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La pedagogia è un SAPERE, una DISCIPLINA, una SCIENZA caratterizzata dall'interazione fra TEORIA
e PRASSI (cioè conoscere ed applicare le sue conoscenze alla vita pratica) ed ha come oggetto di studio la
FORMAZIONE (sintesi fra i fattori di natura umani, i processi e le pratiche sociali e culturali
dell'educazione, quindi tra SOGGETTO, SOCIETA' e CULTURA.
L'EDUCAZIONE all'interno della pedagogia dev'essere quindi conosciuta ed assimilata per essere
riproposta in maniera INTENZIONALE all'interno di tutti i suoi livelli, e dev'essere FLESSIBILE, cioè
deve recuperare la dimensione teorica per adattarla alle situazioni in esame.
La pedagogia è in continuo cambiamento, alla continua ricerca della propria identità (ricerca che è iniziata
dalla seconda metà del '900) e per questo appare contraddistinta da una naturale disponibilità a lasciarsi
“contaminare” da altri saperi continuando, però, ad elaborare i propri punti di vista autonomamente.
Col termine FORMAZIONE si intende la sintesi fra le determinanti dello sviluppo ed i processi e le pratiche
dell'educazione e dell'istruzione per dare forma al soggetto, consentendogli quindi, di formarsi per
emanciparsi dai rischi di un'ASSENZA DI CURA che potrebbero portarlo ad una condizione di abbandono.
L'obbiettivo è quello di fare in modo che l'individuo possa arrivare a formarsi autonomamente (in quanto
questa condizione potrebbe poi tradursi in una condizione di indipendenza) e a trasformarsi di fronte ai
cambiamenti dettati o richiesti dalla vita, che possono essere sia materiali che psicologici. Essa possiede,
quindi una duplice dimensione: la prima è relativa al “DAR-FORMA”, la seconda, invece, riguarda il
“FORMAR-SI”.
La pedagogia ambisce ad una formazione che faccia in modo che nel soggetto vengano coltivate
contemporaneamente tutte le diverse sfere che lo caratterizzano. In questa crescita dev'essere accompagnato
dall'educazione e dall'istruzione, in modo che possa acquisire AUTONOMIA. Se codì non fosse ci
potrebbero essere degli ISMI, cioè delle situazioni in cui l'individuo ha una sfera sviluppatissima ed un'altra
totalmente assente trovandosi, quindi, in una situazione di malessere (es. la sfera sociale-relazionale è molto
sviluppata ma l'individuo è abbandonato sul piano emotivo). Le sfere sono cinque:
FISICA
COGNITIVA
EMOTIVO-AFFETTIVA
ETICA SOCIO-RELAZIONALE
ESTETICA: riguarda la capacità dell'uomo di creare ciò che non esiste in natura.
Si può quindi affermare che la formazione che la pedagogia utilizza è MULTIDIMENSIONALE. Essa
vuole anche cercare di trovare un equilibrio tra l'AUTONOMIA INDIVIDUALE e la RESPONSABILITA'
SOCIALE dell'individuo.
AUTONOMIA INDIVIDUALE: è un concetto DINAMICO perché può cambiare nel tempo (comprendendo
non solo progressi ma anche REGRESSIONI e BLOCCHI). Infatti, il soggetto, causa fattori esterni, può
AUMENTARE, DIMINUIRE o PERDERE la propria autonomia. L'educazione, in questo caso, può essere
intesa come SOSTEGNO ALL'AVANZAMENTO DELL'AUTONOMIA DEL SOGGETTO, come
MEZZO PER RECUPERARE IL REGREDIMENTO DEL SOGGETTO oppure come mezzo di
PREVENZIONE in modo da evitare che il soggetto abbia delle SACCHE DI FRAGILITA' che
potrebbero portarlo alla PERDITA della sua autonomia. È anche un concetto FUNZIONALE perché
riguarda allo stesso tempo diverse aree di funzionamento (fisico, psicologico, sociale o culturale). La
pedagogia, quindi, si occupa e si interroga su come poter aiutare il soggetto a compensare le aree in cui è più
carente, per renderlo autonomo e SOCIALMENTE RESPONSABILE, cioè fargli capire che, essendo
inserito in una società, deve tenere in considerazione anche gli altri individui e le loro esigenze, non solo le
proprie.
L'educazione, anche nella sua forma di ISTRUZIONE (che ne è il mezzo perché attraverso di essa io educo)
è un processo/una pratica di RISTRUTTURAZIONE (perché si modificano le strutture dell'individuo) e di
RIORGANIZZAZIONE (perché le strutture riorganizzano il proprio funzionamento) delle proprie
esperienze di vita. Tale riorganizzazione avviene in diversi contesti fisici, sociali e culturali. L'educazione e
l'istruzione vanno considerate processi e pratiche di MODIFICABILITA' UMANA e COLLETTIVA con
le quali è possibile emancipare i soggetti dai vincoli della natura ma anche dalle forme di soppressione di
genere, per esempio. È quindi possibile affermare che l'ISTRUZIONE COINCIDE CON UN MEZZO DI
EDUCAZIONE ED E' QUINDI UN MEZZO DI COSCIENTIZZAZIONE.
PEDAGOGIA DIDATTICA
Si intende il sapere TEORICO e PRATICO Parte del sapere pedagogico che è interessato
all'insegnamento del sapere TEORICO e
CULTURALE ai soggetti e che vuole metterli in
condizione di generare un sistema
simbolico-culturale a seguito dell'apprendimento. È
quindi interessata ai processi ed alle pratiche di
INSEGNAMENTO-APPRENDIMENTO nella
loro reciprocità.
È possibile, infine, parlare di educazione e di apprendimento in senso complessivo, nell'età, nei luoghi e nella
vita:
1. LIFELONG LEARNING EDUCATION: termine che indica l'importanza che l'educazione venga
sostenuta sul piano pedagogico come un processo che coinvolge la ricostruzione costante
dell'esperienza della vita;
2. LIFEWIDE EDUCATION: pratica che riguarda la vita umana ed i differenti luoghi di essa che
diventano luoghi dell'educazione e dell'apprendimento;
3. LIFEDEEP EDUCATION LEARNING: vede le dimensioni della vita come dimensioni
dell'educazione/dell'apprendimento.
Nel 1967 viene pubblicato “Assiomi della comunicazione umana”, scritto da Paul Watzlawich ed i suoi
collaboratori, un volume importante sul piano culturale anche per l’influenza che gli studi che confluiscono
in questo volume hanno avuto per diverse discipline. Esso sintetizza il pensiero in quel momento emerso
dagli studi della scuola di Palo Alto in California. Negli anni ’60 c’erano stati una serie di studi importanti
sulla scatola nera, si era iniziato a porre attenzione al fatto che quando un aereo cadeva o una nave affondava
era possibile capire ciò che era successo non andando ad individuare cosa era successo nel momento stesso in
cui l’incidente si verificava, ma era importante ricostruire la comunicazione che la scatola nera manteneva in
memoria e poteva quindi informare su tutto quello che era stato il viaggio svolto dal mezzo di trasporto. La
memoria quindi non può andare a ricostruire soltanto il singolo frammento ma per interpretare
opportunamente ha necessità di ricostruire l’intera storia. Questo volume riporta nelle sue righe un’altra
considerazione. C’era un uomo anziano che camminava dietro ad un muro starnazzando come un’oca. Le
persone che lo vedono pensano che sia un vecchio affetto da demenza senile e questo è tale finché qualcuno
non decide si arrampicarsi sopra il muro e vede che l’uomo è seguito da un’oca. Quindi si riconosce in
quell’uomo la figura di Conrad Lorenz che compie i suoi studi sull’imprinting con l’ochetta Martina. Si
comporta quindi con l’ochetta come farebbe la mamma dell’oca. Di questa questione interessano le ricadute
pedagogiche. Chi vedeva l’uomo starnazzare come un’oca pensava che fosse affetto da demenza senile.
Questo perché le persone coglievano di quello che stava accadendo soltanto quell’aspetto. Quando però
qualcuno decide di arrampicarsi sul muro per vede cosa succede e riconosce nell’uomo Lorenz che fa gli
esperimenti con l’ochetta Martina ed è stato possibile comprenderlo perché il soggetto non ha inteso solo ciò
che accadeva ai suoi occhi ma ha inteso riportare quel comportamento all’interno del contesto in cui avviene
la comunicazione.
In questo testo si delineano i cinque assiomi della comunicazione umana:
PRIMO ASSIOMA METACOMUNICAZIONALE: cioè la comunicazione comunica di sé stessa,
affermando che tutto è comunicazione e non si può non comunicare. La comunicazione non è solo quella
verbale ma anche quella gestuale, è anche lo sguardo, è anche grafica, pittorica, musicale. Quindi se ne
deduce che con comunicazione non s’intende solamente quello che il soggetto intenzionalmente comunica.
La ricaduta di questo assioma è fondamentale perché significa che chi usa la comunicazione dev’essere
consapevole che sta sempre comunicando e che l’altro recepisce indipendentemente dall’intenzionalità della
comunicazione e anche la comunicazione non intenzionale può avere delle ricadute sul soggetto che la
recepisce. Spesso gli atteggiamenti comunicano spesso molto di più di quanto si immagini. Occorre quindi
porre un’attenzione fondamentale anche a quello che si sta comunicando laddove non si controlla in maniera
intenzionale la propria comunicazione.
SECONDO ASSIOMA: quando si comunica si comunica il contenuto ma si comunica anche la relazione
entro la quale si sta comunicando. Di fatto è il tipo di relazione che stabilisce come e che cosa si può
comunicare in quanto, cambiando le relazioni ed i contesti la comunicazione può assumere significati
profondamente diversi. Una comunicazione non solo trasmette informazioni ma, allo stesso tempo, determina
un certo tipo di relazione, stabilisce quale rapporto ci dev’essere fra i comunicanti stabilisce come si
comunica. Questo significa che il soggetto all’interno di diverse relazioni può comunicare soltanto quei
contenuti che hanno a che fare con quel tipo di relazione, è il tipo di relazione che stabilisce che cosa e come
il soggetto può comunicarlo.
TERZO ASSIOMA: sostiene che la natura della relazione dipende da quello che si definisce feedback o
risposta di ritorno, quindi la comunicazione non è da considerarsi quale emissione di un messaggio per
qualsiasi canale che dà luogo ad una comunicazione nei confronti di qualcun altro. Con comunicazione
s’intende la punteggiatura della comunicazione che si caratterizza per costanti risposte di ritorno. In questo
caso l’assioma è molto rivoluzionario perché introduce il concetto di “feedback” che diventa anche un
regolatore determinante della qualità della comunicazione perché attraverso di esso il soggetto comprende se
la comunicazione che ha emesso è stata completamente compresa dall’altro e viceversa. La scuola di Palo
Alto, infatti, sostiene che all’interno della comunicazione il feedback riveste un’enorme importanza poiché il
processo di comunicazione non va più inteso come un processo unidirezionale e lineare per cui l’emittente
invia un messaggio al ricevente ed il ricevente risponde indipendentemente dal segnale ricevuto. Piuttosto il
sistema di comunicazione ha una funzione ricorsiva in cui il segnale inviato da un soggetto influenza in
maniera determinante il ricevente che influenza il mittente e così via. Diventa quindi arbitrario e soggettivo
stabilire il punto d’inizio della comunicazione. Se la comunicazione non produce il risultato desiderato può
essere fondamentale considerare che questa sia il problema e che quindi vada rivista.
QUARTO ASSIOMA: gli esseri umani comunicano sia con il MODULO ANALOGICO che con quello
NUMERICO.
MODULO NUMERICO: la comunicazione numerica è quella che si riferisce alla dimensione verbale
rispetto alla quale viene ad esserci un intervento immediato e diretto tra la parola che il soggetto enuncia ed il
suo significato. Di fatto, questo è tale all’interno di una convenzione semantica che quindi si caratterizza in
maniera diversa all’interno di diverse culture e gruppi di appartenenza.
MODULO ANALOGICO: è una comunicazione tendenzialmente non verbale che sfrutta il resto dei canali
comunicativi (es. tono della voce, sguardo) per aumentare la quota della comunicazione numerica. Il punto è
che questo tipo di comunicazione diventa rischiosa quando l’uomo non ne padroneggia l’uso o non ci si
rende conto del rischio che si corre in caso in cui se ne faccia in modo distorto. QUAL E’ L’ELEMENTO
FONDAMENTALE DI ATTENZIONE CHE SUGGERISCE QUESTO ASSIOMA? La comunicazione
paradossale dà luogo ad un messaggio che contiene dentro gli esatti opposti e che si traduce nell’altro
l’impossibilità di comprendere che cosa l’altro si aspetta dal soggetto e quindi di rendere il proprio
comportamento in risposta all’altro imprevedibile. La comunicazione di questo tipo si carica di ambivalenza,
è distruttiva perché mette l’altro in una condizione di non sapere che cosa gli altri si aspettano veramente o
che cosa deve fare. La comunicazione paradossale è il peggior tipo di comunicazione nei confronti dell’altro,
soprattutto verso chi si trova con il soggetto in rapporto affettivo.
QUINTO ASSIOMA: tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari, a seconda che
siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza. È simmetrica la relazione paritaria tra partner e quando la
reazione dell’uno rispecchi quella dell’altro. È complementare la relazione in cui uno dei due partner è in
posizione up e l’altro down. È determinante che chi è nella relazione capisca chiaramente se è all’interno di
una relazione paritaria o complementare perché nel caso in cui non lo fosse si genererebbero conflitti e non
sarebbe quindi un rapporto educativo.
Tenuto conto delle differenze di stili di apprendimento e cognitivi, tempi e ritmi di apprendimento di
cognizione e di formae mentis emerge la necessità di corrispondere ad una formazione individualizzata,
cioè funzionale a consentire a ciascuno di raggiungere gli stessi obbiettivi, ma anche personalizzata, che
consente a ciascuno di raggiungere gli obbiettivi previsti attraverso la valorizzazione delle abilità
personali nei propri ambiti di eccellenza. Emergono la ridefinizione concettuale dell’infanzia e della
pluralità delle dimensioni di sviluppo, il riconoscimento del determinismo delle esperienze infantili, che
non sono solo quelle cognitive ma che con la psicologia dell’eros anche quelle emotive e affettive che
possono avere delle ricadute a tutto tondo nella vita adulta. Il bisogno, dunque, di individuare modalità
opportune per promuovere e sostenere in maniera sana l’integrazione tra logos ed eros, mente e corpo,
ragione e desiderio e la necessità di assolvere la predisposizione di contesti di vita in cui è possibile
essere garantiti nella sicurezza, affettiva in particolare, e sperimentarsi, anche a livello cognitivo,
attraverso una sana comunicazione nella fiducia e nell’efficacia personale (slide, 3 punto, parentesi).
L’importanza di una continuità funzionale fra processi di sviluppo e intervento formativi, cioè conoscere
i processi di sviluppo per orientare i processi di educazione attraverso pratiche coerenti e congruenti, da
compiere nell’ottica dell’educazione permanente, cioè nella consapevolezza che l’educazione riguarda
tutta la vita, e di un sistema formativo integrato, a cui possono concorrere allo stesso tempo non solo la
scuola ma anche la famiglia, ma anche le altre agenzie di tipo culturale, sportivo, che vanno, insieme alla
scuola e alla famiglia, a concorrere alla formazione.
IL CONTRIBUTO DELL’ALTROPOLOGIA
L’incontro con l’antropologia offre alla pedagogia l’opportunità di tematizzare nello specifico il peso che le
variabili culturali esercitano sulla strutturazione e sull’evoluzione della mente nonché sugli specifici aspetti
della formazione e quindi sulla dimensione fisico-motoria, emotivo-affettiva, su quella etica, su quella
estetica. L’antropologia consente di mettere in evidenza come la mente si costituisce in relazione ai sistemi di
rappresentazione della realtà, in quanto lo sviluppo della mente non è un fatto inteso solamente in senso
biologico ma è culturalmente segnato dai sistemi di rappresentazione della realtà, cioè in relazione a quelle
reti simboliche che vengono condivise all’interno della realtà di appartenenza. Tali reti simboliche,
conservate e trasmesse da una generazione all’altra sotto forma di tradizioni culturali, concorrono a
caratterizzare l’identità culturale del singolo e dell’intera collettività. In questo senso l’antropologia consente
di considerare che la soggettività individuale si costruisce in situazione, ossia in determinati contesti
culturali. L’attenzione specifica dell’antropologia andrà ai processi ed alle pratiche di inculturazione, che
appaiono costantemente sempre più intrecciarsi a quelle di acculturazione a seguito degli scambi costanti tra
diverse culture che possono essere interne o esterne al contesto locale di appartenenza.
INCULTURAZIONE: con questo termine s’intende in modo generale, il processo o fascio di processsi
inconsapevoli o consapevoli, spontanei o organizzati, attraverso cui vi è processo di trasmissione all’interno
della cultura di origine con la quale essa viene trasmessa dalle generazioni precedenti alle generazioni nuove;
ACCULTURAZIONE: si intendono i processi di scambio che si verificano per il contatto tra culture diverse
tra loro.
L’antropologia inizierà ad interessarsi a tematiche come l’alterità culturale, cioè a prendere atto che lo
sviluppo individuale può essere soltanto pensato e trattato all’interno della cultura che lo ha reso possibile e
quindi la differenza culturale diventa una chiave determinante per comprendere la specificità dei soggetti,
non solo, anche dell’importanza di tenere contro anche dei rapporti fra popoli che hanno culture differenti,
quindi anche come la differenza tra le culture diventi un elemento da tenere in considerazione negli scambi e
nelle relazioni dei diversi popoli.
E. B. Tylor (1832-1917): viene ad essere ricordato perché si pone assertore dell’unità psichica della cultura
considerandola qualcosa che caratterizza tutti i popoli e quindi fa da base comune a livello psichico ai
soggetti che appartengono ai diversi popoli. La cultura viene intesa come quell’insieme complesso che
include la CONOSCENZA, la CREDENZA, l’ARTE, la MORALE, il DIRITTO, il COSTUME e
qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società. Sottolinea l’uguale
legittimità e dignità delle culture e quindi mette in evidenza come, di fronte all’ipotesi di operare una loro
stadializzazione, e quindi arrivare a distinguere culture che presentano dei caratteri di avanzamento rispetto
alle altre forme di aggregazione sociale e culturale e dire che alcune condizioni di raggruppamento sociale e
culturale possono essere considerate inferiori di fronte a culture che hanno diritto ad essere definite tali per
riconosciuti caratteri di progresso laddove questi vengono ad essere valutati, Tylor sostiene che non è
possibile dire che alcune culture valgono più di altre in quanto con cultura intendiamo l’insieme complesso
dei fattori e qualsiasi abitudine che l’uomo ha acquisito come membro di una società e di un gruppo etnico.
In questo senso in tutte le società ed i gruppi etnici si rintraccia la presenza di questo insieme complesso che
però differisce l’uno dall’altro. Quindi è impossibile dire che alcuni popoli presentano cultura e altri no o che
alcuni popoli hanno culture più importanti di altre. I popoli, costruendo diversi valori e significati, dando
luogo a culture differenti tra loro che hanno uguale dignità e legittimità. Tylor restituisce uguale dignità e
legittimità alla pluralità delle tecniche e degli strumenti ma anche alle molteplici forme di rappresentazione
della realtà e dell’agire sociale, alla varietà delle fedi e dei sistemi di valori elaborati nel corso del tempo
dalle diverse società umane, anche se Tylor sottolineerà che esistono popoli con differenti gradini di livello
evolutivo: vi sono popoli primitivi e popoli sviluppati e avanzati. Partendo da questo presupposto proporrà il
metodo comparativo-evolutivo che si proponeva di andare a distinguere, facendo una comparazione tra
diverse culture, il diverso livello di evoluzione tra le diverse culture. In questo caso questo metodo
contraddistinguerà la bontà dell’antropologia nel dare uguaglianza ai popoli dicendo che la cultura è qualcosa
di cui dispongono tutti i popoli ma avrà, per certi aspetti, il ricorso a questa ulteriore prospettiva di Tylor, un
carattere involutivo perché arriverà ad introdurre una classificazione dei popoli che strumentalizzata in alcuni
contesti ha potuto essere elemento di rimostranza e/o sottolineatura di ipotesi stadiali etnocentriche evolutive.
