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Novecento
Docenti Carmela Covato, Francesca Borruso
(1 credito)
FORMAT PER LA COSTRUZIONE DELLE UNITA’ DI STUDIO
1 CFU
Obiettivi formativi:
1. Analizzare lo sviluppo storico del ruolo dell’insegnante in Italia fra Otto e Novecento.
2. Stabilire i nessi fra la realtà attuale e le caratteristiche del corpo docente nella storia
Paragrafi:
Introduzione
c)Scuola e fascismo
d)Donne insegnanti
Nell’ambito degli studi storiografici che hanno affrontato l’evolversi della scuola nella storia
del nostro paese a partire dall’unificazione, la questione del ruolo degli insegnanti, del loro
status e della loro formazione non è mai stata sufficientemente approfondita, se si esclude il
tema dei maestri e delle maestre, ai quali è spettato il compito della prima alfabetizzazione
La centralità culturale e formativa degli insegnanti della scuola secondaria, non è dunque,
Per affrontare questo problema non è irrilevante tentare di capire qual è stato il percorso
Una delle indagini più significative svolte in questa direzione è quella condotta da Ester De
1
E. De Fort, Gli insegnanti, in G. Cives (a cura di), La scuola italiana dall’Unità ai nostri giorni, La
Nuova Italia, Firenze 1989, pp. 199-262.
a) La nascita del corpo docente
Al momento della sua unificazione, per il nuovo Sato nazionale, la formazione di un corpo
della scuola del nuovo Regno, che ereditava al contrario realtà, quelle presenti negli stati
Basti pensare, a questo proposito al conflitto fra Stato e Chiesa e alle tensioni da esso
Da questo punto di vista, si può parlare di una fase di emergenza, nella quale il reclutamento
avvenne guardando più alle garanzie patriottiche che ai requisiti professionali effettivamente
«L’imposizione della laurea e della patente per esercitare non può certo valere in una fase di
emergenza, nelle quali le istituzioni preposte alla formazione degli insegnanti sono ancora da
organizzare (come le scuole normali per i maestri), o insufficientemente frequentate (nel 1866
Rispetto alla posizione dei maestri, per i quali era sufficiente ottenere una patente dopo aver
frequentato la scuola normale dalla durata triennale, che non consentiva l’accesso
vanamente, perseguito dai maestri): hanno quindi maggiore stabilità d'impiego e godono di
una pensione meno aleatoria ed esigua di quella offerta dal Monte Pensioni dei maestri. In
realtà anche questa professione non offre molte attrattive, a cominciare dallo stipendio, che,
2
Ivi,p. 199.
secondo Correnti, è «uno stipendio di portiere per punto di partenza e uno stipendio di
sottosegretario per apogeo» (cit. in Santoni Rugiu, 1981, p. 130). Il confronto con gli stipendi
degli impiegati statali, anche inferiori per titolo di studio, è largamente svantaggioso per i
professori. Si tratta comunque di un confronto difficile, per il ginepraio delle carriere e degli
Accanto ai professori titolari, soli a godere di piena stabilità, la legge Casati istituisce i
reggenti, nominati per un tempo determinato non superiore ai tre anni (ma riconfermabili:
artt. 213 e 290). Si prevede, inoltre, che gli insegnamenti di aritmetica, storia, geografia nei
ginnasi e licei e quelli delle materie non principali nelle scuole e istituti tecnici possano
essere affidati a istitutori o incaricati particolari, con nomina annuale riconfermabile (artt. 204
e 289). Viene così introdotta, quasi di straforo, una figura professionale — l'incaricato — che
sarà largamente utilizzata non solo per far fronte alla carenza d'insegnanti ma anche per
ottenere significativi risparmi sul bilancio. L'endemico problema della mancanza d'insegnanti
assume, infatti, nuove caratteristiche nel corso del secolo: le Università, in progressiva
molte classi ordinarie, si scontra con l'immutabilità dei ruoli organici. Non potendo
provvedere ai bisogni crescenti col personale di ruolo, il ministero deve così procedere
ministri non di rado, premuti dai troppi aspiranti e sospinti dai troppo potenti protettori, non
osando introdurre nei ruoli persone senza concorso e magari senza alcun titolo accademico e
didattico, le relegano per favorirle in qualche modo nel limbo dell'incarico» (ora in
3
L'aumento dell'offerta di insegnanti è comunque da porre in collegamento con l'arretratezza del
tessuto economico del Paese, che non è in grado di assorbire in impieghi produttivi la quota crescente
di forza lavoro intellettuale, spinta così verso il pubblico impiego (cfr. Barbagli, 1974).
Salvemini, 1966, p. 9). Di fronte alla crescente disoccupazione intellettuale, si moltiplicano
gli arbitrii dell'esecutivo, non più motivati dall'esigenza impellente di trovare insegnanti per
la scuola, bensì da quella di trovare una classe per un giovane raccomandato. Oltre a prestarsi
dolorosa condizione di fronte ai loro colleghi di ruolo, e condannati a vivere una triste vita di
ansie ad ogni fine d'anno», nell'attesa della riconferma (ora in Salvemini, 1966, p. 10) .
tappa non indispensabile, anche se sempre più frequente della «via crucis» dell'insegnante, la
maggior parte dei professori comincia la sua carriera col grado di reggente. La reggenza,
Stato possa verificare l'attitudine didattica dell'insegnante, è destinata a protrarsi per alcuni
anni, non di rado sino a dieci. E quindi solo dopo un lungo e faticoso iter che il professore
giunge al culmine della carriera, diventando titolare. Tale iter prevede anche numerosi
spostamenti di sede: spesso gli insegnanti vengono inviati in sperdute cittadine di provincia,
aggiornamento.
