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Modulo Didattica e Pedagogia Speciale

Didattica speciale e nuove


Unità di studio
prospettive per l’inclusione secondo
l’ICF dell’OMS
Prof.ssa Lucia Chiappetta Cajola

Tirocinio Formativo Attivo - Università degli Studi Roma Tre - A.A. 2011/2012

 
Obiettivi formativi
1. Conoscere la dimensione culturale, scientifica e metodologica della Classificazione
internazionale del Funzionamento, della Disabiltà e della Salute dell’OMS (ICF) anche nella
versione per bambini ed adolescenti (ICF-CY)
2. Comprendere i nuovi concetti di funzionamento, disabilità e salute
3. Individuare il ruolo fondamentale dei Fattori Ambientali nel Funzionamento o nella
Disabilità di un individuo
4. Comprendere l’utilità dell’utilizzo dell’ICF-CY a scuola da parte degli insegnanti
5. Utilizzare le categorie dell’ICF-CY per la definizione di obiettivi di apprendimento
individualizzati/personalizzati e l’individuazione delle barriere e dei facilitatori
nell’ambiente.

Indice dell’unità didattica

1. ICF, BES, Inclusione scolastica e Personalizzazione della didattica


2. La prospettiva bio-psico-sociale dell’ ICF, Classificazione Internazionale del Funzionamento,
della Disabilità e della Salute
3. L’ICF : alcuni aspetti storico-concettuali
4. La struttura dell’ICF: categorie e codici alfanumerici
5. Profilo di funzionamento e analisi del contesto per rilevare “ barriere” o “facilitatori”: il principio
dell’accessibilità
6. I “qualificatori”
7. L’ICF-Children and Youth (ICF-CY)
8. L’ICF e il suo apporto alla didattica inclusiva
Bibliografia

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1.ICF, BES, Inclusione scolastica e Personalizzazione della didattica

“Gli alunni con disabilità si trovano inseriti all’interno di un contesto sempre più variegato,
dove la discriminante tradizionale - alunni con disabilità / alunni senza disabilità - non rispecchia
pienamente la complessa realtà delle nostre classi. Anzi, è opportuno assumere un approccio
decisamente educativo, per il quale l’identificazione degli alunni con disabilità non avviene sulla
base della eventuale certificazione, che certamente mantiene utilità per una serie di benefici e di
garanzie, ma allo stesso tempo rischia di chiuderli in una cornice ristretta. A questo riguardo è
rilevante l’apporto, anche sul piano culturale, del modello diagnostico ICF (International
Classification of Functioning, Disability and Health) dell’OMS, che considera la persona nella sua
totalità, in una prospettiva bio-psico-sociale. Fondandosi sul profilo di funzionamento e sull’analisi
del contesto, il modello ICF consente di individuare i Bisogni Educativi Speciali (BES) dell’alunno
prescindendo da preclusive tipizzazioni.” (Miur, Direttiva 27 dicembre 2012, Strumenti d’intervento
per alunni con Bisogni Educativi Speciali e l’organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica,
2013). Si veda: www.istruzione.it
Con queste affermazioni puntuali e chiare, la Direttiva del Miur delinea e orienta in senso
innovativo la strategia inclusiva della scuola italiana ridefinendo il tradizionale approccio
all’integrazione scolastica, sostanzialmente fondato sulla certificazione della disabilità, grazie anche
al ruolo centrale dell’ICF e alle sue notevoli potenzialità applicative evidenziate ormai anche da
tempo in una molteplicità di documenti ministeriali. L’ICF sottolinea infatti la necessità, in una
autentica prospettiva inclusiva, di considerare la persona nella sua globalità e fondamentalmente
nell’interazione tra la condizione individuale e il proprio contesto di vita.
“Fermo restando l’obbligo di presentazione delle certificazioni per l'esercizio dei diritti
conseguenti alle situazioni di disabilità e di DSA”, la Direttiva estende, infatti, a tutti gli allievi, con
disabilità e/o con difficoltà nell’apprendimento dovute a cause diverse (svantaggio sociale e
culturale, disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti
dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse), il
“diritto alla personalizzazione dell’apprendimento” affermato dalla Legge n.53/2003.
Da questo punto di vista, il compito dei Consigli di classe o dei team dei docenti nelle scuole
primarie è quello di individuare “in quali altri casi sia opportuna e necessaria l'adozione di una
personalizzazione della didattica ed eventualmente di misure compensative o dispensative, nella
prospettiva di una presa in carico globale ed inclusiva di tutti gli alunni”.
Nell’ambito di tale compito da svolgere con modalità concrete e sistematiche di collegialità,
corresponsabilità e partecipazione, gli insegnanti privilegiano la progettazione di percorsi
individualizzati e personalizzati avvalendosi del Piano Didattico Personalizzato (PDP) che ha lo
scopo di “definire, monitorare e documentare le strategie di intervento più idonee e i criteri di
valutazione degli apprendimenti” (Miur, Direttiva 27 dicembre 2012, cit.).
Il PDP è dunque lo strumento privilegiato che, oltre a esplicitare gli strumenti compensativi e
le misure dispensative per gli allievi con DSA, può definire, motivandole adeguatamente,
progettazioni didattico-educative, da condividere anche con la famiglia, “calibrate sui livelli
minimi attesi per le competenze in uscita (di cui moltissimi alunni con BES, privi di qualsivoglia
certificazione diagnostica, abbisognano), strumenti programmatici utili in maggior misura rispetto a
compensazioni o dispense, a carattere squisitamente didattico strumentale” (Miur, Direttiva 27
dicembre 2012, cit.).
Nell’attuale contesto scolastico è infatti indispensabile tener conto che la realizzazione della
prospettiva inclusiva richiede agli insegnanti la realizzazione di un’organizzazione didattica in
grado di consentire a tutti gli alunni il raggiungimento del successo formativo. La complessità
presente a scuola richiede, infatti, che ogni intervento didattico venga progettato in termini di