Lèvy-Bruhl(1857-1939): nel 1910 pubblica “Le funzioni fondamentali delle società inferiori” in cui
prenderà la distanza dall’approccio evoluzionista e si mostra contrario ad immaginare una lettura della
differenza tra una cultura e l’altra in base ad una visione stadiale interessata a ricostruire i diversi livelli di
evoluzione introducendo il concetto di mentalità primitiva. Egli distingue due tipi di mentalità: una CIVILE
o LOGICA ed un’altra PRIMITIVA o PRELOGICA, sottolineando che la differenza tra le due non
riguarda una gerarchizzazione ma riguarda una differente organizzazione sociale caratterizzata da specifici
codici linguistici, tradizioni, sistemi di valori, pratiche rituali. Egli si affranca quindi dal dire che una
mentalità appartiene a certe culture e un’altra ad altre. Egli conclude dicendo che tutti i popoli hanno allo
stesso tempo queste due forme di cultura. La specificità dei popoli primitivi non va cercata in una carenza di
logicità ma bensì in un differente orientamento della logicità che è caratterizzato da un dominio prevalente
dell’esperienza mistico affettiva. Questa lettura propone una forte emancipazione dall’approccio del
positivismo evoluzionistico, che poneva di fronte al rischio di assimilare le culture primitive all’infanzia
dell’umanità perché ancora non avevano sviluppato la logica e piuttosto che preoccuparsi della storia di
questa specificità Lèvi Bruhl vuole prendere in considerazione le strutture invarianti intendendole come
costanti prestrutturali, cioè considerando che entrambe queste due mentalità compresenziano in tutte le
strutture. La dimensione mistico-affettiva viene riconosciuta come una di queste invarianti strutturali dello
spirito umano accanto alla dimensione razionale. Quindi quelle che si sarebbero considerate culture primitive
si rintraccia allo stesso tempo forme di mentalità primitiva e logica così come in quelle che si considerano
colture evolute compresenziano le forme di capacità logica e prelogica.
L’ANTROPOLOGIA fornisce il suo contributo sul concetto di RELATIVISMO CULTURALE e
RELATIVISMO LINGUISTICO attraverso autori come Boas e Malinowski che tra l’800 e la prima parte
del ‘900 studiano gli indiani d’America. Saranno molto importanti perché introdurranno il metodo
dell’OSSERVAZIONE PARTECIPANTE che si caratterizza per una tipologia d’indagine di tipo
QUALITATIVO, SOGGETTIVO, INTERSOGGETTIVO perché di fronte al repertorio che coincide con
i metodi e le tecniche d’investigazione (le scienze esatte) che si affrancano dal ricorso delle modalità che
invece sono di tipo qualitativo perché prediligono un controllo delle variabili di tipo oggettivo entro le
istanze d’indagine di tipo sperimentale gli antropologi considerano l’importanza dell’osservazione
partecipante come metodo investigativo perché per comprendere la cultura non la si può comprendere
dall’esterno, piuttosto penetrarla dall’interno e quindi entrare in un rapporto intersoggettivo che permette allo
stesso tempo al soggetto che investiga la cultura di esserne contaminato per meglio capire e penetrare nel
repertorio simbolico di ciascuna cultura anche proprio attraverso il linguaggio, così da raccogliere la vera e
più profonda complessa articolazione di valori e significati. In questo caso l’osservazione partecipante evita i
rischi di astrarre generalizzazioni interpretative considerando invece la specificità delle diverse
organizzazioni culturali e pur confermando il principio dell’uniformità dello spirito umani, cioè di una base
psichica comune a tutti gli individui i due autori arrivano a sostenere la straordinaria varietà tra le culture e la
necessità di conoscere a fondo la specificità delle loro articolazioni interne. Secondo loro nei popoli primitivi
magia e tecnica coesistono e si integrano. Ritengono che un modo per accostarsi alle differenze di culture sia
lo studio della lingua perché è la lingua che descrive la variabilità simbolico formale dei vari popoli
permettendo di comprendere i modi particolari in cui i popoli rappresentano e concettualizzano la realtà
oggettiva al modo interiore. La lingua conserva e trasmette la psicologia dei popoli e i significati collettivi
codificati nelle tradizionali reti simboliche. Il nesso che lega la lingua al pensiero e alla cultura spingerà gli
antropologi ad avvalersi sul piano investigativo, in funzione di un’interpretazione autentica di testimonianze
orale e di documentazioni scritte.
E. Sapir(1884-1939) e B.L. Whorf: propongono l’ipotesi Sapir-Whorf basata sul relativismo culturale
legato alla pluralità dei sistemi linguistici. Dagli studi di questi autori si hanno sollecitazioni e stimoli in
chiave anti-etnocentrica, adottate già dal secondo dopoguerra, con numerose risoluzioni nazionali e
internazionali che affermano e ribadiscono riconoscimento e parietà totali di lingue, culture, etnie e fedi
differenti. Di fatto l’antropologia si confronta dapprima con il mondo coloniale, i nazionalismi e dunque lo
studio dell’antropologia avrà anche delle ricadute funzionali a fare in modo che i popoli si rendano conto che
non ci si può nascondere di fronte al concetto di cultura per immaginare un diverso valore dell’umanità,
piuttosto a riconoscere le pari dignità tra le culture immaginando risoluzioni nazionali ed internazionali che
sono state di supporto via via all’acquisizione di condizioni di democrazia o di socialità interessata ad una
condizione di più ampio rispetto dell’umanità.
C. Lévi-Strauss: sostiene il fallimento delle vecchie concezioni di progresso e di evoluzione. Ripropone,
arricchendoli, i temi del relativismo e dell’anti-etnocentrismo. Si pone alla ricerca delle strutture logiche che,
secondo lui, sono alla base di tutte le culture. Sono i codici universali in base ai quali si concettualizzano e si
organizzano i dati dell’esperienza, al di là delle svariate modalità d’uso applicativo. Considera che
indipendentemente dal fatto che le culture possono mostrare diversi modi di applicare i codici universali con
i quali si perviene a concettualizzare ed organizzare i dati dell’esperienza, tutte le culture hanno alla base le
stesse strutture logiche. Supera, quindi, l’evoluzionismo che adduceva ai primitivi un pensiero infantile e
dichiara che tutte le culture presentano caratteri di sistematicità e razionalità nel loro modo di vivere e
pensare e questo è vero anche per quelle culture che secondo il senso comune sarebbero state considerate
culture primitive. Riprende così la prospettiva di C. Lèvy-Bruhl che era interessato a rintracciare una
struttura primaria comune ad ogni cultura, generalizzabile ad ogni cultura. Identifica, così, nelle strutture
mitologiche il nucleo per risalire allo studio generale delle regole che governano la cognizione umana. Cioè
sostiene che tutte le culture hanno dei miti, cioè delle grandi narrazioni, attraverso cui si spiegano la loro
origine, miti che poi vengono ad essere riconfermati attraverso una ritualità collettiva che viene ad essere
tramandata da generazione in generazione e che quindi va a segnare la costruzione e la soggettività
individuale. Miti e riti arcaici diventano quindi la base per comprendere e interpretare il funzionamento dei
processi mentali, ritenuti ricchi e articolati, e riducibili a specifiche costanti universali e leggi necessarie con
cui spiegare le molteplici manifestazioni presenti sulla terra. Da questo modello che lega il cognitivismo con
l’antropologia Lévi-Strauss formula la tesi del pensiero selvaggio come un pensiero dotato su una logica
coerente che si basa su immagini concrete piuttosto che su astrazioni tipica della logica delle scienze e
poggia su nessi associativi comprensibili solo nei contesti etnografici di riferimento. Cioè il pensiero
selvaggio non si avvale delle immagini astratte ma con immagini concrete che possono essere comprese
soltanto se si va a permeare la cultura che le ha messe a punto. Si parla di un pensiero ad uno stato selvaggio
dal quale possono scaturire e prodursi le innumerevoli forme di concettualizzazione umana. Di conseguenza
il pensiero selvaggio è da intendersi come luogo simbolico in cui coesistono le varie attività del pensiero:
dalla magia al mito, dall’arte al gioco. È il denominatore comune delle molteplici forme in cui la razionalità
si può e si manifesta e contiene l’insieme delle possibilità espressive e comunicative, cognitive e
immaginative, estetiche e affettive in cui l’umanità ha costruito e continua a costruire la propria storia.
Vengono in questo caso nuovamente rivisitati e specificati i concetti di uguaglianza e differenza in una
lettura che riconosce la cultura umana nella convivenza di molteplici significati, codici, logiche, dimensioni
cognitive e affettive. Se le istanze dell’uguaglianza e della differenza vengono separate pensiero e
immaginazione si amplificano al punto da perdere la propria ricchezza.
Negli ultimi anni l’antropologia si è occupata della dialettica che intercorre tra vincoli genetici, dati quindi
dalle variabili dello sviluppo, e la produzione culturale che riguarda la capacità dell’uomo di dare forma ad
un mondo extragenetico. La scissione tra natura e cultura viene ad essere ricomposta perché si arriva alla
consapevolezza che la cultura è intrinseca alla natura umana, cioè l’uomo è un animale culturale e quindi la
natura umana viene riletta nei suoi rapporti di continuità on la cultura. Geertz si è fatto interprete di questa
istanza, proponendo una lettura delle culture come sistemi ordinati di significati, intrecciati e interni alla
dialettica sociale. Il pensiero umano, proprio come la cultura è per l’autore un fatto sociale e pubblico e
l’habitat in cui vive in maniera naturale il pensiero sono quei luoghi che permettono un traffico di simboli e
segnali, un loro ordine e una loro ricomposizione continua e socializzata. A questo riguardo l’approccio
paleoantropologico di Geertz è radicale: l’uomo è animale disperatamente dipendente dai meccanismi
extragenetici di controllo dei simboli, cioè della cultura. Da questo modello che lega COGNITIVISMO e
ANTROPOLOGIA Lévi-Strauss formula la TESI DEL PENSIERO SELVAGGIO quale pensiero dotato
di una logica coerente che si basa su immagini concrete piuttosto che su astrazioni (tipica della logica delle
scienze) e che poggia su nessi associativi comprensibili soltanto all’interno dei contesti etnografici di
riferimento. Quindi, non si tratta di un pensiero selvaggio proprio di popoli selvaggi nell’accezione di
primitivi, bensì di pensiero allo stato selvaggio dal quale possono scaturire e prodursi innumerevoli forme di
concettualizzazione umana. Il pensiero selvaggio si presenta come luogo simbolico in cui coesistono,
sommerse, le varie attività del pensiero (dalla magia al mito, alla scienza, dall’arte al gioco). È il
denominatore comune delle molteplici forme in cui la razionalità si può e si è manifestata. Esso contiene
l’insieme delle possibilità espressive e comunicative, cognitive e immaginative, estetiche e affettive con cui
l’umanità ha costruito e continua a costruire la propria storia. Vengono nuovamente rivisitati e specificati i
concetti di UGUAGLIANZA e DIFFERENZA, in una lettura che riconosce la cultura umana nella
convivenza di molteplici significati, codici, logiche, dimensioni cognitive e affettive. Laddove queste due
istanze vengano separate, pensiero e immaginazione si semplificano al punto di perdere la propria ricchezza.
La SOCIOLOGIA si interessa alla socializzazione come contesto di costruzione delle identità e delle
appartenenze ed intende la socializzazione intesa come l’insieme dei processi attraverso i quali l’individuo
sviluppa lungo tutta la vita e nei contesti di vita quindi nell’ambiente esterno che va ad essere considerato
non solo sul piano fisico ma specificatamente sul piano sociale. In termini pedagogici l’interesse della
sociologia rimanderà ai concetti di educazione permanente, cioè di educazione per tutta la vita, e anche di
sistema formativo integrato concentrandosi anche sui luoghi di vita come luoghi dell’educazione. Il tema
della socializzazione viene ad essere assunto nei termini prima della SOCIALIZZAZIONE PRIMARIA,
cioè quella che il soggetto vive dalla sua nascita all’interno dell’ambiente famigliare e quindi nella famiglia
viene socializzato attraverso i rapporti verticali (rapporto genitori figli) alle modalità con le quali nella
società esterna è possibile avere dei legami verticali, così come fa esperienza anche dei legami orizzontali
(cioè tra pari). La socializzazione primaria oggi è caratterizzata dall’inedita intercambiabilità degli agenti di
cura. La SOCIALIZZAZIONE SECONDARIA che riguarda i legami verticali e orizzontali che è possibile
vivere all’esterno della famiglia quindi nelle esperienze scolastiche o extrascolastiche. La sociologia
attenzione i processi e i prodotti della socializzazione e in generale si prospetta nel fondamentale ruolo di
considerare le funzioni assegnate ai processi di inculturazione e socializzazione, intesi anche nella ricorsività
tra la dimensione culturale e sociale, con particolare riferimento alle tematiche di mutamento e di
integrazione, di normazione e di conflitto, di indipendenza e di subordinazione. In questo senso la sociologia
attenzione il rapporto tra democrazia e educazione si concentra sulle agenzie di socializzazione a partire dalla
famiglia post nucleare e il suo ruolo i mediazione sociale ma poi progressivamente dalla scuola che
dev’essere una scuola dell’uguaglianza e delle differenziazione educativa proprio per completare quel
compito che la famiglia inizia e che poi ha necessità di essere portato avanti in maniera sempre più esperta ed
evoluta ma anche la socializzazione diffusa nella città multimediale. Le ricadute pedagogiche della
riflessione sociologica vanno intorno ad una formazione che dunque vedono l’educazione e l’istruzione come
possibilità diversamente distribuite nei contesti fisici, sociali e culturali e rintracciano nella scuola una
comunità in cui è possibile sviluppare sia le funzioni logiche che quelle sociali. La continuità formativa tra i
molteplici luoghi e soggetti della socializzazione in senso sociale dell’alfabetizzazione in senso culturale
diventa un tema caro al contributo della sociologia quindi le agenzie dell’educazione e la loro continuità e le
età dell’educazione e la loro continuità e anche delle loro discontinuità. Quindi la sociologia si interessa su
come l’uguaglianza delle opportunità formative funzionali a completare e a compensare la sperequazione
data dall’assenza di condizioni di vita democratica sia elemento determinante rispetto alla responsabilità
della società di coltivare processi e pratiche di educazione funzionali a garantire a tutti le stesse opportunità
e, a partire da questo consentire a ciascuna la propria emancipazione richiamando anche la specificità
qualitativa dei contesti non ché la necessità delle figure della formazione.
Nascono quindi agenzie e attori nel sistema formativo ulteriori a quelli classici, che concorrono alla
formazione umana. In questo caso l’attenzione va al sistema formativo che dev’essere considerato nella sua
consapevolezza (del fatto che il soggetto sia formato dalla sintesi del lavoro di diverse agenzie ed attori) e,
allo stesso tempo, vi è l’esigenza di passare dal sistema formativo (cioè l’intero sistema che contribuisce alla
formazione della persona) al SISTEMA FORMATIVO INTEGRATO (cioè un ideale pedagogico da
perseguire che coincide col mettere insieme le strategie per concorrere ad un formazione condivisa). Vi è
quindi la necessità di porre in continuità sinergica e strategica questi due sistemi, riconoscendo, però, la loro
discontinuità in quanto sono comunque diversi tra loro. La discontinuità intesa come riconoscere a continuità
pur essendo consapevoli e capaci di riconoscere l’obbiettivo formativo che deve caratterizzare ciascun
sistema. Ciò rimanda al fatto che sia fondamentale passare dal sistema formativo a quello integrato
nell’ottica del lavoro di rete, della rete di servizi all’interno del welfare state.
5. QUINTO TREND, IRRUZIONE DI UNA SOCIETA’ MULTICULTURALE: la migrazione è
stata una costante della filogenesi (specie) e dell’ontogenesi nel senso che l’uomo già dalla sua prima
presenza sulla terra ha mostrato un atteggiamento migratorio non solo per rispondere ai suoi bisogni
primari ma per difendersi anche dagli scontri con gli altri popoli. Anche il singolo della specie è stato
coinvolto in processi negativi. IN CHE SENSO QUINDI SI PARLA DI UN TREND
SOCIO-CULTURALE? Nel senso che la società viene sempre più caratterizzata dalla compresenza
di soggetti che provengono da varie culture, quindi vi è la presenza di diversi gruppi etnici anche
molto diversi fra loro. Questo trend pone l’uomo di fronte alla necessità di trattare questo
cambiamento pedagogico considerando che esiste la multicultura. Questa coesistenza non
necessariamente si risolve in inclusione e in integrazione, piuttosto tendenzialmente può
caratterizzarsi per separatismi cioè il soggetto che arriva è presente nel territorio ma limita gli scambi
con le altre culture per perdere i suoi caratteri identitari così come la spinta può essere dalla cultura
ospitante che accetta chi arriva ma non instaura un rapporto autentico. Oppure si potrebbe verificare
in un caso di assimilazionismo in cui i soggetti possono essere interessati a stare in un luogo, però,
chi arriva, perde i suoi caratteri identitari. L’inclusione e l’integrazione si trovano a metà strada tra
questi due fattori e si hanno quando i soggetti, allo stesso tempo, continuano a riconoscere
l’importanza dei caratteri della cultura di appartenenza ma, allo stesso tempo, a porli in sintesi anche
con quelli positivi della cultura di approdo. Questo vale reciprocamente, infatti il passaggio dalla
multicultura nei soggetti che vengono da diverse società e culture alla prospettiva pedagogica di tipo
interculturale riguarda il fatto che tra i soggetti si attivino degli scambi e quindi una reciprocità.
Ovviamente questo apre a diversi livelli di complessità: c’è bisogno quindi di ripensare e conoscere
gli aspetti politici ed economici della migrazione, allo stesso modo bisogna riconoscere, trattare ed
intervenire sui caratteri culturali della migrazione che vogliono essere anche attenzionati sul piano
antropologico. Essa comporta l’allontanamento di un mito di riferimento attorno al quale il popolo si
è spiegato la sua origine e le modalità attraverso le quali bisogna essere presenti nella realtà verso
nuovi schemi di pensiero e di azione. Quindi la migrazione richiede l’allontanamento e
l’emancipazione con il contatto con altri miti attraverso altre ritualità. In questo caso l’attenzione si
sposta anche alla consapevolezza che la migrazione imponga anche l’allontanamento dai riti di
partenza e questo comporta una necessità di muoversi ed emanciparsi dai processi e le pratiche in
senso antropologico dell’inculturazione, quindi riconoscendo l’inculturazione come fascia di
processi attraverso cui le generazioni precedenti trasmettano la cultura ai nuovi nati, verso
l’acculturazione cioè quella fascia di processi attraverso i quali diverse culture entrano in contatto tra
loro. In questo caso allora la necessità è proprio quella di effettuare un passaggio. I fattori psicologici
della migrazione in senso emotivo-affettivo, essa resta una frattura dei tempi, spazi e relazioni dalla
cultura di riferimento e va a confrontarsi con altri tempi, spazi e relazioni e ciò può provocare nel
soggetto anche condizioni depressive. Un altro fattore determinante è il fattore psicologico della
migrazione che si può distinguere in senso cognitivo, e quindi le rappresentazioni sociali come
modalità di rappresentazioni mentali attraverso le quali il soggetto distingue l’ingroup dall’outgroup
tanto da dare ordini e significato alla realtà in maniera funzionale a rassicurarsi dalla propria identità.
