GIUDITTA ALESSANDRINI
Professore ordinario di Pedagogia Sociale, Pedagogia del Lavoro e Pedagogia delle risorse umane
e delle organizzazioni presso l’Università degli Studi di Roma 3. È Presidente del Corso di Laurea
Magistrale Interclasse “Scienze Pedagogiche e Scienze dell’Educazione degli Adulti e Formazione
Continua”. È direttore del Master universitario di I livello HR SPECIALIST. È membro del GLOA
(Gruppo di lavoro per l’orientamento in Ateneo). Dirige il CEFORC del Dipartimento di Scienze della
Formazione (Roma Tre). E’ autrice di numerosi volumi, tra i quali: Comunità di pratica e società della
conoscenza (Carocci, Roma 2007); Formare al management della diversità (Guerini, Milano 2010);
Manuale per l’esperto dei processi formativi (Carocci, Roma 2005/2011); La formazione al centro
dello sviluppo umano. Crescita, lavoro, innovazione (Giuffrè, Milano 2013); La pedagogia di “Martha
Nussbaum”. Approccio alle capacità e sfide educative (Franco Angeli, Milano 2014)
INTRODUZIONE/SINTESI ORIENTATIVA DEL MODULO
A CURA DEL COORDINATORE DEL MODULO
OBIETTIVI FORMATIVI
• Comprendere nei suoi diversi aspetti il concetto di “competenza” nel contesto dei nuovi
scenari che caratterizzano il rapporto tra apprendimento e lavoro;
• Acquisire una comprensione delle condizioni in cui opera un formatore: le sue competenze
di ruolo, i suoi “saperi” e le declinazioni delle sue competenze;
Introduzione
Note di riferimento
Autoverifica dell’apprendimento
Bibliografia e Sitografia
SVILUPPO DEI CONTENUTI
INTRODUZIONE
Questa dispensa è dedicata ad un’area della pedagogia generale che possiamo definire
“pedagogia della formazione”.
Sottolineo in premessa che la pedagogia come disciplina è un sapere necessariamente
teorico-critico caratterizzato da un forte carattere emancipativo-trasformativo. Ciò significa che la
pedagogia, pur innestata in un costrutto teorico rigoroso, si presenta come un sapere pratico teso
alla formazione delle condizioni per la crescita del soggetto-persona nella sua dimensione
individuale ed intersoggettiva.
Come leggere, dunque, la formazione come categoria pedagogica? Quali le accezioni di
significato che le competono? Quali le dimensioni interpretative?
A quale domanda di senso risponde una “pedagogia della formazione”? Quali sono le
competenze e le responsabilità di coloro che svolgono la professione di formatore nei contesti
formativi? Con quali finalità ogni organizzazione – e quindi anche la scuola – può attivare
processi di crescita delle persone sia a livello individuale che collettivo?
L’interesse da parte di chi opera nella scuola nei confronti di questa area della pedagogia è
motivata da tre ordini di considerazioni: a) l’emergere di una nuova domanda di formazione
relativa alle competenze professionali nella scuola a partire dal riordinamento giuridico relativo
all’introduzione del quadro dell’autonomia con particolare riguardo alla figura del dirigente
scolastico; b) l’emergere di nuove istanze nell’ambiente sociale ed economico che
“premono“ sulla vita della scuola (l’emergenza della disoccupazione nelle sue diverse forme, la
progressiva caratterizzazione multiculturale delle popolazioni giovanili); c) il consolidarsi di una
prospettiva pedagogica di apprendimento permanente (life long learning) che postula nuove
domande implicite ed esplicite e forme nuove di life long guidance.
Occorre a questo punto del discorso tornare un po’ indietro per ricostruire il percorso di
definizione di una pedagogia della formazione: è solo relativamente di recente che nella cultura
italiana si è verificato quello che potremmo definire il difficile incontro tra “formazione e
pedagogia” ovvero una riappropriazione pedagogica del terreno della formazione. Le pregiudiziali
di fondo che disseminavano entrambi i sentieri delle due aree hanno reso difficile l’avvio di un
processo di riappropriazione da parte della pedagogia dello studio di una categoria
logico-concettuale fondamentale. La “riscoperta” da parte della cultura pedagogica delle diverse
piste possibili nell’area della “formazione” (l’educazione degli adulti, la pedagogia sociale e del
lavoro, il versante metodologico e didattico) sta finalmente negli ultimi anni costruendo un terreno
per certi versi nuovo e stimolante che possiamo sicuramente individuare nella sua consistenza
dal punto di vista della teoria della formazione.
La critica che spesso è avanzata agli studi relativi alla formazione scorge il rischio di una visione
ingenua e riduttiva, talvolta con un approccio retorico e prescrittivo della formazione come mero
adattamento dei soggetti ad esigenze predefinite ed in qualche modo preordinate dall’esterno.
È a partire dal ”passaggio” della pedagogia generale ad approccio centrato sulle scienze
dell’educazione, che si determina un “cambio” di paradigma epocale ed irreversibile. Grazie a
tale passaggio (di indubbia natura epistemologica oltre che storica) il tema della formazione
acquisisce maturità ed enfasi nel contesto delle discipline pedagogiche.
Questo passaggio ha recato con sé però alcuni rischi; ad esempio l’appiattimento del discorso
pedagogico su un tipo di letteratura prevalentemente descrittiva e caratterizzata da una certa
enfasi “retorica”.
Il rischio della “retoricizzazione”, in effetti, svuota l’universo del discorso pedagogico di due
elementi fondanti ed essenziali come la dimensione analitica rigorosa e la
“problematizzazione”.
Come definire dunque la formazione? Questo discorso, che riprenderemo più avanti nel testo (si
veda il paragrafo 3), si innesta su una riflessione di ambito generale sulla processualità e
sull’intenzionalità formativa. Queste due categorie sono fondamentali, infatti, per definire la
specificità della formazione.
Enfatizzare la categoria “formazione” significa riscoprire la tensione verso l’identità problematica
della pedagogia generale e sociale. Ciò significa scorgere le dimensioni critiche e
tendenzialmente antinomiche correlate all’idea di sviluppo. In altri termini, il processo di crescita
della persona può essere autonomo e spontaneo o condizionato da interventi educativi
dall’esterno e dall’alto? Si tratta di temi di grande spessore e problematicità su cui si é innervata
la storia della pedagogia nelle sue diverse elaborazioni teoriche.
La formazione è definita come “categoria reggente del pedagogico” (Cambi, 1999), come asse
alternativo sia al modello filosofico tradizionale che a quello delle scienze dell’educazione.
La formazione può essere definita come la “processualità educativa” inerente alla dialettica tra
soggetto ed oggettività culturale e sociale.