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flessibilità e creatività per rispondere con efficacia e tempestivamente alle differenti esigenze
formative degli allievi.
Nella scuola inclusiva trovano posto in modo ordinario tutte le diversità ed è su questo
presupposto che le differenze e le difficoltà vengono trattate con una didattica plurale, a valenza
orientativa, capace di valorizzare le prime superando l’indifferenza verso di esse e di affrontare con
tenacia e competenza le seconde, trasformandole da ostacolo per l’allievo a obiettivo strategico per
gli insegnanti (Chiappetta Cajola, 2008).

2.  La prospettiva bio-psico-sociale dell’ ICF, Classificazione Internazionale del


Funzionamento, della Disabilità e della Salute

Anche per le ragioni accennate nel paragrafo precedente, si è posta l’esigenza di diffondere e
accrescere la conoscenza dell’ICF in una molteplicità di settori, dall’inclusione scolastica
all’integrazione degli interventi socio-sanitari e alla revisione degli strumenti diagnostico-valutativi,
alle politiche del lavoro.
In questa sede, si intende dunque sintetizzare alcuni elementi conoscitivi relativi all’ICF in
riferimento all’ambito scolastico, con l’intento di porre in evidenza il suo impiego nell’analisi del
contesto e in definitiva nella progettazione didattica dei percorsi di insegnamento-apprendimento
necessaria per promuovere l’inclusione degli allievi con disabilità, come sottolineato anche nelle
Linee guida per l’integrazione scolastica degli allievi con disabilità (MIUR, 2009) Si veda:
www.istruzione.it
E’ stato già detto in precedenza che, nell’ICF, elaborata dall’Organizzazione Mondiale della
Sanità (OMS) nel 2001, la dimensione culturale e operativa che viene proposta sposta il focus
dalla visione riduttiva della disabilità descritta come menomazione fisica o psichica alla persona e
ai suoi specifici bisogni e caratteristiche in relazione al contesto in cui vive, studia, lavora ecc., al
fine non soltanto di registrarne i problemi esistenti, ma di ricercare i possibili interventi mirati alla
qualità della vita di ciascuna persona.
L’ICF è infatti uno strumento di valore internazionale finalizzato ad una classificazione
sistematica, atta a descrivere con un linguaggio condiviso lo stato di salute, e relative modificazioni,
inteso come benessere psico-fisico, dunque globale, della persona e considerato in una visione
innovativa caratterizzata dalla multidimensionalità e dall’interazione tra più variabili e fattori.
Da questo punto di vista, l’ICF supera il modello medico di disabilità, fondato sulla
valutazione delle conseguenze della malattia, optando invece per il modello bio-psico-sociale che
pone al centro della valutazione il “funzionamento” della persona, inteso come interazione tra
questa stessa e l’ambiente circostante.
La disabilità rappresenta dunque, nella dimensione culturale dell’ICF, il risultato
dell’interazione tra il soggetto e un ambiente non favorevole, caratterizzato cioè dalla presenza di
ostacoli/barriere vario tipo che ne ostacolano l’attività e la partecipazione nei vari contesti di
vita.Ognuno di noi, in definitiva, può trovarsi in un contesto ambientale non favorevole che può
determinare una condizione di disabilità.
Tale prerogativa che caratterizza la classificazione in epoca antecedente l’affermazione dei
diritti umani delle persone con disabilità nell’ambito della Convenzione dell’ONU del 2006,
dipende proprio dall’aver posto al centro la dimensione sociale della disabilità piuttosto che la
dimensione medica, valorizzata anche dal passaggio dell’uso del termine ‘handicap’ a quello di
‘disabilità’. A tale riguardo è interessante sottolineare che lo stesso “utilizzo del termine ‘disabilità’
in ICF, insieme all’eliminazione della parola ‘handicap’, non rappresentano una mera
modificazione semantica, ma implicano l’abbandono del modello lineare adottato dall’ICDH”
(Leonardi 2009, p.48) e l’espressione “persona con disabilità” esprime anche un concetto giuridico.