Quindi lo stereotipo come immagine fissa e preconcetta attraverso le quali i soggetti possono
identificare e riportare all’interno di un universo conosciuto a cui si attribuisce un significato ciò che
vedono all’esterno ma, in quanto tale stereotipo nato come costruzione sociale quindi non svincolato
dai valori e significati della cultura di riferimento e quindi, in questo senso, connotato, e il
pregiudizio come atto pregiudicante. In questo caso stereotipi e pregiudizi hanno la funzione di
trattare la realtà in maniera conosciuta, rassicurata e pertinente ma viziati da quelli che possono
essere gli elementi contradditori dei gruppi all’interno dei quali possono essere costruiti, vengono
utilizzati in maniera distorta per esempio, per recidere i contatti. In questo caso l’attenzione va a
creare una coerenza tra i processi di socializzazione primaria e secondaria che, per esempio, il
soggetto può essersi diversamente trovato di fronte come quelli tipici della società di partenza e di
approdo ma anche di inculturazione e di acculturazione riguardo ad una conoscenza e progettazione
che sta, in primis, a macrosistema, cioè a ripensamento della società non solo, anche alla
consapevolezza delle questione antropologiche, psicologiche, cognitivo-affettive che segnano il
soggetto. Ciò richiama il tema importante della formazione delle figure della formazione e
dell’istruzione a valenza pedagogica nella consapevolezza che il fenomeno migratorio è sempre più
un fenomeno famigliare che tende alla stabilizzazione. In questo caso occorre sottolineare che
l’osservatore principale della migrazione resta la famiglia che può essere, allo stesso tempo,
propulsore perché economicamente e psicologicamente sostiene il migrante, può far sentire la sua
assenza, pesando quindi sulle spalle del migrante, può essere una famiglia che si fa risorsa come già
presente nel paese di approdo ma anche famiglia intesa come costo. Una migrazione che si può
caratterizzare in diverse forme che possono essere quelle che hanno a che vedere con al
composizione di famiglie miste o, per esempio, dei minori stranieri non accompagnati o dei minori
bianchi, che non sono mai arrivati nel paese di approdo e sono rimasti soli nel paese di partenza. La
migrazione pone di fronte all’indentità, le relazioni di genere e sull’identità e relazioni generazionali.
Se la famiglia diventa l’osservatorio la lingua e il lavoro sono i principali strumenti di inclusione ed
integrazione, sottolineando l’importanza dell’alfabetizzazione nei suoi differenti orini e gradi e il
lavoro come strumento di integrazione sociale. Allora questi cinque trend del cambiamento, di fatto,
diventano determinanti anche in ragione delle loro cadute formative anche da un punto di vista
pedagogico andando a segnare l’oggetto di analisi e di intervento della pedagogia cioè la formazione
dell’oggetto-persona nella sua multidimensionalità come qualcosa che riguarda i processi di
educazione che segnano il soggetto per tutta la vita e nei differenti contesti fisici, sociali e culturali
attraverso il sistema formativo integrato perseguibile entro una coerente continuità ma anche
riconoscimento dello specifico formativo di diversi sistemi nell’ottica del lavoro di rete della rete di
servizi.
A.S.Makarenko, Pedagogia scolastica sovietica. A.Makarenko (1888-1939)è stato un pedagogista
sovietico.Di famiglia operaia, a 17 anni iniziò l'attività di maestro. Nel 1920 venne nominato direttore di un
istituto per ragazzi abbandonati. In seguito gli fu affidata la direzione di una nuova colonia dove i ragazzi
lavoravano alternativamente a scuola e in fabbrica, svolgendo anche attività politica e ricreativa. Motivo
fondamentale della pedagogia di Makarenko è il rifiuto di qualsiasi soluzione individualistica: la vera
funzione educativa viene svolta dal collettivo scolastico. Una grande importanza spetta al lavoro perché,
secondo Makarenko, l’attività del collettivo deve essere sempre impegnata a risolvere i problemi reali della
vita. A questo fine sono necessarie l'emulazione personale e di squadra e anche la disciplina, intesa non
come strumento di repressione ma come criterio morale, stimolo all'autocontrollo. Il principale strumento
operativo del collettivo è l'assemblea generale che stabilisce le punizioni indispensabili e nella quale
ognuno è soggetto alla valutazione dell'altro.
Il libro Pedagogia Scolastica raccoglie 4 lezioni che Makarenko tenne nel 1938.In esse Makarenko tenta di
riordinare e sistemare la propria esperienza e il proprio credo pedagogico.
Makarenko afferma che il campo dell'educazione è una cosa a sé, una cosa diversa rispetto al metodo
dell'insegnamento(cioè la didattica delle materie). Il metodo del lavoro dell'educazione ha una sua propria
logica, indipendente dalla logica del lavoro di istruzione. Il metodo dell'educazione e il metodo
dell'istruzione sono 2 settori autonomi della pedagogia. E' chiaro che tra loro sono legati (ogni lavoro di
istruzione che si svolge in classe è sempre un lavoro di educazione),ma non sono la stessa cosa. Una tesi,
sosteneva che la scuola fosse per istruirsi e chi non voleva istruirsi non occorreva ci andasse; pro bastava
che qualcuno non avesse successo a scuola, per rivendicare il suo diritto a non istruirsi. Invece Makarenko si
convinse che la scuola costituisse un potente mezzo di educazione.
Makarenko si sofferma sui fondamenti del metodo educativo. Innanzitutto egli afferma che questo metodo
non si può ricavare da altre scienze(come la o la biologia). Per Makarenko un mezzo educativo può essere
ricavato solo dall'esperienza(in seguito , potrà essere confermato con i risultati delle altre scienze). La
Pedagogia è infatti una scienza con finalità pratiche. Non si può pensare di educare semplicemente
l’uomo, ma bisogna proporsi sempre un preciso scopo politico. Per esempio, L'Armata Rossa ha ottenuto
ottimi risultati nell'educazione perché gli educatori hanno sempre avuto chiaro lo scopo : chi educare e che
cosa conseguire attraverso l'educazione. Ma da dove ricavare il fine del lavoro dell'educazione? Esso deriva
dalle necessità sociali, dagli obbiettivi che si propone la rivoluzione sovietica. Non si può quindi pensare di
ricavare i fini del lavoro educativo dalla psicologia o dalla biologia perché il metodo pedagogico deve
derivare dalle finalità sociali e politiche
TRE ERRORI
-la predilezione per la deduzione(cioè un procedimento teorico e astratto): Makarenko afferma infatti che
è un errore pensare di ricavare il metodo educativo attraverso un procedimento deduttivo, in quanto essa
veniva dichiarato valido prima ancora di essere attuato(se il metodo è buono ,il risultato deve essere
buono).Invece è sempre necessaria una verifica sperimentale, basata sull'esperienza.
-il feticismo etico:Mkarenko fu un esempio relativo all'educazione per mezzo del lavoro-dato che alla
parola lavoro tendiamo ad associare qualcosa di piacevole e di giusto, sembrava quasi che ogni metodo
educativo basato sul lavoro fosse di per sé giusto ed efficace. Invece l'esperienza dimostra che l'educazione
per mezzo di lavoro può avvenire in modi e con risultati molto diversi. Se il lavoro infatti non si accompagna
all'istruzione a un'educazione sociale e politica ,non ha alcuna finalità educativa, non migliora l'uomo.
-il dar valore a certi metodi presi isolatamente: un altro errore è quello di dare valore al mezzo preso di
per sé stesso: spesso si dice che un metodo porta sicuramente a certi risultati. Per esempio :La punizione
educa lo schiavo. Quest'affermazione contiene in sé 2 errori: quello dell'anticipazione deduttiva e quello del
feticismo etico. Makarenko afferma che nessun metodo può essere considerato e valutato fuori da un
sistema, cioè nessun mezzo educativo può essere giudicato buono o cattivo isolatamente, di per sé, fuori da
tutto il complesso dell'azione educativa. Nessun mezzo pedagogico può considerarsi utile in assoluto.
Asseconda dai diversi contesti, uno stesso mezzo potrà essere il migliore o il peggiore 8 si pensi, per
esempio, all'influenza del collettivo sull'individuo).
La pedagogia è la scienza più dialettica, più viva, più complessa e più varia che sia. Makarenko afferma che
il suo stesso credo pedagogico ,che egli ha verificato per mezzo della prassi(concreta azione educativa),è
solo un'ipotesi di lavoro che ogni volta dovrà essere verificata nei casi particolari
I DIRITTI DELL’EDUCATORE
Chi e come può stabilire i fini dell'educazione? Il fine dell'educazione è il programma della personalità
umana, del carattere (il complesso di tutte le sue manifestazioni esteriori, delle sue convinzioni intime,
dell'educazione politica e del sapere). Questo deve essere il programma di un educatore. Nulla istruisce
l'uomo quanto l'esperienza. Makarenko racconta come l'esperienza di educatore presso la Comune
Derzinski(che comprendeva centinaia di ragazzi) gli abbia insegnato come nel lavoro di educazione debbano
esistere sia un programma generale sia delle sue varianti individuali che tengano conto del carattere
specifico di ognuno. Mkarenko racconta un caso particolare: un suo alunno, dopo la scuola decennale, si
era iscritto all'istituto di tecnologia soprattutto perché in quel periodo tra i giovani vi era grande
entusiasmo per l'ingegneria. Makarenko scrive che il problema del diritto o meno che l'educatore ha di
forzare la volontà altrui per lui è ancora irrisolto.. Ogni educatore si pone la domanda: ho il diritto di
condizionare lo sviluppo del carattere di un giovane e indirizzarlo dov'è necessario o devo assecondare il
suo carattere? Secondo Makarenko la risposta è che l'educatore ha questo diritto . Il problema è come
esercitare questo diritto. Makarenko spera che in futuro gli educatori vengano formati affinché siano
sempre più in grado di guidare l'individuo nella direzione giusta anche tenendo conto delle sue qualità.
IL COLLETTIVO
Secondo Makarenko la forma principale di lavoro educativo è il collettivo . Descrive quindi il collettivo che
ha educato insieme ai suoi educatori. Egli precisa che si è trovato a lavorare in condizioni favorevoli perché i
ragazzi vivevano in un colonia, lontani dalla casa paterna e quindi non erano partecipi di una altro collettivo
.Poi fa altri esempi che egli presenta come esempi negativi: infatti in questi esempi lo stesso ragazzo si
trova a far parte contemporaneamente di diversi collettivi(la scuola, un circolo di ballo, un centro
culturale)e questo crea contrasti perché ciascun collettivo richiede all'individuo degli impegni che finiscono
per risultare in contrasto con quelli richiesti dagli altri collettivi a cui l'individuo partecipa. Invece secondo
Makarenko ,la vera educazione deve essere organizzata in modo da creare dei collettivi unitari capaci di
esercitare un'influenza precisa sui giovani. La scuola deve costituire un unico collettivo nel quale siano
organizzati tutti i processi educativi. In questo modo ogni membro di questo collettivo si sentirà legato ad
esso. Makarenko crede a un collettivo in cui sia organizzato l'intero processo educativo. Spezzettare il
processo educativo fra diverse istituzioni educative e fra diversi educatori che tra loro non sono legati da
reciproca responsabilità e che non hanno direttive unitario non può che essere dannoso per il giovane. La
scuola deve essere un unico collettivo di ragazzi che diriga la loro educazione. Ogni collettivo deve proporsi
un fine generale ben preciso, un fine che si riferisca a tutta la scuola. Il collettivo guidato da Makarenko
comprendeva ragazzi da 8 ai 18 anni (500 persone).Nonostante essi fossero molto diversi a secondo della
classe d'età, avevano costituito un collettivo davvero unico. Affinché questa massa di ragazzi diventi
un'assemblea generale in grado di dirigere il collettivo, è necessario un lavoro lungo ,ma, una volta creato, il
collettivo, se se ne ha cura, avrà vita lunga. E un collettivo così unito diventerà un ottimo strumento di
educazione per il ragazz
LE TRADIZIONI
Nulla consolida la collettività quanto la tradizione. Pertanto formare e mantenere vive delle tradizioni è un
compito importantissimo nel lavoro educativo. Una scuola senza tradizioni non può essere una buona
scuola. Ma cos'è la tradizione? Makarenko racconta diversi esempi di tradizione basati sulla sua esperienza:
per esempio il fatto che l'ispezione nelle camere venisse fatta dal comandante di turno; il fatto che il
rapporto del comandante di turno non dovesse essere controllato; il fatto che un membro della
commissione sanitaria potesse entrare nelle case e controllarne la pulizia; il fatto che l'assemblea generale
del collettivo venisse aperta sempre dal comandante di turno; il fatto che ci fosse sempre un ragazzo a fare
la guardia d'onore alla bandiera. I ragazzi sono maestri nel creare e mantenere queste tradizioni. Bisogna
sfruttare un certo conservatorismo istintivo, la fiducia cioè verso il passato, verso ciò che di buono è stato
già fatto e che va continuato.
Makarenko afferma che egli dà particolare valore alle organizzazioni militari. Egli ricorda che lo stesso
Engels (insieme a Marx uno dei grandi teorici del comunismo)insisteva sulla necessità di un'organizzazione
di tipo militare per la scuola. Tale organizzazione ha infatti un'ottima influenza fisica e morale
sull'educazione dell'individuo. Tuttavia, secondo Makarenko, non bisogna esagerare, non bisogna
riprodurre nella scuola tutti gli aspetti della vita militare (per esempio, marciare in continuazione).
Comunque è certo che lo stile militare è utile e bello per la scuola. Il collettivo che egli aveva guidato aveva
assunto un carattere militare. Molto efficace è anche l'utilizzo a scuola della terminologia militare. La
tradizione militare abbellisce il collettivo, gli dà una cornice, gli dà un ritmo, entusiasma gli animi.. Per
esempio il culto della bandiera nella scuola è un ottimo mezzo educativo. E quindi necessaria l'estetica della
vita militare, la sua severità, la sua precisione. Ma a scuola non ci deve essere la preparazione militare, ma
l'estetica militare, l'organizzazione militare. Makarenko conclude ricordando l'importanza dell'uniforme che
deve essere bellissima perché essa costituisce un ottimo legame per rafforzare la collettività.
LA DISCIPLINA COME MEZZO E COME RISULTATO
C’è la convinzione che i ragazzi diventino traviati quando quando è la pedagogia a essere traviata. Una
pedagogia normale, attiva che si prefigge uno scopo ben determinato trasforma in breve tempo il collettivo
di codesti ragazzi in un collettivo del tutto normale. La disciplina è per M, il risultato dell’educazione. La
disciplina era considerato nient’altro che un metodo per dominare. Per gli insegnati la disciplina era una
serie di norme, da seguirsi per amore dell’ordine, per un certo benessere, e dei non dei veri valori etici.
La disciplina nella società sovietica, è invece fenomeno morale e politico. Nella nostra società essere
indisciplinati significa andare contro la società stessa. Ogni educatore deve avere siffatta concezione della
disciplina e questo presume che la si consideri come il risultato dell’educazione.
Quella degli educatori deve essere una disciplina cosciente. La disciplina è il prodotto dell’intera azione
educativa, quindi dell’istruzione, dell’educazione politica, della formazione del carattere…la disciplina non si
crea solo con prediche e ammonimenti. Ma la disciplina sovietica deve essere accompagnata dalla
coscienza, ovvero dalla comprensione della sua essenza e della sua necessità.
Nella vecchia scuola c’era l’insegnamento religioso, che seppur trascurato da tutti conteneva molti
problemi morali. M è convinto che sia necessaria una teoria della morale o anche teoria della
condotta→dominio di sé, rispetto per la donna, i vecchi, se stesso tuta la teoria del comportamento nei
confronti dell’intera società. Alla base della teoria della morale bisogna esigere la disciplina del collettivo
come forma del nostro progresso. È al collettivo che deve essere affidato il compito della disciplina.
DISCIPLINA E LIBERTA’
➢ ogni individuo deve essere convinto che essa è la forma migliore per raggiungere i fini del collettivo
➢ la logica della disciplina fa risaltare che essa pone ogni soggetto in posizione di maggior sicurezza e
libertà. Sicurezza perché garantisce il propri diritti
i perturbatori della disciplina veniva accusati da tutto il collettivo, perché gli privavano la libertà di cui
avevano diritto. La disciplina fu la vera salvezza per quei ragazzi che si erano ritrovati a subire gli effetti
della mancanza, e creò la base come sviluppo come uomini. Esempio dei ragazzi del Caucaso.
COLLETTIVO ED INDIVIDUO
CASO DI Ivanov e della radio. Il caso gli servì per riflettere fino a che punto gli interessi del collettivo
debbano stare al di sopra dell’individuo. Bisogna forse che l’individuo non venga a trovarsi una situazione
catastrofica
ESTETICA E DISCIPLINA
La disciplina abbellisce il collettivo. Il compito della tecnica pedagogica è quello di rendere la disciplina
interessante e viva. Occorre la disciplina per fare cose sgradite
LE ESIGENZE
L’esigenza della disciplina è pretendere quanto più dall’uomo e rispettare quanto più la sua personalità. La
società sovietica pone alla persona esigenze alte, legittime, generali, e alla persona tributiamo rispetto.
Non può esserci educazione senza esigenze. Le esigenze debbono essere totali e raggiungere il limite. Un
educatore deve cominciare col porre le esigenze, che non siano illogiche, ridicole o brutali. La logica delle
esigenze deve essere legge nei primi tempi. Di pari passo deve però essere sviluppata la teoria della morale,
ma che non deve sostituire le esigenze. Bisogna esigere senza teorizzare. Infine sarà il collettivo a porsele, il
risultato si ottiene quando ciascuno s’impone a se stesso e che ‘intesa della propria condotta.
INCORAGGIAMENTI E MINACCE
Le esigenze son un elemento per disciplinar il collettivo ma non il solo.. esistono lo stimolo e
l’incoraggiamento e anche la minaccia. Una cosa è stimolare qualcuno con un dono, un’altra stimolarlo a
mezzo dell’intima bellezza. In un collettivo sviluppato non sono consentite le minacce. Sono diverse le
forme di questi elementi. Inizialmente l’incoraggiamento può essere primitivo, materiale. L’esigenza
principale da esigere è la subordinazione al collettivo.
LE PUNIZIONI
Non si dovrebbero usare le punizioni, in quanto chi le usa è un cattivo mastro. Tuttavia quando non si può
fare altrimenti esse sono utili e necessarie. Queste devono essere: impersonali, semplice e logiche. La
punizione ha la funzione di risolvere e eliminare un conflitto. Ci sono dei principi da seguire : 1-le punizioni
non devono mirare a far soffrire ( ne moralmente ne fisicamente) il soggetto. La loro funzione è quella di far
sentire all'individuo di essere condannato dal collettivo. 2- devono essere individualizzate, ovvero studiate
a seconda dei singoli individui. 3- ci devono essere tradizioni anche rispetto alle punizioni e delle norme che
regolano chi le applica.
Non esiste un passaggio diretto dal collettivo all’individuo, ma solo una fase ad un’altra. Il collettivo di base
tale è quello in cui i singoli membri sono costantemente e attivamente legati fra loro dal lavoro,
dall’amicizia, dalla vita comune.. nelle scuole esiste in via naturale e si chiama classe. Se il collettivo di base
classe mostra delle insufficienze, la ragione, forse è che, nella nostra scuola, la classe non ha ancora assunto
in pieno la funzione di un collettivo di base, cioè di anello fra l ‘individuo e l’intero collettivo, ma costituisce
un collettivo a sé. Non esiste il collettivo di tutta la scuola. M doveva crearlo il collettivo di base e non volle
appoggiarsi alla classe, perché la classe unisce giornalmente i ragazzi nel lavoro ma tale unione pur avendo
dei vantaggi conduce questo collettivo di base a non curarsi degli interessi di tutto il collettivo.
L’educazione non può avvenire solo attraverso il collettivo di base, perché si trasformerebbe in un
collettivo famigliare e ne viene fuori un’educazione non sovietica. Il passaggio a un’educazione politica più
ampia è possibile solo attraverso un grande collettivo in cui gli interessi non derivano dal semplice contatto
ma d auna sintesi sociale più profonda.
AZIONE PEDAGOGICA PARALLELA
L’azione pedagogica parallela→ gli educatori hanno a che fare solo con il reparto, non con i singoli. Si tratta
di un modo per influire sul singolo. M non vuole che il singolo si senta oggetto del processo educativo. Non
vuole fargli nascere l’idea che è solo un allievo, un fenomeno pedagogico e non un fenomeno sociale. I
privilegi vengono accordaati a tutto il reparto, le ammonizioni anche, non al singolo meritevole o colpevole.
È necessario formare il carattere dell’educatore e la sua condotta, sollecitare certe abilità. L’educatore deve
saper lasciar correre, scherzare, deve saper sempre ciò che vuole e non vuole. L’importante che tutto
l’essere dell’educatore partecipi attivamente e coscientemente al lavoro educativo. Deve esserci un
collettivo di educatori. Vi deve essere un certo numero d’insegnati anziani ed esperti ma non deve mancare
un novello, per dire. Dovrebbero essere di bello aspetto, dovrebbero esserci quelli divertenti, quelli austeri.
