
di allievi in condizione di disabilità certificate ma, anche, con altre tipologie di
“difficoltà” (disturbi specifici di apprendimento, disturbi dell’attenzione,
comportamenti a rischio di devianza ecc.) (Ianes, 2005, p. 31). Di qui la
definizione del compito disciplinare peculiare della Pedagogia Speciale
enucleata da Cottini (2004): «Il compito prioritario della pedagogia speciale
[…] è quello di sviluppare una riflessione che guidi l’operatività, una
riflessione in grado di orientarsi nella complessità dei bisogni e nella
molteplicità delle risposte possibili» (p. 15). A fronte di un’evoluzione
normativa, la scuola oggi necessita sempre più di intervenire e operare,
nell’ambito della didattica per competenze, sulle problematiche emergenti
scaturite dal crescente fenomeno dei Bisogni Educativi Speciali (BES). Il
lavoro, centrando l’attenzione sulla corporeità quale dispositivo cognitivo, apre
una riflessione anche sulla ridotta consapevolezza da parte dei docenti
dell’opportunità di problematizzare e rendere operative le condotte inclusive
con l’ausilio metodologico e strategico della corporeità secondo il paradigma
scientifico dell’Embodied Cognitive Science (Lakoff & Johnson, 1999).

Nell’ottemperare alle ultime normative ministeriali, le scuole si sono caricate


di una responsabilità pedagogica che le induce a operare didatticamente
secondo il quadro di lettura antropologica del funzionamento della persona
(OMS, 2007). In questo rispondono ai principi proposti già da Ianes (2005),
secondo cui oggi è necessario riflettere assiologicamente e culturalmente: il
concetto e i criteri di classificazione che stanno alla base della macrocategoria
«bisogno educativo speciale» sono più utili (e più equi) di quelli di «disabilità»
per leggere la complessità dei reali bisogni che oggi si presentano nelle classi.
È meglio riferirsi al concetto di Bisogno Educativo Speciale (BES) o Special
Educational Need (SEN) piuttosto che ai singoli componenti specifici di questa
macrocategoria, vedi disabilità, disturbi specifici di apprendimento, secondo le
varie classificazioni OMS (2007) dell’ICD-10 oppure del DSM-VI. La
valorizzazione dell’inclusione, infatti, va intesa quale processo che si serve di
strategie di intervento educativo e contenuti da privilegiare per favorire
l’apprendimento […] con la necessità di un approccio personalizzato che
coniughi le indicazioni che provengono dalle più affinate metodologie di
intervento, con gli accorgimenti organizzativi e metodologico-didattici. Oggi,
al contrario, numerose ricerche hanno dimostrato come il corpo, inteso come
dimensione fisica e biologica, sia fondamentale nella formazione e nella
crescita dei processi mentali. La corporeità è, quindi, sia la materialità sia il
coacervo di innumerevoli significati socio-culturali: un irriducibile oggetto di
indagine per sondare l’umano, il dato biologico e immediato da cui partire nel
definire l’essere, pensandolo nella sua dimensione psico-fisica, prima, e
ontologica, poi (Calabrò, 2013).
PARTE PRIMA

Capitolo primo. Perché educare alla corporeità e al


movimento

Gli autori filo-attivisti hanno sottolineato come l'implicazione del corpo nel
processo di apprendimento sia fondamentale soprattutto in età prescolare,
periodo in cui il corpo, più che in altri momenti della vita, si palesa come
strumento, ma anche punto di riferimento per l'esperienza e la conoscenza.
Recenti studi psicologici sembrano confermare che l'azione motoria a livello
strategico-tattico, richiede competenze e processi cognitivi simili a quelli
impiegati in compiti intellettivi (Nanetti, Cottini, Busacchi, & Rizzardi, 1996),
come per esempio la memoria. Ciò conduce all’affermazione per cui l'attività
di tipo motorio, favorisce il raggiungimento di obiettivi che coinvolgono altri
ambiti e che quindi può essere utilizzata con svariate finalità trasversali.
Facendo esperienza diretta con il corpo, il bambino apprende in maniera più
concreta concetti, come per esempio il tempo e lo spazio, che essendo astratti e
quindi non tangibili, sarebbero difficili da acquisire. L'ambito motorio può
essere definito interdisciplinare in quanto permette di affrontare qualsiasi
argomento. È stato dimostrato che proprio partendo dal proprio corpo e con la
possibilità di muoversi, di manipolare, di agire concretamente, il bambino
apprende con maggior facilità e il ricordo dell'esperienza si sedimenta in
maniera marcata in lui. La pedagogia della corporeità ha, in sintesi, lo scopo di
permettere ad ogni persona di sviluppare il proprio progetto di vita secondo un
approccio eco-sistemico, utilizzando una visione multiprospettica in relazione
agli apporti che le diverse scienze motorie possono offrire per addivenire ad
una progettazione “formativa” (Isidori, 2009).

Per quanto riguarda il movimento, è opportuno offrire all'allievo situazioni note


e non note in cui egli possa sperimentare gli schemi motori appresi, in modo da
favorire la capacità di transfer, che gli permetterà di adattare le proprie
conoscenze e abilità in ambiti diversi. Come afferma Cottini (2002, p. 49): “Se
l'azione educativa non si ispira al principio della multilateralità, nell'allievo si
può determinare una limitata e unilaterale base motoria di tipo specialistico,
che può portare l'educazione motoria a maturarsi in un'attività di precoce
specializzazione, con grave danno non solo per l'ulteriore sviluppo motorio,
ma per lo sviluppo dell'intera personalità. È ormai acquisito, infatti, che
quanto più è ricco e articolato il processo di differenziazione, tanto più è
positiva, dal punto di vista qualitativo e quantitativo, l'integrazione
successiva”.

Si ritiene che l'ambito psicomotorio proponga un'offerta formativa ed educativa


più ampia rispetto all'educazione motoria in quanto, valorizzando oltre
all'aspetto corporeo e cognitivo anche quello emotivo e affettivo, mette il
bambino in diverse situazioni che coinvolgono la sua persona a
trecentosessanta gradi. In questo modo egli non sperimenta solo schemi motori,
ma anche e soprattutto situazioni emozionalmente coinvolgenti di relazione e
comunicazione con gli altri.
D'accordo con l'ipotesi di Le Boulch (1991), si pensa ad una concezione
psicomotoria della formazione, che faccia leva sui dati dell'ontogenesi, per
assicurare uno sviluppo armonioso, che si manifesta con una motricità efficace
ed espressiva e con un buon equilibrio emozionale, condizioni di arricchimento
delle funzioni mentali. Puntando allo sviluppo globale del bambino, gli è
permesso di essere libero di agire e di esprimersi. Dare la possibilità alla
persona di essere padrona dei propri movimenti, partendo dalla conoscenza e
consapevolezza di sé, è una delle condizioni essenziali dell'autonomia e
dell'equilibrio della persona.
È sulle esperienze che l'individuo vive, che si costruisce l'immagine che egli ha
di sé ed è per questo che, in età evolutiva, è importantissimo offrire un'ampia
gamma di possibilità esperienziali ed espressive. Attraverso la riflessione su di
sé, egli imparerà a conoscersi e, così, anche a comprendere gli altri. Imparare
ad usare il corpo per comunicare vuol dire approcciare alla conoscenza del
proprio io prima di tutto.
È fondamentale l'autoriflessione per arrivare all'altro: l'interazione con gli altri
risulta però spesso difficile. La socializzazione è un'esigenza dell'individuo,
come afferma anche Le Boulch (1991), ma può portare anche ad
un'estraniazione da sé, nel senso che l'adattamento agli altri, senza una
consapevolezza di sé, può portare a conformarsi secondo l'immagine che gli
altri hanno di noi, anziché sviluppare le nostre personali inclinazioni. Le
esperienze vissute dal soggetto nelle sue relazioni con gli altri, infatti, hanno
una notevole influenza sull'atteggiamento corporeo e sulla gestualità.
L'espressione autentica di una personalità che si manifesta con i gesti, gli
atteggiamenti, non è quindi pura spontaneità, ma è frutto di apprendimento
sociale. L'ambiente umano con cui la persona entra in relazione influisce sul
suo modo di esprimersi; può offrire occasioni di scambio oppure delle barriere,
reprimendo l'individuo. Il controllo di sé, delle proprie emozioni, è necessario
per vivere serenamente in un ambiente sociale, ma in forma eccessiva va
contro i bisogni della persona, la quale non potrà esprimere se stessa.

Il bambino, partendo da una riflessione su se stesso, sul suo modo di porsi e sul
tipo di attività da proporre, può creare un ambiente positivo, aperto,
comprensivo e non di giudizio, in modo da agevolare il processo di
apprendimento e l'espressione degli alunni. Una migliore relazione e
comunicazione con l'altro parte dalla conoscenza di noi stessi. Come afferma
anche Nanetti “Più ci avviciniamo a noi stessi, più aumentano le possibilità di
comprendere l'altro” (Busacchi, Nanetti, Santandrea,1985, p. 68). Noi stessi
siamo la persona che possiamo imparare meglio a conoscere e da cui possiamo
ricavare pregi e difficoltà che in fondo possiamo ritrovare anche negli altri.

Capendo quale siano i mezzi che abbiamo a disposizione per comunicare


diventiamo più abili anche nel farci capire dagli altri. “La comunicazione
corretta favorisce lo sviluppo intellettivo-intellettuale promuovendo
atteggiamenti critici e rendendo possibile lo scambio di informazioni;
attraverso il miglioramento della comprensione dell'altro promuove in senso
etico-sociale la maturazione affettiva, la possibilità di conquistare l'autonomia,
il senso di responsabilità, la capacità di riconoscere l'altro come persona”
(Ibidem, p. 68). Per migliorare la comunicazione e stabilire un dialogo
autentico con l'altro è importante capire la propria e altrui comunicazione,
considerata in tutte le sue componenti verbali, ma anche non verbali.

Partire da se stessi, ma aprirsi all'altro con l'ascolto, la comprensione. Si


sostiene sia importante rivalutare la componente corporea della persona,
nell'intento di far riaffiorare le potenzialità espressive e comunicative di questo
valido strumento che gli allievi possiedono, ma di cui non sempre sono
consapevoli, rendendoli così più abili, ma anche più liberi. Concordi con
Nanetti, non si intende privilegiare il corpo a discapito della parola, ma dare ad
entrambi la medesima importanza; considerandoli degli alleati e non due fronti
separati. Il corpo riveste un ruolo importante nella relazione con gli altri.
Afferma infatti Le Boulch (2006, p. 112) “È mediante il corpo che noi siamo
presenti agli altri e con esso al mondo”. Freud definisce il corpo la nostra
“finestra sul mondo”. Il corpo risulta quindi un intermediario tra la persona e il
mondo esterno.

Esso ci permette di comunicare con l'esterno, ma allo stesso tempo chi è al di


fuori percepisce qualcosa di noi che proviene dall'interno (sentimenti,
emozioni). Corpo e psiche sono strettamente collegate, non esiste un'emozione
senza una certa espressione somatica, come afferma anche Schilder.
L'espressione del corpo soprattutto nelle sue manifestazioni toniche è la
traduzione delle reazioni emotive e affettive profonde, siano esse coscienti o
meno. Essa è più autentica dell'espressione verbale ed è ad essa che infatti si fa
più affidamento quando ci si relaziona con gli altri. Il corpo ci rivela. Si deve
considerare anche il fatto che la gestualità è l'espressione della soggettività
della persona, ma che può cambiare significato nel momento in cui viene
recepito dagli altri e quindi può creare fraintendimento. Ecco perché avere
consapevolezza del significato dei gesti propri ed altrui rende ancora più
efficace la comunicazione, ed arricchisce il linguaggio verbale.
Come afferma Nanetti: “L'essere umano può svilupparsi e maturare solo se
comunica col mondo circostante; la personalità è il risultato di una
interattività di scambi espliciti ed impliciti, verbali e non verbali” (Busacchi,
Nanetti, Santandrea, 1985, p. 67). Attraverso l'interazione con gli altri
l'individuo impara a conoscere se stesso, ad esprimersi, a comunicare. È
conoscendo se stesso e imparando a comunicare che l'uomo diventa libero.

Di Sarno et al. (2019) individuano lo schema corporeo come un modello senso-


motorio che consente al soggetto di compiere e tenere d’occhio dei movimenti.
Inoltre, quest’ultimo è correlato al termine di propriocezione, ovvero alla
struttura che permette le sistematizzazioni posturali. Una definizione di schema
corporeo è quella di Le Boulch (1966, citato da Domenighini, 2017) che lo
definisce come intuizione d’insieme o conoscenza immediata che si ha del
proprio corpo, sia in posizione statica che in movimento, in rapporto alle diverse
parti fra di loro, e soprattutto nei rapporti con lo spazio e con gli oggetti che lo
circondano. (p. 3). Facendo riferimento alla definizione di Le Boulch (1966,
citato da Domenighini, 2017), si possono individuare 4 fasi dello sviluppo della
strutturazione dello schema corporeo. La conoscenza e consapevolezza del
proprio corpo evolve in modo lineare durante lo sviluppo del bambino,
concretizzandosi definitivamente verso gli 11-12 anni. Questa conoscenza
dipende dalla quantità e qualità delle esperienze motorie, psico-motorie e senso-
motorie che il soggetto vive, le quali gli permettono di esplorare, verificare,
rielaborare e rapportarsi con l’ambiente. Significativa per questa tesi è la fase del
corpo percepito (4 – 6 anni): il bambino inizia a percepirlo come simmetrico che
presenta unità, riuscendo a rivolgere l’attenzione sia sulla sua totalità che sulle
parti separate di quest’ultimo. Inoltre, il bambino diventa consapevole del
proprio Io, interiorizzandolo e costruendo così nuovi schemi motori coordinati
utili al raggiungimento di specifici obiettivi. In questa fase il bambino si muove
seguendo indicazioni verbali o per imitazione.

Durante i movimenti controlla la sua postura e tonicità, affinando la


coordinazione dei movimenti per raggiungere un obiettivo (attività prassica): in
questo modo aumenta la conoscenza delle parti del proprio corpo (Le Boulch,
1966, citato da Domenighini, 2017)

1.1 Immagine corporea

Il concetto di immagine corporea si riferisce all’insieme delle esp erienze


cognitive, relazionali ed emotive che l’essere umano vive in relazione al proprio
schema corporeo. L’immagine del corpo si può definire, come sostengono Dolto
& Fresco (1998), come un mezzo di comunicazione e di espressione
dell’individuo al fine di entrare in relazione con l’ambiente; lo schema e
l’immagine corporea si sostengono, ma non si pregiudicano a vicenda, poiché
quest’ultima è indipendente dallo schema corporeo, ma ciò che accomuna
entrambi è l’esperienza che il soggetto vive: da un lato maggiormente intrinseco
e dall’altro più concreto ed esterno, in cui la percezione cutanea consente la
registrazione psichica della struttura corporea (Dolto & Fresco, 1998).

1.2 Consapevolezza corporea

Al fine di attivare un’autovalutazione consapevole è necessario che gli allievi


abbiano prima conquistato una consapevolezza corporea. Questo termine
complesso viene definito da Gallagher (2000, citato da Di Sarno et al., 2019)
come “la percezione di possedere il proprio corpo e tutte le parti che lo
compongono” (p. 39). Da questa citazione si può notare come si ritorna ai
concetti di immagine corporea e schema corporeo. Al fine di ottenere una
consapevolezza corporea la coscienza elabora l’esperienza corporea così:
attraverso i sensi riceve informazioni, le quali vengono successivamente
trasformate in emozioni e significati che vengono poi trattenuti o respinti dalla
memoria (Di Sarno et al., 2019). Di Sarno et al. (2019) sostengono che “la
consapevolezza corporea non è relegabile alle estremità della nostra pelle, ma
dovrebbe essere considerata nei termini di “possibilità d’azione”” (p. 40).
Sempre gli stessi autori (2019) ritengono che è infatti per mezzo
dell’osservazione riflessiva con il corpo degli altri che le azioni volontarie
diventano consapevoli e consentono una differenziazione tra le azioni altrui e
quelle personali.
Capitolo secondo. “Il disturbo dello spettro
dell’autismo”
Con la pubblicazione della quinta edizione (giunto a revisione nel 2022: DSM-
V-TEXT REVISION) del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi
Mentali, nel 2013, sono stati integrati 4 disturbi nella vasta categoria del
disturbo dello spettro del disturbo dello spettro dell’autismo. Il disturbo
autistico, il disturbo di Asperger, il disturbo disintegrativo della fanciullezza e
il disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato sono stati
combinati in un’unica categoria, a testimonianza del fatto che l’attendibilità nel
distinguere questi gruppi era bassa e che c’erano, e ci sono tuttora, poche
ricerche a supporto dell’idea di mantenere separati e distinti questi disturbi.