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3.  L’ICF : alcuni aspetti storico-concettuali

In questo paragrafo si intende fornire un quadro, tratto dai documenti dell’OMS, relativo ad
alcuni aspetti significativi della classificazione stessa e all’iter scientifico e temporale che ha
condotto alla sua elaborazione.
La Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF)
rappresenta una revisione della Classificazione Internazionale delle Menomazioni, delle Disabilità e
degli Handicap (ICIDH) pubblicata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1980 a
scopo di ricerca. Il testo dell’ICF è stato approvato dalla 54° World Health Assembly (WHA) il 22
Maggio 2001 e ne è stato raccomandato agli Stati Membri l’uso nella ricerca, negli studi di
popolazione e nei rapporti.
È stata tradotta e pubblicata in molti Paesi. La traduzione italiana è del 2002.
Con la sua approvazione, ICF è entrata a far parte ufficialmente della Famiglia delle
Classificazioni Internazionali (FIC) dell’OMS insieme all’International Statistical Classification of
Diseases and Related Health Problems 10th revision (ICDH-10), all’International Classification of
Health Interventions (ICHI), e alle Classificazioni derivate.
Nelle classificazioni internazionali dell’OMS, le condizioni di salute come le malattie, i
disturbi e le lesioni vengono classificate principalmente nell’ICD-10, che fornisce un modello di
riferimento eziologico.
Il funzionamento e la disabilità associati alle condizioni di salute vengono invece classificati
nell’ICF. Queste due classificazioni sono complementari e dovrebbero essere utilizzate
congiuntamente. Infatti l’OMS raccomanda l’uso congiunto di ICD-10 per codificare le condizioni
di salute e di ICF per descrivere il “funzionamento della persona”.
L'ICF, come si chiarirà meglio nel paragrafo successivo, è strutturato in 4 principali
componenti:
• Funzioni corporee
• Strutture corporee
• Attività (Attività e partecipazione in relazione a capacità e performance)
• Fattori ambientali
Il funzionamento e la disabilità sono viste come una complessa interazione tra le condizioni di
salute dell'individuo e l'interazione con i fattori ambientali e personali. La classificazione considera
questi aspetti come dinamici e in interazione, non come statici. Da questo punto di vista, poichè la
disabilità è un'interazione con l'ambiente, l'ICF è applicabile a tutte le persone, anche quelle in
buona salute. Il linguaggio nell'ICF è neutrale rispetto all'eziologia ed enfatizza la funzione rispetto
al tipo di malattia. Esso è stato creato appositamente per essere utilizzato a livello internazionale e
interculturale con obiettivi molto diversificati, da professionisti di ambito sanitario, psicologico,
scolastico, sociale, ecc.
 

4. La struttura dell’ICF: categorie e codici alfanumerici

L’ICF permette di rilevare informazioni attraverso la descrizione delle “situazioni che


