Sei sulla pagina 1di 101

INDICE

Premessa

Introduzione

CAPITOLO PRIMO MUSICA E MUSICATERAPIA: UNA PANORAMICA


1.1 Cenni storici sulla musica
1.2 Alcuni modelli di musicoterapia in Italia
1.3 Alcuni modelli in musicoterapia in ambito internazionale
1.4 I principali ambiti applicativi e gli obiettivi della musicoterapia

CAPITOLO SECONDO LE PRINCIPALI TECNICHE MUSICOTERAPICHE


2.1 Elementi tecnici: il setting e lo strumentario
2.2 Songwriting
2.3 L’improvvisazione
2.4 Drume circle
2.5 La Body percussion

CAPITOLO TERZO ASPETTI PERCETTIVI DELLA STIMOLAZIONE


SONORA
3.1 Stimolazione sonora e sinestesie:
3.1.1 Suono e Immagini
3.1.2. Suono, tatto e gusto

3.2 Livelli linguistici e reazioni emotive nell’esperienza audiopercettiva

CAPITOLO QUARTO PEDAGOGIA E MUSICOTERAPIA:


PROSPETTIVE IN AMBITO SCOLASTICO
4.1 La relazione educativa e musicoterapia
4.2 La musica e la musicoterapia nel contesto scolastico: musica per l’integrazione
4.3 Musicoterapia e disagio scolastico nella preadolescenza
4.4 Interventi musicoterapeutici in presenza di ritardo mentale o autismo

Appendice
Esperienza personale in una scuola Media di Mazara del Vallo (TP)
Conclusioni

Bibliografia

Sitografia

1
Premessa
Nel corso della mia esperienza lavorativa nel ruolo di insegnante,
mi sono sovente relazionata con ragazzi affetti da problematiche
comportamentali come chiusura, aggressività, autosvalutazione
seguite da esperienze di insuccesso scolastico e mi sono interrogata
sul corretto approccio da adottare, al fine di aiutarli in un’età così
difficile come quella preadolescenziale (11-15 anni).
Inoltre, ho avuto la possibilità di lavorare con ragazzi disabili (DSA
– BES) e con alunni appartenenti a fasce deboli, ovvero coloro che
pur non avendo nulla di patologico, risultano elementi complessi
perché vivono un disagio sociale, personale o familiare.
Quindi, ho potuto constatare fin dall’inizio del mio percorso
lavorativo di docente di musica e strumento (pianoforte
complementare e fisarmonica), un ambiente di sofferenza per i
giovani allievi sempre più distratti e poco interessati
all’apprendimento ed alla cultura.
Dal punto di vista strutturale, i locali scolastici appaiono fatiscenti,
vi sono scarse risorse e il personale si trova spesso in difficoltà nel
soddisfare le esigenze dei discendi.
I ragazzi hanno come punto di riferimento i media, simbolo di una
società decadente che stentiamo a riconoscere.
In questo stato di totale caos, i giovani si rivelano fragili, paurosi,
indolenti, stanchi o addirittura violenti.
Il corpo docente lavora in classe e affronta molteplici difficoltà,
ponendo come l’obiettivo principale il rimedio al disagio e alla
sofferenza del ragazzo da recuperare.
Ciò che ho subito compreso è stata la necessità di attuare nuove
possibilità per arrivare ad un'empatia che consentisse una diversa
concezione di approccio al disagio e alla sofferenza, trovando nella
musicoterapia lo strumento adatto.
La musicoterapia rappresenta un ponte per instaurare sane
relazioni, ponendo attenzione “all'altro”, riuscendo a regolare
contemporaneamente il nostro complesso sistema emotivo,
affidando alla musica il ruolo di strumento di collegamento e di
relazione con il mondo.
La scuola, attualmente, occupa nei suoi vari livelli un quinto del
tempo della nostra vita e, pertanto,
non si può considerare solo un momento propedeutico
“preparazione a..”; è vita!
Da questa affermazione, ne consegue che, diventa fondamentale se
non necessario, instaurare in classe un clima positivo e un ambiente
favorevole valorizzandoli per le loro potenzialità positive, affinché
si possa favorire la crescita armonica di ogni individuo.

2
Per quanto concerne la musicoterapia, in base all'opinione corrente,
esistono tre tipi di intervento: quello strettamente terapeutico,
quello pedagogico direttivo e quello psicopedagogico.
Nell'approccio terapeutico è fondamentale la motivazione che parte
dal disagio; emergono problemi di presa in carico, di alleanza, di
contratto; di verifiche mirate e di equipe.
Nell'approccio pedagogico direttivo prevale l'obiettivo; si procede
attraverso il linguaggio verbale, la volontà; le motivazioni sono
razionali e le gratificazioni connesse alla valutazione del
raggiungimento del fine specifico.
Infine, l'approccio psicopedagogico si fonda sul contesto del non
verbale (accessibile a tutti), il far leva su motivazioni profonde
(l'autorealizzazione, benessere, sublimazione dell'aggressività,
superamento della paura), il lavoro in piccoli gruppi, l'appartenenza
a un gruppo.
Tutti i partecipanti a questa esperienza devono essere considerati
come persone che ”vivono con” e “lavorano con”.
L'empatia dà la capacità di vedere e di scoprire il positivo e di farlo
emergere.
L’ elaborato si propone, specializzandosi nell'intervento con la
musica, in una concezione-visione-percezione dell'unità psiche-
corpo, di dare importanza alla riscoperta della dimensione
percettiva e del sonoro, ritornando alle origini dell'esperienze vitali
(onomatopea, ritmo, parola, canzone).
La musicoterapia diviene, ausilio scolastico, per stimolare gli
alunni all'apprendimento e favorire una buona relazione educativa
tra alunni e insegnanti, concepita come momento autenticamente
costruttivo e dinamico.
Introduzione
È difficile individuare le ragioni storiche che hanno condotto il
nostro paese, ad individuare nella musicoterapia, tra gli anni
Settanta e Novanta, uno strumento specifico, soprattutto per
persone con disabilità fisica e/o sensoriale, bambini o ragazzi con
disturbi dello spettro acustico, ritardo mentale e persone con
problematiche psichiatriche.
In letteratura non è difficile recuperare materiale (ricerche e casi
clinici) inerenti all'applicazione della musicoterapia con le
popolazioni sopracitate.
A partire dagli anni Settanta si diffonde lentamente, anche in Italia,
sia nelle scuole, sia nelle diverse istituzioni educative, l’utilizzo
della musicoterapia, come strumento utile per un migliore sviluppo
emotivo e cognitivo di bambini, adulti e anziani.
È indubbio ormai che la musicoterapia abbia ottenuto, in qualità di
disciplina scientifica, in campo internazionale, un suo livello di
credibilità che si è tradotta in alcuni paesi in un riconoscimento

3
della figura professionale dell’operatore con apposita istituzione di
Albo professionale ed emanazione del Codice Deontologico1.
Con il termine musicoterapia, intendiamo l'utilizzo della musica e
degli elementi musicali (armonia, melodia, ritmo, timbro) per
favorire l'integrazione fisica, psicologica ed emotiva dell'individuo.
Si distinguono inizialmente due principali indirizzi di pensiero: uno
prettamente medico e uno pedagogico. Questi studi hanno dato
origine alla musicoterapia, introdotta in Italia negli anni Settanta,
una metodica che considera il corpo umano un’enorme cassa di
risonanza dentro cui penetrano e si espandono le onde sonore.
La musica, infatti, varcando i filtri logici e analitici della mente,
riesce ad instaurare un contatto diretto con sentimenti e passioni
profonde e a stimolare la memoria e l’immaginazione, fino a
provare vere e proprie reazioni fisiche e cambiamenti emotivi2.
Ascoltare e “fare” musica in prima persona, dunque, può attivare
energie fisiche e mentali, favorendo il contatto con le parti più
profonde di noi stessi. Non bisogna, però, dimenticare che il suono
è una forza potente che può anche disorientare e irritare fino a
condurre alla perdita di coscienza.
Nel corso delle sedute di musicoterapia emergono abitudini,
significati palesi e inconsapevoli e aspirazioni che rendono
l’esperienza sonoro-musicale meno banale di quanto possa apparire
inizialmente.
La musicoterapia, riconosciuta a tutti gli effetti come una disciplina
che studia il rapporto suono - essere umano, permette di
comunicare attraverso un codice alternativo rispetto a quello
verbale.
La comunicazione analogica3 consente di esprimerci attraverso
l’uso di un sistema di simboli più ricco e inoltre le stimolazioni
musicali possono suscitare miglioramenti nella sfera affettiva,
motivazionale e comunicativa.
La musicoterapia utilizza il suono, la musica, il movimento, per
provocare effetti regressivi ed apre canali di comunicazione, con
possibilità di un’apertura comunicativo-relazionale, configurandosi
come una finestra nel mondo intero.
È chiaro che la musica può essere utilizzata per molteplici fini, ad
esempio essa può catturare l’attenzione, stabilire un dialogo e
quindi ancora condurre la persona ad un obiettivo voluto.
In questa ottica, le tecniche psicomusicali offrono un mezzo di
espressione e comunicazione complementare, divenendo fattore di
sviluppo per qualsiasi uomo ed una vera terapia per il soggetto da
curare.

1
https://acsasplc.preview.infomaniak.website/normecodice/
2
Gerardo Manarolo (a cura di), Manuale di musicoterapia, Roma, Carrocci Faber, 2020, pp. 280-285.
3
La Comunicazione Analogica è un metodo di trasmissione e di lettura che permette attraverso il segno, il gesto, la
parola e il comportamento di stimolare la componente emotiva dell'essere umano, sfiorare corde sensibili.
4
In merito ai bambini e alle persone affette da malattie mentali e
comportamentali, la terapia musicale è alquanto efficace perché
attraverso il gioco, la musica e il movimento, si creano dinamiche
in grado di rendere possibile il miglioramento della sfera
relazionale. Ciò si concreta mediante una continua interazione con
il musicoterapista e i componenti del gruppo.
La musicoterapia essendo uno strumento più immediato rispetto a
quello di tipo verbale, si ritiene più idoneo per favorire
l’integrazione sociale e culturale.
Nel contesto non verbale, entrano liberamente in gioco il corpo
(postura, gestualità, mimica, investimento spaziale, prossemica), il
respiro, la voce (nel canto, nel ritmo, nella modulazione
dell’intensità, del timbro e del tono), lo sguardo, il suono, il
silenzio, la musica e gli elementi della natura.
Si tratta di risorse che appartengono a tutti gli uomini, in ogni
tempo ed a ogni latitudine.
Nel momento in cui dette risorse si attivano, si sviluppa un
percorso di conoscenza e di cambiamento che alimenta un contatto
più consapevole con la sfera delle nostre emozioni, della qualità e
del senso delle relazioni.
Nel contesto verbale, persone che non parlano la stessa lingua,
possono trovarsi a condividere emozioni e stati d’animo che
permettono una migliore comunicazione grazie all’elemento
sonoro-musicale; infatti, oggi, la musicoterapia è consigliata a
partire dalla scuola primaria poiché le classi sono ormai sempre più
multietniche, dato il numero sempre più elevato di stranieri in
Italia, favorendo un dialogo sempre più inclusivo tra i membri del
gruppo-classe.
Nel primo capito dell’elaborato, sarà delineato un excursus
generale della storia della musicoterapia, pratica antica ma abilitata
e considerata disciplina scientifica da poco più di cinquant’anni e
verranno descritti alcuni modelli, sia italiani e internazionali, di
questo vasto mondo.
Disciplina sorta come approccio speciale alla malattia e alla
sofferenza, la musicoterapia diviene strumento versatile,
utilizzabile in svariati contesti e interventi volti al miglioramento
della qualità della vita, se supportato da adeguate competenze e
conoscenze.
Nel secondo capitolo saranno analizzate alcune delle principali
caratteristiche della musicoterapia e talune tecniche gruppali, come
strumenti utili per raggiungere il benessere, indipendentemente
dalle problematiche riscontrabili. Si farà riferimento al Drum
Circle e al Songwriting, tecnica ritenuta particolarmente indicata
nel campo dell'educazione.
Scopo primario, nel corso delle varie sedute, è aprire canali di
comunicazione per giungere ad uno sviluppo delle proprie capacità:

5
rafforzamento dell’Io, miglioramento delle relazioni interpersonali
e della socializzazione.
L’ascolto attivo e la pratica musicale, associata al movimento
corporeo, aiutano a sviluppare la creatività e le potenzialità
cognitive, ritenute una chiave per il raggiungimento del proprio
equilibrio.
Nel terzo capitolo, l’attenzione verrà focalizzata prima su alcuni
aspetti percettivi della stimolazione sonora dal punto di vista
sinestetico, poi sul versante linguistico.
Appare evidente che l’esperienza sonoro/musicale, rientrando tra le
prime esperienze umane che concorrono ad attivare, a livello
audio/percettivo, processi cognitivi e relazionali, debba trovare un
posto centrale in ambito educativo, in relazione soprattutto alla
relazione uomo-mondo.
Da un punto di vista prettamente neurobiologico, i suoni si
propagano sottoforma di onde, attraverso la vibrazione della
membrana timpanica stimolano le cellule ciliate situate sulla
coclea. Tali cellule generano dei potenziali d'azione, inviando
l’informazione al cervello.
Ripartire dall’esperienza audio-percettiva, per relazionarci con il
mondo, in una cultura come la nostra che ha sbilanciato
l’esperienza delle cose quasi esclusivamente sul versante visivo,
significa non solo ristabilire la base essenziale della relazione, ma
anche guardare ad una dimensione umana che deve tendere verso la
conquista di un autentico benessere concepito secondo una visione
totalizzante dell’individuo nelle sue componenti: psiche, mente,
corpo.
La musica essendo costituita da ritmo, melodia e armonia che
rimandano rispettivamente alla dimensione fisica, affettivo-
emozionale e cognitiva, in modo olistico integra e ricompone
l’unità della persona umana.
Nel quarto capitolo si affronterà il tema della musicoterapia in
ambito scolastico, ausilio per stimolare gli alunni
all’apprendimento, al fine di favorire una buona relazione
educativa tra alunni ed insegnati, concepita come momento
autentico, costruttivo e dinamico per la costruzione della
conoscenza.
La terapia musicale rappresenta un importante sostegno per
bambini con problemi comportamentali, relazionali e con handicap
dichiarati. Quest’ultima facilita l’integrazione e l’apprendimento,
poiché la musicoterapia offre una serie ricchissima di possibilità
espressive, in quanto veicolo di flussi emozionali dell’immaginario
individuale e collettivo.
Attraverso la terapia musicale vengono messe in gioco le abitudini,
i significati palesi e inconsapevoli, le aspirazioni, i problemi vivi e
angoscianti, la ricerca di significati che vanno al di là

6
dell’apparente infantilità di certi testi, rendendo l’esperienza sonoro
– musicale molto meno banale di quanto possa apparire a prima
vista e di notevole valore se affrontata correttamente, andando a
scartare l’idea semplicistica dell’utilizzo di un qualsiasi disco o
cassetta di musica può andare bene, proponendo molto spesso
alcuni generi musicali pre-confezionati, non adatti allo scopo da
raggiungere.
L’elaborato, infine, tende fornire un riscontro esperienziale di
alcuni metodi e tecniche utilizzate nei vari contesti laboratoriali-
musicali ad indirizzo scolastico, in cui si sottolinea l’importanza
della gestualità, del gioco, del silenzio con lo scopo di enfatizzare
la percezione degli elementi sonori e dei movimenti che li
accompagnano. L’obiettivo consiste nel coinvolgimento dei
partecipanti attraverso la stimolazione della fantasia, eliminando
ogni tipo di tensione. Ciò avviene mediante la messa in atto di
diversi giochi “spazio-musicali-creativi” con l’utilizzo di strumenti
musicali veri e proprio o costruiti (con materiali di recupero).
Il percorso finale (annuo) si esplica con l’esecuzione di brani in
gruppo o stilisti.

Capitolo 1

Musica e musicoterapia: una panoramica

La musica è presente da sempre in ogni cultura occupando un ruolo


primario nella vita quotidiana delle persone, riuscendo a indurre
emozioni profonde. A prescindere dalla misura in cui le facoltà e la
suscettibilità musicali siano cablate dal cervello, la musica resta
sempre fondamentale e centrale in tutte le culture.
Noi essere umani, come specie, siamo creature musicali non meno
che linguistiche, e questo aspetto della nostra natura assume forme
diverse. La musica è l’arte che più di ogni altra, ci permette di
prendere coscienza delle nostre emozioni più profonde.
A cospetto della musica non possiamo mentire: siamo
completamenti nudi.
Dopo il silenzio, ciò che si avvicina di più nell’esprimere ciò che
non si può esprimere, è la musica, luogo sacro, cattedrale maestosa
nella quale possiamo percepire la magnificenza dell’universo,
trovando contemporaneamente un riparo così semplice e intimo che
nessuno di noi può sondarne i segreti più nascosti.
La musica possiede la chiave per accedere al sistema di recupero
della memoria; il suo potere di integrare e curare è elemento
essenziale, è possibile ritenerlo ”il più completo farmaco non
clinico” (Oliver Sack).

7
Negli ultimi anni l’interesse per l’applicazione di modalità
espressive come la musica, in ambito preventivo, riabilitativo e
psicoterapeutico è cresciuto progressivamente.
Il termine “musicoterapia” deriva dai concetti di Musikè e
Therapeia, denotanti l’uomo in movimento, la parola, il suono,
l’assistenza e la cura. 4
La musica da oggetto di studio diventa protagonista, assumendo un
ruolo clinico nel processo terapeutico. Esempi terapeutici della
musica si possono rintracciare già nell’antichità non solo in quella
greco-romana ma anche nella Bibbia5 fino a giungere agli studi
antesignani di De Martino sul fenomeno del tarantismo.6
Balzac diceva che “i medici calabresi ordinano la danza come
rimedio alle passioni isteriche che sono comuni tra donne del loro
paese”.
La musicoterapia fa parte delle terapie che utilizzano appunto la
musica con tutte le sue peculiarità, diventando mediatore tra
terapeuta e paziente, in una multidimensionalità che coinvolge la
persona in tutta la sua integralità (corpo-mente-spirito).
In molti hanno provato a dare una definizione specifica della
Musicoterapia, ecco perché ne esistono molte, e tutte ugualmente
valide e condivisibili nonostante nessuna sia esaustiva, giacché le
definizioni cambiano spesso in ragione del tempo e dell’esperienza.
Può essere definita una “trans-disciplina” in quanto rappresenta la
dinamica combinazione di diverse materie che ruotano intorno alle
sue due grosse aree, ovvero la MUSICA (con la psicologia della
musica, psicoacustica, educazione musicale, sociologia della
musica ecc.), e la TERAPIA (con la psicologia, psicoterapia,
terapia comunicativa, riabilitazione del linguaggio, neurologica e
neuromotoria ecc).
Oggi il termine “musicoterapia” viene utilizzato per indicare la
cura di malattie che possono trarre giovamento dagli effetti
dell’esperienza musicale (Orff, 1993). Secondo Mc Clellan (1993)
l’utilizzo della musica a scopi curativi si fonda sul fatto che la
musica influisce sul nostro corpo per effetto della risonanza.
Con i suoi interventi a carattere preventivo, riabilitativo e
psicoterapico, la musicoterapia oggi sta acquisendo sempre più
autonomia e credibilità, grazie ai presupposti medici, psicologici e
storico-antropologici che trovano radici in una letteratura
scientifica sempre più consolidata e che ne studia applicazioni e
risultati, attribuendo ormai a tale settore piena autonomia e
credibilità.
4
https://www.scuolamusicoterapiathiene.it/storia-musicoterapia/#:~:text=Il%20termine%20Musicoterapia%20deriva
%20da,'assistenza%2C%20cura%20e%20guarigione.
5
<< Quando, dunque, lo spirito sovrumano investiva Saul, Davide prendeva in mano la cetra e suonava: Saul si
calmava e si sentiva meglio e lo spirito cattivo si ritirava da lui>> (1 Samuele 16:23).
6
E. De Martino, Sud e Magia, Milano, Feltrinelli, 1959;
E. De Martino, La terra del rimorso, Milano, Feltrinelli 1961.
8
Inoltre, prima di addentraci nella storia della musicoterapia, è
importante distinguere il concetto di cura e terapia: il primo ha un
carattere medico-scientifico legato all’idea della guarigione, l’altro
è il punto di vista umanistico dove il “curare” significa proprio
“prendersi cura”, in cui si cela il senso più profondo
dell’interazione centrato sull’armonizzazione delle funzioni
dell’individuo, inteso come unità, sia in rapporto alla realtà interna
che a quella esterna.

1.1 Cenni storici

L’uso della musica a scopi curativi può essere fatto risalire ad


un’epoca lontana 3.000 anni fa7, in cui la malattia era associata a
spiriti maligni che dovevano venire scacciati dal corpo e dalla
mente della persona malata. A tal fine, si cercava di spaventare gli
spiriti grazie all’uso di canzoni ritmiche che, al posto delle parole,
utilizzavano lamenti monodici e venivano accompagnate dal suono
di zucche vuote e tamburi percossi.
La musica divenne così il mezzo dello sciamano per ottenere la
massima concentrazione della mente e del corpo e per intensificare
la volontà di ritrovare e di conservare il benessere fisico.
Secondo Platone, gli egizi attribuivano alla dea Iside la creazione
delle melodie ed era a questa stessa dea che affidavano il governo
delle emozioni e la purificazione dell’anima.
A tutt’oggi la musica dell’antico Egitto rimane un mistero, poiché
le notizie giunte fino a noi sono scarse.
Soltanto con gli ebrei che nel mondo occidentale la musica non
venne più utilizzata per propiziarsi le divinità, ma assunse una
funzione curativa. Essi, infatti, ritenevano che la musica avesse
poteri stimolanti e sedativi, capaci di intensificare le emozioni
negative fino a liberarne la mente.
Anche i Greci sostenevamo che la musica fosse dotata di una forza
guaritrice.
Una delle divinità greche più importanti era Apollo, dio del sole,
della medicina e della musica; era proprio Apollo che conservava
l’armonia della vita con la divinazione, la musica e la medicina. 8
Da Omero, a Platone, ad Aristotele, tutti sottolinearono la funzione
positiva della musica.
Molto importante fu Pitagora di Samo, nella cui filosofia le leggi
della musica influenzavano l’interiorità dell’uomo attraverso
l’armonia.
L’armonia dell’universo corrispondeva, per Pitagora, a quella
dell’anima9. Era proprio grazie alla melodia e al ritmo che si poteva

7
https://sites.google.com/site/triestemusicoterapiamut/un-po-di-storia-della-musicoterapia
8
Rolando O. Benenzon, Manuale di musicoterapia, Roma, Borla, 1983, p. 265- p.272
9
Maurizio Giangiulio (a cura di), Giambico, La vita pitagorica, Rizzoli, Milano, 1991, [111].
9
recuperare l’ordine dell’anima e conseguentemente la salute del
corpo.
Nel momento in cui l’Impero Romano si estese dall’Europa
all’Asia occidentale, la sua cultura assimilò la musica e le pratiche
dei Greci e, poiché i Romani consideravano l’organismo umano
come una totalità, la musica aveva una funzione sia di cura che di
prevenzione.
Per questa ragione, dopo la cena, venivano eseguiti brani musicali
durante i quali lo strumento più usato era l’arpa o la lira.10
Nel Rinascimento la musica divenne un prodotto artigianale di una
corporazione, per riacquisire la qualifica di arte solo nel periodo
romantico.
I residui delle pratiche esoteriche, però, decaddero gradualmente
nel folklore e nella superstizione; i medici occidentali, che
continuarono ad avere un interesse per la musica, lo facevano solo
come un passatempo estraneo alla loro professione.
Nel 1748 Louis Roger, medico di Montpellier, tornò ad occuparsi
degli effetti della musica sulla mente umana e s’interrogò sul
perché ciò potesse accadere. I suoi studi, però, suscitarono scarso
interesse.
Il primo corso di musicoterapia si tenne nel 1919, presso la
Columbia University, e nel 1944, al Michigan State College, venne
inaugurato il primo corso quadriennale per specialisti in quella
disciplina. Poco dopo furono fondate tre delle più importanti
organizzazioni di musico-terapia: la National Association for
Music Therapy, l’American Association for Music Therapy e nel
1970 l’American Association of Music Therapists.11
Si sviluppò così un movimento crescente di individui e piccoli
gruppi che riuscirono a far filtrare il loro punto di vista e le loro
attività nella medicina ufficiale e nella cultura dominante.
A partire da questo momento l’interesse per la musicoterapia
crebbe e numerosi sono oggi i corsi, anche universitari, dedicati a
questa disciplina.

1.2 La musicoterapia in Italia


Negli anni Sessanta, mentre in Europa e in America la
musicoterapia aveva raggiunto una posizione di rilievo nell’ambito
di interventi psicologici, in Italia tale disciplina non era ancora
arrivata.

10
Eumeo, questa è certo la bella dimora di Odisseo: riconoscerla è facile, anche tra molte. Tutto è disposto bene, il
cortile è chiuso da mura con cornicioni aggettanti, hanno saldi battenti alle porte, nessuno potrebbe far meglio. Mi par
di capire che dentro vi sono molte persone sedute a banchetto, perché si sente profumo di carne arrostita e risuona la
cetra, che della mensa gli dei fecero amica. (Odissea, XVII, 264-271)
Ma quando furono sazi di cibo e di bevande, ad altro pensarono allora i pretendenti, al canto e alle danze che allietano
ogni banchetto. Nelle mani di Femio, che per i Proci era costretto, contro sua voglia, a cantare, pose l’araldo una cetra
bellissima, e l’aedo toccò le corde e diede inizio al suo canto. (Odissea, I, 150-154)
11
https://musicoterapiaeanziani.wordpress.com/2016/01/17/la-nascita-della-musicoterapia/
10
Proprio in questi anni si incominciano a conoscere nel nostro paese
le varie scuole che nel frattempo si erano affermate all’estero:12
 Juliette Alvin in Inghilterra, che individuava nella socializzazione
l’obiettivo primario della musicoterapia;
 la scuola tedesca e austriaca particolarmente legata a Gertrub Orff;
scuole di dichiarata tendenza psicoanalitica,
 quella francese dei coniugi Guilhot, di Jost e della Lècourt,
 e quella di Rolando Benenzon.
In Italia lo sviluppo della Musicoterapia inizia a metà degli anni
Settanta con la prima occasione di confronto nazionale della
conferenza di Bologna nel 1973.
Nel 1975, Nora Cervi, responsabile del settore musicale della Pro
Civitate Christiana di Assisi, insieme ad un gruppo di collaboratori,
fonda il primo “Corso di formazione italiana di Musicoterapia” che,
in via sperimentale, ha visto la sua prima edizione qualche anno più
tardi.
In quegli anni, numerosi fattori hanno contribuito allo sviluppo
della musicoterapia sia come ambito applicativo che come ambito
di ricerca; in questo contesto prende gradualmente forma
un’originale riflessione sulla musicoterapia, sui suoi fondamenti
scientifici, sul suo metodo e sui suoi risultati. Da una parte vi è
stato il crescente numero di professionisti che gradualmente hanno
cominciato ad adoperare la musicoterapia in nuove aree di
applicazione facendola conoscere ad altre categorie professionali.
Dall’altra c’è stato un crescente interscambio con i rappresentanti
della musicoterapia in Europa e in America che hanno contribuito
ad arricchire il patrimonio di conoscenze teoriche e riferimenti,
grazie anche all’aumento della circolazione di testi originali e testi
tradotti.
Alla fine degli anni Settanta si profilavano in Italia tre orientamenti
musicoterapeutici che si diversificano per scopi e per tecniche:13
1) pedagogico e psicopedagogico, impiegato generalmente nelle
strutture scolastiche e caratterizzato da un aspetto preventivo
perché con la musica si vuole collaborare all’organizzazione di una
personalità matura ed equilibrata;
2) clinico–psichiatrico, che si occupa di individui affetti da
patologie che causano condizioni di emarginazione;
3) promozionale–sociale, rivolto a contesti di animazione e
ricreazione nei quartieri o nelle comunità.
I fondatori italiani sono Matteo Lorenzetti, Pier Luigi Postacchini e
in seguito anche Mauro Scardovelli, i quali diedero l’avvio per la
nascita di un pensiero molto fruttuoso in tema di musica,
prevenzione, riabilitazione e terapia. 14
12
www.capadlab.unicatt.it/formazione/antonietti/sara/mt.htm
13
Lorenzetti L.M., Dall’educazione musicale alla musicoterapia. Zanibon, Padova 1989.
14
Gerardo Manarolo, Manuale di Musicoterapia, Carrocci, Roma 2020.
11
L’approccio teorico italiano considera l’elemento s/m un mediatore
facilitante lo sviluppo di percorsi relazionali, passando attraverso la
riabilitazione sino alla terapia.
Lorenzetti considera la musicoterapia una disciplina sintetica
(inter-, infra- e transdisciplinare), uno spazio di ascolto per il
superamento di quella conoscenza che rigetta l’incontro con la
contraddizione.
Questo modello fa riferimento alle teorie psicodinamiche e alle
teorie della complessità del filosofo e sociologo francese Edgar
Morin. Lorenzetti pone al centro del suo pensiero il rapporto
“suono-ritmo-movimento” che, come esposto da Manarolo,
costituisce una primaria ed originale esperienza di proto-
comunicazione fra madre e feto che interpella lo spazio della
comunicazione e della comunicazione terapeutica. Questi propone
un intervento centrato sulla relazione, teso a valorizzare le parti
sane e creative di ciascun individuo in cui il suono e la musica
siano portatori di elementi antropologici, sociologi, culturali,
esistenziali.15 Inoltre, propone un approccio fenomenologico che
consiste nell’accogliere la persona per quella che è nella sua
interezza, nel qui e ora della situazione, intendendo il singolo
individuo come prodotto della sua storia.
L’originalità di tale teoria si pone nell’introduzione del concetto di
dinamismo all’interno del processo diagnosi-intervento-prognosi-
verifica.
Per Lorenzetti il contesto in cui si situa l’area musicoterapica
è sostanzialmente un ambito di messa in discussione critica del
perché, del quando, del come, del con che mezzi operare un
intervento che sfrutti le risorse di comunicazione del non verbale,
in un’ottica di intervento ecologico, centrato sulla relazione
(Lorenzetti,1987, p.52).
Discende dalle convinzioni dello studioso che, in questo modello è
previsto una presa in carico dinamica del paziente, l’osservazione
partecipe grazie alla quale si osservano le modalità di relazione
ambiente-persona-ambiente, la diagnosi dinamica incentrata sulle
parti sane della persona, l’intervento inteso come frutto della
relazione e di ciò che essa stessa produce ed infine, la verifica che
consiste nel modulare costantemente gli obiettivi sulla base della
persona.
Dopo aver tratteggiato questa prima concezione musicoterapica, è
indispensabili fare riferimento ai due modelli che hanno avuto sulla
prassi musicoterapia italiana un maggior impatto.
Come è possibile notare, attualmente la prevalenza dei
musicoterapisti operanti in ambito nazionale fa riferimento o al
modello di Postacchini o al modello di Scardovelli.