L’autorità sorge dalle responsabilità.
Per Makarenko non è necessario pagare i ragazzi: lavoravano d’impegno, facevano tutto ciò che occorreva.
Secondo M un maggior rendimento doveva scaturire dalla sollecitudine che si deve avere per gli interessi
del collettivo. Il lavoro è il principio dell'educazione. Makarenko formando le sue comuni(Derisi e Gorky)
fondava delle vere e proprie aziende. Il processo di produzione doveva servire a sviluppare il carattere degli
individui e a sviluppare la capacità organizzativa. In questo processo è importante : la lotta collettiva,
l'aspirazione a progredire i il perseguimento dei fini del collettivo. Successivamente si introdusse e le norme
che lo regolavano dicevano che : il 100% del guadagno di un individuo doveva essere destinato al fondo del
consiglio dei comandanti ( somma notevole ),che serviva per incrementare il lavoro culturale e per aiutare
gli individui che uscivano dal comune. Il resto veniva messo nelle casse di risparmio di ogni individuo per far
si che avesse dei soldi da parte quando uscivano dal comune e il restante veniva dato agli individui per le
loro spese minute. La produzione è un processo pedagogico nell’ambito del collettivo, perché ha un suo
ruolo nell’offrire campo a gusti e inclinazioni diverse
Nella società borghese l’educazione è educazione alla personalità individuale e intesa ad adattarla alla lotta
per l’esistenza. In ogni scuola borghese il giovane sarà educato al sistema di dipendenze della società
borghese.
Nella società sovietica la dipendenza è quelle dai membri della società, che tendono a un fine determinato.
L’estetica della condotta è una condotta che ha ricevuto un certo stile. La forma è il segno di una civiltà
superiore. La bellezza della vita è indispensabile.
JOHN DEWEY E IL MIO CREDO PEDAGOGICO
Nasce nel 1859, 1952, il suo pensiero copre la seconda metà del’n800 e la prima del 990, ha la possibilità di
riflettere usi cambiamenti del tempo. Nasce da una famiglia borghese. Dewey figura di grande rilievo
perché la sua cultura gli ha permesso di spaziare all’interno di molte discipline, filoso, cultura psicologica
ma anche di carattere sociologico. Riceve una formazione di tipo neohegeliana e incontra nella sua
formazione la psicologia e tratterà questa disciplina attraverso la figura di un filosofo che è Kant, che è la
chiave di lettura della visione psicologica di Dewey, nel senso che Kant è un filosofo che assume la
centralità della ragione, è stato l’autore della lettere di risposta ‘’che cosa è l’illuminismo’’, per cui era
l’uscita dell’uomo dello stato della minorità, ovvero la ragione, cioè da un lato l’uomo dia luogo a questo
uso per emanciparsi in termini di progresso, individuale e sociale, dall’altro possiede l’idea della ragione
come dispositivo funzionale a ripristinare la diseguaglianza sociale. La funzione che la ragione doveva avere
era una funzione etico politica cioè l’accusa di disparità in cui alcuni soggetti vivevano, il compito della
ragione era di garantire di essere risarciti dalla sperequazione, sanare le diseguaglianze. La ragione secondo
lui era come un lume, doveva e poteva illuminarne da tutti i punti di vista. Dewey assume questo problema
su un piano cognitivo, e lo assume anche su un piano affettivo, della responsabilità di ripristinare a livello
etico politico le diseguaglianze
Evoluzionismo di Darwin→ Ancora influenza importante lo stesso evoluzionismo di Darwin, recepisce l’idea
che il soggetto vive immerso in un ambiente fisico ma anche sociale. L’idea che la visione evoluzionista che
l’uomo non è l’unico essere importante, non il più importante ma è un degli anelli. la prospettiva
darwiniana è ripresa su un piano di un uomo che si è evoluto verso livelli sempre più sofisticati, ma la
prospettiva ha anche uno sguardo sociale, una responsabilità dell’uomo che ha sviluppato una forma di
intelligenza più evoluta rispetto alle forme di vita
Stanley Hall→ con Stanley hall, e i suoi studi sull’infanzia, che fa riflettere Dewey, rispetto all’idea di
esperienze che si spendono nell’ambiente ma che sono spese in continuità e che l’esperienza educativa
non riguarda solo la prima parte della vita, l’infanzia, ma in realtà si continua a sviluppare e continua ad
avere la necessità di rapportare l’educazione allo sviluppo anche in momenti biologici ed educativi diversi
dall’adolescenza. diventa centrale l’idea della continuità dell’esperienza educativa, che deve essere
un’esperienza che deve connettersi al passato, per avere la possibilità di capire il soggetto riguardo al
conoscere quello che è stato prima ma anche il futuro e progettare il futuro. Un altro scambio con cui
elabora i principi dello strumentalismo con cui darà vita a un indirizzo logico filosofico, che caratterizzò la
scuola di Chicago.
Pragmatismo→la dottrina che afferma che la realtà possiede un carattere pratico e che questo carattere è
più efficacemnte espresso nella funzione dell’intelligenza. La realtà secondo dewey ha un carattere
dinamico e così anche la conoscenza e pratico Ancora influenza filosofica del pragmatismo che troviamo in
James, e in Pierce, che scrive un saggio ‘’come rendere chiare le nostre idee’’, dove mette in luce che la
conoscenza parte da una situazione di dubbio, e il dubbio deve trovare una soluzione, e questa soluzione
diventa una credenza intesa che però muove dalla ragione, un credo mi permette un sistema attraverso il
quale io posso pensare di trattare la realtà in ragione di quell’ambito di esperienza. Quando l’individuo
continua a far esercizio di questa credenza che continua a mostrarsi efficace d luogo a quella che si chiama
abito di pensiero di azione, ma un abito che arriva prima o poi a mostrarsi caduco, perché potrebbe
dimostrarsi parziale insufficiente e transitorio perché in costante relazione con la realtà. Quindi nasce un
nuovo dubbio che da luogo ad un rapporto che muove dal dubbio che arriva a una credenza all’abito fi al
nuovo dubbio. La filosofia del pragmatismo, interessato a una conoscenza pragmatica del cotesto che si
spende attraverso l’esperienza, è una visione della filosofia di tipo laico che abbondano i modelli filosofici
tradizionali, incapaci di riportare la realtà all’interno della sua complessità e della sua dinamicità. In questo
senso l’importanza fondamentale del pensiero di Dewey è la logica che ha fondamento nella pratica e nella
stessa teoria dell’azione, quindi invita a un pensiero di tipo logico da cui deve scaturire un’azione di tipo
logico, perché è un’azione dove la logica ha la necessità di risolvere i problemi entro le coordinate storico
culturali. Educazione attiva, conoscenza e intelligenza→Fondamentale è l’aspetto dell’educazione attiva: il
fondamento dell’educazione attiva sta nel fatto che l’unico modo di apprendimento è il compimento di
esperienze originali, che ciascuno di noi deve vivere. Sono esperienze che devono essere vissute in prima
persona. Un’idea semplicemente trasmessa dall’esterno cessa di essere un atto di conoscenza per divenire
un fatto e un oggetto. Il movimento della scuola attiva è quindi profondamente radicato nella visione
moderna della conoscenza e del rapporto che lega la conoscenza all’azione.
Ma qual e’ lo speciale mutamento che la realta’ deve compiere per atteggiarsi come conoscenza?
continuità→ Dewey concepisce la vita come un interagire continuo degli esseri tra loro e con l’ambiente, e
vivere significa per lui sperimentare, dar luogo ad un processo continuo di esperienza. Quindi, lo sviluppo
della vita e della realtà consiste nello svolgimento dell’esperienza, che in termini biologici consiste nelle
relazioni tra organismi e ambiente e nelle modificazioni che gli organismi apportano all’ambiente per
facilitare il loro sviluppo. Perciò il crescere della vita è il risultato della capacità degli organismi di
controllare l’ambiente,neutralizzare le circostanze ostili e trovare fattori di sostegno. Negli stadi più alti
dell’esistenza, la lotta per la sopravvivenza assume caratteri tragici. Il rischio della vita si intensifica, e le
possibilità di sopravvivenza e di sviluppo vengono a dipendere dalla possibilità dell’organismo di impiegare i
fatti presenti come fatti futuri, di anticipare le situazioni nuove in modo da non essere soverchiato da esse,
ma in modo da predisporre le condizioni in maniera favorevole alla propria esistenza. E’ la natura stessa che
ci porta ad essere capaci di dirigere e controllare l’ambiente, poiché essa si fa intelligenza per attuare le
proprie potenzialità.
Dewey fa dell’intelligenza e della conoscenza dei “caratteri intrinseci della natura”. I mutamenti che
avvengono nella natura senza intelligenza sono solo “effetti”. L’interazione che dirige il corso del
cambiamento si chiama intelligenza. L’attività intelligente dell’uomo non influenza la natura dall’esterno;
è la natura che realizza le sue stesse potenzialità facendosi intelligenza. In tutto questo l’azione si
presenta come un qualcosa di inferiore, di aggiunto. L’azione può seguire, ma essa è soltanto un’appendice
esterna al conoscere, non un fatto ad essa inerente. Conoscere e fare sono intimamente connessi fra di
loro, e le idee si configurano quindi come piani per l’azione, come anticipazioni del futuro e metodi atti a
determinarne il compimento. I prodotti del conoscere sono quindi strumenti che possono servire a
costituire i fatti futuri.
Strumentalismo [teoria logica elaborata da Dewey] : teoria secondo cui il pensiero non ha solo la capacità
di registrare e rispecchiare la realtà quale è, ma è anche in grado di operare attivamente su di essa per
modificarla e migliorarla.
Da qui prende le mosse anche la sua filosofia dell’educazione. Il concetto del conoscere come
partecipazione della mente alla costruzione e alla ricostruzione della realtà sta alla base dell’ideale
dell’educazione attiva. Dewey sosteneva che la scuola attiva, la “scuola laboratorio”, aveva come
fondamento il fatto che la scuola deve aiutare il fanciullo a formare la sua personalità, attraverso la sua
partecipazione a occupazioni manuali in collaborazione con l’insegnante e con i compagni. Perciò la scuola
doveva aiutare e guidare l’alunno a diventare l’educatore di se stesso = l’educazione deve essere
autoeducazione, poiché l’apprendere è foggiare autonomamente il proprio contenuto conoscitivo e non
una semplice trasmissione di nozioni dall’esterno.
Scuola. L’intima connessione che Dewey stabilisce tra conoscere e fare non ricade solo nella scuola
elementare ma anche in quella secondaria. Nessuno come Dewey ha insistentemente sottolineato la
necessità di superare la divisione tra studi professionali e studi umanistici, tra corsi tecnici e corsi classici.
Anche nella scuola secondaria occorre utilizzare il metodo dell’indagine, la discussione e la ricerca
personale e di gruppo, e considerare il nesso tra la cultura e la vita. Tutto questo può esserci solo con
l’eliminazione della routine scolastica e della divisione tra scuole. Secondo Dewey occorre fondere scuole
cultura generale e scuole di specializzazione, e così Dewey si fa fautore di un umanesimo del lavoro (in cui
sono unite cultura e saper fare, teoria e prassi). Infatti per lui mantenere la divisione tra scuole significa
alimentare le distinzioni sociali.
Inoltre nella scuola di Dewey, poiché l’esperienza è data dall’interazione tra uomo e ambiente, l’individuo si
deve sentire solidale con l’ambiente naturale e sociale nel quale vive, e deve volgere le sue forze alla
perfezione dell’ambiente stesso. Il principio secondo cui lo sviluppo dell’esperienza si compie attraverso
l’interazione indica che l’educazione è un processo sociale.
La scuola è quindi una “comunità sociale”, di cui l’alunno è membro, insieme ai compagni e agli insegnanti,
e ha come compito quello di creare un ambiente semplificato di vita associata in cui si possano apprendere
gli aspetti fondamentali della vita intellettuale e pratica e acquisire la capacità di valutarli e modificarli.
Dewey aveva insistito molto sulla valenza storica e sociale della scuola, che doveva diventare scuola attiva,
una scuola che insegnasse non solo a leggere e far di conto, ma soprattutto a far conoscere e a
sperimentare agli alunni la vita di comunità. Inoltre l’introduzione del lavoro nelle scuole non doveva fare
dei giovani dei tecnici atti a svolgere un lavoro fisso e ripetitivo, ma aiutare il fanciullo a sviluppare un senso
integrale della sua personalità. PS: Dewey però non deve essere confuso con un teorico del capitalismo:
egli non sosteneva una scuola dove gli alunni dovevano imparare dei mestieri per essere capaci di lavorare,
ma la scuola doveva rendere i giovani padroni di se stessi, e in grado di eliminare ogni rigida barriera di
classe. Quindi, la condizione dell’apprendere dell’alunno è in stretta correlazione con l’ambiente sociale e
naturale.Tuttavia nel processo di apprendimento svolge un ruolo fondamentale anche l’interesse. Senza
l’interesse e la motivazione il fanciullo non può apprendere. La pedagogia di John Dewey è fondata sul
concetto e la teoria dell'interesse e dello sforzo, cioè dell'impegno costante e faticoso da parte del
discente e prima ancora del docente, chiamato a fare qualcosa di più che il semplice dispensatore di
conoscenze teoriche. Per Dewey non c'è attivismo pedagogico né scuola moderna senza l'uso del lavoro
basato sull'interesse. Sulla base dell’interesse si sviluppa l’unità tra l’ambiente sociale e l’individuo, in cui
quest’ultimo peròriconosce se stesso e l’ambiente come distinti. Società e individuo sono 2 facce della
stessa realtà, e la vera educazione è quella che è sociale e individuale al tempo stesso, che guida l’alunno ad
acquisire coscienza di sé nel rapporto con il gruppo e con l’umanità di cui fa parte. Questi presupposti
rendono questo ordinamento della vita umana:
• altamente democratico, poiché ad ogni uomo viene data la possibilità di dare un contributo alla società di
cui fa parte, attraverso la sua esperienza (interazione fra individuo e società);
• connesso alla continuità, poiché ogni esperienza si cala nel presente e modifica il futuro ! Dewey lo
chiama “principio della continuità dell’esperienza” (secondo cui gli insegnamenti acquistano pregio
educativo solo quando formano una totalità di esperienza nell’educando; tale totalità è il sentimento di
solidarietà dell’individuo con il mondo e con la società, la capacità di autocontrollo, il senso di giustizia,
l’equilibrio della vita spirituale).
Quindi la scuola deve avere come preoccupazione la preparazione al futuro; ma questa si può effettuare
solo se l’alunno è in grado di estrarre da ogni esperienza affrontata un particolare significato.
IN SINTESI: per Dewey, l’esperienza è interazione e continuita’ (concetti che stanno alla base della
pedagogia di Dewey)
Nel 1938 inoltre, sottolinea la necessità di fondare tutto l’insegnamento su un piano educativo
accuratamento studiato.
Il metodo scientifico acquista una valenza etica→ occorre umanizzare la scienza e la teconlogia affinchè
esse siano posta al servizio della speranza e della fede democratica. Il problema è che la scienza poneva sì
le condizioni di una società democratica, liberando gi uomini dall’asservimento a forze inanimate per
potersi dedicare a una vita di cultura. Ma essa fonda le condizioni, non segna i fini dell’attività liberata
dall’asservimento.
I valori come fini della filosofia & il problema della morale. Nel 1925, Dewey pubblicò “Esperienza e natura”,
in cui approfondiva ulteriormente questi aspetti. La filosofia ha una funzione intermediaria tra le scienze e
le arti e svolge un’importanza fondamentale nel dominio sociale e culturale: da un lato si avvicina alle
scienze rettificandone i risultati, dall’altro si avvicina alle arti determinandovi un allargamento. In questo
modo la filosofia è da un lato metodo e dall’altro visione. Dewey la definisce ‘critica delle critiche’ perché
ha l’obiettivo di chiarificare e indicare beni e valori. Il vero problema per Dewey era quindi quello di definire
la natura del ‘metodo’ attraverso cui la filosofia potesse elaborare criticamente i valori, i quali orientano gli
uomini nella vita culturale e sociale. Dewey si era reso conto che le energie liberate da scienza e tecnologia,
in seno alla natura, erano state poste nelle mani di un’umanità incapace di controllare il proprio destino, e
queste energie non erano state utilizzate nell’interesse della comunità, ma utilizzate per scopi negativi.
Occorreva quindi costruire una nuova morale, provvisoria, che potesse risanare la spaccatura fra uomo e
natura. Il potere che l’uomo aveva tratto dai progressi nella scienza sembrava aver portato ad una nuova
schiavitù, invece che alla liberazione e al progresso vero e proprio. Si dovevano sfoggiare nuovi costumi,
nuovi fini e nuovi desideri negli uomini e nella società. Ma da dove si potevano attingere questi nuovi
valori?? Secondo Dewey, i pochi cultori ‘disinteressati’dell’indagine scientifica li avevano già sviluppati:
capacità di dubitare fino a che non si ottenga l’evidenza, volontà di muoversi verso l’evidenza, godimento di
nuovi campi d’indagine. Con questa evidenza, Dewey sosteneva che in alcune persone la scienza avesse già
creato una nuova morale. Tuttavia Dewey si chiedeva perché questa nuova morale non si era
maggiormente diffusa.
IN SINTESI: Dewey ritrovava nel seno stesso dell’indagine scientifica, i valori che avrebbero
permessoall’umanità di volgere scienza e tecnologia verso l’attuazione di una società migliore. In tutto
questo, si poneva un compito grande all’educazione: secondo Dewey non era sufficiente dare a tuttiuna
scuola, perché vi fosse libertà nella vita sociale. Esso era solo un primo stadio, il quale doveva
averecontenuto e metodi con una base scientifica, altrimenti si sarebbe andati incontro al fallimento della
democrazia. Per Dewey quindi il problema della scienza, dell’educazione e della causa democratica
confluivano in uno solo ed erano strettamente connessi fra di loro. Le conseguenze disumane dello sviluppo
tecnologico, che si sono manifestate nell’industrialismo e nelle guerre, apparivano a Dewey come un
effetto della insufficiente estensione del metodo scientifico.
In questo contesto, Dewey usa l’espressione umanizzazione della scienza→Essa sta ad indicare l’atto di
rivolgere la scienza nel campo dei rapporti umani e sociali, e non la sua subordinazione strumentale a
finalità egoistiche ed economiche. Lo spirito scientifico doveva modificare i costumi e portare ad una nuova
moralità. Secondo Dewey, non si doveva raggiungere la salvezza rifuggendo i mali presenti, ma
modificandoli al proprio interno, proprio attraverso la costituzione di una nuova moralità. La questione era
di carattere metodologico, ma tale da coinvolgere anche l’interesse morale. Sottolinea poi che non si
doveva mai abbandonare ‘il metodo dell’indagine’ poiché esso è l’unico metodo che si auto-corregge nel
suo operare, e che è valido in ogni forma di attività intellettuale e in ogni disciplina.
PROBLEMA: determinazione dei nuovi fini, cui arrivare mediante l’impiego dell’indagine.
2 atteggiamenti possibili di fronte alla scienza e alla tecnologia: puro attacco, in cui vi è la condanna dei
mali creati da scienza e tecnologia; considerare scienza e tecnologia valide risorse, utilizzabili per perseguire
un rinnovamento morale.
Alla filosofia spetta inoltre il compito di abbattere la separazione fra mezzi e fini, poiché tale separazione è
rovinosa e non conduce al rinnovamento della morale. Ponendo a suo fondamento il metodo scientifico, la
filosofia abbatterà l’antica posizione teoricistica del pensiero. In tal modo, la metodologia scientifica
assunta all’interno del pensiero filosofico, apre la via alla considerazione dell’esistenza come ricerca e alla
collaborazione umana, tolleranza reciproca e apertura agli altri. Questo grande compito della filosofia (in
sintesi, determinare fini e modelli così peculiarmente umani da costituire un nuovo ordine morale), si
ritrova nello scritto ‘Reconstruction in Philosophy’ del 1948.