Sono numerose le testimonianze sullo choc provocato dallo scontro con la realtà locale da
inutilizzabile: da Cerri approdato a Bivona da Lipsia, ove ha compiuto seri studi filologici
(cfr. Raicich, 1982, p. 62 ss.), a Monti, allievo di Stampini, Valmaggi e Pezzi, mandato a
Bosa, «il rifiuto dei rifiuti in fatto di prime sedi» che ben presto si rende conto della necessità
Protagonisti del “giro d’Italia dei professori” , sono soprattutto gli insegnanti settentrionali.
sbalestrato», costretto spesso a «consumarvi di malavoglia gli anni migliori della labile
giovinezza» . Alcuni di essi però vedono in questo esilio una fonte di preziose esperienze,
grazie al «contatto con genti e terre diverse», e scoprono una vocazione sociale, come Isnardi,
avviano studi sulla storia del paese in cui sono capitati a insegnare (cfr. Raicich, 1982, p. 64).
Si tratta indubbiamente di personalità eccezionali, anche dal punto di vista culturale. Ciò non
toglie però che essi offrano esempi di una scelta professionale non meramente di ripiego.
con una vocazione letteraria. Pur se mal pagato, esso offre sufficiente tempo libero per
continuare gli studi, ed è in qualche caso un gradino per la docenza universitaria (cfr. Raicich,
1982, p. 60).
Certo la maggioranza dei professori è ben lungi dall'aspirare alla dignità accademica; tuttavia
il miglioramento del loro livello qualitativo, nel corso del secolo, è indubbio. L'aumento
dell'offerta di laureati consente infatti una maggiore selezione e riduce i margini per
l'assunzione di candidati privi dei requisiti richiesti dalla legge. Ciò non comporta ancora
quel radicale rinnovamento della formazione, che comincia a essere da più parti auspicato,
con la progressiva entrata in crisi del concetto tradizionale — già superato nell'insegnamento
elementare — che per insegnare è sufficiente sapere. Dopo il fallimento della Scuola
superiore di pedagogia, istituita nel Piemonte preunitario, a causa della diffidenza dei
professori, convinti che i «marchingegni pedagogici» fossero buoni solo per i maestri
(Santoni Rugiu, 1981, p. 27), anche l'istituzione, da parte dello Stato nazionale, di scuole
dell'École Normale di Parigi, non ottiene grandi risultati (cfr. Santoni Rugiu, 1981, pp. 133
ss.). I corsi di Magistero, attraverso i quali il futuro insegnante dovrebbe «rendersi esperto
nell'arte di insegnare», non sono presi sul serio né dagli studenti (non essendo obbligatori), né
dai professori. Questi ultimi infatti, «in quanto sono professori universitari, cioè dedicati alla
pura ricerca scientifica disinteressata, non hanno in generale nessuna preparazione per fare i
corsi di magistero; [...] e riducono in generale il loro insegnamento a far fare agli alunni
qualche lezione davanti a classi che [... ]non esistono, dando qualche precetto empirico e
qualche consiglio più o meno ragionevole» (Salvemini-Galletti, 1908, ora in Salvemini, 1966,
p. 565). La formazione degli insegnanti si limita così alle cattedratiche lezioni impartite dalle
Facoltà: non c'è quindi da stupirsi se il rapporto con gli alunni si plasma sulla lezione
meccanicamente le abitudini dei loro vecchi professori (cfr. Galletti-Salvemini, 1908, ora in
4
Ivi,pp. 207-210
B) LE LOTTE DEGLI INSEGNANTI
A partire dal primo Novecento, gli insegnanti della scuola italiana sperimentano
organizzazioni sindacali e di categoria che avranno una certa influenza nella politica
soccorso e di reciproca assistenza, a partire dai primi anni del Novecento assumo finalità
Permangono, tuttavia, anche in queste nuove esperienze forti resistenze nei confronti di forme
di organizzazione troppo rigide, del ricorso allo sciopero considerato improprio all’alta
missione che si intende svolgere e di iniziative che potrebbero provocare molto temute
«Tra i professori è profondamente radicata l'ideologia del funzionariato, che induce a non
moderato è prevalente, non foss'altro che per la numerosa presenza delle donne, che il
fondatore dell'U.M.N., il radicale Credaro, considera poco disponibili alle lotte della vita
pubblica «per eredità atavica, per tradizione storica, per abitudine sociale, per forma di
vengono per il momento posti in secondo piano grazie al nuovo clima politico e all'azione di
della categoria, e soprattutto grazie ai successi iniziali del movimento, ma che riappariranno
nei momenti difficili. Gli insegnanti democratici e socialisti, che han fatto talvolta il proprio
tirocinio politico nelle associazioni dei partiti, costituiscono l'elemento trainante
più che un atto meramente formale. Essa conferma la crescente capacità d'attrazione nei
confronti del «proletariato intellettuale» da parte delle forze d'estrema sinistra, rafforzate
dagli esiti della battaglia politica di fine secolo, e l'incontro tra il loro obiettivo di porsi come
stimolo e guida dell'associazionismo di ceti medi, con spinte autonome maturate all'interno
degli stessi. Non è un caso quindi che l'iniziativa di una lega nazionale di maestri, lanciata
di Credaro, raggiungendo subito i trentamila soci (il 53% degli insegnanti pubblici). La
stampa scolastica, espressione degli insegnanti più intraprendenti, vede così confermato il suo
ruolo unificatore di una categoria dispersa e disomogenea, che scopre attraverso di essa
rivendicativa degli insegnanti in una prospettiva di collaborazione coi pubblici poteri, pur
politica dell'U.M.N. non mira solo a non alienare all'organizzazione la base moderata, ma
esprime la riconciliazione del partito radicale con le istituzioni (cfr. De Fort, 1981, pp. 376-
377).