Il Centre for Disease Control (CDC), l’organismo di controllo che si occupa di


monitorare le malattie diffuse negli Stati Uniti, nei primi mesi del 2014, ha
pubblicato dei dati che dimostrano l’aumento dei casi di disturbo dello spettro
dell’autismo. Secondo questi dati, dal 2000 (anno in cui sono iniziate le
rilevazioni) i casi di disturbo dello spettro dell’autismo negli Stati Uniti sono
passati da 1 caso ogni 150 nati a 1 ogni 68. Questi dati però non trovano
conferma nel Regno Unito, dove uno studio pubblicato sul British Medical
Journal afferma che, nell’isola britannica, l’incidenza annuale di soggetti affetti
da disturbi dello spettro del disturbo dello spettro dell’autismo è aumentata nel
corso degli anni 90, raggiungendo un plateau nei primi anni 2000, per poi
stabilizzarsi fino alle ultime rilevazioni prese nel 2010, riscontrando così una
discrepanza con i dati rilevati dai colleghi statunitensi. Una prima ipotesi
sull’aumento dei numeri negli Stati Uniti può essere associata al miglioramento
degli strumenti diagnostici: a conferma di questo gli scienziati del CDC hanno
mostrato che l’incremento maggiore dei casi di disturbi dello spettro del
disturbo dello spettro dell’autismo ha riguardato proprio bambini con capacità
intellettive nella media o appena sotto la media, cioè i casi più difficili da
diagnosticare.
L’unico dato comunicato dal Ministero della Salute, del quale però non
vengono citate le fonti, riporta: “Il disturbo dello spettro dell’autismo non
sembra presentare prevalenze geografiche e/o etniche, in quanto è stato
descritto in tutte le popolazioni del mondo, di ogni razza o ambiente sociale;
presenta, viceversa, una prevalenza di sesso, in quanto colpisce i maschi in
misura da 3 a 4 volte superiore rispetto alle femmine, una differenza che
aumenta ancora di più, se si esaminano i quadri di sindrome di Asperger, una
delle forme dei disturbi dello spettro autistico. Una prevalenza di 10-13 casi
per 10.000 sembra la stima più attendibile per le forme classiche di disturbo
dello spettro dell’autismo, mentre se si considerano tutti i disturbi dello spettro
autistico la prevalenza arriva a 40-50 casi per 10.000. Vanno comunque
condotti ulteriori studi in relazione agli aumenti di prevalenza delle patologie
autistiche che in questi ultimi tempi sono stati segnalati soprattutto dai paesi
anglofoni e che porterebbero la prevalenza dei disturbi dello spettro autistico a
90/10.000.

2.1 Menomazione, Disabilità, Handicap

I termini disabile e disabilità, accanto al termine handicap sono diventati


oramai vocaboli d’uso comune non solo nei diversi ambiti specialistici, ma
anche nel linguaggio quotidiano. Ciò ha contribuito sicuramente a creare un
po’ di confusione e, soprattutto, non tutti conoscono le differenze, concettuali e
non, tra i diversi termini. A tal proposito, è opportuno riportare la distinzione
che l’Oms ha effettuato nel 1981, dove si parla di:

✓ Menomazione, intesa come qualsiasi perdita o anomalia relative a strutture o


funzioni psicologiche, fisiologiche o anatomiche, a carattere permanente o
transitorio;

✓ Disabilità, ossia la riduzione parziale o totale della capacità di svolgere


un’attività nei tempi e nei modi considerati come normali. Può essere
transitoria o permanente, reversibile o irreversibile, conseguenza di una
menomazione fisica, sensoriale o di altro tipo;

✓ Handicap, la condizione di svantaggio che risulta da un danno o da una


disabilità, e che limita o impedisce lo svolgimento di un ruolo normale in
rapporto alla società, all’età, al sesso, ai fattori sociali e culturali. Quindi è una
condizione soggetta a cambiamenti migliorativi o peggiorativi (Ciaglia, 2006).

Da questa prima definizione emergeva l’esigenza di considerare l’handicap non


come una malattia, ma piuttosto come un fenomeno sociale. Esso definisce,
infatti, le conseguenze sociali e ambientali delle menomazioni e delle disabilità
di un individuo di fronte alle esigenze e alle attese dell’handicap (Zanobini, p.
15, 2005). La situazione di handicap non può essere considerata un evento
statico e assoluto, ma va valutata ponendola sempre in relazione con la cultura
in senso lato e con l’ambiente sociale in cui la persona vive. Emerge, dunque,
la doppia connotazione biologica e sociale dell’handicap. Nel momento in cui
vi è un evento morboso, avvenuto in fase pre/peri/post-parto, si evidenziano:

✓ Danni primari, ossia le lesioni di partenza;

✓ Danni secondari, ossia problemi aggiuntivi, che derivano dai danni di


partenza (Ibidem).

Questi danni possono dar luogo a una disabilità che si traduce in Handicap in
relazione alle barriere che il soggetto incontrerà quotidianamente, sia fisiche,
che psicologiche e sociali. Le barriere fisiche sono rappresentate dalle barriere
architettoniche. Le barriere psicologiche hanno a che fare sull’impatto che la
disabilità ha sul soggetto stesso e sulle persone che lo circondano. Le
limitazioni imposte dalla menomazione di partenza nelle varie tappe della vita
possono essere accettate in misura diversa sia dall’individuo che ne è portatore,
sia da persone diverse. I genitori, per esempio, alla nascita di un bambino
diversamente abile, possono reagire in maniera eterogenea in rapporto alle
caratteristiche personali, al rapporto di coppia, al grado di supporto offerto da
familiari e amici. Crescendo, altre fonti di barriera o, al contrario, di sostegno
psicologico, possono essere gli insegnanti, gli operatori sociali e i pari. Le
barriere sociali sono relative sia al clima culturale prevalente in un’epoca, che
allo stato socio-economico dei vari soggetti. Già negli anni ’80 si sottolineava
come nel determinare l’entità e la gravità di una disabilità intervengono diversi
fattori, che non sono desumibili dal tipo e dalla gravità del danno di partenza,
ma dall’insieme di elementi personali e contestuali che gravitano intorno alla
persona disabile. Nelle definizioni dell’Oms attualmente in uso, non si fa più
riferimento ai principi di menomazione e disabilità, ma si allude a
funzioni/strutture corporee e alle attività, eliminando, successivamente, il
termine “handicap”. Nella maggior parte dei casi si tende a usare il termine
disabilità in relazione al termine funzionamento. Infatti, sono proprio il
funzionamento e le sue eventuali limitazioni in specifici ambiti di attività che il
nuovo sistema di classificazione, l’ICF (International Classification of
Functioning, Disability and Healt) (WHO, 2001), si propone di descrivere su
parametri e definizioni condivise a livello internazionale. Le principali
definizioni che supportano tale classificazione sono:

✓ Le funzioni corporee le funzioni fisiologiche o psicologiche dei sistemi


corporei;

✓ Le strutture corporee le parti anatomiche del corpo, come gli organi, gli arti
e i loro componenti;

✓ Le menomazioni: I problemi nelle funzioni o nelle strutture del corpo


(deviazioni o perdita significativa);

✓ L’attività: L’esecuzione di un compito o di un’azione da parte di un


individuo;

✓ Le limitazioni dell’attività le difficoltà che un individuo può incontrare nello


svolgimento di un’attività;
✓ La partecipazione il coinvolgimento nelle situazioni di vita;

✓ Le restrizioni della partecipazione: I problemi che un individuo può avere


nel tipo o nel grado di coinvolgimento nelle situazioni di vita;

✓ I fattori ambientali: gli atteggiamenti, l’ambiente fisico e sociale in cui le


persone vivono e conducono la propria esistenza.

L’ICF ha un’applicazione universale: riguarda tutte le persone, non solo quelle


con disabilità, poiché prende in considerazione il funzionamento umano e le
sue restrizioni. La classificazione si riferisce a tutti gli aspetti della salute
dell’uomo, ma non comprende situazioni di limitazione collegate
esclusivamente a cause diverse, quali fattori socio-economici, razza, sesso,
religione o altro.

2.2 Il disturbo dello spettro dell’autismo

Una delle più gravi manifestazioni che inficiano il bambino nelle sue capacità
di comunicare e instaurare relazioni con il mondo esterno viene connotato con
la terminologia di “Disturbo dello spettro dell’autismo”. Questa patologia, da
sempre, ha suscitato interesse tra gli studiosi, il che ha comportato la presenza
di molte definizioni e interpretazioni. Fu Kanner (1943) a introdurre questo
termine e a dare una prima descrizione di questa sindrome, caratterizzata da
uno stato d’isolamento psicosociale. Inizialmente, questo disturbo è stato visto
come un ritiro volontario in se stessi e l’assenza del linguaggio era interpretata
come un rifiuto dell’individuo. Altri autori, invece, attribuivano la
responsabilità di tale fenomeno all’inadeguatezza delle cure materne, dette
“madri frigorifero”. Ancora oggi permangono i dubbi sulla natura e sulle cause
del disturbo dello spettro dell’autismo.
2.2.1 La diagnosi

Volkmar, Paul, Klin e Cohen, (2005) sostengono che la diagnosi del disturbo
dello spettro dell’autismo riscontra due principali problemi: non esiste un test a
carattere medico e neppure un assetto genetico o un agente patogeno che
portino in modo univoco e definitivo a effettuare una diagnosi di disturbo dello
spettro dell’autismo; sotto un’unica etichetta sono compresi individui
unificabili dal fatto che, dalla primissima infanzia, in rapporto alle abilità
intellettive, hanno avuto maggiori menomazioni nel capire ed esprimere
sentimenti, e nell’inserirsi in modo reciproco negli scambi sociali.

Tutti gli autori concordano nel riconoscere la presenza del disordine autistico
indipendentemente del livello socioculturale. Per quanto riguarda il QI, esso
risulta essere al di sotto della norma. Freeman (1997) ha riassunto in modo
efficace gli assunti su cui si basa l’attuale definizione del disturbo dello spettro
dell’autismo:

✓ È una sindrome clinica, cioè definita su base comportamentale, poiché non è


stato ancora identificato un elemento oggettivo che accomuni tutti i casi dal
punto di vista biomedico;

✓ È un disturbo a spettro, che presuppone cioè un continuum di sintomi


combinati in modo diverso fra loro e con differenti livelli di gravità;

✓ È una diagnosi in evoluzione, perché l’espressione dei sintomi varia a


seconda dell’età e del livello di sviluppo dell’individuo;

✓ È una diagnosi retrospettiva, perché richiede un’attenta ricostruzione dello


sviluppo dell’individuo, dato che età d’insorgenza e manifestazioni variano da
individuo a individuo;

✓ È un disturbo ubiquitario visto che è diffuso in tutto il mondo, in tutte le


razze e in tutti i tipi di famiglie;
✓ È in associazione con altre sindromi.

L’OMS (2007), con l’ICD 10, individua una serie di criteri diagnostici per
l’disturbo dello spettro dell’autismo. Tale disturbo è definito come sviluppo
anormale, che avviene in un’età inferiore ai 3 anni, in una delle seguenti aree:

✓ Linguaggio recettivo o espressivo nella comunicazione sociali;

✓ Sviluppo di relazioni sociali privilegiate o d’interazioni sociali reciproche;

✓ Gioco funzionale o simbolico.

Inoltre, devono essere presenti almeno 6 sintomi delle seguenti categorie:

✓ Anomalie di carattere qualitativo nelle interazioni sociali reciproche


inadeguatezza nell’uso dello sguardo reciproco, espressione facciale, della
gestualità nell’interazione sociale; fallimento nello sviluppo d’interazioni che
implichino condivisione d’interessi, di attività e di emozioni con i propri pari;
assenza di reciprocità socio-affettiva che appare dal blocco o dall’anormalità
delle risposte alle altrui emozioni; assenza di ricerca spontanea della
condivisione delle attività ricreative, interessi o risultati con altre persone.

✓ Anomalie di carattere qualitativo nella comunicazione ritardo o assenza del


linguaggio che non si accompagna a tentativi di compensazione con la
gestualità; fallimento nell’iniziare o sostenere una conversazione; uso del
linguaggio stereotipato e ripetitivo; assenza del gioco sociale imitativo.

✓ Insieme limitato, ripetitivo e stereotipato di comportamenti, interessi e


attività preoccupazione esclusiva per uno o più interessi stereotipati e ristretti
che risultano anormali in contenuto o focalizzazione; aderenza a rituali e
routine; manierismi motori stereotipati, che interessano mani (batterle), dita
(torsione) e tutto il corpo; attenzione per parti di oggetto o per elementi non
funzionali dei materiali di gioco (odore, rumore, vibrazione). Gillberg
suddivide lo “spettro autistico” in 4 categorie:
1. Disturbo dello spettro dell’autismo infantile, cioè la condizione clinica che
presenta tutti i sintomi previsti come criteri diagnostici;

2. Condizioni quasi-autistiche, cioè casi che, a parte alcuni tratti non


caratteristici, mostrano quasi tutti i sintomi tipici del disturbo dello spettro
dell’autismo;

3. Sindrome di Asperger, che s’identifica con soggetto autistico ad alto


funzionamento;

4. Presenza di tratti autistici, in quei soggetti che non soddisfano


completamente i criteri diagnostici per essere definiti autistici.

2.2.2 Lo sviluppo nel bambino

Il disturbo dello spettro dell’autismo si configura come una disabilità


permanente con esordio nei primi tre anni di vita del bambino e presenta una
eziologia ignota. In ambito scientifico esiste, tuttavia, un accordo sulla natura
organica su base genetica dell’autismo che, unitamente ai fattori ambientali ed
esperienziali, interagisce nello sviluppo neurobiologico del soggetto,
realizzando una diversa espressività del disturbo che si modifica nel
tempo. Nell’evoluzione del disturbo, l’aspetto sociale risulta essere quello
maggiormente compromesso. Tustin (1980) ritiene che i bambini affetti da tale
disturbo, seppur piccolissimi, amino lo stare soli per ore: secondo questa
prospettiva, dunque, i problemi si manifesterebbero già a partire dalle prime
forme d’interazione, cioè quella madre/ bambino. Da ricerche
sull’attaccamento, emerge come i bambini affetti da disturbo dello spettro
dell’autismo non mostrino preferenza per la persona che li accudisce rispetto a
una persona estranea. Bruner e Feldman parlano di un disturbo affettivo
primario che interessa la comprensione intuitiva e sintonica che il lattante ha
dei sentimenti materni. Hobson sottolinea come l’incapacità di contatto
intersoggettivo, intesa come mancata condivisione da parte dei bambini
autistici di esperienze emotive e cognitive, impedisce loro di conoscere le
persone e i loro stati psicologici. I problemi relazionali riguardano l’intera vita
del soggetto autistico. I disturbi di socializzazione sono globali e investono
sfere quali la capacità di fare amicizia e di cercare confronto con le persone
familiari. Le carenze dello sviluppo comunicativo e linguistico appaiono come
una caratteristica centrale nella definizione di disturbo dello spettro
dell’autismo. Già a livello preverbale si verifica una difficoltà nell’uso della
gestualità convenzionale nei rapporti interpersonali, legata secondo alcuni
autori a carenze nelle capacità imitative. Inoltre, diverse ricerche sottolineano
che i bambini autistici hanno carenze nei comportamenti di attenzione
condivisa, soprattutto nell’uso di gesti per indicare o condividere l’esistenza
delle caratteristiche di un oggetto. Il linguaggio verbale è completamente
assente nei casi più gravi. Quando si presenta, spesso con ritardo, è
caratterizzato da alcune peculiarità:

✓ Ecolalia cioè il bambino tende a ripetere, in modo inadeguato agli scopi


comunicativi, le parole proprie e altrui;

✓ L’uso stereotipato di alcune espressioni verbali;

✓ L’uso errato di pronomi, come per esempio l’inversione del pronome “io”
con il pronome “tu”.

Anche quando si rispettano le regole conversazionali, i soggetti autistici non


immettono nel dialogo alcuna informazione nuova. Questo accade perché i
soggetti autistici, secondo Bruner (1993), non sanno tradurre in forma narrata
le proprie esperienze. Gli interlocutori hanno così la sensazione di non stabilire
un legame, un vero contatto con l’individuo, nonostante egli abbia un
linguaggio abbastanza fluente. Questo disagio degli interlocutori ha importanti
conseguenze nella vita sociale e rappresenta una spiegazione supplementare
alla difficoltà di stabilire legami di amicizia. Lo sviluppo cognitivo è
estremamente variabile, soprattutto in relazione alle differenze di livello
intellettivo dei soggetti. Non è facile fornire un’interpretazione univoca sulla
natura e sulla reale entità dei deficit cognitivi evidenziabili attraverso una
valutazione psicometrica. Philippe et al. (1999) sottolineano come le carenze
nella reciprocità sociale sono spesso alla radice di un incompleto sviluppo delle
capacità mentali. Recentemente la psicologia cognitiva ha cercato di capire il
meccanismo mentale di tali soggetti. Diversi autori sono giunti alla conclusione
che l’assenza o lo sviluppo anomalo del modulo della teoria della mente
permette di spiegare i deficit nelle aree della socializzazione, della
comunicazione e dell’immaginazione.

2.2.3 Approccio psicoanalitico al disturbo dello spettro dell’autismo

Nella tradizione psicoanalitica, il disturbo dello spettro dell’autismo è stato


inserito tra le psicosi infantili. Vi sono due forme tipicamente evolutive:

✓ La psicosi simbiotica;

✓ L’disturbo dello spettro dell’autismo infantile. Dal punto di vista clinico,


psicosi simbiotica e disturbo dello spettro dell’autismo sono caratterizzati da
quadri sintomatologici solo in parte simili.