Educazione ai valori e ricerca del vero. Sul terreno educativo, la posizione di Dewey nell’ultimo ventennio
della sua vita, è dominata dal desiderio di saldare la finalità etica con le attitudini naturali dell’alunno. Qui
viene fatto riferimento all’importanza dell’educazione ai valori e alla disinteressata ricerca del vero, che
devono coincidere con la formazione di menti capaci di dare il proprio contributo alla società. Dewey
sostiene nuovi fini e nuovi valori come: giustizia, amore e verità (valori ‘non umbratili né vacillanti’), che
hanno sfondo religioso; equanimità e integrità intellettuale (valori scaturiti dall’estensione del metodo
scientifico alle cose umane). La conciliazione fra questi 2 gruppi di valori non è stata chiaramente definita
da Dewey.
L’umanità supererà la sua crisi se saprà creare nei singoli individui un atteggiamento di intrepidezza di
pensare e il superamento della distinzione tra uomini superiori e inferiori. La libertà più importante è la
libertà dell’intelligenza, poiché non può essere libero chi non pensa alle ragioni del suo comportamento.
Lo scopo più alto dell’educazione sta nel creare la liberta’ dell’intelligenza. Il principio e il metodo
dell’educazione attiva sono strettamente legati ad essa. La trasmissione di un’idea dall’esterno riesce soloa
riempire la mente di altre persone, ma non promuove verità e capacità di pensiero. Promuovendo
inveceesperienze di valore, l’insegnante favorisce nell’alunno l’attività del pensiero. Per Dewey filosofia,
vita democratica ed educazione sono strettamente connesse, e solo l’educazione può dar vita ad esseri
capaci di pensare e collaborare fra loro
Il mio credo pedagogico 1987, si cateterizza per 5 articoli: cos’è l’educazione, cos’è la scuola; la materia
dell’educazione; la natura del metodo; la scuola e il progresso sociale.
Scuola e società: fissa i caratteri fondamentai del proprio pensiero educativo, in una società investita di un
ampio processo di trasformazione produttiva (espansione dell’industria) e di crescita politico- sociale
(richiesta di partecipazione politica da parte delle classi subalterne, alfabetizzazione per partecipare e d
essere partecipe al progresso). La scuola non può restare estranea a tale trasformazione sociale, anzi, deve
legarsi intimamente al progresso sociale, mutando radicalmente il proprio volto. Deve diventare una
comunità in miniatura in una società embrionale attraverso un più stretto contatto con la realtà sociale e
con il lavoro. Il soggetto deve trovare quei tormenti che sono presenti nell’ambiente esterno ma che
sarebbero se cercate dai soggetti molto difficili da individuare e trattare in maniera competente,. Nella
scuola viene raccolta auna microcoltura con cui può fare un esperienza logica ed ordinata
La scuola deve essere un laboratorio di democrazia e del fare, che parte dalla vita del fanciullo e dai suoi
interessi fondamentali. Affinché questo labotratorio di idee venga perseuito si faccia responsabile anche
esperienza di democrazia e riduca attraverso l’educazione i rischi di un conflitto all’esterno della scuola, ed
a partire dall’esperienza condivisa con l’altro che il soggetto possa coordinarsi con il pensiero, con l’azione e
l’emozione dell’altro, individuando nell’altro una risorsa e non un limite alle sue possibilità di
emancipazione.
Democrazia ed educazione 1916, mette in rilievo il carattere progressivo che l’educazione deve assumere, i
suoi legami con lo sviluppo social e le specifiche finalità che devono guidare ogni processo formativo, quello
dello sviluppo naturale del soggetto e quella della sua efficienza sociale, cioè del suo intimo legame con la
cultura e le tradizioni di una società. La scienza viene intesa come metodo specifico di un’educazione
democratica e segnalata la sua importanza a scuola. La dimensione umana, la coltivaziend dell’umanità,
non è perseguita attraverso una conoscenza di tipo scientifico, come una realtà che può essere vista in
maniera ordinata e logica predisposta sventando i conflitti. L’esperienza non solo conoscitiva ma anche di
coscienza. Ridefinisce l’oggetto cioè il soggetto socializzato e democratico e il metodo, (l’uoo democratico è
perseguito attraverso un metodo che è l’uomo scientifico., l’educazione alla coscienza è perseguito
attraverso un mezzo, l’educazione in termini di conoscenza, la coscienza che è il fine può essere perseguito
attraverso la conoscenza laica, in senso non dogmatico, aperto e pluralè . il metodo è il curricolo scolastico
che garantisca un ruolo primario alla formazione del pensiero.
Pedagogista (teorico, pratico) è stato anche e prima ancora, un grande filosofo che ha sviluppato la lezione
del pragmetismo americano verso esiti razionalistici-critici, metodologici ed etico politici, connotati in
sensro strumentlistico, cioè legati ad un’idea aperta posta come strumento nella complessa dinamica
del’esperienza, individuale e storica
Influenza culturali:
• evouzionismo e hegelismo.
Elabora una filosofia che fa centro sulla nozioane di esperienza, sviuppando in senso dinamico e aperto, ma
anche secondo prospettive organicistiche.
Teoria dell’esperienza e teoria dell’indagine: logica della scienza e della conoscenza individuale. Arte: unità-
continuità-identità mezzi-fini.
Come pensiamo 1910: pensiero relativo e riflessivo; dubbio, credenza, abito. Educare a pensiero: uso
consapevole e finalistico; dal concreto all’astratto.
Pragmatismo americano corrente filosofica con contributi pedagogici importanti. Dewey è stato
considerato il massimo esponente dell’attivismo pedagogico, caratterizzato da diversi correnti e : con una
visione anche possiamo dire roussounina come una pedagogia che metteva al centro il bambin con i suoi
interessi e è potenzialità, l’ambiente fisico sociale culturale , e il fare. In Rousseau stesso esisteva la
compresenza di una ventura illuminista che doveva portare l’uomo a una condizione non corrotta da una
società e il mezzo ne diventava l’educazione, capace di rispettare la progressione→ naturale educazione,
non direttiva ma indiretta. Per Rousseau il fine era una società giusta egalitaria, una società non corrotta:
sottrarre il soggetto tramite la natura, il mezzo, ad un assenza di condizionamento in senso difettivo. Gli
autori del attivismo hanno attenzionato questi pensieri, in particolare il mezzo dell’educazione, quindi un
educazione naturale che veniva essere assunta dalla discipline stesse che studiavano lo sviluppo
dell’individuo in senso cognitivo, affettivo, e messo in evidenza come il soggetto da piccolo avesse delle
caratteristiche tipiche dello sviluppo che andavano supportate. Questa educazione doveva essere
un’educazione che attenzionava la formazione sociale, con il contributo di altre discipline che riportavano
l’educazione dell’uomo che non poteva sottrarsi al rapporto con la tecnica attraverso una condizione
sociale di educazione che riportava una responsabilità all’ambiente anche per farsi che questo ambiente
diventasse non limitante ma emancipatorio. L’educazione in questo caso attenzionata sul piano sociale
doveva essere attenzionata anche attraverso il contributo di altre discipline come la sociologia e
l’antropologia, che sottolineava la qualità delle relazione di un ambiente. John Dewey colloca la sua opera
all’interno del pragmatismo e d luogo a una rilettura dell’educazione e della pedagogia. Questa educazione
diventava anche intorno alla scienza dell’educazione, non solo l’educazione doveva educare alla scienza, un
tipo di sapere tipico della scienza, ma anche coltivare una scienza dell’educazione. Una riflessione sul piano
epistemologico. Nel 1897, pubblica il mio credo pedagogico, nel quale espone credo nel senso di credenza
ricevuta dai filosofi del pragmatismo, un credo laico, il mio credo pedagogico che Dewey espone in senso
metaforico quale credo a cui ispira la sua idea di educazione progressiva che porta al cambiamento.
Un’educazione sperimentata, un riscontro empirico, partire del 1896, quando fonda la scuola laboratorio
nella sua scuola di Chicago. Allora veniamo a leggere il mio credo pedagogico, attenzionando il mio credo
pedagogico, che distingue in 5 articoli, attraverso cui sottolinea idea di scuola di educazione e di natura del
metodo, la relazione della scuola.
➢ quello psicologico è basilare, gli istinti e i sentimenti del fanciullo forniscono gli elementi dando via
a tutta l’educazione. Dewey , la dimensione psicologica determinante rispetto a quella sociale,
visone americana. L’educazione non può che ancorarsi agli istinti , alle capacità che sono ad
emergere, perché se questo non succede non possiamo in senso graduale, far progredire il
soggetto. Se gli sforzi degli educatori non si allacciano a qualche attività che il fanciullo compie di
sua propria iniziativa, l’educazione si riduce a essere soltanto una pressione dall’esterno. Non può
essere autenticamente educativo: ‘’senza una penetrazione della struttura dell’attività psichica
dell’individuo, il processo educativo sarà arbitrario e accidentale’’, senza logica. ‘’se non coincide
con l’attività del fanciullo ne verrà stimolato diversamente risulterà un ostacolò’.
➢ Conoscenza delle condizione sociali è necessaria per interpretare i poteri del fanciullo. Che cose la
società oggi, conoscerla per poter vedere in che posizione del soggetto per poterlo avanti. Il livello
del soggetto che ha raggiunto, dobbiamo essere capaci di proiettarlo nel futuro. Questo concetto
esprime l’idea di continuità, quello che è nel presente, che potrebbe essere e che a che fare con il
suo passato. Il concetto di continuità sta anche dalla continuità tra filogenesi e ontogenesi.
L’aspetto psicologico e sociale sono in rapporto organico, l’educazione non è compromesso tra i due. Se
diamo importanza solo all’aspetto psicologico dell’educazione essa resta estranea al contesto storico-
culturale, senza darci idea dell’impiego dei poteri della mente. L’educazione invece, come processo sociale
di adattamento, ne fa un processo forzato ed esterno, contiene il ischio di una conformazione che non tine
conto la dimensione individuale. Per conoscere una facoltà dobbiamo conoscerne il fin, la funzione,
dobbiamo tradurne il fine e l’impiego nel suo equivalente sociale, e concepire l’individuo attivo nella
costruzione dei suoi rapporti sociali. Il solo possibile adattamento è quello di porre il fanciullo nel possesso
completo delle sue facoltà. L’educazione deve educare a qualcosa di particolare? A un tecnicismo? Non si
educa a qualcosa di particolare ma quella che pone il soggetto nel suo possesso delle sua capacità. La
società è in continuo cambiamento, è inutile educare al soggetto a fare una cosa specifica, perché di fatto
non necessariamente quel titolo acquisito avrà fruibile per il livello di sviluppo che la società a raggiunto in
quel momento.
A che cosa dobbiamo educare? Mettere in ossesso il soggetto di tutte le sue facoltà mentali, in modo che
il soggetto possa usare pensiero, azione , sentimento declinandola in senso storico culturale. Poteri e
gusti, interessi dell’individuo sono da tenere in considerazione per prepararlo alla vita futura rendendolo
padrone delle sue facoltà in modo da poterle usare in qualsiasi contesto, a livello operativo, etico, affettivo,
psicologico, ma bisogna tenere in conto i gusti gli interessi, abitudini la capacità. Per fare questo dobbiamo
essere ancorati alla specificità della soggetto, disposizione affettivo-emotiva, maturità del giudizio del
soggetto, prerequisiti cognitivi, in modo tale questo sia funzionale a far muover il soggetto a un livello
successivo. L’individuo è un individuo social, lo specifico che caratterizza la specie umana è quello di essere
sociale. Questi individui sono posti tra loro, non come somma, ma come sistema di individui che si muove
nella reciprocità tra gli uni e gli altri. Se eliminano il fattore individuale si resta con una massa inerme e
senza vita, se eliminiamo il fattore sociale dl fanciullo si resta con una astrazione, u ritratto di un profilo
tracciato in sede scientifica. L’educazione deve essere controllata a ogni punto, queste facoltà devono
essere costantemente interpretate, dobbiamo sapere il loro significato e sapere se devono essere tradotte
nella loro equivalente sociale.
IN CHE MODO L’ISENGNANTE PUO’ DA LUOGO AD UN SETTING DI GRUPPO? La conduzione del gruppo
dovrebbe essere pensata e trattata in termini di setting che è un concetto che viene ripreso nel suo valore
metaforico perché la sede vera in cui questo concetto è stata o argomentato è nel merito della psicologia,
in particolare nell’ambito psicanalitico. CHE COSA SIGNIFICA LA PAROLA SETTING? COMEVIENE AD ESSERE
RIELABORATO IN SENSO EDUCATIVO? Riferirsi al setting significa concepire l’ambiente educativo\contesto
educativo e s’intende l’insieme del sistema di ipotesi (cioè la teoria che possono essere anche la sintesi
delle diverse teorie) e la cornice dei diversi interventi (la pratica, concretizzando gli interventi educativi).
S’intende quindi non solo gli interventi ma anche gli insiemi di ipotesi e come queste si traducano nella
pratica. Si tratta del fatto che chi conduce abbia una teoria di riferimento e che ne abbia consapevolezza.
Questo è importante perchè se l’educatore non è competente piò intervenire senza porsi il problema di
cosa sta facendo. QUALI SONO I PUNTI CHE CONTRASSEGNANO IN AMBITO PSICANALITICO IL SETTING?
1. ACCETTAZIONE IN ANALISI: il paziente si presenta in terapia per la prima volta ed espone il problema al
terapeuta. L’accettazione viene fatta su due aspetti: che il terapeuta conosca il disturbo che il paziente
mostra e anche sulla base della compatibilità, che è affettiva perchè il paziente può avere un problema
che può avere anche il terapeuta o una persona a lui vicino facendo così attivare dei meccanismi nei
quali il terapeuta rivive qualcosa in cui non riesce ad essere obbiettivo. Quindi nell’accettazione il
terapeuta comunica se può o non può prendere in carico quel paziente. IN CAMPO EDUCATIVO PUO’
SUCCEDERE? Si, in quanto l’educatore può prendere in carico un problema e poi, una volta sul campo
capire che non è in grado di affrontare il problema;
2. PATTO\CONTRATTO TERAPEUTICO: definisce l’assimetria che c’è, quindi si definisce chi aiuta e chi
viene aiutato. Se questa precisazione non viene fatta allora la terapia non funziona, quindi dev’essere
chiaro perchè entrambi i soggetti svolgeranno il loro compito. Anche in campo educativo questo
dev’essere chiaro in quanto c’è chi educa e chi è educato perchè se non si regge l’assimetria il rapporto
non funziona. Vede all’interno della psicanalisi la definizione degli appuntamenti in cui vi devono essere
due informazioni il tempo (quando,frequenza e durata) e lo spazio che in ambito psicanalitico sono
fisici, quindi è fondamentale non cambiare costantemente i luoghi e l’ora dell’incontro. Sono
appositamente dedicati al soggetto nella misura in cui egli ha bisogno. Quindi anche in ambito
educativo devono essere chiare queste categorie quindi quando ci incontriamo, ogni quanto, dove.
Ogni azione deve avere il suo spazio ed il suo tempo.
3. NEUTRALITA’\ESTENSIONE DAL GIUDIZIO: il terapeuta resta neutrale e si astiene dal giudizio. Dal
punto di vista educativo è possibile restare neutrale? No, non può astenersi dal giudizio ma conta il
modo in cui viene esternato il giudizio. L’educatore non deve giudicare la persona ma l’azione in quanto
se giudicasse la persona la paralizzerebbe.
4. COMPENSO ECONOMICO: il terapeuta si fa pagare perchè quello è il suo lavoro. Il fatto che ci sia il
compenso economico rimarca che li sta succedendo qualcosa di professionale e riconosce al terapeuta
una certa competenza che lo legittima a fare quel lavoro e legittima anche al soggetto di fare il migliore
lavoro possibile in quanto, pagando, il soggetto vuole risolvere il suo problema. In ambito educativo
l’educatore viene pagato ma non necessariamente dalla persona con cui lavora. La professionalità
quindi gli viene riconosciuta ma fa anche il modo che il soggetto si impegni di meno. Quindi l’educatore
per guadagnarsi la fiducia deve fare un altro tipo di lavoro. Molte realtà vengono supportate dai
volontari ma il rischio è che esso venga fatto da persone che non sono in grado di farlo in determinati
contesti.
5. DIVIETÒ DI AZIONE E DI CONTATTO FISICO: nella psicanalisi classica il paziente e lo psicanalista non
possono darsi la mano perché il corpo è il più grande mediatore dell’essere umano. Se l’altro viene
inavvertitamente verso il corpo dello psicanalista gli si abbassano le difese e non riesce più ad essere
obbiettivo. Il paziente si sentirà più uguale allo psicanalista e ciò non gli permetterà il TRANSFER. In
ambito educativo è possibile garantire che venga ad essere mantenuto il patto educativo al di fuori
delle azioni del contatto fisico? No, non è possibile evitare il contatto fisico. Nel contesto educativo vi
possono essere solo le azioni di contatto fisico che hanno solamente una valenza educativa.
6. REGOLA FONDAMENTALE: POSSONO ESSERE MESSE IN PAROLA O IN SIMBOLI IL MONDO INTERNO
DEL PAZIENTE: in modo che possa essere “ripulito” dalla sofferenza e riabilitato a far bene. In ambito
educativo la regola fondamentale non è questa ma è che in ambito educativo può succedere quello e
solo quello che riguarda l’educazione. Il rapporto tra l’educando e l’educatore dev’essere solamente
educativo.
La gestione del setting educativo duale e gruppale deve includere una particolare attenzione al modo in cui,
a livello individuale e collettivo, la vita affettiva inneschi i percorsi dell’intelligenza e la vita cognitiva
inneschi i percorsi dell’affettività (citazione presa da un libro di Montuschi in cui dice che l’intelligenza può
essere bloccata\inibita dalla paura o favorita dalla speranza. E dice che quando un soggetto si trova in una
situazione di criticità il lavoro educativo non può immaginare di essere un lavoro che lavora solo sulla
cognizione ma deve lavorare anche sul piano affettivo, emozionale e riportandola ad essere decisionale o
operativa).
La comunicazione è lo strumento principale con cui l’educatore realizza la sua educazione. Importante a
riguardo è stato il contributo della scuola di Palo Alto in California che mise insieme studiosi di diverse
discipline che radiarono la comunicazione umana. La pragmatica (cioè il contesto in cui avviene la
comunicazione) della comunicazione umana ha cinque assiomi:
1. TUTTO E’ COMUNICAZIONE, NON SI PUO’ NON COMUNICARE: l’educatore quindi comunica sempre,
attraverso il linguaggio verbali, non verbale, orale, scritto ma anche con il tono di voce. È un aspetto
fondamentale. Quale ricaduta ha? L’educatore dev’essere consapevole che sta sempre comunicando;
2. LA COMUNICAZIONE HA UNA NATURA DI CONTENUTO E UNA DI RELAZIONE (ED È’ LA SECONDA CHE
QUALIFICA IL PRIMO): a fronte dello stesso contenuto le ricadute possono essere diverse, infatti
dipendono dalla relazione che il soggetto ha con l’altro. A livello educativo significa che è la relazione
che qualifica il contenuto, è la relazione che stabilisce che tipo di cosa e come può essere detta. Quindi
l’educatore all’educando può dire solo alcune cose e nel modo in cui è opportuno dirle in relazione al
tipo di rapporto che il soggetto ha con l’altro;
3. LA COMUNICAZIONE SI CARATTERIZZA PER UNA PUNTEGGIATURA RESTITUITA DAI FEEDBACK: la
comunicazione non è unidirezionale ma è bidirezionale, quindi la risposta può essere agita in modi
diversi (quindi non è necessario che l’altro dica esplicitamente quello che pensa a livello verbale ma
anche a livello fisico possono esserci delle risposte);
4. LA COMUNICAZIONE PUO’ ESSERE NUMERICA E ANALOGICA: la comunicazione numerica si ha quando
comunica in maniera denotativa\oggettiva, analogica quando ricorre ad una modalità di comunicazione
basata sull’analogia e sulla metafora oppure a livello non verbale. In questa comunicazione vi può
essere il paradosso della comunicazione, cioè comunico confermando e disconfermando, vi è quindi
ambivalenza. Questa comunicazione non va bene perchè non si stabilisce il patto\contratto pedagogico
in quanto la comunicazione non è chiara;
5. LA COMUNICAZIONE PUO’ ESSERE SIMMETRICA O COMPLEMENTARE: con simmetrica s’intende
paritaria rispetto alla posizione che il soggetto ha nel suo rapporto, quella complementare è la
comunicazione tra chi educa e chi è educato che non sono nella stessa posizione. L’assimetria non è
data dall’età ma dai ruoli. È molto importante definire questa assimetria e mantenerla perchè se
l’educatore non lo stabilisce l’educando non riconosce l’autorevolezza dell’educatore e può rischiare di
diventare più forte dell’educatore.