riguardano il funzionamento umano e le sue restrizioni” (OMS, 2007, p.36). Nello stesso tempo è
un modello di riferimento per organizzare le suddette informazioni che, a tale scopo, sono
distribuite in due parti.
La prima è intitolata “Funzionamento e Disabilità”, la seconda “Fattori Contestuali”.
Entrambe le parti sono articolate in “componenti” a loro volta sottoarticolate in “blocchi di
categorie” e/o di categorie individuali. In questa sede, in riferimento a ciascuna parte, sono indicate:
componenti (ogni componente è segnalata con una determinata lettera dell’alfabeto), blocchi di
categorie, capitoli, nonchè il relativo livello di osservazione.
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Parte prima. Funzionamento e Disabilità
Componenti :
b (body) Funzioni corporee (Osservazione a livello corporeo): sono le funzioni fisiologiche dei
sistemi corporei, incluse le funzioni psicologiche. Esse sono organizzate nei seguenti 8 Capitoli :
1. Funzioni mentali
2. Funzioni sensoriali e dolore
3. Funzioni della voce e dell’eloquio
4. Funzioni del sistema cardiovascolare, ematologico, immunologico e respiratorio
5. Funzioni del sistema digestivo, metabolico ed endocrino
6. Funzioni genitourinare e riproduttive
7. Funzioni neuromoscoloscheletriche e collegate al movimento
8. Funzioni della cute e strutture associate

s (structure) Strutture corporee (Osservazione a livello corporeo): sono parti anatomiche del
corpo come organi, arti e le loro componenti. Esse sono organizzate nei seguenti 8 Capitoli:
1. Strutture del sistema nervoso
2. Occhio, orecchio e strutture collegate
3. Strutture collegate alla voce e all’eloquio
4. Strutture dei sistemi cardiovascolare, immunologico e respiratorio
5. Strutture collegate al sistema digestivo, metabolico ed endocrino
6. Strutture collegate al sistema genitourinario e riproduttivo
7. Strutture collegate al movimento
8. Cute e strutture collegate

d (domain) Attività e partecipazione (Osservazione a livello della persona): indicano l’esecuzione


di un compito o di un’azione da parte di un individuo. A discrezione dell’utilizzatore, tale lettera
può essere sostituita con a e p, per indicare rispettivamente attività e partecipazione. Sono
organizzate nei seguenti 9 Capitoli:
1. Apprendimento e applicazione della conoscenza
2. Compiti e richieste di carattere generale
3. Comunicazione
4. Mobilità
5. Cura della propria persona
6. Vita domestica
7. Interazioni e relazioni interpersonali
8. Principali aree della vita
9. Vita di comunità, sociale e civica

Parte seconda. Fattori Contestuali


Componenti:

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e (environment) Fattori ambientali (Osservazione a livello ambientale): sono caratteristiche del
mondo fisico, sociale e degli atteggiamenti, che possono avere impatto sulle prestazioni di un
individuo in un determinato contesto. Essi sono organizzate nei seguenti 5 Capitoli:
1. Prodotti e tecnologia
2. Ambiente naturale e cambiamenti apportati dall’uomo all’ambiente
3. Supporto e relazioni
4. Atteggiamenti
5. Servizi, sistemi e politiche

Fattori personali : non sono classificati specificamente (nè sono segnalati da una lettera) poiché
fanno riferimento al singolo individuo, al vissuto personale e rappresentano le caratteristiche
individuali non riconducibili alla condizione di salute o degli stati ad essa correlati.
Comprendono:
il sesso, la razza, l’età, la forma fisica, lo stile di vita, le abitudini, l’educazione ricevuta, la
capacità di adattamento, il background sociale, l’istruzione, la professione, gli eventi della vita
passata e attuale (l’esperienza) e i modelli di comportamento generali e stili caratteriali.

Nello schema seguente viene proposta una visione generale dell’ICF dalla quale sono rilevabili le
componenti dell’CF e le loro interazioni (OMS, 2001, p.23)

La classificazione, dunque, è articolata su più livelli, identificati con codici alfanumerici; così, ad
esempio, il codice alfanumerico b11420 va letto nel seguente modo:
b = strutture corporee
b1 = strutture mentali
b11 = funzioni mentali globali
b114 = funzioni dell’orientamento
b1142 = orientamento alla persona
b11420 = orientamento a se stessi
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ed è quindi chiaro il riferimento alle funzioni mentali dell’individuo, contestualizzate in un
processo di costruzione progressiva della propria identità.
Il codice alfanumerico viene così costruito passo dopo passo e rappresenta sia l’organizzazione
classificatoria sia la possibilità di identificare in modo rapido e condiviso le informazioni che
permette di rilevare.
 