Vi sono alcuni tratti peculiari che distinguono l’disturbo dello spettro


dell’autismo da altre manifestazioni patologiche:

✓ Incapacità di relazione con gli altri;

✓ Uso peculiare del linguaggio;

✓ Eccessivo desiderio di mantenere invariate le situazioni;

✓ Limitazione dell’attività spontanea.

La studiosa Mahler (1958) ritiene che il disturbo dello spettro dell’autismo e


psicosi possano essere legate a problematiche precoci del rapporto
madre/bambino, dovute alla freddezza emotiva delle madri. Kanner (1943),
rifacendosi all’autrice, conia il termine “madri frigorifero”. L’autrice Tustin
(1980), invece, sostiene che non si possa affermare che tutti i bambini autistici
sono stati rifiutati, così come non tutti i bambini che vivono esperienze di
rifiuto diventano autistici. L’autrice, inoltre, sottolinea come i casi di
depressione post-parto non siano solo una peculiarità della madre, ma anche
dei bambini. In tal caso una reazione plausibile potrebbe essere quella di
chiudersi in un proprio mondo al fine di difendersi da quel “buco nero”
derivato dalla sensazione di aver perduto, con il distacco dalla madre, una parte
vitale del proprio corpo. È da qui che partono i sintomi tipici del disturbo dello
spettro dell’autismo: gli oggetti, per esempio, non sono usati per il loro
significato funzionale, ma sono visti come prolungamenti del corpo. Il bambino
non impara a giocare, perché gli oggetti sono parte di sé, non possiedono
quello stato di differenziazione necessario per rappresentare qualcosa a parte.
La studiosa Tustin (1980) afferma quindi che il bambino, dopo la nascita, a
seguito di una reazione catastrofica alla consapevolezza di separazione dalla
madre, subisce un blocco dei normali processi di sviluppo, oppure un
innaturale grado di fusione con la madre. Avvertire, infatti, il proprio corpo
come separato da quello della madre è l’inizio dei processi di individuazione.
Un blocco a questo processo, porta a due reazioni da parte del bambino:

✓ Encapsulated children, in cui il bambino si chiude in sé. È il caso dei


bambini autistici, che hanno un blocco quasi totale dello sviluppo psicologico,
escludendo il mondo dal proprio campo di attenzione;

✓ Confusion entangled, in cui il bambino si crea l’illusione di essere avvolto in


un corpo diverso dal proprio. Si tratta di bambini psicotici, che mostrano
un’identificazione simbiotica, adesiva con la madre, con uno sviluppo
psicologico frammentato, ma non inesistente come nel caso del disturbo dello
spettro dell’autismo. La studiosa Mahler (1958) al contrario non attribuisce la
causa a una consapevolezza catastrofica. L’autrice sostiene che tutti i bambini
vivono una fase autistica fisiologica, in cui il bambino non conosce né la
propria individualità né quella della madre: è dal 3° mese sino ai 3 anni che
viene posto in atto il processo di individuazione. Il verificarsi di blocchi nello
sviluppo di tale processo sfocia nel disturbo dello spettro dell’autismo, quando
tali blocchi sono molto precoci; mentre sfocia in psicosi infantili, quando
avvengono in una fase successiva di sviluppo. Quindi il disturbo dello spettro
dell’autismo non è altro che una fissazione alla fase più primitiva della vita
extrauterina, di completa indifferenziazione tra sé e altro, in cui la madre non
sembra esistere.

2.2.4 Le basi biologiche del disturbo dello spettro dell’autismo

Le interpretazioni recenti attribuiscono un ruolo decisivo, nella genesi del


disturbo dello spettro dell’autismo, ai fattori neurofisiologici e genetici. Ciò
gradualmente ha sostituito le iniziali ipotesi psicodinamiche e ambientali. Negli
anni ’60 e ’70 furono importanti in tal senso le interpretazioni organicistiche di
Rimland (1964) e Delacato (1974). Rimland avanzò l’ipotesi di un danno alla
formazione reticolare del tronco encefalico come possibile causa del disturbo
dello spettro dell’autismo. Delacato (1974) ipotizzò, invece, una lesione
cerebrale alla base di gravi disfunzioni percettive: a causa dei sistemi sensoriali
distorti, gli individui affetti da disturbo dello spettro dell’autismo dovrebbero
fronteggiare un mondo caotico e i vari comportamenti anomali
rappresenterebbero un tentativo di normalizzare le vie sensoriali deficitarie. A
partire degli anni ’80, aumentarono le teorie che ponevano una base biologica
nel disordine del disturbo dello spettro dell’autismo, attribuendolo a disturbi
neurologici che danneggiano il funzionamento cerebrale. Il fiorire di tali ipotesi
organiciste ha creato profondi cambiamenti negli operatori che lavorano con i
soggetti autistici e con le loro famiglie: la famiglia non è più ritenuta diretta
responsabile dei problemi del figlio e tale atteggiamento è sicuramente positivo
ai fini di un più proficuo rapporto di collaborazione. Bisogna, però, precisare
che, allo stato attuale, non esiste un singolo danno organico cui la sindrome possa
essere attribuita con certezza e diverse sono le ipotesi: dal ruolo dei
neurotrasmettitori, alle anomalie del sistema nervoso, a fenomeni immunitari.
Anche l’Autism Society of America (Langworthy-Lam, Aman & Van
Bourgondien, 2002) ritiene che il disturbo dello spettro dell’autismo abbia base
biologica e lo descrive come: «una patologia che compare nei primi tre anni di
vita e che ostacola lo sviluppo del soggetto nel corso della vita. Risulta da un
disordine neurologico che danneggia il funzionamento cerebrale. Esso si
manifesta in circa 15 su 10.000 nascite ed è 4 volte più frequente nei maschi
rispetto alle femmine; è presente in tutto il mondo e in famiglie di qualsiasi etnia,
razza e società». Il primo studioso a trattare del disturbo dello spettro
dell’autismo fu lo psichiatra austriaco, naturalizzato statunitense, Leo Kanner
(1943), che lo definì come “incapacità di interagire con gli altri in modo
normale, un isolamento autistico che sembra tagliargli fuori da tutto quello che
succede attorno”. Il disturbo dello spettro dell’autismo, altresì conosciuto come
Sindrome di Kanner (1943), è un disturbo neuropsichiatrico che pervade le aree
delle funzioni cerebrali; la persona affetta da tale patologia esibisce un
comportamento tipico caratterizzato da una marcata diminuzione
dell'interazione socio-relazionale e della comunicazione con gli altri ed un
parallelo riversarsi nella sfera interiore.

Ovviamente da allora sono stati riscontrati dei progressi: in particolar modo, nel
riconoscimento delle varie forme e gravità del disturbo dello spettro
dell’autismo, oltre che alle variabili che le accomunano; è raro, infatti, incontrare
due bambini autistici con somiglianza tra l’un l'altro. Le differenze non si
evidenziano solo in ambito socio-comportamentale; diverse ricerche hanno
messo in luce differenze sostanziali anche da un punto di vista biologico: in
alcuni soggetti, infatti, sono stati riscontrati disturbi nel sonno e disturbi
gastrointestinali, in altri disturbi del sonno associati a selettività alimentare; in
altri ancora differenze proporzionali in strutture nervose come l’amigdala e
l’ippocampo, rispettivamente preposti alla gestione delle emo zioni e alla
fissazione della memoria. Come visto, il disturbo dello spettro dell’autismo, non
è un disturbo raro e può essere considerato una sindrome comportamentale
connessa ad un’architettura anomala del cervello derivante da una complessa
interazione geni-ambiente: tutto e nulla. Il problema principale è che le cause di
questo disturbo non sono ancora note: certo, la natura del disturbo coinvolge i
complessi rapporti tra mente e cervello, ma nel corso degli anni non è stato
ancora possibile seguire il modello sequenziale eziopatogenetico comunemente
adottato nelle discipline mediche, quel modello cioè che mette in relazione
eziologia, anatomia patologica, patogenesi e sintomatologia. L’evidenza
scientifica, comunque, identifica delle teorie eziopatogenetiche che pongono in
evidenza:

• cause genetiche: è ormai noto che una piccola percentuale dei disturbi dello
spettro dell’autismo è associata a sindromi genetiche note (solo il 10%), come
l’X fragile, la sclerosi tuberosa, la neurofibromatosi, la mucopolisaccaridosi,
un’altra piccola percentuale (7-10%) è associata a mutazioni genetiche rare;

• cause ambientali: con fattori come organofosfati, idrocarburi policiclici-


aromatici, metalli pesanti che sono implicati nell’disturbo dello spettro
dell’autismo. La realtà è che ad oggi purtroppo non è dato sapere con certezza le
cause responsabili del disturbo dello spettro dell’autismo, anche se nel corso
degli anni sono stati proposti vari modelli interpretativi, varie teorie che,
andando oltre la semplice considerazione biologica, hanno cercato di spiegare
da un punto di vista comportamentale e relazionale l’insorgenza di questo
disturbo. Una delle prime teorie ad essere proposte fu la TEORIA DELLA
MENTE, ossia la capacità di riflettere sui desideri, sulle credenze e sulle
emozioni, proprie ed altrui e di comprendere il comportamento degli altri in
rapporto non solo a quello che ciascuno di noi sente, a cui anela o conosce, ma
anche in rapporto a quello che ciascuno di noi pensa che l’altro senta, desideri o
conosca. Si tratta di una struttura cognitiva che matura progressivamente nel
tempo per concludere il ciclo di realizzazione intorno ai 4 anni. Un altro modello
interpretativo cerca di capire cosa ci sia oltre la Teoria della Mente, proposta in
un articolo di Baron-Cohen (1985): è la Teoria della Coerenza Centrale Debole,
proposta da Frith e Happè (1994), secondo cui la coerenza centrale va intesa
come la capacità di sintetizzare in un tutto coerente, o se si preferisce di
sistematizzare in un sistema di conoscenza, le molteplici esperienze parcellari
che investono i nostri sensi. Una debolezza in questa capacità porta il bambino
autistico a rimanere ancorato a dati esponenziali parcellizzati, con incapacità di
cogliere il significato dello stimolo nel suo complesso. Un’altra teoria proposta,
sempre a metà anni Novanta, è quella del DEFICIT DELLE FUNZIONI
ESECUTIVE. Col termine funzioni esecutive vengono indicate tutta una serie di
abilità che risultano dominanti nell’organizzazione e nella pian ificazione dei
comportamenti di risoluzione dei problemi. Tali abilità sono rappresentate da:
- la capacità di attivare e di mantenere attiva, a livello mentale, un’area di lavoro
sulla quale disporre tutti gli elementi pertinenti al compito in esame;

- la capacità di formulare mentalmente un piano di azione;

- la capacità di non rimanere rigidamente ancorati, nella formulazione della


risposta, ai dati percettivi che provengono dal contesto;

- la capacità di inibire risposte “impulsive”;

- la capacità di essere attenti alle informazioni di ritorno, per correggere in base


ad esse il piano inizialmente formulato;

- la capacità, infine, di spostare in modo flessibile l’attenzione sui vari aspetti del
contesto.

Molti dei comportamenti autistici sarebbero, dunque, l’espressione di deficit di


tali capacità. Anche tale modello, così come quello della Coerenza Centrale,
individua nell’Disturbo dello spettro dell’autismo un deficit cognitivo di natura
“generale” e non limitato all’elaborazione degli stimoli sociali (come ipotizzato,
viceversa, dal Deficit della Teoria della Mente). Infine, la TEORIA SOCIO-
AFFETTIVA si basa sul presupposto che l’essere umano, come afferma il
professor Peter Hobson dell’University College London, nasce con una
predisposizione innata per interagire con l’altro. Si tratta di un bisogno primario
non inferito dalle esigenze né condizionato o dettato da altri tipi di bisogni: è un
qualcosa che appartiene al corredo genetico del bambino, come patrimonio della
specie. Secondo questa teoria, dunque, nel disturbo dello spettro dell’autismo
esisterebbe un’innata incapacità, biologicamente determinata, di interagire
emozionalmente con l’altro. Tale condizione porterebbe, seguendo una cascata
di eventi, all’incapacità di imparare a riconoscere gli stati mentali degli altri, al
deficit di linguaggio, al deficit della cognizione sociale.
Alla luce di quanto esposto finora in relazione ai disturbi dello spettro
dell’autismo, è facile capire come una classificazione di questa condizione sia
estremamente complicata. Per semplicità ci si riferirà alla nuova classificazione
introdotta nel DSM-5 in cui include, sotto la definizione Disturbi dello Spettro
dell’autismo, i 4 disturbi citati in precedenza, ossia:
- il disturbo autistico;
- il disturbo di Asperger;
-il disturbo disintegrativo della fanciullezza;
- il disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato.
A differenza del DSM-4, in questo nuovo manuale è stata esclusa dai disturbi
dello spettro dell’autismo la sindrome di Rett, che può condividere solo alcuni
sintomi con il disturbo dello spettro dell’autismo, ma non tutti. Sempre nel DSM-
5 vengono classificati 3 livelli di gravità:
• Livello 3: Richiede supporto molto sostanziale.
- Comunicazione sociale: i gravi deficit nella comunicazione sociale, verbale e
non verbale, causano una grave difficoltà nel funzionamento; iniziativa molto
limitata nell’interazione sociale e minima risposta all’iniziativa altrui.
- Interessi ristretti e comportamenti ripetitivi: preoccupazioni, rituali fissi e/o
comportamenti ripetitivi che interferiscono marcatamente con il funzionamento
in tutte le sfere. Stress marcato quando i rituali o le routine sono interrotti; è
molto difficile distogliere il soggetto dal suo focus di interesse, e se ciò avviene
egli ritorna rapidamente ad esso.

• Livello 2: Richiede supporto sostanziale. - Comunicazione sociale: deficit


marcati nella comunicazione sociale, verbale e non verbale, l’impedimento
sociale appare evidente anche quando è presente supporto; iniziativa limitata
nell’interazione sociale e ridotta o anormale risposta all’iniziativa degli altri. -
Interessi ristretti e comportamenti ripetitivi: preoccupazioni, rituali fissi e/o
comportamenti ripetitivi appaiono abbastanza di frequente da essere evidenti per
l’osservatore casuale e interferiscono con il funzionamento in diversi contesti.
Stress o frustrazione appaiono quando sono interrotti ed è difficile ridirigervi
l’attenzione.

• Livello 1: Richiede supporto


- Comunicazione sociale: senza supporto, i deficit nella comunicazione sociale
causano impedimenti che possono essere notati. Il soggetto ha difficoltà a
iniziare le interazioni sociali e mostra chiari esempi di atipicità o insuccesso nella
risposta alle iniziative altrui. Può sembrare che abbia un ridotto interesse
nell’interazione sociale.
- Interessi ristretti e comportamenti ripetitivi: rituali e comportamenti ripetitivi
causano un’interferenza significativa in uno o più contesti. Resiste ai tentativi da
parte degli altri di interromperli.

2.3 Decorso e trattamento

Decorso

A causa della diversità delle manifestazioni del disturbo, è difficile delineare


un quadro che descriva in modo univoco il decorso del disturbo dello spettro
dell’autismo, in quanto esso varia da soggetto a soggetto. L’elemento che può
essere considerato come predittore del decorso del disturbo dello spettro
dell’autismo è, sicuramente, il livello intellettivo globale dato dalle prestazioni
verbali e non verbali. Più è alto il livello intellettivo più favorevole è il
decorso: infatti, buona parte dei soggetti autistici che manifestano
un’intelligenza nei limiti nella norma conducono una vita adulta normale, tanto
che alcuni di loro completano anche gli studi superiori. All’estremo opposto i
bambini che manifestano ritardo mentale profondo evolvono inevitabilmente in
quadri caratterizzati da scarsa capacità di prendersi cura di se stessi,
vocabolario limitato o assente e comportamenti autolesivi. Nonostante la reale
possibilità di decorsi favorevoli e inserimento sociale, molti soggetti autistici
da adulti manifestano forti difficoltà comunicative e di socializzazione, che
precludono loro la possibilità di intraprendere relazioni intime con gli altri
individui. In conclusione, possiamo dire che il 5% degli autistici è
autosufficiente; circa il 50% non sviluppa l’uso del linguaggio e continua a
manifestare, anche da adulti, comportamenti autolesivi e iperattività; circa il
50%-70% degli adulti autistici manifesta difficoltà tali da impedire il loro
inserimento nella società, spesso quindi vivono in comunità alloggio.