LA MESSA A PUNTO DEL SETTING: il gruppo può essere considerato sia come un aggregato spontaneo ma,
in ambito pedagogico, il gruppo dev’essere trattato dall’educatore come un metodo di lavoro. Questo
passaggio riguarda quindi a messa a punto del setting di gruppo da parte dell’insegnante o dell’educatore e
deve includere:
1. LA CHIARA CONDIVISIONE E DEFINIZIONE DEL PATTO\CONTRATTO PEDAGOGICO-DIDATTICO;
2. CREARE COERENZA E CONGRUENZA FRA TRE FATTORI: occupazione (lo scopo, l’attività per la quale il
gruppo è stato riunito), organizzazione (ampiezza, ossia piccolo, medio, e grande gruppo, costituzione
libera o pilotata, selezione, ossia criteri di omogeneità e\o eterogeneità per fattori bio-psicologici o
socio-culturali, spazio, tempo (è possibile distinguere tra gruppi formali che fa. Un progetto, oppure
non formale, che si incontra per una porzione di tempo definita educativa o didattica. Oppure informale
che si può riuscire anche per pochi minuti. La differenza sta in quanto l’educatore debba approfondire
certi temi), disposizioni generali, fasi, rotazione dei ruoli, vi sono diversi tipi di ruolo (Che possono finire
per identificarsi con l’essere di una persona. Per questo è importante agire nella rotazione dei ruoli),
dinamica con cui s’intende la dinamica affettiva del gruppo (ruolo dell’insegnante e\o dell’educatore,
attivazione, comunicazione, socializzazione, meccanismi e contenuti) del gruppo;
3. RENDERE CIASCUNO E TUTTI I SOGGETTI ATTIVI E CONSAPEVOLI: redare attività di gruppo dove non
sono solo attivi alcuni e altri no altrimenti solo chi ha il dominio del gruppo sarebbe attivo. Fra gli
approcci alla cooperazione si trova il cooperative learning che è nato sulla base di differenti teorie e
approcci alla cooperazione di tradizione storica e che accoglie un insieme di tecniche messe a punto
all’interno di cinque differenti filoni di insegnamento-apprendimento cooperativo in differenti paesi.
Quali sono le caratteristiche? Si rifanno a dei contenuti, degli approcci alla cooperazione che fanno
riferimento ai modelli di cooperazione di importante tradizione europea. Un elemento fondamentale di
queste tecniche sono:
● INTERDIPENDENZA POSITIVA: che consiste nel creare gruppi caratterizzati da interdipendenza positiva
(non negativa o assente) per arrivare allo scopo finale ciascuno deve fare la propria parte nei modi,
tempi e spazi adeguati, interdipendenza di informazioni, materiali, risorse, interesse, valutazione (ecc.);
● INTERAZIONE PROMOZIONALE FACCIA A FACCIA: ricorrendo a gruppi piccoli che permettono feedback
costanti;
● INSEGNAMENTO DIRETTO DELLE COMPETENZA SOCIALI: in cui si possono dare dei compiti;
● LA RESPONSABILITA’ INDIVIDUALE E DI GRUPPO: l’educatore fa in modo che ciascuno e tutti siano
responsabili del gruppo stesso;
● VALUTAZIONE INDIVIDUALE DI GRUPPO: l’educatore valuta per il lavoro di tutti e anche per il lavoro
dei singoli;
● LA RESTITUZIONE: quando si fa la restituzione? Quando l’educatore dice ai membri del gruppo di
esporre che cosa è emerso e c’è un portavoce. È una dimensione cognitiva in quanto il gruppo spiega
come ha organizzato il lavoro;
● LA REVISIONE: cioè la parte in cui l’educatore chiede al gruppo di spiegare il punto di partenza e quello
di arrivo e come si è svolto il percorso. Ha un valore più affettivo e metacognitivo, anche di
ripensamento del metodo di lavoro.
Il nido nasce ufficialmente nel 1971 con la legge 1044 in un clima caratterizzato da notevoli mutamenti:
l’entusiasmo per i servizi sociali e la partecipazione democratica alla loro costituzione, la valorizzazione del
lavoro femminile e il nuovo quadro teorico sullo sviluppo infantile che rende plausibile pensare e
progettare per i bambini più piccoli l’intervento formativo anche al di fuori della famiglia.
I bambini in passato venivano mandati al nido per necessità, le donne ricche avevano delle donne/balie che
crescevano e allattavano i loro figli, poi nascono alcune esperienze che vanno nella direzione di un servizio
che sostiene le donne che lavorano. Con la nascita dell’OMNI, per mano di Mussolini, lo stato metteva a
disposizione delle vigilatrici che avevano le conoscenze adeguate per la cura del corpo degli infanti e che
dovevano saperli vigilare nella maniera adeguata. Il nido nasce negli anni ’60 in relazione alla conciliazione
femminile, le donne avevano infatti richiesto la parità delle opportunità: se avessero dovuto andare a
lavorare allora avrebbero avuto bisogno di un posto in cui collocare i figli. Il nido nasce quindi come risposta
socio-assistenziale, risposta al bisogno delle donne di andare al lavoro in ambito del welfare. In questo
saggio vi è un dibattito tra quelli che vogliono nel nido uno sguardo più didattico e quelli che sostengono la
socializzazione che al nido avvengono attraverso quelle attività che sono le routine biologiche e
fondamentali in quanto sono alla base della sussistenza del bambino ma anche in che modo la figura
educativa tra pari rende possibile la risoluzione delle routine fondamentali rispettando i vari tempi e i vari
spazi ma anche le funzioni che invece stanno allo sviluppo del bambino sul piano dell’evoluzione fisica (es.
motricità), l’evoluzione psicologica (emotivo-affettiva), lo sviluppo delle funzioni etiche, e della capacità di
coltivare la funzione estetica quindi la sensorialità che si sviluppa attraverso la manipolazione e la capacità
di sviluppare la realtà. Questo porta a riflettere anche dell’opportunità che l’esperienza al nido si carichi di
quotidianità anche nell’alleanza scuola-famiglia che si caratterizzi anche per delle scelte curricolari precise
dove oltre la cura in senso fisico si va verso una cura educativa quindi il bambino possa fare esperienze
concrete e via via astratte dell’esperienza del mondo e degli affetti quindi delle relazioni. Quando si parla
del nido si possono trovare delle realtà in cui nido e servizi educativi per l’infanzia sono particolarmente
presenti mentre in certi territori alcune famiglie non abbiano la possibilità di mandare il figlio al nido,
oppure che ci siano ma che siano troppo pochi oppure che abbiano poche disponibilità della famiglia. Si
parla in questo senso anche della figura del pedagogista degli educatori e quindi anche della
documentazione. QUALE SONO LE TIPOLOGIE DI NIDO?
1. Nido d’infanzia convenzionato;
2. Nido privato;
3. Nido aziendale;
4. Micronido: ospita un numero più limitato di bambini rispetto al nido;
5. Micronido famigliare: in cui una famiglia mette a disposizione la propria casa per accogliere
dei bambini;
Oltre al nido vi sono poi altri servizi:
6. Centri gioco/centri infanzia: si caratterizzano per servizi di ludoteca;
7. Laboratori d’infanzia;
8. Baby parking: servizi presenti prevalentemente nei centri commerciali o in zone specifiche
della città dove il genitore può affidare il figlio “a pagamento” e a ore.
Questa prima parte riflette su una formazione multidimensionale e integrale che emancipi
il soggetto dalle condizioni di oppressione, subalternità e alienazione , eviti specialisti e
sviluppi le potenzialità e risorse di ciascuno e di tutti senza preclusioni di genere, profilo
psico-fisico, classe sociale, gruppo etnico-linguistico-religioso.
Bisogna sostenere e andare verso una direzione in cui esistono diverse intelligenze
multiple (produrre formae mentis). Inoltre si deve andare verso una nuova teoria della
scuola che sostiene la SCOLARIZZAZIONE DI MASSA che poggia su due traguardi
principali:
• Modernizzazione culturale (il diritto di tutti alla qualità e alla conservazione della
conoscenza per tutto il corso della vita).
L’isola della formazione: formazione intera come formazione per tutta la vita (età della
vita come età dell’educazione) e molteplici luoghi della formazione (luoghi di vita come
luoghi dell’educazione).
-form. Scolastica
-form. Extrascolastica
-form. Universitaria
-form. Permanente
- Le ibridazioni epistemiche
1
2.PROFESSIONI EDUCATIVE PER IL SOCIALE: PROGETTUALITà E SETTING
EDUCATIVO
Un sistema integrato di interventi e servizi sociali come quella declinato dalla Legge
Quadro del 2000 va pensato come un sistema di sistemi collocati l’uno per-con l’altro,
ovvero va pensato come una cooperazione di sistemi in cui si lavora per-con l’individuo.
LEWIN (psicologo della Gestalt) considera il gruppo come un qualcosa in più e di diverso
dalla somma delle parti: un soggetto sovraindividuale caratterizzato dal modo in cui le
parti sono in interdipendenza tra loro. Questa teoria è in affinità con la teoria dei sistemi
mutata in biologia da V. Bertalanffy. Il gruppo viene inteso come un sistema dinamico in
continua evoluzione, costantemente impegnato tra processi di autoproduzione interna,
che garantiscono la vita delle singole parti e del tutto, e scambi di energia e materiale con
l’ambiente esterno. Ne consegue che nessun gruppo è mai uguale ad un altro e a se
stesso in momenti diversi della sua vita. (Rimando a pag. 29).
In senso molto generale si può definire setting un’istituzione, ossia una struttura
organizzata degli spazi, dei tempi delle regole-relazioni intercorrenti tra fornitori e fruitori
di una funzione convenuta come socialmente utile. Significa organizzare, mettere a
punto, disporre, stabilire e stabilizzare qualcosa. Il Setting ha a che vedere con l’attività di
fissare le condizioni di funzionamento di una cosa o di una situazione introducendo
parimenti di continuità e regolarità. In conclusione, il Setting è il risultato della
progettualità e riflessione sull’esperienza, ma è anche il risultato di un processo di co-
costruzione di un campo fisico e mentale che viene via via ridefinito e co-costruito
insieme, utenti e educatori. È quindi parte integrante del Progetto educativo.
Importante l’educazione agli adulti come condizione di stato per tutta la vita, dare una
giusta formazione alla figura professionale dell’educatore de del Pedagogista.
2
• Culturali ( con riferimento ai miti e riti che segnano i contenti e con attenzione
particolare sia alla crisi della presenza che può emergere, sia nelle fasi di inserimento,
permanenza, congedo dai contesti-importanza di una progettazione volta in una
prospettiva futura).
• Psicologici (con particolare riferimento alle immagini reali, ideali e soprattutto alle
rappresentazioni sociali e stereotipi e pregiudizi). Bisogna sempre tener conto dei
fenomeni e/o dinamiche anti-gruppo.
Il gruppo inoltre è segnato particolarmente dalla reciprocità che può attivarsi tra immagine
reale, ideale e sociale.
Pag. 59 spiegazione.
Occorre definire sia la formazione universitaria , con competenze, titolo, qualificazione, sia
l’accesso al lavoro e la formazione continua per valorizzare il patrimonio professionale e
garantire il riconoscimento, la trasparenza e la spendibilità, anche in rapporto
all’educazione formale.
La legge 205/2017 stabilisce che il titolo di pedagogista è rilasciato al termine delle Classi
di laurea magistrale LM50 Programmazione e gestione dei servizi educativi (…).
Oltre alle nuove competenze professionali del pedagogista cambieranno anche gli ambiti
lavorativi e l’organizzazione strutturale dei servizi. Si sviluppa la necessità di servizi
integrati, ossia interventi diretti rivolti sia alle famiglie che ai contesti territoriali. Vi è cioè
una complessa e importante innovazione del sistema: la creazione di un nuovo welfare,
3
riformando il sistema dei servizi—> passare da welfare come costo al welfare come
investimento.
La professione del Pedagogista, sia che la si consideri dal punto di vista della
conoscenza teorica, sia che la si consideri dal punto di vista della concreta esperienza, è
un lavoro complesso, dinamico, problematico, caratterizzato dalla pluralità di aspetti
instabili e contraddittori.
- di base,
- significative, cioè rivolte al coinvolgimento dei soggetti e dei gruppi a livello cognitivo,
socio-relazionale e motivazionale;
4
educati ai rapporti con gli altri ed educa a questi legami che possono differenziarsi da
società a società e da cultura a cultura.
• La fam si segna della differenzia sul piano sociale e sul piano etnico; quindi in diverse
culture i valori ed i significati che caratterizzano la famiglia sono diversi.
• La fam si distingue per differenze psicologiche, consapevolezza dei ruoli dei membri
della famiglia e alle condizioni di equilibrio psicologico. La famiglia dunque ha un
struttura complessa e risente dei cambiamenti della società all’interno del contesto di
appartenenza. Si può parlare ai giorni nostri infatti di diverse tipologie di famiglie:
- Monoparentali o mononuclari;
- Affidatarie;
- Adottive;
- Allargate;
- Ricopmposte;
- Miste;
- Ricostruite (…)
I compiti di sviluppo della vita sostenuti dalla famiglia attraverso le attività di educazione.
Il compito di sostegno non è rivolto solo ai bambini ma anche agli adulti (es. davanti alla
morte di un figlio).
• Agente di controllo, ricorrendo ad artefatti od oggetti per tutelare anche a distanza i suoi
memori;
• Costo, materiale (il debito che ho nei confronti della famiglia), e/o un costo psicologico
(sempre inerente al sostegno).
Le varie funzioni possono presentarsi con profonde differenze e/o intensità e specificità
da famiglia a famiglia proprio per quanto detto poc’anzi.*
5
In questo ambito si parla di Pedagogia della famiglia come ambito pedagogico che non si
limita ad assumere l’infanzia e l’adolescenza ma l‘intero sistema famigliare e includendo
altre figure parentali oltre quella della madre; Si configura dunque come educazione
famigliare e sostegno alla genitorialità nelle più complessive trame dell’educazione degli
Adulti.
Rappresentano due tra i principali servizi ed interventi a sostegno della famiglia come
sistema educativo e della genitorialità svolto da un équipe attiva.
1. L’EDUCATIVA DOMICILIARE:
Intervento mediato dal Servizio Sociale e dal Tribunale per i Minorenni, entro un sistema
famigliare problematico o disfunzionale in cui viva almeno un minore.
Gli obiettivi:
2. LO SPAZIO NEUTRO:
Servizio mediato dal Servizio Sociale e avviato da un atto della magistratura entro un
sistema familiare in cui viva almeno un minore.
Gli incontri devono essere predisposti in spazi, tempi e regole che ne scandiscono lo
sviluppo, inoltre l’educatore deve essere sempre presente.
Il concetto di adozione risale ad un tempo antico, ovvero l’epoca dei romani ma solo con
il passare del tempo ha mutato il suo significato arrivando fino alla concezione odierna del
termine. Solo nel 1967 il termino adozione assumerà nel diritto italiano un nuovo modello,
in risposta ad un duplice bisogno: da un lato la necessità da parte di una coppia priva di
6
figli ma desiderosa di averne, dall’altro il bisogno di affetto e sostegno materiale da parte
di un minore abbandonato. Viene configurata come una filiazione e ogni legame con la
famiglia di origine viene reciso.
L’adozione internazionale è regolata dalla Convenzione dell’Aja sulla protezione dei minori
e sulla cooperazione materia di adozione internazionale firmata nel 1993.
• Adozione piena, ed è riservata alle coppie sposate, stabilmente convincenti e non oltre
una dei. Età rispetto a quella del minore e in grado di allevare ed educare il piccolo che
da parte sua deve essere stato dichiarato in “stato di abbandono” dal Tribunale dei
minori;
• Adozione internazionale, per i minori che si trovano all’estero e siano stati dichiarati
adottabili dalla legge interna di quel paese.
Il concetto di affidamento invece va inteso come un rimedio previsto per il caso del
minore la cui famiglia non sia temporaneamente in grado di svolgere i compiti di
“mantenere, istruire, educare” imposti dalla Costituzione (art.30).
• Affidamento ai servizi sociali, con collocazione presso una famiglia, per lo più estranea
al minore;
• Affidamento ai servizi sociali, con collocazione presso una comunità di tipo familiare.
Il minore ha il diritto di crescere ed essere educato dai genitori oppure nell’ambito della
famiglia allargata di cui fanno parte i parenti più stretti, come i nonni o gli zii. Solo quando
la famiglia non abbia gli strumenti per offrire al minore un’ambiente adeguato,
l’ordinamento interviene con gli strumenti dell’affidamento (quando la problematica
familiare appare transitoria o risolvibile) o dell’adozione (quando la problematica familiare
ha carattere particolarmente grave o irreversibile).
È molto importante per gli insegnati o chiunque abbia a che fare con bambini in
affidamento che tenga conto che tale condizione per natura è transitoria, e che ha
l’obiettivo di consentirei reinserimento nella famiglia di origine il più presto possibile.
Un’esperienza di gruppo educativo ha tra i suoi obiettivi quello di favore e/o recuperare
nei minori un sano sviluppo psico-sociale, educarli all’organizzazione della vita
quotidiana, alla progettualità e alla decisionali responsabile in prospettiva di autonomia
dalle figure adulte.
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1. L’INSERIMENTO—> il minore può essere più o meno consapevole del motivo a causa
del quale si trova in comunità e dunque può vivere questa fase in maniera positiva o
salvifica, oppure in maniera negativa, come un’imposizione che lo allontana dalla
famiglia di origine. Bisogna poi precisare che l’educatore, per questione di privacy,
non sempre è a conoscenza anch’esso del passato del minore, l’unica certezza è che
si tratta di un trascorso esperienziale burrascoso.
3. IL CONGEDO—> fase che necessita di una progettazione dei tempi e dei modi per un
opportuno distacco e per la preparazione al rientro in famiglia o spesso, un nuovo
affido. Può essere anch’essa una fase accompagnata dall’angoscia e dalla paura di
rientrare in una condizione di vita negativa.
Il nido nasce ufficialmente nel 1971 con la Legge 1044, come sostegno alle famiglie,
soprattutto quelle meno abbienti. Ogni regione ha elaborato proprio regolamenti in
rapporto alle diverse realtà locali, affrontando in maniera autonoma e indipendente i
diversi aspetti. Questo ha determinato il delinearsi di profili molto diversi tra regione a
regione e una distribuzione dei Nidi in maniera disomogenea. Il Nido moderno si pone
come finalità progettuale non solo quella di sostegno e di aiuto alle famiglie ma
soprattutto quella di promuovere le competenze di tutti i bambini in raccordo con la
successiva scuola dell’infanzia. Deve:
Approfondiamo il punto 4.
Il curricolo consiste nel promuovere il primo sviluppo del bambino e il mezzo per
perseguirlo. Lo sviluppo infatti deve essere accompagnato in maniera intenzionale sin
dalla prima infanzia, per questo è importante definire obiettivi e percorsi educativi. Inoltre
l’educatore deve tenere conto dei bisogni dei bambini sia a livello del singolo sia a livello
di collettività (del gruppo). Infine sarà fondamentale integrare momenti legati alla
promozione della cura e momenti legati alla promozione dell’educazione. In questo senso
la CURA corrisponde a tutti i momenti che si ripetono quotidianamente, ovvero la routine.
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I tempi dei bambini—> organizzazione della giornata educativa che ha ripercussioni
importanti sul loro sviluppo.
I tempi degli adulti—> pianificare fin da subito un buon orario di lavoro per salvaguardare
la continuità del rapporto educatore-bambino.