5.  Profilo di funzionamento e analisi del contesto per rilevare “ barriere” o “facilitatori”: il


principio dell’accessibilità

L’ICF rappresenta allo stato attuale, pur nella consapevolezza della necessità di
approfondimenti ulteriori che ne possano chiarire soprattutto l’applicabilità in ambito educativo, la
dimensione concettuale e lo strumento operativo più efficace e maggiormente condiviso per
identificare i bisogni educativi speciali che, come è stato già detto fin dal paragrafo iniziale, non
devono essere ridotti a problemi del singolo ma devono essere invece considerati in una visione
complessiva e interattiva tra l’ambiente e l’individuo.
In tale prospettiva è importante sottolineare l’opportunità che l’ICF offre di realizzare una
progettazione inclusiva in cui il significato di “accessibilità” diviene la chiave di lettura
fondamentale del processo di inclusione stesso e per il successo delle iniziative che a tale scopo
vengono intraprese nella molteplicità dei contesti (Chiappetta Cajola, 2012).
E’ infatti proprio l’esercizio del diritto all’accessibilità sancito dalla già citata Convenzione
delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità che può permettere loro “di vivere in
maniera indipendente e di partecipare pienamente a tutti gli aspetti della vita” (ONU, 2006, art.9).
Ciò comporta l’eliminazione di barriere o di ostacoli di qualsiasi genere e in qualunque
contesto possibile soltanto in una dimensione culturale e di politica sociale che ponga al centro la
persona e il suo diritto a disporre di condizioni ambientali ideali per la propria autodeterminazione
A fronte di barriere/ostacoli l’ICF auspica l’introduzione, l’incremento, la valorizzazione e
l’impiego efficace di facilitatori di vario tipo finalizzati alle attività e alla partecipazione di
ciascuno.
Conoscere dunque l’allievo mediante una molteplicità di fonti affidabili che possano fornire
informazioni da condividere nelle varie sedi di competenza e analizzare il suo contesto di vita,
identificando con attenzione i livelli di attività e di partecipazione in relazione ai fattori ambientali,
permette di tracciare il “profilo di funzionamento” di qualsiasi soggetto nelle diverse aree di
sviluppo. Tutto ciò è certamente favorito dall’universalità del linguaggio dell’ICF e dalla flessibilità
del suo uso.
 

6. I “qualificatori”

Nel l’ICF viene sottolineato che i codici presenti “richiedono l’uso di uno o più qualificatori,
che denotano per esempio, l’entità del livello di salute o al gravità del problema in questione. I
qualificatori vengono codificati con uno, due o più numeri dopo un punto. L’uso di ciascun codice
dovrebbe essere accompagnato da almeno un qualificatore. Senza i qualificatori i codici non hanno
alcun significato intrinseco (l’OMS interpreta i codici incompleti come assenza problema –
xxx.00)” (OMS, 2001, p175).
I qualificatori si aggiungono al codice numerico per indicare l’estensione o gravità della
menomazione: ad esempio, b167.3 indica una grave menomazione relativa alle funzioni del
linguaggio.
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In questo senso, i qualificatori costituiscono una ulteriore classe di definizione e permettono
di associare a ciascuna persona un livello di funzionamento in relazione alle “Funzioni e strutture
corporee”, all’ “Attività e alla partecipazione”, e ai “Fattori ambientali e personali”.
Per quanto riguarda in particolare i qualificatori che consentono di individuare con precisione
le difficoltà nell’area dell’attività e partecipazione, l’ICF fa riferimento al qualificatore di
performance (importante in ambito scolastico) che descrive ciò che una persona fa nel suo
ambiente abituale nell’ambito di una relazione d’aiuto, e al qualificatore di capacità, che descrive
l’abilità della persona nell’eseguire un compito o un’azione in un ambiente standard.
Per quanto riguarda i fattori ambientali, infine, si hanno dei qualificatori relativi alle barriere
e ai facilitatori.
Anche per quanto riguarda i “Fattori ambientali”, i codici alfanumerici collegati alle
definizioni delle categorie individuali vengono infatti completati dai rispettivi qualificatori.
L’ICF considera:
• “Barriere” i fattori presenti nell’ambiente di una persona che, mediante la loro assenza o
presenza, limitano il funzionamento e creano disabilità.
• “Facilitatori” i fattori presenti nell’ambiente di una persona che, mediante la loro assenza o
presenza, migliorano il funzionamento e riducono la disabilità (OMS, 2001, p. 169).