Trattamento

Non esistono terapie, né farmacologiche né di altro tipo, che con certezza


possano rendere reversibile questo disturbo. Il trattamento psicoterapeutico non
è facilmente applicabile, in quanto questi soggetti hanno forti limitazioni nelle
attività ludiche che spesso sono alla base delle psicoterapie infantili. È
comunque necessario, qualora si intraprendesse un percorso psicoterapeutico,
da parte del terapeuta un atteggiamento di “totale disponibilità”, di attenzione,
di ascolto costante e un intervento intensivo e prolungato. Anche il setting è
molto importante: deve essere costante e semplice, al fine di dare fiducia al
bambino. Fondamentale è anche il coinvolgimento dei genitori, mirato a fornire
loro un sostegno psicologico e a ridare loro fiducia nelle proprie capacità
genitoriali. Inoltre, i genitori devono essere protagonisti (col bambino)
dell’intervento, affinché la terapia possa continuare a casa tra una seduta e
l’altra. Efficaci risultano anche le tecniche di modificazione del
comportamento, con rinforzi:

✓ Positivi, come il modellamento che consiste nel fornire graduali rinforzi via
via che il bambino si avvicina al comportamento desiderato; oppure la
ricompensa, con la quale si ricompensano i comportamenti incompatibili con
attività di cui se ne desidera l’estinzione (premiare un bambino per tenere con
entrambe le mani il giocattolo con cui sta giocando, il che non consente di
toccarsi contemporaneamente i capelli);

✓ Negativi, come la punizione. Negli ultimi anni si è poi diffuso, in America


prima e in Europa poi, il metodo della comunicazione facilitata, un sostegno
fisico ed emozionale. Si tratta di un metodo comunicativo alternativo: il
bambino potrà digitare su una tastiera o una tavola alfabetica segni e simboli.
In questo modo non si propone un intervento riabilitativo ma un intervento che
rientra nella comunicazione aumentativa, ossia un tipo di comunicazione non
verbale usata da persone non audiolese. Lo scopo è quello di consentire ad
autistici non parlanti un accesso alla comunicazione. Questo perché si pensa
che, alla base del disturbo, ci sia anche una forma di aprassia, che impedirebbe
l’esecuzione volontaria di movimenti. Facilitando l’esecuzione di questi
movimenti si spingerebbe i soggetti autistici a superare i limiti imposti
dall’aprassia e iniziare una vita, seppur limitata, da esseri comunicanti. Anche
se alcune critiche hanno portato ad attribuire la riuscita della comunicazione al
facilitatore e non al facilitato (soggetto autistico), si sono notate forme di
comunicazione indipendenti dal facilitatore a dispetto di tali critiche, nonché
una sorta di indipendenza comunicativa della popolazione facilitata.

Capitolo terzo. L’inclusione per tutti.

3.1 Inserimento, integrazione, inclusione

Nel corso degli ultimi decenni, come ampiamente descritto in questo elaborato,
la sensibilità rivolta al fenomeno della disabilità è notevolmente cambiata e con
essa è cambiata la terminologia. Fu negli anni Sessanta che, con la rimodulazione
delle normative, i bambini con disabilità iniziarono a far parte delle classi
scolastiche comuni: fino ad allora, infatti, erano attesi unicamente nelle classi e
negli istituti speciali. Dunque, la necessità dell’epoca era proprio quella di
inserire i ragazzi nel nuovo ambiente classe, nuovo sia per loro, sia per tutto il
personale scolastico. Verso la metà degli anni Settanta, con lo svilupparsi della
pedagogia speciale, il termine “Integrazione” iniziò a prendere il posto del
termine inserimento: i bambini con disabilità non erano solo presenti in classe,
ma venivano totalmente accolti all’interno del lavoro didattico dei compagni.
Questo processo permise ai bambini con disabilità di progredire più facilmente
negli apprendimenti, nella comunicazione, nella socializzazione e nella
relazione. A partire da metà anni Novanta, però, ci si iniziò ad interrogare sulla
corrispondenza biunivoca del processo integrativo: anche gli alunni normotipici
dovevano impegnarsi a comprendere e adattarsi ai comportamenti dei compagni
con disabilità. Da questo preciso momento storico, sotto l’influenza della
letteratura anglosassone e sotto nuove considerazioni socio -culturali, le
terminologie relative all’inclusione occupano di diritto il posto dei termini
precedentemente usati. In una linea temporale il passaggio da esclusione ad
inclusione si può sintetizzare come segue:

ESCLUSIONE —> INSERIMENTO —> INTEGRAZIONE —>


INCLUSIONE fino agli anni ‘60 anni ‘70 anni ’80/‘90 anni 2000.

Il modello inclusivo della progettazione universale stravolge la didattica


ordinaria, che deve essere pensata fin dall’inizio “for all” e non con
adattamenti a posteriori. Non è, quindi, una didattica speciale, ma si rivolge
prima di tutto ai docenti curricolari per la creazione di contesti scolastici
maggiormente inclusivi, capaci di valorizzare i diversi stili degli studenti al
fine di realizzare stimolanti compiti di apprendimento utilizzando modalità
operativo-espressive e affettivo-motivazionali essenziali per tutti. Si enuclea la
possibilità di creare un curricolo capace di rispondere al maggior numero
possibile di bisogni educativi, necessariamente diversificati all’interno delle
eterogeneità delle classi attualmente alla ricerca di una nuova e rigenerativa
vicinanza dialogica, (Lucangeli, 2021). Promuovere la prospettiva filosofica
della Progettazione Universale di Apprendimento (UDL) significa orientare la
formazione degli insegnanti ad una progettazione significativamente funzionale
partendo dal concetto di persona nei contesti in cui è inserita, senza più
appellarsi a scoraggianti e riduttive forme di etichettamento, guardando ed
esplorando gli alunni in virtù del loro funzionamento biopsicosociale. Grazie
all’approccio dell’UDL è possibile avviare processi di cambiamento delle
agenzie scolastiche e in generale della società rendendole maggiormente
“capabilitanti”, di accogliere le innumerevoli, impegnative e complesse sfide
che tutti siamo chiamati ad affrontare nella vita (Floridi, 2014). Non è
opportuno, allora, limitarsi a proporre un’attività motoria in cui gli alunni in
condizione di disabilità o i “non bravi”, possano stare con gli altri “senza
cagionare pericoli”, quanto utilizzare l’attività motoria e lo sport come
elementi relazionali in cui lo stare con gli altri, il “contaminarsi”, riguarda
anche la cosiddetta normalità, che dalla relazione con chi è differente sente di
acquisire nuove competenze e di affinare la sua crescita. Ciò può avvenire, per
fare un esempio, in relazione allo sviluppo delle capacità socio- relazionali, di
assumere il punto di vista altrui, di superare lo stigma anche inerente alle
possibilità di apprendimento. Da una parte vengono evocate, infatti, le
competenze di cittadinanza attiva; mentre, per quanto riguarda gli aspetti più
tecnico-motori si acquisisce la capacità di problematizzare, di modificare
schemi, azioni e tattiche. Si recupera dunque la complessità della persona,
oggetto di attenzione sia della pedagogia generale che di quella speciale. Le
attività motorie e sportive integrate rivestono un importante portato
socioculturale, si collega alla creazione di comunità, alla capacità di far uscire
l’individuo dalla sua autoreferenzialità egoistica per farlo divenire persona
nella relazione con gli altri, e gli dà modo quindi di trasformarsi e di crescere
(Benetton, 2016). In tale scenario la Progettazione Universale di
Apprendimento (UDL) incoraggia gli insegnanti guardare e a lavorare da una
prospettiva diversa, prendendo in considerazione le limitazioni dell’ambiente
di apprendimento piuttosto che i limiti dello studente, che va piuttosto
valorizzato nella sua diversità.

3.1.1 L’inclusione nel sociale


Nel corso degli anni, la sensibilità nei confronti della disabilità è cambiata
considerevolmente e con essa anche le normative in merito. La legge che più di
tutte regola l’inclusione delle persone con disabilità e la Legge del 5 febbraio
1992, n° 104 (Chiappetta Cajola, 2020): la “Legge quadro per l’assistenza,
l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate” definisce, nell’art.
3, comma 1, la persona handicappata come: “Colui che presenta una minorazione
fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà
di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa tale da determinare
un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”. L’articolo 3 continua
affermando che la persona handicappata ha diritto alle prestazioni stabilite in suo
favore in relazione alla natura e alla consistenza della minorazione, alla capacità
complessiva individuale residua e alla efficacia delle terapie riabilitative.
Qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale,
correlata all'età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale
permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di
relazione, la situazione assume connotazione di gravità. Le situazioni
riconosciute di gravità determinano priorità nei programmi e negli interventi dei
servizi pubblici. La presente legge viene applicata anche agli stranieri e agli
apolidi, residenti, domiciliati o aventi stabile dimora nel territorio nazionale. Ma
è nell’articolo 8 che vengono definite le modalità attraverso le quali si realizzano
i processi di inserimento e integrazione (il concetto di inclusione arriverà pochi
anni dopo) della persona con disabilità:

in particolare, nel comma d) si afferma che tali processi devono avvenire tramite
“provvedimenti che rendano effettivi il diritto all’ “informazione e il diritto allo
studio della persona diversamente abile”; e ancora “attraverso l’istituzione o
l’adattamento di centri socio-riabilitativi ed educativi diurni, a valenza
educativa, che proseguano lo scopo di rendere possibile una vita di relazione a
persone temporaneamente o permanentemente diversamente abili, che abbiano
assolto l’obbligo scolastico”. Certo è che tutte le normative in merito
all’inclusione dei bambini con disabilità passano, ovviamente, attraverso
l’istituzione scolastica: non potrebbe essere altrimenti. La scuola è, infatti, il
luogo in cui tutti i bambini iniziano i primi processi di socializzazione ed è da
qui che bisogna partire. Tuttavia, non c’è da dimenticare le realtà
associazionistiche che sul territorio aiutano famiglie e bambini a completare
questi processi anche fuori dall’ambiente scolastico, proponendo attività
supplementari rispetto a quelle proposte nelle scuole. Un esempio è l’AIPD
ONLUS Pisa (Associazione Italiana Persone Down, sede di Pisa), che, nata nel
1988, ha l’obiettivo di: “Tutelare i diritti delle persone con Sindrome di Down,
favorirne il pieno sviluppo fisico e mentale, contribuire al loro inserimento
scolastico e sociale a tutti i livelli, sensibilizzare sulle loro reali capacità,
divulgare le conoscenze sulla Sindrome”.

3.1.2 L’inclusione nella scuola


La Legge 104/92 (Chiappetta Cajola, 2019) , oltre a definire l’inserimento e
l’integrazione in ambito sociale, specifica, nell’articolo 12, il diritto
all’educazione e all’istruzione garantendo, in primo luogo, al bambino con
disabilità da 0 a 3 anni l’inserimento negli asili nido; successivamente garantisce
il diritto all’educazione e all’istruzione della persona handicappata nelle sezioni
di scuola materna, nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine
e grado e nelle istituzioni universitarie. Definisce inoltre, nei commi 3 e 4 che:
“L'integrazione scolastica ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della
persona handicappata nell'apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni
e nella socializzazione. L'esercizio del diritto all'educazione e all'istruzione non
può essere impedito da difficoltà di apprendimento né da altre difficoltà derivanti
dalle disabilità connesse all’handicap". Le indicazioni operative che questa
Legge fornisce passano attraverso la definizione di un Piano Educativo
Individualizzato. In secondo luogo, questa normativa, nei suoi articoli 13 e 14,
definisce l’integrazione scolastica (art. 13) e le modalità di attuazione
dell’integrazione (art. 14). In particolare, per integrazione, intende la
programmazione coordinata dei servizi scolastici con quelli sanitari, socio-
assistenziali, ricreativi, culturali, sportivi e con altre attività sul territorio gestite
da enti pubblici o privati; la dotazione alle scuole e alle università di attrezzature
tecniche e di sussidi didattici nonché di ogni altra forma di ausilio tecnico, ferma
restando la dotazione individuale di ausili e presìdi funzionali all'effettivo
esercizio del diritto allo studio, anche mediante convenzioni con centri
specializzati, aventi funzione di consulenza pedagogica, di produzione e
adattamento di specifico materiale didattico. Per adempiere a queste finalità,
viene inoltre definito l'obbligo per gli enti locali di fornire l'assistenza per
l'autonomia e la comunicazione personale degli alunni con handicap fisici o
sensoriali, sono garantite attività di sostegno mediante l'assegnazione di docenti
specializzati. Tra le modalità di attuazione dell’integrazione “il Ministro della
Pubblica Istruzione provvede alla formazione e all'aggiornamento del personale
docente per l'acquisizione di conoscenze in materia di integrazione scolastica
degli studenti handicappati” (Castrica, & Marsella, 2005). In realtà, la Legge
104/92 non è l’unica normativa vigente in ambito scolastico: una Direttiva
Ministeriale del 27 dicembre 2012 (“Strumenti di intervento per alunni con
Bisogni Educativi Speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione
scolastica”), come visto, identifica quelli che sono i BES e:“delinea e precisa la
strategia inclusiva della scuola italiana al fine di realizzare appieno il diritto
all’apprendimento per tutti gli alunni e gli studenti in situazione di difficoltà”,
etichettando tali studenti come: “coloro che per motivi fisici, biologici,
fisiologici o anche psicologici e sociali, rispetto ai quali è necessario che le
scuole offrano adeguata e personalizzata risposta”. Insomma, queste leggi hanno
rappresentato, e rappresentano tuttora, un potente mezzo per l’inserimento dei
bambini con disabilità nel contesto scolastico perché, come nell’esempio di
Valeria, migliorano le possibilità di apprendimento e di socializzazione del
bambino incidendo positivamente sul suo stile di vita. Tali normative si
estrinsecano nella pratica scolastica e sociale attraverso il Piano Educativo
Individualizzato (PEI), primo strumento che viene messo a disposizione da parte
della Legge 104/92 : esso è un progetto operativo che coinvolge tutte le
istituzioni interessate, dal personale della scuola, agli operatori del sistema
sanitario e sociale, per finire ai famigliari. Il PEI si sviluppa attraverso la
progettazione educativa e didattica personalizzata riguardante la dimensione
dell’apprendimento correlata agli aspetti educativi e sociali. Sembrano parole
complicate, ma, in realtà, definire un PEI è più semplice di quanto si pensi. Il
PEI contiene:

- le finalità dell’approccio educativo e sociale: ossia quelli che sono gli obiettivi
da ottenere durante l’anno scolastico (io aggiungo anche anno sportivo);

- gli itinerari di lavoro: come il lavoro verrà svolto nel corso del tempo;

- la tecnologia: cioè tutti quei supporti che possono essere utilizzati in modo
costruttivo per raggiungere gli obiettivi;
- le metodologie, le tecniche e le verifiche: come ad esempio l’utilizzo della
Token Economy;

- le modalità di coinvolgimento della famiglia: in che misura la famiglia deve


partecipare al progetto, perché la famiglia ha l’obbligo di partecipare attivamente
al progetto.

Il PEI si definisce, solitamente, entro il secondo mese dell’anno scolastico, le


verifiche si effettuano con regolarità mediamente ogni trimestre, ma per i casi di
particolare difficoltà si possono anche utilizzare verifiche straordinarie. Lo
strumento proposto nella Legge 104/92 (art. 15 comma 2) per delineare il PEI o,
usando una terminologia più recente, il PAI (che è parte integrante del PTOF),
ossia il Piano Annuale per l’Inclusione, è il Gruppo di Lavoro sull’Handicap
d’Istituto (GLHI), che si estrinseca appunto a livello di istituto e che, con le
nuove direttive ministeriali in relazione ai bisogni educativi speciali, è diventato
Gruppo di Lavoro per l’Inclusione (GLI), che, invece, si manifesta all’interno
del consiglio di classe.

PARTE SECONDA

Relazione di tirocinio
Presentazione del progetto

Ho svolto il tirocinio presso la Scuola dell’Infanzia “San Paolo” dell’Istituto


Comprensivo 9 di Modena, nella sezione dei tre anni. Il bambino da me osservato
durante le ore di tirocinio diretto che, per rispetto della legge sulla privacy
chiamerò F., è inserito in una sezione composta da ventitré alunni: quindici
maschi e otto femmine. F. presenta una diagnosi di Disturbo dello spettro
dell’autismo e, nella classe, sono altresì presenti cinque alunni con svantaggio
linguistico e culturale. Nel mio elaborato ho voluto coinvolgere i bambini nel
potenziamento dell’acquisizione dello schema corporeo. È importante chiarire
fin da subito che lo schema corporeo non è la stessa cosa dell’immagine
corporea. Mortari (2009) evidenzia che la ricerca effettuata con i bambini
avviene per mezzo dell’ascolto e della partecipazione diretta di questi ultimi, in
maniera tale che l’adulto abbia la possibilità di aver accesso al loro punto di vista
personale e scoprire il loro mondo. Affinché questo accada è fondamentale che
l’indagine che si intende effettuare sia contestualizzata nella realtà del bambino,
permettendogli di scoprire e agire in un ambiente di benessere. Inoltre, è anche
importante non predefinire l’interpretazione del metodo di ricerca, il quale
dovrebbe adattarsi al contesto (Mortari, 2009). È quindi per i motivi sopracitati
che la mia ricerca è in parte di tipo qualitativo e ha l’obiettivo di favorire la
propriocezione del corpo, con il conseguente arricchimento lessicale in funzione
di una maggior conoscenza del proprio schema corporeo. Prendendo ispirazione
dagli interessi e punti di forza dell’allievo F. a cui piace disegnare ed essere
coinvolto nelle attività svolte in cooperazione e collaborazione con i suoi
compagni, ho cercato di proporre attività che potessero indebolire le sue criticità:
che andassero, quindi, a rafforzare l’aderenza alla realtà, operando in continuità
con le attività proposte nella relazione finale di tirocinio.

ANALISI DEL CONTESTO E DEI BISOGNI DEL TERRITORIO

Durante l’anno scolastico 2021/22, ho svolto il tirocinio diretto in una scuola


dell’Infanzia del comune di Modena (MO).