Gli spazi—> gli educatori devono trovare soluzioni adatte a organizzare lo spazio
educativo in coerenza con gli assunti pedagogici e con l’idea stessa del bambino e del
suo sviluppo. Il modo in cui è organizzato uno spazio suggerisce ai bambini e agli
educatori di compiere determinate azioni e di entrare in contatto con specifici materiali
piuttosto che altri.
Il pedagogista rappresenta una figura guida, un coordinatore degli educatori. Egli infatti
deve coordinare e supportare gli educatori nelle loro molteplici azioni di progettazione
curricolare, osservazione, valutazione e documentazione, promuovendo costantemente la
loro professionalità.
- Preparare le premesse per un rapporto istruttivo e proficuo con i genitori e per parlare
assieme dello sviluppo del figlio;
Esistono servizi “oltre” il Nido: nido d’infanzia convenzionale, nido d’infanzia privato, nido
d’infanzia aziendale, micronizzo, micronizzo famigliare, centro gioco o centro d’interesse,
lavoratorio d’infanzia, baby parking.
Si parla infine sempre di più dell’importanza della continuità che ci deve essere tra i nidi e
le scuole dell’infanzia.
Immagina la centralità della vita psichica del bambino ritenendo la mente del bambino
una mente assorbente caratterizzata da periodi critici o sentitivi in cui il bambino è
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propenso per apprendere e raggiugnere un livello di apprendimento e sviluppo superiore.
Questi periodi vanno allora sfruttati. È influenzato dall’ambiente che deve essere
appositamente preparato: l’ambiente montessoriano è infatti progettato e preparato e
ricorre a specifici materiali di sviluppo (materiale scientifico) che devono essere
caratterizzati dalla progressività e dall’auto-correzione. Per quando riguarda la libertà
invece, ritiene che il bambino sia libero non quando “fa quello che vuole” bensì, quando
compie uno sforzo costante per controllarsi e migliorarsi.
Istituzioni educative: fonda inizialmente LA CASA DEL BAMBINO il primo a Milano, nel
quartiere di S.Lorenzo nel 1910. Il bambino doveva giungere ad essere autonomo il prima
possibile.
Il CAG svolge u ruolo attivo di raccolta e di coinvolgimento, per questo motivo il termine
“aggregarsi”. Infine, si presta molta attenzione alle diversità, al sostegno delle specificità.
Si può dunque definire il carcere come un sistema organizzativo complesso a cui si pensa
avendo a riferimento un sistema di teorie sulla pena e che dovrebbero regolarsi secondo
quanto avviene santino dal sistema legislativo vigente nel Paese.
Il sistema di teorie sulla pena vigente nel nostro Paese attribuisce alla pena la funzione di
sanzione adeguata secondo parametri oggettivi ed è destinata a pagare il danno che la
collettività ha subito.
Il sistema legislativo vigente nel nostro Paese ribadisce principio della finalità educativa
della pena. Si tratta di un programma di trattamento messo a punto sulla base
dell’osservazione della personalità di ogni soggetto, da parte di un gruppo
interdisciplinare caratterizzato da differenti ruoli e funzioni. Gli elementi centrali di questo
trattamento sono: ‘istruzione, la religione, il lavoro, le attività culturali, ricreative, sportive, i
contatti con il mondo esterno e i rapporti con la famiglia. Tale trattamento non può essere
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importo, bensì necessita della richiesta e della collaborazione attiva dei detenuti. Lo
spirito legislativo impone che il tempo della detenzione sia caratterizzato non soltanto
dalla privazione o della limitazione di beni e diritti fondamentali, ma abbia un contenuto
positivo, “che aiuti il detenuto a preparare prospettive e alternative senza le quali il
deterioramento della persona è un fatto sicuro e, a partire da un certo punto in poi ,
pressoché irreversibile.
I nuovi compiti relativi al trattamento comportano un assessment iniziale che permetta di:
Il ruolo dell’EDUCATORE:
• Dovrebbe portare a riconciliare dialettica l’antinomia EDUCARE-PUNIRE, quando
l’educatore è lì per far star meglio un detenuto in un contesto istituzionale pensato e
costruito per punire. Questo tuttavia è un modello gratificante per l’educatore in quanto
la società aliena mentre l’educatore ripara e ricostruisce. È ben opportuno che
l’educatore adotti un giusto “distanziamento emotivo” in modo tale da saper dire sia di
sì sia di no alle richieste o eventi che si troverà a dover affrontare.
Da più parti si sostiene che l’istituzione carceraria debba essere almeno profondamente
riformata e soprattuto che il sistema di rieducazione strettamente legato all’esperienza di
reclusione presenti più limiti che potenzialità e che sia necessario per l’espiazione della
pena provare a individuare soluzioni alternative.
Possiamo dire che sia come una sfida, ovvero, trasformare gli istituti in ambienti educativi
di apprendimento.
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15.LE STRUTTURE INTERMEDIE PER L’ESECUZIONE PENALE ESTERNA.
• Supporto psicologico;
• Riflessione critica sul reato che dovrebbe coinvolgere non solo l’autore del reato stesso
ma l’intera società.
Il target: solitamente persone adulte autori di reato che non presentano patologie di tipo
psichiatrico e/o legate alla dipendenza patologica.
La fase dell’inserimento coincide con un primo recupero delle abilità e delle aree di
funzionamento della persona ed è importante monitorare come viene vissuto dagli ospiti
(sia dal nuovo utente sia dal resto degli ospiti). Questa fase di inserimento può provocare
nella persona stati di disorientamento o di destabilizzazione.
La permanenza—> durante questa fase vengono allo stesso tempo realizzati il progetto
educativo individuale e quello di comunità. Il secondo è funzionale a perseguire
responsabilità sociale e autonomia individuale da parte di ciascuno e tutti gli ospiti. In
questa fase ha un grande importanza il lavoro in quanto favorisce lo sviluppo di una
modalità comportamentale socialmente adeguata, d’altra parte è uno strumento
fondamentale per l’indipendenza economica e sociale.
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Il tempo deve essere scandito dalla vita quotidiana dell’appartamento e il luogo stesso in
cui opera il gruppo-appartamento deve essere il più possibile simile ad una casa. Questo
perché l’appartamento rimanda a un contesto famigliare e dunque, alla condivisione di
uno spazio da parte del gruppo di ospiti e degli operatori.
Gli strumenti utilizzati sono: una cartella ospite per ciascun paziente, una comunità e gli
strumenti dell’équipe.
L’équipe inoltre, è l’occasione di incontro tra gli operatori che permette di analizzare,
raccogliere info, e direzionare l’intervento educativo attraverso la metodologia di gruppo.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce con il termine droga tutte le sostanze
psicoattive che alterano le normali funzioni del sistema nervoso centrale andando a
modificare i processi cognitivi, le percezioni sensoriali e i nostri comportamenti. Per le sue
caratteristiche biochimiche, la droga può portare ad uno stato di dipendenza,
in cui il soggetto perde la propria autonomia e ogni sua attività è legata e regolata dalla
sostanza stupefacente. Si distingue infatti una dipendenza psicologica ed una dipendenza
fisica.
USO, si intende un rapporto con le sostanze stupefacenti che non vada ad intaccare la
salute fisica.
A partire dal XVIII secondo vi è sempre più diffusa un modello morale che interpreta
l’abuso di sostanze come una cattiva abitudine e/o vizio. Pertanto l’assuntore diviene un
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trasgressore della legge. A partire invece dal XIX secolo il tossicomane viene considerato
non più qualcuno da allontanare, bensì qualcuno da aiutare. Il XXI secolo si
contraddistingue invece sempre di più come il secolo dei poliassuntori, ovvero si assume
qualsiasi sostanza non più una prediletta.
-SECONDA ACCOGLIENZA , serve all’utente per conoscere i vari operatori, gli altri utenti
e le varie attività. Durante questa fase inoltre, gli viene affiancato un altro residente con un
percorso già avviato con l’obiettivo di accompagnarlo nell’inserimento nel nuovo
ambiente di vita per i primi giorni.
-BLACK OUT, fase delicata il nuovo utente vive un distacco totale ma temporaneo con il
“mondo prima” per entrare nella nuova comunità. Si vuole che il soggetto interiorizzi la
nuova vita e sia più consapevole dei suoi punti di forza e dei suoi punti deboli. Si tratta di
un momento in cui deve avvenire una ri-costruzione del sé. Questa fase viene anche
chiamata fase di INTERIORIZZAZIONE.
-RIENTRO, l’utente ricerca un’apertura verso l’esterno in maniera graduale, per iniziare a
vivere la sua nuova vita.
auto-organizzativa dell’utente.
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D). IL LAVORO: CRISI E ATTIVAZIONE DI RISORSE E STRATEGIE
Il lavoro rappresenta un’attività umana finalizzata alla risoluzione dei bisogni materiali e
che sussume ciascun soggetto a una determinata classe sociale, dall’altro mantiene il
ruolo “attività vitale umana”, ponendosi come libera e attiva relazione di trasformazione e
conoscenza della natura, in una relazione di co-evoluzione.
Lavoro ed educazione degli Adulti, due differenti con prospettive distanti tra loro:
B. FILIPPO MARIA DE SANCTIS. Egli indica l’Educazione degli Adulti come l’intervento
formale e strutturato, mentre l’educazione in età adulta è la descrizione oggettiva del
fenomeno.
-continuità dell’esperienza;
La relazione tra uomo e natura tramite il lavoro si configura come un legame co-evolutivo
per cui “coll’agire tramite questo movimento sulla natura esterna e col trasforma, l’uomo
trasforma allo stesso modo la sua propria natura”. (—> l’uomo trasforma la natura in
tecnica e la tecnica trasforma a sua volta la natura umana. Inoltre la tecnica è diventato
oggi l’ambiente di vita dell’uomo).
La dimensione pedagogica del lavoro, nel suo carattere di sintesi fra teoria e prassi,
riduce l’uomo alla sua dimensione costitutiva di co-evoluzione con l’ambiente attraverso
strumenti fisici e simbolici.
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18.LA FINE DELL’IDEA DI LAVORO COME STRUMENTO DI EMANCIPAZIONE. IL CASO
DEI MIGRANTI IN AGRICOLTURA.
Il ruolo che i mercanti assumono nel mercato del lavoro italiano rende esplicito un
processo globale che sta segnando la società degli ultimi decenni. L’accesso al lavoro
NON è più un momento che viene interpretato come l’inizio di un percorso di
emancipazione sociale.
Il dato più importante è che però che la gran arte dei migranti che lavora nella produzione
agricola dell’Europa Meridionale non sembra avere reali prospettive di miglioramento
del proprio status neanche dopo molti anni di attività nel settore. Si delinea infatti una
LINEA DI ESCLUSIONE.
I migranti non riescono ad uscire dal sistema coloniale neanche dopo decenni dalla sua
cessazione formale e dopo molti anni di partenza dai paesi d’origine. Si trovano infatti a
tutti gli effetti ancora all’interno delle gerarchie storiche di dominio ( esclusi dal contesto
sociale, vivono in condizioni di subalternità, esiliati, subiscono forme di esclusione dallo
spazio dei diritti per come è stato formulato nella tradizione europea).
In ambito agricolo sta uscendo una nuova “QUESTIONE BRACCIANTILE” che esprime la
drammatica condizioni di sfruttamento lavorativo in cui versano decide di migliaia di
lavoratori stranieri nelle campagne, prevalentemente del Sud Italia.
Come tema-problema, sul piano pedagogico viene ad esprimere le questioni del conflitto
e del disagio sociale, dello sfruttamento lavorativo minorile e adulto, dell’inclusione e
dell’integrazione dei migranti, richiedendo di conoscere e progettare in funzione dei
processi e le pratiche di istruzione ed educazione prospettando secondo le linee della
pedagogia della famiglia, della pedagogia sociale e interculturale e dell’Educazione degli
Adulti.
Sul piano legislativo si è cercare di cattura provvedimenti per eliminare lo sfruttamento nel
settore agricolo (e non solo) inserendo anche sanzioni gravi.
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• Alcune rimandano ai braccianti le spiegazioni;
• Alcune spiegano con trasparenza i servizi per i quali risulterebbe indispensabile il lavoro
del caporale e degli agricoltori.
I braccianti vivono in pessime condizioni, spesso isolati dal resto della città in “comunità"
chiamate baraccopoli o in ghetti. L’inserimento della persona avviene in maniera
soggettiva. Soprattuto gli immigrati vivono in stabilimenti di fortuna, ovvero luoghi privi dei
servizi fondamentali. Nella catena del caporalato si trovano a dover pagare l’alloggio, il
trasporto, il mangiare e il bere nella pausa pranzo e subiscono una detrazione per ogni
cassone riempito. Le ore di lavoro si aggirano attorno alle 10-12h al giorno.
Il caporale coincide con una sorta di “imprenditore sociale” di un mercato delle braccia
che attinge alla propria rete per trarre profitto dal farsi tramite tra azienda agricola
bisognosa di manodopera e il bracciante in cerca di un’occupazione.
-bracciante interno al discorso comunitario (il caporalato fa leva sul senso di comunità);
-caporale come modello di ascesa sociale (il bracciante si pone come ‘mano destra’ del
caporale e mira in una prospettiva futura, a ricoprire egli stesso un giorno il ruolo di
caporale).
Una vita di questo tipo rende molto difficile un percorso di integrazione con la
popolazione autoctona e non rende possibile emanciparsi da una situazione di povertà e
di marginalità.
Il Bilancio delle competenze. Il suo esercizio si sviluppa con il concorso di tre componenti
che nel loro intreccio equilibrato consentono di raggiungere la competenza professionale
richiesta: la dimensione soggettiva, quella ergonomica, e infinte sulla della formazione/
riqualificazione professionale. Assume un profondo connotato formativo he si connette
alla strutturazione di obiettivi, al riconoscimento delle opportunità e all’assunzione di
responsabilità.
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LE FASI DEL PERCORSO
La fase di accoglienza:
Serve a verificare la disponibilità del soggetto a impegnarsi in un percorso di Bilancio,
facendo emergere le motivazioni di tale scelta. Questa prima fase è finalizzata a:
• Identificare la natura del problema e dei bisogni del soggetto, motivazioni e aspettative;
La fase di investigazione:
È la fase formativa e riflessiva in cui il soggetto struttura il processo di sviluppo del Sè.
Importanti nella riflessione sono le scelte fatte precedentemente e le loro conseguenze e
le esperienze che hanno portato a tali scelte. In sintesi, questo fase congiura la
dimensione investigativa con quella progettuale.
• Atelier COM (finalizzato a fornire indicazioni metodologiche relative sia alla stesura del
CV e della lettere di presentazione).
In un approccio di idea del lavoro non solo su un piano economico, ma anche su un piano
di lavoro-benessere, il concetto di benessere si apre ad una visione ecosistemica che non
comprende solo la dimensione monetaria ma allarga il proprio raggio d’azione a una
condizione generale di benessere della persona sia nel contesto lavorativo che nella vita
18
più in generale, compreso il benessere della propria famiglia, nella dimensione presente
come in quella futura.
• Cura della persona ( palestra aziendale, area relax, centro benessere, consigli
sull’alimentazione…);
Esiste una stretta relazione tra dimensione personale e dimensione professionale e che
tutelare e promuovere il ben-essere del lavoratore non solo significa assicura all’impresa
più efficienza e produttività, ma anche promuovere salute e sviluppo sociale e
comunitario. L’obiettivo pedagogico è quello di ri-progettare e ri-considerare il lavoro
come luogo di cura e di benessere.
La nuova figura professionale che nasce in quest’ambito è quella del Welfare Manager, il
quale opera nel campo delle politiche del lavoro progettando, gestendo, monitorando e
valutando i programmi di welfare sia a livello aziendale che territoriale. Egli inoltre è in
grado di operare progettando, gestendo e monitorando programmi di formazione
specialistica e attività personalizzate di counselling. Per operare in maniera adeguata ed
efficiente deve possedere un cospicuo bagaglio di competente tecniche ma anche
strategie trasversali legate all’ascolto e alla comunicazione efficace, alla progettazone,
alla creazione (…).
UN POSSIBILE FUTURO ?
Sicuramente i servizi di welfare aziendale sono sempre più diffusi nelle aziende, a
beneficio di un numero sempre maggiore di lavoratori e di categorie di dipendenti, sono
presenti soprattutto nelle regioni del Nord e del Centro. Il fattore chiave per il successo
del welfare aziendale è la conoscenza, più i lavoratori possono accedere a informazioni
precise e compete sui programmi di welfare offerti, maggiore risulta essere il loro
gradimento.
La Regione promuove il diritto al lavoro delle persone con disabilità, fondamenta per
garantire l appena cittadinanza e l’inclusione sociale per tutti i cittadini. Si tratta di un
impegno di inserimento lavorativo mirato ed è gestito dall’Agenzia Regionale per il
Lavoro.
La costruzione di un’identità adulta si realizza per mezzo di un ruolo sociale che ha modo
di emergere soprattutto con l’acquisizione di un ruolo lavorativo.
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La Regione sostiene il lavoro delle persone con disabilità attraverso:
• L’istituzione di un fondo regionale per l’occupazione delle persone con disabilità che
mette a disposizione risorse per progetti territoriali;
• L’istituzione di una conferenza sull’incisione lavorativa delle persone con disabilità per
verificare lo stato di attuazione degli obiettivi presiti dalla legge.
La selezione e l’inserimento:
vi è una stretta collaborazione tra il Centro per l’impegno e la Cooperativa che insieme
valutano direttamente le candidature dei soggetti interessati all’inserimento lavorativo.
Uno dei soci, si interfaccia con il Centro per l’impegno è anche insegnate di sostegno. La
conoscenza diretta dei ragazzi diventa un canale privilegiato per la selezione lavorativa
dopo la scuola superiore.
L’inserimento avviene nel primo periodo attraverso l’affiancamento di un tutor che esplora
insieme al soggetto le potenzialità lavorative attraverso l’individuazione delle possibilità
dello studio. Nei primi mesi è previsto un feedback quotidiano tra il soggetto e il tutor che,
con il tempo, tende a diradarsi per convergere sul confronto con tutto il team di lavoro.
La realizzazione della pressa in carico prevede che si operi in sinergia con gli operatori
presenti sul territorio. Il percorso lavorativo viene costantemente monitorato attraeva
sistemiche riunioni d équipe e incontri individuali per perfezionare il comportamento e il
lavoro della persona disabile.
EDUCARE FUORI, è un tipo di servizio socio-educativo in cui non sono gli utenti a
recarsi verso il servizio ma è il servizio a “farsi incontro” agli utenti recandosi nel loro
territorio.
Si ricorre a diverse metodologie accomunate dalle stesse finalità: si tratta del lavoro di
strada (street worker), del lavoro di sviluppo di comunità e dell’advednture education.
La pratica del “farsi incontro” nasce per poter avvicinare persone (gruppi target) che per
vari motivi non riescono o non vogliono usufruire dei servizi offerti delle Istituzioni
educative e dai Servizi Sociali. I gruppi target possono essere formati da varie tipologie di
persone tutte caratterizzate da una certa vulnerabilità.
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Il lavoro di strada si tratta di interventi di carattere socio-educativo ma, date le sue
caratteristiche e finalità è difficile dare una generalizzazione del servizio: ciascun contesto
infatti può originare progetti ed esperienze specifiche.
Sono iniziative che si rivolgono a gruppi di persone per cui si intravede la possibilità di
peggioramento delle condizioni di vita, trovandosi a contatto con fattori di rischio legati a
diverse cause/motivi.
Oltre che esistere un disagio giovanile, esiste un disagio “sommerso”, ovvero una
tipologia di stato negativo che non viene manifestato dalla persona e che spingono i
soggetti a rinunciare a progettualità positive.
In questa tipologia di intervento esiste una vasta differenziazione operativa saltava sia alla
fascia d’età, sia ai problemi dei soggetti con cui si ha a che fare.
Il lavoro dell’équipe trasforma spazi destrutturati (piazze, strade, giardini..) in veri e propri
setting educativi caratterizzati da specifici assetti organizzati e un quadro teorico di
riferimento.