un'influenza profonda sulla vita del paese. Esse quindi considerano la tutela degli interessi
degli insegnanti nell'ambito dei più generali interessi della scuola, proponendo a questo fine,
sia pure con sfumature diverse, la costituzione di un «partito della scuola» che raccolga forze
politiche anche diverse verso un obiettivo che è considerato di vitale importanza per il paese.
ottenere ben presto frutti cospicui. Con l'approvazione della legge sullo stato giuridico, del 19
febbraio 1903, n. 43, i maestri ottengono efficaci garanzie sulle nomine, sottratte all'arbitrio
delle amministrazioni, e sulla stabilità dell'impiego. È vero che si tratta di concessioni che
vengono fatte soprattutto a spese dei Comuni, ma non si può comunque sottovalutare la
portata innovativa di questa legge, che riconosce tra l'altro agli insegnanti una certa libertà di
proposito che saranno di qui a poco approvate col testo unico degli impiegati pubblici (cfr. De
Fort, 1984, p. 535). Ben più difficile è la lotta che i professori devono combattere per lo stato
politiche. L'accesa battaglia condotta dalla F.N.I.S.M., con campagne di stampa e denunce
all'opinione pubblica, attira la deplorazione del ministro Bianchi, per il quale è inconcepibile
che i professori siano arrivati «al punto di discutere — qualche volta poco serenamente —
La legge dell'8 aprile 1906 stabilisce finalmente il principio dell'obbligo inderogabile del
La stessa legge inoltre istituisce una Giunta superiore della P.I. competente per l'istruzione
media. La giunta è composta, accanto a 4 consiglieri di nomina regia, da due membri eletti
dagli insegnanti. Un'altra legge dello stesso giorno, n. 42, semplifica i ruoli e stabilisce nuove
tabelle di stipendio.
5
Ivi, pp. 214-215.
C) Gli insegnanti e il fascismo
«Secondo gli idealisti, la rigenerazione morale degli italiani, più che mai urgente dopo una
guerra nella quale sono affiorati egoismi particolaristici e tendenze dissolvitrici della
progetto che si pone come obiettivo la duratura trasformazione del quadro politico.
Per questo, gli insegnanti per primi devono rinnovarsi profondamente, aprendosi a una
cultura che superi il nozionismo e l'enciclopedismo della scuola tradizionale. La riforma della
scuola magistrale è uno dei più rilevanti problemi politici, poiché è nella scuola elementare
che «si gettano le basi della granitica unità nazionale e della grandezza della patria, o i germi
della discordia, del settarismo, della dissoluzione sociale» (Appello per un «Fascio di
nell'ambito di una riforma globale della scuola secondaria che ripristini la serietà e la severità
degli studi, allontanandone gli incapaci, e valorizzi gli insegnamenti letterari e filosofici, che
più degli altri ne garantiscono il carattere formativo e disinteressato. Vera cultura, secondo
Gentile, in quanto educazione dello spirito, non può essere quella dello «scientismo
Si critica così in modo radicale l'impostazione che gli studi magistrali sono venuti assumendo
nel corso dell'Ottocento, in seguito all'affermarsi del positivismo in seno alla cultura italiana
(cfr. De Fort, 1986, pp. 222 ss.). Si ispirano a tale orientamento la riforma della scuola
normale compiuta da De Sanctis nel 1880 e quella del 1896, che sottolineano l'importanza
delle «conoscenze del reale», date dalle discipline scientifiche, per superare il verbalismo e
l'astrattezza dominanti nella scuola, e mirano a fondare l'insegnamento sul metodo intuitivo-
esercitando una notevole influenza sulle esperienze di formazione degli insegnanti in atto nel
mondo occidentale.
La concezione della pedagogia quale scienza autonoma e normativa, fondata sulla psicologia,
a leggi naturali verificabili, da studiare con metodi d'analisi oggettivi, sono duramente
contestate da Gentile. L'educando non è oggetto ma spirito, e la pedagogia non è «scienza del
meccanismo psico-fisico», bensì scienza della formazione dello spirito e quindi coincide con
la filosofia. Un atto educativo è tale solo se attraverso di esso si realizza l'unità degli spiriti
che vi concorrono: non esiste quindi un problema di «metodo» concepito come qualcosa di
separato dal sapere stesso (cfr. Bellucci, Ciliberto, 1978, pp. 55 e 113-115)”6.
Le riflessioni pedagogiche maturate in un clima culturale sempre più ostile al positivismo non
scolastica.