Numero sezioni: 3

Totale alunni: 72

La città si trova, grosso modo, al centro della provincia di cui è capoluogo,


nella Val Padana in un territorio completamente pianeggiante. Due fiumi la
fiancheggiano senza peraltro attraversarla: il Secchia e il Panaro, estendendosi
su una superficie di 183,19 km² con circa 187 360 abitanti.

Le scuole dell’Istituto Comprensivo di cui fa parte tale plesso sono posizionate


nell’area del Centro Storico della città, lungo il perimetro dei Viali che la
contornano sul tracciato delle vecchie mura. Tutti gli edifici dell'Istituto, anche
quelli caratterizzati da un'edilizia storica, sono a norma di sicurezza e non
presentano barriere architettoniche; sono altresì facilmente raggiungibili con
mezzi pubblici, anche da alunni provenienti da fuori bacino di utenza. Il
contesto socio-economico e culturale nel quale si situa l’Istituto risulta
composito ed eterogeneo; ciò determina ricchezza e diversità culturale e crea le
premesse per impostare un'efficace azione inclusiva e adottare un curricolo
verticale che tenga conto di questa molteplicità nella composizione delle classi.

Le istituzioni che collaborano con la scuola per l'inclusione, la lotta alla


dispersione scolastica, l'orientamento e l'ampliamento dell'offerta formativa
sono numerose: Multi Centro Educativo Modena, FEM - Future Education
Modena, Laboratorio aperto, Quartiere n.1, Patronato, Fondazione Cassa di
Risparmio, Società sportive, Associazioni di volontariato, CSI, Doposcuola,
etc. Un importante ruolo viene svolto dai Comitati Genitori che
collaborano attivamente per sostenere e valorizzare l'attività dei diversi plessi
dell’Istituto. L'Istituto Comprensivo accoglie circa mille studenti, suddivisi in
una scuola Secondaria di Primo grado, due scuole Primarie e due scuole
dell'Infanzia.

Le Scuole dell’Istituto collaborano e si confrontano per arricchire e definire


metodologie, strategie e intenti formativi. Dialogano con Enti e associazioni
del territorio per favorire l'inclusione, fronteggiare il fenomeno della
dispersione scolastica, promuovere un sempre più consapevole orientamento
agli studi e arricchire il percorso curriculare degli alunni. In ottemperanza alla
vigente normativa, il Curricolo d’Istituto, che individua con chiarezza i
traguardi di competenza disciplinari e trasversali per ogni ordine di scuola,
viene integrato dal Piano d'Istituto per la Didattica Digitale Integrata e dal
Curricolo di Educazione Civica. La DDI ha come obiettivo la continuità del
processo di insegnamento-apprendimento anche per gli alunni che non possano
partecipare alle attività didattiche in presenza. L’uso delle applicazioni di
Google Suite, tra cui Classroom e Meet, si è rivelato uno strumento efficace,
sia nello svolgimento della didattica, sia nel dialogo con le famiglie e continua
ad essere utilizzato nel corrente anno scolastico. Quanto alla valutazione delle
competenze, si conferma l’importanza del processo formativo nel suo insieme,
con rinnovata attenzione agli studenti diversamente abili o con bisogni specifici
di apprendimento. Si realizzano inoltre percorsi di prevenzione del disagio
scolastico, in continuità con le scuole del territorio, con l'intento di perseguire
il successo formativo di ciascun allievo e la conseguente rimozione di ogni
ostacolo, sociale ed economico, per il suo conseguimento. L'azione educativa
didattica è quella strategia consapevole che la scuola mette in gioco per
finalizzare tutte le azioni previste al successo formativo di ogni alunno. Si
concretizza nella relazione quotidiana tra chi insegna e chi impara, nelle
ponderate scelte dei docenti per il miglioramento delle condizioni di
apprendimento degli allievi. Nella quotidianità dell'aula si misurano l'efficacia
delle azioni e il buon esito delle scelte; negli interventi didattici di ogni giorno
acquistano senso la flessibilità, l'organizzazione modulare dei processi
formativi, i curricoli personalizzati, gli interventi di potenziamento e le attività
laboratoriali. Al centro dell'azione educativa c'è l'innovazione didattica, che dà
senso e valore alle trasformazioni in atto, sollecita gli insegnanti ad individuare
nuove strategie, tecniche, modelli organizzativi, modalità d'intervento,
strumentazioni utili a rendere certo l'apprendimento e per garantire ad ogni
allievo, ogni giorno e in ogni aula, il massimo sviluppo delle potenzialità
individuali per il raggiungimento del successo formativo. Si tratta, dunque, di
operare per la massima qualità formativa e per l'efficace inclusione di tutti gli
alunni. L'integrazione e l'inclusione scolastica richiedono azioni e interventi in
riferimento alla vasta area dei Bisogni Educativi Speciali (BES), che
comprende diversi disturbi e difficoltà, quali:

• disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici;

• difficoltà derivate da svantaggio sociale e culturale;

• difficoltà derivanti dalla non conoscenza della lingua veicolare


dell'insegnamento.

Per questo il Piano d'azione dell’I.C. 9 di Modena richiede una concertazione


tra competenze e risorse disponibili.

Tale Istituto Comprensivo vuole essere una scuola formativa per tutti e per
ciascuno; un ambiente sereno e stimolante in cui crescere e apprendere, per
apprestarsi a divenire individui autonomi e consapevoli di essere cittadini del
mondo. Attraverso finalità condivise e in stretto rapporto con l'azione educativa
della famiglia, si perseguono pari opportunità di successo formativo; l'azione di
tutte le componenti scolastiche è orientata a promuovere un sapere organico e
critico basato sulla conoscenza, sulla capacità di interpretazione e sull'utilizzo
consapevole dei molteplici linguaggi che caratterizzano la comunicazione.
Nello specifico si propone di:

• concorrere alla costruzione di identità libere e consapevoli;

• garantire a tutti gli allievi uguali opportunità di istruzione personalizzata;

• sviluppare la capacità di leggere criticamente la realtà e di operare scelte


consapevoli;

• ridurre la disomogeneità tra le classi e all'interno delle classi mediante una


didattica potenziata;

• progettare inclusione e benessere garantendo una scuola attenta e sensibile a


tutte le situazioni di disagio o di disabilità degli alunni;

• raccogliere la sfida di progettare eccellenze e traguardi difficili attraverso una


didattica di miglioramento dei livelli di apprendimento;

• sviluppare i saperi in relazione all'evoluzione sociale, culturale, scientifica


della realtà contemporanea.

• In particolare, l'azione educativa partecipata della scuola e della famiglia sarà


orientata a formare le persone alla cittadinanza e alla relazione interpersonale,
fondate e vissute nei sensi profondi dell'appartenenza, dell'accoglienza, del
reciproco rispetto e della solidarietà.

Analisi del contesto per realizzare l'inclusione scolastica

Il successo formativo degli alunni è lo scopo primario delle scelte didattiche e


garantirlo a tutti è l'impegno fondamentale caratterizzante le finalità
dell'Istituto. Garantire il successo formativo significa che tutti gli alunni
debbono essere messi nella condizione di realizzare la piena formazione della
loro personalità, così come sancito dall'art. 3 della Costituzione e dunque
compito della Scuola è quello di mettere ogni singolo allievo nelle condizioni
di apprendere e di sviluppare capacità e atteggiamenti che gli consentiranno di
essere parte attiva e complementare nella società. Il Gruppo di lavoro per
l'Inclusione elabora il PI, Piano dell'Inclusione, che è condiviso e adottato dal
Collegio dei Docenti. L'Istituto si avvale della professionalità di una docente
con F.S. che mantiene le comunicazioni con l'ASL, coordina gli insegnanti di
sostegno, il PEA e cura il monitoraggio dell'area e due docenti con F.S.
nell'area BES/DSA che supportano i consigli di classe/team docenti,
promuovono l'attenzione alle pratiche documentative come momento di
collaborazione scuola-famiglia e offrono consulenza ai docenti, elaborando
strategie adeguate. Per gli alunni non italofoni, l'Istituto organizza attività di
accoglienza e corsi di alfabetizzazione su più livelli; se necessario si ricorre a
mediatori culturali e linguistici.

Descrizione del progetto

Denominazione: “TUTTO SU DI ME”.

Sezione: tre anni (n. alunni 23).

Tirocinante: Linda De Clerico.

Docenti coinvolti: tutti.

Periodo di svolgimento: seconda settimana del mese di maggio (a.s.


2021/2022).

Indicazioni Nazionali 2012:

-Campo d’esperienza elettivo: “Il corpo e il movimento”

-Altri campi coinvolti: “Il sè e l’altro” e “Immagini, suoni, colori”

-Traguardo: Riconosce il proprio corpo, le sue diverse parti e le rappresenta.

-Obiettivo generale: Riconosce e disegna lo schema corporeo.

Attività didattica su:


• la realizzazione del proprio viso mediante utilizzo della pasta sale, in modo
tale da potenziare nel bambino la capacità di distinzione tra:

grande – piccolo; in alto - in basso; dentro – fuori; maggiore – minore; sopra –


sotto.

• Riproduzione grafica del corpo umano da parte dei bambini con


apprendimento della filastrocca “Come nasce un corpo”: alcuni bambini
disegnano, su fogli diversi: il tronco, altri le braccia, altri le gambe, altri le
mani, e così via.

• Assembramento delle parti del corpo realizzate dalla sezione, ripetendo la


filastrocca tutti insieme.

• La realizzazione del puzzle raffigurante la sagoma del corpo di una bambina


presa a campione. Inoltre, l’assembramento di pezzi di un puzzle è molto utile
per far acquisire all’alunno la sequenzialità logica (prima – dopo).

• Creazione di un dado a sei facce, sulle quali sono state riportate alcune parti
del corpo.

Il corpo è lo strumento con cui i bambini esplorano il mondo e con il quale


entrano in contatto con gli altri, infatti, attraverso il corpo il bambino
acquisisce consapevolezza di sé e dell’altro diverso da sé. Nell’età della scuola
dell’infanzia diventa, quindi, obbligata l’osservazione del proprio corpo con
cui il bambino gioca, manifesta emozioni, comunica e conosce. Le attività sono
orientate all’acquisizione dello schema corporeo e alla consapevolezza di ogni
singola parte del corpo. Ad ogni incontro i bambini realizzeranno una parte del
puzzle del corpo che porteranno a casa alla fine del progetto.

Articolazione del progetto didattico

FASE 1:

• I bambini faranno esperienza del proprio corpo in un primo momento


attraverso l’osservazione di ognuno allo specchio. Il bambino conquista il
mondo degli oggetti attraverso il proprio corpo, coordinando i movimenti e
utilizzandoli in termini sempre più precisi e differenziati. Il gioco, denominato
“BAMBINO ALLO SPECCHIO”, si presenta come uno strumento finalizzato
ad una corretta organizzazione del corpo, del viso in particolare, alla
conoscenza delle diverse parti e alla loro corretta denominazione. È importante
che gli esercizi da effettuare siano proposti gradualmente e che solo dopo
un’esecuzione precisa dei primi, si passi ai successivi.

• L’insegnante chiede a ciascun bambino di indicare dove si trova il suo nasino


(se sopra o sotto gli occhi, se è vicino o lontano rispetto a loro), di che colore
ha i capelli, la loro forma, dove sono localizzati gli occhi e di che colore sono.
Si propone anche il gioco “LA FACCIA”, in cui i bambini toccano il proprio
viso ascoltando e ripetendo una filastrocca (come quella posta nella fase 5) e
poi lo rappresentano su un foglio utilizzando anche uno specchio.

• Il lavoro con la pasta sale ha inizio. I bimbi sono alle prese con l’impasto
della pasta sale. Una volta mischiati gli ingredienti e ottenuto un bel panetto
soffice e malleabile, quest’ultimo è stato colorato di rosa (con le tempere). Con
l’aiuto dell’insegnante, l’impasto verrà diviso in porzioncine da distribuire a
ogni alunno, in modo da lavorarlo (MANIPOLAZIONE DI OGGETTI,
ESERCIZIO DELLA MOTRICITÀ FINE) e formare, mediante un bicchiere,
la forma circolare del viso. Poi, sarà la volta dei capelli, degli occhi, del naso e
della bocca. I bambini si cimenteranno nel realizzare pallini (occhi e naso) e
serpentelli (capelli e bocca).

FASE 2:

• Riproduzione grafica del corpo umano da parte dei bambini con


apprendimento della filastrocca “Come nasce un corpo”: alcuni bambini
disegnano, su fogli diversi, il tronco, altri le braccia, altri le gambe, altri le
mani, e così via. • Assembramento delle parti del corpo realizzate dalla
sezione, ripetendo la filastrocca tutti insieme. • I bambini, divisi in due
gruppetti “disegneranno”, sul pavimento, la sagoma di una compagna,
seguendone il contorno del corpo (IMPORTANTISSIMO PER LA
COSTRUZIONE DELLO SCHEMA CORPOREO). Al termine, l’insegnante
disegnerà con un pennarello su un grande foglio la sagoma di due bambini con
dimensioni reali. L’insegnante chiederà ai bambini di assembrare le parti del
corpo della sagoma, la quale è stata trasformata in puzzle. Al fine di eseguire in
maniera ottimale quest’attività, è necessaria una determinata dose di
attenzione, la quale viene riconosciuta nelle sue componenti di:

• attenzione SELETTIVA (capace di selezionare l'informazione);

• FOCALIZZATA (quando il soggetto è capace di rimanere su un argomento e


memorizzarlo);

• MANTENUTA (quando è capace di lavorare nel tempo su


quell'informazione);

• DIVISA (capacità di svolgere due compiti separatamente);

SPOSTAMENTO DELL’ATTENZIONE (capacità di passare da un compito


all’altro).

FASE 3:

• Sulla sagoma sono state adagiate le tessere del dado, al fine di garantire un
ripasso della posizione e dei nomi delle parti del corpo. Le tessere delle parti
del corpo sono, anch’esse, state disegnate e ritagliate (sviluppando la motricità
fine) dai bambini. In seguito, sono state plastificate. Il dado è stato costruito e
colorato insieme ai bambini in modo da rendere la sezione artefice di un
prodotto con cui giocare. In ogni faccia del dado è stato posizionato un pezzo
di scotch trasparente e un pezzo di Patafix per poter cambiare a piacimento le
parti del corpo e personalizzare il dadone.

Descrizione del caso assegnato

Dallo studio del PEI, documento in cui convergono e vengono equilibrati tutti
gli interventi predisposti per l'alunno, ai fini della realizzazione dell’inclusione
sociale, ho appreso gli obiettivi educativo – didattici, le attività, i metodi, le
strategie, i materiali, i tempi di realizzazione e le modalità di verifica e
valutazione previsti per l’a.s. 2021/2022.

Alunno: F. Età: tre anni;

Diagnosi clinica: Disturbo dello spettro dell’autismo F84.


Precedente diagnosi: Nessuna.

Ore settimanali dell’insegnante di sostegno: n. ore 25.

Attività extrascolastiche: terapie di logopedia e psicomotricità.

Orario settimanale scolastico dell’alunno: 40 ore settimanali su n. giorni 5.

Descrizione dei modi, tempi, strumenti e modalità di osservazione

L’osservazione è alla base della professionalità degli insegnanti, come cardine


fondante della progettualità educativa (progettare presuppone il conoscere,
comprendere la situazione di partenza). Elementi che connotano l’osservazione
sono la finalità e l’intenzionalità: il docente che osserva ha un preciso obiettivo
che consiste nella conoscenza e nella descrizione, il più possibile oggettiva,
fedele e completa, di un determinato fenomeno, considerato rilevante e
significativo. Pertanto, l’osservazione, si configura come un processo cognitivo
che non solo è orientato alla lettura di un fenomeno/situazione quanto alla sua
comprensione.

Ruolo dell’osservatore tirocinante: osservazione partecipante.

Ambiente di osservazione: ottenere un maggiore contatto con la realtà.

Strumenti di osservazione: Durante lo svolgimento delle ore di tirocinio diretto


a scuola, è stata prevista un’osservazione strutturata (sistematica), ma anche
un’osservazione con basso grado di strutturazione (esperienziale). La prima
osservazione è stata effettuata mediante l’utilizzo di una “Griglia di
osservazione”, la quale è stata realizzata estrapolando solo i domini e le
componenti più utili ai fini dell’osservazione dell’allievo. Le aree prese in
analisi sono relative ai campi di esperienza de “Il corpo e il movimento”,
“Immagini, suoni, colori”, “Il sé e l’altro”, “La conoscenza del mondo”. La
griglia di osservazione (presente negli allegati) prevede quattro livelli di
analisi: LIVELLO AVANZATO (pieno raggiungimento degli obiettivi);
LIVELLO INTERMEDIO (discreto raggiungimento degli obiettivi);
LIVELLO BASE (essenziale raggiungimento degli obiettivi); LIVELLO
INIZIALE (parziale raggiungimento degli obiettivi). Lo strumento di
osservazione utilizzato con basso grado di strutturazione è stato, invece, il
diario di bordo.

Ho strutturato il diario di bordo in:

- Data e tempi

- Luogo (aula, laboratorio, giardino...)

- Persone coinvolte (docenti, alunni, personale esterno...)