L’enfasi sul rapporto tra l’idea di formazione ed il costrutto della persona é un motivo centrale di
alcune argomentazioni ampiamente sostenute da molti autori, al di là degli steccati che
denotano gli ambiti teorici e le “scuole” .
La prospettiva “personalistica” – ad esempio –, al di là delle sue diverse forme ed espressioni
(Maritain, 1995; Mounier, 1964; Stefanini, 1952) vede l’istanza dell’autorealizzazione personale
come istanza centrale dell’evoluzione educativa del soggetto. Elemento cardine dell’impianto
personalistico è l’attenzione alla estrinsecazione del valore e della dignità del soggetto, nella sua
unicità ed irriducibilità.
La lezione del personalismo si può tradurre in chiave di lettura di un agire professionale di diverso
segno e valore rispetto ad ambiti prevalentemente tesi alla dimensione tecnico-ingegneristica.
La professionalizzazione di un insegnante non è solo possesso di tecniche ma anche stile di
comportamento, capacità di “suscitare” fattori di crescita e apertura mentale negli allievi.
La lezione “personalistica” – come ha rilevato Cesare Scurati –, si articola in alcuni nodi che si
innescano in quella che possiamo definire l’area tematica centrale della pedagogia sociale
(Scurati, 91, pag. 388): l’orientamento verso un umanesimo integrale, in grado di rispettare
l’esperienza umana nei suoi limiti e nella sua natura; l’attenzione al rispetto della libertà come
caratteristica determinante dell’uomo nella storia; la convinzione dell’esigenza di dar risalto
sempre e comunque ad una visione non strumentale ma assiologica delle finalità educative.
Un elemento cardine per i processi formativi nella scuola è il sostegno allo sviluppo di una cultura
formativa della condivisione in una prospettiva “di processo” che superi la visione meramente
disciplinare per giungere ad un approccio più ampio che veda fondamentale la generazione di
una comunità coesa e consapevole, in grado di generare alleanze con altri attori formativi
anche ai fini della partecipazione alle opportunità di innovazione emergenti a livello europeo
come il programma Erasmus + e Youth Garantee.
1. AREE ED AMBITI DELLA PEDAGOGIA DELLA FORMAZIONE
Occorre un ripensamento globale che può ben esprimersi secondo una metafora: dal modello
biologico della nutrizione, in cui è centrale il processo di erogazione di un prodotto (il cibo) da
fagocitare e metabolizzare, al modello della propagazione in cui è centrale il processo di
diffusione dello stimolo (secondo ad esempio la metafora dell’onda magnetica) in funzione della
capacità di risonanza del contesto.
Il primo è un processo lineare (del tipo causa/effetto) che è rappresentabile secondo un modello
di tipo binario (fame/sazietà) per il ricevitore ma anche per il trasmettitore (erogazione).
Il secondo è un processo olistico (del tipo interazione) che è condizionato dal contesto e
caratterizzato da fenomeni di feedback (l’eco nella propagazione del suono).
Ripensare la formazione nella direzione del “formatore consulente” e dell’apprendimento
organizzativo significa,a mio modo di vedere, operare un mutamento nel modo di intendere il
costrutto base del processo formativo.
Formazione non più e non solo come attività di progettazione di contenuti/corso, ma come
attivazione di condizioni per lo sviluppo di processi di propagazione/diffusione di forme di crescita
individuale e di gruppo in un contesto che può essere sociale oltre che organizzativo.
In questo contesto, la diffusione di una cultura collaborativa e tesa alla condivisione tra i docenti
in un contesto scolastico è condizione di qualità dell’interazione e di ricerca di eccellenza. Il
dirigente scolastico ha un’ampia responsabilità come “formatore” rispetto a specifiche
competenze dei docenti ,rispetto alla rimozione di ostacoli ed alla promozione di una cultura
cooperativa aperta all’innovazione .
Il paragrafo che segue, partendo da alcune riflessioni sullo scenario della formazione, intende
disegnare un percorso di ricerca sul ruolo del formatore nelle diverse “vesti” e nei vari contesti in
cui si trova a “recitare” il suo ruolo. Il discorso parte dal contesto della formazione professionale
per poi articolarsi in modo più ampio sugli scenari della formazione continua.
§ centro polifunzionale, cioè pluralità di servizi offerti e pluralità di utenti (gli enti organizzati
in csf tendono ad operare in questo modo);
§ polo per la formazione di adulti e imprese, con forte connotazione tecnologica, con un
nucleo di dipendenti e una rete di collaboratori ed esperti esterni;
§ organismo consortile (imprese, enti, centri formativi) con un piano di sviluppo per
intervenire in un territorio/contesto di riferimento.
Si é consolidato pertanto dalla metà degli anni ottanta in poi, un ruolo emergente delle strutture
formative come “luoghi” da cui far partire azioni a sostegno dell’inserimento occupazionale, della
riqualificazione e per la formazione permanente dei lavoratori.
Nei nuovi assetti organizzativi hanno assunto centralità i compiti di integrazione e coordinamento
e le agenzie, per gestire l’innovazione, si sono dotate di un’organizzazione flessibile, sia a livello
sistemico che a livello progettuale.
In un Rapporto Isfol della metà degli anni Ottanta, si presentavano già alcune ipotesi per un
modello di formatore, in cui si rilevava: la necessità di diversificare le figure professionali
all’interno dei cfp, l’adozione della flessibilità nell’impiego del personale, la possibilità di utilizzare
l’apporto di quadri aziendali ed esperti esterni.
Successivamente l’evoluzione contrattuale del settore della formazione professionale ha recepito
questi orientamenti, abbandonando una descrizione di profili professionali ancorata ai ruoli e alle
mansioni, a favore di un’organizzazione delle strutture formative più agile e flessibile. Questi ruoli
e competenze devono costituire un comune riferimento per chiunque agisca in funzione di
formatore, indipendentemente da titoli accademici o investiture istituzionali.
È in questa ottica, che è quella peraltro sviluppata negli orientamenti delle istituzioni formative
italiane ed europee, che usiamo il termine “formatore”, puntualizzando, però, come si vada
avvertendo la necessità di un ulteriore incremento di flessibilità e complessità di questa figura,
per adeguarla alle effettive esigenze del mercato del lavoro e alle peculiarità dei committenti, cioè
le imprese private.
Dal punto di vista degli scenari della formazione professionale oggi occorre cogliere i seguenti
elementi – indicati qui molto sinteticamente – come aree su cui investire per i sistemi formativi e
per la riflessione pedagogica sia sul piano teorico che delle soluzioni politiche:
In particolare per quanto riguarda il punto a) vorrei sottolineare che l’idea di “competenza” è
una nozione di carattere polisemico che é ormai largamente studiata in letteratura (Ajello, Cevoli
& Meghnagi 1992; Alberici, Serreri, 2003; Boam & Sparrow, 1996; Boyatzis, 1982; Civelli,
Manara, 1997; Di Francesco, 1994). Questa nozione consente in termini analitici il processo di
definizione della professionalità sia nei percorsi formativi che nei processi di analisi organizzativa.
Secondo il dibattito scientifico in materia, la competenza è un “sapere combinatorio” in cui
entrano conoscenze tecniche, teoriche, metodologiche e procedurali, abilità operative ma anche
relazionali che permettono alle persone di agire in contesti sempre diversi.
Dal punto di vista del discorso formativo, il concetto di competenza soprattutto se declinato come
competenza trasversale può essere visto come “condizione evolutiva del soggetto adulto in
formazione” (4).
La “competenza” in quest’ottica acquista maggiore determinatezza e rende l’idea di come – in
ogni contesto organizzativo – agiscono e possono agire le persone, esprimendo saperi, saper
essere e potenzialità a tali istanze connesse.
La competenza – nella sua essenza – è la capacità di un soggetto di combinare potenzialità (da
qui la dimensione della plasticità/evolutività), partendo dalle risorse cognitive, emozionali e
valoriali a disposizione (saperi, saper essere, saper fare, saper sentire) per realizzare non solo
performances controllabili ma anche intenzionalità verso lo sviluppo di obiettivi che possono
essere propri e della propria organizzazione. Si tratta, in altri termini, della “capacità di mobilitare
progettualità” in azioni concrete, rilevabili ed osservabili (cioè “saperi in azione”).
Lo schema di decreto legislativo del 16 Gennaio 2013 sulla validazione degli apprendimenti non
formali ed informali e sugli standard minimi di servizio del sistema nazionale di certificazione
delle competenze focalizza l’attenzione sulle norme ed i sistemi per l’individuazione e la
validazione degli apprendimenti formali ed informali e quindi va considerato indubbiamente un
passo in avanti significativo relativamente ad un percorso ormai ampio – anche se discontinuo –
che negli ultimi anni ha finalmente dato concretezza ad un tema consolidatosi sia a livello
nazionale che europeo e poi codificato anche con la raccomandazione del Consiglio europeo del
20 dicembre 2012 (2012/C 398/01) in tema di convalida delle conoscenze, abilità e competenze
acquisite mediante l’apprendimento non formale ed informale. In particolare, lo schema di
decreto istituisce – come sopra richiamato – il repertorio nazionale dei titoli di istruzione e
formazione e delle qualifiche professionali di cui all’art. 4, comma 67 della l. 28 giugno 2012, n.
92, quale quadro di riferimento unitario per la certificazione delle competenze (cfr: 2009,
CEDEFOP, European guidelines for validating non- formal and informal learning).
Riepilogando
In questo capitolo abbiamo compreso quali siano le istanze che motivano il ruolo della
formazione in due aree, quella dello sviluppo della persona e quella dei contesti organizzativi.
Abbiamo compreso anche come la formazione sia diventata una parola chiave nelle scienze
educative. Una considerazione è stata sottolineata in particolare: il bisogno di vedere la
formazione come un processo che accompagna il naturale anelito all’innovazione ed al
cambiamento, e non un elemento rituale o traumatico di mero aggiornamento su procedure.
Abbiamo esplorato anche le trasformazioni della formazione professionale dagli anni ottanta ad
oggi e le nuove sfide emergenti.
2. I SAPERI DEL FORMATORE
Pur rendendoci conto di quanto discutibile e riduttivo possa essere ogni tentativo di
classificazione, proponiamo di considerare il sapere dei formatori, nella concezione integrata di
“saper essere” e “saper fare”, come un complesso di conoscenze e competenze che afferiscono
a tre dimensioni principali).
c) area tecnologica:
– ambienti multimediali;
– tools di comunicazione;
– ambienti per l’autoistruzione assistita;
– ambienti per la gestione della didattica in rete;
Il mercato del lavoro e delle professioni versus gli obiettivi formativi necessari per
l’implementazione delle strategie d’impresa;
Esigenze e bisogni del personale a cui è rivolta la formazione rispetto ai piani di sviluppo previsti
nella mission.
Le competenze di ruolo
Competenze didattico-metodologiche
Un altro elemento di scenario fondamentale per chi volesse approfondire il quadro relativo alle
strategie formative rispetto all’occupabilità nell’attuale quadro internazionale è il modello
cosiddetto EQF (European Qualification Framework). Questo modello definisce in un’ottica di
armonizzazione europea il sistema delle qualifiche.
La rappresentazione delle qualifiche in un comune quadro europeo costituisce infatti la modalità
più adeguata perché esse risultino comprensibili e leggibili da punti di vista diversi.
Le qualifiche vengono classificate in base a dei criteri che permettono di stabilire a quali livelli di
apprendimento. La scelta, operata in EQF, di riferire i criteri ai livelli di apprendimento raggiunti è
senza dubbio più efficace per la comprensione rispetto ad altre modalità in cui gli stessi criteri
sono espressi nei descrittori delle qualifiche in modo implicito.
In EQF, inoltre, si è preferito che il quadro comprendesse tutto l’apprendimento conseguito e non
si limitasse a particolari percorsi oppure ad un particolare settore, per esempio l’istruzione
iniziale, l’educazione/formazione per adulti o un settore occupazionale. A livello delle singole
nazioni i quadri delle qualifiche hanno caratteristiche diverse, ma uno scopo comune. Le diversità
sono rappresentate dalla struttura e dalla legittimazione.
La struttura può essere variabile e caratterizzata da più elementi oppure rigida; la legittimazione
può essere su base legale oppure frutto del consenso espresso dalle parti sociali.
L’EQF facilita e semplifica il riconoscimento delle qualifiche e la comunicazione tra chi fornisce e
chi richiede istruzione e formazione. Fornisce livelli e descrittori dell’apprendimento e di
competenza in modo “sufficientemente” generico da comprendere la varietà delle qualifiche e le
differenze di livello esistenti in ambito nazionale e settoriale. È dunque una modalità di
rappresentare le qualifiche, funzionale alla comparazione, alla traduzione e conversione dei
diversi esiti di apprendimento [http://www.eqavet.eu; http://www.eqfnet-testing.eu/].
2.6 L’orientamento alla professione come competenza dei docenti
Il punto di viraggio sostanziale nella riflessione e nelle pratiche di formazione professionale
anche nell’area scolastica è da identificare senza dubbio nell’introduzione della prospettiva
orientativa.
Tale prospettiva é parte integrante di un processo di formazione-istruzione sia a livello di età
evolutiva che per quanto riguarda l’età adulta o situazioni di cambiamento e transito
professionale.
Quali obiettivi appaiono dunque fondamentali per gli insegnanti in questa prospettiva in
particolare considerazione delle competenze orientative? Proviamo ad evidenziarne alcuni:
§ Aiutare gli allevi a dare senso a quello che fanno consentendo gradi di libertà e di scelta
(anche con i rischi che normalmente questa comporta);
§ Codificare in modo efficace i messaggi creatisi in aula, ovvero facilitare la traduzione di
tali messaggi in senso compiuto;
§ Formare autonomia e responsabilità attraverso forme di dialogo “singolare”, ovvero
personalizzato e dedicato con gli allievi;
§ Focalizzare le mediazioni generate dall’apprendere in gruppo, ovvero sostenere
interpretazioni che aiutino il giovane a trasferire la reazione immediata anche conflittuale
in forme più mediate di consapevolizzazione e “lettura” delle interazioni sociali;
§ Sviluppare forme di sapere solidali con la rappresentazione delle pratiche sociali in cui il
sapere è correlato anche per supportare coerenza e congruenza tra il percorso
apprenditivo teorico ed il suo crescere fattuale come persona (la sua capacità d’agire
singola e collettiva).
La centralità del soggetto come punto di riferimento del percorso formativo ha come
conseguenza la crescita di responsabilizzazione della persona impegnata nel contesto in cui
agisce ed opera. La responsabilità del singolo deve trovare il suo terreno di mediazione
incontrando la responsabilità del gruppo.
Lo sviluppo di processi di condivisione comunitaria – e la formazione degli stessi – è un elemento
fondamentale su cui può far leva un processo formativo.
In questa stessa prospettiva un esperto di politiche scolastiche americano, Thomas Sergiovanni
(2000), in una ricerca sulle caratteristiche delle scuole efficaci condotta nel Nord America ha
utilizzato i termini Gemeinschaft e Gesellschaft introdotti dal sociologo tedesco Ferdinand
Tönnies (1887), per illustrare la differenza tra una scuola efficace ed una basata su
un’organizzazione di tipo aziendale. Una Gemeinschaft è una comunità che, nel caso della
scuola, nasce dalla condivisione di un insieme di valori e uno scopo comune, una Gesellschaft è
una società basata su relazioni di natura contrattuale e su rapporti formali, non sulla condivisione
di fini etici. Il mondo della scuola è stato sempre caratterizzato da una particolare sensibilità
verso i temi della comunità educativa e della condivisione collegiale delle scelte e può quindi
rappresentare un terreno fertile per lo sviluppo di comunità di pratica, non necessariamente
limitate ad una singola scuola, di docenti per l’ambito didattico e del personale per l’ambito
tecnico e amministrativo (Alessandrini, 2012; Rosso, 2011).
Riepilogando
In questo capitolo abbiamo compreso il quadro dei saperi e delle competenze del formatore nelle
sue diverse declinazioni ed ambienti di lavoro (dalla formazione professionale alla formazione
aziendale e nella pubblica amministrazione).
La dispensa si è soffermata poi sul quadro della formazione continua e della formazione
finanziata con un riferimento al quadro europeo delle qualifiche (EQF). Si è sottolineato il peso
relativo che la formazione continua ha nel nostro paese dal punto di vista del livello di
investimento in confronto con gli altri paesi UE.
Abbiamo anche focalizzato responsabilità orientative degli insegnanti rispetto alla scelta
professionale degli studenti individuando alcuni punti chiave del lavoro possibile di
sensibilizzazione auspicabile.
Se negli anni settanta-ottanta, il focus della relazione formativa poteva essere visto
prevalentemente come l'adattamento dell'individuo ai contesti sociali, ed il ruolo del formatore
interpretato come prevalente trasmissività, a partire dagli anni novanta si è delineata pian piano
un'inversione di tendenza – più o meno incisiva a seconda dei settori – verso l'idea di una
formazione intesa complessivamente come facilitazione e presidio dei processi di "creazione e
sviluppo della conoscenza" durante tutto l'arco della vita dell'individuo. Questi, nel configurarsi
come soggetto che "costruisce" se stesso – nel contempo in cui costruisce la realtà in cui opera –
elabora significati e "visioni" (del lavoro, degli scopi da raggiungere, dei valori da far condividere
ai collaboratori, ecc.) su cui è chiamato in qualche modo a riflettere, a "costruire" sistemi di
significazione.
Diventa fondamentale in questo contesto la centratura sulla "ricerca di senso" dell'
apprendere/formarsi (la dimensione ermeneutica della formazione è inalienabile al di là di
qualsiasi ingegnerizzazione).
Secondo un punto di vista " descrittivo", la formazione, può essere vista secondo due polarità
sostanziali, sia come fattore per lo sviluppo culturale e socio-economico e una comunità, sia
come "bene in sé", condizione e mezzo di sviluppo. Ciò significa che il "peso" della formazione e
dell'istruzione non sono solo da correlare univocamente all'ampliamento di potenzialità che
possono produrre rispetto al lavoro, ma anche a quelle aree che riguardano il soggetto nella sua
interezza, la partecipazione civica, la sfera degli ambiti familiari e del tempo libero, il consumo
culturale in quanto tale, il benessere, la capacità di esprimere opzioni senza condizionamenti di
sorta, in definitiva lo sviluppo della persona.
Come è possibile scorgere, allora, in estrema sintesi, il passaggio dalla dimensione educativa a
quella formativa ?
A mio parere questa appare “consistente” soprattutto in considerazione di sei dimensioni chiave
che sottolineiamo qui di seguito:
Due postulati-chiave
dell’apprendimento organizzativo
I principi operativi
L’indagine come fattore
di cambiamento
Sviluppo di un contesto
centrato sullo scambio
tra attori sociali
3.3 Quale domanda di pedagogico nella formazione degli adulti nelle organizzazioni (7)
Non è possibile cogliere il senso dei cambiamenti che attengono al ruolo del formatore, senza far
riferimento alle profonde trasformazioni del lavoro che nello scenario europeo. Un documento
fondamentale in merito è stato il Rapporto su Trasformazioni del lavoro e il futuro della
regolazione del lavoro in Europa predisposto dalla Direzione generale lavoro e politiche sociali
della Commissione Europea sotto la Direzione di Alain Supiot (1999). La commissione Supiot si è
trovata di fronte a numerosi e diversi mutamenti:
Se nel passato, coerentemente alla centralità del lavoro subordinato in una società
fondamentalmente di tipo fordista, la condizione lavorativa era l’unica via dell’accesso alla
cittadinanza sociale, oggi si pongono diversi elementi che minano alla base questa
identificazione.
La continuità lavorativa (il fatto che il lavoro da dipendente durava tutta la vita) diventava
continuità dello stato professionale; la discontinuità – attualmente riscontrabile – dei percorsi di
formazione e di carriera ribalta, oggi, le caratteristiche di questo fenomeno. Le condizioni
lavorative sono, inoltre, legate in misura maggiore a dimensioni monetarie che possono essere
variabili e prescindere dallo status professionale del soggetto.
Quello che poteva essere la configurazione ”astratta” con l’unicità di un datore di lavoro viene ad
essere messa in crisi sia dal punto di vista sincronico (sono reti di imprese che si interfacciano
con il lavoratore) che diacronico (per il soggetto si moltiplicano i datori di lavoro a cui si riferisce).
A partire dai più importanti documenti europei come il Rapporto Delors ed il Rapporto della
Conferenza di Lisbona e-Europe, si è delineata negli ultimi anni una visione europeista dello
sviluppo economico e civile che coniuga gli investimenti in formazione e quelli nello sviluppo delle
reti con lo sviluppo del solidarismo e della coesione sociale. Da quest’insieme di indirizzi e
principi che è stata chiamata “la via europea alla società della conoscenza”, è emerso anche, a
partire dal 2001, quello che è stato definito un nuovo modo di pensare la cultura del lavoro e
dell’apprendimento: dal tema dell’occupabilità, a quello dell’accesso alle reti di conoscenza, o al
superamento del digital divide, al ruolo delle università come motore dello sviluppo locale, fino
allo sviluppo delle piccola e media impresa, si è delineato un approccio che può porsi come
alternativo.
L’approccio presente nei documenti elaborati e promossi dall’Unione Europea considera il
sostegno dell’apprendimento come ambito di sviluppo sostanziale della democrazia.
Un altro elemento ha, inoltre, acquisito un piano condiviso di riferimenti: l’idea di un pari livello e
valore dell’apprendimento formale, di quello informale e non formale. Tra i soggetti interessati a
questo cambio di paradigma che vede l’omogeneità del livello formale e informale, le popolazioni
più deboli (giovani poco qualificati, non occupati, persone socialmente svantaggiate, lavoratori a
rischio e con professioni con pericolo di obsolescenza professionale, e quindi i soggetti
tendenzialmente portatori di diversità)
Ma qual è la situazione oggi in piena crisi recessiva? Nel sistema italiano, a fronte di un livello di
istruzione generalmente cresciuto nel corso degli ultimi anni, la spendibilità del titolo di studio a
livello occupazionale é cambiata in funzione di numerose variabili critiche: l’ambito territoriale di
appartenenza, le variabili di genere, il settore produttivo. Può essere interessante ricordare, ad
esempio, che il tasso di disoccupazione è legato al livello di scolarizzazione in maniera molto più
debole rispetto agli Stati Uniti o ad altri paesi dell’UE: sembra paradossale ma l’economia italiana
ha difficoltà nel creare posizioni lavorative che richiedano un alto grado di formazione.
Come emerge da una recente indagine promossa dal Ministero del Lavoro, le proiezioni al 2020
sulla domanda e offerta di lavoro evidenziano che il nostro Paese rischia di farsi trovare
impreparato ai prossimi cambiamenti del mercato del lavoro (European Commission, 2011) (8).
Sul primo versante, la domanda di lavoro, le ricerche del Centro europeo per lo Sviluppo della
Formazione Professionale (CEDEFOP) esprimono la chiara tendenza verso una economia della
conoscenza e dei servizi, che avrà bisogno di lavoratori sempre più qualificati (9).
L’apprendimento adulto si ritrova nel cuore del welfare attivo, inteso come parte integrante di una
nuova rete di protezione che il soggetto concorre a costruire, impegnandosi in prima persona.
L’Italia è penalizzata per le prospettive di investimento in capitale umano alla luce del
divario con altri paesi che presentano quote di occupati di formazione terziaria in misura
maggiore che il nostro. In altri termini siamo un paese a rischio competitivo e con un
basso livello di qualificazione del capitale umano rispetto alla media dei paesi UE (37,5%
contro il 19,5%). Occorre considerare, inoltre, che l’80°% degli italiani tra i 16 ed i 64 anni
ha un’insufficiente competenza alfabetica funzionale, contro il 30% della Norvegia o il 50%
del Canada, Usa, Svizzera (10).
La debolezza della richiesta di capitale qualificato da parte delle imprese è legata ad una
specializzazione produttiva in settori a tecnologia matura, alla piccola dimensione delle
imprese ed a un modello competitivo mirato alla riduzione dei costi piuttosto che
all’investimento innovativo.
I dati AlmaLaurea (2012) registrano una flessione in merito all’occupabilità dei laureati (-9%
del tasso di occupazione per i laureati di primo livello e -6% per gli specialistici, -11% di
retribuzione) (www.almalaurea.it.I dati relativi al XVI Rapporto 2013 evidenziano oltre al
consolidamento della tendenza già segnalata per l’anno precedente anche il dato
preoccupante del calo delle immatricolazioni a livello nazionale (solo il 30% dei
diciannovenni si iscrive all’università).
La tabella seguente (5) identifica, in forma sintetica, le iniziative più significative del cartello 2020
(European Commission, 2011).
Youth on the move per migliorare l’efficienza dei sistemi di insegnamento e agevolare l’ingresso
dei giovani nel mercato del lavoro.
Un’agenda europea del digitale per accelerare la diffusione dell’internet ad alta velocità e
sfruttare i vantaggi di un mercato unico del digitale per famiglie e imprese.
Un’Europa efficiente sotto il profilo delle risorse per contribuire a scindere la crescita
economica dall’uso delle risorse.
Le previsioni indicano che l’economia europea domanderà nel futuro il 31,5% di occupati con
alti livelli di istruzione e qualificazione, il 50% con livelli intermedi mentre i posti di lavoro per i
soggetti con bassi livelli di qualificazione crolleranno dal 33% del 1996 al 18,5%.
Occorre dunque portare a meno del 10% la percentuale della popolazione compresa tra i 18 e i
24 anni che ha abbandonato gli studi e far sì che almeno il 40% dei giovani adulti (30-34 anni)
dell’UE conseguano la laurea.
Nell’UE attualmente si riscontra una percentuale di quasi 6 milioni di giovani sono disoccupati,
con livelli che in taluni paesi superano il 50%. Nello stesso tempo si registrano oltre 2 milioni di
posti di lavoro vacanti e un terzo dei datori di lavoro segnala difficoltà ad assumere personale
con le qualifiche necessarie .
Di fronte a questo scenario, si evidenziano comunque nuove prospettive di grande interesse
anche per gli Istituti superiori per l’avvio di progetti innovativi grazie ad alleanze con Università,
enti di ricerca o enti territoriali partecipando al programma Erasmus + “Youth Garantee”.
Nel 2014 Erasmus + disporrà complessivamente di 1 miliardo e 800 milioni di euro per
finanziamenti volti a promuovere opportunità di mobilità per:gli studenti, per i tirocinanti, per gli
insegnanti e altro personale docente, giovani per gli scambi di giovani, animatori giovanili e
volontari:
- sarà possibile creare o migliorare partenariati tra istituzioni e organizzazioni nei settori
dell’istruzione, della formazione e dei giovani e il mondo del lavoro;
- sostenere il dialogo e reperire una serie di informazioni concrete, necessarie per realizzare la
riforma dei sistemi di istruzione, formazione e assistenza ai giovani.
Sono sempre più necessarie, dunque, per i dirigenti degli istituti scolastici e per gli insegnanti
nuove competenze orientate alla capacità di intercettare opportunità di ricerca finanziata grazie ai
fondi europei e capacità di scambio e collaborazione con gli attori formativi e culturali presenti nel
territorio.
Si tratta, in definitiva, di generare nelle scuole una nuova cultura formativa orientata al dialogo ed
ad una progettualità condivisa in grado di sviluppare innovazione ed apertura
all’internazionalizzazione.
Riepilogando
Il capitolo avvia una riflessione sui focus della relazione formativa articolando alcune dimensioni
chiave come aree di impegno e ricerca. Si sofferma quindi sull’approccio dell’apprendimento
organizzativo inteso come approccio in grado di sviluppare un orientamento effettivo e duraturo
al cambiamento ed all’innovazione partendo dalla responsabilizzazione dei singoli soggetti.
Il discorso si sofferma sulle trasformazioni nelle dinamiche occupazionali e nelle risorse
tecnologiche che hanno reso sempre più complesso l’investimento in formazione. In particolare
l’accento è posto sulla situazione di svantaggio del paese per quanto riguarda la densità del
capitale umano qualificato.
Il capitolo si chiude facendo riferimento allo scenario auspicato dalla Commissione europea in
prospettiva 2020 ed alle prospettive di sviluppo per le scuole di buone pratiche collaborative.
Note di riferimento
(1) Questa filiera di ricerca sulla formazione si è avvalsa negli ultimi anni di una serie particolarmente
significativa di contributi: cfr: ad esempio, oltre agli autori citati nel testo anche in bibliografia generale, G.
Bocca, P. Calidoni, R. Laporta, U. Margiotta, D. Demetro, A. Alberici, A. Granese.
(2) Cfr. ad esempio le opere di G. Quaglino, e le opere di De Masi, molto note ed utilizzate anche dal punto
di vista dell'approccio metodologico ed applicativo dai formatori aziendali.
(3) Su questi temi cfr in particolare il volume Pedagogia sociale, Carocci Editore, Roma 2003 e la
bibliografia ivi citata.
(4) Sulla dimensione formativa cfr. in particolare il mio Manuale dei processi formativi, Carocci Editore,
1998, il capitolo “I modelli di competenza”.
(5) Nel quadro di riferimento delle politiche formative italiane, la formazione continua rientra nelle attività
formative rivolte all’individuo appartenente alla forza lavoro, mirante a far acquisire competenze spendibili
a breve tempo sul mercato del lavoro. La finalità principale della formazione continua è l’incremento del
valore del capitale umano, a beneficio sia dei lavoratori sia delle imprese e in generale del Paese nel
complesso.
(6) Rilevante al proposito è il tavolo Nazionale sul Bilancio di Competenze promosso dall’ISFOL: cfr il
saggio di Anna Grimaldi, Il documento Isfol sul bilancio di competenze, in “Professionalità”, giugno 2010,
pp. 17-26. Altresì, la ricerca appena conclusa – che ha visto coinvolti ricercatori del Centro CEFORC
“Formazione Continua & Comunicazione” e UIL TEMP – e relativo alla realizzazione ed implementazione
del “Libretto Esperienziale” come strumento di identità formativa/lavorativa del lavoratore in
somministrazione. Tale “strumento” é finalizzato al raggiungimento di due obiettivi già pre-individuati dal
sistema: il primo è di ordinare in maniera strutturata la rilevazione-attestazione-certificazione delle
competenze, a supporto dello stesso processo di gestione delle competenze del lavoratore, l’altro è di
sostenere i lavoratori, che accedono anche alla formazione continua, nell’individuazione dei percorsi
formativi, seguendo logiche di personalizzazione e di sviluppo professionale, coerenti con le attitudini e le
proprie aspirazioni.
(7) Su questi temi cfr. in particolare il mio Pedagogia delle risorse umane e delle organizzazioni, Guerini
editore, Milano 2004.
(8) Un passo in avanti significativo è stato compiuto di recente nella direzione di scenari auspicabili di
transizione formazione-lavoro dal documento Europa 2020, il quale ha fornito un quadro esaustivo
dell’economia del mercato sociale europeo per il XXI secolo. In particolare, il documento rivendica
l’esigenza – nonché priorità – di: una crescita intelligente, al fine di sviluppare un’economia basata sulla
conoscenza e sulla innovazione; una crescita sostenibile, per promuovere un’economia più efficiente sotto
il profilo delle risorse, più verde e più competitiva; una crescita inclusiva, per promuovere un’economia con
un alto tasso di occupazione che favorisca la coesione sociale e territoriale. Alla base della strategia, sono
stati definiti – in riferimento a specifiche iniziative – gli obiettivi da raggiungere in vista del 2020: a) il 75%
delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni deve avere un lavoro; b) il 3% del PIL dell’UE deve essere
investito in R&S, migliorando in particolare le condizioni per gli investimenti in R&S del settore privato, e
definire un nuovo indicatore per seguire i progressi in materia di innovazioni. Nel 2020, l’economia europea
domanderà il 31,5% di occupati con alti livelli di istruzione e qualificazione, il 50% con livelli intermedi
mentre i posti di lavoro per i soggetti con bassi livelli di qualificazione crolleranno dal 33% del 1996 al
18,5%. Per approfondire l’argomento, cfr. Europa 2020. Una strategia per una crescita intelligente,
sostenibile e inclusive a cura della commissione Europea, 2011.
(9) La sottolineatura relativa al bisogno di qualificazione in ingresso nel mondo produttivo, viene a
contraddire paradossalmente quanto emerge dai dati. È significativo ricordare infatti che secondo i dati
dell’XI Rapporto realizzato dal Consorzio Almalaurea, il calo generalizzato nella richiesta di laureati da
parte delle imprese è del 23%. Il primo di settembre 2010, ad esempio, si legge in un quotidiano di larga
diffusione come commento ai nuovi dati ISTAT “Senza lavoro un giovane su quattro: disoccupazione
stabile all’8,4%, ed ancora tra i 15 e 64 anni in quindici milioni non lavorano, sette persone su venti sono
inattive”.
(10) Per la ricerca OCSE, Indagine ALL. Adult Literacy and Life Skills – Competenze alfabetiche funzionali
e abilità per la vita (http://nces.ed.gov/Surveys/ALL/index.asp).
AUTOVERIFICA DELL’APPRENDIMENTO
Domanda 1
Quali sono i significati di una delle componenti etimologiche del verbo “formare”, la parola latina
“forma”?
1. l’atto dell’educare
2. “condizionamento“ e “guida”
3. autosviluppo
Commento
È corretta la risposta 2 in quanto la parola ”forma” nel significato latino indica metaforicamente
l’impronta che si determina sotto la pressione in una tavoletta di cera.
La risposta 1 non è esatta perché generica.
La risposta 3 é il significato insito nella parola greca “morfé”
Domanda 2
Focalizziamo l’attenzione alle finalità della formazione rispetto ai contesti organizzativi. Quali
sono le due anime della formazione?
1. una tendenza alla trasformazione, al cambiamento, ed una tendenza alla conservazione
2. la didattica e l’educazione
3. la dimensione della comunità e quella dell’individuo
Commento
È corretta la 1 perche richiama i due poli di un processo formativo: lo sviluppo e la memoria.
La 2 è scorretta perché didattica ed educazione sono due ambiti generali della pedagogia.
La 3 è scorretta, non pertinente.
Domanda 3
Gli interventi formativi legati ai bisogni aziendali sono:
1. formazione per neoassunti e formazione per la sicurezza
2. processi di comunicazione interna
3. formazione linguistica
Commento
La risposta 1 indica correttamente due aree di intervento del formatore aziendale.
La risposta 2 indica un’area settoriale non sempre oggetto della formazione aziendale.
La risposta 3 indica un area specialistica.
Domanda 4
Come definire la processualità dell’atto formativo?
1. è un elemento descrittivo fondamentale della formazione in quanto indica la gradualità
della crescita del soggetto
2. è un indicatore della motivazione che sottende l’apprendimento.
3. é lo strumento che permette di valutare il soggetto
Commento
La risposta 2 non è pertinente.
La risposta 3 é errata.
La risposta 1 indica effettivamente cosa si intende per processualità formativa.
Domanda 5
Il documento “Europa 2020” rivendica – in particolare – la priorità di favorire la crescita inclusiva
per:
1. promuovere un’economia più efficiente sotto il profilo delle risorse, più verde e più
competitiva
2. riconoscere la centralità dell’istruzione e della formazione come sistemi di learningfare
3. promuovere un’economia con un alto tasso di occupazione e garantire forme di coesione
Commento
La risposta 2 richiama uno dei punti previsti dal documento, ma non collegabili alla priorità
indicata.
La risposta 2 é errata.
La risposta 3 indica effettivamente in cosa consiste la priorità.
Domanda 6
L’approccio apprendimento organizzativo consente di ripensare il funzionamento dei sistemi
organizzativi ponendo l’apprendimento al centro dei sistemi gestionali come condizione di
sopravvivenza dei sistemi stessi.
1. Vero
2. Falso
Commento
Se hai risposto 1: hai colto perfettamente il valore aggiunto apportato dal concetto di
apprendimento organizzativo.
Se hai risposto 2: non hai colto che l’affermazione era esatta. L’apprendimento delle
organizzazioni, inteso come processo dinamico che consente l’interazione tra organizzazioni ed
ambiente è una fonte di sopravvivenza.
Domanda 7
Per approccio sistemico si intende l’analisi dell’organizzazione nel suo complesso vista come
sistema aperto in rapporto dinamico con l’ambiente e caratterizzato da relazioni di
interdipendenza con l’esterno.
1. Vero
2. Falso
Commento
Se hai risposto 1: hai compreso appieno che la relazione di interdipendenza tra elementi di
contesto è quella che contraddistingue la visione sistemica degli scenari organizzativi.
Se hai risposto 2: la definizione proposta è chiara e sufficientemente comprensiva della
carratterizzazione “sistemica”.
BIBLIOGRAFIA, SITOGRAFIA
AA.VV. (1989), Professione formazione, Franco Angeli, Milano.
AA.VV., Guida alla Formazione Continua, voll. 1-2, Franco Angeli, Milano 2007
AA.VV., Rapporto sulla Formazione continua 2008, Rubbettino Industrie Grafiche Editoriali, Roma
2008
AA.VV. (2014), Rapporto Fondazione Agnelli, febbraio 2014.
AJELLO A. M, CEVOLI M., MEGHNAGI S. (1992), La competenza esperta, Ediesse, Roma.
ALBERICI A., (1999), Imparare sempre nella società cognitiva, Paravia, Torino,1999.
ALESSANDRINI G. (1995), Apprendimento organizzativo. La via del Kambrain, Unicopli, Milano.
ALESSANDRINI G. (1998), Manuale per l’esperto dei processi formativi, Carocci, Roma.
ALESSANDRINI G. (2003), Pedagogia sociale, Carocci, Roma.
ALESSANDRINI G. (2004), Pedagogia delle risorse umane e delle organizzazioni, Guerini,
Milano.
ALESSANDRINI G. (2005), Manuale per l’esperto dei processi formativi, Carocci, Roma.
ALESSANDRINI G. (2007), Comunità di pratica e società della conoscenza, Carocci, Roma.
ALESSANDRINI G. (2012), Formazione, organizzazione e comunità di pratiche: un percorso per il
cambiamento, in Dirigenti Scuola, “La scuola come comunità di pratiche. Apprendistato cognitivo e
apprendimento situato”, La Scuola, Brescia, n. 32.
ALESSANDRINI G. (2013a), La formazione al centro dello sviluppo umano. Crescita, lavoro,
innovazione, Giuffrè editore, Milano.
ALMALAUREA (2012), XIV Indagine Almalaurea sulla condizione occupazionale dei laureati.
ARGYRIS C. e SCHON D., (1998), Apprendimento organizzativo, Guerini e Associati, Milano.
BENADUSI L. (1999), La scuola dell'autonomia, in "Scuola Democratica", numero monografico.
BERTOLINI P. (1988), L'esistere pedagogico, La Nuova Italia, Firenze.
BOAM R., SPARROW P. (1996), Come disegnare e realizzare le competenze organizzative,
Franco Angeli, Milano.
BOCCA G. (2000), Pandemonio. Il miraggio della new economy, Mondadori, Milano.
CALIDONI P. (2001), Ricerca pedagogica, La Scuola, Brescia.
CAMBI F. (1999), La persona non è una res. Appunti su personalismo e persona, formazione e
pedagogia, in Bernardinis A.M., Bohm W., Laeng M. e Laporta R. (a cura di), “Spirito e forme di
una nuova Paideia”, Agorà edizioni, Catania.
CEDEFOP (2009), European guidelines for validating non formal and informal learning.
CIVELLI F., MANARA D. (1997), Lavorare con le competenze, Guerini e Associati, Milano.
CONSIGLIO DEI MINISTRI (2013), Definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle
prestazioni per l’individuazione e validazione degli apprendimenti non formali e informali e degli
standard minimi di servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze, ai sensi
de|l’articolo 4, commi 58 e 68, della legge 28 giugno 2012, n. 92, 11 GENNAIO 2013.
CORONAS F. (2003), La formazione continua dei lavoratori. Fondo sociale europeo, accordi,
norme nazionali, in Meghnagi S. (a cura di), “Collana formazione”, Ediesse, Roma.
DANDOLO D., PETTENELLO R. (2003), Strumenti del nuovo sviluppo, I Fondi per la formazione
continua. Una scommessa da giocare, Guide Ediesse, Roma.
DELORS J. et al. (1996), Learning: the Treasure within. Report to UNESCO of the International
Commission on Education for the Twenty-first Century, UNESCO, Paris (trad. it., Nell’educazione
un tesoro, Armando, Roma 1997).
DEMETRIO D. (1991), Tornare a crescere, Guerini e Associati, Milano.
Di FRANCESCO G. (1994), Competenze trasversali e comportamento organizzativo, Franco
Angeli, Milano.
EUROPEAN COMMISSION (2011), Europa 2020. Una strategia per una crescita intelligente,
sostenibile e inclusive.
FAWCETT W. (1968), L’influenza dello sviluppo nelle carriere lavorative, in Havighrust R.J.. (Ed),
“Metropolitanism and its challeng education”, Chicago.
GRANESE A. (2002), Etica della formazione e dello sviluppo, nuova economia, società globale.
Preliminari pedagogici a una ricostruzione filosofica, Anicia, Roma.
GRIMALDI A. (2010), Il documento Isfol sul bilancio di competenze, in “Professionalità”, pp. 17-26.
ISFOL (1994), Competenze trasversali e comportamento organizzativo, Franco Angeli, Milano.
ISFOL (1998a), Standard formatori per un modello nazionale di competenze verso
l’accreditamento professionale, ISFOL, Roma.
ISFOL (1998b), Formazione e occupazione in Italia e in Europa. Rapporto 1998, Franco Angeli,
Milano.
ISFOL (1999) Rapporto Isfol 1999. Formazione, orientamento, occupazione, nuove tecnologie,
professionalità, Franco Angeli, Milano.
ISFOL (a cura di) (2002a), Memorandum Europeo sull'istruzione e la formazione permanente,
Rapporto nazionale sul processo di consultazione.
ISFOL (2002b), Economia e costi della formazione aziendale, Franco Angeli, Milano.
ISFOL (2008), Documento tecnico sul Bilancio delle Competenze, Roma.
ISFOL (2012), Rapporto Isfol 2012. Le competenze per l’occupazione e la crescita, Rubbettino
Editore, Roma.
LAPORTA R. (1980), Insegnanti come e perché, Giunti e Lisciani, Teramo.
LIPARI D. (2012), Formatori. Etnografia di un arcipelago professionale, Franco Angeli, Milano.
MARGIOTTA U. (2009), Genealogia della formazione. I dispositivi pedagogici della modernità,
Libreria Editrice Cafoscarina, Venezia.
MARITAIN J. (1955), L’educazione al bivio, La Scuola, Brescia.
MINTZBERG H. (1985), La progettazione dell'organizzazione aziendale, Il Mulino, Bologna.
MORTARI L. (2003), Apprendere dall’esperienza. Il pensare riflessivo nella formazione, Carocci,
Roma.
MORTARI L. (a cura di) (2010), Dire la pratica. La cultura del fare scuola, Mondadori, Milano.
MOUNIER E. (1964), Il personalismo, AVE, Roma.
MUSGRAVE P. (1969), La scuola come organizzazione, Yale University Press, London.
NONAKA I., TAKEUCHI H. (1998), The knowledge-creating company. Creare le dinamiche
dell'innovazione, Guerini & Associati, Milano.
OCSE, Indagine ALL. Adult Literacy and Life Skills – Competenze alfabetiche funzionali e abilità
per la vita (http://nces.ed.gov/Surveys/ALL/index.asp).
PARLAMENTO EUROPEO (2006), Risoluzione legislativa del Parlamento europeo del 24 ottobre
2007 sulla proposta di raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio sulla
costituzione del Quadro europeo delle Qualifiche e dei Titoli per l'apprendimento permanente
COM(2006)0479 – C6-0294/2006 – 2006/0163(COD).
PERULLI E. (2011), Il Libretto Formativo nei contesti aziendali, in “Osservatorio ISFOL”, n. 2.
POLANY M. (1962), Personal Knowledge. Towards a Post-Critical Philosophy, The University of
Chicago Press, Chicago (IL).
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (2000), Rapporto sullo sviluppo della Società
dell’informazione e Europe 2002. Un Progetto per l’Italia e l’Europa, un contributo per la comunità
internazionale.
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (2012), Schema di decreto legislativo recante
definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni per l’individuazione e
validazione degli apprendimenti non formali e informali e degli standard minimi di servizio del
sistema nazionale di certificazione delle competenze.
RIFTKIN J. (1995), La fine del lavoro, Baldini & Castoldi, Milano.
ROSSO G. (2011), Gestire una scuola tramite lo sviluppo di comunità di pratica, in Alessandrini G.
& Pignalberi C., “Comunità di pratica e Pedagogia del lavoro. Voglia di comunità in azienda”,
Pensa Multimedia, Lecce.
SCURATI C. (1991), Profili nell'educazione. Ideali e modelli pedagogici nel pensiero
contemporaneo, Vita e Pensiero, Milano.
SCURATI C., CERIANI A. (1994), La dirigenza scolastica. Vicende, sviluppi e prospettive, La
Scuola, Brescia.
SERGIOVANNI T.J. (2000), Costruire comunità nelle scuole, LAS, Roma.
SPENCER L.M. & SPENCER S.M. (1995), Competenza nel lavoro ,modelli per una performance
superiore, Franco Angeli, Milano.
STEFANINI L. (1952), Personalismo sociale, Studium, Roma.
STRIANO M. (2001), La “razionalità riflessiva” nell’agire educativo, Liguori, Napoli.
SUPIOT A. (a cura di) (1999), Il futuro del lavoro. Trasformazioni dell’occupazione e prospettive
della regolazione del lavoro in Europa, Rapporto redatto per la Commissione europea in
collaborazione con l’Università Carlos III di Madrid, ed. it. a cura di Barbieri P. e Mingione E.,
Carocci, Roma.
TÖNNIES F. (1887), Gemeinschaft und Gesellschaft.
ZAGARDO G. (2000), Orientamento nel lavoro: per un bilancio di competenze, Edizioni Romane
di cultura, Roma.
www.bolognaprocess.it
www.bollettinoadapt.it
www.ceforc.eu
www.ec.europa.eu/education.it
www.ec.europa.eu/programmes/erasmus-plus/index_en.htm
www.ec.europa.eu/programmes/horizon2020/
www.eqavet.eu
www.eqf.eu
www.eqfnet-testing.eu