«L'indubbio prestigio del gruppo idealista, i crescenti consensi politici che la sua proposta di
riforma va incontrando, l'alleanza con i cattolici sui temi della difesa della libertà
d'insegnamento (cioè della scuola privata) e dell'insegnamento religioso (che Gentile vuole
opposizioni, sia in seno alla classe politica che tra gli stessi insegnanti, senza l'avvento del
fascismo e la concessione dei pieni poteri a Gentile. L'intensa attività svolta dagli idealisti
all'interno della F.N.I.S.M. non era riuscita, come si è visto, ad attirare sulle proprie posizioni
la maggioranza della federazione. La costituzione del Gruppo d'azione per la scuola nazionale
e quindi del Fascio di educazione nazionale, nel tentativo di creare un gruppo di pressione sui
pubblici poteri (cfr. Ambrosoli, 1980, pp. 27 ss.), pur avendo mobilitato intellettuali
prestigiosi anche di diverso orientamento, ha trovato molto minor consenso tra gli insegnanti
6
Ivi, pp.220-221
(cfr. III,3). Il misticismo idealista, l'appello al sacrificio e allo studio, il rifiuto del
rivendicazionismo, l'invito a una drastica epurazione degli incapaci sono condivisi da ristrette
élites. Ciò significa che la riforma deve essere imposta agli insegnanti, anche se alcuni suoi
aspetti sono considerati con favore. Il tentativo di rialzare il livello degli studi, il ripristino del
carattere selettivo ed elitario della scuola secondaria sono misure apprezzate da un'ampia
cerchia di professori (e più volte affiorate nel dibattito del primo Novecento, anche nei
congressi della F.N.I.S.M.). Questo rivela anche una diffusa incapacità ad affrontare
altrimenti che con la selezione il problema della «zavorra», cioè di quegli allievi che
affluiscono alla scuola nel tentativo di conseguire, attraverso il titolo di studio, una certa
ascesa sociale, ma sono privi, in quanto non sono nati agli studi, bensì fruges consumere,
delle «condizioni d'animo e di mente indispensabili agli studi liberali di queste scuole»
Suscitano consensi anche il posto privilegiato concesso alle discipline umanistiche, che
divengono l'asse centrale della rinnovata scuola secondaria, con una marcia indietro rispetto
materie scientifiche non sono d'accordo: cfr. Santoni Rugiu, 1981, p. 217), come pure la
valorizzazione di un mestiere che si configura come elevato esercizio di attività spirituali (cfr.
Santoni Rugiu, 1981, p. 215). I programmi della scuola secondaria, programmi per esame e
incontrano gli abbinamenti di materie introdotti dalla riforma (storia e filosofia e matematica
e fisica), per l'esigenza di diminuire il numero degli insegnanti per classe ed eliminare il
aggravio agli insegnanti in servizio, di solito preparati in una sola delle due discipline (cfr.
culturalmente impoverito, privo di quel valore formativo richiesto dalla riforma (cfr.
Soprattutto i maestri sono impreparati a recepire le innovazioni della riforma, che opera un
totale sconvolgimento dei concetti pedagogici e della prassi didattica tradizionali. La loro
formazione, pur se pecca per un eccessivo enciclopedismo, mira a far fronte a reali esigenze
della vita scolastica: a questo scopo è finalizzato anche il discorso sul metodo. Rinunciare al
metodo, per avviarsi sulla difficile strada di un rapporto basato sull'«intuito» e sull'«estro»
spesso il metodo è stato ridotto, anche per l'incomprensione e le carenze culturali dei maestri,
a formule stereotipate e dogmatiche prive di efficacia pratica. D'altra parte è presente, nei
maestri migliori, una cultura professionale solida e consapevole, sulla scia dei suggerimenti
della pedagogia positivista, della complessità fisiopsichica degli allievi e dei condizionamenti
(attraverso il risalto acquisito, nei programmi di Lombardo Radice, dalle attività artistiche e
abilità fondamentali: leggere, scrivere e far di conto (cfr. Ostenc, 1981, pp. 75-89).
elementare suscita forti perplessità tra i maestri, di formazione laica per lo più, e gravi casi di
coscienza, che non preoccupano il filosofo dal momento che, come afferma, «se uno non si
sente di fare il maestro di scuola potrà fare un'altra cosa e, soprattutto, pensare come crede» .
Si entra così nel vivo della sostanza autoritaria della riforma, pur velata dall'asserita
rivalutazione della libertà didattica (ma la contraddizione è solo apparente, perché per Gentile
la libertà non è individuale ma vive solo nello Stato inteso come sostanza etica). Con una
rispondenza non casuale al quadro politico entro cui si colloca, la riforma sancisce la
introdotti nella scuola dalla legislazione precedente. Vengono così eliminate le rappresentanze
scuola dell'assoluta autorità del ministro, dotato della facoltà di comminare punizioni
disciplinari (sul «preside-duce», cfr. Santoni Rugiu, 1981, pp. 283-287). La riforma viene
applicata inoltre in un clima intimidatorio, nel quale qualsiasi critica viene duramente
accompagna però la carota degli aumenti di stipendio, concessi, si fa notare, senza obbedire
ad alcuna pressione dal basso, ma solo alla considerazione dell'alta funzione sociale degli
insegnanti»7 .
Secondo alcuni studiosi, l’organizzazione scolastica derivante dalla Riforma Gentile fu più
subita che accolta dagli insegnanti, i quali dovettero tuttavia contribuire, nolenti o volenti, a
7
Ivi, pp. 221-223.
«La restaurazione della disciplina, avviata dalla riforma Gentile, è indubbiamente funzionale
concorsi più rigorosi per gli insegnanti: il regime, autoritario ma demagogico, è fragile di
fronte alle proteste contro la selezione che salgono dai ceti piccolo-medio borghesi, principali
fruitori delle secondarie. Vengono così ben presto abbattuti molti dei limiti posti dalla riforma
all'aumento del numero delle scuole e dei loro studenti, mentre si ridimensiona l'originaria
selettività dei concorsi. Tuttavia il fascismo non è mosso solo da considerazioni di tipo
unicamente con provvedimenti repressivi. Tale fenomeno sarà accentuato dalla depressione:
negli anni Trenta i livelli della scolarità secondaria salgono bruscamente. Della corsa verso
l'impiego pubblico è vittima soprattutto l'istituto magistrale, e con esso la riforma, che
riappaiono, macroscopici, i problemi a cui Gentile ha inteso porre rimedio (De Fort, 1986,
“Gli aumenti più significativi vengono concessi alla categoria più duramente messa alla prova
dalla riforma, i maestri; vengono inoltre rivalutati gli stipendi iniziali dei professori secondari
(anche se c'è un certo appiattimento retributivo nel corso della carriera, e gli aumenti nel loro
complesso non compensano quello del costo della vita: cfr. Ostenc, 1981, p. 25).problemi a
cui Gentile ha inteso porre rimedio (cfr. De Fort, 1986, pp. 230 ss.). Per il suo modesto
8
Ivi, p. 224
sbocco professionale, l'istituto si pone inevitabilmente come una copia deprezzata della
Sin dai primi risultati di esami e concorsi, vengono sottolineate le carenze culturali degli
aspiranti maestri, la loro impreparazione proprio nelle materie chiave, cioè latino e filosofia.