- Attività didattica in sezione e breve descrizione dell’attività - Modalità


organizzative (attività individuali, di coppia, piccolo gruppo…);

- Strumenti utilizzati (pc, LIM, fogli A4, cartoncino, tempere, pastelli,...);

- Osservazione dell’alunno (comportamento dell’alunno, autonomia nello


svolgimento dell’attività, interesse e partecipazione, rapporto alunno-docente,
rapporto alunno-alunno);

-Considerazioni (commento personale).

Osservazioni relative al caso assegnato

In seguito all’osservazione dell’alunno F. nelle diverse aree, grazie agli


strumenti di osservazione strutturata e non strutturata, effettuo l’analisi dei dati
al fine di facilitare la progettazione didattica. L’obiettivo prefissato si è da
subito dimostrato essere quello ottenere una divisione sistematica da ciò che è
reale e ciò che appartiene all’immaginario. In ambito scolastico, l’allievo F.
presenta difficoltà nel mantenere l’attenzione e la concentrazione per il periodo
di tempo necessario allo svolgimento delle attività. Il bambino non risulta
essere molto tollerante nei confronti delle frustrazioni, fatica ad abituarsi al
nuovo, presentando pattern di rigidità negli schemi mentali. In precedenza,
l’alunno aveva difficoltà nell’addormentarsi senza la presenza dell’adulto ,
anche se, nell’ultimo periodo, sono stati rilevati dei miglioramenti. Le
insegnanti stimolano il contatto oculare (piuttosto carente) per controllare
l’attenzione dello studente e definiscono in anticipo e con chiarezza le attività
programmate e i tempi in modo che impari a prevedere come si svolgerà la
giornata scolastica. L’ alunno si orienta adeguatamente nell’ambiente
scolastico di riferimento, spostandosi in modo autonomo, ciò è riscontrato
anche nella sfera della cura della persona. Non presenta alcuna difficoltà nell’
area sensoriale e nello sviluppo della motricità globale e fine. Le insegnanti,
pertanto, stabiliscono e condividono poche e chiare regole di comportamento
da mantenere all’interno della sezione, al fine di accogliere comportamenti
positivi. I genitori, fino ad ora, collaborano con la scuola in modo proficuo.
L’alunno, durante l’attività didattica non partecipa in modo attivo e deve essere
continuamente sollecitato e supportato dagli insegnanti; a volte assume un
comportamento passivo e taciturno che lo porta ad isolarsi. Il bambino,
solitamente, assume posture atipiche, si distrae con piccoli oggetti, appare
demotivato e selettivo sulle scelte didattiche proposte in sezione, manifestando
oppositività nel caso in cui non condivida le attività da svolgere.

SAPERE SAPER FARE

Le principali parti del • Nomina le principali parti del corpo


corpo (3 anni)
• Nomina e localizza le principali parti
del corpo su sé stesso e sui compagni
(4 anni)

Posizione corretta delle • Colloca nello spazio del foglio gli


parti del corpo elementi del corpo umano
correttamente (3 anni)
• Nella produzione grafica colloca
correttamente gli elementi del corpo
umano differenziando la figura di sé
e dei compagni (4 anni)
1. Produzione grafica del volto e suoi principali elementi costitutivi
COSA HO PROGRAMMATO DI APPROCCI METODOLOGICI
FARE
1) Presentazione del tema. -Circle time, approccio
Realizzazione del proprio viso multimediale, drammatizzazione,
mediante utilizzo della pasta sale. role playing, brainstorming

2) Produzione grafica inerente al corpo umano e i suoi principali elementi

2) Riproduzione grafica del corpo umano da parte -Circle time,


dei bambini con apprendimento della filastrocca approccio
“Come nasce un corpo”: alcuni bambini disegnano, multimediale
su fogli diversi, il tronco, altri le braccia, altri le
gambe, altri le mani, e così via.
3) Assembramento delle parti del corpo realizzate -Circle time, lavoro
dalla sezione, ripetendo la filastrocca tutti insieme. in piccolo gruppo,
scaffolding,
cooperative
learning,
competizione
Role playing, peer
4) Vengono scelti e fatti sdraiare due bambini che tutoring
fungeranno da modelli mentre gli altri come pittori
saranno chiamati a rappresentarli in forma grafica
(con le dita)

3)Gioco motorio di scoperta degli elementi costitutivi del corpo umano


-Lavoro in
5) Con l’utilizzo di un dado a sei facce, costruito grande/piccolo gruppo
insieme, e semplici flashcards, i bambini
imparano a visualizzare nell’immediato le parti
principali del corpo umano

6) Delineazione della sagoma di un bimbo e di -Brainstorming, lavoro


una bimba su un cartellone e relativo gioco di in grande gruppo,
“Lancia il dado e tocca la parte del corpo che discussione
viene fuori”
Descrizione del prodotto multimediale

RELAZIONE T.I.C.

1) INTRODUZIONE
Breve descrizione del caso assegnato

Dallo studio del PEI, documento in cui convergono e vengono equilibrati tutti
gli interventi predisposti per l'alunno, ai fini della realizzazione dell’inclusione
sociale, ho appreso gli obiettivi educativo – didattici, le attività, i metodi, le
strategie, i materiali, i tempi di realizzazione e le modalità di verifica e
valutazione previsti per l’a.s. 2021/2022.

Alunno: F.

Età: tre anni;

Diagnosi clinica: Disturbo dello Spettro dell’autismo F84.

Precedente diagnosi: Nessuna.

Descrizione esperienze d’uso delle tecnologie dell’informazione e della


comunicazione maturate nel corso del tirocinio diretto

I diritti alla partecipazione e all’ascolto costituiscono il fulcro di questa e di


tutte le proposte educative. Azionare la lettura di un libro digitale offre
straordinarie opportunità per immaginare, identificarsi, esprimere le proprie
emozioni, avvicinarsi alla comprensione di punti di vista diversi, riconoscersi
nel sentire degli altri, confrontarsi e dialogare. I momenti di lettura condivisa in
sezione sono frammenti di tempo coinvolgenti, agiti in contesti protetti, durante
i quali ciascuno ha avuto modo di esprimere le proprie velleità, anche se non è
ancora possibile etichettarle e riconoscerle; e i propri pensieri, anche quando
sono complicati da districare. In una fase iniziale, in questi momenti di libertà
(proprio perché il prodotto che è venuto f uori è stato realizzato da immagini e
da disegni e non da parole), è stato opportuno rinunciare a stabilire un metodo
troppo sistematico; è stato preferibile, invece, eseguire una lenta lettura e
condivisione di immagini, lasciando ai bambini tutto il tempo di esprimersi,
osservando le dinamiche di relazioni tra pari, gli elementi che vengono notati
(chi osserva cosa), quali bambini sono rimasti più colpiti dal contesto, dalla
descrizione di alcuni personaggi o da altri dettagli. All'ascolto è stato
affiancato, con attenzione e premura, la gestione del passaggio dalla lettura ad
alta voce ad una lettura che ha accolto il dialogo e il contributo di bambine e
bambini che, gradualmente, diventano narratori, interpretando, rivisitando le
parti, e l'adulto assume il ruolo di ascoltatore attivo, formulando domande,
aggiungendo informazioni, sollecitando all’arricchimento e alla rimodulazione
dell'esposizione contenuta nel libro. La creazione di libri digitali è la chiave
che permette ad alunni e insegnanti di utilizzare il pensiero critico e le capacità
organizzative complesse mentre confrontano, pianificano e prendono decisioni
creative su quanto realizzato. È importante la guida dell’insegnante, il quale, in
modo originale, raccoglie, tiene il punto e condivide l'apprendimento e i
risultati dei bambini. L’applicazione Book Creator1 è stata lo strumento
impiegato per la creazione del libro digitale. L’intuitività e la prestanza di tale
strumento l’hanno resa un’applicazione sorprendentemente funzionale: essa
permette di realizzare una storia parlata, coinvolgendo ancora di più le fasce
d’età più basse. Alcune pagine del libro digitale sono state create anche con
l’applicazione “Canva 2”, uno strumento di progettazione grafica , esso utilizza
un formato di drag'n'drop della selezione e consente di accedere a un database
di fotografie, immagini vettoriali, grafiche e caratteri.

Man mano che le pagine dell’e-book costruiscono significati tangibili, i


bambini possono imparare come elementi multimediali differenti si prestano
molto a raccontare la loro storia o a comunicare le informazioni in modo più
funzionale ed efficace, o ad arricchire un punto di vista di supporti non

1
https://bookcreator.com/
2
https://www.canva.com/
convenzionali. I bambini potranno tradurre il loro pensiero in forma di libro e
assorbiranno meglio quanto spiegato in sezione.

2) LA PRATICA EDUCATIVA FONDATA SULLE


EVIDENZE SCIENTIFICHE
- Illustrazione del ruolo dell’insegnante-ricercatore

L'insegnante, di qualsiasi ordine e grado, deve ingegnarsi, deve entrare in


contatto con le fertili menti degli alunni e cercare principalmente un approccio
il più possibile tattile alla spiegazione. Alla luce di ciò, l’insegnante-
ricercatore coincide con la figura scolastica che costruisce un repertorio di
comportamenti e strategie, costruisce un suo ‘metodo’, eventualmente
integrando ‘metodi’ e strategie finalizzati a obiettivi più circoscritti
(Apprendimento collaborativo, Problem Solving, Argomentazione, etc.).
Bisogna distinguere l’azione di integrare da quella del mescolare. È possibile
“Integrare” quando gli obiettivi sono diversi, ma complementari e coerenti; per
riconoscere che sono coerenti bisogna fare riferimento ai principi e alla teoria
che ne stanno alla base. Se gli obiettivi non sono coerenti, il rischio è quello di
attivare azioni disorganiche (Calvani, 2015), quindi di mescolare metodi e
strategie, piuttosto che acquisirli integralmente e coscienziosamente nella
propria pratica. Un’altra caratteristica dell’insegnante è quella di essere sempre
aperto al cambiamento. L’insegnante stesso cambia, i bambini cambiano,
cambia la scuola, il contesto socioculturale cambia, questi fattori sono in
continua evoluzione. La didattica multimediale richiede una significativa
trasformazione del modo attraverso cui viene erogato il sapere scolastico. Nel
processo di insegnamento-apprendimento, l’insegnante deve passare da uno
stile didattico rigido, pensato per bambine e bambini con le medesime
esigenze, a una modalità di insegnamento più aperta e flessibile, in cui non
venga tracciata una netta separazione tra i campi disciplinari. Le nuove
modalità per alimentare e far sperimentare conoscenze, accrescendo capacità e
competenze, stanno avanzando gradualmente a pieno titolo nelle scuole,
spingendo i docenti a munirsi delle Tecnologie dell’Informazione e della
comunicazione (T.I.C.). L’acronimo “TIC” viene attribuito alle tecnologie
funzionali alla didattica, la cui destinazione d’uso è in prevalenza tecnologico-
digitale. Mediante il loro impiego, l’insegnante può avvalersi di efficaci
strumenti per la rielaborazione strutturale della didattica e permettere
l’inclusione di tutti gli studenti. L’insegnante competente non dispone di un
metodo fisso per ogni situazione, ma è aperto ad accogliere le trasformazioni
della didattica. In più, ci si aspetta che l’insegnante sproni gli alunni a esporsi
circa le loro scelte, sul perché hanno deciso di applicare una formula e non
un’altra. Oppure ancora, nell’ambito dei problemi, al fine di somministrarli alla
classe nel modo più innovativo e funzionale, il docente potrebbe adottare
l'ipotesi del riformulare la consegna del problema, in modo tale da suscitare
altre riflessioni e far emergere ulteriori strategie di risoluzione da parte degli
allievi. Tale espediente verrà utilizzato in modo tale da far emergere altri
fattori, quali il confronto di più idee; facendo risaltare anche aspetti del lavoro
di gruppo, quali il rispetto dell'altro, l'ascolto di più approcci; facendo venire
meno anche la paura di essere giudicati, di esprimersi in pubblico. Il porsi
domande attiva nei bambini quel meccanismo che consiste nel passare da una
situazione iniziale incerta a una situazione più limpida e chiareggiante, in cui le
congetture, i pensieri, i dubbi emergono proprio perché vi è la volontà, la spinta
motivante, nel farle scomparire. Secondo tale prospettiva, la scuola, come
narrano D’Alessio, d’Alonzo, Isidori, Vaccarelli, Makoelle e Van Der Merwe
“si pone come istituzione accogliente (un luogo sociale che condiziona il
benessere delle persone), laddove non si richiede allo studente di adattarsi al
contesto” (citato in Isidori, 2019, p. 51), ma è il contesto che si deve flettere
alle esigenze dello stesso, dunque, si tratta di un sistema amichevole al
cambiamento. Il termine “tecnologia”, all’interno dell’ICF, non è indice solo di
una strumentalità di tipo informatico, bensì è posto in relazione ad un
pluralismo di prodotti, strumenti, impianti o sistemi tecnici, il cui corretto
utilizzo necessita di processi anche metodologici finalizzati a supportare le
dinamiche positive tra le peculiarità dell’individuo e le caratteristiche
dell’ambiente, nell’ottica del LifeLong Learning. “Adottare questo approccio e
attuare questo tipo di analisi e di lettura dei bisogni significa fare in modo che
le diversità presenti in ogni alunno diventino ricchezza per valorizzare il modo
di apprendere di ciascuno” (Ferrari, 2016, p. 52). Per fare questo gli insegnanti
devono conoscere i diversi stili di apprendimento dei loro alunni, condividere
la lettura dei bisogni, i metodi e le strategie più idonei a rispondere a tali
bisogni. Al fine di ostacolare la differenza eccessivamente marcata di cui
potrebbero essere causa gli strumenti compensativi tecnologici, è importante
formare i bambini all’utilizzo funzionale di essi. Si potrebbe consentire, ad
esempio, a tutti gli studenti di utilizzare il computer, differenziando le attività
da svolgere in base alle esigenze di ciascuno e assegnando ruoli e compiti
all’interno di piccoli gruppi. L’impiego delle tecnologie nella scuola crea una
situazione di vantaggio per tutti, al fine di potenziare un’integrazione scolastica
realmente inclusiva, che non si esaurisca nel <<… fare le cose come gli altri,
ma piuttosto in quella di offrire la possibilità di fare le cose con gli altri…>>.
Una scuola orientata e proiettata sul fare, sul produrre, indirizza i propri
studenti in modo coinvolgente “verso gli obiettivi da raggiungere e competenze
da sviluppare, ma soprattutto verso l’autonomia, l’indipendenza, la
consapevolezza di sé e della propria identità, nonché del proprio progetto di
vita”. (Isidori, 2019, p. 51). Ciò va a dimostrazione del fatto che la scuola
diventa preziosa nel momento in cui assume come parametri di misurazione di
validità la permanenza (regolarità), percorrenza (linearità) ed esiti (profitto).
(Benvenuto, 2011). Molti insegnanti non spingono i loro studenti ad imparare
ad argomentare, a spiegare la motivazione del perché accade un qualcosa, o del
perché si svolge un esercizio con un passaggio anziché usarne un altro. È vero
che se una cosa già si sapesse fare, non ci sarebbe bisogno di affrontarla: la
scuola è stata istituita per questo motivo. Il pensiero media l’apprendimento,
mentre l’apprendimento è il risultato del pensiero. Partendo dal presupposto
che una delle caratteristiche comuni ai molteplici significati di competenza,
può essere considerata “quella di fondarsi sul pieno riconoscimento di quello
che si fa e sull’uso consapevole del sapere acquisito” (Ajello, 2002, p. 255), il
mutamento che la prospettiva delle competenze causa nel processo di
insegnamento-apprendimento riflette la promozione dell’uso autonomo e
coscienzioso delle conoscenze. Ciò si esprime nella capacità dell’insegnante di
discriminare, separare, selezionare le conoscenze più idonee a prestarsi a nuove
soluzioni. Questi punti chiave altro non sono che lo scheletro, il nucleo
fondante di quello che l’insegnante dovrebbe far proprio e, successivamente,
proporre alla propria classe da un punto di vista ministeriale (MIUR, 2012).

- Spiegazione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione


adottate alla luce delle evidenze scientifiche della ricerca educativa.