7.  L’ICF-Children and Youth (ICF-CY)

Un ulteriore e straordinario contributo per gli insegnanti e per altri operatori interessati
all’impiego dell’ICF nei confronti dei bisogni educativi speciali, che si sviluppano nelle prime due
decadi di vita, proviene dalla “Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e
della Salute: Bambini e Adolescenti” (ICF-CY), elaborata dalla stessa equipe e pubblicata nel 2007
(OMS, 2007)
E’ “dedicata ai bambini di tutto il mondo e a tutti coloro che sono stati bambini” : sono le
parole con cui ha inizio il testo della Classificazione.
Pur mantenendo l’impostazione concettuale e la struttura dell’ICF del 2001, la Classificazione
del 2007 pone in evidenza che i soggetti in età evolutiva svolgono attività diverse (Chiappetta
Cajola, 2012) da quelle degli adulti e i loro ambienti di vita cambiano notevolmente durante la
crescita.
“L’ICF-CY è stato sviluppato per rispondere all’esigenza di una versione dell’ICF che
potesse essere universalmente utilizzata per bambini e adolescenti nei settori della salute,
dell’istruzione e dei servizi sociali. Nei bambini e negli adolescenti le manifestazioni di disabilità e
le condizioni di salute sono diverse, nella loro, natura, nella loro intensità e nel loro impatto, da
quelle degli adulti. E’ necessario tener conto di queste differenze in modo che il contenuto della
classificazione rifletta i cambiamenti associati allo sviluppo e colga le caratteristiche dei differenti
ambienti e gruppi d’età (...) I primi due decenni di vita sono caratterizzati da una rapida crescita e
da mutamenti significativi nello sviluppo fisico, sociale e psicologico
di bambini e giovani. Contemporaneamente avvengono altri cambiamenti che definiscono e
caratterizzano la natura e la complessità dell’ambiente infantile stesso durante la prima e seconda
infanzia la preadolescenza e l’adolescenza. Ognuno di questi cambiamenti si accompagna a un
aumento della competenza, della partecipazione sociale e dell’indipendenza di bambini e
adolescenti.
La Classificazione Internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute: Bambini e
Adolescenti” (ICF-CY) deriva della Classificazione Internazionale del funzionamento, della
disabilità e della salute”(OMS, 2001) ed è realizzata per documentare le caratteristiche dello
sviluppo del bambino e l’influenza dell’ambiente circostante. L’ICF-CY può essere utilizzato da chi
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eroga servizi, dagli utenti e da tutti coloro che hanno a che fare con la salute, l’istruzione e il
benessere di bambini ed adolescenti. (...)” (OMS, 2007, pp.1-2).
Questa specifica Classificazione risponde quindi all’esigenza di disporre da parte di coloro
che si occupano dello sviluppo di soggetti in età evolutiva, come è il caso degli insegnanti, di uno
strumento in grado di riferirsi al funzionamento del bambino e dell’adolescente, integrandone i
diversi aspetti della crescita. In particolare affronta i seguenti aspetti:
• il contesto della famiglia e più in generale delle figure adulte di riferimento;
• il ritardo evolutivo (non presente nell’ICF del 2001) in quanto il momento della comparsa di
• certe funzioni o strutture corporee dell’acquisizione di alcune abilità, può variare in funzione
• delle differenze individuali nella crescita e nello sviluppo;
• la partecipazione in prospettiva sociale del funzionamento che può modificarsi
• sensibilmente sia con lo sviluppo del soggetto sia con le differenti situazioni di vita;
• i contesti ambientali, che cambiano notevolmente per natura e, complessità nel passaggio
• dalla prima infanzia all’adolescenza.
Tra questi ultimi, la scuola è considerata una delle aree di vita fondamentali per i soggetti in
età evolutiva. Per questa ragione, mentre nell’ICF del 2001 la scuola veniva indicata nel blocco
“Istruzione” facendo riferimento ad alcune categorie generali (istruzione informale, istruzione
prescolastica, istruzione scolastica, formazione professionale e istruzione superiore), nell’ICF-CY
queste stesse non solo vengono definite con maggiore precisione nelle loro caratteristiche, ma sono
arricchite di ulteriori aspetti ritenuti rilevanti, quali ad esempio quelli relativi a come e se il
bambino o l’adolescente
• accede ad un programma di istruzione;
• passa da un livello all’altro;
• mantiene un programma di istruzione;
• progredisce in un programma di istruzione;
• termina un programma di istruzione o delle tappe scolastiche.

Analogamente importanti sono considerate sia la partecipazione alla vita scolastica e alle
attività connesse, come uscite didattiche e occasioni conviviali, sia l’impegno negli aspetti della vita
scolastica e nelle associazioni ad essa collegate alla scuola quali possono essere, ad esempio,
l’assemblea degli studenti o la rappresentanza degli studenti.
 