formazione professionale, fatta propria dalla Carta della scuola di Bottai, che reintrodurrà
Il progetto di Bottai, che peraltro ha limitate possibilità di applicazione, anche per lo scoppio
tutti gli insegnanti, anche quelli secondari (cfr. De Fort, 1986, pp. 248-249). Ma il fallimento
dell'iniziativa, che si configura fin dalle sue prime battute come un'operazione dall'alto, che
favorisce coreografiche parate di insegnanti accorsi ad ascoltare la voce dei capi, si deve
anche alla resistenza passiva che gli insegnanti oppongono a qualsiasi progetto di
rinnovamento della propria cultura professionale. Se i professori in questo non fanno che
seguire la tradizione, per i maestri il discorso è diverso. La riforma Gentile infatti, imponendo
è trattato però di una fase effimera, spentasi anche col tacito consenso dei superiori, che
tendono a burocratizzare le disposizioni della riforma o a travisarle, preoccupati, più che del
perfezionamento culturale e spirituale degli insegnanti, della loro «fede» nei confronti del
regime e della loro capacità di comunicarla agli allievi (cfr. De Fort, 1986, pp. 242 ss.)”9.
9
Ivi, pp.223-224.
D) Donne insegnanti
Dalle pagine della letteratura specialistica del settore, il problema è oramai approdato sulle
Su “La Repubblica” del 4 settembre del 2012 vengono pubblicati alcuni articoli centrati su
un dato che viene presentato come allarmante: la presenza femminile nel mondo degli
Ripercorrere storicamente i percorsi che hanno favorito nella scuola italiana un progressivo
Nell’Italia post-unitaria, come in altre realtà del mondo occidentale, si afferma, a partire dal
secondo Ottocento, una sorta di ineluttabile destino educativo per quelle ragazze, per altro
ancora una minoranza, che desideravano proseguire gli studi dopo la scuola elementare spinte
sia dalla volontà di conquistare una inedita emancipazione culturale e sociale sia perché
costrette a dotarsi di un’autonomia economica resa necessaria, dopo il declino della famiglia
«Tra gli insegnanti soprattutto le donne, generalmente di origine più elevata dei loro colleghi
nel caso delle maestre), appaiono disponibili a trasfondere nell'insegnamento valori e modelli
della propria classe sociale. In realtà, più che a una precisa collocazione di classe,
10
Gli articoli sono di M. Veladiano Le donne in cattedra, C. Pasolini, Sono allenatore, confidente,
guida, di S. Intravaia, Record alle elementari solo un uomo su venti (pp. 27,28,29). Su questo tema
vedi A. Giallongo, La difficile vita delle insegnanti, in A. Cagnolati (a cura di), Biografia e
formazione. Il vissuto delle donne, Simplicissimum book farm Srl, 2012, pp.97-108 e S. Ulivieri,
Educare al femminile, ETS, Pisa 1995;C. Ghizzoni, S. Polenghi ( a cura di), L’altra metà della
scuola. Educazione e lavoro delle donne fra otto e Novecento, SEI, Torino 2008.
11
A. Santoni Rugiu, Maestre e maestri. La difficile storia degli insegnanti elementari, Carocci, Roma
2006. Cfr. anche J. Bowen, Storia dell’educazione occidentale, tr. it. Mondadori, Milano 1983.
insegnanti manifestano in misura più spiccata rispetto agli uomini, sono da legarsi al
L'afflusso delle donne all'insegnamento è fenomeno di radici lontane: più precoce per le
maestre, che come si è visto già alla fine dell'Ottocento giungono a sopravanzare nettamente i
loro colleghi, più tardo per le professoresse. L'accesso all'insegnamento secondario è infatti in
femminile, fondato nel 1882 per formare insegnanti per le scuole femminili normali, superiori
e professionali (cfr. Di Bello, 1980). Solo a partire dai primi anni del nuovo secolo le donne
facoltà che consentano loro uno sbocco professionale concreto (dal momento che appare
estremamente difficile ottenere l'iscrizione negli albi professionali), conciliabile con gli
impegni familiari e nel quale la concorrenza maschile non è eccessiva. Per i molteplici
vantaggi della professione, oltretutto considerata dignitosa per una donna, anche di ceto
sociale medio-alto, il numero delle professoresse che nel 1913 (primo anno in cui vi sono
rilevazioni distinte per sesso) costituiscono circa il 24% della categoria, cresce costantemente
(quanto alle maestre, nel 1907-08 costituiscono circa il 70% dei sessantamila insegnanti
elementari); esse però continuano a collocarsi in una posizione subalterna nell'ambito della
gerarchia insegnante, mentre si riservano di fatto ai maschi i più ambiti posti nei licei e nella
dirigenza scolastica (cfr. Dolza, 1987, p. 111)12. Inutilmente il fascismo cerca di frenare
questo fenomeno, considerato estremamente pericoloso non solo per motivi ideologici (le
donne non appaiono in grado di fornire quell'educazione virile e guerresca che è ritenuta
indispensabile per i giovani), ma anche per motivi di ordine sociale. L'aumento della
12
Tra il 1877 e il 1900 le laureate sono solo 224 (di cui 219 laureatesi negli ultimi sette anni del secolo).