L’educazione all’uso dei media digitali è un tema che ricorre nelle pratiche
quotidiane. Essi sono diventati elementi centrali per la vita odierna, in quanto
dimensioni sociali, culturali, politiche ed economiche del mondo
contemporaneo e in quanto fattori che contribuiscono alla capacità variabile di
dare senso al mondo, di costruire e condividere i suoi significati. Con la
diffusione delle tecnologie touch screen, anche i bambini nella fascia 3-5 anni
sono diventati “consumatori” di contenuti digitali. “…un’appropriata
educazione al ‘pensiero computazionale’, che vada al di là dell’iniziale
alfabetizzazione digitale, è infatti essenziale affinché le nuove generazioni
siano in grado di affrontare la società del futuro non da consumatori passivi ed
ignari di tecnologie e servizi, ma da soggetti consapevoli di tutti gli aspetti in
gioco e come attori attivamente partecipi del loro sviluppo”. (circolare MIUR
prot. n. 9759 del 08/10/2015 3). La letteratura contemporanea per l'infanzia e
adolescenza propone bellissimi albi illustrati, libri, graphic novel, libri digitali,
libri "accessibili" (in-book), che possono diventare dispositivi pedagogici
importanti per parlare con i bambini e i ragazzi dei loro diritti, far loro
esprimere le emozioni, osservare ed ascoltare, favorire l'accessibilità ad
argomenti difficili da trattare in classe. La lettura, soprattutto se proposta come
attività condivisa, accompagnata da libri, parole e immagini la cui qualità sia
stata attentamente selezionata, può diventare un potente strumento di relazione

3
La circolare ha come oggetto: “Il pensiero computazionale a scuola – al via il secondo anno
dell’iniziativa “Programma il Futuro”: insegnare in maniera semplice ed efficace le basi
dell’informatica.
attraverso il quale i bambini possono "leggersi" reciprocamente, esprimere la
loro voce e i loro pensieri più profondi, anche rispetto ai contenuti della
Convenzione sui Diritti dell'infanzia e dell'adolescenza. Sulla scia
dell’“alfabetizzazione digitale”, le dimensioni da considerare in relazione ai
contenuti digitali, – quelle che contribuiscono a definire le caratteristiche
dell’esperienza di fruizione dei contenuti – sono essenzialmente tre:

1) quella legata agli stessi contenuti informativi, alla loro tipologia, alla loro
organizzazione (è in base a questa considerazione che distinguiamo, ad
esempio, un contenuto lineare da uno organizzato in forma ipertestuale, o un
libro di testo multimediale da un libro di testo solo testuale);

2) quella legata ai dispositivi di fruizione (e dunque alle caratteristiche


dell’hardware utilizzato, alle sue potenzialità, alle sue modalità d’uso; è in base
a questa considerazione che distinguiamo, ad esempio, un PC da tavolo da un
tablet, ma anche la fruizione lean forward propria di dispositivi come i PC da
tavolo da quella lean back possibile nel caso del tablet);

3) quella legata alle piattaforme di fruizione e alle loro funzionalità software (è


in base a questa considerazione che è possibile interrogarsi sulle modalità per
inserire annotazioni o sottolineature all’interno di un libro di testo digitale, o su
come si tenga traccia del progresso fatto dall’utente nella lettura). (Roncaglia,
2013)

È chiaro che nel progettare esperienze concrete legate all’uso di contenuti di


apprendimento digitali, occorre considerare attentamente tutte e tre queste
dimensioni.

Così, per fare solo un esempio, un e-book multimediale sarà di norma pensato
per la fruizione attraverso un tablet e non attraverso un dispositivo a inchiostro
elettronico, che, almeno allo stato attuale di evoluzione della tecnologia, non
consente la riproduzione fluida di filmati e animazioni, e nella maggior parte
dei casi è limitato alla riproduzione in scala di grigi, senza la possibilità di
visualizzazione dei colori. Indubbiamente, queste stesse tre dimensioni
convergono poi in una esperienza unitaria: la fruizione di questo o di quel
contenuto, attraverso questo o quel dispositivo e utilizzando questa o quella
piattaforma.

3) PERCORSO ESPERIENZIALE CON LE T.I.C.


- Descrizione del prodotto multimediale realizzato.

Osservando e analizzando gli interessi e punti di forza dell’allievo F., il quale


nutre una forte passione per il disegno e l’ascolto di storie di fantasia lette
dall’insegnante, ho strutturato e realizzato le attività. Inoltre, il palese
coinvolgimento del bambino nelle attività svolte in cooperazione e
collaborazione con i suoi compagni, mi hanno guidata nell’utilizzo dei seguenti
strumenti digitali ai fini della realizzazione dell’eBook denominato “Tutto su di
me”:
- Book Creator;
- Canva (impiegata come supporto dell’app “Book Creator”).
- Dispositivo mobile ai fini della registrazione della voce.

Il prodotto TIC comprende 17 pagine, la prima delle quali è la copertina e


l’ultima contiene i link di due giochi creati con le Web-App Puzzle-Factory e
Wordwall. Tale eBook, diviso in tre sezioni principali, risulta essere una
sintesi di un’Unità di Apprendimento (UDA) sullo Schema Corporeo. Nella
prima sezione, ciascuna pagina riporta il disegno di una parte del corpo umano,
cadenzate dal ritmo della filastrocca “Come nasce un corpo” e recitata da una
bambina. Ad ogni immagine è stata associata la relativa clip vocale. Nella
seconda sezione, viene realizzato il “visino un po’ tondino” citato nella
filastrocca precedente, mediante l’utilizzo della pasta-sale: si forma un cerchio
per configurare il viso, tante piccole palline marroni simboleggiano gli occhi,
mentre i “serpentelli” lunghi o corti sono i capelli. Tenendo sempre in
considerazione la seconda parte dell’eBook, si alternano le voci della
tirocinante con quelle della bambina. La terza e ultima parte del prodotto TIC è
indice di verifica. Le attività proposte sono state, rispettivamente: la
realizzazione delle sagome di due bambini; la ricomposizione dei pezzi del
“puzzle umano” e, in fine, il lancio del magico dado. I due giochi sono stati
pensati per preservare un contatto con gli strumenti digitali: rispettivamente,
nel primo gioco è richiesto di trovare le figure delle parti del corpo identiche;
mentre, nel secondo, di ricostruire il puzzle di un bambino, proprio come
avvenuto a scuola con le maestre.
Di seguito vengono riportati il link dell’eBook consultabile, il gioco del
memory della Web-App Wordwall e il puzzle virtuale della Web-App “Puzzle-
factory”.
Link eBook:
https://read.bookcreator.com/6giVmsK3WeRuR2QPqRE0jvMdOEn2/EFMOs
Y8OQLS_XZZ5cE_fow

Link Wordwall:
https://wordwall.net/it/resource/33322425/copia-di-memory-corpo-umano
Link Puzzle-Factory:
https://puzzlefactory.pl/it/puzzle/gioca/per-bambini/456961-puzzle-di-un-
bimbo#3x3

- Illustrazione degli interventi educativo-didattici progettati per


promuovere l’inclusione.

Orientarsi nella complessità dei bisogni di tutti e di ciascuno in un’ottica


inclusiva significa educare la persona a divenire sé stessa anche concentrandosi
sulla sua realizzazione corporea. Ciò vuol dire aiutarla a prendere
consapevolezza del suo essere persona intera, che si esprime e si compie
mediante il movimento, l’azione (Iavarone, 2015; Casolo, & Melica, 2005). La
progettazione di tale UDA si avvale di un dialogo costruttivo, culturale e
situato nel quale l’attività motoria metta la persona nella condizione di sentirsi
di avvertirsi capace di agire. L’educatore motorio incentiva pertanto la
dimensione intersoggettiva della relazione, mantiene uno sguardo
multiprospettico (Negri, 2014) affinché l’operare dello sportivo sia inteso come
un’azione significativa, creativa e autonoma. Perciò essa non può e non deve
essere ricondotta forzatamente ad un programma tipico per una certa “anatomia
umana” (Benetton, 2007), ma per quella persona nella totalità del suo
funzionamento. Conoscere i processi nascosti del proprio corpo e sviluppare la
curiosità permettono l’avvio delle prime interpretazioni sulla struttura e sul
funzionamento del corpo (oggetti, fenomeni, viventi).
Attraverso la realizzazione di tale eBook, è stato riscontrato che il bambino
esercita le potenzialità sensoriali, conoscitive, relazionali, ritmiche ed
espressive del corpo, egli conosce le diverse parti del corpo ed è in grado di
rappresentarle. L’insegnante, attraverso la valutazione delle esperienze in
itinere, valuterà l'adeguatezza del percorso scelto rispetto ai risultati ottenuti
dai bambini, in un'ottica di continuo miglioramento della qualità dell'offerta
formativa.

Inoltre, è stato deciso di impostare il lavoro procedendo, in un primo periodo,


prevalentemente sulla forma grafica del corpo (si è preferito partire dal viso e
poi avanzare verso il resto del corpo), quindi, utilizzando metodologie che siano
inerenti al campo artistico-creativo, quali uso di materiali di riciclo, tempera,
colla ecc…
Osservando i bambini durante questa fase, ci si rende conto di quanto il modeling
(l'imitazione) e l'identificazione siano parte integrante di un momento divertente
in cui la spontaneità prende il sopravvento, anche per i bambini con disabilità.
In un secondo momento, è stato realizzato un percorso di conoscenza dell’altro
e delle sue parti del corpo con la modalità di gioco e movimento che ha permesso
maggiormente ai bambini di entrare in contatto con la realtà, abbandonando i
giochi di fantasia.
È stato indispensabile lavorare seguendo la traiettoria dell’equità d’uso, che si
traduce nel garantire l’utilizzo dei supporti digitali a persone con diverse abilità;
fornendo più metodi di utilizzo e adattabilità alle necessità dell’utente (creazione
dei due giochi virtuali), in modo da eliminare la complessità non necessaria.
Favorire l’inclusione significa anche comunicare con diverse modalità, al fine di
garantire l’accesso alle necessarie ed effettive informazioni utili, prevedendo
efficacia ed utilità con la minima fatica e assicurare la comodità e la sicurezza
alle persone indipendentemente dalla statura, postura, mobilità.
Pensare a molteplici ambienti di apprendimento, muniti di strumenti e linguaggi
differenti, nei quali l’insegnante privilegia approcci che valorizzano sia gli
studenti che le relazioni tra essi, si dimostra essere la conditio sine qua non
dell’inclusione. Occorre fornire molteplici modalità di rappresentazione
utilizzando diversi codici comunicativi, promuovendo, a loro volta, molteplici
modalità di azione ed espressione. Il prodotto TIC è stato un notevole supporto
nella realizzazione del percorso di progettazione, delineandosi in veste di
diversivo interessante che ha dato la possibilità a tutti di interagire e con i propri
compagni, anche dovendo rispettare i propri turni per giocare e ascoltando l’altro
mentre parlava.

- Documentazione fotografica del prodotto multimediale finale:

Figura 1: "Tutto su di me"


Figura 2: Riproduzione della filastrocca “Come nasce un corpo”: “Metto in mezzo un bel bustino…”

Figura 3: “Braccia e gambe per benino…”

Figura 4:“Metto il collo sopra al busto...”


Figura 5:“Mani e piedi al punto giusto…”

Figura 6:” Sopra a tutto una testina…”

Figura 7: “Ecco fatto un bel bambino!”


Figura 8: “Occhi, naso e bocca sul visino un po’ tondino, i capelli sulla testa e il bambino fa gran festa !”

Figura 9: Guardiamoci allo specchio e osserviamo il nostro visino… cosa possiamo notare?

Figura 10: Realizzazione del “visino un po’ tondino” con la pasta sale: occorrono tempere, acqua tiepida,
farina, sale e… tanto olio di gomito!
Figura 11: In un secondo momento, realizziamo i nostri occhi con della tempera marrone. Vengono fuori
tanti piccoli pallini!

Figura 12: Adesso tocca ai capelli: tanti piccoli serpentelli!


Figura 13: Verifica: Realizziamo le sagome di due amichetti e… trasformiamole in puzzle!

Figura 14: Verifica: Ricostruiamo le sagome dei nostri amici! Cosa c’è sotto u n

Figura 15: Verifica: Lanciamo il dado! Andiamo a toccare la parte del corpo che viene mostrata dal
magico dado!
Figura 16: Questa sono io!

Figura 17: "Ora tocca a te!”

Osservazioni conclusive
Al termine di questo percorso di ricerca mi ritengo soddisfatta e arricchita non
soltanto da un punto di vista professionale, ma anche da quello personale. Sul
piano della consapevolezza ho avuto modo di crescere con i miei allievi,
poiché è attraverso le attività proposte che ho interiorizzato ancor più
l’importanza dell’apprendimento attraverso il movimento. Inoltre, con questo
mio percorso, all’interno del quale ho richiesto ai miei allievi di autovalutarsi e
di assumere costantemente più consapevolezza di loro stessi e del loro corpo,
ho avuto l’occasione di allenare anche la mia personale autovalutazione,
mettendomi in gioco e in discussione, riflettendo e analizzando quanto da me
proposto, favorendo così una crescita condivisa. In qualità di docente posso
anche affermare l’importanza della ripetizione, della variazione, della
regolarità delle attività motorie e della sperimentazione nel contesto della
Scuola dell’Infanzia: è infatti per mezzo di questi aspetti che gli allievi
evolvono nella loro crescita personale e motivazionale ed imparano a diventare
consapevoli di sé autonomamente. Per quanto concerne strettamente il lavoro
di tesi, ho avuto l’occasione di sviluppare le mie conoscenze inerenti al metodo
di ricerca, all’approfondimento dei temi e alla cura dei dettagli, aspetti che mi
permetteranno sicuramente di portare un valore aggiunto nel mio futuro
professionale. Sono stata protagonista di interessanti attività di tirocinio diretto
a scuola, e, insieme alla tutor del tirocinio indiretto, abbiamo riflettuto in modo
critico e costruttivo sulle esperienze professionali. Svolgere la funzione
docente non è facile, proprio perché tale funzione poggia su un sapere non
dotato di certezze, che lascia spazi di problematicità che continuamente
interrogano l’agire didattico ed educativo. A conclusione del mio percorso
TFA, la riflessione che preme sottolineare riguarda la convinzione che
l’insegnamento a sostegno di studenti con disabilità richiede grandi capacità di
integrare saperi e competenze diversi nel campo della pedagogia e della
didattica al fine di realizzare nel modo migliore l’inclusività necessaria alla
crescita degli alunni. La condivisione del processo formativo è infatti la chiave
per un intervento efficace. Sono molto soddisfatta del corso di specializzazione
per il sostegno appena concluso, in quanto, durante gli insegnamenti, si è
creato un bel clima di collaborazione e confronto tra docenti e studenti,
nonostante la modalità a distanza causata dall’iniziale situazione d’emergenza
sanitaria. Abbiamo svolto attività di laboratorio che hanno privilegiato
modalità di apprendimento collaborativo attraverso lavori di gruppo ed
esperienze applicative in situazioni reali. Dalla ricerca partecipata, che assume
come centrale i problemi concreti della scuola, trae vantaggio sia la ricerca
accademica sia il mondo della scuola. La scuola, perché può dare fondamento
rigoroso alle attività che propone e, l’università, in quanto radica la ricerca nel
mondo contemporaneo reale. I benefici sono duplici: per la comunità scolastica
che trae materiale al fine di consolidare l’agire educativo; per la ricerca
universitaria, che nel confronto con la realtà trova problemi di ricerca veritieri.
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https://wordwall.net/it/resource/33322425/copia-di-memory-corpo-umano

https://puzzlefactory.pl/it/puzzle/gioca/per-bambini/456961-puzzle-di-un-
bimbo#3x3

https://bookcreator.com/

https://www.canva.com/
Allegati

Titolo dell’unità formativa di apprendimento

“Siamo fatti così!”


Competenza di base Competenza/e del cittadino

• Riconoscere gli spazi topologici • COMUNICAZIONE NELLA MADRE LINGUA;


(Distinguere destra/sinistra,
• COMPETENZE SOCIALI E CIVICHE;
sopra/sotto, vicino/lontano)
• Individuare le posizioni di • IMPARARE AD IMPARARE;
oggetti e persone nello spazio.
• CONSAPEVOLEZZA ED ESPRESSIONE CULTURALE.

Contesto didattico

Classe Periodo: 1 Asse/i culturale: Campi di esperienza coinvolti:


Scuola SETTIMA Conoscere il mondo -Campo d’esperienza elettivo: “Il corpo e il movimento”
dell’infanzi NA attraverso il proprio
a: ETà 3-4 corpo
ANNI
-Altri campi coinvolti: “Il sè e l’altro “ e “Immagini, suoni,
colori”

Tipo di unità [avvio-sviluppo, potenziamento, recupero, passerella, differenziata e stratificata,…] :


Unità riguardante avvio-sviluppo e potenziamento.
GLI ESERCIZI DA PROPORRE DEVONO AVERE LA CARATTERISTICA DELLA BREVITÀ, DEVONO ESSERE BEN STRUTTURATI
E SUSCITARE INTERESSE, IN QUANTO BISOGNA TENER CONTO CHE IN CLASSE è PRESENTE N.1 ALUNNO CON DISTURBO
DELL’ATTENZIONE.
L’ATTIVITA’ DIDATTICA SI PREFIGGE OBIETTIVI A MEDIO E A LUNGO TERMINE: CIO’ STA A SIGNIFICARE CHE
L’INSEGNANTE HA IL COMPITO DI SCOMPORRE I VARI TARGET IN SOTTO-UNITA’ (SOTTO-OBIETTIVI) ATTRAVERSO LA
TECNICA DELLA TASK-ANALYSIS.