15
Ivi. p.54
12
Nella definizione di Postacchini, la musicoterapia viene definita
come una prassi preventiva, riabilitativa, al cui interno la musica
costituisce un parametro relazionale non verbale attraverso il quale
si può costruire una relazione “terapeutica” in situazioni di
handicap neuropsichiatrico.
Questo modello fa rifermento ad un’impostazione storica propria
della psicologia dinamica; vengo utilizzate le teorie e in particolare
concetti di Freud, BIon, Klein, leon, Grinberg, Stern e dai
contributi di matrice neuropsicologica di Moretti. Il metodo
osservativo impiegato è quello espresso dall'osservazione ed analisi
diretta e partecipe. Gli aspetti s-m vengono analizzati impiegando
le concettualizzazioni di Fernando Dogana “il fonosimbolismo” e
di Michel Imberty “Gli schemi di rappresentazione dell'espressività
musicale”, i quali verranno affrontati più avanti nel terzo capitolo
dell’elaborato.
La finalità della musicoterapia per Postacchini è quella di costruire
una relazione terapeutica attraverso il parametro s/m che possa
favorire un’integrazione spaziale (distinzione tra Sé e non Sé),
temporale (dalla dimensione dell’essere a quella del divenire), e
sociale (rapporto con il mondo esterno e definizione della propria
identità)16.
Per l'autore, questa integrazione agevolata da un processo di
armonizzazione, in altri termini un percorso che migliori il
rapporto fra la dimensione sensoriale e quella mentale. Infine,
tale approccio si prefigge di intervenire sulle esperienze emotiva
del soggetto, in questo contesto sulle esperienze emotiva generata
dalla musica, all'interno di una dimensione relazionale, e tramite
processi di sintonizzazione, facilitare una maggiore armonizzazione
regolazione degli aspetti emotivi; ossia sviluppare maggior fluidità
bidirezionale tra sensazione, percezione e pensiero.
Per Scardovelli, la musicoterapia è considerata una tecnica
applicabile a quei casi in cui il disturbo della comunicazione si
esplicita in una disarmonia e disarticolazione degli aspetti
temporali-ritmici energetici. Le teorie di riferimento a cui fa capo
questo modello appartengono a categorie proprie della Pragmatica
della comunicazione (Watzlawick, 1971), della PNL
(programmazione neuro-linguistica), della Psicologia umanistica
(Maslow,1982) e della Teoria dell’attaccamento di Bowlby
(1989)17.
Gli aspetti s-m sono analizzati impiegando concetti derivati dalla
pragmatica della comunicazione; viene infatti gli istinti un
contenuto (le figurazioni s-m) da categoria espressive della qualità
della relazione in corso (energia, spazio, tempo).

16
Ibid.
17
Ivi.55
13
La sua metodologia prevede che, il musicoterapista dovrà seguire
un processo di osservazione-ascolto-calibrazione di ciò che il
paziente porta in seduta, dando molta risonanza al concetto di
”rispecchiamento” come strategia empatica per entrare in
comunicazione con l’altro.

Il processo terapeutico del modello è suddiviso in tre fasi:18


 Matching (combaciare)
 Patching (andare al passo, fiancheggiare)
 Leading (guidare, condurre)
L’autore elabora una griglia di analisi che prende in considerazione
i tre differenti livelli evolutivi del dialogo sonoro19, dove per
dialogo sono si intende una precisa tecnica di musicoterapia in cui
due o più persone comunicano tra loro attraverso i suoni prodotti
con il proprio corpo, con la voce con oggetti qualsiasi o con
strumenti musicali.
In particolare, nel dialogo sonoro, ma più in generale nella
comunicazione non verbale, i gesti dell’uno vengono ripresi da
quelli dell’altro. Il rispecchiamento è presente nella postura, nel
tono, nel tempo ― ritmo, c’è empatia (emozione condivisa), frutto
di ascolto e calibrazione reciproca (attenzione ai segnali dell’altro),
vi è produzione di novità nella concatenazione degli scambi,
assenza di stereotipie e ripetizione ossessiva; esiste la condivisione
di un progetto espressivo (sul versante esterno) e autoesplorativo
(sul versante interno).
L’idea che l’ascolto empatico, non giudicante, di accettazione
piena, contenga in sé una valenza di aiuto, è stata avanzata e
sostenuta teoricamente da Carl Rogers, uno dei fondatori della così
detta psicologia umanistica insieme a Rollo May, Maslow ed altri.
Un contesto di ascolto empatico è di per sé facilitante (Scardovelli,
1992), cioè in grado di riavviare una comunicazione produttiva. La
comunicazione produttiva, all’io di una relazione sufficientemente
durevole, è idonea a fornire una “base sicura” e a riattivare il
comportamento esplorativo e autoesplorativo; il paziente
sentendosi riconosciuto ed accettato potrà cosi’ accedere anche a
emozioni negative.
In ordine a questi ultimi due approcci esiste un'importante
convergenza.
Sia Postacchini che Scardovelli, pur possedendo sul piano
operativo e sulle modalità teorico applicative notevoli divergenze,
individuano come ambito specifico della musicoterapia gli aspetti
espressivi, comunicativi e relazionali maggiormente implicati negli
scambi di natura emotiva.

18
Ivi p.56
19
Il dialogo sonoro. Cappelli, Bologna 1992.
14
La musicoterapia risulta così indicata in quei contesti clinici che
non hanno accesso a una comunicazione emotiva adeguata ed
efficace anche in quei casi che soffrono per una carente
integrazione psicocorporea e per una disgregazione emotiva.

Alcuni modelli in musicoterapia


Durante il IX congresso della World Federation of Music therapy
del 1999, sono stati riconosciuti cinque diversi “modelli”
musicoterapici Internazionali:
-Il modello Benenzon (psicodinamico)
-Il modello Nordoff/Robbins (musicoterapia creativa)
-Mary Priestley (musicoterapia analitica)
-Il modello comportamentale cognitivo (MTBe)
-L’approccio definito Imaginario Guidato e musica (GIM).
Prima di “esplorare” nello specifico due dei cinque modelli
internazionali è doveroso ricordare anche la prima esperienza
inglese promossa da Juliette Alvin (modello umanistico) di cui si
argomenterà successivamente; la scuola tedesca e austriaca legata
in particolare a Gertrud Orff, che ricorreva alla musicoterapia per
attivare una stimolazione sensoriale, intesa a stabilire la relazione
attraverso il canto, il coro e il ritmo costituendo una terapia
parzialmente non verbale, utilizzando spesso il ritmo espresso
naturalmente dai movimenti e dai suoni che una persona emette; le
esperienze di scuole di dichiarata tendenza psicoanalitica, quale
quella francese dei coniugi Guilhot, di Jost, e della Lécourt. 20
1.2.1 Musica per la terapia: il modello psicodinamico di Benenzon
In prospettiva psicoanalitica Rolando Benenzon (1983, p. 9)
individua due indirizzi paralleli nella musicoterapia. Lo studioso
reputa la musicoterapia una disciplina scientifica il cui oggetto di
studio è «il complesso suono–essere umano, con l’obiettivo di
ricercare elementi di diagnosi e di metodi terapeutici». Questo
complesso è costituito da elementi che producono stimoli sonori
(generalmente gli strumenti musicali e il corpo), dai suoni interni
del corpo e da quelli percepiti dagli organi recettori, dalla reazione
biologica e psicologica
Rolando Benenzon, pedagogista, psichiatra e musicista, è
caposcuola della musicoterapia in America Latina. Nel 1966 ha
fondato in Argentina, con altri specialisti, l’Associazione Argentina

20
A. Antonietti e B. Colombo, Musica che educa Musica che cura: interventi psicologici con il linguaggio sonoro in
contesto scolastico e riabilitativo, Aracne, 2009.
15
di Musicoterapia; inoltre, ha collaborato anche alla fondazione
delle associazioni degli altri stati sudamericani.
Dopo il primo convegno argentino di musicoterapia tenutosi nel
1969, è nata l’Associazione Medica di Musicoterapia. In successivo
momento, Benenzon si è interessato della protezione della
professionalità del musicoterapeuta istituendo associazioni volte a
questo scopo.
L’opera di Benenzon è stata diffusa in molti paesi e alcuni concetti
introdotti dal musicoterapeuta argentino sono stati ripresi da altri
autori, quali, per esempio, la Alvin.
La visione della musicoterapia come disciplina che utilizza il suono
e il movimento per provocare effetti regressivi rivela alla base della
concezione della musicoterapia di Benenzon presupposti teorici
psicoanalitici.
Questi considera la musicoterapia una disciplina paramedica, che
trova le sue basi scientifiche nell’ambito clinico–terapeutico. Il
musicoterapeuta necessita tuttavia, secondo Benenzon, di una
formazione approfondita che comprenda anche le terapie
psicologiche.
La musicoterapia dell’illustre autore, si occupa, fondamentalmente,
dello studio e della ricerca del rapporto suono–essere umano,
considerando il suono e il movimento come aspetti integrantisi.
In base alle reazioni del paziente allo stimolo musicale, Benenzon
cerca di diagnosticare la malattia e di elaborare la terapia di
intervento.
L’autore elabora un principio che ritiene importante nell’approccio
terapeutico al malato: si tratta del principio dell’ISO21, ossia la
ricerca da parte del terapeuta del tempo mentale del paziente al
quale adeguare il tempo sonoro musicale.
Questo processo è il punto di partenza per aprire un canale di
comunicazione con il paziente. Benenzon sostiene che l’evento
musicale terapeutico può ricreare la relazione perduta madre–
bambino, permettendo il riemergere di situazioni conflittuali
inconsce.
In questo modo il materiale emerso nella seduta musicale può
essere utilizzato nell’ambito della seduta psicoterapeutica.
Muovendo da studi di neurofisiologia, Benenzon afferma che il
ritmo, e forse anche la melodia, viene percepito a livello
subcorticale (nel sistema limbico).
Secondo alcune ipotesi inerenti alla vita prenatale, il feto durante la
gravidanza vive un’esperienza ritmica percependo i suoni della
madre prodotti dal battito cardiaco, dalla respirazione, dai
movimenti esterni e dai rumori degli organi interni. Sulla base di
questi dati, lo studioso, ha potuto formulare questa teoria: “la base
della relazione tra il ritmo e l’essere umano va ricercata nel
21
Benenzon R.O., Manuale di musicoterapia, Borla, Roma 1983.
16
contatto sonoro del feto” e inoltre “ la musica è l’evocazione della
madre, una riedizione della relazione con lei e con la natura”
(Benenzon, 1983, p. 29).
Il concetto di ISO è un elemento che caratterizza ogni individuo ed
è costituito dalla somma del vissuto sonoro durante la gravidanza (e
quindi legato alle percezioni interne) e della nascita (frutto della
percezione esterna).
Questo “tempo” biologico ― ritmo desunto dalla velocità
dell’andatura, del battito cardiaco e della respirazione ― è unico
per ognuno di noi e si manifesta in tutte le nostre attività.
Il termine ISO significa “uguale” ed allude ad un’identità da
ricercare; infatti, è compito del terapeuta ― come detto ―
individuare il tempo mentale del paziente per accordarvi un
determinato tempo sonoro o musicale, con l’obiettivo di aprire un
canale di comunicazione attraverso il quale operare poi il recupero.
L’ISO è un elemento dinamico che ha in sé potenzialmente tutta la
forza di percezione presente e passata, ecco perché distingue22:
• L’Iso gestaltico (inconscio, riassume il vissuto sonoro dalla
nascita all’età attuale) ed è quello che ci consente di scoprire il
canale di comunicazione per eccellenza del soggetto grazie al quale
cerchiamo di instaurare una relazione terapeutica;
• L’Iso universale (inconscio, che comprende i suoni regressivi-
genetici quali il battito cardiaco, la respirazione, la voce materna)
ed è un‘ identità sonora che caratterizza o indentifica tutti gli esseri
umani, indipendentemente dal contesto sociale, culturale, storico,
psico-fisiologico;
• L’Iso culturale (preconscio, corrisponde all’identità etnica
dell’individuo);
• L’Iso complementare (rappresenta l’insieme dei quotidiane
piccole modifiche che si attenuano ogni giorno o in ogni seduta,
unendo caratteristiche dell’iso gestaltico e culturale);
• L’Iso gruppale (identità sonoro/musicale propria di un gruppo di
soggetti) connesso allo schema sociale all’interno del quale si
evolve l’individuo.
Al fine di instaurare e di strutturare questo ISO, occorrerà un certo
lasso di tempo, e ciò dipenderà dalla buona composizione del
gruppo e dalla conoscenza dell’Iso individuale di ciascun paziente
da parte del musicoterapeuta.
Un altro elemento fondamentale per il musicoterapeuta è l’oggetto
intermediario23, altro concetto sviluppato nel modello Benenzon.
Detto oggetto costituisce l’elemento fondamentale per poter
sviluppare l’interazione relazionale; rappresenta un tramite per la
relazione, uno strumento di comunicazione, in grado di agire in

22
Ivi pp. 46-49
23
Ivi pp.56-57
17
modo terapeutico sul paziente, permettendo quindi il superamento
di eventuali resistenze, inibizioni e angosce nei confronti dell’altro.
Caratteristiche di questo oggetto intermediario devono essere:
 Esistenza concreta e reale;
 Deve essere innocuo e non creare quindi particolari stati di allarme;
 Deve essere malleabile e quindi prestarsi a qualunque utilizzo;
 E’ un trasmettitore perché permette la comunicazione mantenendo
la distanza;
 Deve potersi adattare al bisogno di qualsiasi soggetto;
 Assimilabile a sé stessi, ovvero deve permettere una relazione
molto intima,
in quanto lo si può identificare con sé stessi;
 Strumentale cioè utilizzato come prolungamento del soggetto;
 Identificabile in quanto deve poter essere riconosciuto
immediatamente.24
A seconda dell’utilizzo che si fa dell’oggetto intermediario si
distingue in:
 Oggetto integratore (connesso all’Iso gruppale), coincide con lo
strumento musicale scelto dal leader del gruppo, capace di
catalizzare la comunicazione dei pazienti e del musicoterapeuta;
 Oggetto incistato è quell’oggetto scelto non con l’obiettivo di
comunicare ma come difesa di fronte ai suoi propri impulsi e
difronte al gruppo, rimane quindi “fissato” al corpo, e quindi usato
in modo difensivo (quando il paziente lo avvolge fino a farlo
diventare parte di Sé );
 Di sperimentazione, catartico (quando viene utilizzato per scaricare
tensione accumulata);
 Oggetto difensivo quando viene utilizzato al fine di “nascondersi”
attraverso le proprie produzioni sonore.
Sostanzialmente l’individuazione dell’ISO, dell’oggetto
intermediario e dell’oggetto integratore costituisce l’aspetto
diagnostico del metodo Benenzoniano.

Nell’approccio musicoterapeutico con il paziente, Benenzon


distingue tre livelli di lavoro25:
1) livello di regressione: il paziente è sottoposto a suoni in rapporto
con lo stato regressivo raggiunto per produrre la rottura di nodi
difensivi e aprire canali di comunicazione; in questo livello
vengono attuate tecniche di musicoterapia sia attiva che passiva;
2) livello di comunicazione: il musicoterapeuta sfrutta i canali di
comunicazione aperti nel primo livello favorendo l’espressione del
paziente;

24
Ivi pp.59-61
25
Ivi pp.18-22
18
3) livello di integrazione: la comunicazione si dilata anche
all’ambiente circostante e al gruppo familiare.
Benenzon finalizza la stimolazione sensoriale alla “modificazione
di problemi emotivi” (Benenzon, 1983, p.125) innescati dalla
patologia da cui è affetto il paziente. Infatti, lo scopo
dell’utilizzazione di stimoli sonoro–musicali e del movimento è
quello di indurre una regressione volta a permettere la liberazione
dei nodi conflittuali.
Questa fase regressiva è stimolata da suoni che richiamano quelli
dell’ambiente intrauterino ― il battito cardiaco, la respirazione ―
e di suoni dell’ambiente naturale.
Nel modello Benenzon, le sedute di musicoterapia è possibile
svolgerle individualmente o in gruppo; è prevista una coppia
terapeutica costituita da musicoterapeuta e co-terapeuta che ha la
funzione di “stimolatore”, di sostegno e di ausilio.
Ogni seduta prevede quindici step che comprendono: la
preparazione del setting (pensata anche in base a ciò che si è
verificato nelle sedute precedenti), la focalizzazione mentale ed
emotiva da parte del musicoterapeuta, l’accoglienza del paziente e
lo svolgimento della seduta, la compilazione dei protocolli e la
supervisione.
Questi protocolli servono per registrare la seduta in tutte le fasi,
dalla preparazione alla fase di riflessione post- seduta (strumenti
importanti in fase di supervisione); la supervisione, fatta da un
professionista esperto e non coinvolto con il paziente né con
l’istituzione, permettono al musicoterapeuta di capire cosa gli
succede in base alla relazione con il paziente.
Benenzon si dimostra in accordo con la Hirsch e la Alvin
nell’applicare la stimolazione sonora anche con soggetti affetti da
minorazione intellettiva, sensoriale e motoria.

1.2.2 I modelli umanistici: Jiuliette Alvin


La prima esperienza di musicoterapia, documentata con sufficiente
rigore scientifico, divulgata in Italia è stata quella di Juliette Alvin.
Violoncellista diplomata al Conservatorio di Parigi, la Alvin negli
anni ‘50–’60 abbandonò l’attività concertistica e condusse una serie
di esperienze volte ad alleviare la sofferenza fisica e psichica di
bambini ricoverati in istituti della Gran Bretagna.
La musicista promosse nel 1958 la fondazione della Society for
Music Therapy and Remedial Music, poi denominata British
Society for Music Therapy, e istituì, presso la Guildhall School of
Music and Drama di Londra, un corso post–universitario,
riconosciuto ufficialmente, che rilascia un diploma di
musicoterapeuta.
L’approccio musicoterapeutico della Alvin è fondato su principi
tratti dall’attenta osservazione del comportamento dei pazienti e da
19
una profonda sensibilità per la sofferenza; successivamente, nel
corso della stesura delle opere che racchiudono la testimonianza
della sua esperienza, l’autrice ha acquisito una più matura
consapevolezza dei presupposti dei propri interventi.
La Alvin passa infatti da una mera trascrizione di esperienze nel
tentativo di teorizzazione quale quello compiuto nell’ultimo libro
da lei scritto, “La terapia musicale per il ragazzo autistico”.
Ponendo le basi di quello che sarà uno dei principali presupposti
dell’orientamento musicoterapeutico inglese ― il quale privilegia
la lettura del fenomeno psicologico in chiave sociale ― la Alvin
ritiene che la musica possa essere un mezzo che permette al
bambino di migliorare le proprie relazioni interpersonali,
stimolando una comunicazione più matura.
La terapia musicale, adottata dalla Alvin nella riabilitazione dei
soggetti disabili fisici e psichici, deve conformarsi a due
caratteristiche fondamentali del suono:
il potere catartico (che facilita, nelle terapie individuali,
l’espressione delle emozioni e degli stati interiori) e il potere
aggregante (che favorisce, nelle terapie di gruppo, la
socializzazione e l’assunzione delle regole sociali).
Alla base risiede il proponimento di agire sulla totalità
dell’individuo, integrando le varie dimensioni della personalità.
Infatti, la terapia è volta a produrre effetti positivi sullo sviluppo:26
1) emotivo, offrendo all’individuo la possibilità di una
gratificazione immediata e un mezzo di identificazione;
2) intellettivo, rafforzando l’autocontrollo, la memoria,
l’attenzione, la consapevolezza della propria personalità;
3) sociale, migliorando l’interazione di gruppo e l’accettazione
delle norme, nonché l’assunzione di responsabilità.
La causa di un rallentamento nel processo maturativo del soggetto
disabile è attribuita dalla Alvin ad un’inefficienza nella percezione
e nella decodificazione sensoriale della realtà.
L’autrice presuppone infatti una maturazione della conoscenza
sensoriale come “antefatto” per un potenziale sviluppo cognitivo
completo. Il bambino disabile ha difficoltà ad usare le sue
potenzialità a causa della minorazione che gli impedisce di
sviluppare adeguatamente le capacità sensoriali.
L’attività musicale interviene, quindi, in aiuto al bambino per
rendere operanti, tramite il suono e il movimento alcuni processi
mentali implicati nell’apprendimento, quali il riconoscimento, la
memoria, la capacità di porre in relazione suono e movimento.
Per lo sviluppo della sfera socio–relazionale, la Alvin si basa sul
principio che la musica può suscitare nei bambini delle associazioni
affettive e mentali, poiché può interessare lo stato d’animo del

26
Jiuliette Alvine, Terapia musicale, Armando Editore, 1986.
20
bambino, suscitare immagini mentali o permettere una libera
espressione delle emozioni.
Tuttavia, prima di impostare dei rapporti sociali stabili è
importante che il bambino abbia elaborato dei sentimenti di fiducia
e di sicurezza verso sé stesso.
La Alvin ritiene che, il raggiunto controllo del proprio movimento
accresca la fiducia e l’autostima del bambino e soprattutto la
sicurezza, permettendo di muoversi con maggior scioltezza in
mezzo agli altri e di stabilire una relazione sociale più matura
perché più rispettosa dei limiti spaziali e psicologici altrui.
Le risposte psicologiche ad un’esperienza musicale, vissuta sia
come semplici ascoltatori che come produttori, dipendono dalla
capacità del soggetto di identificarsi con essa e dalle caratteristiche
del brano in questione, ovvero dalla possibilità della musica di
agire ― secondo la terminologia psicoanalitica ― livello dell’Io,
dell’Es e del Super–Io27.
La musica è certamente in grado di risvegliare istinti primitivi e di
portare in luce materiale rimosso, di suscitare emozioni per poi
sublimarle, di stimolare la conoscenza di sé, di ricreare quindi un
Sé più armonico ed equilibrato.
La stimolazione delle modalità senso–motorie, attivata dal bambino
operando sugli strumenti, è applicata dalla Alvin con i soggetti di
lieve e media gravità. Infatti, avvalendosi della naturale
disposizione infantile a manipolare gli oggetti, la Alvin offre al
bambino lo strumento perché possa esaminarlo con le mani e con
gli occhi, oltre a tentare di ricavarne suoni28.
La Alvin ha verificato che i soggetti affetti da handicap sono in
grado di recepire gli stimoli sonori e di reagirvi, dimostrando
sensibilità musicale pari a quella dei ragazzi normali.
La musicoterapia, quindi, può costituire una forma di
comunicazione più diretta quando viene meno la possibilità di
utilizzare i codici linguistici tradizionali, soprattutto perché la
musica può essere fruita a diversi livelli, corrispondenti a diversi
gradi di sviluppo intellettivo.
L’applicazione della musicoterapia può così interessare i bambini
affetti da ritardo mentale, da paralisi cerebrale, da minorazioni
fisiche e sensoriali, da disadattamento e da autismo.
Con il bambino affetto da ritardo mentale, sono da tenere presenti
la carente consapevolezza del proprio corpo e la scarsa attenzione e
memoria degli eventi.
27
Modello, nel quale Freud ha provato a spiegare il potenziale dinamico ed evolutivo della mente umana.
L'Es o l'Id è la componente responsabile dei processi di identificazione e soddisfazione dei bisogni più primitivi della
persona, contrapposto al Super Io che rappresenta la coscienza e le sue sottocomponenti di etica e morale. a terza
istanza è definita Io e può essere identificata come una componente che fa da ponte tra le prime due espletando una
funzione mediatrice. L’Io consente all’individuo di trovare un punto di equilibrio che gli permetta di soddisfare i
bisogni istintivi da un lato e di rispondere efficacemente alle richieste etiche e morali dall’altro.
28
Paolo Cattaneo, Musicoterapia nella fascia scolare preadolescenziale, Franco Angeli, Milano,2013.
21
La studiosa propone, nel caso sopra descritto, esercizi di imitazione
e ripetizione di movimenti semplici mirati a rendere il bambino
consapevole di ogni parte del suo corpo e delle possibilità
espressive dello stesso.
Il bambino può così costruirsi lo schema corporeo e comprendere il
suo ruolo in relazione con lo spazio circostante. La Alvin si
propone con questi esercizi di portare il bambino alla “conquista
dell’equilibrio fisico e… dell’integrazione motoria” nonché di una
“certa attività mentale” nel cogliere “il rapporto esistente tra la
musica e il movimento corrispondente” (Alvin, 1968, p. 154).
Nel caso di minorazioni sensoriali ci troviamo di fronte ad una
difficoltà di altro tipo, poiché la mancanza di attività di uno dei
sensi ― in particolare la vista e l’udito ― compromette il rapporto
del bambino con sé stesso e con gli altri. Il bambino ipovedente,
proprio a causa del proprio handicap, è dotato di una maggior
consapevolezza del corpo, affinata dall’attenzione con la quale
deve muoversi nello spazio. Avvalendosi di questa consapevolezza
e di adeguate capacità mnestiche, la Alvin interviene proponendo
movimenti guidati per far prendere all’ipovedente confidenza e
sicurezza con lo spazio e spingerlo a conquistare un miglior
controllo motorio.
Nell’ipotesi in cui il bambino sia ipoacusico, l’intervento della
Alvin mira, soprattutto, a rendere familiare al soggetto il mondo dei
suoni dai quali egli è quasi completamente estraneo; sfruttando le
capacità che ha il corpo di cogliere le vibrazioni dei suoni più bassi,
si può stimolare il movimento per poter scoprire in esso una nuova
via di espressione29.
L’intervento musicoterapeutico diventa più complesso quando si
tratta di applicare musica e movimento con il soggetto autistico. Il
primo approccio deve essere volto ad aprire un contatto con la
personalità isolata e chiusa alla comunicazione del bambino
autistico. Per esempio, la Alvin ha constatato che, dopo un’iniziale
indifferenza per l’esecuzione musicale del terapeuta, il bambino
comincia a manifestare una certa attenzione con il proprio
comportamento ― ad esempio interrompendo la propria attività
stereotipata durante l’esecuzione musicale ― fino a provare egli
stesso a battere sul tamburo con il terapeuta30.

3.1.3 Musica come terapia: il modello di P. Nordoff e C. Robbins


Paul Nordoff, musicista e compositore, e Clive Robbins, educatore
specializzato, hanno svolto la loro opera terapeutica lungo l’arco di
un decennio (1959–1967) in istituti europei e statunitensi ospitanti
bambini subnormali31.

29
Alessandro Antonietti, Barbara Colombo (a cura di), Musica che educa musica che cura, Aracne Editrice, 2010, p.23.
30
Ibidem
31
Gerardo Manarolo, Manuale di Musicoterapia, Carrocci, Roma, 2020.
22
La loro terapia musicale si propone di penetrare il mondo chiuso di
chi appare lontano da qualsiasi rapporto con la realtà, spezzando
questo stato di isolamento, offrendo nuovi strumenti per
l’espressione dei vissuti per la loro condivisione.
L’originalità della proposta musicoterapeutica di Nordoff e
Robbins risiede nel fatto che non esiste una programmazione
formulata a priori: ogni seduta si struttura rispondendo alle
esigenze del paziente che, invitato ad esprimersi musicalmente,
rivela, attraverso le modalità di utilizzo degli strumenti e le
caratteristiche dei suoni prodotti, i propri conflitti interiori.
Questo approccio prevede due musicoterapisti di cui uno si mette in
relazione con il paziente affinché possa facilitare l’accesso
all’esperienza sonoro/musicale, e l’altro, solitamente al pianoforte,
improvvisa su specifiche sequenze sonoro/musicali in rapporto con
il soggetto. Considerando la musicoterapia come un processo di
crescita basata sull’improvvisazione clinica, sia musicoterapista
che paziente risultano entrambi protagonisti del cambiamento e del
raggiungimento delle mete intellettive, emotive, fisico-motorie che
la musica permette di conseguire. Con l’improvvisazione musicale,
attraverso un procedimento per tentativi ed errori, il terapeuta si
sforzerà di trovare la musica più adatta per instaurare col paziente
un dialogo sonoro. I due autori partono dal presupposto che la
musica può costituire un mezzo di comunicazione unico che
permette anche in qualsiasi forma, una qualche possibilità di
apprendimento e di reinserimento sociale32.
Essi intrecciano il lavoro pedagogico ― volto allo sviluppo delle
potenzialità del bambino svantaggiato ― al lavoro psicologico ―
finalizzato al rafforzamento dell’Io, delle relazioni interpersonali e
della socializzazione. A fondamento della terapia risiede la
convinzione che la musica sia un’esperienza universale perché
accessibile a tutti e costituita da elementi ― quali ritmo, melodia,
armonia ― che esercitano un’attrazione psicologica notevole.
L’intervento musicoterapico prevede tre fasi: l’incontro e
rispecchiamento, l’induzione della risposta e della produzione
musicale, e lo sviluppo delle abilità musicali ed espressive.
Il momento dell’improvvisazione è fondamentale in quanto
“luogo” in cui il paziente si sente compreso e stimato, trovando una
propria identità musicale; attraverso essa, che sarà ovviamente
adattata all’identità sonoro/musicale del paziente, il musicoterapista
crea una situazione che permetterà l’apertura di canali di
comunicazione, lasciando questo spazio aperto alla libera
espressione.
L’universalità della musica è dovuta anche al fatto che il suo
messaggio può contenere tutta la gamma del sentimento e
dell’esperienza umana.

32
Ivi p.26
23
I destinatari della musicoterapia sono bambini che vivono in una
condizione di isolamento e le cui difficoltà comunicative limitano
l’assimilazione delle esperienze e l’adattamento. 33
Inaspettatamente, per questi bambini la musica può diventare la
possibilità di vivere un’esperienza stimolante e un mezzo di
comunicazione per la loro integrazione individuale e sociale.
Nordoff e Robbins sono dell’opinione che la musica costituisca la
via ideale per entrare nella personalità dei bambini disabili, per
aiutarli a sviluppare il loro potenziale e rafforzare le funzioni
psicologiche non compromesse, più che mirare ad integrare le
singole funzioni sensoriali da un punto di vista fisico–psichico,
tentano di raggiungere ― come prima tappa ― la sfera emotiva del
bambino, creando un ambiente ricco di stimolazioni che dia spazio
alle potenzialità inespresse dei bambini.
Gli obiettivi che Nordoff e Robbins si propongono con la terapia di
gruppo sono molteplici: innanzi tutto l’integrazione sociale tra
soggetti molto diversi tra loro la cui complementarità è stimolo a
trovare punti di contatto e ad essere di esempio agli altri;
l’assunzione di precisi ruoli e responsabilità; la conoscenza di sé
stessi e soprattutto delle proprie capacità, connessa con una
progressiva crescita interiore e la realizzazione di sé.
Studi particolari sono stati condotti dagli autori con bambini
autistici con i quali la musica si è rivelata uno strumento efficace
per interrompere il comportamento stereotipato e dare inizio ad una
relazione significativa, volta alla riorganizzazione dell’Io del
bambino e alla scoperta del piacere prodotto dall’attività e dalla
fiducia.
È estremamente difficoltoso stabilire un contatto con i bambini
affetti da autismo, e questi a loro volta non sono in grado di
mantenere la comunicazione con gli altri. Con questi bambini le
attività musicoterapeutiche possono iniziare favorendo una
graduale affermazione delle capacità di risposta, in modo da
consentire il superamento di paura o confusione, grazie alla
scoperta del piacere e alla fiducia derivante dalla positività della
risposta34.
Da questo stadio è possibile sviluppare forme individuali di attività
musicali, volte ad aumentare l’interesse e la soddisfazione e a
rendere le risposte sempre più elastiche, il che favorisce una
maggiore intensità di partecipazione.
In conclusione, la musica è un’attività che si appella innanzi tutto
alla globalità del sentimento e dell’emotività e quindi può essere
percepita, appresa e ricordata anche da bambini handicappati.
Attraverso il lavoro musicale questi ultimi possono elaborare
33
Ibidem
34
Alessandro Antonietti, Barbara Colombo (a cura di), Musica che educa musica che cura, Aracne Editrice, 2010, pp.31-
33.

24
attivamente i loro contenuti emotivi, acquisire sicurezza e fiducia,
esercitare la riflessione, l’autocontrollo e la responsabilità. Infine,
l’esperienza del suono del canto porta ad un miglioramento della
parola come presupposto per una corretta interazione con
l’ambiente.
1.3 I principali ambiti applicativi e gli obiettivi della musicoterapia

Gli ambiti dove la musicoterapia trova una sua applicazione


vengono classificati in: preventivi, riabilitativi e terapeutici35.

 L’intervento PREVENTIVO è caratterizzato dall’utilizzo


dell’elemento s/m per agevolare il percorso di crescita e
maturazione personale, sviluppando la creatività e migliorando le
qualità intellettive, e in contesti connotati da disagio sociale e/o
psichico, per lo sviluppo di relazioni e l’integrazione e per la
maturazione emotiva.
La musica per le sue caratteristiche si presta meglio di altri
linguaggi. Il contesto preventivo trova esemplificazioni in diversi
ambiti come la gravidanza, l’età evolutiva, la terza età, le cure
palliative, la preparazione preoperatoria.