Le caratteristiche comuni a tutti gli interventi di strada, cosi finalizzati, sono ravvisabili nei
seguenti concetti:
• Lo strumento della comunicazione (l’operatore di strada deve farsi accettare, deve porre
le basi di relazioni interpersonali caratterizzate da fiducia reciproca. Deve essere in
grado di comprendere e rispettare le ‘regole’ comunicative e quelle comportamentali
vigenti nel contesto e gli strumenti conduci cerca di attirare ciò sono l’osservazione e la
comunicazione. Spesso il linguaggio assume connotazioni informali dense di termini
gergali e di significati simbolici che richiedono agli operatori grandi sforzi di
adattamento.);
• La centralità del gruppo (l’équipe ha rapporti con alto figure che rappresentano i servizi
sociali coinvolti a vario titolo nel progetto, con le Amministrazioni comunali, aziende
ASL, i servizi per l’immigrazione, le forze dell’ordine. Ma questo lavoro di rete non ha
sempre una dimensione effettiva di collaborazione. Per quanto riguarda il gruppo target
invece è difficile generalizzare sulle tipologie di intervento su esso).
FASI DELL’INTERVENTO:
2. Presa di contatto: si tratta di farsi accettare in territori n cui si è estranei, di far capire il
proprio ruolo, di guadagnarne la fiducia dei leader e quindi del gruppo. Per questo è
una fase estremamente delicata. Gli stress workers non devono imporsi forzando i
tempi. L’educatore di strada non trova tentare di colonizzare il gruppo cercando di
modificarne le dinamiche o di metterne in discussione le abitudini. Dovrà invece
rispettare il gruppo. Per interessare e coinvolgere il gruppo si utilizza la dimensione del
fare, proporre e dell’organizzare; questa strategia è chiamata Adventure education.
3. Consolidamento della relazione: gli operatori sono riusciti a stabilire il contatto con il
gruppo e consolidare la relazione. Quando ciò sarà avvenuto, il lavoro di strada
assume le caratteristiche di tutti gli altri interventi socio-educativi in quanto a
presupposti pedagogici, finalità e stili relazionali.
4. Fase di abbandono: i progetti possono interrompersi per due principali motivi: per un
fine naturale o per fine forzata. Il distacco deve avvenire in maniera sana. (pag. 314)
Adventure education: è una metodologia educativa che può essere intrigata al lavoro di
strada e di sviluppo di comunità. Il presupposto qui è utilizzare il potenziale degli ambienti
naturali per coinvolgere i soggetti in processi di cambiamento che possano aver ricadute
sulla vita quotidiana. Si presuppone infatti che questo tipo di esperienza possa incidere
sullo stato esistenziale dei soggetti provocando cambiamenti. Significativi in senso fisico,
cognitivo, affettivo, relazionale e sociale.
24.BANDE E BULLISMO.
Nell’ambito della loro classificazione consideriamo i gruppi umani come sistemi viventi
distinguendone cinque tipologie: folla, banda, raggruppamento o assembramento,
gruppo primario, gruppo secondario. Tra questi la banda consiste in un gruppo più o
meno ampio, con uno scopo condiviso e con forti legami e senso di appartenenza entro
cui i membri vengono a costruire la propria identità. La deviazione in senso criminale della
banda viene chiamata gang.
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La violenza di presenta come manifestazione mutai-sfaccettata di comportamenti e
atteggiamenti prevaricati, rendendo necessario:
La violenza si manifesta in diversi modi a seconda dell’età, del sesso, del fattore
(psicologico) di sviluppo; può essere perpetrata da un unico soggetto oppure da strutture
grippali caratterizzandosi in alcuni casi per asimmetrie e per simmetrie. Le dinamiche
conflittuali o distruttive possono insorgere in differenti contesti.
• Fisico diretto;
• Verbale dritto;
• Indiretto manipolatorio;
I RUOLI
BULLO: in genere dotato di elevata autostima e forte bisogno di predominare sugli altri,
privo di empatia e sensibilità. Per Fedeli il bullismo è di natura psico-patologica.
-bullo aggressivo;
-bullo ansioso;
-bullo passivo;
-bullo temporaneo.
-vittima passiva;
-vitima collusiva;
ASSISTENTI: in maniera passiva aiutano il bullo pur non agendo direttamente sulla
vittima.
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SOSTENITORI/ RINFORZI: pur non prendendo parte all’azione la sostengono
attivamente con segnali di approvazione, compiacimento o incitamento.
TEMPI E SPAZI: momenti di pausa in ambito scolastico corridoi, entrata, uscita, cambio
di ora, disciplina, attività didattiche….al di fuori della scuola istituzioni sportive, strade
tragitto casa scuola nei momenti in ambiti extrascolastici.
Il principio operativo di base è quello dell’helper therapy: trasformando una persona che
chiede aiuto in una che riesce a fornire aiuto in maniera efficace, si può garantire a
quest’ultima di accrescere il proprio senso di competenza interpersonale, di
autosufficienza e di indipendenza dagli altro.
24
FASI DEL MOVIMENTO:
I membri partecipanti sono i primi ad essere coinvolti nella valutazione del processo ma
valutazione, supervisione spettano al facilitatore.
• Sostegno dello sviluppo e della consapevolezza dei tratti comuni tra i membri;
• Rinforza lo sviluppo di norme che facilitano lo scopo del gruppo e una comunicazione
efficace.
Secondo il pedagogista Giovanni Maria Bertin il territorio deve diventare sempre più luogo
dell’azione educativa in grado di fornire molteplici opportunità, come quelle da musei,
biblioteche, centri ricreativi e culturali e dalla rete ramificata dell’associazionismo.
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La lettura, oltre che modo per apprendere, è un modo per allontanarsi dalla realtà e da ciò
che ne consegue; inoltre, in questo senso l’educatore professionale dei servizi d’infanzia
è interpretato come una sorta di traghettatore, cioè colui che utilizza i libri per aiutare i
bambini e i ragazzi a costruirsi una propria identità, a passare appunto da una situazione
critica ad una più favorevole.
• Stare in rete con i diversi soggetti che lavorano per la formazione e la comunità
inclusive, sottraendosi ai rischi dell’estemporaneità e dell’emergenza;
26
scolarità regolare è da considerarsi come uno dei principali strumenti, aiuta a ristabilire un
senso di normalità nella vita dei minori apparente alle comminuto destabilizzate.
Dal punto di vista della pedagogia di emergenza possiamo considerare due grandi assi
verso i quali orientare le risposte strategico-funzionali della progettualità educativa:
1. I vissuti psichici e tutto ciò che ha a che vedere con lo stato di shock, le condizioni di
stress, trauma e tutte le implicazioni che rimandano all’individuo;
Dopo una catastrofe, sono numerose le situazioni che un bambino/a possono esprimere.
Possono essere rimasti feriti/e e dunque aver anche rischiato ls vita direttamente,
possono aver dovuto confrontarsi con il lutto, per la perdita di una persona cara, possono
provare, anche in assenza di esperienze come quelle appena dette, paura, rabbia e altre
emozioni così intense da destabilizzare il loro equilibrio psicofisico.
Nei contesti di catastrofe entrano in crisi tutti gli aspetti e le sfere della vita dei bambini.
Nelle situazioni di emergenza, un fattore di criticità è dato dalla difficoltà del gruppo
primario e del gruppo extra-famigliare di riferimento di garantire funzionalmente una base
sicura, e ciò perché le catastrofi colpiscono le comunità nella loro interezza:
Lo stesso problema sorge anche per l’educatore. Non è facile promuovere la resilienza
nelle bambine/i quando le loro vulnerabilità vengono messe allo scoperto da eventi
disastrosi.
Il setting della cura educativa si distingue naturalmente dal settimo della cura psicologica.
Nel primo si accompagnano i soggetti alla ripresa delle loro attività e alla emersione delle
loro energie resilienti.
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28. LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE.
Nel corso degli ultimi anni non si sono raggiunti a livello internazionale gli obiettivi fissati
nel 2015, dunque si è deciso di promuovere un programma di Obiettivi Globali per lo
Sviluppo Sostenibile (17) con un progetto più ambizioso da perseguire entro il 2030. Per
far si che si portino a termine, bisogna lavorare insieme per lo sviluppo umano, dunque
attraverso la collaborazione.
l’ONU infatti emanò: ‘ siamo determinati a mobilitare i mezzi necessari per implementare
questa Agenda attraverso una Collaborazione Globale per lo sviluppo sostenibile, basata
su uno spirito di rafforzata solidarietà globale, concentrato in particolare sui bisogni dei
più poveri e dei più vulnerabili e con la partecipazione di tutti i paesi, di tutte le parti in
causa e di tutte le persone’.
L’antropologo Franco La Cecla identifica nella "non solvibilità della presenza altrui" la
condizione essenziale di ogni incontro. Quando la presenza altrui si dipana in una
molteplicità di culture, lingue, nazionalità e professioni, risulta ancora più complesso e
determinante riuscire a costruire contesti comunicativi e relazionali efficaci tra gli operatori
coinvolti, tra questi e le istituzioni con cui si troveranno a collaborare, infine tra questi e i
destinatari dell’intervento.
Paolo Balboni e Fabio Caon mettono al primo posto la capacità di saper osservare,
relativizzare, decentrarsi e straniarsi, neutralizzando l’impatto di esperienze e convinzioni
pregresse, proiezioni, concezioni estetiche, valori e visioni politiche, attraverso una
gestione della propria consapevolezza emotiva, per evitare che esasperazioni emozionali
conseguenti all’impatto con determinate situazioni possano portare a reazioni
incontrollate e inopportune.
È importante dedicare tutto il tempo necessario alla creazione dei presupposti relazionali
e organizzativi iniziali: ‘chi ben comincia è già a metà dell’opera’, evitando così l’insorgere
di problemi in un secondo momento.
28
La gratuità dell’impegno scaturisce da un orientamento solidaristico che spinge a
trasferire tempo e risorse da se stessi agli altri, senza alcuna contropartita economica ma
sulla base di un ulteriore reciproco riconoscimento umano.
Tali nessi segnano i principali trend della contemporaneità (vedi appunti q.). fra questi i più
importanti sono l’allungamento della vita media e l'età senile (degli anziani).
A livello teorico e pratico, la pedagogia è tenuta a studiare la/le condizione/i di vita degli
anziani, prospettando una progettualità segnata da un’educazione “nella e alla” età senile,
capace di accompagnare e di preparare la vecchiaia nell’ottica del benessere individuale
e di comunità.
Il bisogno di pensare e progettare un punzone del benessere dell’età senile si scontra con
le difficoltà di definire l’anziano (cosa che risulta impossibile) dato il contributo di differenti
discipline (vedi q.).
Nell’odierna società, come nei secoli precedenti, si tende ad avere un’idea difettiva
dell’anziano legata a interventi a favore dell’età senile quasi ed esclusivamente di tipo
medico-sanitario e/o assistenziale.
La senescenza e/o senilità costituisce una fase del ciclo di vita di inevitabile
accrescimento e maturazione, in cui le differenti età sono campi che si sovrappongono e
si modificano in una spirale continua, vi è dunque continuità con le esperienze delle varie
fasi di vita.
Se ognuno invecchia a suo modo non possiamo che riconoscere e assumere a livello
educativo l’esistenza, la praticabilità e la progettualità di una pluralità di profili di anziano.
-da un lato la richiesta di rispetto nei confronti dell’anziano, tradotta anche in interventi
atti ad allungare la vita media della popolazione tramite nuovi comfort;
Facendo sintesi tra saperi scientifici e umanistici, la società è chiamata a garantire salute,
benessere e cittadinanza attiva all’età senile, integrato alla ricerca di ambito medico e
all’assistenza sociale. Inoltre non è sufficiente assumere la prospettiva dell’educazione
29
per tutta la vita per educare l’anziano/gli anziani, bensì è indispensabile educare a questa
prospettiva tutta la società.
Allo stato attuale possiamo segnalare la presenza di due macro-categorie di servizi sociali
e sanitari, di assistenza di base e specialistica, rivolti agli anziani:
- per la frattura fisica e simbolica dai tempi, dagli spazi e dalle relazioni familiare,
culturali e lavorative, sociali di vita;
- Per la perdita delle routine dei tempi, della famigliarità con gli spazi, della vita,
dell’autonomia, dell’attività;
Costituiscono un’eccezione alcuni casi di anziani che, per cura e/o compagnia, possono
vivere le nuove eventuali collocazioni come positive o salvafiche.
Gli anziani durante l’età senile risentono dei cambiamenti delle varie sfere individuali e
possono vivere questa età innescando o riformando la paura di morire o quella di vivere
nella propria condizione.
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materiale e sociale, sia dell’attivazione dell’anziano che va considerato a partire dal
riconoscimento di un suo bagaglio di esperienze di vita attraverso il quale afferisce,
interpreta e agisce nella realtà in modi particolari e da cui non si può prescindere per
prospettarne possibili modificabilità.
In conclusione, possiamo considerare che il miglior supporto per educare alla vecchiaia, è
quello di preparare la vecchiaia attraverso la tutela e l’educazione alla salute psico-fisica,
ai diritti sociali degli anziani e alla costruzione di reti di servizi sociali, culturali e relazionali
che diventino per l’anziano capitale materiale, strutturale e umano, rispetto al quale quello
residenziale sia uno e non l’esclusivo dei setting praticabili.
30. VALUTARE LA QUALITà DELLA CURA NEI SERVIZI PER ANZIANI FRAGILI E NON
AUTOSUFFICIENTI.
È ormai diffusa l’idea che sia necessario superare la concezione dell’anziano come
malato cui bisogna garantire soltanto assistenza medico-sanitaria, per affermare invece
una visione globale e multidisciplinare, che valorizza le dimensioni affettive, relazionali e
comunicative.
Fra i tanti approcci che si muovono in tale direzione alcuni sono fondati nel definire la
qualità nella cura degli anziani: —> SONO I MODELLI E PARADIGMI PER LA
VALUTAZIONE DELLA RELAZIONE DI CURA DELL’ANZIANO
-la negoziazione con la persona anziana in merito ai bisogni, alle preferenze e ai desideri
nell’alimentazione, nella routine e in tutte le attività del quotidiano;
-la collaborazione, che mette l’anziano nella condizione di partecipare alle azioni che
vanno dalla cura della persona alla programmazione animativa;
- il gioco attraverso cui si può potenziare l’espressiva che ariachisce la qualità della vita;
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- La celebrazione non solo in occasione di eventi speciali ma come modalità per
sottolineare gli aspetti piacevoli delle diverse interazioni e attività;
- Il rilassamento, che può essere reso possibile ai soggetti con demenza dalla
disponibilità e dalla presenza di un altro che offre un sufficiente senso di sicurezza e di
tranquillità.
• il Modello del Gentle Care, ideato da Moyra Jones è un approccio che si rivolge
all’anziano e ai caregiver con lo scopo di promuovere il benessere nel primo e ridurre il
rischio di burnout per i secondi. Richiede come punto di partenza l’analisi della persona
nel suo complesso beo-psicologico e socio-culturale. Dall’analisi si ha una valutazione
dell’impatto che la malattia esercita sulla persona. Questo processo valutati sfocia nella
realizzazione di un progetto di cura. Le attività progettate e realizzate nell’intervento
Gentle Care prevedono di ricostruire, per ciascun malato, una rottine giornaliera
personalizzata.
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31. STRUTTURE ABITATIVE INTERGENERZIONALI PER ANZIANI.
Per la maggioranza degli anziani la casa è il posto dove stare, che protegge e che
rassicura; ma gli anziani desiderano solitamente anche di essere a loro volta casa, porto
sicuro dove i giovani possano trovarsi e sostare. Molti anziani cercano e apprezzano il
contatto con le generazioni più giovani: alcuni si sentono impegnati nella relazione con le
generazioni più giovani sia come nonni, sia come se lo fossero. Sappiamo che i modi di
essere anziani e di affrontare la vecchiaia sono tanti e sono correlati sia con le
caratteristiche personali e le vicende della vita sia con fattori storico-culturali e
economico-sociali. in generale le persone anziane condividono e perseguono due
principali priorità: il benessere relazionale e culturale e la cura della persona nella
quotidianità. Spesso con l’avanzare dell’età senile l’anziano comincia a porsi domande
sulle sue condizioni future in tutti i campi (p. 406). Il tema dell’abitare nell’anzianità ci
porta a confrontarci con una molteplicità di rappresentazioni e risposte che possiamo
collocare tra due polarità: da un alto il progetto dell’abitare come scelta attiva e/o
compartecipata, dall’altro l’accettazione di condizioni di sdradicamento o separatezza.
DOMICILIARITÀ:
Le famiglie che si sono in qualche modo inventate quello che potremmo chiamare il
modello italiano di sostegno alla non autosufficienza.
RESIDENZIALITÀ:
I modelli abitativi tradizionalmente praticati, quali case di riposo publiche e private.
C. Complessi abitativi integrati destinati ad anziani e ad altre fasce di utenza, con servizi
collettivi;
D. Co-residenza.
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G). I SERVIZI CULTURALI PER DIFFERENTI PUBBLICI
Sono sempre di più gli italiani che dichiarano di non aver letto nessun libro per motivi non
strettamente scolastici o professionali. Da un attenta analisi emergono grandi differenze a
livello territoriale, e questa differenza vale anche per le biblioteche. Da una prima
valutazione di questi dati si comprende che promuovere efficacemente la lettura in Italia
significa anche tener conto del grande divario territoriale tra le regioni.
È la lettura ad alta voce che pone le basi per creare la mente di un lettore e se eseguita
quotidianamente e con sistematicità permette di raggiungere importanti traguardi sulla
lettura ma anche emotivi, affettivi e relazionali (es. quando un genitore legge al proprio
figlio si consolida la relazione affettiva). Anche per la lettura e l’apprendimento accresce la
motivazione. La lettura ad alta voce è chiamata INTERATTIVA.
Per i bambini che non sono ancora in grado di leggere, vi sono i SILENT BOOK ovvero i
libri senza parole e con solo le immagini. Il bambino è doppiamente stimolato e coinvolto
nella lettura, poiché legge attraverso le immagini. La famigliarità con un testo scritto per il
bambino significa capire che le parole scritte sono portatrici di significato e che sono
legate alla lingua parlata.
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33.EDUCARE AL MUSEO.
Le origini del museo risalgono circa a 300 anni fa ma oggi la sua funzione educativa è
universalmente riconosciuta e si individua nell’educazione uno degli scopi a cui sono
connesse le azioni fondamentali del museo: l’acquisizione, la conservazione, la ricerca, la
comunicazione e l’esposizione. Tutte queste funzioni fino al 70 anni fa non erano state
riconosciute.
HEIN identifica per il museo quattro possibili tipologie di approccio educativo: the
Systematic museum, the Orderly museum, the Discovery museum and the Costructivist
museum. —> vedi p. 445-446-447
La mediazione didattica operata dal museo sulla relazione soggetto-oggetto deve essere
operata in base ad alcuni principi: ->vedi p. 449
Visitatori diversi per età diverse, professione, livello culturale ecc.. rispondono infatti in
maniera diversa agli stessi exhibits.
La Carta nazionale delle professioni museali prevede principale due figure di riferimento:
Il museo è a servizio della società e del suo sviluppo; ha un ruolo sociale ed è aperto al
pubblico e le sue funzioni sono di acquisire, conservare, ricercare, comunicare ed esporre
il patrimonio dell’umanità e di portare avanti proposte di educazione, studio e diletto di
tale patrimonio.
Il binomio tra educazione e museo viene a partire dagli anni ’50, ma la nuova concezione
del museo porta alla nascita della questione del pubblico.
Una delle iniziative educative che accomuna i Dipartimenti dei musei è l’attività
laboratoriale, ovvero il laboratorio. Questo è legato alle esposizioni permanenti e
temporanee dei musei e soprattutto rivolto ai bambini compresi fra i 3-10 anni, al
pubblico delle scuole e delle famiglie. È legato alla visita del museo, di opere di una
mostra temporanea o della collezione permanente.
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FAMIGLIA COME SISTEMA EDUCATIVO- Analisi e messa a
punto del setting di educativa familiare a valenza
L’obiettivo è :
Famiglia e scaffolding(impalcatura)
Pedagogia generale
Educativa Domiciliare
-sostegno e educazione
Educativa Domiciliare
è separato da