Motivazione della proposta e suo valore formativo


[Questa voce giustifica il progetto in termini di spendibilità culturale e sociale, concettuale e/o professionale; persegue l a trasparenza delle
scelte formative degli insegnanti verso gli allievi, le loro famiglie, l’istituzione stessa. La proposta, anche solo grafica, del quadro
epistemologico di riferimento orienta su processi, abilità, conoscenze mobilitate dall’unità di apprendimento. I riferimenti alle situazioni reali
che si intendono ricreare a scuola evincono immediatamente i contesti d’uso della competenza e le possibilità della loro graduazione]
Riferimenti al quadro teorico (anche solo la Motivazioni (è frutto dell’analisi formativa del nodo disciplinare, anche integrato fra più
rappresentazione schematica) discipline)

Attività didattica su: Il corpo è lo strumento con cui i bambini esplorano il mondo e con il quale entrano in
• la realizzazione del proprio viso contatto con gli altri, infatti, attraverso il corpo il bambino acquisisce consapevolezza di sé
mediante utilizzo della pasta sale, in modo e dell’altro diverso da sé. Nell’età della scuola dell’infanzia diventa quindi obbligata
tale potenziare nel bambino la capacità di l’osservazione del proprio corpo con cui il bambino gioca, manifesta emozioni, comunica
distinzione tra: grande – piccolo; in alto - in e conosce. Le attività sono orientate all’acquisizione dello schema corporeo e alla
basso; dentro – fuori; maggiore – minore; consapevolezza di ogni singola parte del corpo. Ad ogni incontro i bambini realizzeranno
sopra – sotto. una parte del puzzle del corpo che porteranno a casa alla fine del progetto.
• La realizzazione del puzzle
raffigurante la sagoma del corpo di un
bambino preso a campione. Inoltre,
l’assembramento di pezzi di un puzzle è
molto utile per far acquisire all’alunno la
sequenzialità logica (prima – dopo).
• Assembramento dei rotoli di carta
igienica dipinta di rosa da incollare sulla
sagoma del corpo umano tratteggiata
dall’insegnante per potenziare la percezione
dei segmenti corporei.

sezione 2 - UA

i. Apprendimenti che si intendono promuovere


ii. Competenza attesa: [indica il prodotto di conoscenza e il grado di riflessività dell’allievo in un determinato contesto e in alcune
situazioni d’uso, grazie alle “messa in opera” di abilità e processi; la competenza qui attesa rappresenta un profilo di riferimento,
dato che la sua riuscita è personalizzata, soggettiva e probabilistica].

• Conoscere i processi nascosti del proprio corpo e sviluppare la curiosità che permette di avviare le prime interpretazioni
sulla struttura e sul funzionamento del corpo (oggetti, fenomeni, viventi).
• Osservare con attenzione il proprio corpo accorgendosi del suo cambiamento.
• Individuare le posizioni di oggetti e persone nello spazio, usando termini come avanti/dietro, sopra/sotto, destra/sinistra
ecc e saperli distinguere.
• Segue correttamente le indicazioni verbali di un gioco.
• Acquisire la sequenzialità logica: prima - dopo
SA ESPRIMERE E COMUNICARE AGLI ALTRI EMOZIONI, Abilità/capacità [indicano il ragionamento, la logica
SENTIMENTI E ARGOMENTI del processo conoscitivo implicato nel percorso. Le
• ASCOLTA E COMPRENDE NARRAZIONI, CHIEDE E
abilità si possono raccogliere attorno ai principali
OFFRE SPIEGAZIONI, USA IL LINGUAGGIO PER
processi cognitivi; possono essere teoriche e pratiche]
PROGETTARE UN’ATTIVITÀ
Il bambino esercita le potenzialità sensoriali, conoscitive,
relazionali, ritmiche ed espressive del corpo, egli conosce
le diverse parti del corpo ed è in grado di rappresentarle.
Atteggiamenti/comportamenti [sono i modi di porsi e di fare dell’allievo di fronte alla realtà che sta studiando; sono oggetto di
osservazione mediante strumenti predisposti ad hoc]

• IL BAMBINO USA LA LINGUA ITALIANA, ARRICCHISCE E PRECI SA IL PROPRIO LESSICO, FA IPOTESI SUI
SIGNIFICATI.
Verifica e valutazione
SI PREDILIGONO STRUMENTI DI VALUTAZIONE E DI Indicatori:
OSSERVAZIONE, in quanto nella scuola dell’infanzia questi sono i metodi L’insegnante, attraverso la valutazione
più ottimali per la verifica degli obiettivi attesi. delle esperienze in itinere, valuterà
l'adeguatezza del percorso scelto rispetto
ai risultati ottenuti dai bambini, in
• L’insegnate valuterà strada facendo se le attività sono state un'ottica di continuo miglioramento
pensate in modo adeguato ed efficace. Per valutare se gli della qualità dell'offerta formativa. Gli
obiettivi sono stati raggiunti verrà compilata la griglia di indicatori a cui bisogna attenersi sono:
valutazione allegata. l’alunno raggiunge una propria
• PROPORRE UNA FILASTROCCA PER CONSOLIDARE autonomia personale; conosce il proprio
L’APPRENDIMENTO E SOPRATTUTTO PER RAFFORZARE corpo e le diverse parti che lo
LO SCHEMA CORPOREO, LA QUALE VERRÀ RIPROPOSTA compongono; conosce le differenze
ANCHE NELL’ATTIVITÀ LABORATORIALE (I BAMBINI sessuali; rappresenta il proprio corpo in
TOCCANO LA PARTE DEL CORPO ESATTA OGNI movimento.
QUALVOLTA CHE VERRÀ MENZIONATA):
ECCO UNA BELLA FILASTROCCA
CHE CI AIUTA AD IMPARARE,
A LAVORARE SUL NOSTRO SCHEMA CORPOREO
E … A NON DIMENTICARE!

COME NASCE UN CORPO

Metto in mezzo un bel bustino

Braccia e gambe per benino.

Metto il collo sopra il busto

Mani e piedi al punto giusto.


Sopra tutto una testina.

Ecco fatto un bel bambino!

Metti occhi, bocca e naso sul visino un po’ tondino, i


capelli sulla testa e il bambino fa gran festa!

N.B. SI PRECISA CHE LA SCELTA DI UN CORPO MASCHILE È


PURAMENTE CASUALE. NELLA CLASSE VERRANNO
PROPOSTE ANCHE ATTIVITÀ SULL’EDUCAZIONE DI GENERE,
PREVISTE, INOLTRE, DAL LIBRO DI TESTO ADOTTATO.
Articolazione del progetto didattico

(in via previsionale)

Tappe dell’unità Organizzazione di attività e di


(in fase progettuale l’indicazione delle tappe è indicativa; usando frecce direzionali è contesti/situazioni in vista dei processi
possibile, inoltre, segnalare un possibile ordine diverso del percorso didattico) cognitivi/metacognitivi, socio-relazionali

FASE 1: GIOCHI DI PERCEZIONE


CORPOREA: servono per acquisire
• I bambini faranno esperienza del proprio corpo in un primo e rafforzare la consapevolezza del
momento attraverso l’osservazione di ognuno allo specchio. Il proprio corpo, prima in modo
bambino conquista il mondo degli oggetti attraverso il proprio
globale e poi analitico (singole parti),
corpo, coordinando i movimenti e utilizzandoli in termini sempre per avere fiducia in se stessi e per
più precisi e differenziati. Il gioco, denominato “BAMBINO ALLO essere maggiormente sicuri nei
SPECCHIO”, si presenta come uno strumento finalizzato ad una movimenti e nella postura.
corretta organizzazione del corpo, del viso in particolare, alla
conoscenza delle diverse parti e alla loro corretta denominazione.
È importante che gli esercizi da effettuare “bambini allo specchio”
siano proposti gradualmente e che solo dopo un’esecuzione precisa
dei primi, si passi ai successivi.
• L’insegnante chiede a ciascun bambino di indicare dove si trova il
suo nasino (se sopra o sotto gli occhi, se è vicino o lontano rispetto
a loro), di che colore ha i capelli, la loro forma, dove sono
localizzati gli occhi e di che colore sono. Si propone anche il gioco
“LA FACCIA”, in cui i bambini toccano il proprio viso ascoltando
e ripetendo una filastrocca e poi lo rappresentano su un foglio
utilizzando anche uno specchio.
• Il lavoro con la pasta sale ha inizio. I bimbi sono alle prese con
l’impasto della pasta sale. Una volta mischiati gli ingredienti e
ottenuto un bel panetto soffice e malleabile, quest’ultimo è stato
colorato di rosa (con le tempere). Con l’aiuto dell’insegnante,
l’impasto verrà diviso in porzioncine da distribuire a ogni alunno,
in modo da lavorarlo (MANIPOLAZIONE DI OGGETTI,
ESERCIZIO DELLA MOTRICITÀ FINE) e formare, mediante un
bicchiere, la forma circolare del viso. Poi, sarà la volta dei capelli,
degli occhi, del naso e della bocca. I bambini si cimenteranno nel
realizzare pallini (occhi e naso) e serpentelli (capelli e bocca).
FASE 2:

• Riproduzione grafica del corpo umano da parte dei bambini con


apprendimento della filastrocca “Come nasce un corpo”: alcuni
bambini disegnano, su fogli diversi, il tronco, altri le braccia, altri
le gambe, altri le mani, e così via.
• Assembramento delle parti del corpo realizzate dalla sezione,
ripetendo la filastrocca tutti insieme.
• I bambini, divisi in due gruppetti “disegneranno”, sul pavimento,
la sagoma di una compagna, seguendone il contorno del corpo
(IMPORTANTISSIMO PER LA COSTRUZIONE DELLO
SCHEMA CORPOREO). Al termine, l’insegnante disegnerà con
un pennarello su un grande foglio la sagoma di due bambini con
dimensioni reali.
• L’insegnante chiederà ai bambini di assembrare le parti del corpo
della sagoma, la quale è stata trasformata in puzzle. Al fine di
eseguire in maniera ottimale quest’attività, è necessaria una
determinata dose di attenzione, la quale viene riconosciuta nelle sue
componenti di:
• attenzione SELETTIVA (capace di selezionare l'informazione); •
FOCALIZZATA (quando il soggetto è capace di rimanere su un
argomento e memorizzarlo);
• MANTENUTA (quando è capace di lavorare nel tempo su
quell'informazione);
• DIVISA (capacità di svolgere due compiti separatamente);
• SPOSTAMENTO DELL’ATTENZIONE (capacità di passare da
un compito all’altro).

FASE 3:

• Realizzazione del puzzle raffigurante la sagoma del corpo di una


bambina presa a campione. Inoltre, l’assembramento di pezzi di un
puzzle è molto utile per far acquisire all’alunno la sequenzialità logica
(prima – dopo).
• Creazione di un dado a sei facce, sulle quali sono state riportate alcune
parti del corpo.
• Sulla sagoma sono state adagiate le tessere del dado, al fine di garantire
un ripasso della posizione e dei nomi delle parti del corpo. Le tessere
delle parti del corpo sono, anch’esse, state disegnate e ritagliate
(sviluppando la motricità fine) dai bambini. In seguito, sono state
plastificate. Il dado è stato costruito e colorato insieme ai bambini in
modo da rendere la sezione artefice di un prodotto con cui giocare. In
ogni faccia del dado è stato posizionato un pezzo di scotch trasparente
e un pezzo di Patafix per poter cambiare a piacimento le parti del corpo
e personalizzare il dadone.
Repertorio di attività dell’UdA
Titolo di prove Tipo di Situazioni / Componenti Note metodologico didattiche
– attività Cfr in prova/attività; e contesti4 5
della
allegato le (modalità di conduzione intervento, predisposizione
grado di complessità competenza contesto, strategie e tecniche, strumenti, …)
consegne per
esteso

Guardarsi allo specchio Personale, Cognitiva/ Attività individuale di scoperta di sé


approcciando col proprio corpo Sociale e pratica e mediante l’utilizzo di uno specchio.
1-
Globale/ situazionale;

Noto Affettivo-
socio-
relaziona

Lavoro con la pasta di sale e Personale, Cognitiva/ Didattica laboratoriale con coinvolgimento di
lettura della filastrocca sul corpo Sociale e pratica e tutta la sezione; stile di apprendimento
2-
umano Globale/ situazionale; partecipativo e utilizzo di materiali nuovi e

Noto Affettivo- consueti (farina, acqua, sale, cartoncini,
socio- tempere, ...)
relazionale

3-... Costruzione del puzzle “umano” Personale, Cognitiva/ Didattica laboratoriale con coinvolgimento di
Sociale e pratica e tutta la classe; stile di apprendimento
Globale/ situazionale; partecipativo e utilizzo di materiali consueti
Noto Affettivo- (rotoli di carta igienica finiti, cartoncini,
socio- tempere, ...)
relazionale

4-... Realizzazione del “Magico Personale, Metacognitiv Didattica laboratoriale. Stile di


dado” e applicazione delle a apprendimento dinamico e coinvolgente, con
Sociale e
“Body flash cards” sulla l’utilizzo di materiali nuovi e consueti (carta,
Globale/
rispettiva parte della sagoma cartoncino, tempere, colori a pastello, colla a
Noto caldo)

4
SITUAZIONE: personale, sociale, globale (di studio, di lavoro), storico/universale; CONTESTO = noto, noto -
variato, nuovo (cfr. livelli documento certificazione nazionale).
5
Si riportano le COMPONENTI di un apprendimento competente in relazione alle fonti informative, che ci
permettono di leggere una competenza (cfr. Linee guida dei tecnici): componenti cognitiva/pratica e situazionale riferita
ai “risultati in situazioni e contesti variati”; componente affettivo-socio-relazionale in relazione a
“comportamenti/atteggiamenti”. componente metacognitiva riferita a “percezione del
lavoro/ricostruzione/giustificazione…”
SCHEDA DI OSSERVAZIONE SISTEMATICA PER I BAMBINI DI 3 ANNI

Scuola dell’Infanzia di ……………………………………………………………….. Sez. ……………………………………..

Nome: ………………………………………………………………… Cognome: ………………………………………………………………………….

IL SÉ E L’ALTRO

META’ ANNO FINE ANNO


Fascia di livello 1 2 3 4 1 2 3 4
Conoscere l’ambiente
scolastico
Conoscere il nome dei
I compagni e delle maestre
N Riconoscere i simboli distintivi
D del proprio gruppo
I Accettare i ritmi della vita
C scolastica
A Avere cura dei propri oggetti
T
O Condividere con i compagni le
R emozioni del distacco
I Condividere momenti di gioia

Svolgere le attività
autonomamente

IL CORPO E IL MOVIMENTO

META’ ANNO FINE ANNO


Fascia di livello 1 2 3 4 1 2 3 4
Partecipare alle attività di
gioco libero
Partecipare a giochi
I
organizzati: conoscere le
N
regole e rispettarle
D
I Rapportarsi con gli oggetti in
C relazione con gli altri
A Sviluppare la propria identità
T corporea
O Nominare le parti del corpo
R riconoscendole allo specchio
I Muoversi autonomamente
nello spazio scuola
Rappresentare graficamente il
proprio corpo
IMMAGINI, SUONI, COLORI

META’ ANNO FINE ANNO

Fascia di livello 1 2 3 4 1 2 3 4
Ascoltare storie, racconti e
dialoghi
Conoscere i colori primari
Usare il segno grafico per
I produrre scarabocchi
N Esplorare i materiali che si
D hanno a disposizione
I Utilizzare e manipolare con
C creatività materiali vari
A Mostrare interesse per
T l’ascolto della musica
O Riprodurre semplici
R ritmi(veloce/lento,
I piano/forte)
Riprodurre suoni e rumori con
materiali vari
Distinguere rumore e silenzio

Ascoltare e riprodurre i suoni


dell’ambiente e della natura

I DISCORSI E LE PAROLE

ASCOLTO E COMPRENSIONE

META’ ANNO FINE ANNO
Fascia di livello 1 2 3 4 1 2 3 4
I Ascoltare le parole
N
D dell’insegnante
I Ascoltare un breve racconto
C con l’uso di immagini
A
T Ascoltare le parole dei
O compagni
R
I
Comprendere ed eseguire una
semplice consegna

PARLATO

Esprimere i propri bisogni


I
Rispondere a semplici
N
domande
D
I Raccontare il proprio vissuto
C Formulare una frase minima
A
T Pronunciare correttamente le
O parole
R Utilizzare parole nuove
I
Partecipare a semplici giochi
linguistici
Memorizzare semplici
filastrocche e canzoni
LA CONOSCENZA DEL MONDO

META’ ANNO FINE ANNO


Fascia di livello 1 2 3 4 1 2 3 4
Osservare, manipolare e
descrivere i materiali e gli
oggetti utilizzando le
proprietà percettive dei sensi
Riconoscere i colori
fondamentali
I Riconoscere le principali
N forme geometriche
D (cerchio,quadrato, triangolo)
I Raggruppare elementi per
C forma e colore
A Distinguere piccole quantità
T
O Opera semplici conteggi
R Orientarsi nel tempo presente
I
Orientarsi nel tempo
attraverso la routine
Raccontare ciò che si è fatto
Scoprire le relazioni di causa-
effetto
Orientarsi negli spazi noti.
Riconoscere semplici
proprietà topologiche.
Esegue un semplice percorso
Guardare, osservare,
verbalizzare quello che si
vede intorno a sé.


GIUDIZIO FINALE

Fascia di Livello 1 2 3 4
C
A
M IL SE’ E L’ALTRO
P
I
IL CORPO E IL
DI MOVIMENTO
E
S IMMAGINI, SUONI,
P COLORI
E
R ASCOLTO
I
E
N
PARLATO
Z
A LA CONOSCENZA
DEL MONDO




1. LIVELLO AVANZATO (pieno raggiungimento degli obiettivi)

2. LIVELLO INTERMEDIO (discreto raggiungimento degli obiettivi)

3. LIVELLO BASE (essenziale raggiungimento degli obiettivi)

4. LIVELLO INIZIALE (parziale raggiungimento degli obiettivi)

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