Di esse la maggior parte proviene dalle facoltà di lettere e filosofia (147), matematica e storia naturale ( Nel
1901-1910 il numero di laureate sale a 2110, mentre le diplomate all'l.S.M.F. nel 1899-1910 sono 370).
femminile un pericolo per la stabilità sociale e a ostacolarlo a ogni mezzo. Le donne vengono
così escluse dai livelli superiori dell'insegnamento secondario, mentre con provvedimenti di
vario genere si favorisce l'afflusso maschile all'insegnamento elementare (cfr. Dolza, 1987,
Nel dopoguerra, eliminata ogni restrizione, riprende inarrestabile l'avanzata delle donne
nell'insegnamento, con motivazioni peraltro non totalmente identificabili con quelle del
passato.
maestre appaiono ancora legate concetto della «vocazione» e a una visione «perbenistico-
intimista» della professione) (Livolsi et al., 1974, p. 102), le donne sono indotte alla
professione soprattutto dalla possibilità di lavoro part-time che essa offre. Tale scelta,
attenuatisi quegli aspetti sfida e quella carica emancipatrice che essa ha avuto per molte
Pasquali, certo non senza una buona dose di misoginia e d'incomprensione per le minori
opportunità di occupazione femminile, che così spiega l'invasione delle facoltà di Lettere da
parte delle donne che vi accedono perché «l'insegnamento sembra ancora alle famiglie
l'occupazione più dignitosa e insieme l'impiego più accessibile alle fanciulle di condizione,
anche solo per inerzia, perché le Lettere sembrano continuare direttamente il liceo, perché le
compagne più anziane hanno fatto quasi tutte così.., insomma per risparmiarsi lo sforzo e
responsabilità di una scelta, per vigliaccheria» (Pasquali, 1950, 36). Diversamente graduata a
seconda del prestigio dei vari gradi dell'insegnamento (massima nella scuola elementare è
minima - 21 % circa nel '71 - nell'Università ( cfr. Dei, Rossi, 1978, p. IX), la massiccia
presenza femminile nella scuola finisce per condizionare le caratteristiche della professione,
sociale”13.
13
DE Fort E., Gli insegnanti, cit. pp.237-238.
Il problema dell'accesso delle donne all'insegnamento secondario, in questo difficile contesto,
Ne è un esempio Elvira Mancuso, l'autrice qui già citata di Vecchia storia... inverosimile14, che
diviene, in quegli anni, professoressa negli istituti tecnici. La sua storia è emblematica del
cominciato a scrivere, nei primi anni del secolo, ricorrendo a vari pseudonimi, su alcune riviste
femminili. Pur avendo dovuto affrontare molti ostacoli nell'affermarsi come scrittrice, la sua
opera narrativa rappresenta una testimonianza significativa del tentativo di alcune donne
scrittrice incontrò molte difficoltà nello stabilire un rapporto diretto con Capuana, che disattese
in varie occasioni il desiderio di lei di conoscere il critico "tremendo" e "unico" per la sua
particolare sensibilità nei confronti della produzione letteraria femminile. Tuttavia nel 1907,
Capuana recensì il romanzo della Mancuso sulla «Nuova Antologia», nell'ambito di una
rassegna dedicata alle donne scrittrici, come Matilde Serao o Grazia Deledda.
Durante gli anni del fascismo, la Mancuso si chiuse in un totale silenzio, dedicandosi
La legge Sonnino-Boselli del 1906, che aveva istituito il nuovo stato giuridico
una ambiguità, oggetto di accese discussioni, sulla possibilità delle donne di accedere
Con i regolamenti del 1908 e del 1910, di fatto, le possibilità di insegnamento delle
"professoresse" vengono ristrette perché ad esse si vieta di insegnare nelle scuole miste.
14
E. Mancuso, Vecchia storia ….inverosimile, Sellerio, Palermo, 1990.
Come ha osservato Marino Raicich, «la situazione era particolarmente ingiusta perché anche
se le laureate ottenevano ottimi risultati potevano però essere assunte solo in classi femminili,
ragazze, a causa della nuova tendenza da parte delle autorità scolastiche periferiche e centrali,
di privilegiare, sia nei ginnasi sia nelle scuole tecniche, le classi miste».
Ma in seguito, durante la guerra 1915-18, eventi più grandi di queste polemiche posero fine alla
ghettizzazione delle professoresse nelle scuole femminili. La grande guerra strappò alle
cattedre e gettò «nelle trincee molti professori e parecchi di loro non tornarono più. Furono
chiamate a sostituirli, nel clima di mobilitazione generale, e non più per brevi supplenze, donne
laureate. L'analisi del variare della situazione del corpo docente in vari istituti nel corso di
Le prime professoresse della scuola italiana sono accomunate da una analoga condizione
sociale: appartengono, cioè, a famiglie di ceto medio o alto-borghese, in generale molto colte,
animate dunque da forti interessi intellettuali, ma ora anche da preoccupazioni economiche, prima
sconosciute.
nell'ambito di studi di tipo umanistico, per loro quasi un destino naturale, sebbene si trattasse
«di un destino assai privilegiato se lo paragoniamo a quello di altre donne a loro contemporanee.