8.  L’ICF e il suo apporto alla didattica inclusiva

Come gli insegnanti ben sanno, il processo di integrazione nella prospettiva inclusiva
richiede la messa in atto di una molteplicità di sinergie umane e professionali, interne ed esterne
alla scuola, sulle quali poter contare sistematicamente.
In questa ottica, è dunque il caso di sottolineare che l’ICF (e l’ICF-CY), con la sua stessa
struttura e il modello di lettura della salute che propone, pone in primo piano la necessità del
lavoro in equipe come modalità fondamentale per affrontare le situazioni educative e formative e
richiede che ognuno dei professionisti impegnati nel lavoro preventivo, riabilitativo, terapeutico,
educativo (scolastico ed extrascolastico) individui e descriva secondo la propria specifica
competenza il “dominio” della salute o il dominio correlato alla salute in cui esiste il problema per
un determinato soggetto.

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Ciò dovrebbe facilitare non solo la comprensione tra le figure coinvolte attraverso l’uso di un
linguaggio univoco, ma dovrebbe anche permettere di raggiungere elevati livelli di accordo
diagnostico, riabilitativo-educativo tra gli operatori dei vari settori.
Gli insegnanti, peraltro, sono consapevoli dell’importanza di riconoscere ed individuare
tempestivamente gli allievi che presentano difficoltà, non solo nell’ambito dell’apprendimento
scolastico e dello sviluppo delle competenze, ma in ogni campo del loro sviluppo fisico, psichico e
sociale.
Vi sono infatti condizioni diversificate che configurano soggetti con bisogni educativi
speciali, dei quali si è detto in precedenza, che, con un trattamento pedagogico adeguato, possono
superare difficoltà spesso reversibili, partendo dalla situazione complessiva di ‘funzionamento’
nell’ottica dell’ICF.
Il concetto di “bisogno educativo speciale” può essere inteso come una difficoltà di tipo
evolutivo nel funzionamento del soggetto dal punto di vista educativo e dell’apprendimento, e
dunque di uno stato di difficoltà in cui può venirsi a trovare un bambino, un preadolescente o un
adolescente a causa di differenti problematiche personali e sociali, e non esclusivamente a causa di
una disabilità. E’ un concetto che fa quindi riferimento non ad una specifica categoria di soggetti,
ma si riferisce per estensione a una pluralità. Come afferma Ianes, infatti, “il Bisogno Educativo
Speciale è qualsiasi difficoltà evolutiva, in ambito educativo e apprenditivo, espressa in un
funzionamento, nei vari ambiti della salute secondo il modello ICF dell’OMS che risulti
problematico anche per il soggetto, in termini di danno, ostacolo o stigma sociale,
indipendentemente dall’eziologia, e che necessita di educazione speciale individualizzata” (D.
Ianes, 2005, p. 29).
Già l’UNESCO nel 1997 aveva avvertito l’esigenza di definire il bisogno educativo speciale
estendendone il significato “al di là di quelli che sono inclusi nelle categorie di disabilità, per
coprire quegli alunni che vanno male a scuola per una varietà di altre ragioni che sono note nel loro
impedire un progresso ottimale. (...) Se questo gruppo di bambini, più o meno ampiamente definito,
avrà bisogno di un sostegno aggiuntivo, dipenderà da quanto la scuola avrà bisogno di adattare il
curricolo, l’insegnamento, l’organizzazione o le risorse aggiuntive umane e/o materiali per
stimolare un apprendimento efficace ed efficiente” (UNESCO, 1997).
All’interno di questo quadro, l’ICF aiuta a definire le diverse condizioni in cui è rinvenibile
un bisogno educativo speciale sia se caratterizzate da problemi biologici, corporei e di attività
personali, sia se derivano da problemi contestuali, ambientali o da partecipazione sociale.
Infatti, nell’ottica dell’ICF, un bisogno educativo speciale si può originare nella struttura e
nelle funzioni corporee di un individuo dando luogo a minorazioni sensoriali, motorie o cognitive;
oppure nell’ambito delle attività personali, generando in questo caso difficoltà nella comunicazione,
nel linguaggio, nell’autonomia personale e nell’interazione con gli altri. Ma si può anche originare,
allo stesso modo, ancora nei fattori contestuali ambientali a causa, ad esempio, delle barriere
architettoniche, ma anche culturali e sociali quali i pregiudizi e gli stereotipi, o anche aa causa di
una didattica non inclusiva; o ancora nei fattori contestuali personali derivanti dallo scarso senso di
autoefficacia, autostima o da problemi comportamentali che talvolta possono essere anche di
particolare gravità (autolesionismo, autoemarginazione).