 L’intervento RIABILITATIVO ha come finalità quella di riattivare


e potenziare i settori deficitari, funzioni non evolute o regredite, in
modo massivo e specifico.
Nel contesto riabilitativo si suddividono in un ambito psichiatrico e
neurologico; questa suddivisione permette di differenziare gli
interventi volti a promuovere aspetti espressivi, comunicativi,
relazionali, favorendo una migliore regolazione delle emozioni; in
ambito psichiatrico, da quelli che anche se promuovono le
componenti relazionali, mirano al recupero e al potenziamento di
competenze neuropsicologiche e neuromotorie. In ambito
psichiatrico gli interventi sono rivolti alla tossicodipendenza e alla
cura di disturbi psichiatrici propri dell’età adulta e
dell’adolescenza, al trattamento del disagio psichico che si può
osservare nei deficit neuromotori e dei sintomi psichiatrici presenti
nei gravi quadri involutivi.
Ovviamente questi contesti clinici contemplano anche una ricaduta
di ordine neuromotorio e neuropsicologico.

 Intervento TERAPEUTICO che riguarda l’autismo, psicosi,


pazienti psicosomatici, oncologici, terminali e coma. Questo
intervento permette di privilegiare un lavoro centrato sui contenuti
evocati e rappresentati del musicale, sia in ambito espressivo che
recettivo, fornendo riformulazioni ed interpretazioni.

35
Gerardo Manarolo, Manuale di Musicoterapia, Carrocci, Roma, 2020 pp.97-98.
25
Per quanto riguarda gli obiettivi dell’intervento musicoterapico, si
avverte la necessità di migliorare il processo comunicativo
sonoro/musicale fondato su aspetti analogici e di consentire
l’accesso, dove possibile, ad una comunicazione digitale36che non
riguarda solo il linguaggio verbale ma contempla anche la
possibilità di fruire di linguaggi non verbali definiti e strutturati.
Gli ambiti clinici a cui si rivolge sono essenzialmente deficit
intellettivi, e condizioni psicotiche, ciò significa che sarà l’esperto
clinico, come un medico o psicologo, a indicarne l’opportunità di
un trattamento musicoterapico mentre il musicoterapista valuterà se
l’indicazione è adeguata ed effettuerà l’intervento.
Quest’ultimo può considerarsi terapeutico se si rivolge alla
globalità del soggetto, e rieducativo se tratta deficit specifici;
entrambi, in ogni caso, favoriscono lo sviluppo dell’individuo
partendo dalle sue potenzialità, dalla sua espressività, proponendo
attività gratificanti e piacevoli.
A seconda dell’ambito in cui viene utilizzata la musicoterapia, vi
sono obiettivi diversi ai quali si fa rifermento quali:
 L’acquisizione e la riacquisizione di abilità psicomotorie
 La facilitazione dei rapporti interpersonali
 Un miglioramento delle capacità di insight (intuizione)
 Il contenimento e la rassicurazione di vissuti emotivi,
 Una migliore espressività corporea attraverso il movimento.

La flessibilità della musicoterapia consenti di camminare al passo


con il paziente, rispettando i tempi di maturazione, accogliendo le
paure, andando incontro alle sue esigenze o alle sue aspettative
personali che permettono sicuramente di ottenere dei risultati
risvegliando potenzialità che credevano perse37.
In conclusione, è possibile affermare che, la finalità di questa
pratica consiste nello sviluppare e migliorare la qualità della vita e
non quella di eliminare le cause generatrici, ma influire
positivamente, favorendo l’emergere di potenzialità e risorse.
Alla luce di ciò, ne consegue che, viene utilizzato più
frequentemente questo strumento o più in ambito preventivo e
riabilitativo piuttosto che a scopo strettamente terapeutico.

36
è collegato arbitrariamente a un certo significato (è il piano del contenuto). Questo assioma ci dice anche che la
comunicazione non verbale è più determinante di quella verbale in caso di incongruenza tra le due.
Definiti da Paul Watzlawick e dagli altri studiosi della scuola di Palo Alto (California), il quarto Assioma della
Comunicazione, ci informa che ”la comunicazione avviene attraverso i canali verbali e non verbali. Il primo utilizza
modalità digitali, il secondo criteri definiti analogici.” Una formulazione alternativa del 4° assioma è: “ogni
comunicazione segue il registro analogico e digitale”.
37
S. Farruggio, M.D. Rosa, Sono come Suono: la musicoterapia entra in carcera, Nous Editrice srl, Catania,2021.
26
CAPITOLO SECONDO
LE PRINCIPALI TECNICHE
MUSICOTERAPICHE
La musicoterapia annovera un ampio ventaglio di tecniche e metodi
da utilizzare in funzione degli obiettivi terapeutici che si vogliono
perseguire. La scelta più idonea viene fatta in base ai contesti e alle
tipologie di persone alle quali si rivolge. Tutte le tecniche che
verranno di seguito illustrate, sostengono il processo terapeutico e
concorrono al raggiungimento dei processi trasformativi mettendo i
partecipanti nelle condizioni di sperimentarsi in nuovi possibili
canali espressivi e comunicativi.
Queste tecniche possono essere inserite nell’ambito delle terapie
espressive, ovvero quegli interventi essenzialmente non verbali,
possono essere adoperate in un setting di tipo individuale o
gruppale.

2.1. Elementi tecnici: il setting e lo strumentario

Il trattamento individuale viene proposto ai pazienti che


necessitano di un lavoro riabilitativo specifico e/o della presenza di
una cornice meno contenitiva: la struttura della seduta è meno
definita dando la possibilità di adattamento alle caratteristiche del
paziente e al grado di disabilità portato dalla patologia. Il
trattamento di gruppo è particolarmente indicato per i pazienti
meno gravi che presentano, generalmente, maggiori difficoltà dal
punto di vista della socializzazione.
La musicoterapia di gruppo dà la possibilità di manifestare sé stessi
esprimendo le proprie emozioni attraverso il non verbale.
L’indirizzare un paziente a sedute di gruppo, risulta rilevante
secondo alcuni aspetti, quali la necessità di instaurare un’alleanza
terapeutica proponendo una presa in carico gratificante e
contenitiva, promuovendo processi di comunicazione,
socializzazione e di relazione, permettendo anche una maggiore
integrazione intrapsichica e interpsichica favorendo l’espressione
emotiva e la sua regolazione; sensibilità all’elemento s/m non
necessariamente intensa, talvolta strutturata in assetti difensivi.

27
Figura 1 La stanza di musicoterapia 38

Due elementi tecnici fondamentali per poter condurre a termine un


processo terapeutico utile ed efficace, comuni ad ogni tecnica che
verrà esposta in seguito, sono: la stanza o laboratorio di
musicoterapia e lo strumentario.
La stanza di musicoterapia deve essere convenientemente isolata da
suoni esterni.
L'isolamento acustico dall'esterno consente di lavorare in una certa
condizione di asetticità nel contesto non verbale. Proprio in questo
specifico contesto, una qualunque missione sonora rappresenta una
perturbazione in grado di disturbare la comunicazione.
Il laboratorio deve essere areato e chiaro, di dimensioni normali, né
troppo grande né troppo piccole, poiché se la sala è molto piccola
impedirà spostamenti e movimenti; se la sala è troppo grande
genererà dispersione e perdita di concezione dello spazio
circonstante, il quale renderà difficile il contatto con il
musicoterapeuta. All’interno dell’aula dovrà essere posto un tavolo
non troppo grande o un tappetto, su cui collocare alcuni strumenti,
disposti in circolo.
Ogni elemento in grado di riprodurre un suono udibile farà parte
integrante degli strumenti tecnici della musicoterapia, non verranno
adoperati solo gli strumenti classici, ma anche il corpo diverrà
strumento, la voce, le mani, e anche gli strumenti creati dal singolo
individuo che prende parte alla seduta: “una semplice scatola di
fiammiferi e un eccellente mezzo di comunicazione” (Benenzon,
p.66).
È importante tenere presente che uno strumentario può essere
utilizzato non solo in modo classico ma è possibile sfruttare tutta la
gamma delle sue possibilità. In tal modo, potrà essere utilizzata del
pianoforte non soltanto la tastiera, ma anche la cassa e le corde.

38
https://www.talentilucani.it/56477-2/#prettyPhoto
28
Possiamo classificare in questo modo gli strumenti:
 strumenti musicali propriamente detti: Strumenti a percussione e
strumenti melodici.
 il corpo: strumento musicale più completo sotto ogni profilo.
Inoltre, il corpo umano è all'origine degli strumenti musicali poiché
questi ultimi sono semplicemente un suo prolungamento.
Di tutti i fenomeni sonori del corpo umano, la voce e il canto sono
gli elementi più regressivi e capaci di risonanza e costituiscono il
luogo per eccellenza di proiezione dei complessi non verbali del
paziente, nel corso della sua evoluzione.
 strumenti elettronici
 strumenti creati dal paziente: questi strumenti sono buoni oggetti
intermediari che possono facilmente diventare oggetti integratori. 39
Effetto diretto di questi strumenti è rappresentato dalla vibrazione
indotta sul nostro corpo, dalle varie sorgenti che producono il
suono.
Ogni strumento musicale produce infatti vibrazioni particolari,
rappresentate dalle onde acustiche generate dal mezzo eccitante
(corde di una chitarra, le superfici di un tamburo) che giungono
fino a noi e ci trasmettono il loro potere inducendo il nostro corpo a
vibrare.
Il timpano del nostro orecchio, sollecitato dalle onde acustiche
esterne, vibra alla stessa frequenza dell'onda incidente e trasmette
questo segnale, opportunatamente tradotto dal sistema nervoso,
fino al cervello producendo la sensazione acustica40.
Attraverso la cassa armonica degli strumenti musicali, il fenomeno
della risonanza può essere utilizzato in musicoterapia per indurre la
persona a sentirsi accolta e compresa, senza l'ausilio delle parole.

I due macro-modelli all’interno dei quali possono essere proposte


le molteplici tecniche musicoterapiche sono:

-la musicoterapia attiva: si caratterizza per gli aspetti non verbali e


s/m, ed è indicato per pazienti in età evolutiva, pazienti regrediti o
non evoluti, pazienti con difficoltà di linguaggio e disagio nei
processi espressivi, comunicativi e relazionali. Questo approccio
propone un’area di incontro senso-percettiva e può acquisire
valenze evolutive in quanto sollecita nel paziente un atteggiamento
espressivo. In questo approccio la “musica” la si fa insieme.
-la musicoterapia recettiva: è indicato per pazienti adolescenti,
adulti o in età senile dotati di competenze verbali e simboliche che
consentono una sufficiente interazione con la proposta d’ascolto
con conseguente elaborazione verbale, connotati anch’essi da
difficoltà e disagio nei processi espressivi – comunicativi –
39
R.O Benenzon, Manuale di Musicoterapia, Edizioni Borla s.r.l., 2011, Roma, pp. 65-72.
40
https://www.amadeux.net/sublimen/articoli/aspetti-terapeutici-suono-musica.html
29
relazionali, che si opporrebbero a un approccio che prevede il loro
attivo coinvolgimento. Il tipo di ascolto, che siete utilizza e che
dovrà essere sviluppato dal paziente, e un ascolto attivo,
consapevole ed empatico41.
Ne consegue che l’ascolto, attivo, partecipe e attento è l’elemento
fondamentale in musicoterapia.
Innanzitutto, è prioritario sapersi ascoltare, poi saper ascoltare
l’altro, quindi saper ascoltare ritmi, melodie, sonorità. Ascoltare in
modo passivo, è una pratica poco proficua in musicoterapia. Sentire
invece per “stare” nell’ascolto, per partecipare attivamente
all’ascolto, è un modo per stimolare i percorsi di percezione degli
elementi caratteristici, di elaborazione interiore degli stessi e di
creazione.

Ascoltare per discriminare, per individuare sia ciò che acquista un


particolare valore affettivo, sia i canali espressivi che concorrono a
definire la sonorità.
Porsi all’ascolto per imitare, elaborare, variare, inventare, ricreare
generi musicali e per individuare nuclearità sonore significative.42
La capacità di esercitare un attento e disponibile ascolto
rappresenta una delle principali competenze di cui dovrebbe
disporre musicoterapista. Altresì, l'intervento musicoterapico si
configura come una sorta di educazione all'ascolto, sia quando si
declina sul versante attivo che su quello recettivo; infatti, lo
sviluppo delle capacità di ascoltare musica rimanda
metaforicamente alla maturazione della disponibilità ad ascoltare il
proprio il mondo interno. E’ ovvio che ci si riferisca ad un ascolto
non tecnico, non analitico, non irrigidito in pregiudizi estetici ma
disposto a interagire con l'alterità.
L'ascolto è guidato da criteri elementari (mi piace, non mi piace)
che attribuiscono all'interazione con l'elemento sonoro una
funzione prevalentemente edonistica e ricreativa.
Emerge in Martin Heidegger un'idea di musica connessa alla vita di
relazione; l'enfasi non è più posta “sull'oggetto suono”, in relazione
a studi musicali, ma sul “io” in relazione a quell'oggetto43.
Questa attività si collega alla nostra memoria implicita che spesso
non trova le parole per descrivere ciò che ha udito, ma riesce a
rappresentare perfettamente le complesse dinamiche del nostro
mondo interiore.
Il tema musicale scatena inconsciamente un forte processo di
identificazione che consente di esplorare i vissuti depositati nella

41
Gerardo Manarolo, Manuale di Musicoterapia, Carrocci Faber, Roma,2020, pp.375-402.
42
Facchini D., Esperienze creative per una didattica musicale orientata alla musicoterapia, in G. Di Franco, R. De
Michele (a cura di), Musicoterapia in Italia, Idelson, Napoli, 1995, p. 11.
43
Gerardo Manarolo, Manuale di Musicoterapia, Carrocci Faber, Roma,2020, pp.402-410.
30
memoria implicita, legati alle prime più significative esperienze
relazionali44.
Sia la musicoterapia attiva che quella recettiva nascono in qualche
modo dal fallimento dell’ l'inadeguatezza della mediazione verbale;
i pazienti possono non disporre gli adeguate competenze verbali,
possono mostrare nei confronti della parola difficoltà e refrattarietà
a utilizzarla come veicolo espressivo relazionale, in quanto
connotato da valenze persecutorie e vissute con qualità frustranti, in
quanto separante e distanziante, ma possono anche impiegarla per
sfruttare assetti difensivi dove la parola viene privata delle sue
implicazioni affettive ed emotive.
Quindi la parola non c'è o se c'è viene temuta o utilizzata per non
comunicare (Manarolo, 2021, p.401).
Come già esposto in precedenza, la musicoterapia annovera una
moltitudine di tecniche: quelle che seguono, rappresentano quelle
che sono state ritenute maggiormente opportune ed efficaci per il
contesto “gruppale”.

2.2 Il Songwriting
Il Songwriting è una tecnica che presenta moltissimi campi di
impiego, che vanno dalla musicoterapia, all'animazione e
all'educazione musicale; essendo un efficace mezzo che permette
l'esternazione protetta delle problematiche delle dinamiche di
gruppo, può essere utilizzata anche in attività di formazione e di
aggiornamento professionale, di Team building e formazione
Outdoor45.
Baker e Wigram lo definiscono come, quel processo di creare,
scrivere la partitura e/o registrare parole e musica da parte del
paziente o pazienti, e del terapista nel contesto di una relazione
terapeutica, allo scopo di affrontare bisogni psicosociali, emotivi,
cognitivi e comunicativi.
Detto processo è una tecnica che guida i protagonisti nella
composizione di canzoni: testo, musica, ritmo, armonia, melodie. Il
tema delle canzoni può essere suggerito dai partecipanti
liberamente, magari mediante un brainstorming, oppure si può
cogliere l'ispirazione da qualche evento particolare accaduto e
metterlo in musica. La canzone può essere composta partendo da
idee musicali originali (giro di accordi o una melodia) oppure si
può modificare solo il testo di una canzone già esistente
mettendone la struttura “canzone parodia”.
Alcuni musicoterapisti affermano che, questo modello applicativo,
è una tra le pratiche musicoterapiche più usate nella pratica
odierna46.

44
Ivi.
45
P.A. Caneva, Songwriting, Armando Editore, Roma,2007, p.73.
46
Ivi p. 19
31
Il songwriting è un metodo musicoterapico che viene sempre più
utilizzato grazie alla sua versatilità e al potenziale che offre
nell'affrontare una vasta gamma di obiettivi.
Attraverso la scrittura di canzoni (parole e/o musica), le persone
hanno la possibilità di:
 esplorare ed esprimere le proprie emozioni;
 sviluppare, mantenere o recuperare una serie di abilità cognitive;
 affrontare problematiche relazionali;
 ricostruire un senso di sé e identità e lavorare ai suoi ricordi di
esperienze passate (Baker et al., 2008).
I brani composti sono considerabili sia in termini di processo sia di
prodotto, testimoniano i sentimenti e i pensieri sperimentati in una
certa fase del trattamento, costituiscono creazioni da condividere
con gli altri e forniscono prova di padronanza, creatività ed
espressione di sé.
Si determina che esternando i propri vissuti e trascrivendoli in
musica, questi vengono elaborati a livello cognitivo. Accade che le
esperienze vengano narrate, verbalizzate riflettendo sul loro
significato e sulle risposte emotive che ne sono scaturite.
Inoltre, costruire una canzone impegna a molteplici funzioni
cognitive, offrendo così l'opportunità di esercitare e migliorare le
abilità delle persone.
La scrittura di un brano richiede che il compositore o i compositori
si concentrino e seguano la scrittura del brano dall'inizio alla fine;
attraverso il problem solving, i partecipanti devono essere in grado
di risolvere conflitti personali o interpersonali, che potrebbero
sorgere durante il processo di creazione dei testi, è opportuno
impegnarsi in attività più orientate all'obiettivo, come rifinire i testi
in modo da rispettare una buona metrica. Il songwriting è uno
strumento versatile che può essere diffuso in molteplicità di luoghi
(ospedali, comunità residenziali, centri diurni, al capezzale del
paziente), anche in assenza di un setting terapeutico propriamente
detto. Un musicoterapista, che lavora con giovani in difficoltà, può
registrare il materiale audio visivo anche in contesti extrasetting
(Baker, 2013).
Il processo di scrittura coinvolge numerose tecniche normalmente
utilizzate musicoterapia:
brainstorming, l'ascolto, l'improvvisazione musicale-strumentale, la
creazione di partitura, l'esecuzione, la drammatizzazione di un
contesto, l'uso della voce e degli strumenti, la realizzazione di una
coreografia e l'incisione di un disco o videoclip47.
Nel corso del processo creativo i pazienti possono diversificare i
propri ruoli e concentrarsi su una delle tecniche sopracitate. E’
possibile che accade che nel corso della terapia, ciascun paziente si

47
Gerardo Manarolo, Manuale di Musicoterapia, Carrocci Faber, Roma,2020, p. 33.
32
trovi a sperimentare il ruolo di leader “direttore d’orchestra”, come
quello di accompagnatore.
La canzone di per sé rappresenta un prodotto finito e definito.
Un'opera racchiude in sé tracce dei suoi creatori e dei suoi artefici
che si riconoscono in essa e la identificano come propria. La
concretezza dell'esperienza, tangibile perché si può tenere in mano
un cd o una partitura, permette l'archiviazione e la conservazione
nel tempo del brano finito48.
La ricerca scientifica su questa prassi, relativa al trattamento di
preadolescenti e adolescenti che presentano difficoltà sul piano
emotivo, ha determinato miglioramenti nei processi espressivi
attinenti al mondo interno e alla soggettiva autostima (Goldstein,
1990; Lindberg, 1995; citati in Baker, Wigram).
Appaiono in aumento l'evidenza generate da studi randomizzati
controllati che mostrano come questa pratica sia efficace per il
miglioramento della qualità della vita (Grocke et al., 2014).
Esempio chiave è la canzone “VOLERE E’ POTERE” composta
dai ragazzi dell'istituto penitenziale minorile di Acireale nell'anno
2012-201349.
Il prodotto realizzato dell’attività di laboratorio si sostanzia in una
canzone, dal testo creato dei partecipanti su spunto musicale e
proposto dei conduttori arrangiati dagli stessi, cercando di
rispettare suggestioni e retroterra musicale del gruppo. Per quanto
riguarda gli strumenti, sono stati utilizzati, il tamburello, il basso
elettrico e la batteria a cui sono state aggiunte armonie di chitarra
acustiche ed elettriche.
La parte cantata, ha visto come protagonisti tutti i ragazzi ai quali è
stato chiesto di eseguire il brano per intero. La fase di realizzazione
del brano ha significato, per tutto il gruppo, un momento altamente
importante e gratificante poiché hanno ricoperto per la prima volta
il ruolo di protagonisti e l’impegno profuso è stato finalizzato a
qualcosa di buono, all’assistere finalmente increduli al frutto
positivo delle loro capacità creative, così come cita il testo della
loro canzone:

Con sacrificio rimediamo agli errori,


non scordiamo i nostri valori,
e costruiamo amicizie, famiglie e amori.50

2.3 L’improvvisazione

48
P.A. Caneva, Songwriting, Armando Editore, Roma,2007, p. 21.
49
La Rosa e Ferruggio, Sono come suono, Nous Editrice srl, Catania, 2021, p.124.
50
Ivi p.128
33
Un setting di musicoterapia è il luogo ideale per sperimentare, in
gruppo o anche individualmente, attività musicali che favoriscono
lo sviluppo della creatività e dell'immaginazione.
Ciò può avvenire sia con strumenti tradizionali (a percussione o
melodici) che con strumenti auto costruiti di diversa natura. Per
tanto, è possibile, infatti, cimentarsi in attività di improvvisazione
totalmente slegate dalla necessità di seguire formali spartiti
musicali.
Sloboda, nel suo approfondito studio sugli aspetti cognitivi della
musica, riguardo l'improvvisazione sostiene che:
la nostra cultura occidentale non dalle persone molte opportunità
per improvvisare. Viene data molta più importanza la riproduzione
collettiva di musica ben nota (il canto di inni, canti rituali dei tifosi
di calcio). Nella nostra cultura, compositori improvvisatori non
nascono da un’acculturazione normale; le loro abilità ha sono il
frutto di uno sforzo educativo specifico e culturalmente atopico.51
La musicoterapia attiva si esplica essenzialmente attraverso
tecniche improvvisative. L'improvvisazione appare, quindi,
assieme all'implicita presenza di competenze compositive, la
principale dotazione musicale del musicoterapista (Manaloro,
p.357).
Nella tecnica dell’improvvisare, secondo Laura Habeggher:
l'estemporaneità del metodo in esame obbliga l'improvvisatore a
mette in atto particolari strategie cognitive che hanno come fine
quello di reggere il flusso di informazione in modo simile a quanto
avviene nel parlato (pause, ripetizioni).
L'improvvisazione musicale, se contrapposta alla pagina scritta,
rimanda, evoca ad un'idea di libertà, di svincolo da schemi rigidi e
prefissati ed al contempo di creatività e inventiva; in realtà
sappiamo che le cose non stanno strettamente così.
L’arte dell’improvvisare può essere definita, soprattutto in
relazione al suo carattere di estemporaneità; in altri termini il suo
prodotto musicale nasce sul momento, in quel tempo, in quel
contesto, in quel luogo.
L'estemporaneità implica il rapporto dialogico fra due aspetti: il
sapere musicale e lo stile musicale di riferimento a cui si rivolge
l'improvvisazione, si comprende bene come questa sia una libertà
pur sempre condizionata.
Se in ambito musicale l'improvvisazione persegue la finalità
estetica di performance, in musicoterapia si prefigge diverse
finalità: stabilire un rapporto con il paziente e facilitare la sua
espressività.
Se in ambito musicale all'improvvisazione si muove all'interno di
un particolare genere che orienta, limita, ma sollecita la sua
espressività, in musicoterapia non esiste un genere musicale
51
Sloboda, La mente musicale, cit. p.319.
34
precostituito al cui interno interagire; musicoterapista e paziente
costituiranno nella loro interazione il loro “stile”; è evidente come
in questa costruzione entrano in gioco le identità s-m ed espressive
della coppia.
Se in musica esiste una piena reciprocità fra due improvvisatori che
alternativamente conducono e propongono del materiale sonoro, è
evidente, invece, il delicato equilibrio che si instaura fra paziente e
musicoterapista, dove la reciprocità rappresenta un punto d'arrivo
più che una premessa.
Per quanto riguarda i temi dell'improvvisazione, i suoni che il
musicoterapista produce all'interno costituiscono il tentativo di
rappresentare le caratteristiche fenomeniche e fenomenologiche del
paziente ed altresì, alcune qualità del suo vissuto percepita
empaticamente: la sua ritmicità, il suo tono muscolare, la sua
prosodia, le qualità s-m, rimandano alle sue qualità psichiche
percepite empaticamente.
Palvicevic sostiene che << mentre nell'improvvisazione musica
l'accento è posto sul significato musicale, in musicoterapia
l'accento è posto sull'elemento personale, nei suoni viene così
raffigurato chi e cosa siamo nel mondo e come ci rapportiamo
adesso>>.
Inoltre, l'autore afferma che le componenti innate nel loro farsi
veicolo della soggettiva vita relazionale ed emotiva si esplica in
specifiche forme dinamiche.
Queste ultime possono essere trasmesse mediante le caratteristiche
espressive dell'improvvisazione:
-tempo: accelerando, rubato, ritardando;
-dinamica: sforzando, crescendo;
-modulazioni di timbro e di altezza sonora.
Nell'improvvisazione in musicoterapia, le forme e dinamiche degli
atti musicali creati dai pattern, mettono al musicoterapista e
paziente di riconoscersi; esiste un significato relazionale che
trascende quello musicale. Il concetto di forma dinamica racchiude
la ragione per la quale la musica ha un senso terapeutico52.
Il lavoro terapeutico consisterà, per tanto, nell'incontrare il paziente
armonizzandosi alla sua musica per dargli l'esperienza di “sentirsi
riconosciuto”, grazie al fatto che dal punto di vista espressivo e
della comunicazione viene dato ai suoni una risposta che riconosce
come significativa.
Un aspetto ulteriore che distingue l'improvvisazione musica
rispetto a quelle in musicoterapia può essere individuato nella
componente pedagogica53.
Se in musica la libera interazione fra due musicisti implica un
bagaglio comune tecnico che consente di giocare all'interno di un
52
Pavlievic, 1997, p.126.
53
Gerardo Manarolo, Manuale di Musicoterapia, Carrocci Faber, Roma,2020, pp.357-372.
35
determinato stile, in musicoterapia, spesso, il paziente può
presentarsi completamente privo di competenze musicali.
Pertanto, sarà il musicoterapeuta attraverso il proporre, fare
insieme, di semplici sequenze sonoro-ritmiche o melodiche-
ritmiche partendo dall'esplorazione sonora attraverso la
modulazione di diversi parametri acustici di mettersi in relazione
con il paziente
L’improvvisazione può essere eseguita a partire da cellule ritmiche
e armoniche, proposte da uno dei membri del gruppo, oppure, in un
contesto laboratoriale più articolato, può scaturire da suggestioni
provenienti da storie e racconti precedentemente condivisi in
gruppo.
Il tema principale dell'improvvisazione può anche essere ispirato
una parola-stimolo (ad esempio il nome di un oggetto o di
un'emozione) oppure una canzone precedentemente ascoltata
insieme.
Il musicoterapista diventa la guida che conduce il paziente
nell'esplorazione di nuovi territori, attraverso il fare, l’esperire,
creando un rapporto avente un codice, avente una data realtà, delle
regole; passando così da una dimensione sensoriale ed
esperienziale e una dimensione codificata e mentale 54.
La musica, il suono, propongono un'integrazione, quasi una sintesi,
fra aspetti senso-percettivi, qualità emotigene e affettive,
componenti logico-relazionali.
Questi ultimi, ci permettono, quindi, di contattare il soggetto sul
piano sensoriali-corporeo attivandolo e stimolandolo per poi
avviare percorsi relazionali ed evolutivi.
Gli obiettivi del trattamento di gruppo sono mirati a favorire un
percorso che possa procedere dalla socializzazione all'integrazione
e ovviamente, da obiettivi specifici determinati dalle caratteristiche
del singolo gruppo, dalle sue necessità e dalle sue tematiche.
Pian piano verrà lasciato spazio al dialogo sonoro-musicale.
Il dialogo può realizzarsi o sullo stesso strumento, o su strumenti
simili o opposti; se attuato con strumenti simili può essere
finalizzato annullando ogni sorta di differenza.
Il tentativo di stimolare, sollecitare una costante attivazione
emotiva e cognitiva nel proprio partner richiede al soggetto
ricevente lo sforzo di gestire e controllare la situazione, adeguarsi
al cambiamento, e rispondere, per ottenere nel tempo un dialogo
connotato da una buona ”reciprocità”.
Appare evidente che l'ascolto attivo, empatico e reciproco favorisce
l'emergere di un'idea s-m originale.
L'evoluzione di un dialogo s-m si articola nelle seguenti fasi55:
 tentativo di stabilire un contatto, per poter realizzare un'interazione;
54
Ivi pp.368-369.
55
Ivi pp.385-386.
36
 una volta avvenuto il contatto, è frequente osservare un graduale
incremento del coinvolgimento emotivo dei membri della coppia
espresso da un'analoga modulazione di alcuni parametri (intensità,
velocità e densità sonora), tendenti verso un climax dove il contatto
si trasforma in uno stato di condivisione emotiva.
 una volta toccato l'apice relazionale si può osservare un decremento
del coinvolgimento emotivo e la variazione di alcuni parametri;
 la conclusione del dialogo spesso contrassegnata da figurazioni
musicali convenzionalmente congruenti;
 infine, talvolta si può osservare la ripetizione del ciclo sopra
descritto.
Per quanto riguarda la dimensione temporale, quando prepara la
frustrazione la percezione sembra rallentare; viceversa, quando
prevale la gratificazione la percezione temporale accelera.
L’obiettivo del terapeuta è quello di dar vita a una
“sintonizzazione” cognitivo-emotiva.
A ciò si collega strettamente la “Pragmatica della comunicazione
umana” di Watzlawick, secondo cui “non si può non comunicare e
che all'interno di un atto comunicativo, esiste sempre un livello di
contesto e relazione”.
Ne consegue che, tutti i messaggi che noi inviamo agli altri sono
messaggi simultanei.
Il nodo problematico da sciogliere che inerisce la comunicazione
non verbale, attiene alla frequente assenza di congruità, ovvero la
non autenticità; e spesso detto atteggiamento determina confusione
nel nostro interlocutore, il quale reagisce alla nostra parte più
autentica che si concreta nell’emotività (quella non verbale).
Ovviamente, al di fuori del setting terapeutico, nella vita quotidiana
queste interferenze sono presenti. Ne discende che, sia il
musicoterapeuta ma anche l’educatore dovrebbe adottare, con
estrema scrupolosità, un linguaggio verbale in grado di rendere
l’interazione con la sua comunicazione non verbale il più autentica
e interconnessa possibile.
Per quanto concerne la relazione con gli altri, appare fondamentale
lavorare su sé stessi e il dialogo sonoro permette di farlo, ma risulta
evidente che tale approccio si apprenda con l'esperienza e
attraverso la riflessione sulla medesima ed è ciò che rende
qualunque gruppo, in questo caso specifico il gruppo-terapeutico,
terreno fertile per sperimentare.

2.4 Drume Circle


Sono molte le definizioni di Drum Circle che si possono trovare
cercando tra i testi di riferimento. Kalani ne fornisce una da
musicista:

37
“Il Drum Circle è un gruppo di persone che insieme si impegnano
a creare musica usando tamburi e strumenti a percussione”
(Kalani, 2004).

Per la Stevens è una “esperienza estetica” e citandola precisamente:


“La combinazione di una pratica antica con gli attuali bisogni di
espressione creativa e di connessione umana crea una potente
alchimia che ruota intorno ad una esperienza estetica chiamata
Drum Circle” (Stevens, 2003).

Se la prima definizione, di Kalai, è più descrittiva dell’operatività


del Drum Circle:
essendo un gruppo persone che si riunisce allo scopo di fare musica
utilizzando tamburi e strumenti a percussione, e si riunisce quindi
per fare ritmo, poliritmia.
La seconda invece, quella della musicoterapista Christine Stevens,
partendo da una prospettiva antropologica, lo vede, come luogo di
incontro tra il bisogno umano di creatività e quello di connessione;
come esperienza in grado di rispondere a questi bisogni.
Un taglio antropologico è anche quello presente nella definizione di
Hull:
“Da quando l’umanità ha cominciato a narrare la sua storia le
persone hanno avuto il piacere a riunirsi in circoli in modo rituale
per celebrare e pregare insieme...Un Drum Circle di società è una
versione odierna moderna di una comunità sociale dei tempi
antichi. Le persone si riuniscono per cantare, ballare, suonare e
socializzare” (Hull,1999).
La definizione di Bitmann, riconoscendo la matrice antropologica
pone l’accento, invece, sulla partecipazione a più livelli del
soggetto coinvolto:
” group drumming è un intervento complesso e composito con
radici storiche di lungo periodo che include la partecipazione
totale del soggetto con un coinvolgimento, fisico,
psicologico/emozionale e cognitivo”
(Bitman
n e altri, 2001).