Questa scelta era per lo più influenzata, come abbiamo visto, dalle condizioni finanziarie della
famiglia ed anche, in misura minore dalla volontà e dalla capacità della ragazza in questione
liceo ad Asti a partire dal 1910, come "straordinaria" di letteratura italiana è Sara Treves, prima
vincitrice di concorso nei licei. A Torino, nel 1912, si registra il livello probabilmente più alto di
15
Ibidem
professionalità femminile: 40 professoresse, 9 donne medico, 3 donne ingegnere, 2 donne
avvocato 16.
È indubbio che una distanza di classe separa le figlie dei ceti medi professionali dalla folta
schiera delle normaliste. Solo alle prime è consentito l'accesso all'università; spesso sono
animate da una ferma determinazione individuale e, nel caso delle figlie di famiglia piccolo-
percepiscono stipendi più elevati, non sono costrette a trasferirsi in località disagiate e sono
quegli anni, per una donna. Poco più che ventenni, per le esigenze della carriera devono
Alcune sono accompagnate dalla madre, altre viaggiano da sole, emule di Paolina Tacchi,
una delle prime professoresse italiane: prima laureata (nel 1895) alla Normale Superiore di
Pisa, promossa ordinaria agli inizi del secolo, trasferita a Petralia Sottana un paese delle
Madonie, poi a Lecce, infine a Livorno». Nell'anno scolastico 1920-21, su un totale di 20.742
professori di scuola media superiore, le donne sono 7.133. «Al vertice della camera - nei licei -
l'avanzata è lentissima: su 136 professoresse di liceo (i maschi sono 1.076) soltanto nove sono
insediate nelle cattedre come supplenti dei richiamati). Sessantadue insegnano nei ginnasi (rispetto
ai 1.948 insegnanti di sesso maschile); le donne hanno invece l'assoluta supremazia nelle scuole
femminili normali (829 contro 426), come nelle complementari altrettanto femminilizzate
Da un punto di vista sociale e legislativo, l'avvento del fascismo rappresenta un forte ritorno
indietro rispetto al difficile cammino compiuto, in questo campo, nel primo ventennio del secolo.
16
Ivi, p.172.
A partire dalla Riforma Gentile del 1923 fino alla Carta della scuola di Bottai del 1939, si
scuola sia come allieve sia come insegnanti, e di riportarle nuovamente nel chiuso di una
anacronistica cultura "femminile", ritenuta, per altro, qualitativamente inferiore a quella riservata
ai maschi.
Con la Riforma Gentile del 1923, nasce l'istituto magistrale, destinato a prendere
definitivamente il posto della scuola normale, nella formazione dei maestri. La sua fisionomia
istituzionale prevede una accentuazione in senso umanistico degli studi e una attenuazione
Ormai tramontate le richieste di una maggiore professionalità, espresse dai maestri nei
primi anni del secolo, grazie soprattutto allo sviluppo dell'associazionismo magistrale e
sindacale, è necessario fare i conti con una ideologia, quella del regime, che vuole trasformare
il ruolo dei maestri in una sorta di apostolato laico finalizzato a formare le nuove generazioni
In questo contesto, si cerca in tutti i modi di favorire' i maestri maschi, al fine, come si
diceva allora, di "virilizzare" l'insegnamento. Per invogliare gli uomini alla carriera magistrale
vengono addirittura individuati particolari incentivi, come l'esonero dalle tasse scolastiche, le
borse di studio, i sussidi e le graduatorie concorsuali distinte per sesso, che favorivano quelle
maschili.
Nonostante questo tentativo, il numero delle maestre, probabilmente a causa del permanere
della precarietà salariale e sociale della professione, resta sensibilmente più alto. Infatti,
«nonostante la propaganda fascista che tendeva a scoraggiare le donne e a incoraggiare invece gli
uomini nei confronti dell'insegnamento elementare, questa era la proporzione dei sessi nel
lettere, latino e greco, storia, filosofia, economia politica nei Licei e dai concorsi a cattedra di
italiano e storia negli Istituti tecnici, col pretesto che la donna non era in grado di «infondere
negli allievi lo spirito della romanità». Inoltre, accanto ad una capillare propaganda che cercava
in tutti i modi di scoraggiare le donne dall'intraprendere studi superiori, nel 1928 viene
stabilito per legge che le studentesse iscritte alla scuola secondaria e all'Università debbano
Con il Regio decreto del 28 settembre 1934, n. 1680, le donne vengono escluse dalla
nomina a Preside e Direttore dei Regi istituti e delle Regie scuole d'istruzione media e
tecnica.
L'articolo 6 prevede, infatti, che «I presidi e i direttori delle Regie scuole e dei Regi istituti
d'istruzione tecnica sono nominati dal ministro per l'educazione nazionale fra i professori
ordinari delle Regie scuole e dei Regi istituti di istruzione media tecnica appartenenti al Partito
Nazionale Fascista[…]”.
Dalla scelta sono escluse le donne, tranne che per le scuole professionali femminili e le
Inoltre, con la legge 1 luglio 1940, n. 899 sull'istituzione della scuola media si delibera,
nell'art. 9, che:
«A capo di ogni Scuola media è un preside che osserva e fa osservare le leggi e gli ordini delle
superiori autorità [...].Dall'ufficio di preside della Scuola media sono escluse le donne».
più aspro. Non a caso, proprio nel 1935, si assiste all'autoscioglimento della Federazione
Italiana Laureate degli Istituti Superiori (FILDIS), che, sulla scia dell'associazionismo
femminile nato fra '800 e '900, aveva svolto un ruolo significativo nella rivendicazione, da
parte delle donne laureate, dell'importanza sociale di un lavoro femminile extra-domestico di
carattere elevato .