Si tratta, come è evidente, di situazioni molto problematiche che, dopo una attenta
valutazione, vanno affrontate in ambito scolastico con una didattica decisamente inclusiva e
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individualizzata, in grado di attivare congiuntamente in un unico processo sia l’integrazione sia
l’inclusione. È infatti l’individualizzazione del processo di insegnamento- apprendimento che,
tenendo conto dei bisogni educativi speciali di ciascun alunno, permette di valorizzare la ricchezza
della flessibilità della didattica, rendendola efficace e produttiva alla soddisfazione di determinati
bisogni. Flessibilità non è, dunque, una parola magica, né un nuovo idolo; è una scelta didattica a
favore dell’individualizzazione/personalizzazione dell’insegnamento e dell’apprendimento,
altrimenti impossibile da realizzare.
I tre livelli di osservazione che la classificazione comporta, ovvero a) a livello del corpo,
ovvero di menomazione di funzione o di struttura corporea; b) a livello della persona, cioè di
limitazione della attività o restrizione alla partecipazione; c) a livello dell’ambiente, inteso come
fattore contestuale determinante nel definire la disabilità, ovvero come barriera o facilitatore,
possono dunque rappresentare un modello per attivare progettualità condivise e sinergie strategiche
al processo di integrazione e di inclusione degli allievi.
A livello operativo ciò si realizza con la comunicazione tra le diverse figure, superando i
tradizionali descrittori “in negativo” utilizzati per la persona con disabilità, non limitandosi ai
certificatori di menomazione, disabilità ed handicap previsti dall’ICIDH, ma introducendo
descrittori capaci di evidenziare le potenzialità dell’individuo con le quali valorizzare le singole
diversità; va abbandonato lo stereotipo, tanto diffuso quanto inadeguato, della disabilità come stato
negativo da superare. E necessario quindi utilizzare il linguaggio educativo che nasce dal dialogo,
cioè da una comunicazione in “direzione educativa” che allude a un modo di relazionarsi all’altro,
di rivolgersi all’altro, di trovare e indicare strade per incontrarlo e farsi incontrare. Non è dunque un
caso che la ricerca di un linguaggio condiviso per la descrizione della salute e delle condizioni ad
essa correlate per migliorare la comunicazione tra i diversi utilizza- tori, sia uno degli scopi
operativi dell’ICF per una ricerca attiva e priva di pregiudizi delle potenzialità di ogni persona.
Ciò è possibile solo se si dispone di “un modello concettuale e di un abbozzo di linguaggio
comune tra persone che contribuiscono all’elaborazione di una conoscenza condivisa della
situazione del soggetto. L’ICF ci fornisce esattamente questo modello concettuale e questo
linguaggio comune” (D. Ianes, 2004, p.44). Affinché questa classificazione possa essere funzionale
agli obiettivi dell’integrazione scolastica è quindi indispensabile che interagisca con le procedure
comunicative e i processi decisionali implicati nella progettazione e stesura della documentazione
già prevista.
Ad esempio, i principi di dinamicità e di attenzione alla complessità della persona che, come
vedremo nelle pagine successive, regolano la stesura del PDF trovano una chiara corrispondenza
con i criteri che sono alla base dell’ICF in direzione di un “profilo di funzionamento” quale sintesi
di Diagnosi Funzionale e Profilo Dinamico Funzionale. Significativamente condivisa a tali
strumenti è infatti la necessità di interpretare il ‘funzionamento’ della persona come il risultato della
continua relazione e comunicazione tra vari sistemi informazionali: genetico, immunologico,
ormonale, psicologico, relazionale e sociale.
Allo stesso modo, l’apporto dell’ICF è evidente infatti anche sul piano operativo in quanto le
molteplici categorie descrittive delle funzioni e strutture corporee, delle attività, della
partecipazione, e dei fattori ambientali e personali, opportunamente declinate, offrono un contributo
certamente utile alla definizione del PEI, dalle competenze agli obiettivi di apprendimento, dai

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contenuti alle strategie didattiche, alla verifica, alla valutazione e all’autovalutazione, per quanto
possibile da parte dell’alunno disabile.
Nel contesto scolastico, sta agli insegnanti confrontarsi con questo nuovo strumento di
integrazione accogliendone la prospettiva inclusiva per raccordare al meglio il progetto formativo
della scuola con il progetto di vita dell’alunno e della sua famiglia.

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