Dopo aver passato in rassegna alcune delle più note definizioni


della suddetta tecnica, è possibile osservare che, dal punto di vista
etimologico, si tratta di una parola composta composto da due
termini: drum e circle, ovvero, circolo e tamburi.

38
Il cerchio, ovvero una serie di punti equidistanti da un punto
centrale è una delle forme naturali che più si ritrovano nel nostro
universo fisico, non ha fine e non ha inizio.
Il cerchio è facilmente espandibile o contraibile in funzione del
numero dei partecipanti56.
Al cerchio rimanda la disposizione circolare tipica del Drum Circle
che “consente ad ognuno di vedere e sentire tutti gli altri; modalità
ottima per un insieme di persone che partecipano come ascoltatori
o come suonatori ad un evento musicale nel quale i partecipanti
sono al tempo stesso l’audience e lo spettacolo. Ogni circolo ha un
centro e questo diviene “il punto focale dove il contributo di
ciascuno arriva e si unisce in una visione musicale di gruppo che
si manifesta attraverso il suono” (Hull,1999).
È la relazione all’interno del gruppo a determinare la qualità della
musica piuttosto che le vere e proprie abilità ritmiche e musicali dei
partecipanti (Stevens, 2003).
Questo è un punto importante da porre in rilievo, ovvero, chi ha già
maturato esperienza di musica in gruppo con non-musicisti, non
stenta a riconoscerlo come vero.
I Drum Circle possono variare per composizione dei partecipanti o
obiettivi, ma tutti hanno in comune dei principi simili
(Stevens,2003) riassumibili nei seguenti punti:
• Non c’è audience: ognuno è parte dell’esperienza musicale;
• La musica non viene dalla lettura di uno spartito scritto, ma è
improvvisata al momento;
• Non esiste giusto o sbagliato e il Drum Circle è quindi un
ambiente di esplorazione permissiva e senza pericolo;
• Non c’è insegnante; il Drum Circle è condotto da un facilitatore
che ha un duplice obiettivo: costruire la musicalità del gruppo ed al
tempo stesso il senso di comunità e di connessione;
• Il Drum Circle è inclusivo; ognuno è benvenuto: ad ogni età e a
tutti i livelli di abilità;
• Spontaneità;
• il Drum Circle non ha nessun obiettivo specifico se non
l’importanza di supportare la musica e la connessione di comunità;
• Suonare in Drum Circle è’ molto più che suonare i tamburi.
“Il drum circle presenta al suo interno la dualità legata alla libertà
creativa che si combina con l’unità trovata nella pulsazione comune
(Stevens,2003)”, è quindi un’attività che riesce a mettere insieme,
attraverso il ritmo, un filo comune unificante sul quale lasciare la
possibilità di espressione individuale. Se è vero come scrive la
Stevens che i veri strumenti che costituiscono il drum circle sono le
persone, i tamburi diventano le loro voci.

56
http://www.esseremusica.it/Drum_Circle.html
39
Figura 2 Il cerchio e i tamburi 57
Il tamburo si offre come un immediato portale all’espressione
musicale, una esperienza a veloce partenza con una curva
istantanea di apprendimento giacché “il ritmo del tamburo ha
suonato dentro di noi prima ancora che nascessimo” (Stevens,
2009), quello che possiamo certamente fare e cercare di capire
quali voci, timbri, caratteristiche, hanno gli strumenti di cui ci si
serve per dare voce alla nostra presenza in Drum Circle.

È ormai risaputo che, il ritmo accompagna l'uomo sin dai primi


istanti di vita: il feto, nella sua permanenza nel liquido amniotico
durante la gestazione, è cullato costantemente, oltre che dalle
percezioni di voci, suoni e rumori provenienti dall'esterno e
modificati dal fluido stesso, prevalentemente dal battito cardiaco
della madre.
Un suono ritmico che lo accompagna per nove mesi che, una volta
venuta al mondo, si rivela un suono dalle incredibili potenzialità
calmanti e tranquillizzanti.
Svariate ricerche dimostrano che, anche il suono registrato dal
battito cardiaco del cuore induce nei bambini, e in determinate
condizioni anche negli adulti, una gradevole condizione regressiva,
ben più della musica stessa58.
Un'altra esperienza dimostra che il battito cardiaco stimola
impressioni e netta predominanza regressiva come l'acqua.
Ducourneau ricorda che:

57
http://www.esseremusica.it/Drum_Circle.html
58
R.O. Benezon Manuale di Musicoterapia. Cit. pp-38-39.
40
il ritmo è universale, è un elemento arcaico, presente nella natura
in modo evidente: il succedersi del giorno, della notte, delle
stagioni, ecc.. […] e il ritmo che regola i processi vitali degli
organismi e di tutto ciò che si esprime attraverso il movimento […]
uno dei primi ritmi volontari e quello connesso la nostra andatura.
i primi uomini ascoltavo nel ripetevano il ritmo dei movimenti
degli animali da cui bisognava proteggersi che venivano cacciati.
59

Nella musicoterapia, il ritmo ha una funzione centrale e diverse


sono le tecniche che si fondano sull’utilizzo di cellule ritmiche, per
raggiungere obiettivi che vanno dal miglioramento delle funzioni
psicomotorie alla capacità di relazione e condivisione in gruppo.
Questo metodo permette di coinvolgere più di 30 persone, disposte
in cerchio in cerchi concentrici, nel quale ognuno è dotato di uno
strumento a percussione; essi suonano insieme, seguendo le
indicazioni di un conduttore.
Il ruolo del facilitatore è quello di far sì che chiunque possa
accedervi; il suo radar emotivo-acustico gli consente di capire in
anticipo con chi sta lavorando, non è un terapeuta, bensì una figura
che sa accogliere e creare, trovare chiavi di accesso.
Il tamburo è uno strumento ritmico musicale di accessibilità
immediata.
Se c'è vita può esserci l'atto mobile, il gesto del percuotere. L'essere
in vita ti fa essere in grado di suonare, di fatto. Se cammini, già crei
un ritmo.
Chiunque sia vivo è potenzialmente un essere ritmico, anche se a
volte non ne è consapevole60.
Non solo l'attività cinetica del movimento ritmico fa lavorare zone
del cervello che non usiamo, ma aiuta anche il sistema
immunitario.
Lo statunitense Barry Bittman, attraverso una ricerca sulla musica
ricreazionale, ha definito meglio l'effetto del drum circle. Il suo
studio evidenzia valori differenti riferiti ai globuli bianchi dopo 40
minuti di suono. Non si afferma che il drum circle abbia effetti
curativi sul cancro, ma è stato provato che è un ottimo coadiuvante
perché agisce sul sistema genomico e cambia i valori riferiti a
quanto il corpo secerne in situazioni di stress.
Il Drum Cirle è molto chiaro, si tratta di un gioco che manifesta la
sua regola e la visione grande è quella di un “pianeta che sappia
suonare insieme in modo ritmico e armonico”, anche perché
l'alternativa, se non vi è cambiamento, è che si annienterà.

59
G. Ducourneau, Elementi di musicoterapia, cit., p.21
60
https://www.cure-naturali.it/articoli/terapie-naturali/terapie-del-movimento/drum-circles.html
41
Schimmenti immagina i partecipanti come i membri di una tribù,
all'interno della quale le acquisizioni personali vengono messe al
servizio del gruppo61.
Ci troviamo nel luogo della collaborazione: il gruppo permette al
singolo di esprimersi.
Senza l'accompagnamento del gruppo, il discorso musicale del
solista non avrebbe nulla su cui reggersi. Nello stesso tempo, il
solista esalta il lavoro del gruppo, il cui accompagnamento sarebbe,
senza la sua improvvisazione, un monotono ripetersi di linee
ritmiche sempre uguali a sé stesse.

2.5 La Body Percussion


«La ritmica, in effetti, è una forza simile all’elettricità e alle
grandi forze naturali fisiche e chimiche, essa è un’energia, un
agente di emanazione e di irradiazione che conduce alla
conoscenza di sé, alla coscienza non soltanto delle proprie forze,
ma anche di quelle degli altri e dell’umanità. Essa ci spinge verso
le profondità inesplorate del nostro essere energico e mutevole”.
Emile Jacques Dalcroiz

Benenzon afferma che << il movimento, la musica e il suono sono


praticamente una stessa unità:
si identificano l'uno con l'altro sino a diventare la stessa cosa>> 62.
Per le popolazioni africane il senso del ritmo è insito in qualunque
azione quotidiana:
<< non c'è movimento senza ritmo>>.
In un setting di musicoterapia, specie se con utenti con gravi deficit
mentali, può essere opportuno utilizzare in un primo approccio solo
le possibilità sonore dell'aula, la percussione corporea e la voce,
perché come scrive Ducourneau: << spesso introdurre uno
strumento, come prima forma di contatto, non costituisce il miglior
modo di procedere; ciò facendo noi introduciamo un oggetto che
di per sé condizionano il nostro paziente>>63.
Per Benenzon, il corpo umano << è lo strumento musicale più
completo sotto ogni profilo.
Inoltre essere all'origine degli strumenti musicali poiché
quest'ultimi sono semplicemente un prolungamento del corpo
umano>>.64.

61
D. Schimmenti << quando i tamburi parlano>>: voi il laboratorio musicale per integrazione interculturale, in E.
Mignosi (a cura di), formare in laboratorio. nuovi percorsi universitari per le professioni educative, FrancoAngeli,
Milano, 2007, p.131.
62
R.O. Benenzon, Manuale di musicoterapia, cit. p.15.
63
G. Ducourneau, Elementi di musicoterapia, cit., p.50.
64
R.O. Benenzon, Manuale di musicoterapia, cit. pp.69-70.
42
La Body Percussion è l’arte di produrre dei suoni col corpo, in cui
esso in tutte le sue parti viene impiegato come l'unica origine e
sonorità percussiva. Alla stregua di uno strumento percussivo, il
nostro corpo può produrre dei suoni con diverse qualità timbriche e
tonali. Tracce di questa tecnica risalgono già al XV e XVI secolo in
Indonesia e in Africa, si narra che gli schiavi neri deportati
dall’Africa occidentale in America, avendo il divieto di utilizzare i
loro tamburi e qualsiasi altro strumento, accompagnavano i loro
canti e le loro danze con i suoni del corpo.
Fu così che nacque la danza Hambone o Juba dance. Solo negli
anni ’80, grazie al lavoro del percussionista Keith Terry, si dà
avvio a uno studio specifico di quella che poi prenderà il nome di
body percussion65.
Ai suoni naturali prodotti camminando, battendo i piedi, strisciando
mani o piedi, si aggiungono gli effetti della percussione sul petto,
sulle gambe, sulle guance, lo schiocco delle dita e le varie forme di
battito di mani.
L'uso ritmico delle diverse sonorità corporali, e quindi
coinvolgimento di diverse parti del corpo, oltre a strutturare il
movimento, comporta un progressivo affinamento delle capacità di
coordinazione motoria. Inoltre, è possibile strutturare performance
musicali coinvolgenti, sfruttando la divisione in gruppi per creare
poliritmia e accompagnandosi con canoni vocali.
I vantaggi del suo utilizzo in una prospettiva terapeutica o
semplicemente di benessere sono molteplici:
-aiuta la concentrazione;
-migliora l’attenzione;
- la memoria;
-la propriocezione e il controllo dei movimenti.
Inoltre, può essere un ottimo strumento educativo, può aiutare
l’integrazione in un gruppo ed è un eccellente canale per veicolare
emozioni; infatti, il “gesto” non è solo movimento e suono, ma
anche un insieme elaborato di emozioni e sensazioni. Molte
persone che hanno difficoltà a relazionarsi col proprio corpo,
possono avere la possibilità di viverlo in maniera più positiva e
creativa.
La creazione di composizioni percussive o anche di semplici
cellule ritmiche, migliora l’autostima, l’istinto musicale e le
capacità cognitive. Infine, alla body percussion viene spesso
associata la voce. Questo dà maggior carica emotiva al lavoro
percussivo e permette una più profonda esplorazione interiore.
Esempio chiave è la performance degli studenti della scuola di
Saint-Michel-Garicoïts de Cambo, nella regione basca del sud-
ovest della Francia, hanno eseguito una “sorprendente” esecuzione
della famosa Sinfonia n. 5 di Beethoven.
65
https://www.musicaemente.it/2016/09/17/la-body-percussion/
43
La pandemia COVID-19 ha impedito a questo coro di cantare, ma
hanno comunque trovato un modo per fare musica: usando
un'elaborata miscela di claps, leg slap, stomps, finger click e tap, i
185 studenti trasformano il movimento orchestrale in un'epica
percussione corporea66.
Perfettamente sincronizzato e dinamico, suona in modo eccelso, ma
anche il filmato catturato dal drone sembra incredibile.
Gli studenti mascherati si muovono, si tuffano e salutano insieme
in modo teatrale degno di un palcoscenico.
Nel quarto capitolo, verrà posto in evidenza come, pur modificando
il setting ovvero l’“aula scolastica”, la musicoterapia con le sue
tecniche d’intervento diventa un valido supporto per lo sviluppo e
per il benessere di ogni discente, (dalle scuole elementari alle
superiori, anche se ci soffermeremo nell’età preadolescenziale 11-
13 anni) affetto o meno da handicap.
La riforma scolastica del 1977, In Italia, ha previsto l’abolizione
delle scuole speciali e delle classi differenziate, promuovendo
l'integrazione, andando a costituire un'importante occasione per
sperimentare interventi a carattere musicoterapico con soggetti
disabili67.
Oggi, la musicoterapia viene utilizzata, anche nei confronti dei
soggetti che soffrono di disagi e disturbi comportamentali, ed è
orienta, soprattutto in senso preventivo, ponendo fin da principio
l’accostamento della dimensione terapeutica a quella educativa nel
contesto scolastico.

66
https://youtu.be/7wVfphy9pbw
67
Legge 571/77: programmare, accogliere integrare;
https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1977-08-04;517

44
CAPITOLO TERZO ASPETTI PERCETTIVI
DELLA STIMOLAZIONE SONORA

3.1 Stimolazione sonora e sinestesie

La stimolazione sonora, ovvero il complesso di sollecitazioni


acustiche caratterizza il vissuto audio percettivo personale,
costituisce un dato concreto della nostra quotidianità e si lega a
mondi espressivi molto diversi, mediati da interrelazioni ora
segniche, ora simboliche. 68
Si genera così una complessa stratificazione di livelli comunicativi:
dai suoni delle parole fino ai traumatici impatti acustici con
l'ambiente tecnologico, dalle lallazioni di un bambino ai flussi
emozionali della musica confezionata, nascono messaggi sonori
strutturati attraverso i quali prende forma l'esperienza
audiopercettiva con evidenti ricadute a livello psicosomatico e
socioculturale.
Già, noi siamo anche ciò che udiamo, assoggettati una sorta di
imprinting sonoro che travalica l'elemento soggettivo ma, allo
stesso tempo, grazie ad un ascolto intelligente, possiamo accedere
ha vissuti significativi e stimolanti oltre gli stereotipi della cultura
dominante.

68
Pur avendo funzioni simili, le finalità sono opposte poiché il segno definisce e il simbolo amplia, ma ambedue ci
consentono di interpretare la realtà cogliendone le innumerevoli sfaccettature ed esplorandone i significati.
45
La società complessa ci spinge a riflettere sulla qualità percettiva
minata sistematicamente dall'arroganza del rumore, da un vociare
isterico elevandosi a modalità informativa in cui la dimensione del
silenzio è la metafora dell'impotenza.
E’ altrettanto evidente un continuo scadimento dei rapporti
interpersonali irrigiditi da luoghi comuni di un'informazione
vincolata a parole d'ordine, a un linguaggio di consumo asettico in
cui la dimensione affettiva del significante viene puntualmente
rimossa.
Sarà necessario attenzionare il percorso sul versante fonologico e
dunque da quelle aree sonore preverbali, sfuggendo al controllo dei
freni inibitori, costituiscono uno spazio simbolico privilegiato.
Per poter prendere parte ad esperienze a tutto campo fino alle
espressioni musicali veri e proprie sarà necessario utilizzare un
approccio fondato sulle sinestesie ed esteso pertanto a diverse
modalità percettive.
Entra in gioco così tutto l'asse sensoriale con evidenti implicazioni
a livelli psicosomatico dalle quali possono dipendere vissuti
particolarmente pregnanti.
Possono esserci vari tipi di sinestesie. Si definisce come quella
condizione che coinvolge il sistema sensoriale/percettivo, in cui le
stimolazioni provenienti da una via sensoriale o cognitiva inducono
a delle esperienze, automatiche e involontarie, in un secondo
percorso sensoriale o cognitivo . 69
La parola sinestesia deriva dal greco antico e significa ‘sensazione’,
quindi, in senso esteso, ‘incrocio di sensazioni’, cioè la capacità di
stimolazione di un senso di risvegliare la sensazione di un altro.
Il tipo più frequente è il grafema-colore, ma sono molto comuni
anche le sinestesie che coinvolgono suoni e colori, suoni e colori
musicali, nomi di note musicali e colori.
Avendo il suono come stimolo primario, si possono trovare anche
la sinestesia suono-movimento, suono-odore, suono-gusto, suono-
temperatura, suono-tatto.
Come lo stesso Kandisky sostene:
Il suono è udito, vista, tatto, gusto, odorato, e quel “super senso”
che abita oltre gli altri, dove i suoni e i sensi si uniscono e si
rivelano a noi in una “superpercezione”.70
E’ opportuno, approfondire separatamente le diverse percezioni
stimolate dal suono per poi comprenderne una correlazione
sincronica, indispensabile per una dimensione totalizzante.

3.1.1 Suono e Immagini


Sul fatto che il suono evochi immagini non vi sono dubbi, ma si
devono operare delle precise distinzioni.
69
https://www.stateofmind.it/2022/04/sinestesia-musica/
70
https://www.lotoarmonico.it/la-plurisensorialita-dei-suoni/
46
Il significante di una parola, ovvero il dato esperienziale puramente
sonoro, è strettamente collegato al significato e quest'ultimo in
relazione al contesto, suscita un'evocazione iconica oggettiva:

SIGNIFICANTE

SIGNIFICATO

CONTESTO

EVOCAZIONE ICONICA
Com'è possibile notare dallo schema, si genererà una veicolazione
semantica unidirezionale, saldamente ancorata alla dimensione
segnica, è tipica del linguaggio verbale in quanto codice forte, dove
tra significante ed evocazione iconica si instaura una precisa
relazione mediata dal significato e dal contesto.
D’altra parte, se il significato della parola “cane” dipende dal
contesto (il quale termine potrebbe essere inteso per un animale ma
potrebbe essere anche riferito a un calciatore maldestro) il sentire
abbaiare evoca inequivocabilmente l'immagine del fido amico
dell'uomo e in tal caso il suono si carica di una valenza semantica
ben più coinvolgente, a livello affettivo-emozionale,
dell'espressione verbale.
Ciò spiega la genesi della onomatopea, in cui la parola tende
imitare l'evento sonoro secondo una tensione comunicativa
primordiale:
“Nel vocabolario onomatopeico l'uomo si unisce al paesaggio
sonoro che lo circonda e tenta di imitarne gli elementi che lo
compongono… ma il paesaggio sonoro è troppo complesso perché
il linguaggio degli uomini possa riprodurlo” 71
Il compositore statunitense A. Copland riafferma uno stretto
legame fra musica e poesia. 72
<<D'altronde entrambe si avvalgono dell'elemento sonoro come
base relazionale sebbene, al livello neurofisiologico, la musica
venga percepita nell'emisfero destro e la poesia nell'emisfero
sinistro, e ciò in virtù di un dualismo oggettivo di non poche
riserve: se noi parliamo con il nostro emisfero sinistro e cantiamo
con il destro, mediante quello trucco riusciamo a cavarcela con
quelle vocalizzazioni intermedie come i salmi e recitativi? >> 73
Spostando l'attenzione sul processo interattivo tra parametri
musicali e componenti dell'immagine (linea, forma, colore) si
possono individuare delle modalità percettive stereotipate.
71
R. Murray Schafer, Il paesaggio sonoro, Ricordi-Unicopli, Milano 1985, p.66.
72
Nell’antica Grecia il termine mousiké indicava nello stesso momento danza, musica e poesia sottolineando l’intima e
indissolubile relazione tra esse.
73
M Critchley, R.A. Henson, La musica e il cervello, Piccin, Padova, 1987, p.151.
47
Una melodia si definisce appunto lineare se presenta un andamento
ritmico-diastematico74 uniforme e controllato, così come vi è una
tendenza marcata ad associare suoni gravi a colori scuri e suoni
acuti a colori chiari.
Alcuni soggetti dotati di una certa sensibilità riescono a correlare
abitualmente sequenze sonore a contesti cromatici secondo un
fenomeno definito ascolto colorato o psicocromestesia.
Il compositore russo Skrjabin percepiva una sensazione di colori
quando la musica era di lieve intensità, ma volume più elevato
sperimentavo una sorta di evocazione iconica. Nel suo Promèthèe,
Poème de Feu op.60 <<Sinfonia dei Colori>>, È previsto un
accompagnamento di luci colorate proiettate su uno schermo 75e
anche lo stesso Schonberg propone una correlazione analoga nel
Die gluckliche Hand. 76
In soggetti non vedenti dalla nascita viene spesso la tendenza a
costruire una dimensione percettiva del colore attraverso
l'esperienza sonora, mentre in casi di cecità non congenita possono
insorgere allucinazioni visive di colore specifico e di forma
costante. 77
Vi è inoltre un legame timbrico laddove i suoni prodotti da un
pianoforte, da un violoncello, da un'arpa, da un violino, da un
flauto da un oboe e rimandino a particolari fotismi.
Ad esempio: il colore giallo viene associato allo strumento
musicale della Tromba, il cui timbro appare Squillante, deciso,
chiaro e aggressivo. La sensazione che ve viene fuori è di un
simbolo di vivacità e gioia di vivere Splendente.
Ben più complesso e definire un rapporto tra musica e immagine
entrambe concepiti nella loro unità strutturale e dunque come
forme complesse, in quanto l'asse relazionale si sposta sul versante
della soggettività. Affidandoci a un presupposto caro al De
Saussure, possiamo affermare che la musica non agisce come
significante di alcun oggetto esterno significativo (funzione
segnica), ma stimola piuttosto un processo fantasmatico all'interno
di campi simbolici a cui si legano i flussi dell'emozione (funzione
simbolica).

3.1.2 Il suono, il tatto e il gusto


Com'è noto, l'ambiente esterno interferisce con i nostri ritmi
biologici, il suono in particolare può generare degli stimoli di
carattere fisiologico tali da coinvolgerci come corpi sonanti, in una
74
dal lat. tardo diastematĭcus, gr. διαστηματικός «distinto da intervalli», der. di διάστημα «intervallo».
https://www.treccani.it/vocabolario/ricerca/diastematico/
75
Afferma Skrjabin <<la melodia può partire dai suoni ma continuare in una sinfonia di linee luminose>>.
76
Egli ci parla esplicitamente di una “Klangfarbenmelodie” (lett. melodia di suono-colore) ossia di un’architettura
sonora nella quale altezze e ritmi sono una qual sorta di “impalcatura” che sostiene il continuo alternarsi e sovrapporsi
di varie combinazioni timbriche.
77
M Critchley, R.A. Henson, La musica e il cervello, Piccin, Padova, 1987, p. 235.
48
sorta di convibrazione, con molteplici implicazioni affettivo-
emotive.
Può succedere così che si avvertano delle sensazioni cutanee
riconducibili a forme di parestesie, ovvero alterazioni della
sensibilità degli arti, localizzate sul dorso del collo ed estese, in
alcuni casi alla colonna vertebrale e agli arti. Nei soggetti con gravi
menomazioni all'udito, la fruizione sonora costituisce un'esperienza
esclusivamente tattile.
La frequenza, infatti, può essere percepita ad occhi chiusi con la
punta delle dita appoggiate su una cassa armonica dello strumento.
Esempio chiave possiamo riscontralo in Beethoven 78(Bonn, 17
dicembre 1770 – Vienna, 26 marzo 1827), il quale fu un
compositore e pianista tedesco.
La sua opera si estende cronologicamente dal periodo classico agli
inizi del romanticismo. Accadde che all’età di 30 anni l’udito
cominciò a dare dei problemi, fino a perderlo totalmente.
Nonostante ciò, riuscì a comporre musica.
La domanda che sorge spontanea è: Come faceva a comporre
musica così sublime senza poter sentire le note?
Si dice che Beethoven tagliò le gambe del suo pianoforte, in modo
tale che la tastiera del piano toccasse terra, e lui, appoggiando
l'orecchio sul pavimento, riuscisse a sentire le vibrazioni sonore.
Molto utile in tal senso si è rivelato un approccio musicale attivo
dove sia il paziente stesso a suonare e a interagire di conseguenza
con dimensioni vibratili,79così come sperimentato anche da
Beethoven secoli prima.
E’ del tutto evidente la valenza terapeutica di una simile attività,
tesa ad estendere la relazione anche al mondo della musica con esiti
significativi a livello psicomotorio e di socializzazione, oltre alle
efficaci strategie diagnostiche che ne derivano laddove non si
possono somministrare test audiometrici e nello specifico con
bambini in tenera età quando l’handicap uditivo si è associato a
patologie di natura psichiatrica (autismo, schizofrenia, deficit
mentali).
Per comprendere le suggestioni gustative legate all'esperienza
sonora può essere interessante citare due casi in cui la letteratura
clinica lascia spazio anche al dato fenomenologico puro e semplice:
“Un uomo di trent'anni si era reso conto della sua sinestesia sin
dall'età di 10 anni, ma è lui l'ascolto colorato era strettamente
legato anche a delle associazioni gustative. Così la musica
strumentale produceva delle sensazioni prima di sapore, poi di
colore, come se lo stimolo andasse dall'orecchio all'occhio
passando dalla bocca. Secondo la sua esperienza, le tonalità minori

78
https://www.pianosolo.it/beethoven-e-la-sordita/

79
C. Rosano, Musicoterapia teorica e pratica, Giunti-Barbera, Firenze, 1977, pp.62-66.
49
davano origine a un sapore forte amaro, mentre quelle maggiori ad
uno dolce e piacevole”.
E ancora:
“J.K. Huysmans, Personalità decadente ed eccentrica, nel suo A
Rebours ci fornisce una lunga descrizione della ricerca di insolite
esperienze sensoriali da parte del voluttuoso Des Esseintes. un
complicato miscuglio di liquori costituiva il suo orgue à bouche.
assaggiando ora questo, ora quello, egli suonava delle sinfonie
intere che producevano sul suo parlato una serie di sensazioni
analoghe a quelle con le quali la musica gratifica l'orecchio. il
sapore di ogni liquore corrispondeva al suono di un particolare
strumento. Il caraçao, ad esempio, era simile al clarinetto e al suo
suono acuto e vellutato; il kùmmel all’oboe, il cui timbro e sonoro
e nasale; la crema di menta e la anisetta al flauto che allo stesso
tempo dolce e penetrante, lamentoso e carezzevole. Il kirsch
suonava un selvaggio squillo di tromba; il gin e il wishy assordava
il palato con i loro stridenti squilli di cornette e tromboni” 80

In questo caso sono le sensazioni gustative ad evocare particolari


sonorità quasi a dimostrare una sorta di collegamento e
transizionalità dei circuiti sensoriali secondo un'affascinante teoria
dell'etnomusicologo austriaco E. von Hornbostel, pubblicata per la
prima volta in Melos, Zeirshrift fur Musik, Berlino (1925).
L'autore ipotizza infatti una dimensione percettiva plurisensoriale
totalizzante che va coinvolgere il continuum psicosomatico
individuale.
Gli studi successivi condotti da H. Kleint, E.G. Boring. H. Werner
e E.A. Hayek su questa tematica hanno trovato un opportuno
approfondimento teso a consolidare la concezione di unità
sensoriale come background precettivo del fruitore. 81
D'altronde il problema delle connessioni interpecettive si coglie
puntualmente anche a livello puramente linguistico laddove la
metafora82 coniuga più campi sensoriali.
Vediamo alcuni esempi:
-il verbo “sentire” implica un coinvolgimento uditivo ma anche
tattile e olfattivo;
-l'aggettivo “hell” (luminoso) nella lingua tedesca, originariamente
riferito solo la percezione uditiva, estese il suo campo semantico
alle sensazioni visive;

80
M. Critchley, R. A. Henson, La musica e il cervello, pp.233-234.
81
M. Critchley, R. A. Henson, La musica e il cervello, pp.239-240.
82
Sostituzione di un termine proprio con uno figurato, in seguito a una trasposizione simbolica di immagini.
50
-in inglese “soft” (morbido, soffice) viene utilizzato per indicare un
genere musicale più delicato e consonante. 83
Come Lakoff e Johnson hanno mostrato nel loro influente saggio,
la metafora consiste nel comprendere un’esperienza nei termini di
un’altra e non sarebbe un fenomeno esclusivamente verbale, quanto
una questione di pensiero e azione che solo in un secondo momento
riguarderebbe il linguaggio . 84
Questa affermazione mette in rilievo l’importanza che assume la
metafora nella vita di tutti i giorni, dalla quale la musica non viene
certo esclusa; infatti, come Roger Scruton sostiene, nel momento in
cui si descrive la musica la metafora non può essere eliminata in
quanto parte essenziale dell’esperienza musicale. 85
Non a caso, abbracciando quasi l’intera storia della musica
occidentale, dai madrigalismi alla musica a programma, dal mickey
mousing alla musica per pubblicità, la metafora non ha mai smesso
di rappresentare, suggerire ed evocare il mondo in cui viviamo:
attraverso essa si può raccontare l’arrivo della tempesta, imitare
suoni umani, animali e ambientali nonché creare più in generale
l’idea di spazio e movimento.
E’ possibile notare come Armando Gentilucci 86commenta la
composizione Dèsert di E. Varèse per quanto concerne organico
orchestrale, nel suo libro “Giuda all’ascolto della musica
contemporanea” del 1987:

“L’articolazione timbrica dell'orchestra, spesso concepita


accordalmente, con un colore volutamente arido che l'assenza
degli strumenti ad arco contribuisce a determinare, è interpolata
con parti il regista de sul nastro… ne sortiscono paesaggi agri ma
di un ineffabile poeticità”
E ancora sul Concerto in Sol maggiore di Ravel:
“Il primo movimento << Allegramente>>, presenta le sonorità più
secche, le armonie più aspre inclini al politonalismo, con saltuarie
schiarite dissolvenze… Il <<Presto>> finale riporta il cristallino
decorso del concerto verso orizzonti sereni”.
Giacomo Manzoni, nel suo libro “Giuda all’ascolto della musica
sinfonica” del 1991, evidenzia così l'atmosfera mediterranea creata
da C. Debussy in Iberia:
“la strumentazione è variopinta, ispirazione impulsiva e sempre
varia, il richiamo al colore al brio della Spagna manifesto”
Concludendo, nel parlare di colore “arido”, di paesaggi “agri”, di
sonorità “secche”, di armonie “aspre”, di orizzonti “sereni”, o di

83
Alan P. Merriam, Antropologia della musica,Sellerio, Palermo, 1983, p.108.
84
Lakoff George and Mark Johnson. Metaphors we live by. Chicago: University of Chicago Press, 1980.
85
Scruton Roger. Aesthetics of Music. Oxford: Oxford University Press, 1997.
86
(Lecce, 8 ottobre 1939 – Milano, 12 novembre 1989) è stato un compositore, musicologo e critico musicale italiano.
51
altre espressioni che non è difficile incontrare nei meandri della
intelligentia musicale come suoni taglienti, timbriche vellutate,
impasti vocali edulcorati, emerge una chiara predisposizione
culturale ad interpretare l'evento sonoro a livello sinestetico, e
pertanto tutto l’asse sensoriale, predisposizione che, sembra
caratterizzare l'approccio estetico nelle sue diverse manifestazioni:
letterarie, pittoriche, scultoree ed architettoniche.

3.2 Livelli linguistici di stimolazioni sonora e reazioni affettive-


emotive
Per stimolazione sonora si intende quel complesso di sollecitazioni
acustiche caratterizza il vissuto audio percettivo personale, secondo
una classificazione di suoni e rumori sulla quale è opportuno
soffermarsi.
Se linguisticamente non vi sono dubbi sul dato di positività che
generalmente si lega al concetto di suono, non altrettanto si può
affermare su quello di rumore 87contraddistinto da una valenza
negativa.
È obiettivamente poco probabile che si parli di un “dolce rumore di
fondo” anche se, per contro, il suono non sempre rimanda a
sensazioni piacevoli; in ogni caso, rimane il peso di un giudizio
saldamente ancorato al substrato culturale che ribadisce la
differenziazione sopraenunciata.

Per la fisica acustica, lo spartiacque fra i due fenomeni determinato


dalla modalità di propagazione:
-vibrazione periodica regolare, il suono;
-spettri con fisionomie non ben definite e irregolari, il rumore.
Studi recenti, tuttavia, evidenziato elementi di tale complessità da
non consentire una rigorosa discriminazione fenomenologica.
Vi è infine una dimensione percettiva del problema, riconducibile
al contesto, ai condizionamenti estetici e pertanto è legata al dato
soggettivo.
Un brano rock, ad esempio, è per un'adolescente quanto più
desiderabile si possa ascoltare, mentre un anziano potrebbe
giudicarlo un cocktail di rumori insopportabili.
D’altra parte, nel corso del nostro secolo anche la musica colta
inglobato, dai futuristi in poi l’elementi bruitistico (pizzicato,
polpastrello sulla corda—inaugurato negli anni dieci del XX secolo
da Luigi Russolo) con effetti talora sconvolgenti e laceranti; ad
esempio Jonh Cage comporrà una serie dei Paesaggi immaginari
(Imaginary Landscapes) nel 1939, nei quali venivano combinati
suoni registrati, percussioni, e, dodici radio.

87
Qualsiasi fenomeno acustico generalmente irregolare, Causale e non musicale, sgradevole, fastidioso, molesto,
nocivo. N. Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, Bologna. 1988.
52
È indispensabile quindi superare una concezione di terapia
musicale asettica, sclerotizzata da un repertorio monocorde e
troppo spesso avulsa dalle dinamiche relazionali.
Urlare o percuotere una lastra metallica può essere terapeutico
come ascoltare o suonare una sonata di Beethoven o cantare una
canzone, tant'è che sarebbe forse più corretto proiettarsi verso una
concezione di fonoterapia,88supportata da esperienze sonore
diversificate, dal verbale al musicale, dai suoni della natura quelli
tecnologici.
Il linguaggio verbale, inteso univocamente come produzione di
unità linguistiche strutturate, è di norma soggetto ai processi di
inibizione propri della funzionalità cosciente del nostro apparato
psichico, mentre sul versante puramente sonoro anche un semplice
fonema può sfuggire all'autocontrollo e favorire un excursus in
varie direzioni.
Può accadere che, dietro un apparente approccio verbale pacato si
celano, talvolta mutevoli tensioni emotive che possono essere
canalizzate in quell'aria intermediario costituita dal suono delle
parole (significante).
D'altronde la musica ha favorito, almeno sul piano estetico, la
riduzione di una dicotomia atavica tra verbale e musicale, basti
pensare al recitativo melodrammatico, allo Sprechgesang
schoenberghiano, 89o a certe composizioni di Berio dove le voci
mimano il parlato pervenendo e momenti espressivi di grande
suggestione.
“Nell'omaggio a Joyce di Berio, si parte da un frammento
dell'Ulisse registrato per voce femminile in inglese, francese e
italiano, e attraverso sovrapposizioni, distorsioni, indugi sul lettere
fonematicamente interessanti (come la sibilante) giunge fino a
stravolgere sempre più la fonte testuale liberando interamente
dilatando a dismisura la carica musicale joyciana, fino ad
articolare sequenza di situazioni sonore perfettamente autonome
sotto il profilo compositivo.” 90
Tuttavia, il versante forte della parola vincolato all’ unidirezionalità
interpretativa, ossia il significato, ha indubbiamente prevalso
limitando o addirittura annullando, i flussi emozionali della
comunicazione interpersonale.
Nella simulazione linguistica si ricorre inevitabilmente ai tratti
somatici peculiari di un determinato idioma, prescindendo dalla
conoscenza lessicale e morfologico-sintattica di quest'ultimo e

88
Terapia all’interno della quale vengono utlizzati solo suoni puri, non c’è presenza di ritmo né di melodie.
89
Stile vocale nel quale si fondono le caratteristiche proprie del parlato e del canto. Adoperato per la prima volta da A.
Schönberg nel Pierrot lunaire (1912), il termine fu assunto dai componenti della scuola viennese e da altri compositori
a essa legati. Lo S., che rivoluzionava il rapporto parola-suono aprendo al canto enormi possibilità, fu poi variamente
utilizzato dalle correnti musicali d’avanguardia.
90
A. Gentilucci, Guida all’ascolto della musica contemporanea, Feltrinelli, Milano, 1978, p. 75.
53
paradossalmente “inventare parole” nella lingua madre risulta
un'impresa assai ardua.
E’ proprio grazie al significante, che si realizza ad esempio un buon
tedesco simulato.
Diviene una sorta di linguaggio sonoro in cui si nega la
segmentazione semantica del lessico ma dove trovano un ampio
spazio i livelli espressivi simbolici e quali, per quanto deformati,
sembrano appartenere alla lingua medesimi un progetto
comunicativo ben definito, costituito da giochi di intonazione di
inflessione propri di una forma melodica del linguaggio verbale.
“La melodia della parola, nel linguaggio, costituisce una
componente essenziale del funzionamento del senso ad almeno due
livelli della catena parlata: ad un livello segmentale che riguarda i
fonemi e ha un livello soprasegmentale che riguarda la curva di
intonazione dì una frase che può modificarne il senso.”91
Léon, focalizza chiaramente l’attenzione verso la preponderanza
della funzione espressiva:
“Non esiste alcun messaggio che non contenga una melodia
esprimente il carattere, l'umore, le emozioni o le intenzioni di chi
parla. Possono presentarsi due tipi di intonazione: l'intonazione
emotiva caratterizzata da una curva modificata nella sua totalità, e
l'intonazione espressiva volontaria che interessa alcuni punti
linguisticamente privilegiati della curva di intonazione.” 92
Come si nota anche Léon parla di una verbalità melodica, che oggi
appare in crisi, evidenziando la dimensione emotiva quale aspetto
essenziale per una pregnanza comunicativa, ed è proprio su questo
versante che può essere ipotizzato un percorso fonoterapeutico
qualunque sia l'ambiente di riferimento.
Un approccio primario col repertorio verbale, circoscrivendo
l'esperienza al solo impiego dei fonemi, è proponibile laddove si
voglia potenziare un controllo dei parametri sonori (altezza,
intensità, timbro e durata) in patologie caratterizzate da stereotipi
espressive molto ricorrenti, sino a poter raggiungere il controllo
parametrico nell'ambito verbale.
La famiglia, primario luogo in cui si instaura la comunicazione,
non sembra essere il luogo adatto ma si configura spesso epicentro
di un terremoto di parole urlate per soperchierie i rumori
tecnologici di fondo.
Non è certo difficile spiegare quel rapporto privilegiato che gli
adolescenti instaurano con il rumore, inteso come un dato di
onnipotenza, attraverso il quale potersi identificare. La stessa
discoteca è più un contenitore di pulsioni collettive che uno spazio
per comunicare, quasi a ribadire una rinuncia al rapporto

91
M. Imberty, Suoni Emozioni Significati, CLUEB, Bologna, 1986, p.162.
92
P.R. Lèon, Problèms de lìètude intonative, in: Bullettin d’Audiophinilogie, 1, 1973, pp.31-42.
54
interpersonale, dinamicamente concepito in favore di un flusso
istintuale alienante. 93
Ritornando all'aspetto del controllo parametrico a livello
fonematico, è opportuno precisare che da esso dipende un uso
ludico e creativo della parola, nel suo dilatarla o comprimerla, nell’
accentuarla o nello smorzarla, nella segmentazione delle strutture
metriche, in un gioco di intonazioni inflessioni anche trasgressive
fino all'utilizzo di unità sonore (intonemi) più vicine alla
recitazione.
La poesia costituisce, pertanto, un'area di straordinario interesse sul
piano terapeutico, se recitata e fruita nella sua emozionalità sonora
come strumento dinamico dei moti affettivi.
È possibile individuare tre arie in che caratterizzano una verbalità
melodica a tutto campo: 94
-area preverbale: controllo dei parametri sonori mediante l'impiego
di un ampio repertorio fonematico;
-area verbale: uso ludico e creativo dei significanti
(dilatazione/compressione/segmentazione);
-area recitativa: intonazione di materiali espressivi, desunti da
materiale poetico, secondo modalità espressive convergenti o
divergenti (dipendenti se sono in linea o in contrasto del
significato).
Una verbalità melodica a tutto campo, meno assoggettata ai freni
inibitori e ai freni di mascheramento propri dei meccanismi
difensivi della verbalità stereotipata, permette di scandagliare nella
dimensione profonda del linguaggio, cogliendo una serie di
relazioni affettive emotive molto utili per definire il tratto
sonologico personale.
Essa consente, inoltre, di individuare i disturbi primari della
comunicazione quindi intraprendere un percorso fonoterapeutico
più adeguato anche in relazione a determinate implicazioni di
carattere psicofisiologico. 95
Accadrà che quanto più un messaggio è chiuso, quanto più la curva
dell'intonema è discendente; quanto più un messaggio è aperto
tanto più la curva ascendente.
Dato che la curva è proporzionale alla tensione delle corde vocali,
l'intonazione sarebbe interpretabile e interpretata in funzione di
questi criteri fisiologici e della sua immagine psicomotoria.
Gli schemi di tensione distensione saranno costituiti in base a
rappresentazioni psicomotorie e posturali e legate alle emozioni
sentimenti che li accompagnano. 96

93
P. Cattaneo, Musicoterapia nella fascia scolare preadolescenziale, Franco angeli, Milano, 1996, p.64.
94
M. Imberty, Suoni Emozioni Significati, op. cit., p. 164.
95
P. Cattaneo, Musicoterapia nella fascia scolare preadolescenziale, Franco angeli, Milano, 1996, p.65.
96
M, Imberty, Suoni Emozioni e Significato, pp. 164-165.
55
Il musicoterapeuta può contribuire ad arricchire il quadro clinico,
che riceve con la presa in carico del paziente, di elementi
significativi desunti dalla loro un'interazione, percependo
quest’ultimo come corpo sonante; facendo attenzione anche al
corredo paralinguistico i cui aspetti essenziali vengono definiti
nello schema di Trager.
Lo studioso evidenziando gli aspetti essenziali del corredo
espressivo paralinguistico, li suddivide in due categorie: qualità di
voce (tono, risonanza, tempo, controllo di articolazione) e vocalizzi
(caratterizzatori vocali, qualificatori vocali e segatori vocali). 97
Ad esempio, in soggetti ansiosi, l’eloquio presenta una scansione
concitata, tempi di fluenza assai rapidi o molto dilatati, improvvise
variazioni di intensità così come nelle sindromi acustiche la parola
ambigua in favore di interminabili silenzi o magari gli suoni
particolari che rimandano a forma ancestrale di comunicazione.
Anche in situazioni di stress o di conflitto si verificano i fenomeni
sopra descritti quali, devono costituire per il musicoterapeuta un
preciso punto di riferimento per integrare la definizione del quadro
diagnostico. 98
Nelle balbuzie, ad esempio, in cui la difficoltà di espressione
vocale è resa difficile da contrazioni spastiche, il dibattito tende ad
escludere cause organiche considerando piuttosto situazioni
conflittuali profonde connaturate da una paura inconscia di
esprimersi, all'angoscia di scoprire la propria interiorità attraverso il
flusso sonoro della parola.
Partendo dal presupposto sostanziale che la musica è un linguaggio
di suoni, sarà opportuno evidenziare che sia la musica sia il
linguaggio hanno una base fonostrutturale che gli esseri umani
sono in grado di interiorizzare secondo rappresentazioni segniche
simboliche.
Ciò ammetterebbe la presenza di meccanismi percettivi primari
(neurali) come retroterra psicofisiologico di qualunque imprinting
sonoro evoluto e tendenti a forme complesse e codificate di
comunicazione (idiomi).
“Sia il linguaggio che la musica sono caratteristiche delle specie
umane, e appaiono universali in tutti gli uomini e specifici per la
specie.” 99
Le infinite possibilità combinatorie, l'apprendimento concomitante
spontaneo (linguaggio musicale e canto compaiono alla stessa età
tra gli uno e due anni e vengono assimilati a livello funzionale,
senza alcun intervento didattico), il medesimo canale percettivo
(uditivo) e produttivo (vocale), avvicinano le parole alla musica e

97
P.E. Ricci Bitti, S. Cortesi, comportamento non verbale e comunicazione, il mulino, Bologna, 1977, p.66.
98
P. Cattaneo, Musicoterapia nella fascia scolare preadolescenziale, Franco angeli, Milano, 1996, p.67.
99
J. A. Sloboda, La mente musicale, cit., p, 49.
56
la canzone, forma musicale universale, ne è una dimostrazione
incontestabile.
Proprio in tempi recenti, si è affermato soprattutto fra i più giovani
il nuovo genere musicale del rap, dove il parlato “puro e semplice”
si diffonde ritmicamente con la base strumentale, a conferma di una
tendenza spontanea a voler ulteriormente cementare il rapporto fra
musica e parole.
Sia la musica che le parole individuano nella funzione
comunicativa il loro scopo.
Se esiste un dato fonopercettivo primario, e tuttavia innegabile che
la musica si manifesta con linguaggi diversi in relazione alle varie
culture.
Vi è, comunque, un meccanismo di base (comune anche agli idiomi
verbali) che, costituendo una struttura profonda, va a definire uno
schematismo riferibile sul piano semantico a una modalità
dialettica di tensione e distensione.
Imberty, afferma che in tutte le musiche sistematiche esiste, una
sintassi funzionale archetipica, legata a una dinamica tensio-
distensiva e quest'ultima si determina attraverso specifiche
combinazioni sonore diacroniche (scale) e sincroniche (accordi).
La triade maggiore, 100 la cui struttura ha origine delle prime serie
armoniche naturali, rappresenta secondo Schenker “Il definitivo
luogo di posa nella musica, il luogo da cui essa parte, e a cui essa
ritorna” 101, e comunque costituisce la base del linguaggio musicale
occidentale.
Nella pedagogia e nella didattica della musica, la triade figura
come una sorta di contenitore entro il quale accogliere stimolare le
prime esperienze coi suoni ad altezza determinata.
Non è un caso che molti giocattoli sonori la ripropongano
puntualmente secondo cliché e standardizzati visto che il bambino,
tra i sei mesi e tre anni, tende a organizzare le proprie esperienze
uditive entro semplici strutture di rinforzo.
Vi è dunque, una forma sonora primordiale, la triade, che è
depositata nei meandri più profondi della memoria collettiva genera
un linguaggio musicale evoluto e sistematico definito appunto
sistema Tonale. Esso si configura, sull’ asse orizzontale come un
processo evolutivo diatonico, mentre sull'asse verticale è l'elemento
triadico a caratterizzarne il presupposto strutturale.
Fortemente storicizzato a livello estetico e metabolizzato dalla
società, il sistema Tonale costituisce uno tra i modelli più potenti di
fruizione di massa . 102

100
Accordo di tre suoni generato da una nota fondamentale, dalla sua terza maggiore quinta giusta.
101
J. Sloboda, La mente musicale, pagina 54.
102
G. Stefani, Capire la musica, espresso strumenti, Cuneo, 1978, pp. 7-9.
57
Ancora più esplicito a riguardo è Francès che parla di un vero e
proprio fenomeno di integrazione culturale in relazione al sistema
tonale:
“Tutti i fenomeni di attrazione, di scivolamento delle altezze dei
suoni in rapporto a certe norme o a certi poli scalari, e i fenomeni
di assimilazione percettiva che ne risultano, derivano
dall'integrazione culturale al sistema Tonale.
Le varie esperienze (per esempio individuazione di note critiche
non avendo a che fare con l'accordo) mettono in evidenza la
generalità del fenomeno sia per i soggetti non musicisti che per i
soggetti musicisti ”. 103

L’acculturazione tonale si determina tra i sette e i dodici anni; un


preadolescente in grado, di cogliere gli schemi tensio distensivi
della cadenza perfetta, così come discrimina agevolmente un
intervallo consonante da uno dissonante, cosa distinguere percorsi
melodici nelle fasi di apertura e chiusura. In questa fascia di età si
sono acquisiti gli elementi della sintassi musicale entro i quali è
possibile sviluppare definitivamente dei pattern di ascolto.
Attraverso l'esperienza musicale, si genera una sorta di identità
sonora collettiva molto marcata, riscontrabile sul piano affettivo-
emotivo proprio nella nostra società, dove la cultura informale con
i suoi aspetti contrastanti, può scatenare reazioni incontrollabili.
Stabilito che la canzone, con la sua forma universale i suoi
meccanismi tonali iper-collaudati e metabolizzati, costituisce un
adeguato contenitore delle pulsioni specificatamente giovanili, va
da sé che si ricorre ad essa come base relazionale, con evidenti
ricadute in ambito musicale terapeutico. Un semplice motivo
musicale, abbozzato solo con la voce, permette di instaurare un
rapporto immediato dove la comunicazione viene alimentata da
quella spinta emotiva che accomuna un po’ tutti, perché la canzone
circoscrive la dimensione spazio-temporale legandosi alle prime
vicende affettive pregnanti e scandendo spesso gli accenti forti dei
ritmi esistenziali.
L'antica saggezza popolare “canta che ti passa”, attribuisce alla
canzone una funzione consolatoria per lenire le ansie, i turbamenti,
le paure, ma anche per sopportare la grande fatica (basti pensare ai
work-songs afroamericani o ai canti delle mondine) o per lasciarsi
cadere in un sonno ristoratore.
Anche Bach, uno dei compositori più rinomati della musica colta,
scrisse le celebri Variazioni Goldberg, per lenire l'insonnia del
Conte H.K. von Keyserling 104e spesso i compositori di corte erano
chiamati a prevenire i malesseri esistenziali dei sovrani. Questo ci

103
G. Stefani, F. Ferrara, La psicologia della musica in Europa in Italia, cit., p. 58.
104
A. Anello, R. Venturini, Musica: terapia e autorealizzazione, Bulzoni, Roma, 1981, p.33.
58
testimonia come la storia della musica colta, evidenzi la valenza
consolatoria e terapeutica dell'interazione sonora.
In particolare, a livello musicoterapeutico, si ripongono nel
repertorio classico delle aspettative fin troppo ottimistiche, senza
considerare che il vissuto musicale è un dato fortemente
individualizzato, allo stesso tempo, saldamente ancorato l'identità
sonoro collettiva. Pertanto, non bisogna attribuire una sonata di
Mozart un potere rilassante o per contro una sinfonia di Beethoven
una valenza energizzante. Tale approccio farmacologico va rimosso
anche se valanga di dati empirici desunti da test psicomusicali
vorrebbero autorizzarne l'impiego.
Sarà utile prendere le distanze da un determinismo di stampo
meccanicistico avallato da un'operatività concreta che dimostra
quanto sia labile la suddetta posizione, laddove un preadolescente
instaura nella maggior parte dei casi un rapporto pregnante
immediato con la sua musica (rock, pop, rap) e non con quella del
passato.

È possibile spiegarlo perché: i giovani vogliono vivere nel presente,


eppure adottando lo stesso linguaggio Tonale la musica leggera si
differenzia da quella colta per l'impatto timbrico o per la struttura
temporale (la musica leggera con il beat e gli strumenti
elettrofonica a differenza della musica colta eseguite dall'orchestra
la quale presenta dilatazioni ritmiche di ampio respiro
segmentazioni complesse).
Sarà necessario offrire un repertorio meno limitante, affinché
possano essere presenti all'interno di un setting musicoterapico vari
stimoli musicali.
La musica può essere una straordinaria avventura attraverso la
quale percepire un sé interattivo, fino a scandagliare la propria
interiorità, e solo quando l'esperienza sonora diventa un tratto
esistenziale pregnante è possibile intraprendere un percorso
terapeutico.
Diverrà necessario ripartire dall’esperienza audio-percettiva, per
relazionarci con il mondo, in una cultura come la nostra che ha
sbilanciato l’esperienza delle cose quasi esclusivamente sul
versante visivo, significa non solo ristabilire la base essenziale
della relazione, ma anche guardare ad una dimensione umana che
deve tendere verso la conquista di un autentico benessere.
Diventa alquanto necessario - a mio avviso - che anche nell’ambito
del concertismo sia colto che popular, si creino spazi relazionali
affinché gli ascoltatori abbiano la possibilità di avvicinarsi ad
un’esperienza musicale più consapevole ed interattiva, non vissuta
solamente da spettatori passivi. Stimolare l’ascolto e la
partecipazione vocale e corporea anche in contesti musicali
istituzionali può diventare l’occasione per proporre un’esperienza

59
ricca di stimoli e di momenti intensi e coinvolgenti, in cui non
mancano spunti anche per una riflessione più profonda, ecco che la
scuola sarà un’importante occasione affinché questo possa
realizzarsi.
Concludendo, si evidenzia che il rapporto tra pedagogia, psicologia
e musicoterapia, costituito sulle dinamiche relazionali uomo-suono,
debba progressivamente consolidarsi nella direzione già assunta
della medicina psicosomatica, in quell'individuo è considerato nella
sua complessità-totalità.

QUARTO CAPITOLO
PROSPETTIVE IN AMBITO
SCOLASTICO

La scuola è chiamata a confrontarsi con la società postindustriale,


il cui dato di complessità determina problematiche mutevoli e
conflittuali che devono trovare risposte concrete nel rapporto tra
docente e discente.
60
L’esigenza di instaurare una proficua dinamica relazionale, già
fortemente sentita in tutte le realtà scolastiche, si fa ancora più
pressante in quelle particolari situazioni in cui è indispensabile
misurarsi con il disagio e con la sofferenza.
In tal senso, il ricercare spazi comunicativi diversi e
conseguentemente più ampi, diventa un percorso obbligato e un
impiego della musica in funzione rieducativa/terapeutica, attuato
con metodiche adeguate, può rivelarsi utile.
L’esperienza sonora, infatti, coinvolge l’alunno attraverso una
complessa gamma fenomenologica, dai fonemi del linguaggio
verbale alla musica.
Ne consegue la maturazione di molteplici vissuti vibratili che,
strutturandosi nel profondo, vanno a costituire un’identità sonora
personale composita alla quale è possibile agganciarsi per costruire
un rapporto significativo.
L’intervento musicoterapeutico nella scuola primaria e nella scuola
media, tenendo conto della particolare delicatezza propria dell’età
evolutiva preadolescenziale105, può essere ricondotto
essenzialmente a due obiettivi prioritari:
1. primo, individuare aree comunicative simboliche mediante
esperienze esplorative di percezione/produzione sonora;
2. secondo, favorire l’autenticità del vissuto musicale, inteso
nelle sue complesse interazioni psicosomatiche, in un contesto di
fruizione coinvolgente, aperto al dato affettivo-emozionale.
Per comprendere il senso di un intervento musicoterapeutico nella
fascia scolare preadolescenziale è opportuno partire dalle
complesse problematiche che si legano alla relazione educativa,
intesa come continua ricerca di strategie comunicative adeguate
alla realtà psicologica e culturale del discente.
E’ noto ormai quanto sia fondamentale, se non necessario, nei
processi di apprendimento il coinvolgimento emotivo che genera
poi quella sete di conoscenza indispensabile per avvicinarsi con
entusiasmo allo studio di qualunque disciplina.
Se l’allievo è chiamato a intraprendere un percorso formativo con
impegno e partecipazione, gli insegnanti devono preparare, il
terreno favorevole affinché ciò avvenga nei migliori dei modi,
evitando nei limiti del possibile, situazioni conflittuali e
traumatiche.
Si tratta, in sostanza, di creare un maggior equilibrio tra obiettivi
cognitivi connessi alla centralità della disciplina e itinerari
formativi rivolti al processo evolutivo personale.

105
la preadolescenza costituisce, com'è noto, una fase evolutiva molto complessa e delicata nella quale ha inizio una
serie di cambiamenti psicosomatici determinanti e improvvisi cui esiti possono creare dei veri e propri sconvolgimenti.
Il quadro si presenta così molto articolato, i comportamenti diventano imprevedibili, le reazioni talora incontrollabili e
spropositate e il paragonare un preadolescente un vulcano in eruzione sembra del tutto naturale.
61
La scuola è, per dettato costituzionale, un’istituzione accogliente e
aperta a tutti i cittadini.
Essa deve pertanto, oltreché fornire un’istruzione, condividere con
la famiglia le condizioni di disagio e sofferenza che caratterizzano
la vicenda di alunni, attenzionando in particolar modo, i portatori di
handicap o soggetti a forme di disadattamento.
Ecco emergere con chiarezza l’esigenza di un’azione educativa e
terapeutica combinata in cui la pedagogia speciale,
tradizionalmente legata al sostegno, all’integrazione, e la
musicoterapica, già ampliamente utilizzata (almeno a livello
europeo) come “terapia di supporto”, possano traviare un’area di
intervento comune. 106
Ideare un intervento musicoterapico può rivelarsi un valido
contributo all'avvio del processo integrativo, poiché il linguaggio
sonoro che non definisce la realtà nominandola, che parla in modo
simbolico e metaforico, permette di accogliere anche
l'inesprimibile anche la contraddizione, rendendo possibile la
partecipazione a qualsiasi persona in quanto ognuno, può
manifestare nella relazione con l’altro tutto il suo mondo interiore,
fatto di sogni, sofferenze, memorie.
Accettarsi, ascoltarsi reciprocamente, il creare insieme,
predispongono l'acquisizione delle capacità di riconoscere le
differenze e le difficoltà proprie e altrui, utilizzando esclusivamente
l’elemento sonoro-musicale.

4.1 La relazione educativa improntata sulla musicoterapia


La relazione educativa, concepita come momento autenticamente
costruttivo e dinamico, implica un notevole dispendio simmetrico
(educatore/educando) di energie psicofisico.
Essa, infatti, al di là di qualunque apporto cognitivo, è
continuamente alimentata da una tensione emozionale che
costituisce la base fisiologica dell’interazione.
I primi approcci sono un susseguirsi di speranze e di paure, nei
confronti della figura investita d’autorità, da parte del discente e nei
confronti della classe, da parte del docente107.
L’ansia è inevitabile ma necessaria per “attaccare la spina” e
cominciare a dialogare; in caso contrario, può subentrare la
passività i cui effetti nefasti sono fin troppo noti.
Superata una prima fase di accoglienza, l’insegnante suggerisce
degli itinerari che l’allievo dovrà compiere sotto la sua guida e da
questo momento il confronto si fa più serrato.
106
P. Cattaneo, Musicoterapia nella fascia scolare preadolescenziale, Franco angeli, Milano, 2013, p.27.
107
Ivi p.28.
62
Viene così delineandosi il modello interattivo tipicamente
scolastico in cui emozione e conoscenza non coincidono affatto,
condizione che peraltro si verifica assai frequentemente.
Ci si dimentica che i ragazzi sono più “educati” dalla cultura
informale; quella istituzionale propone modelli consacrati ben
lontani dagli standard generazionali correnti e molto spesso si
pretende di far interiorizzare degli oggetti cognitivi troppo
ingombranti, percepiti come corpi estranei, intrusivi e impossibili
da essere assimilati e trasformati in esperienze vive.
Sono parecchi gli studenti che definiscono la scuola “una noia
mortale” 108e tale è il senso di necrosi culturale che
contraddistingue frequentemente la realtà della classe.
Questa passività inquietante, questa lotta contro il tempo affinché la
lezione duri il meno possibile, questa estraneità quasi ostentata,
sono i segni evidenti di un rapporto necrotizzante che può sfociare
in varie forme di disagio anche piuttosto gravi.
L’insegnante di educazione musicale, per scendere nello specifico,
che si ostina a proporre repertori classici nell’indifferenza generale
(o nel caos), non solo ha difficoltà nel raggiungere mete cognitive,
ma va a inficiare il rapporto con la classe, distruggendo quella base
emozionale indispensabile per un’interazione proficua. 109
L’impatto emotivo costituisce il fattore vivificante di qualsiasi
forma di comunicazione e partire dalla realtà del discente vuol dire
riconoscere i vissuti o, quantomeno, considerarli alla luce di una
relazione empatica.
Se infatti attribuiamo all’alunno la capacità di contenere, ad
esempio, una “sua” canzone e di appropriarsene sul piano affettivo,
sarà come valorizzarne l’esperienza e ciò non può che favorire
l’apertura di nuovi spazi da riempire poi con materiali musicali più
impegnativi che, opportunamente assimilati, andranno ad arricchire
anche il bagaglio cognitivo.
Si tratta dunque non di rinunciare ai valori della cultura musicale
classica ma di proporli costruendo un rapporto sorretto da un buon
coinvolgimento emotivo.
È fin troppo chiaro che una disciplina risulta ostica non tanto per la
sua complessità intrinseca; è piuttosto il tipo di contatto
pedagogico, che si instaura tra docente e discente, a condizionare
negativamente il rendimento scolastico laddove si crei uno
sbilanciamento sul versante del sapere.110
Le interazioni presentano talvolta un contenuto manifesto in base al
quale un allievo sembra gradire una proposta didattica mentre in
realtà esso si dimostra solo accondiscendente verso l’autorità, non
investendo alcuna energia psichica o canalizzando le proprie
108
Riccardo Prando, Contro la scuola: Perché opporsi a un modello educativo che privilegia la burocrazia a scapito della
cultura. E riduce lo studente a numero, La fontana di Siloe, 2017, p.
109
Ivi, p.29.
110
M. Postic, La relazione educativa, Armando, Roma, 1983, p. 131.
63
pulsioni sul versante dell’aggressività. Vi è pertanto la possibilità
che un flusso emozionale positivo cambi repentinamente direzione
e determini modelli comportamentali distruttivi o persecutori, tali
da dover essere adeguatamente contenuti con il rischio sempre
incombente di ricadere in una sterile non relazione.
La classe è il campo di una dinamica di forze inconsce che si
incontrano o si oppongono, si rinforzano o si distruggono. Le
relazioni sono dirette dalle “imago”, schemi immaginari acquisiti,
cliché statici attraverso i quali il soggetto vede gli altri.
Accade che l’allievo proietta, in classe, sulla persona
dell’insegnante i conflitti che ha avuto con i suoi genitori. 111
Secondo Melanie Klein (1972), i rapporti del bambino con sua
madre e suo padre fissano in anticipo il suo atteggiamento nei
riguardi della scuola e dell’insegnante.
Per un certo adolescente, la riuscita scolastica è il mezzo per
acquisire una potenza che è una rivincita sul padre; un altro
provoca il professore per mettere alla prova sé stesso e utilizzare la
sfida per liberarsi delle pulsioni.
Sotto altre forme, i conflitti infantili che l’insegnante ha
conosciuto o con i suoi maestri rinascono in seguito ad una
reazione dell’allievo.
Se il riferimento all’area musicale è necessariamente una costante
di questo lavoro, non può sfuggire la valenza affettivo-emozionale
che caratterizza l’esperienza musicale sonora e quanto essa
contribuisca a fluidificare le tensioni, a creare spazi di interazione
favorendo un rapporto empatico.
Il nodo educativo da sciogliere sta nel fornire contenuti che
l’allievo ritenga utili per se stesso ma anche (e soprattutto) nello
scoprire un piacere per la conoscenza, nell’attivare cioè una sorta di
“pulsione cognitiva” che spinga a mettersi in gioco, ad esplorare,
senza peraltro negare il principio di realtà.
Cantare significa produrre suoni ad altezza determinata a
prescindere dalle qualità timbriche della voce.
Ebbene, tutti possono intonare una melodia vivendo un’esperienza
positiva sul piano emotivo e, allo stesso tempo, cognitivo se, ad
esempio, l’ampiezza di ciascun intervallo sarà interiorizzata e fruita
pertanto sincronicamente sia come un momento evocativo di
sensazioni piacevoli, sia come un dato di grammatica musicale.
Tale esperienza ha inoltre una finalità terapeutica in quanto si attiva
una modalità espressiva come il canto, cosicché l’azione educativa
va a coinvolgere ambiti diversi ma interrelazionanti: il piacere di
cantare (ambito emotivo) stimola l’apprendimento degli intervalli

111
Ibidem, p. 142.

64
(ambito cognitivo) e, contemporaneamente, allenta la tensione
comunicativa (ambito terapeutico).112
Spesso l’insegnante interpreta la propria azione in modo univoco
attribuendo alla sua funzione soltanto la trasmissione del sapere e
non considerando le altre componenti che qualificano la relazione
educativa; in questo modo spesso l’esperienza scolastica si
concretizza nella triade docente/discente/materia e spesso proprio
quest’ultima componente costituisce una discriminante notevole;
mentre il fare musica a scuola è ancora oggi vissuto come uno
spazio prevalentemente ludico, talora ritenuto persino un cedimento
dell’istituzione a danno delle cosiddette materie di studio.
È evidente che una simile concezione espropria l’educazione
musicale di qualunque velleità cognitiva, attribuendo ad essa una
funzione meramente ludica.
La capacità di esprimersi attraverso la musica, la danza, la
recitazione, viene troppo spesso percepita come un’interferenza 113,
un elemento perturbatore sul primato della razionalità, una
minaccia per l’autocontrollo, una pericolosa sterzata sul versante
dell’inconscio, e pertanto si tende a limitare l’intervento didattico
allo “stretto scolastico”, nell’accezione meno edificante del
termine.
Va dunque sottolineato come il termine “cognitivo” sia ancora
considerato riduttivamente e correlato a granitici blocchi
disciplinari, tipici di un conformismo scolastico deprivante, che
sembrano negare una dinamica evolutiva oltre gli stereotipi
alfabetizzanti restringendo il campo della conoscenza a forme di
sapere molto controllabili, spesso distanti da una dimensione
espressiva/creativa e, pertanto, dall’esperienza viva.
Se educare vuol dire favorire un processo di crescita personale, la
scuola deve aprire degli spazi che, permettendo allo studente di
instaurare un rapporto esteso a molteplici componenti culturali, lo
portino a vivere esperienze formative diverse, coinvolgenti e tese al
raggiungimento di un equilibrio psicofisico, spesso solo apparente.
Bisogna dunque che, a fianco e al di là della riforma degli
ordinamenti si dia maggior rilievo alla dimensione etico-
antropologica114, perché educare significa favorire una seconda
nascita in una dimensione libera e di rispetto reciproco dove il
soggetto possa identificarsi nel processo culturale.
Un processo culturale autentico avvicina la coscienza al senso della
vita mediante il quale l’essere può tendere al bene, raggiungendo
così quello stato di bene-essere che costituisce l’obiettivo centrale
dell’excursus educativo115.

112
P. Cattaneo, Musicoterapia nella fascia scolare preadolescenziale, Franco angeli, Milano, 2013, p.31.
113
riferimento al film L’attimo fuggente di P. Weir.
114
AA. VV. (L. Pazzaglia) Educare nella società complessa, La Scuola, Brescia, 1991, p. 119.
115
P. Cattaneo, Musicoterapia nella fascia scolare preadolescenziale, Franco angeli, Milano, 1996, p Cattaneo, p.38
65
È su questo presupposto che si fonda l’azione dell’educatore; egli
deve intervenire portando prima di tutto aiuto, soccorrendo
l’educando, ponendo particolare attenzione a quello privo di stimoli
o magari asociale e distruttivo.
Una concezione terapeutica, animata da tali propositi, può dunque
trovare nella scuola concreti spazi operativi ed è auspicabile che si
possa pervenire a un intervento coordinato all’interno di un
continuum educazionale-terapeutico.
La comunicazione sonora, oggi, è sempre più pilotata dalla
diffusione tecnologica verso percorsi linguistici asettici, realizzati
con strumentazioni elettroniche computerizzate e vincolati alla
gerarchia ossessiva del “beat”, della pulsazione costante la cui
valenza ipnotica inibisce i flussi emozionali.
L’imperativo è dunque una “non emozionalità” tesa a esasperare un
processo di individualizzazione da cui dipende un diffuso
malessere di tipo relazionale e dove anche l’ascolto della musica
diventa una forma di isolamento.
Vi è inoltre una tendenza sempre più marcata a consolidare una
concezione narcisistica della prassi musicale in base alla quale il
suonare o il cantare costituiscono, più che modalità espressive, atti
finalizzati all’autoaffermazione e sollecitati da un’ansia di produrre
suoni, senza peraltro averne interiorizzato la valenza comunicativa.
È inevitabile allora sottolineare il progetto di mercificazione che
non diversamente dagli altri “prodotti” della società postindustriale,
coinvolge anche la musica come attività pratica116, produttiva
appunto, e non come dato esperienziale di crescita interiore con le
molteplici implicazioni a cui si è finora accennato.
Questa esperienza musicale per così dire “materializzata”, oltre ad
apportare notevoli scompensi psicologici all’interno della stessa,
contrasta inevitabilmente con una visione terapeutica in cui liberare
il rapporto uomo-suono dalle maglie di una fruizione consumistica
e mercificata, assoggetta i percorsi creativi entro tipologie
comunicative stereotipate e sclerotizza i flussi emozionali con
effetti inibenti e deprivanti che generano poi reazioni superegoiche
alimentate da spinte aggressive e distruttive inconsce.
Siamo ancora lontani dalla weltanschauung schaferiana di
“paesaggio sonoro”, dove ascoltare significa entrare in relazione
con le toniche ancestrali, con quei suoni primordiali che
caratterizzano i vissuti vibratili personali e, nel contempo,
universali ai quali “l’avventura terapeutica” deve necessariamente
ricondursi, al di là di un atteggiamento culturale asservito alle
tendenze dominanti, per ricercare spazi comunicativi in cui il
disagio, la sofferenza, la diversità possano essere condivisi come
dato esistenziale.

116
T. W. Adorno, Introduzione alla sociologia della musica, Einaudi, Torino, 1971.
66
4.2 La Musica e la Musicoterapia nel contesto scolastico:
musica per l’integrazione
L’esperienza musicale va prospettata come vissuto coinvolgente e
solo sulla base di tale presupposto è possibile concepirne la
progettualità terapeutica.
Un fare musica ridotto alla mera pratica strumentale e/o vocale fine
a sé stessa, non accoglie la suddetta istanza ma, al contrario, può
respingerne i contenuti sostanziali.
Se la musica coinvolge così intensamente il continuum
psicosomatico del fruitore, non può essere confinata su un piano
puramente meccanicistico secondo una prospettiva tanto riduttiva
quanto radicata proprio a livello istituzionale (Cattaneo, 2013,
p.39).
E’ evidente il riferimento alla situazione scolastica italiana, in cui
l’esperienza sonora sembra essere un “optional”: nella scuola
dell’infanzia ed elementare, nonostante ottimi programmi
curricolari, essi rimangono perlopiù sulla carta, e d’altronde le
grandi direttrici della pedagogia europea si muovono in senso
opposto offrendo più ampi spazi all’esperienza musicale vissuta
come acquisizione di un linguaggio non verbale (Dalcroze) e, nel
contempo, in funzione di stimolo senso motorio, affettivo-
emozionale, cognitivo (Willems)117 e terapeutico (Alvin)118.
La letteratura in ambito neurofisiologico e sociopsicopedagogico
non lascia più dubbi sull’importanza della musica come momento
educativo-formativo in cui si possono attivare vissuti inter-
relazionanti, riconducibili alla sfera psicologica, motoria, creativa
ed è su questa traccia che vanno poi individuate le potenzialità
terapeutiche che possono scaturire dall’universo dei suoni. Tuttavia
la cronica disattenzione a queste essenziali tematiche tipica sia
delle realtà educative di base, sia degli istituti professionali
(conservatori), ha impedito nel nostro paese di collocare la musica
in un contesto culturale interdisciplinare dove, oltre alla mera prassi
alfabetizzante, si potessero aprire spazi realmente formativi in cui
coniugare l’aspetto didattico con quello terapeutico, perché
insegnare significa offrire al discente una buona qualità
dell’esperienza finalizzata119 (come la intendeva Dewey), oltreché
all’apprendimento di contenuti, al raggiungimento di un benessere
psicofisico al quale dovrebbe tendere qualunque attività umana.
Il contributo più che evidente dall'introduzione della musicoterapia
nel contesto scolastico risiede, nelle risorse che essa offre nel far
apprendere e maturare consapevolezza delle dinamiche del suono
nell'adozione da parte di insegnanti e alunni, di una naturale
tensione verso la ricerca di senso. si realizza un'istruzione cognitiva
117
M. Gilardone, Musicoterapia e disturbi della comunicazione, Omega Edizioni, Torino, 1995, pp.25-27.
118
J. Alvin, Terapia Musicale, Armando, Roma, 1981, pp.99-101.
119
J.P. Wynnie. Le teorie moderne dell’educazione, Armando, Roma, 1967, pp. 229-231.
67
e sociale caratterizzata da << il decidere insieme>> e da << il fare
con>>. il fatto educativo diviene un processo che non è deciso
dall'operatore, ma che egli può accompagnare (Tosco, 1999).
In questo caso la musicoterapia può essere considerata una
modalità di intervento da estendersi all’intero gruppo classe con
evidenti ricadute sulle complesse dinamiche di relazione.
Si genera così un’identità sonora collettiva costruita su un retroterra
culturale circoscritto all’interno del dato esperienziale puro e
semplice.
Una canzone può allora sollecitare il gruppo ad aprirsi, a ridefinire i
parametri relazionali tracciando traiettorie emozionali che
riattivano percorsi comunicativi sclerotizzati.
Come sostenuto da Benenzon, nel già citato Manuale di
Musicoterapia, vi è poi un’identità sonora personale che interagisce
con quella collettiva e dalla quale è possibile cogliere i processi
evolutivi (o involutivi) del singolo discente attraverso osservazioni
sistematiche che caratterizzano il ruolo terapeutico.
Dall'incontro, che avviene nel caso specifico all’interno di un’aula
scolastica, c'è sempre un arricchimento, una reciprocità, uno
scambio, un completamento. 120
Con il termine integrazione, in questo contesto, ci si riferisce alla
consapevolezza che la diversità non è un ostacolo da abbattere,
bensì una risorsa da incontrare.
Allora non sarà esclusivamente il bambino che ha un deficit che
guadagna dalle attività integrative, ma tutto il gruppo classe ne
acquisterà un vantaggio e la parola educare diventa piena di
significato. Accadrà uno “scambio”: i bambini autistici si apriranno
a una comunicazione soddisfacente con i loro coetanei e i loro
coetanei impareranno lezioni di civiltà.
La musica con cui è possibile favorire il percorso che va dalle
diversità incomunicanti alla diversità di arroganti è una musica
analogica: ovvero una musica che abbia la forma, il suono e
l'affettività dei ragazzi ai quali si rivolge, che li somigli121.
Non bisogna ritenere le valenze comunicative direttamente
riconducibili ad un genere musicale, piuttosto un'esperienza
musicale che viene veicolata proposta e vissuta; dando importanza
al corpo, alla fisicità, alla ritualità, alla curiosità, allo stupore e alla
meraviglia, poiché è << nello stupore sono più facili incontri>>
(Perticari, 1996).
La musica analogica è una musica ludica, dove si sbaglia e dopo
che si è sbagliata si sente il suono arrivare nel momento in cui la
mano non avrebbe voluto; così si correggono i coordinamenti
psicomotori, si avvertono le ripercussioni della propria azione

120
M. Borghesi e E. Strobino, Musicoterapia a scuola, in: Rivista Musica e Terapia numero Sei, 2001, p.8
121
Ibidem.
68
musicale sugli altri, diventando l'errore una risorsa riciclabile, da
trasformare in apprendimento. 122
La curiosità è la spinta che permette alla musica di cercare i suoni li
monta, li smonta, li scarta, per scelta e non per l’imposizione di
qualcuno ma per la fantasia.
Questi suoni sono in grado di attivare funzionamenti sensoriali e
simbolici.
La musica per l'integrazione è un dialogo autentico, in cui si litiga e
in cui la pace è frutto di una conquista dinamica e non di istanze
repressive.
L'insegnante, (in particolare di educazione musicale ma estendibile
a tutti insegnanti) diviene non solo colui il quale facilita i processi
di apprendimento, nel quale si realizza all'interno del gruppo
classe: incontro-confronto-trasformazione di risorse di desideri e
d'identità sonore. 123
Fare musicoterapia nella scuola, ci si riferisce dunque alle
opportunità che si presentano agli insegnanti di musica con
competenze musicoterapiche di fare il proprio mestiere di
insegnanti in maniera più illuminata, creativa e completa,
intervenendo non solo direttamente sull'apprendimento di una
materia, la musica per l'appunto, ma anche e soprattutto creando le
premesse per una positiva esperienza scolastica, sia dal punto di
vista dei vissuti che da quello dei risultati.
Questi professionisti possono optare per un'educazione “con la
musica” (promozione dello sviluppo cognitivo, culturale, affettivo,
morale, sociale) piuttosto che “alla musica” (promozione della
competenza musicale). È importante sottolineare che la scelta della
prima ipotesi, non esclude la seconda, ma la ingloba al suo interno.
Primariamente la scuola ha un mandato e un'organizzazione
funzionale legata all’educazione non alla terapia124; ma
l'introduzione di figure specialistiche con ritagli di ore di
compresenza o in progetti integrativi permetterebbe la
trasformazione di stanze caotiche in setting terapeutici.
Se il dato comunicativo è centrale a livello didattico, lo è anche a
livello terapeutico e costituisce la conditio sine qua non in entrambi
i casi.
Non è quindi animazione musicale125, ma si inquadra in un disegno
di individuazione del tratto personologico e di come quanto
l'esperienza musicale possa concorrere al ripristino di un vissuto
scolastico meno traumatico e più coinvolgente.

122
Ivi p.9
123
Ibidem.
124
https://www.edscuola.eu/wordpress/?p=149497
125
Secondo William Salaman la differenza principale tra educazione musicale e musicoterapia consiste
nell’atteggiamento. Nell’educazione musicale i bambini saranno occupati nello studio di una materia, mentre nella
musicoterapia i bambini sono essi stessi la materia.
69
Il suono, dunque, sarà da intendersi come fluidificante della
comunicazione (Winnicott), all’interno della quale manifestare le
proprie tensioni, liberare i flussi emozionali, sottrarsi ai conflitti,
per poter recuperare uno spazio di relazione.
Il Consiglio di Classe 126 può richiedere un intervento di
musicoterapia, per la totalità degli alunni, se rileva tipologie
comportamentali particolarmente complesse e livelli di
socializzazione precari.
Nell’ambito della scuola, il progetto può essere condotto dagli
stessi docenti di educazione musicale, che potranno integrare la
normale programmazione curricolare con opportuni “spazi
terapeutici”, attenendosi a specifiche metodiche, sotto la
supervisione di un musicoterapeuta esperto. 127
Quando l’intervento musicoterapeutico si rivolge invece a un
singolo alunno con handicap dichiarato, l’intervento sarà
inquadrato nelle attività programmate per il sostegno.
In questo caso la musicoterapia assume implicazioni teoriche più
propriamente legate alla pedagogia speciale e va a collocarsi in una
dimensione metodologica ben precisa, suggerita evidentemente dal
tipo di patologia (fisica e/o psichica) e concordata con le autorità
sanitarie.
Il musicoterapeuta dovrà lavorare a stretto contatto con gli
insegnanti, con la famiglia e relazionare la propria attività con
scansioni ravvicinate.
Una terza ipotesi di lavoro può essere costituita da settino di
gruppo o individuali extracurricolari, aperti a soggetti con handicap
dichiarato e non (alunni con difficoltà particolari ma comunque
normodotati). Anche in questo caso il musicoterapeuta si manterrà
in contatto periodicamente sia con il Consiglio di Classe.
A monte di tutto ciò rimane una riflessione di fondo che si lega alla
progressiva “artificializzazione” dei linguaggi, tipica della società
postindustriale, alla quale neppure la musica è riuscita a sottrarsi.
La comunicazione sonora è sempre più pilotata dalle
strumentazioni elettroniche computerizzate e vincolata alla
gerarchia ossessiva del “beat”, della pulsazione costante la cui
valenza ipnotica inibisce i flussi emozionali.
Si procede così verso una fruizione musicale sempre più
stereotipata, fredda, impersonale all’interno della quale le giovani
generazioni, deprivate di un bagaglio assiologico 128etico-affettivo,
tendono inesorabilmente a identificarsi secondo dinamiche
intersoggettive inibite dall’ansia poetica e dalle depressioni
propriamente adolescenziali.
126
Per definizione è il "luogo" in cui confluiscono i rappresentanti delle diverse categorie che compongono una classe,
per valutare, pianificare ed organizzare degli aspetti fondamentali per l'attività didattica che si svolge al suo interno.
127
P. Cattaneo, Musicoterapia nella fascia scolare preadolescenziale, Franco angeli, Milano, 2013, p.41.
128
che si riferisce a una scala di valori o è fondato su un giudizio di valore;
https://www.treccani.it/vocabolario/assiologico/
70
4.3 Musicoterapia, disturbi comportamentali e disagi scolastici
Con le definizioni “disturbo” comportamentale e “disagio”
scolastico ci si riferisce a situazioni in cui l’alunno, seppure
normodotato, presenta marcate difficoltà di adattamento al contesto
scolastico, determinate da problemi socio-ambientali (Cattaneo,
2013, p.97).
Essi sono generalmente:
• bambini che provengono da realtà familiari conflittuali, con
genitori separati o in disaccordo; costretti a vivere magari in
condizioni di gravi difficoltà economiche e di emarginazione, con
alle spalle, nei casi più laceranti, episodi di violenza e
maltrattamento.
• possono essere anche alunni provenienti da famiglie modello ai
quali, almeno in apparenza, non manca nulla, ma che ad
un’indagine più approfondita rivelano una fragilità psicologica
dovuta da una dipendenza dai genitori iperprotettivi e preoccupati
di soddisfare solo i bisogni materiali, con conseguenze deprivanti
(e devastanti) sul piano della relazione educativa.
La famiglia agiata non è pertanto esente da rischi in quanto, se la
società dei consumi genera sempre nuovi bisogni e se questi vanno
soddisfatti, i genitori sono di norma costretti a lavorare entrambi e
riempio questa loro assenza facendo partecipare i figli ad attività
extrascolastiche a scapito di un rapporto autentico (fondamentale
soprattutto nel periodo preadolescenziale contraddistinto da grande
instabilità), rapporto al quale vi è sempre meno tempo da dedicare.
Sta di fatto che nella scuola il disagio è sempre più palpabile e in
particolare la classe diventa un crogiolo dove convergono tensioni,
angosce, incomprensioni, conflitti molto difficili da gestire che
condizionano poi pesantemente l’attività didattica, i ritmi di
apprendimento, i processi educativi e formativi.
Molto spesso si devono creare le condizioni essenziali per stabilire
una forma di comunicazione sufficiente, tesa a ricostruire gli
equilibri internazionali all’interno del gruppo-classe e in questo
senso educazione musicale e musicoterapia si coniugano alla
perfezione.
Nel corso di una normale lezione curricolare si può dunque
ipotizzare un percorso finalizzato a contenere comportamenti
aggressivi o favorire l’integrazione scolastica di alunni difficili.
Un intervento in tale direzione, oltre allo scopo di contenere le
ansie e migliorare i rapporti, ha la funzione di prevenire situazioni
71
conflittuali ben peggiori, che possono sfociare talora in
comportamenti distruttivi o determinare una totale
incomunicabilità.
In un intervento didattico-musicale curricolare si possono aprire
degli spazi terapeutici (momenti di supporto e integrazione) in cui
porre l’ascolto come conditio sine qua non; un ascolto prima di
tutto per accedere all’altro, alla sua identità sonora, per
sensibilizzarsi a riconoscere le voci dei compagni, ciascuna con le
proprie caratteristiche timbriche ma comunque assoggettata alle
dinamiche emotive per cui, allo stesso tempo, mutevole, ricca di
sfumature vibratili.
È interessante quanto afferma E. Lecourt:
«per potersi mettere in ascolto, bisogna innanzitutto essere stati a
propria volta ascoltati». 129
Nel preadolescente questa voracità di attenzione si manifesta
spesso con comportamenti disturbanti (e disturbati) dove il far
rumore serve a sottolineare un disagio impossibile da contenere con
misure repressive.
È il suono della parola, come dato sensoriale-affettivo, come
volontà di un interagire empatico, che può ricondurre la diade
docente/discente al rapporto, sempre che il primo abbia costruito un
percorso educativo e formativo sull’uso della voce nella
comunicazione verbale.
D’altra parte, i bambini spesso condividono una realtà sociale
strillata (a cominciare dalla famiglia) dove il parametro intensità
costituisce un’irrefrenabile modalità autoaffermativa130.
È chiaro, pertanto, che un training sul controllo delle espressività
vocali, anche circoscritto al solo ambito verbale, può essere
determinante per ripristinare una situazione vivibile all’interno
della classe e quindi per prevenire inconvenienti peggiori.
Non dimentichiamo che il rumore, oltre a danneggiare l’apparato
uditivo, altera sensibilmente l’equilibrio psicofisico (incremento
del tasso di adrenalina, dei valori pressorici, alterazioni del riflesso
psicogalvanico, alterazioni dello status emotivo, ecc.) 131e non
sarebbe paradossale parlare di educazione al silenzio come
momento introspettivo di ascolto personale.
Come afferma Maria Montessori:
Un comando non avrebbe mai potuto produrre la meravigliosa
conquista di volontà unite nell’inibire ogni atto, in quell’epoca
della vita in cui il movimento sembra l’irresistibile, continuata

129
E. Lécourt, La ricerca francese in musicoterapia nel corso del XIX e XX secolo, in: Rivista Internazionale Musicologia
francese, 1986, p.1.
130
P. Cattaneo, Musicoterapia nella fascia scolare preadolescenziale, Franco angeli, Milano, 2013,p.99.
131
https://www.bafu.admin.ch/bafu/it/home/temi/rumore/info-specialisti/effetti-del-rumore/effetti-del-rumore-
sulla-salute.html
72
caratteristica dell’età. […] È necessario insegnare ai bambini il
silenzio“.132
Soltanto con questi presupposti è possibile avvicinarsi
terapeuticamente a un’esperienza musicale collettiva, in cui gli
alunni ritrovino una eco alle loro emozioni, esperienza che sarà
condivisa nella misura in cui essi potranno identificarsi.
È quindi indispensabile partire dalla loro realtà sonora, collegarsi
direttamente ai loro vissuti musicali evitando quegli aspetti
coercitivi che si legano alla cosiddetta “buona musica” e dove
quest’ultima diventa una scelta consolatoria (e forse un po’
egoistica) per l’insegnante.
Una canzone suonata alla chitarra può aprire degli spazi relazionali
significativi sui quali costruire un’identità sonora gruppale 133(Iso
gruppale) e questa può costituire una condizione favorevole per
avvicinarsi agli alunni più difficili e per suggerire loro poi itinerari
più impegnativi.
Attraverso una serie di ripetuti contatti con musiche coinvolgenti
non sarà impossibile far comprendere che ascoltare significa essere
disponibili a una relazione empatica con il compositore, il quale a
sua volta decide di raccontare qualcosa di sé.
Ecco come Vita spericolata di Vasco Rossi134, può diventare
oggetto di un dibattito serrato.
La canzone non è più una semplice modalità di intrattenimento, ma
diventa un dato di riflessione, dove “spericolato” coincide con il
modello esistenziale dell’adolescente, dove l’alunno difficile ha
finalmente la possibilità di uscire allo scoperto, trovando
l’occasione e la forza di parlare di sé ad una platea, che talvolta
stupisce lo stesso docente per la partecipazione percepibile in
questi frangenti.
Sono momenti davvero toccanti e terapeutici, nel senso più
autentico del termine, nei quali la musica collega trame esistenziali
diverse, conflittuali, angoscianti per certi versi, ma ricomposte
nell’unità e nella solidarietà del gruppo che le accoglie, che le fa
sue con un’interazione spontanea di cui l’insegnante ne è il tutelare.
E se la vita di Vasco Rossi è spericolata, non meno lo sono quelle
di Mozart o di Beethoven, di Schumann o di Chopin.
Sarà questo il possibile aggancio per procedere oltre, verso ascolti
più impegnativi, non esposti dagli stereotipi culturali, ma motivati
da una continua ricerca dell’uomo anche nell’avventura musicale.
Un altro aspetto che si inquadra in una prospettiva pedagogico-
musicale di recupero e integrazione è individuabile nella prassi
improvvisativa.

132
Maria Montessori, La scoperta del bambino, Garzanti, 2017.
133
R.O. Benenzon, Manuale di Musicoterapia,
134
Celebre ballad scritta da Vasco Rossi per il testo e da Tullio Ferro per la musica nel 1983.
73
«L’improvvisazione permette ad ognuno di scoprire i propri mezzi
espressivi.
Può dunque essere considerata, ad un tempo, prototipo e finalità
della pratica musicale». 135
La voce, utilizzata a tutto campo, offre una serie ricchissima di
possibilità espressive, in quanto veicolo dei flussi emozionali
dell’immaginario individuale e collettivo.
Dai suoni verbali a quelli musicali delle articolazioni melodiche,
essa permette esplorazioni timbriche, dinamiche, nonché di
sperimentare tessiture lontane dagli standard vocali più familiari.
Da questa coscienza, è possibile ritenere la voce un mezzo che già
prima della parola, ha delle potenzialità relazionali forti e
profonde136:
-energia vocale: prima del significato ben preciso, parlare piano o
forte può significare intimorire o far coraggio, incombere o
sottomettere.
-ambito vocale: parlare in una zona vocale acuta o grave, stadi
indicare essere rilassati, essere adirati o calmi.
-percorso vocale: parlare seguendo direzioni da altezze varie
(rettilinee, discendenti o ascendente, contigue o salti) significa
trasmettere tutto una varietà di condizioni affettivo emotive:
sorridente, lamentoso, comico, stanco.
-esaltazione fonetica: soggetti parlanti vocalici significa essere più
aperti, più sonori, più pubblici; le occlusive come segno di autorità,
le nasali come segno di chiusura, le sibilanti come segno di fascino,
autocontrollo, la vibrante come segno di rabbia, aggressività.
-articolazione vocale: parlare attaccando il suono con decisione o
meno accentuare certe sillabe piuttosto che altre, legare o staccare
la sillaba: sono tutti aspetti che indicano l'uditore il nostro grado di
sicurezza o di indecisione, che tradisci inevitabilmente il nostro
stato psicofisico.
-la velocità del parlato: dire le cose con una maggiore o minore
velocità è segno di: fretta o calma, interesse o disinteresse.
È inevitabile un riferimento ai giochi sonori della recitazione e a
come la stessa poesia, ad esempio, possa stimolare nel
preadolescente un rapporto più creativo con la parola,
riconsiderarla anche sul piano del significante.
Ai fini di ciò utile sarà l’improvvisazione, pratica estemporanea, la
quale può essere totalmente libera e finalizzata ad obiettivi
liberatori, ciò andrà fatto con una verifica costante da parte
dell’insegnante in modo che gli alunni possano progressivamente
familiarizzare con i loro excursus vocali. 137

135
L. Rossi Pitroni, La musicoterapia applicata, Edizioni del Carro, Tirrenia (Pisa), 1994, p.39.
136

137
P. Cattaneo, Musicoterapia nella fascia scolare preadolescenziale, Franco angeli, Milano,2013, p Cattaneo, p.101,
74
Oppure, nell’ambito di una prassi corale, si può adottare una sorta
di “canovaccio sonoro” sul quale lavorare creativamente in tempo
reale una scala blues, ad esempio, giocata sugli accordi tonali nel
modo maggiore.
L’improvvisazione può esser sviluppata anche sul piano
esclusivamente ritmico, partendo da una sequenza di base per poi
elaborarla con segmentazioni e dilatazioni estemporanee.
In questo caso gli alunni, dotati preferibilmente di strumenti a
percussione idrofoni (legnetti, maracas, triangoli, cimbali, ecc.)
andranno a costituire un vero e proprio ensemble.
Ritmi e voci possono poi essere combinati: questo costituisce un
momento di straordinario coinvolgimento, perché ora è in gioco
tutto il corpo, in un divenire sonoro che realizza una
comunicazione autentica e disinibita.
Ed è qui che la figura aggressiva ed emarginata del cosiddetto
“alunno difficile” sembra uscirne rinnovata, recuperata alla
socialità e integrata pienamente nelle dinamiche internazionali del
gruppo-classe.
L’improvvisazione offre al discente l’opportunità di strutturare i
suoi vissuti sonori e di esprimerli attraverso un’azione sincronica.

“Essa concorre altresì al suo buon sviluppo [del discente] e


s’inscrive direttamente nell’ottica di un insegnamento musicale
sufficientemente ben concepito, cioè preventivo…
[L’improvvisazione] implica un’immediatezza tra composizione ed
esecuzione. Creazione ed esecuzione sono, infatti, atti produttivi
attraverso i quali l’individuo si esprime in profondità,
privilegiando il dato affettivo e sensoriale rispetto al mentale ed al
razionale. Essi offrono diritto di cittadinanza all’espressione
dell’immaginario, dell’inconscio, alla loro proiezione e a quella di
un dato psicologico interiore”. 138

4.4 Interventi musicoterapeutici rivolti ad alunni con ritardo


mentale e autistici

Col termine ritardo mentale si tende a circoscrivere un quadro


patologico caratterizzato da deficit plurimi a livello comunicativo,
psicomotorio, prestazionale, nonché disturbi dell’affettività,
condotte stereotipate e adattamenti fortemente condizionati139.
Il soggetto con ritardo mentale conclamato presenta
conseguentemente un tratto comportamentale riconducibile a:
• Flussi pulsionali incontrollati;
• Modalità comunicative carenti e stereotipate;
138
L. Rossi Pitroni, La musicoterapia applicata, Edizioni del Carro, Tirrenia (Pisa), 1994, p.45.
139
G. Mutti, Musicoterapia realtà e futuro, Edizioni Omega, Torino, 1985, pp.189-190.
75
• Problemi di strutturazione e differenziazione dell’Io;
• Atteggiamenti deprivanti e impulsi autolesionistici;
• Strategie difensive ritualistiche e ossessive;
• Turbe dell’affettività.
Va considerato, inoltre, che nel periodo preadolescenziale i disturbi
psicofisiologici tendono ad accentuarsi per le significative
modificazioni che comporta questo stadio evolutivo (accelerazioni
dell’accrescimento corporeo, maturazione sessuale)140.
È chiaro che un quadro psicopatologico così complesso, previa
adeguata certificazione medica, verrà recepito e formalizzato dalla
scuola e dalle autorità sanitarie competenti come handicap
dichiarato, con tutte le implicazioni che ciò comporta per l’alunno
(inserimento in una classe con un massimo di venti studenti,
affiancamento di un insegnante di sostegno, rapporti sistematici
con la famiglia). L’intervento musicoterapeutico può essere
previsto all’interno di spazi curricolari ordinari con l’intero gruppo-
classe ma, in casi gravi, è opportuno considerare anche un ambito
operativo più ristretto (tre o quattro soggetti con patologie affini)
fino al rapporto individuale.
Ciò consentirà al primo di vivere quantomeno un’esperienza sonora
con l’alunno che ha in carico, di conoscerne le reazioni e di trarne
una serie di dati che potranno essere molto utili in altri contesti
rieducativi (Cattaneo, 2013, p.104).
Spetta poi al Consiglio di Classe, compatibilmente alla situazione
clinica, richiedere espressamente un supporto musicoterapeutico,
indicando la specificità e le finalità dell’intervento che
normalmente si inscrivono in un recupero della comunicazione e
della socializzazione o in acquisizioni specifiche a livello motorio o
linguistico.
ll trattamento di questi alunni con la musicoterapia implica un
impiego della stessa sul piano neurofunzionale e psicorelazionale,
realizzabile attraverso un rapporto uomo/suono a tutto campo (dal
verbale al musicale), in cui le tensioni affettivo-emozionali trovino
ampi spazi per defluire, attivando quelle forme di comunicazione
simbolica, oltre gli stereotipi della cultura istituzionalizzata, che la
scuola medesima stenta a recepire.
Se, ad esempio, l’alunno si esprime con suoni non strutturati, non
danno luogo a significati, ne consegue bisognerà instaurare una
modalità interattiva preverbale e in qualche modo affine. Questo
almeno fino a quando non si è instaurata una buona relazione.
Si tratta dunque di appropriarsi di agglomerati sonori particolari,
avvicinandosi così alla realtà espressiva del bambino, e di tradurli
in modalità comunicative, magari in bilico tra il parlato e il cantato.

140
P.H. Mussen, J.J. Conger, J. Kagan, A.C. Huston, Lo sviluppo del bambino e la personalità, Zanichelli, Bologna, 1986,
pp.483.487.
76
Sono forme di eloqui bizzarre e fuggevoli alle quali dobbiamo
riferirci con disponibilità e con slancio creativo.
D’altra parte, la relazione terapeutica comincia dal momento in cui
ci si trova davanti al paziente e non vi sono zone neutrali. Tutto
acquista di significato e proprio in questo senso la interazione si fa
pregnante, nella misura in cui si colgono flebili segnali o, al
contrario, si contengono tumultuosi richiami.
Dopo il primo approccio, l’intervento musicoterapeutico si snoda
attraverso gli ormai tradizionali e collaudati orientamenti già
descritti precedentemente:
– Esperienze di ascolto (estese alla dimensione relazionale);
– Pratiche vocali e strumentali formalizzate e non.
È interessante, a conforto delle riflessioni sovraesposte, esaminare
un “progetto educativo musicale per l’integrazione di tre alunni
portatori di handicap”141 realizzato in una classe V della Scuola
Primaria di una località in provincia di Torino, composta da venti
alunni di cui tre con handicap dichiarato.
Si tratta di patologie il cui comune denominatore è un ritardo
mentale esplicitato come “ritardo cognitivo” dove il primo alunno
T.O., era affetto da sindrome di Down (o trisomia 21); 142
il secondo D.T.C. presentava un marcato ritardo cognitivo con
problemi di disattentività in personalità fragile; il terzo V. E.
presentava immaturità affettiva da carenze socioeducative con
marcato ritardo cognitivo>>. 143
l presupposto sostanziale era di favorire l’integrazione dei suddetti
alunni in modo da garantire loro un percorso educativo condiviso
dall’intero gruppo classe.
Gli “obiettivi didattici finali ed intermedi” erano di tipo percettivo
(messaggi verbali/musicali, suoni corporei e dell’ambiente) e
riproduttivo (con strumenti ritmici in forme improvvisate o guidate
anche con supporto melodico/armonico).
L’esperienza terapeutica ha trovato il suo momento topico in un”
fare musica insieme” in cui:
- l’alunna T.O. ha partecipato attivamente all’esecuzione dei brani
acquisendo una certa sensibilità dinamico-agogica e migliorando,
allo stesso tempo, la funzionalità motoria; la motricità fine ne ha
risentito positivamente. Inoltre, l’attività si è dimostrata per lei
altamente gratificante dal momento che si è sentita più sicura di sé
stessa e parte integrante del gruppo;
- l’alunno D.T.C. ha superato quella marcata forma di passività e
di conseguenza sono diminuiti gli episodi di autoesclusione e di
isolamento;

141
L. Rossi Pitroni, La musicoterapia applicata, Edizioni del Carro, Tirrenia (Pisa), 1994, pp.111-119.
142
La sindrome di Down è un disturbo cromosomico dovuto alla presenza di un cromosoma 21 supplementare che
causa deficit intellettivo e anomalie fisiche.
143
L. Rossi Pitroni, La musicoterapia applicata, Edizioni del Carro, Tirrenia (Pisa), 1994, p.111.
77
- l’alunno V.E. è riuscito a condividere l’esperienza con gli altri
compagni, eseguendo correttamente gli esercizi; ciò lo ha fatto
sentire uguale agli altri compagni e non ha avuto bisogno di
mettere in atto atteggiamenti aggressivi.
È questo un caso dove l’intervento musicoterapeutico è stato
condotto dall’insegnante di educazione musicale affiancato da
quello di sostegno e ciò, laddove vi siano le adeguate competenze
professionali, costituisce la condizione operativa ottimale proprio
per l’affiancamento e la collaborazione che di solito si instaura
all’interno del Consiglio di Classe.
Un intervento esterno, invece, il più delle volte inevitabile, implica
dei tempi tecnici di attivazione più lunghi.
Per chi soffre di ritardo mentale, infine, l’intervento
musicoterapeutico andrà valutato attentamente anche per le sue
implicazioni motorie che, connettendosi al versante cognitivo,
vanno a costituire quell’unità psicosomatica a cui è indispensabile
riferirsi per garantire una qualità operativa.144
Passando alla pratica della musicoterapia nel soggetto autistico esso
presenta uno status patologico in cui l’impossibilità a comunicare
assume toni drammatici. 145 L’autismo, o meglio denominato
“disturbi dello spettro autistico“, è un disturbo del neuro-sviluppo
che coinvolge principalmente linguaggio e comunicazione,
interazione sociale, interessi ristretti, stereotipati e comportamenti
ripetitivi.146
Del tutto eloquente, in tal senso, appare la descrizione che M.G.
Adamo fa di una bambina autistica di appena tre anni.
Si notino inoltre le significative “implicazioni sonore” che
emergono dalla relazione terapeutica:

«la fisicità e ripetitività dei comportamenti della piccola paziente,


caratterizzati da una scarsa riduzione di vocalizzazioni e suoni
verbali, […] e da rumori corporei, il suo isolamento percettivo e
motorio tendevano infatti per molti versi a creare nella terapia una
situazione in cui la parola poteva “morire sulle labbra”, o essere
sentita del tutto vuota e destituita di significato.
Sin dall’inizio avevo disposto, nella stanza di terapia un
pianoforte- giocattolo [..] Solo un paio di volte era accaduto in
terapia che Mara colpisse per caso la tastiera, e ben presto il
piccolo pianoforte era stato abbandonato, [..] il mio parlare
sembrava poter essere percepito e utilizzato soprattutto nei suoi
aspetti formali di sonorità e musicalità. Esso forniva così, nella
sua fluente continuità, la possibilità di creare un mezzo, un
ambiente sonoro, in cui Mara potesse sentirsi immersa e avvolta, e

144
G.L. Zucchini, Musica e Handicap, La Scuola, Brescia, 1989, p.157.
145
P. Cattaneo, Musicoterapia nella fascia scolare preadolescenziale, Franco angeli, Milano, 2013, p.108.
146
https://www.portale-autismo.it/definizione-di-autismo/
78
che la sostenesse, annullando la separatezza il tramite attraverso
cui trasmetterle sensazioni di calore, o la possibilità, attraverso le
pause e gli intervalli, di prefigurare situazioni di assenza-presenza,
interruzione-ripresa, e di introdurre, attraverso la varietà e
gamma di toni, elementi di vitalità e ricchezza. Altre volte ancora
il mio parlare diventava un canticchiare ritmato sui gesti e
movimenti: si creava in tal modo un ritmo condiviso, in cui il suo
movimento si attivava ed era accompagnato dalla mia voce..>> 147

L’autismo può insorgere fin dal primo anno di vita ed avere in


seguito degli sviluppi devastanti, come si evince dalla situazione
appena riportata, dove una bambina di tre anni appare già
compromessa sul piano della comunicazione verbale.
Tuttavia, emergono con chiarezza altre modalità relazionali offerte
da un “uso istintivo della voce soprattutto nei suoi aspetti formali di
sonorità e musicalità o da un “canticchiare ritmato sui gesti e
movimenti”, forme espressive che appartengono alle categorie del
hic et nunc, in cui il terapeuta deve inevitabilmente mettersi in
gioco andando oltre gli stereotipi comunicativi dell’eloquio
strutturato.
Si noti inoltre come un rapporto mediato dallo strumento (il
pianoforte-giocattolo) sia stato respinto dalla piccola Mara, a
conforto della tesi di favorire un impatto relazionale e quindi
terapeutico più forte attraverso un dispiegarsi a tutto campo delle
straordinarie potenzialità espressive della voce.
La disponibilità all’esperienza sonora fa sì che l’intervento musico
terapeutico possa assumere una grande importanza per ricreare dei
canali di comunicazione alternativi e lo stesso Benenzon ne
esplicita, attraverso la ormai consolidata “teoria dell’ISO”, la
dinamica relazionale.
L’ISO essendo elemento dinamico che possiede tutta la forza di
percezione passata e presente ed è per questo che, nel contesto
terapeutico, il vero canale di comunicazione si apre quando l’ISO
del paziente coincide con l’ISO del terapeuta148.
La musica diventa così un “oggetto mediatore” con la realtà esterna
e ciò consente all’autistico di esperire una forma di comunicazione
sonora (e dunque simbolica) non angosciante, la cui duttilità
permette di giocare in direzioni diverse, in modo conforme alle
esigenze specifiche di ogni singolo caso, favorendo un graduale
processo di identificazione.
Il setting di musicoterapica con il preadolescente autistico deve
pertanto considerare le peculiarità del quadro sintomatologico, che
può comunque essere ricondotto ai punti seguenti 149:

147
G.L. Zucchini, Musica e Handicap, La Scuola, Brescia, 1989, p.157.
148
Benenzon, Manuale di Musicoterapia,
149
P. Cattaneo, Musicoterapia nella fascia scolare preadolescenziale, Franco Angeli, Milano, 2013.
79
- grave difficoltà di attivare la comunicazione nella quale
“l’autistico vive in una gabbia di vetro infrangibile”, sia sul
versante percettivo, sia sul versante produttivo dove si hanno casi
di mutismo o di gravi disturbi del linguaggio (suoni inarticolati,
stereotipie ecc.);
- l’attuazione di strategie comunicative “altre” mediante
comportamenti aggressivi e traumatici riconducibili a modalità di
atavismo (tirando calci, rotolandosi a terra, mordendo, graffiando,
urlando, abbandonandosi a repentini eccessi d’ira, ecc.);
- il bisogno ansioso di vivere in un ambiente stabile e protettivo.

Si consideri, inoltre, che il preadolescente può presentare una


struttura corporea già piuttosto solida e formata, per cui nei
possibili momenti di crisi, caratterizzati da un excursus aggressivo,
diventa problematico anche solo salvaguardarne l’integrità fisica.
In ragione di questo non trascurabile problema il personale
ausiliario dovrebbe essere presente nell’immediate vicinanze
dell’aula in cui si svolge il setting.
D’altra parte, l’alunno autistico non va ritenuto a priori insensibile
o scarsamente dotato sul piano intellettivo in quanto, proprio
perché ripiegato su sé stesso non può manifestarsi in alcun modo.
Attualmente le metodiche tendono a sperimentare l’approccio
benenzoniano, di cui si è ampiamente riferito il quale trova un utile
supporto nei suoni elettronici.
Questi, opportunamente campionati, ripropongono gli eventi
acustici primordiali (battito cardiaco, respirazione, rumori
intestinali, risonanze vocali materne ecc.) che caratterizzano i primi
mesi di vita intrauterina.
Ciò permette di attivare una relazione in cui è possibile frantumare
quei meccanismi difensivi così resistenti alla comunicazione normo
strutturata, facendo riaffiorare, attraverso il vissuto sonoro,
situazioni traumatiche profonde che trovano in tal modo una diretta
forma primaria di elaborazione.
Per quanto concerne l’ascolto musicale vero e proprio, è opportuno
proporre un repertorio molto vasto e differenziato, teso ad
abbozzare una griglia reattiva dalla quale desumere elementi
percettivi su cui fare leva per aprire eventuali spazi relazionali.
Le reazioni positive del ragazzo autistico, quando ode o ascolta la
musica, sono spesso imprevedibili, data la mancanza di un
comportamento razionale.
Le tecniche ricettive possono raggiungere molto profondamente il
ragazzo sebbene non sappiamo esattamente in quale modo.
È tuttavia possibile osservare segni di gradimento o di non
gradimento, la sua facoltà di assimilazione e di ritenzione il suo
desiderio di ripetere o di evitare l’esperienza.
80
È possibile osservare anche o segni di paura, di ritrazione, di
allegria o di indifferenza e, infine, anche il passaggio dal semplice
udire all’ascoltare, quando il ragazzo entra nel campo della
consapevolezza del suono e della musica150.

Sul versante produttivo vocale il musicoterapeuta è chiamato ad


una sistematica azione di stimolo, incentrata su percorsi esplorativi,
dove l’obiettivo centrale è quello di un “suono di relazione”, suono
che appartiene alla dimensione estemporanea e che pertanto può
essere repentinamente rifiutato, ma che può anche strutturarsi fino
ad assumere una modalità elettiva di comunicazione.
Può trattarsi magari di intraprendere un dialogo in cui la voce viene
utilizzata per emettere semplici rumori anche sgradevoli (secondo
le categorie della comunicazione formale), o aggressivi (come il
digrignare dei denti), o provocatori (grugniti, pernacchie ecc.). 151
Il ricorso a una benché minima forma di censura potrebbe spezzare
quel sottilissimo legame che il soggetto autistico, in alcuni
momenti topici, tenta di costruire con modalità espressive che
sconvolgono le rigide dinamiche relazionali; è del tutto evidente
che proprio quelle fasi vanno gestite dal musicoterapeuta con la
voglia di mettersi in gioco fino a stabilire un contatto sonoro
profondamente disinibito.
Solo allora è ipotizzabile un percorso vocale finalizzato a un
primario controllo parametrico e dunque esteso alla dimensione
ritmico-melodica nelle sue forme più semplici.
«Si può cominciare in un modo molto elementare, facendo
introdurre dal ragazzo il proprio nome in un intervallo di due note
cantate o suonate su uno strumento a lui familiare». 152
Per quanto riguarda l’uso degli strumenti musicali, si constata che,
l’alunno autistico tende a sviluppare un contatto provando
attrazione, più che altro, per le loro forme geometriche, soprattutto
a livello tattile o giungendo talvolta ad appropriarsene attraverso un
rapporto orale.
Il primo compito del musicoterapeuta è pertanto quello di
presentare e favorire la conoscenza degli strumenti disponibili
(meglio se appartenenti allo strumentario Orff153) senza alcuna
forzatura.
Di notevole rilevanza educativa è il rapporto che si crea sul piano
delle modalità motorie di produzione sonora con particolare
riferimento al tipo di sollecitazione e alla resistenza fisica che essa
produce (pizzicare una corda, premere un tasto, soffiare in un tubo
sonoro, percuotere una membrana ecc.).
150
J. Alvin, La terapia musicale per il ragazzo autistico, op. cit., pp.16.17.
151
G.L. Zucchini, Musica e handicap, op. cit., p.131.
152
J. Alvin, La terapia musicale per il ragazzo autistico, op. cit., pp.26.27.
153
Sono tutti strumenti a percussione e si dividono in ritmici (ad esempio tamburo, tamburelli, legnetti, triangolo) e
melodici (metallofoni e xilofoni).
81
Così facendo si crea una dinamica di causa-effetto, che permette
all’alunno di percepirsi come soggetto attivo. Quando, infatti, inizia
a produrre suoni autonomamente egli sviluppa una relazione
percettivo-motoria che può sfociare in esperienze molto
coinvolgenti, i cui riflessi positivi si riverberano su tutto il tratto
comportamentale.
Si comprende infine che sia per gli alunni che soffrono di disturbi
mentali, che per gli autistici, grande importanza assume il contesto
scolastico che, oltre ad essere accogliente e rassicurante, deve
garantire una continuità e un collegamento tra i vari interventi
riabilitativi (musicoterapia, psicomotricità, terapia occupazionale
ecc.), attraverso una partecipazione “agita” del Consiglio di Classe
e delle componenti socio-sanitarie a cui spetta il difficile (ma non
impossibile) compito di favorire un’adeguata integrazione, laddove
il disagio e la sofferenza segnano l’intero esistenziale.

Appendice
Esperienza personale presso una scuola Media a Mazara del
Vallo (TP)
L’attività musicoterapica è stata intrapresa, con la collaborazione
della coordinatrice di classe ed insegnate di sostegno, in una classe
facente parte seconda media ad indirizzo musicale dell’“Istituto
Comprensivo Luigi Pirandello” di Mazara del Vallo, finalizzata ad
una migliore integrazione dei discendi all’interno del gruppo
classe, con il supporto dell’insegnate di sostegno, raramente
l’intervento della psicologa della scuola e continuo confronto delle
famiglie.
Essere un insegnante di strumento in una scuola media, richiede la
presenza dello stesso nelle ore pomeridiane dalle 14.30 alle 18.00
distribuite durante l’arco della settimana, svolgendo sia lezioni
individuali (un ora a settimana ad alunno) e gruppali (una volta a
settimane per musica d’insieme).
L’incarico affidatomi ad inizio anno è stato svolto con la presenza
di dieci alunni, i quali terminato l’anno dovevano mostrare di
essere in grado di saper suonare uno o più brani al saggio di fine
anno, imparando contemporaneamente le basi teoriche e di lettura
musicale (solfeggio parlato e cantato).
La necessità di dover modificare il mio modus operandi è derivata
dal fatto che, durante il primo consiglio di classe, tenutosi i primi di
settembre, la coordinatrice ha informato i vari docenti della

82
presenza di due casi da attenzionare i quali sarebbero stati miei
alunni di strumento:
- S. alunno di 12 anni affetto da un ritardo psicoevolutivo medio-
grave e cecità (non totale) avente sintomi che si manifestano con
difficoltà nella comunicazione e interazione sociale (riesce a
relazioni ma con poche frasi complete), difficoltà di comprensione
del pensiero altrui e difficoltà ad esprimersi attraverso la gestualità
o con l'utilizzo dei movimenti facciali, per il quale si è optato per
un PDP (Piano Didattico Personalizzato).
S. aveva cambiato scuola da poco, trasferendosi in questo istituto
perché desidera suonare il pianoforte come prima scelta (come
seconda la fisarmonica). Pertanto, è stato il bambino a mostrare
interesse per la musica, chiedendo ai genitori di iniziare un
percorso di strumento musicale pomeridiano in una nuova scuola.
-G. è una ragazza di 14 anni ripetente del secondo anno, la quale
all’inizio del nostro percorso ha dichiarato che “non mi interessa
venire a scuola, è noioso, preferisco stare a casa […] però la
musica mi piace”; non era presente quasi mai a scuola e quelle rare
volte che lo era non si relazionava con nessuno, né insegnanti né
compagni.
Date queste prospettive, l’approccio con cui io mi sarei dovuta
prima di tutto relazionare con loro, per poi insegnare lo strumento,
doveva subire nette modifiche utilizzando strategie e strumenti
didattici più funzionali alle loro esigenze, ponendomi come
obiettivo il miglioramento del loro benessere attraverso il fare
musicale e non concentrandomi sulla performance di fine anno
accademico.
Data la durata annuale del mio contratto, ho ritenuto opportuno
relazionarmi con tre figura chiave: la coordinatrice di classe,
l’insegnate di sostegno (la quale oltre ad occuparsi di S.
attenzionava anche G.) chiedendole la sua compresenza per tutto il
percorso e la psicologa che saltuariamente svolgeva dialoghi con i
familiari.
L’idea di un percorso curriculare di nove incontri, approvato e
sostenuto da tutto il consiglio docenti, che potesse cambiare
prospettiva sul fare musicale non centrato esclusivamente verso
l’ambito performativo ma preventivo, ha dato la possibilità di porre
l’accento sull’importanza di istaurare un clima di accoglienza e
non-giudizio per costruire insieme un contesto di libertà espressiva,
precisando che di fronte alle proposte di attività non era importante
che riuscissero subito a partecipare senza difficoltà, ma che si
favorisse un processo di scambio e di crescita.
La coordinatrice di classe descrive in tale modo il gruppo di alunni
affidatomi, i quali parteciperanno a questo percorso:
dieci bambini, vivaci, con qualche difficoltà di integrazione; uno di
loro (S.) presenta un ritardo ed è ipovedente, un’altra si trova da

83
poco in Italia ed ha anche difficoltà linguistiche, che lentamente sta
superando; un’altra (G.) è quasi sempre assente, ha difficoltà nel
relazionarsi con il gruppo classe ed entra in crisi se le viene chiesto
di spegnere il cellulare.
Rileva come elementi positivi del gruppo la curiosità, la
disponibilità
a mettersi in gioco, la partecipazione. Ci sono difficoltà di ascolto
reciproco. C’è una forte tendenza, da parte di molti bambini a voler
apparire, mettersi in mostra ad ogni costo, e ciò è fonte di alcune
difficoltà relazionali.
Di comune accordo si è scelto di lavorare sfruttando alcune
tecniche musicoterapiche attraverso due modalità: per S. sia
individuale che gruppale, per i restanti nove si è preferito lavorare
esclusivamente in gruppo.
Definiamo il momento del prossimo incontro di verifica che si
svolgerà dopo i primi quattro incontri con gli alunni.
Gli obiettivi posti sono molto generici e prevedono per S. alla
settimana 1 ora di lezione individuale, per il gruppo classe il lavoro
gruppale è stato svolto il martedì (una volta ogni quindi giorni)
alternandola con la musica d’insieme.
Per S. gli obiettivi stilati con il supporto dell’insegnate di sostegno
e della psicologa sono stati 3:
1) “Migliorare l'espressività nella comunicazione
verbale/musicale”, attraverso l’uso di giochi verbo-sonori
mirati a istaurare una relazione tra significato e significante più
ricca di quelle sfumature espressive legate essenzialmente ai
parametri sonori che rendono l'eloquio “partecipato” sul piano
affettivo-emozionale. questo ci ha suggerito di passare a un
lavoro in parallelo con la musica, partendo dall'intonazione di
una melodia e agendo sullo stesso livello dinamico (forte/piano)
e agogico (veloce/lento). Ciò permesso all'alunno di migliorare
l'intonazione di inflessione nella comunicazione verbale e di
comprendere che anche la musica, inteso come linguaggio dei
suoni, non è così diverso dalle parole. cantare non è stato facile
ma è servito per esprimersi con meno inibizioni e paure.
2) “Seguire con il canto un percorso melodico linguisticamente
strutturato” attraverso l'uso dei meccanismi della percezione
Tonale, i quali sono molto radicati anche in soggetti che
presentano un'insufficienza intellettiva. questa considerazione
ha trovato un'immediata conferma nel fatto che l'alunno si è
rivelato capace di seguire con il canto un percorso me lo dico
strutturato. secondo i meccanismi tonali di apertura sulla
dominante e di chiusura sulla tonica dì una frase, sorretta da un
accompagnamento che ne ribadisce le funzioni linguistiche,
essa è in grado di cogliere a grandi linee lo sviluppo di una
melodia in cui è un senso di tensione e instabilità (sulla
84
dominante), fa seguito di distensione e stabilità (sulla tonica).
l'alunna pertanto vive un'esperienza musicale che oltre al dato
affettivo emozionale vai interesse nella sfera cognitiva secondo
gli schemi tensio-distensivi della tonalità; si ha così
un'interazione linguistica con la sequenza intervallare che
stimola la percezione gestaltica, ancora rilevanti ricadute sulla
qualità del vissuto sonoro. questo e arrende meno insicura più
vivo e partecipe proprio perché può esercitare un controllo sullo
sviluppo melodico circoscrivendo nella forma ed evitando
quindi la frustrazione di un contatto subliminale determinato da
un'audizione passiva.
3) “Favorire un processo di identificazione attraverso l'esperienza
musicale”. Come più volte ribadito nel capito 3, la canzone è molto
vicina alla realtà del discente legandosi generalmente istanze
affettive particolarmente pregnanti. si può dunque partire da un
brano conosciuto per poi riattivarne le dinamiche fruizionali.
Tuttavia, nel caso specifico di S., è preferibile costruire la canzone
ex novo, affinando in una prima fase il compito di comporre il testo
che spesso evidenzia una tensione relazionale. Successivamente si
procede a musicarlo con una serie di stimoli sonori pluridirezionale
(tonalità maggiore/minore, struttura melodica dilatata/segmentata,
accordi consonanti/dissonanti, ritmi lenti/medi/veloci) prodotti con
voce e chitarra/pianoforte. Si tratta, in breve, di raccogliere,
attraverso una prassi estemporanea, gli elementi musicali più
possibile aderenti all'identità sonora dell'alunno e di rapprenderli in
una immediata forma-canzone che diventa una sorta di “oggetto
transizionale”, frutto di quella sollecitazione creativa a cui fa
riferimento, Winnicott, per una buona qualità relazionale. Può
accadere che l’alunno sia in difficoltà, rischiando di entrare in uno
stato ansioso che comprometterebbe l'esito del setting. In tal caso è
necessario non perdersi d'animo e canalizzare le eventuali tensioni
createsi, nell'esperienza sonora improvvisativa vivendola come un
“gioco”. Spesso, è stato proposto un frammento melodico
improvvisativo all'alunno, il quale ha risposto imitandolo o
variandolo parzialmente; poi è stato proposto un nuovo motivo a
cui seguirà la mia risposta. Questa relazione sonora può essere
sufficientemente utile per contenere le ansie, le paure e per
concludere le lezioni con un sorriso e un soddisfacimento da parte
del discende.
Per il gruppo gli obiettivi scelti sono stati quelli di sperimentare
alcune modalità espressive attraverso il movimento e il suono,
focalizzando l’attenzione sull’espressione di stati d’animo ed
emozioni come la rabbia, la gioia, la tristezza, la paura, lo stupore,
la tranquillità. Sperimentare modalità relazionali improntate alla
collaborazione tramite giochi di improvvisazione musicale,
fermando l’attenzione su alcuni elementi relazionali importanti
come la capacità di ascolto, la responsabilità e la cooperazione.
85
Per gli insegnati presenti, l’obiettivo si manifesta con la possibilità
di osservare le modalità espressive e relazionali dei singoli
bambini, sia a livello individuale, sia di gruppo, sfruttando le
specificità di un contesto diverso da quello della classe (Aula
Magna della scuola).
Le proposte vertevano principalmente su due filoni di attività:
il movimento e l’improvvisazione strumentale, utilizzando in
entrambi i casi la musica, con finalità di ascolto e
accompagnamento nelle attività di movimento e come produzione
nelle attività di improvvisazione.
Le attività venivano proposte più volte nel corso degli incontri, per
permettere agli alunni di familiarizzare con delle modalità
espressive
sostanzialmente nuove, ponendo sempre l’accento sul processo
anziché sul risultato.
Danze, girotondi, giochi di movimento libero, giochi di
esplorazione
dei suoni e di espressione sono stati utilizzati anche come
occasione
per riflettere, di fronte ad ogni difficoltà, sul modo in cui si può
modificare leggermente il proprio modo di partecipare, per ottenere
un risultato piacevole e vantaggioso per sé e per gli altri.
Il cerchio, spazio carico di significati simbolici, è stato utilizzato in
ogni incontro come strumento che pone tutti i partecipanti sullo
stesso piano, scandendo l’inizio e la fine di ogni attività, dando la
possibilità di eseguire una serie di giochi con variazioni sul tema
dei
nomi dei partecipanti. Questo tipo di proposta è stata scelta per il
forte valore di accoglienza e di affermazione dell’identità dei
singoli.
La dimensione spazio – tempo è resa viva attraverso la presenza
delle onde sonore. Il suono è onda di energia, spinta al movimento.
Attraverso il movimento che si fa più sicuro, il bambino impara a
cogliere la relazione fra sé stesso e gli altri, appropriandosi della
sicurezza che gli permette di essere protagonista ed autonomo del
suo agire, dei suoi apprendimenti, del dialogo con gli altri.
Attraverso la Relazione Circolare, il bambino sperimenta se stesso,
la propria corporeità in modo attivo vivendo emozioni che lo
spingono ad agire. La coordinazione orecchio – occhio – mano,
orecchio – occhio – piede diventa ancor più importante quando ci si
trova nella situazione della cecità o di un modo particolare e
soggettivo di vedere (ipovisione) nel caso di S.
Vedere e guardare, come udire e ascoltare, sono modi di percepire
la realtà che prevedono l’intenzionalità e la volontà.

86
Interagire col bambino ipovedente significa accogliere i suoi “no”,
per far sorgere in lui il desiderio e la volontà di sperimentare
qualcosa di nuovo.
Un bambino ipovedente utilizza il guardare a modo suo, così come
il bambino non vedente elabora strategie per muoversi con
sicurezza nello spazio – tempo, secondo il suo modo di essere e
percepire. Nella “Relazione Circolare” i professionisti (insegnante
di musica e/o musicoterapeuta, professionista collaboratore)
imparano a cogliere i messaggi, i segnali che il bambino manifesta,
utili a scoprire in quale modo egli percepisce e si organizza nelle
sue azioni. Il linguaggio verbale che scaturisce è frutto delle
esperienze vissute, è un linguaggio conquistato, per questo ricco di
significato comunicativo.
È determinante cogliere le posture, gli atteggiamenti, i movimenti,
le espressioni del viso.
Il valore comunicativo della voce, la sua particolare intonazione (il
registro vocale), il tipo di vocalizzo o altro sono segnali indicativi,
perché il Corpo parla con tutto se stesso.
L’Aula Magna è spaziosa e completamente libera da ogni genere di
ingombro. Su un banco poco discosto dal muro son stati posizionati
un computer con due casse acustiche portatili e un microfono per
eventuali registrazioni. Di fianco al banco, in un angolo della
stanza, a terra si trova un telo con diversi strumenti musicali:
uno xilofono, due metallofoni, una kalimba, due flauti, una decina
di tamburelli di varie dimensioni di cui due alcuni con sonagli,
diverse piccole percussioni, alcune di legno, altre di metallo.
La scelta di questi strumenti è dovuta alle loro peculiari
caratteristiche timbriche, il più possibile differenti tra di loro e in
numero superiore a quello dei bambini che partecipano agli
incontri. Questa organizzazione dello spazio è stata mantenuta
costante per tutti gli incontri.
Primo incontro
Dopo aver accolto i bambini seduto a terra, l’incontro inizia in
silenzio: con qualche cenno di saluto con le mani li invito a sedersi,
rimanendo in silenzio e formare un cerchio.
Mi osservano con curiosità. Si siedono, ma non capiscono.
Ottenuto silenzio e attenzione mi spiego a voce, mi presento e
racconto brevemente il percorso che faremo.
Definisco poche semplici regole che ci permetteranno di lavorare
insieme:
• quando si parla non si suona e quando si suona non si parla;
• gli strumenti sono preziosi e vengono usati da tanti altri bambini,
quindi vanno rispettati;
• il cerchio è buon spazio per lavorare che ci permette di osservarci
tutti contemporaneamente;

87
• il tempo di ogni incontro è di un’ora e quanto meglio lo useremo,
tante più attività riusciremo a fare insieme.
Chiedo ai bambini di presentarsi dicendo ognuno il proprio nome
mentre siamo seduti a terra in cerchio, prima lentamente, poi più
velocemente, infine a occhi chiusi. Poi chiedo loro di alzarsi e
scegliere uno strumento a testa, invitandoli a trovare un accordo
sulla scelta e ricordando che avremo diversi incontri per
sperimentare. Si siedono e cominciano tutti a suonare, dopo un po’
di esplorazione propongo di fare un giro con suonando ognuno il
proprio strumento, prima piano, poi forte. Ogni volta se c’è qualche
difficoltà ci interrompiamo e cerchiamo di far funzionare meglio il
gioco. I bambini, ognuno a modo suo, sono in ascolto e attenti. A
volte non riescono ad attendere che l’altro abbia finito: riflettiamo
sulla necessità di trovare un gesto che faccia capire quando si inizia
e quando si finisce.
La seconda attività è una danza di gruppo, una sorta di girotondo
accompagnato da una musica vivace (Kutschi tschi) nella prima
parte si gira, nella seconda ci si ferma e ci si ferma e si grida
insieme una piccola frase di sillabe molto ritmiche. Arriviamo in
fondo con qualche esitazione: per questo gruppo è molto difficile
rimanere in cerchio nel girotondo; sono però attenti in attesa del
momento di fermarsi e il grido ha la giusta carica di energia, vivace
ma senza coprire la musica.
Un altro gioco di movimento: con una musica in sottofondo
(Caravan) ci si muove liberamente per la stanza, i bambini devono
imitare un mio gesto, finché tocco uno di loro; sarà lui a dover
proporre un altro gesto, che gli altri devono imitare, e così via.
E’ un’attività ancora troppo difficile per il gruppo: si muovono
molto raggruppati; un obiettivo futuro può essere quello di aiutarli
a trovare spazi più ampi di movimento; dopo un po’ alcuni
partecipano e altri tendono a saltarsi addosso rimanendo da un lato.
E’ difficile capire quando cambiano il turno; i movimenti sono
abbastanza stereotipati, e poco creativi.
Riprendiamo il cerchio, torniamo agli strumenti con qualche
difficoltà.
Facciamo il gioco del direttore d’orchestra, tre le possibili
indicazioni: piano, forte, silenzio; all’inizio confondono il silenzio
con il forte, poi ci capiamo e il gioco funziona.
Da questo passiamo al saluto con un ultimo giro di nomi a occhi
chiusi, che funziona bene. Al momento di uscire alcuni tornano a
giocare con gli strumenti e faticano ad andarsene. La prima
impressione sulla classe è positiva: non facile da gestire, anche per
il numero elevato di bambini, ma con buone risorse: un buon livello
di attenzione e di partecipazione.

88
Secondo incontro
Al momento dell’arrivo il cerchio si forma rapidamente e senza
troppe spiegazioni. Ci salutiamo con il giro di nomi; prima senza
alcuna indicazione, e i nomi circolano con fluidità.
Poi chiedo di urlarlo e infine di sussurrarlo:
nell’urlo il giro non si interrompe, ma pochi bambini sanno farlo in
modo fluido: alcuni escono con un suono strozzato, altri non
riescono a urlare. Sussurrando non è facile mantenere il silenzio
necessario per tutto il giro. Poi ci alziamo e aggiungiamo un gesto
al nome, che gli altri ripeteranno tutti in coro. I gesti scelti sono
simili: si riducono a poche categorie: lo slancio in avanti, la
giravolta, e in generale c’è poca attenzione all’osservazione
dell’altro.
Ci disponiamo nuovamente in cerchio introduco la prossima
attività: siamo stati scelti per far parte di un’orchestra e ci
dobbiamo preparare. Prenderemo gli strumenti e faremo alcune
prove. Molti dei bambini sono già pronti a scattare verso gli
strumenti; quindi, decido di farli rimanere seduti in cerchio e di
consegnarli io.
Riprendiamo con il gioco del direttore di orchestra.
Tutti insieme provano il piano e il forte e il silenzio; c’è maggiore
attenzione all’insieme. Alcuni urlano di fare silenzio agli altri.
Riflettiamo insieme sul fatto che il modo migliore per ottenere il
silenzio è cominciare a rispettarlo è invitare con un gesto o uno
sguardo l’altro a fare lo stesso. Dopo qualche prova, divido il
gruppo in due file contrapposte, a ognuna una mano indico piano,
forte o silenzio: costruiamo varie combinazioni; dopo qualche
confusione iniziale, corretta dai compagni, i due gruppi riescono ad
essere molto attenti, uniformi nell’intensità e nella durata del
proprio suono.
Ulteriore divisione in quattro gruppi, è più difficile e non tutti
riescono; per il momento uso combinazioni piuttosto semplici.
Per chiudere, dopo aver posato gli strumenti cosa che accade in
modo più ordinato rispetto alla volta precedente, un ultimo giro di
nomi, ad occhi chiusi, molto fluido e musicale.
Al termine dell’incontro porto qualche osservazione alla
coordinatrice di classe:
• il livello soddisfacente del gruppo, tenendo conto dell’età,
dell’elevata percentuale di maschi un po’ movimentati e del
numero complessivo di bambini;
• il messaggio divergente dato dalle due maestre che parlano tra di
loro;
• l’importanza di un suo maggiore coinvolgimento nelle attività.
• le chiedo ancora di fare un ulteriore sforzo per spogliarsi il più
possibile del suo ruolo e della sua modalità di chiedere il silenzio

89
alzando la voce: il vero risultato per i bambini sarà di trovare da
soli il modo di arrivarci.

Terzo incontro
Dopo il giro di nomi cerco di trovare con i bambini un elenco di
emozioni, da usare come spunto per trovare dei gesti da unire al
girotondo. C’è grande agitazione, difficoltà di stare in ascolto;
alcuni nominano la felicità, la maggior parte non sa dare nomi alle
emozioni, e ricorrono alla descrizione di momenti specifici.
Comunque, il gruppo ha bisogno di sfogare energie ed io in questo
non sono sufficientemente in ascolto: mi ostino a rimanere in
silenzio e in attesa, ma questo atteggiamento genera malessere e
frustrazione nel gruppo. Sveltisco infine il giro, e partiamo con il
girotondo, durante il quale chiedo ai bambini di mimare tutti
insieme l’emozione che di volta in volta nomino. L’espressione
corale dell’emozione è bella ed energica, soprattutto per quanto
riguarda rabbia e gioia. Durante il girotondo c’è una certa
difficoltà, forse più della volta precedente, nel mantenere il silenzio
ed ascoltare la musica. Ci risediamo e invito tutti a prendersi uno
strumento a testa; si tuffano in modo preoccupante, sia per loro che
per gli strumenti; mi preoccupo anche io e li faccio tornare a sedere
chiedendo loro di posarli; li consegno io ad uno a uno.
Divisi in due file, la divisione avviene un po’ più velocemente della
volta precedente, chiamo a turno quattro di loro a dirigere
l’orchestra. I primi due sono abbastanza chiari nei gesti, gli altri
meno, e il gruppo fatica a seguirli, ma non c’è spazio per eventuali
elaborazioni.
Ho l’impressione che ci sia un elevato bisogno di dare sfogo
all’energia; quindi, insegno loro una semplice danza senza
accompagnamento musicale, sempre in cerchio e con un grido
finale, che eseguiamo alcune volte. Riusciamo con difficoltà a
compiere un paio di giri. Infine, giro di saluti con i nomi,
accompagnati da un gesto delle mani, diverso per ognuno.

Quarto incontro
L’incontro inizia con il saluto utilizzando il tamburo: tra un nome e
l’altro una breve frase di percussione, funziona molto bene,
chiedono di ripetere ad occhi chiusi. Le variazioni sul gioco dei
nomi stanno diventando un’attività che coinvolge e gratifica la
maggior parte dei bambini.
Propongo una nuova danza, sempre in forma A – B, (Rumanische
Tanz) in cerchio, è un’attività di riscaldamento con movimenti
90
molto atletici nella seconda parte. Sono molto attenti e ripetono con
precisione i gesti che propongo. Sempre difficile il girotondo, sia
come movimento, chiedendo loro di provare a girare in tondo in
silenzio un paio di volte, contando fino a dieci.
Il ripetersi di questa difficoltà mi riporta alla lettura del gruppo da
parte della coordinatrice: una classe di bambini molto attivi, svegli
e
curiosi, ma piuttosto individualisti: il girotondo potrebbe diventare
simbolo di un gruppo che lentamente comincia a riconoscersi come
tale.
Oggi ho presentato solo alcuni strumenti: sei tamburi e sei piccole
percussioni metalliche. Parliamo brevemente dei diversi timbri che
serviranno alla nostra orchestra. I bambini si dividono in quattro
gruppi, la consegna è alternarsi agli strumenti: due gruppi suonano,
disposti in riga uno di fronte all’altro, gli altri sono il pubblico.
A turno chiamo uno dei bambini del pubblico a fare il direttore di
orchestra: alcuni di loro si soffermano a giocare sulle combinazioni
di timbri con gusto e creatività. I gesti di un’altra bimba sono più
sommessi, quelli di un’altra troppo veloci, e le sezioni
dell’orchestra non riescono a seguirla. Riflettiamo su ciò che
succede, notando che ognuno ha una propria responsabilità: i
suonatori devono osservare il direttore, e il direttore, il quale deve
stare attento che gli altri lo capiscano e riescano a seguire quello
che propone. I tentativi successivi funzionano meglio e ringrazio
l’alunna che, con il suo “errore” ci ha dato l’occasione di notare
una cosa così importante, molti dei compagni la applaudono.
Torniamo nuovamente al girotondo, sempre con grandi difficoltà,
soprattutto da parte di molti dei maschi che si tirano, cadono; è
necessario fermarsi più volte per far funzionare l’attività.
Al termine mi siedo a terra, prendo il tamburo e siamo ancora in
tempo per un rapido giro di nomi di saluto.
Alla fine, un breve scambio di impressioni con la maestra: nota che
è una bella occasione per vedere i bambini in modo diverso e
osservare come si esprimono, o per verificare che alcune dinamiche
si ripetono anche in un contesto diverso.

Incontro di verifica con la professoressa e le riflessioni


maturate

• Ci sono spesso piccole prevaricazioni di alcuni bambini nei


confronti di altri, che avvengono durante l’attività con modalità
simili ad altri momenti della vita in classe.

91
• M. è il bambino che mostra maggiori difficoltà ad inserirsi, spesso
rifiutato dagli altri.
• Si formano spesso piccoli gruppi molto chiusi, in particolare di
maschi, riproponendo una rigidità nelle frequentazioni che si
verifica non solo a scuola, e che sarebbe interessante riuscire a
smuovere grazie all’attività.
• Spesso i bambini faticano ad uscire dall’affanno dei ritmi a
cui sono quotidianamente sottoposti.
• Una ricaduta positiva: si osserva che dopo gli incontri, i bambini
sono più rilassati rispetto a quando svolgono un’attività motoria.
Consideriamo che sarebbe importante riportare ai genitori questi
pensieri e ipotizziamo un incontro di gruppo nel quale raccontare
come è andata l’esperienza, da effettuare a fine anno, il giorno di
consegna delle pagelle.

Quinto incontro
Ci salutiamo con il rituale del giro dei nomi, con il tamburo in
sottofondo per tutto il giro, alternando un tempo di solo tamburo
con uno in cui ogni bambino pronuncia a turno il nome. Le pause
sono difficili da rispettare, ma riusciamo comunque a fare un giro
completo, molto musicale.
Riprendiamo una danza di riscaldamento, breve, con poche
ripetizioni, aumentando ogni volta l’intensità dei gesti e dell’urlo.
Ripropongo l’attività del secondo incontro di abbinare il nome a un
gesto; ci sono sempre difficoltà nell’osservazione, nel rispetto dei
tempi, poca inventiva nella gestualità ed un certo livello di
provocazione da parte di alcuni maschi che propongono gesti che
originano confusione. Siamo comunque riusciti a completare il giro
in un tempo congruo e questo è un grosso passo avanti rispetto alla
volta precedente.
Continua il gioco del direttore d’orchestra: oggi proveremo due
nuove famiglie di strumenti: quelli melodici (flauti, metallofoni,
xilofono, kalimba) e quello degli strumenti di legno. Per la
prossima volta preannuncio la riunione di tutta l’orchestra: quattro
sezioni: melodica, metallo, legno tamburi, suoneremo, registreremo
e ci riascolteremo.
Il gioco del direttore prosegue, con altri bambini coinvolti, le solite
difficoltà nel cambio degli strumenti. I tempi sono lenti e finiamo
proprio allo scadere dell’ora, riuscendo appena a rimetterci in
cerchio e notare che non ci resta il tempo neppure per il saluto
finale.

Sesto incontro
I bambini si siedono in cerchio molto velocemente. Facciamo un
semplice giro di nomi e ricordo loro che oggi è il giorno della
92
registrazione dell’orchestra, mostrando il microfono. Ci dividiamo
in gruppi e assegno ad ognuno una famiglia di strumenti.
La divisione in gruppi è macchinosa ed è difficile trovare il silenzio
per cominciare. Quando ci riusciamo, l’attività procede bene, con
un discreto livello di attenzione nella prova in cui faccio fare un
giro a tutte le sezioni. Lavoriamo solo sull’entrata e uscita, senza
variazioni di dinamica. Il microfono in mezzo alla stanza
produce la sua dose di magia: l’attenzione aumenta, i gruppi
suonano prima da soli, poi si sovrappongono a coppie, poi suonano
tutti insieme, infine faccio uscire progressivamente una sezione alla
volta. Riascoltiamo con molta attenzione, ma anche molta
agitazione, energia che trattengono a fatica; sono sorpresi e
incuriositi dal risultato: “non mi sembrava vero”, commenta una
bambina.
Data la grande quantità di energia in circolazione, propongo un giro
di danza che, nonostante le consuete difficoltà coinvolge tutti.
Ci risediamo in cerchio, e propongo loro un’attività di ascolto: tutti
distesi a terra in cerchio, con i piedi che si toccano, come a formare
le braccia di una grande stella marina. Rimangono abbastanza
fermi, ma pochi riescono a stare in silenzio e l’ascolto è difficile; al
termine chiedo loro se hanno trovato facile o difficile l’attività,
nonostante il risultato quasi tutti dicono facile; evidenzio che in
questi incontri hanno imparato già molte cose e quando torneremo
su questa attività certamente funzionerà meglio.
Cogliendo l’idea da alcuni di loro che battono aritmicamente le
mani propongo un gioco: sempre in cerchio uno comincia a battere
le mani e via via gli altri si aggiungono, seguendo la direzione del
cerchio, per creare una specie di onda sonora. Proviamo e notiamo
che è necessario definire un tempo per le diverse entrate. Qualcuno
propone tre battiti, e funziona meglio. Poi provo ad aggiungere
l’idea
di sottrarre con la stessa modalità, facendo un secondo giro che
arrivi al silenzio. Questo è più difficile, quando il giro si inceppa,
alcuni riescono a riprendere, altri si confondono; alcuni
intervengono lamentandosi e aumentando la confusione, altri
cercano di essere più collaborativi.
Terminiamo con un giro di nomi accompagnato dal battito delle
mani.

Settimo incontro
Prima dell’inizio dell’attività alcuni bambini sono vicino agli
strumenti, pronti per utilizzarli. Senza dire nulla prendo l’agogo e
comincio a battere un ritmo in quattro, alternando le due campane,
e dopo un paio di battute a dire il mio nome e indicare la direzione
del giro. Silenzio totale e si esegue un giro musicalissimo: ognuno

93
interpreta a modo suo la durata in cui pronunciare il nome,
generalmente due o quattro battute, ma tutti sono molto attenti.
Terminato il giro introduco l’attività seguente: andremo a caccia di
emozioni, costruendo piccole orchestrine di cinque-sei bambini e
cercheremo di suonare le emozioni che io indicherò loro.
Gli altri ascolteranno e proveranno ad indovinare, poi
commenteremo e passeremo ad un altro gruppo. Dipenderà dalla
loro attenzione riuscire a fare un giro completo, se no riprenderemo
la volta successiva. Chiedo alla professoressa di sostegno di
segnare la composizione dei gruppi.
Al primo gruppo propongo di suonare la gioia. Partecipo
all’improvvisazione. Dopo poco dobbiamo interrompere perché
tutti si ammassano verso di noi con la mano alzata ed un
incontenibile desiderio di dire quello che hanno pensato.
La ripresa dell’improvvisazione è molto partecipata, i bambini mi
osservano attentamente cercando di riprendere le mie proposte.
Quando si tratta di indovinare alcuni dicono gioia, altri tristezza,
alcuni, rabbia. Commentiamo sottolineando che la musica può
essere interpretata in modi diversi e che la stessa emozione può
risuonare in modo diverso dentro di noi.
Poi tocca al secondo gruppo: la tranquillità. Suggerisco loro di
pensare ognuno ad una situazione in cui è tranquillo prima di
cominciare a suonare. L’espressività del gruppo mi appare
autentica. Nessuno indovina. Difficile riprendere la discussione
perché il gruppo si sfalda, si formano diversi gruppetti che è
difficile riportare all’attenzione. Aspetto in silenzio, ma non c’è
nulla da fare, si va avanti per quasi dieci minuti e riusciamo a
rimetterci in cerchio solo quando è ora del saluto finale. Dico loro
che sono stati poco corretti con i compagni che dovevano ancora
suonare e che mi dispiace non aver potuto continuare l’attività.
Rimando alla prossima volta e ci salutiamo con un veloce giro di
nomi.

Ottavo incontro
Ci sediamo in cerchio e ci salutiamo con un giro di nomi,
accompagnato dallo xilofono, con il quale suono un intervallo di
terza, ascendendo ad ogni nome. Ripetiamo il giro cercando di
mantenere un ritmo nella scansione dei nomi; anche oggi buon
risultato in termini di flusso e musicalità.
Riprendiamo il lavoro in piccoli gruppi; si parte con qualche
difficoltà, perché non riusciamo a ricostruire con esattezza la
composizione dei gruppi.
Il primo gruppo di oggi, si cimenta con la rabbia, eseguendo
l’improvvisazione con concentrazione e attenzione. Xilofono, due
tamburi e un sonaglio, con i quali alterniamo scariche a volte
improvvise, a volte più ritmate di suoni più forti.
94
All’inizio il mio ruolo è di guida, poi mi tiro un po’ indietro e si fa
strada qualche proposta più personale. Anche l’ascolto è più
attento rispetto alla volta precedente. Tutti, unanimemente,
indovinano la rabbia, e non ci soffermiamo a discuterne.
Si cambia attività e vengono suonati alcuni sonagli e due tamburi.
Tutta l’improvvisazione si svolge su un interessante contrasto tra i
suoni a volte sottili, a volte più forti, ma sempre irregolari, dei
sonagli, e i due tamburi, che dialogano tra loro gareggiando a chi
suona più forte. Il gruppo degli ascoltatori interpreta dicendo rabbia
e confusione. Nessuno indovina la paura, e riflettiamo un po’ sulle
varie interpretazioni. Rispetto alla volta precedente la discussione è
più fluida.
Infine, ripropongo l’ascolto (Inverno di Vivaldi), che molti di loro
avevano chiesto in diversi momenti; si mettono a terra, a “stella
marina”. L’ascolto è sempre difficile, soprattutto per alcuni dei
maschi, che fanno gruppetto: o si rotolano uno sull’altro, o
ridacchiano.
Al termine dell’ascolto discutiamo. Interrompo subito i primi
commenti “non sono riuscito ad ascoltare perché gli altri…”
proponendo la frase “mi è piaciuto / non mi è piaciuto perché io..”.
Molti parlano e alcuni di loro riconoscono la propria difficoltà a
stare fermi ad ascoltare. Rimando loro la difficoltà dell’esperienza
ed i miglioramenti che ho osservato. Ci salutiamo con un giro di
nomi, sempre accompagnati dallo xilofono.
Nono incontro
Questo ultimo incontro abbiamo scelto di concluderlo con un saluto
utilizzando uno strumento diverso “il palo della pioggia”. Ogni
discende si prende il tempo che desidera per far suonare il palo
inclinandolo verso il basso e pronunciando il proprio nome.
Silenzio e fascinazione per un suono nuovo tutto da ascoltare.
Almeno fino alla fine giro, quando tocca ai maschi più irrequieti,
che ridacchiano per l’imbarazzo; il risultato è stato ottimale.
Mentre suono un tamburo, tutti girano liberamente per l’Aula
Magna con l’unica consegna di non toccare né scontrare gli altri.
Allo stop del tamburo si devono fermare come delle statue,
mimando un’emozione che indico loro. Ripetiamo più volte, con
l’invito di immedesimarsi più che possono. C’è molta attenzione e
partecipazione.
Poi passiamo all’improvvisazione, divisi in due gruppi. Anche oggi
registriamo e sono tutti molto coinvolti. Faccio quattro bigliettini
con diverse emozioni: rabbia, tranquillità, gioia e tristezza.
Riusciamo a fare quattro improvvisazioni, due per gruppo. Invito i
gruppi a mettersi d’accordo su come suonare, e questa volta non
suono con loro. Rispetto alle volte precedenti usano il tempo molto
meglio e sono poco dispersivi al momento di prendere o posare gli
strumenti.

95
Al termine di ognuna si deve indovinare, come sempre. A volte
funziona, generalmente all’unanimità, quando il gruppo che suona
è
stato chiaro, altre volte ci sono discrepanze e introduco qualche
osservazione sulle differenze dei vari punti di vista.
Al termine di ogni improvvisazione faccio qualche osservazione di
carattere musicale: dopo la prima, noto che hanno suonato tutti
insieme dall’inizio alla fine e non è detto che debba essere così e
che c’è stato una specie di dialogo tra xilofono e tamburo, al quale
gli altri facevano da accompagnamento. Sulla seconda che c’è stato
un momento in cui i tamburi si sono trovati su un ritmo definito.
Giro di nomi per saluto finale, tutti in piedi tenendoci per mano ad
occhi chiusi.

Alcune osservazioni sul gruppo.


Durante i vari incontri trovare gli alunni da soli, in silenzio, entrano
in aula magna, per un gruppo abituato in classe alla professoressa
che alza la voce per ottenerlo, non è stato facile, e siamo ancora
lontani da una completa interiorizzazione; ci sono però segnali che
lasciano pensare che si stia formando un’idea dell’alternanza tra
tempi dei suoni e tempi della parola, e che quando svolgono attività
particolarmente stimolanti riescono a raggiungere un buon livello
di attenzione.
Nel corso del laboratorio è migliorata notevolmente l’idea del
cerchio come un luogo di incontro per tutti e del tempo come una
risorsa limitata, della quale occorre imparare a fare buon uso.
I conflitti che ci sono stati in alcuni momenti, il confronto sulle
difficoltà incontrate nello svolgimento di alcune attività, l’analisi di
ciò che serve per riuscire a suonare insieme, sono stati ottime
occasioni per riflettere in modo leggero, ma significativo, sull’idea
delle responsabilità individuali che ognuno si deve assumere.
In definitiva concordiamo sul fatto che si è trattato di un percorso
positivo e utile per tutti gli alunni, e che sarebbe interessante poter
ripetere l’esperienza l’anno successivo.

Analisi di alcuni brani

Kutschi tschi: E’ una danza tradizionale tratta da un CD di materiali


didattici per la danza.
Ha una struttura AA BB che si ripete per sei volte, terminando con
AA. La tonalità di inizio è Do maggiore, il brano modula in Do# e
in Re, cambiando tonalità ogni due ripetizioni. Nella sezione B,
preceduta da una battuta di “preparazione”, le voci scandiscono le
parole “ku ku kutschi tschi”.

96
La melodia è molto semplice ed ha estensione di un’ottava.
L’armonia presenta un’alternanza tra accordi di I e V grado della
scala maggiore. Il tempo è “allegro” (q= 144). Gli strumenti
utilizzati sono: pianoforte, flauti, voce, basso e batteria.
Il tempo è veloce, il ritmo fortemente isocrono. Il livello di
complessità formale è basso: il brano è fortemente tonale, non
presenta conflitti né suscita particolari aspettative di cambiamento;
l’unico elemento di variazione, leggermente inatteso, che
conferisce una sorta di spinta aggiuntiva, è la modulazione di
mezzo tono che si presenta per dopo ogni due ripetizioni.
L’intensità è medio-alta, ma costante per tutto il brano né ci sono
variazioni dei valori ritmici di durata o del significato armonico.
E’ un brano che trasmette un forte senso di unità e di integrità,
sensazioni di gioia ed esuberanza, tonicità positiva. Queste
caratteristiche, in particolare la grande semplicità formale e la
chiara differenziazione tra la parte A e la B, ne hanno consentito un
buon utilizzo per le finalità del percorso, a metà strada tra il
girotondo e la danza di gruppo.

Rumanitsche Tanz - danza rumena: il brano è tratto dallo stesso CD


del precedente.
La struttura AA BB si ripete per sei volte. La parte A è in tonalità
di Si b minore, relativa minore di Re b, tonalità della parte B. Il
tempo è “allegro” (q = 144, con un’accelerazione sul finale, fino a
168). La
melodia si estende su un’ottava. Strumenti utilizzati: archi, fiati,
cymbalon, contrabbasso.
Valgono in questo caso le stesse considerazioni del brano
precedente (Kutschi tschi). In questo caso la variazione tra le parti
A e B è data
da una modulazione maggiore / relativa minore ed un’ulteriore
spinta energetica è data dall’accelerazione del tempo nelle ultime
ripetizioni.

Caravan : L’autore è J. Tizol, ma il brano è famoso per le


esecuzioni di Duke Ellington, Questo è un arrangiamento della
compositrice Rachel Portman, realizzato per la colonna sonora del
film “Chocolat”.
La struttura è AAAAB e si ripete per due volte, per finire con AA.
Dal punto di vista armonico e melodico c’è un contrasto tra la parte
A e la B.
La prima ha un’armonia molto semplice (Si7 fino al termine di
ogni frase con chiusura in Mi minore) e un tema molto ben
definito, costruito sulla scala in mi minore armonico, che indugia
spesso sull’intervallo di un tono e mezzo tra 6° e 7° grado,
richiamando le sonorità della musica medio orientale. La seconda è
97
costruita su un giro armonico tipico del jazz in cui si susseguono
accordi di settima di dominante per intervalli di quarta (Mi7, La7,
Re7, Sol7) per chiudere su un Fa# che riconduce alla parte A.
Tempo “andante” (q= 80). Lo stile è quello del Jazz Manouche,
cioè del jazz eseguito dagli zingari della Francia orientale. Gli
strumenti sono alcuni tra i più classici di questi ensembles: chitarre,
fisarmonica percussioni.
Il tempo è moderato, e la velocità relativamente bassa.
Il livello di complessità formale non è molto alto, anche se alcuni
elementi muovono in quella direzione. Quello di maggiore
evidenza è la differenza tra le parti A e B, già descritto sopra.
La melodia della parte A, in particolare, presenta un contrasto di
durata delle note, con un alternanza tra semibrevi e crome e un
fraseggio sincopato, tutte caratteristiche che innalzano leggermente
l’intensità. Il dinamismo generale è di livello medio, e la
complessità formale medio bassa; è un brano che favorisce risposte
timiche positive nel senso di una moderata attivazione motoria,
adatta per un’attività che richiede da un lato attivazione, dall’altro
un’attenzione in grado di spostarsi dalla musica alle poche regole
del gioco.

L’Inverno, largo (La gioia del focolare, fuori piove) : Da “Le


quattro stagioni” di Antonio Vivaldi. E’ il secondo movimento del
concerto op.8 n.4 RV 297 per archi e basso continuo
nell’esecuzione dei “Sonatori della Gloriosa Marca”. (Divox
antiqua, 1992).
Il tema, esposto dal violino, si ripete per due volte modulando dalla
tonalità di Sib a quella di Mib. La prima parte del tema si ripete
esattamente, mentre la seconda presenta alcune differenze. I violini
primi e secondi eseguono degli arpeggi pizzicati che si protraggono
per tutta la durata del brano. Il basso continuo è molto discreto e
suggerisce poco più delle toniche degli accordi arpeggiati.
Il tempo è lento mentre la velocità è alta, soprattutto considerando
il pizzicato dei violini primi e secondi, con una funzione
chiaramente armonica. Se questa caratteristica tenderebbe ad
evidenziare elementi di tensione, essi sono in parte attenuati dalla
discrezione con cui queste parti, insieme con gli ostinati sulle
toniche degli accordi suonate dai violoncelli, si situano in
sottofondo rispetto alla voce solista. Dal punto di vista melodico e
armonico non sono presenti grandi variazioni, né intervalli
melodici particolarmente alti; la forma si può quindi definire
omogenea. Dal punto di vista della dissomiglianza degli elementi,
se non ci sono particolari contrasti di intensità né del significato
armonico delle note, si nota una certa frequenza di sincopi o
controtempi nella melodia. La durata delle note è caratterizzata da

98
una alternanza tra crome e semicrome. In qualche modo questi
elementi di contrasto fanno sì che, nonostante una melodia
dall’andamento apparentemente tranquillo, il brano non si sia
rivelato una scelta ideale per un’attività di rilassamento.

Conclusioni

In ambito pedagogico, ma non solo, la musicoterapia si è rivelata


uno strumento molto efficace per giungere a un miglioramento
emotivo e cognitivo di bambini e adulti.
Attraverso la musica, il gioco, il movimento e i silenzi le persone
riescono facilmente a essere coinvolte affettivamente e a trovare gli
stimoli per raggiungere un benessere psico-fisico.
Ogni brano musicale, come sperimentato dall’esperienza scolastica
sopradescritta, può suscitare in ognuno ricordi di esperienze passate
che diventano l’inizio della ricostruzione di sé. In particolar modo
la musicoterapia rivolta ai bambini stimola alla socializzazione, a
un migliore inserimento nell’ambito scolastico, dando maggior
motivazione all’apprendimento. In un clima disteso dove migliori
risultano essere i rapporti tra insegnanti e alunni, i bambini
riescono a essere più stimolati all’accrescimento delle proprie
conoscenze.
È stato dimostrato come l’ascolto della musica porti a delle reazioni
che riescono a rilassare, stimolare, dare euforia e coinvolgere anche
i soggetti più difficilmente integrati in un gruppo.
In ambito scolastico la musicoterapia sta portando maggior benefici
anche a coloro che presentano problemi comportamentali e
soffrono per un disagio scolastico, perché attraverso le lezioni
musicali riescono a sentirsi più accolti dal gruppo e dall’insegnante
e ciò provoca in loro il desiderio di dare il meglio di sé,
migliorando innanzitutto le loro relazioni interpersonali.
Per i bambini autistici in particolar modo la musicoterapia si sta
rivelando un’ottima strategia educativa per aiutarli a uscire dal loro
silenzio e dalla loro estrema diffidenza verso chiunque li circondi.
I suoni riescono a rievocare in questi soggetti in particolare,
emozioni che li portano a un sorriso e a un’apertura verso gli altri.
L'esperienza musicale, come ogni altra esperienza di
apprendimento scolastico, è stata uno spazio di ricerca, di
risoluzione di problemi e acquisizione di competenze e il fare
musica con la sua libertà di esprimersi è divenuto uno strumento
dal potenziale formativo inesauribile.
In chiusura di questo lavoro e dalla mia esperienza laboratoriale,
mantenendo come ipotesi di base una dialettica continua fra le
diverse teorie e fra teorie e pratica esposte nei capitoli precedenti, è
presente un movimento altalenante tra domande e risposte che non
99
può avere fine, nel senso che una risposta definitiva o conclusiva
non è mai data.
Ogni domanda apre lo spazio a diverse possibili risposte ed ogni
nuova risposta andrà intesa come un nodo provvisorio dal quale si
dipanano altri possibili spunti di interrogazione e di ricerca,
ottenendo sempre più nuove domande, aperte e approfondite.
Forse alcune indicazioni di massima da tenere sempre presenti.
La necessità di intrattenere un atteggiamento aperto e dialettico con
la scuola, con la sua organizzazione, i suoi riti, le sue complessità,
ricordando che si tratta di un mondo che il musicoterapista
dovrebbe attraversare con delicatezza e consapevolezza della
propria sostanziale estraneità, con un atteggiamento aperto alla
mediazione e al confronto.
Il bisogno di superare una distinzione troppo netta tra intervento
terapeutico, educativo o didattico: più mi sono spinto in avanti con
la riflessione, più ho maturato la convinzione che, se ad un livello
teorico è fondamentale tenere ben distinti mezzi ed obiettivi di
ognuno di questi ambiti, nella pratica è spesso utile saper modulare
in modo diverso le parti che li compongono.
Nel corso di questo lavoro ho riflettuto molto sui diversi contributi
formativi che si offrono al musicoterapista, in diversi ambiti della
conoscenza: le diverse scuole musicoterapiche, psicologiche e
pedagogiche; la musica da ascoltare, suonare, smontare e
rimontare, da vivere e condividere con apertura e consapevolezza;
l’approfondimento della conoscenza di sé e del proprio stile
relazionale…
Mi sembra che il mondo delle possibilità formative e di
approfondimento non abbia mai fine, così come credo che la
curiosità, la voglia del musicoterapista di continuare a confrontarsi
con tanti diversi punti di vista, non si debba mai fermare e che ogni
nuovo approfondimento, anche se proveniente da “scuole”
differenti possa andarsi a integrare in una visione sempre più ricca
ed aperta della propria professione.
Per concludere un’immagine: quella del musicoterapista,
dell’educatore o dell’insegnante o ancora più in generale della
persona, come un navigatore a metà strada tra il noto e l’ignoto,
impegnato a spostare il punto di vista dall’orizzonte alla costa,
dalle stelle alle profondità del mare, con la fondamentale necessità
di molti saperi e strumenti per potersi provvisoriamente orientare.

100

Potrebbero piacerti anche