Gli anni in cui si registrano le più rilevanti restrizioni all'autonomia professionale delle
donne sono gli stessi in cui Mussolini esalta la funzione educatrice, materna e oblativa della
missione femminile, come valore portante del regime e tutela della salute morale e fisica delle
nuove generazioni.
e) Nel secondo dopoguerra
segnata dall'esperienza fascista, gli insegnanti riuniti nel C.L.N. elaborarono un programma
per il futuro, in vista di una scuola autonoma dal centralismo burocratico, democratica
nell'organizzazione, nei contenuti culturali, nei metodi pedagogici, che devono superare il
un'associazione della scuola che collabori con le forze «sane» del lavoro e che affronti i
problemi economici e di categoria nel quadro di una più generale prospettiva riformatrice.
Tuttavia nel dopoguerra, con la sconfitta del «vento del nord» e il graduale sopravvento delle
mento, e da parte della stessa sinistra il problema della riforma della scuola è messo in
secondo piano o viene prospettato in termini non troppo distanti dalle posizioni gentiliane. La
defascistizzazione procede a rilento e con cautela, per il timore degli alleati di favorire le
1978, p. 105).
Di fatto sfugge all'epurazione la quasi totalità dei dirigenti scolastici fascisti, che mantengono
intatte le proprie posizioni di potere e soprattutto la natura autoritaria dei loro rapporti con gli
insegnanti. Questi ultimi sono oggetto di un soffocante controllo, mentre si esercitano pesanti
«caccia alle streghe» . La politica della D.C. (nelle cui mani, sin dal luglio '46, è passata la
pubblica istruzione) mostra di non voler troppo innovare rispetto al recente passato. Questo si
vede anche nel modo in cui essa affronta alcuni gravi problemi aperti, come quelli del
radicata presenza confessionale in questo campo. La scelta precoce e la minore durata degli
studi vengono giustificati col richiamo alla «vocazione», che per i cattolici costituisce la sola
e autentica spinta da valutare e incoraggiare. Ciò non significa che non venga riconosciuta
l'importanza di una formazione professionale (ma solo per i maestri), affidata al ripristinato
tirocinio.
29
stati sinora tenuti gli insegnanti rispetto agli sviluppi delle scienze dell'educazione avvenuti in
campo mondiale, viene risolto riproponendo i Centri didattici di bottaiana memoria, gestiti da
docenti per lo più di stretta osservanza governativa (cfr. Ambrosoli, 1982, p. 49). L'apertura alle
esperienze innovatrici da parte di quella che è stata definita «la scienza pedagogica centrista»
appare limitata al recepimento di alcune formule e tecniche che non ne scalfiscono l'impostazione
Il quadro di pesante continuità, nei quadri dirigenti e negli ordinamenti, offerto dalla scuola
postfascista nei primi anni di regime democristiano, non è certo il più propizio per il superamento,
esteriore fedeltà ai più biechi stereotipi sul maestro «artista» o sull'altezza della funzione educativa,
il controllo ottuso dei superiori e l'accentramento burocratico della vita scolastica trovano riscontro
in un insegnamento che non potrebbe essere più «decentrato, privato e individuale». «L'accentra-
dominanti della scuola italiana di questi anni: ma non si tratta di «un disgregamento crìtico,
preludente a qualche moto di rivolta e di rinnovamento; no, è pigrizia, anemia, assenza di problemi»
Il conformismo sul piano didattico e della concezione dei mestiere si riflette anche sul piano
politico, con uno spontaneo allineamento degli insegnanti sulle posizioni moderate. Di questo
fenomeno già si tentano spiegazioni sociologiche; come osserva la Bertoni Jovine a proposito del
nell'alveo di idee sorpassate. Ogni novità lo spaventa; se è spinto verso le manifestazioni della
30
politica preferisce quelle che san conciliare la sostanza vecchia con l'apparenza nuova» (Bertoni
Jovine, 1947)”17.
17
De Fort E., Gli insegnanti, cit., pp., 228-230.
31
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Ambrosoli L., La scuola in Italia dal dopoguerra ad oggi, Il Mulino, Bologna 1982.
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Sellier,Torino 1985.
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Talamo G., La scuola italiana dalla legge Casati al 1864, Giuffré, Milano 1966.
Vertecchi B., «Le fonti valutative per la storia della didattica», in Ministero peri beni culturali e
ambientali- Biblioteca Nazionale Centrale Roma, La scuola primaria dall’Unità d’Italia alla
Riforma Gentile. Mostra Bibliografica e documentaria, Roma 18 marzo-13 luglio 1985, Roma,
3) I corsi di Magistero istituiti già all’inizio del ‘900 con l’obiettivo di preparare il
futuro insegnante a “rendersi esperto nell’arte di insegnare” :
a) si limitano alla lezione cattedratica svolta dal docente universitario*
b) prevedono lo svolgimento di 400 ore di tirocinio obbligatorio presso le scuole
c) prevedono lo studio di nuove metodologie didattiche
d) sono istituiti solo per l’insegnamento nella scuola primaria
6) Nel corso della prima metà del ‘900 si registra un aumento costante del numero
delle professoresse, le quali:
a) occupano ben presto i più ambiti posti nei licei e nella dirigenza scolastica.
b) continuano a collocarsi in una posizione subalterna nell'ambito della gerarchia
insegnante*
c) non insegnano le materie scientifiche
d) insegnano solo materie letterarie
8) Nel 1926 un decreto del 1926, con la motivazione che la donna «non era in grado di
a) l'esclusione delle donne dai concorsi a cattedra di lettere, latino e greco, storia,
9) La formazione degli insegnanti della scuola secondaria nell’Italia del secondo dopoguerra: