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BALDACCI – I MODELLI DELLA DIDATTICA

INTRODUZIONE.

In relazione alle problematiche relative all'insegnamento e alle sue pratiche, il presente volume cerca di sviluppare un
discorso sulla didattica partendo da due assunti fondamentali:
a. Il rapporto tra fini formativi e tecniche didattiche, basato su un'idea di Bruno Ciari: tali tecniche rappresentano valori
e significati;
b. Assunto anti dogmatico, tipico del problematicismo pedagogico, inteso come strategia di approccio critico e
razionale alla pluralità di modelli della didattica individuabili in seguito alla frammentazione delle sue pratiche.

La prima parte del manuale focalizza l'approccio problematicista all'insegnamento, ponendosi il problema dei modelli
della didattica nell'epoca della società conoscitiva. La seconda parte, invece, propone al lettore una serie di analisi dei
fondamenti teorici e delle dimensioni operative dei vari modelli didattici.

PARTE PRIMA. UN APPROCCIO PROBLEMATICISTA ALL'INSEGNAMENTO.

CAPITOLO 1 - I MODELLI DELL'INSEGNAMENTO NELL'EPOCA DELLA SOCIETÀ


CONOSCITIVA.

1.1. Introduzione all'approccio problematicista.


Il terzo millennio ha comportato la nascita della società conoscitiva, quel genere di contesto in cui la conoscenza ha
assunto un carattere pervasivo rispetto all'intero spettro delle attività umane e in cui la dinamica del suo accrescimento
ha subito un'accelerazione senza precedenti nella storia dell'uomo. Il possesso del sapere è diventato un'esigenza
fondamentale per ogni individuo, una condizione decisiva le opportunità nella vita di chiunque. Nell'attuale fase di
sviluppo di questo genere di società, e in particolare la rivoluzione informatica e telematica ad avere invaso e sovvertito
tutti gli ambiti delle attività sociali, moltiplicando le occasioni di apprendimento in maniera esponenziale. Ciò ha
determinato anche una modifica delle competenze di accesso alla circolazione dei saperi e il bisogno di un loro costante
adeguamento alle trasformazioni delle tecnologie. I livelli di scolarità si alzano in maniera generalizzata, si espande la
domanda di istruzione superiore, la formazione professionale diventa un nodo strategico dell'Economia e occupa
segmenti formativi elevati (post diploma e post laurea).

La società conoscitiva si pone come una società dell'apprendimento continuo e il destinatario di questa domanda di
formazione è la scuola. La scuola si configura come istituzione in grado di gestire gli accresciuti i bisogni di formazione
nella direzione dell'uguaglianza delle opportunità formative, per cercare di garantire a tutte le persone le competenze
fondamentali per vivere con piena dignità e con pari chance nella società conoscitiva, in qualità sia di produttori, sia di
consumatori, sia di cittadini e di uomini.
La didattica diventa la disciplina potenzialmente in grado di offrire queste garanzie E comprende anche la riflessione e
la decisione circa gli obiettivi da raggiungere, le finalità verso cui tendere e le relative pratiche di insegnamento.

La concezione di Ciari fa riferimento ad una distinzione tra:


- tecniche didattiche, espressione e realizzazione di valori; 
- strumenti, utilizzabili per scopi diversi. 
Perciò i valori ai fini educativi non devono essere visti come distinti dalla pratica educativa ma devono essere
considerati come immanenti alle tecniche didattiche stesse. 
Dewey, studioso americano, critica l'impostazione che separa nettamente i mezzi dai fini, asserendo che la filosofia
dell'educazione dovrebbe riflettere sulla pratica educativa e sulle concrete conseguenze, valutandole in base a schemi
generali di valori. 
Sempre Ciari, scriveva che il maestro deve dunque partire dalle tecniche elaborate e dall'esperienza didattica più
moderna, non servendosene come strumento o strutture che operano di per sé, ma facendole proprie e cogliendone il
significato più intimo punto le tecniche sono connesse ad una cultura didattica nel contesto della quale acquistano senso
e significato.

Per "modelli" intendiamo << lo schema concettuale secondo cui possono essere connessi ed ordinati i vari aspetti
della vita educativa in rapporto ad un principio teleologico che ne assicuri coerenza ed organicità>>.
BALDACCI – I MODELLI DELLA DIDATTICA

Un modello salda l'elemento teleologico (uno o più fini formativi) con quello metodologico (cioè una o più tecniche
didattiche) facendo di questi elementi due facce della stessa "medaglia pedagogica".
La comprensione dei caratteri di un modello è una condizione ineludibile per poterlo usare con funzione normativa,
come schema guida per la prassi di insegnamento. 
Distinguiamo adesso: modello educativo e modello didattico.
I modelli educativi possono essere attinti dal piano storico attraverso un lavoro di idealizzazione di concreti sistemi
educativi, così da ottenere tipi ideali ben contraddistinti nella loro singolarità (ad esempio: Il modello educativo
cattolico, quello laico, quello comportamentista, quello strutturalista, eccetera). 
A partire dall'opposizione tra soggetto che apprende ed oggetto di apprendimento, invece, si possono individuare due
possibili modelli didattici:

A. il primo "puerocentrico", puramente centrato sulle esigenze del soggetto;


B. il secondo "culturacentrico", meramente impegnato sulle istanze dell'oggetto.

In entrambi i casi, si perviene ad una "fenomenologia dei modelli didattici" intesa come una sistematica di forme
educative. Mentre nel primo caso questa fenomenologia lavora sui materiali della storia dell'educazione, nel secondo
caso opera sulle strutture in varianti dell'esperienza educativa. Questa seconda fenomenologia strutturale presenta il
problema delle "forme dell'insegnamento" nell'epoca della società conoscitiva. Percorrere questa seconda via
significherebbe porre le basi per affrontare il problema delle forme della didattica dell'epoca della società conoscitiva,
invece che nell'epoca di questo genere di società.

Il razionalismo critico di Antonio Banfi prevede che il tessuto problematico dell'esperienza formativa possa essere
ricostruito a partire dalle molteplici antinomie che la costellano: soggetto/oggetto, processo/prodotto. 
Il ruolo dei poli dell'antinomia è reciprocamente dialettico, in quanto ciascuno di essi si oppone all'altro e lo nega nella
sua pretesa assolutezza. L'idea pedagogica nasce come sintesi antinomica. 
Così Bertin definisce l'idea di "educazione", cioè come relativa alla formazione della personalità secondo un processo
in cui si oppongono due istanze antitetiche:
- egocentrica la prima, tesa a potenziare l'individualità dell'educando;
- eterocentrica la seconda, indirizzata all'affermazione di momenti alternativi.

Parallelamente Fraboni definisce l'idea critica di didattica a partire dall'antinomia tra l'esigenza di carattere
culturacentrica, centrata sulle ragioni dell'oggetto di apprendimento, e quella puerocentrica, basata sulle istanze del
soggetto informazioni. 
L'insegnamento tradizionale è un esempio di modello didattico che si colloca all'estremo culturacentrico, attento alla
qualità e all'organicità dei saperi ma indifferente rispetto alle esigenze e alle caratteristiche dei discenti; mentre, certe
frange delle movimento attivistico rappresentano una esemplificazione dell'estremità puerocentrica, sensibile alle
esigenze dei discenti alle loro caratteristiche affettive e cognitive ma poco attenta alla qualità e alla struttura dei saperi:
cosicché l'insegnamento, corre il pericolo di risultare culturalmente poco adeguato.

Per quanto riguarda l'opposizione tra una "didattica del caso" e una "didattica della necessità", individuata in particolare
da Maragliano, si deve precisare che questa antinomia prende le mosse da una diversa concezione circa i limiti
dell'educabilità dell'individuo. 
Una "didattica del caso" oppone questi limiti interamente alla persona e li ritiene naturali naturali, quindi, distribuiti in
maniera statica casuale nella popolazione. Perciò lo sviluppo delle capacità individuali sarebbe condizionato dalle doti
dei diversi soggetti, ai quali l'educazione e l'insegnamento fornirebbero soltanto le condizioni per attualizzare le loro
potenzialità. Una didattica di questo genere tende a privilegiare un insegnamento che fa leva sulla tendenza spontanea
dei soggetti a svilupparsi secondo le proprie attitudini. 
Viceversa una "didattica della necessità" non pone limiti interni all'educabilità dell'individuo, ritenendo che i fattori che
determinano la crescita delle capacità siano essenzialmente esterni e abbiano sia un carattere generale, storico sociale,
sia una natura legata alle pratiche dell'insegnamento.

L'opposizione tra:
- soggetto in formazione
- oggetto d'apprendimento

E l'opposizione tra:
- prodotto formativo
- processo formativo 

sono le antinomie fondamentali della didattica. Dopo aver individuato una situazione didattica tipica (figura 1.1),
analizziamo adesso la "Tabella/Tavola dei modelli didattici (tabella 1.1).
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I modelli didattici ideali che identifica la tavola valgono in funzione di possibili modelli curriculari. L'etichetta
assegnata rappresenta una mera interpretazione del possibile senso didattico dell'incrocio tra le due categorie. Quando
nella tabella si legge, ad esempio, "dominanza sul soggetto", si intende che la preoccupazione didattica è
prevalentemente centrata sull'alunno. 

Una <<struttura>> è definibile come "un sistema di differenze che scaturisce da una matrice combinatoria di
pertinenze e i cui elementi hanno un valore meramente posizionale / opposizionale all'interno del medesimo sistema".
È opportuno riconoscere alle strutture uno statuto "trascendentale" cioè regolativo, in quanto, analogamente alle
categorie kantiane, esse funzionano come principi "a priori" (grazie ai quali l'esperienza relativa ad un certo campo
viene interpretata ed ordinata). Ma, diversamente dalle categorie kantiane, le strutture devono essere considerate in
modo conforme alla teoria della storicità e delle relatività degli "a priori". 
Una <<struttura>> deve perciò essere considerata come un "modello provvisorio", aperto a rettifiche. Una volta che la
struttura viene privata di valore ontologico, essa diviene solo uno strumento ideale. I modelli individuati possono essere
considerati come strutture in varianti della didattica, non perché siano ontologicamente tali, ma perché sono posti
convenzionalmente come tali a scopo di indagine e tali sono mantenuti per tutta la durata di questa.

1.2. I fondamenti teorici dei modelli didattici.

Modello didattico Aa: dominanza soggetto in formazione + processo formativo.


Il fine di questo modello didattico è incentrato sullo sviluppo dei processi cognitivi superiori.
Si Mira prevalentemente a sollecitare la messa in atto dei processi cognitivi superiori dello scolaro, a stimolare lo
sviluppo delle sue capacità mentali più elevate. Il compito della formazione non è soltanto quello di trasmettere alle
nuove generazioni il patrimonio culturale accumulato da quelle precedenti, ma anche quello di metterle in grado di
andare oltre questo patrimonio elaborando un nuovo sapere. L'istruzione formale mira ad affinare la mente dell'alunno
più che a rifornirla di contenuti. 
Si tratta di una posizione che trova un corrispettivo storico in alcune concezioni dell'attivismo, che si oppone soprattutto
alle degenerazioni nozionistiche e alle pratiche didattiche che riducono l'apprendimento ad una mera memorizzazione di
conoscenze. Esistono tre varianti di questo modello:

1. Variante incentrata sulle facoltà mentali superiori: essa privilegia la capacità di analisi, di sintesi, di intuizione, di
invenzione, di scoperta, ecc. L'importante non è il contenuto, ma il genere di lavoro mentale che lo studente compie su
di esso, ad esempio, la risoluzione di un problema di varia natura;
2. Variante basata sull'interdisciplinarità: si riferisce a processi che riguardano in modo specifico le relazioni tra i
contenuti, alla capacità di cogliere collegamenti e di costruire Nessi tra reticoli concettuali appartenenti a discipline
diverse;
3. Variante incentrata sulla metacognizione: la metacognizione consiste nella capacità generale di riflettere sulle
proprie attività cognitive e sui processi di apprendimento, rendendoli consapevoli.
Concludendo, si può osservare che se i principi guida di questo modello vengono estremizzati, incorrono rischi come il
formalismo e il puerocentrismo, che congiunti portano a sottovalutare eccessivamente l'importanza dei contenuti della
formazione e/o a sovrastimare la rilevanza della pura efficienza del funzionamento mentale.

Modello didattico Ab: dominanza del soggetto formativo + prodotto della formazione.
Il fine di questo modello è prevalentemente centrato sullo sviluppo del talento personale.
Questo modello mira prevalentemente a raggiungere risultati circa lo sviluppo di specifiche forme di intelligenza e di
talento dello scolaro. Si pensa che oltre ad un intelligenza di tipo generale esistano varie forme di "attitudini cognitive
specifiche", dette "intelligenze" o "formae mentis", che definiscono la multiformità dell'ingegno umano e la pluralità dei
talenti di cui conseguentemente può essere dotato l'uomo. 
Si pensa che ogni individuo possieda proprie particolari inclinazioni intellettive e che ognuno possa sviluppare le
proprie forme di talento, non limitandosi cioè ad acquisire la padronanza di un certo campo, ma raggiungendo un livello
di eccellenza rispetto alla maggior parte delle persone.
Questo modello trova un corrispettivo storico nelle forme di "didattica personalizzata". Se però i principi di questo
modello vengono assolutizzati, c'è il rischio di privilegiare un piccolo gruppo di studenti/alunni ritenuti iperdotati o
geniali, anziché preoccuparsi di offrire a tutti e due opportunità di crescita intellettuale e culturale.

Modello didattico Ba: dominanza oggetto culturale + processo di apprendimento.


Il fine di questo modello è prevalentemente centrato sull'arricchimento culturale: si mira a promuovere un processo di
appropriazione interiore di contenuti culturali dotati di valore intrinseco, che determinano l'arricchimento spirituale del
soggetto.
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La crescita dell'individuo è vista come un qualcosa di collocato entro un mondo culturale i cui sistemi di simboli, di
significati, di valori, sono i principali fattori della sua umanizzazione, dell'itinerario che lo porta a diventare una
persona, cioè membro della comunità umana. La formazione viene vista come un percorso di appropriazione di questo
mondo di significati e di valori.
Questo modello trova un corrispettivo storico nei grandi paradigmi umanistici della formazione, come la bildung e la
paideia, che hanno messo l'accento sull'importanza di concepire l'insegnamento a partire da contenuti degni di essere
conosciuti e apprezzati per il loro intrinseco valore e che si concretizzano nella definizione di un <<canone>>, nella
scelta degli autori e delle opere da affrontare a scuola.

La cultura viene definita attraverso la natura astorica della spiritualità dell'uomo. Il ruolo dell'insegnamento diventa
essenzialmente quello di fornire al soggetto il "nutrimento spirituale" di chi ha bisogno, in cui siano privilegiate le
grandi opere dell'umanità, come quelle di Omero, Platone, Dante, Shakespeare, ecc., a cui per il maestro si aggiunge il
compito di far sì che la propria parola riesca a trovare la via dell'animo dell'alunno, portando con sé il significato
dell'opera stessa. 
Se i motivi ispiratori di questo modello venissero estremizzati, rischierebbero di dar vita a forme di "elitarismo
formativo" ma anche di "snobismo" verso le altre forme di cultura bassa e quotidiana, che rappresentano il vissuto degli
studenti. Vi è il pericolo di creare incomunicabilità tra scuola e alunni.
Modello didattico Bb: dominanza oggetto culturale + prodotto.
Il fine di questo modello è prevalentemente centrato sulle competenze di base.
Il modello tende a privilegiare queste capacità d'uso delle conoscenze disciplinari: sapere è saper fare punto basilarità
vuol dire che alcune di esse rappresentano il tempo stesso le fondamenta su cui edificare gli apprendimenti scolastici
successivi e le abilità culturali necessarie per la vita. Nel suo insieme, questo modello è pervaso da un certo spirito
sociale verso l'acquisizione della cultura e si oppone ad una concezione puramente elitaria della formazione, reagendo
ad essa sostenendo che tutti hanno diritto ad un certo livello di istruzione. Esistono due varianti:

1. La prima variante, fa riferimento ai limiti di educabilità dell'individuo identificati in fattori interni all'individuo
stesso: in questo caso, l'insegnamento tende ad assumere le forme tradizionali della didattica-trasgressiva, caratterizzata
dall'uniformità delle proposte formative;
2. La seconda variante, invece, fa riferimento ai limiti di educabilità dell'individuo identificati in fattori esterni
all'individuo: in questo caso, l'insegnamento tende ad adottare soluzioni tecniche avanzate, programmate e diversificate,
allo scopo di assicurare ad ogni alunno le condizioni esterne adeguate al raggiungimento della piena padronanza delle
competenze. L’esemplare paradigmatico di queste forme di insegnamento è rappresentato dal mastery learning.

Il rischio di questo modello risiede in una eventuale standardizzazione degli esiti scolastici, dell'omologazione dei
corredi culturali degli studenti creando una frammentazione della cultura in una serie di campi specialistici scissi gli uni
dagli altri.

1.3. Le dimensioni operative dell'insegnamento.


Vi sono diversi modi di concepire la progettazione della didattica, che però hanno in comune la funzione di dare
intenzionalità all'insegnamento, strappandolo da logiche veramente casualistica. Vi sono, dunque, diversi tipi di
programmazione:
1. Programmazione per obiettivi: l'insegnamento viene progettato in funzione di traguardi di apprendimento che
vengono definiti in maniera preliminare. Tali traguardi sono, per l'appunto, gli obiettivi da raggiungere. L'analisi della
situazione di partenza è concepita nei termini del controllo del possesso dei prerequisiti degli obiettivi; le prove di
valutazione devono misurare il grado di raggiungimento dei traguardi prefissati;

2. Programmazione per principi procedurali: la progettazione si pone come una specificazione dei criteri che
guideranno l'insegnamento nell'ambito della trattazione di contenuti culturali dotati di valore intrinseco. In qualche
modo si mira a raggiungere mete formative centrate sui processi messi in essere, piuttosto che suoi risultati. La
valutazione non mira classificare la prestazione dello studente, ma a rendere quest'ultimo maggiormente consapevole
dei criteri di valore dell'attività culturale;

3. Programmazione per concetti: consiste nel ricondurre la logica del contenuto culturale ad una mappa concettuale e
a disegnare la rete che ne permetta un raccordo significativo con i concetti spontanei della matrice cognitiva dello
studente. I colloqui, le discussioni, ecc. Sono gli elementi a cui si ispira la stessa valutazione;

4. Programmazione per sfondi integratori: la progettazione consiste nella scelta di un contesto di significato che dà
unità di senso alle attività che insegnanti alunni svolgeranno in relazione adesso. La valutazione si configura
essenzialmente come una documentazione del percorso compiuto e come riflessione sul suo significato formativo.
Progettare le condizioni favorevoli allo sviluppo del talento vuol dire organizzare gli "sfondi" in cui si collocherà
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l'attività di docenti e allievi e la loro interazione, scegliendo contesti fisici (spazi) e mentali (temi) appropriati e
significativi, idonei a consentire una progressiva evoluzione del tenore del lavoro e del livello dell'abilità in esso
implicato.

I modelli maggiormente centrati sul "prodotto" tendono a sintonizzare con la programmazione per obiettivi; mentre
quelli centrati prevalentemente sul "processo", propendono verso la programmazione per principi procedurali.
Parallelamente, i modelli maggiormente centrati sull' "oggetto" tendono a sintonizzare con la programmazione per
concetti che parte dalla struttura sostanziale dei contenuti; mentre quelli centrati prevalentemente sul "soggetto"
propendono verso la programmazione per sfondi.

Alla luce di tutto ciò, possiamo elaborare 4 affermazioni fondamentali:


A. Il modello centrato sulle competenze di base si pone maggiormente in sintonia con le procedure didattiche di
genere individualizzato, le quali Mirano a garantire il possesso di tali competenze a tutti gli alunni.
Tra le procedure di questo tipo, emergono:
- il mastery learning sviluppato da Bloom e Carroll. Bloom, psicopedagogista americano, si è sempre battuto per
l'uguaglianza formativa e spiega che il compito della scuola non è semplicemente quello di promuovere l'uguaglianza
delle opportunità, cioè dare a tutti le medesime possibilità di apprendimento, ma il compito più impegnativo è quello di
garantire l'uguaglianza dei risultati, se necessario anche attraverso forme di trattamento diseguale.

(Benedetto Vertecchi riprende in qualche modo il concetto di Bloom, contestualizzandolo nel quadro della scuola di
massa italiana. Bisognerebbe promuovere l'apprendimento delle abilità culturali basilari, che rappresenta la ragione
fondamentale di questa istituzione formativa. Tuttavia, spesso quest'ultima viene Intesa in termini elitari: un concetto di
qualità formativa adeguato ad una scuola di massa democratica non può prescindere dal criterio del grado di omogeneità
formativa che si riesce a promuovere in ordine alle competenze basilari.)

- l'istruzione programmata nelle sue varie versioni (Skinner, Crowder);


- il sistema di istruzione personalizzata elaborato da Keller;
- le schede correttive, i workbooks (eserciziari proposti da Washburne), il lavoro per gruppi, il tutoring,
l'istruzione assistita dal computer.

B. Il modello centrato sui processi cognitivi superiori si pone maggiormente in sintonia con le procedure didattiche
di tipo euristico, che Mirano ad allenare lo studente all'arte di saper porre, analizzare e risolvere problemi entrospecifici
campi di attività culturali. tra le varie proposte emergono: la ricerca scientifica, storica, tecnologica; il laboratorio, il
lavoro di gruppo, la discussione, i progetti di carattere pluridisciplinare, il gioco di simulazione, l'animazione culturale e
il colloquio clinico (quest'ultimo inteso come procedura per stimolare la riflessione di carattere metacognitivo).

C. Il modello centrato sul talento personale si pone maggiormente in sintonia con le procedure didattiche di tipo
personalizzato, come ad esempio: 
- i progetti di realizzazione di esperienze culturali, con diversificazione dei compiti degli studenti; 
- i corsi opzionali immaginati da Claparède, collocati in tempi scolastici, che affiancano il nucleo comune del curricolo; 
- i crediti didattici, con i quali si possono riconoscere agli studenti segmenti formativi svolti in tempi extrascolastici, ma
di rilevante tenore culturale;
- i corsi facoltativi tipici dell'arricchimento dell'offerta formativa degli istituti scolastici, attraverso attività collocate in
tempi extrascolastici.

D. Il modello centrato sull'arricchimento culturale si pone maggiormente in sintonia con le procedure didattiche
di genere maieutico, attinte dal modello della scuola classica, le quali Mirano a promuovere l'appropriazione personale
del contenuto culturale da parte dello studente. Tali procedure consistono in: lezioni dialogate, lezioni-discussioni,
lezioni frontali, lettura di rielaborazione personale, colloquio-interrogazione (concepito non come mero accertamento
delle conoscenze acquisite dallo studente, ma secondo il modello della dialettica, della sfida argomentativa tra
interrogagante ed interrogato).

1.4. Conclusioni.
• Per quanto riguarda il modello centrato sulle competenze di base, le nuove tecnologie da un lato offrono
semplicemente nuovi strumenti per l'acquisizione di tale competenze, dall'altro determinano un loro rilevante
allargamento, creando l'esigenza di nuove forme di alfabetizzazione che vanno ad aggiungersi a quelle classiche.
• Per quanto riguarda il modello centrato sui processi cognitivi superiori, il discorso appare analogo: da un lato le nuove
tecnologie offrono nuovi ambienti di sviluppo di questo genere di processi, dall'altro promuovono nuovi tipi di facoltà
mentali ed enfatizzano la rilevanza di alcuni processi, come la capacità di cogliere i nessi.
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• Invece, per quanto riguarda il modello centrato sul talento personale le nuove tecnologie sembrano soprattutto creare
nuove aree di eccellenza cognitiva, aggiungendo ulteriori dimensioni alla poliedricità dell'ingegno umano.

In conclusione, approfondiamo alcune teorie degli studiosi.


Al modello dei processi cognitivi, Morin (uno dei maggiori intellettuali europei oggi viventi) tratta dell'ipotesi
dell'educazione alla capacità di organizzare le conoscenze, connettendole tra di loro. Si deve evitare che l'istruzione si
riduca ad uno sterile accatastamento di conoscenze, che si limita a riempire la testa dei discenti: occorre mirare, invece,
alla formazione di "teste ben fatte".

In merito ai modelli dei talenti personali, occorre ricordare che il fine ultimo è quello di promuovere in ogni persona lo
sviluppo di una forma di eccellenza cognitiva che dia corpo alle sue peculiarità individuali. Claparède, psicologo di
Ginevra, pone in luce l'esistenza di differenze attitudinali di carattere qualitativo, che riguardano cioè il "genere" di
abilità di cui l'individuo è dotato, che la scuola spesso trascura. Bisogna consentire ad ogni studente di coltivare le
proprie specifiche potenzialità.
Ricordiamo anche la figura di Howard Gardner, psicopedagogista americano, il quale illustra la sua concezione delle
intelligenze multiple, affrontando anche alcune prospettive strategiche circa l'educazione di queste ultime.
Bisognerebbe, da un lato, mirare al recupero delle abilità carenti ( come l'individualizzazione propria del modello delle
competenze di base) e, dall'altro, mirare a sviluppare le potenzialità individuali.
Un filosofo della scienza, David Hawkins, afferma che da un lato, l'insegnante deve preoccuparsi di giudicare il genere
di intelligenza posseduta dalla alunno e, dall'altro, considerare come ogni alunno possa apprendere altrettanto bene dagli
altri purché gli vengono forniti ambienti di apprendimento che rispondano alle sue capacità.

PARTE SECONDA. 

FONDAMENTI TEORICI E DIMENSIONI OPERATIVE DELLA DIDATTICA.

Il modello delle competenze di base di Maurizio Parente.


2.1 I fondamenti teorici.
All'idea di una scuola tradizionale, trasgressiva è legata a saperi freddi, si sostituisce l'idea di una istituzione in grado di
dotare ai propri allievi di strumenti di autonoma organizzazione concettuale. Ciò implica una chiara riflessione
sull'importanza delle competenze di base come imprescindibile punto di partenza da cui muovere per la costruzione di
una solida struttura cognitiva e metacognitiva del soggetto informazione. L'obiettivo dovrebbe essere quello di dare agli
allievi la possibilità di conoscere una grande quantità di "nozioni", intese come <<elemento da conoscere per orientarsi
nei vari settori del sapere, per poterli approfondire, migliorare e accrescere>>.
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Alle nozioni vanno aggiunti i "contenuti disciplinari", che aiutano a strutturare la mente sul piano logico e culturale.
L'acquisizione di contenuti specifici, la comprensione di concetti-chiave connessi ai singoli campi del sapere e la
capacità di applicarne i procedimenti essenziali, costituiscono passi fondamentali verso il consolidamento di certi
apprendimenti e la costruzione di mappe cognitive capace di indicare la strada per ottimizzare i processi di
alfabetizzazione primaria e secondaria.

Pietro Boscolo definisce la "competenza" come l'insieme di conoscenze, abilità e atteggiamenti che consentono ad un
soggetto di ottenere risultati utili al proprio adattamento negli ambienti per lui significativi; essa si evidenzia con la
capacità di affrontare e padroneggiare i problemi della vita attraverso l'uso di abilità cognitive e sociali. Il termine
<<competenza>> rimanda: 
• alla costruzione personale e sociale dei saperi più che alla costruzione di repertori enciclopedici di conoscenze; 
• alla ricostruzione dell'unitarietà del mondo indagato più che alla settorializzazione del sapere; 
• alla crescita di capacità personali e critiche nella selezione, nella scelta delle informazioni e delle abilità da utilizzare
nella soluzione dei problemi di vita quotidiana.

Il modello didattico centrato sulle competenze di base rappresenta un procedimento ideale applicabile a tutti i gradi
scolastici, compresi quelli superiori E universitarivirgola poiché il possesso di solide basi costituisce il miglior punto di
partenza verso l'acquisizione di conoscenze e competenze superiori. L'utilizzo di questo modello obbliga i docenti a
prestare grande attenzione ai passi da compiere e a quelli compiuti al fine di procedere verso un innalzamento delle
competenze conquistabili. Occorre utilizzare diverse strategie didattiche, tra cui quella dell'individualizzazione
dell'insegnamento, indispensabile per permettere a tutti gli alunni il raggiungimento dei massimi obiettivi previsti nei
tempi al loro necessari. 
I saperi disciplinari non sono altro che quelle materie di insegnamento generalmente trasmesse in aula/classe. Le
competenze disciplinari godono del titolo di intelligenza specifica. Ogni disciplina infatti dispone di un proprio modello
interpretativo che permette di osservare e capire la cultura da un determinato punto di vista cognitivo. I saperi
disciplinari sono titolari di due repertori alfabetici: uno monocognitivo e l'altro metacognitivo.
Il repertorio monocognitivo si realizza in termini di conoscenze e di linguaggi; mentre il repertorio metacognitivo, si
realizza in termini di padronanza logica e metodologiche.

È possibile raggiungere una competenza disciplinare compiuta ed organica quando si padroneggia una duplice
competenza:
- Una competenza di primo livello, cioè le "microconoscenze" costituite dalle condotte alfabetiche e da quelle
linguistiche;
- Una competenza di secondo livello, ossia le "macroconoscenze" rappresentate dalle padronanza logiche e
metodologiche, le quali prendono il nome di capacità ermeneutiche (il punto di vista interpretativo di una disciplina),
investigative (la metodologia della ricerca di una disciplina), euristiche (il dispositivo dinamico-creativo di una
disciplina) e generative (la vocazione trasversale, interdisciplinare di una materia scolastica).

La tassonomia costituisce il dizionario delle conoscenze-competenze disciplinari ed è intesa come mappa cognitiva
capace di indicare la strada per ottimizzare i processi di alfabetizzazione primaria e secondaria. La tassonomia, oltre a
rappresentare uno strumento indispensabile per giungere al traguardo dello statuto cognitivo della singola materia
scolastica e il mezzo per trovare la strada cognitivamente più scorrevole, se mal interpretata può irretire il docente in
uno sterile burocraticismo. Il successo delle tassonomie si spiega dinanzi al crescente bisogno di razionalizzare,
sistematizzare, valutare un'educazione educativa.
Lo studioso Benjamin Bloom ha ordinato e gerarchizzato i processi cognitivi in una sorta di scala che aiuta a mettere in
luce le mancanze di molte attività educative, suggerendo le direzioni verso le quali sembra urgente orientarsi. Egli
individua quattro principi:

1. Il principio didattico: la tassonomia deve basarsi sui principali gruppi di obiettivi che si perseguono nel processo di
insegnamento;
2. Il principio psicologico: la tassonomia deve fondarsi sui principi dati dalla psicologia dell'apprendimento;
3. Il principio logico: le categorie tassonomiche vanno articolate in modo logico;
4. Il principio obiettivo: la gerarchia degli obiettivi non corrisponde ad una gerarchia dei valori.

Indipendentemente da questi quattro principi validi, la tassonomia si ordina in base al "principio strutturale della
complessità crescente". 
Inoltre, la tassonomia di Bloom si articola in tre momenti: quello cognitivo, affettivo e psicomotorio. La tassonomia di
Bloom è composta da 6 macro categoria: conoscenza, comprensione, applicazione, analisi, sintesi, valutazione, ognuna
delle quali prevede altre microcategorie.
Questo studio è stato successivamente ripreso e sviluppato dall'autore Robert Gagnè, il quale ha proposto un modello
fondato su una sequenza che comprende l'apprendimento di segnali, l'apprendimento di connessioni stimolo-
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rispostavirgola concatenazioni, associazioni verbali, apprendimento di discriminazioni, apprendimento di concetti,


apprendimento di regole, risoluzione di problemi.
Le proposte degli autori citati suggeriscono una ricchezza di elementi e di competenze culturali, ma anche di
conoscenze e di atteggiamenti operativi punto quanto più ampio e solida è questa gamma, tanto più si riducono le
possibilità di errore e di fallimento. Gli insuccessi attribuiti all'etàssonomie sono da ricercare in una scarsa
comprensione della loro utilizzazione. Spesso infatti vengono interpretate come semplici strumenti destinati a formulare
soltanto obiettivi. 
L'ipotesi metodologica da cui muove la teoria tassonomica è che l'allievo sia in grado di maturare potenzialità e risorse
della propria sfera intellettiva, soprattutto se messo nelle condizioni di salire gradualmente la scala degli apprendimenti
specifica per ogni età evolutiva: l'allievo passa da prestazioni cognitive elementari a prestazioni intermedie e superiori,
più complesso e strutturate, di tipo sistematico. I diversi tipi di apprendimento sono:

I. Apprendimenti elementari: il sapere.


Ricordare e riconoscere in modo da sviluppare una padronanza cognitiva che si identifica con la memorizzazione è
l'acquisizione di automatismi disciplinari relativi a più contenuti. Il concetto stesso di basilarità implica la costruzione
delle fondamenta del sapere, l'offerta delle strategie concettuali per orientarsi nei vari campi del sapere e dell'esistenza
in modo da favorire nell'alunno l'insorgere di abilità cognitive e metacognitive;
II. Apprendimenti intermedi: il comprendere.
Gli allievi dovrebbero acquisire la capacità di comprendere, e seguire, applicare I saperi accumulati attraverso gli
apprendimenti elementari punto la comprensione implica il saper applicare e controllare le operazioni, i concetti, i
principi;
III. Apprendimenti superiori: il saper pensare e il saper inventare.
Gli apprendimenti superiori prevedono l'acquisizione di padronanze intellettuali:
- "convergenti", come il saper ragionare (capacità di analisi, sintesi e metodo);
- "divergenti" come il saper inventare (capacità di intuizione ed invenzione). 

Scopo fondamentale della tavola tassonomica è quello di impegnare l'insegnante a stimare preventivamente gli obiettivi
cognitivi che intende perseguire tramite l'unità didattica o il progetto didattico. L'insieme degli obiettivi prescelti va
collocato e formalizzato all'interno di una mappa delle specificazioni, la quale ha il compito di presentare la
distribuzione degli obiettivi nei tre piani tassonomici. Nel nostro attuale sistema scolastico scolastico Gli studenti sono
soggetti a diversi momenti di valutazione: iniziale, formativa e sommativa.

2.2 Le dimensioni operative.


Ricordiamo che la programmazione è intesa come strategia finalizzata ad assicurare un'azione sistematica ed
intenzionale in accordo con gli obiettivi generali e le strategie da adottare. Il modello didattico fondato sulle
competenze di base trova la sua Maggiore esplicazione nella programmazione per obiettivi e in quella per concetti.

• La "programmazione per obiettivi" si struttura in tappe differenti sotto l'aspetto diacronico (analisi dell'esistente,
individuazione di finalità, percorsi, controlli, verifiche) ed in settori dal punto di vista sincronico (scuola, servizi,
territorio, famiglia, eccetera). Ma, l'aspetto più caratterizzante della programmazione per obiettivi è individuabile nella
programmazione didattica attraverso la quale si definiscono gli obiettivi stessi.
• La "programmazione per concetti" focalizza la propria attenzione su una possibile mediazione tra soggetto ed
oggetto, tra bambino e cultura. I docenti hanno il compito di prevedere, organizzare e costruire le condizioni necessarie
per la mediazione didattica tramite operazioni tra adulti e con gli alunni punto gli alunni devono essere posti in
condizione di operare a partire dall'esperienza, dalla riflessione sulle esperienze, dalla trasformazione di queste ultime
in informazioni, dall'elaborazione delle informazioni in concetti.

Analizziamo adesso due modelli di insegnamento/apprendimento individualizzato: il mastery learning e il tutoring.


• Il mastery learning: è una teoria didattica strettamente legata all'individualizzazione dell'insegnamento, alla
personalizzazione del curriculum, all'organizzazione flessibile. 
Partendo dal presupposto che sia le materie di apprendimento che le abilità dei singoli individui sono differenti, tale
strategia si fonda sulla persuasione che ciascuna allievo può giungere a padroneggiare qualsiasi materia utile, purché gli
sia permesso di dedicare un tempo sufficiente a consolidarne le basi e gli sia fornito l'approccio che risponde meglio
alle sue abilità naturali.
Secondo Benjamin Bloom, il mastery learning si fonda sul concetto che tutti o quasi tutti possono padroneggiare quanto
loro insegnato, e suggerisce procedure secondo le quali organizzare l'istruzione e l'apprendimento di ogni studente, così
da promuovere il pieno sviluppo dello studente stesso, pur rimanendo nel contesto di classe (intesa come gruppo).
BALDACCI – I MODELLI DELLA DIDATTICA

Questo modello di apprendimento è più efficace poiché gli studenti imparano più cose in minor tempo e suscita nei
ragazzi un interesse maggiore ed una migliore disposizione verso ciò che apprendono.

Il mastery learning venne rivalutato alla fine degli anni '50, poiché prima era scomparso per la mancanza di mezzi
tecnologici su cui fondare con successo questo sistema. Skinner, partendo dal presupposto che l'educazione dovesse
mirare al conseguimento di risultati rapidi e sicuri, prese in considerazione questo modello di apprendimento
individualizzato. L'istruzione programmata risultò efficace soprattutto per gli studenti che avevano bisogno di procedere
a piccoli passi, con l'ausilio di esercizi e di frequenti rinforzi. 
John Carroll suggerì di prestare Maggiore attenzione non sulle attitudini di ciascun individuo, ma sul tempo richiesto
per apprendere un compito ad un livello dato di condizioni educative ideali. Egli propose il suo modello di
apprendimento scolastico: era convinto che se ad ogni studente fosse stato concesso il tempo di cui egli aveva bisogno
per imparare, allora Il discente avrebbe raggiunto tale livello.
Il grado di apprendimento equivale al rapporto tra il tempo effettivamente impiegato ed il tempo necessario.
Benjamin Bloom a trasformare questo modello concettuale in un efficace modello di lavoro per il mastery learning. Egli
riteneva che, sia tutti gli studenti fosse stata data una opportunità di apprendimento uniforme, solo pochi di loro
avrebbero conseguito un adeguato livello di padronanza. Al contrario, se fossero stati distribuiti normalmente riguardo
alle attitudini, ma ognuno avesse ricevuto una qualità ottimale di istruzione e un tempo di apprendimento pari alle
necessità personali, sarebbe aumentato anche il numero degli studenti in grado di raggiungere tale padronanza.
L'insegnante aveva il compito di presentare ogni unità utilizzando tipici metodi collettivi, ma aggiungendo semplici
procedimenti di correzione con feedback per assicurarsi che l'insegnamento impartito ad ogni studente fosse di qualità
ottimale.

Più avanti, James Block, riprese i lavori di Carroll e di Bloom sul mastery learning, accentuando il discorso sulla qualità
dell'Istruzione per realizzare una strategia particolare in classe entro i limiti del tempo a disposizione per realizzare
l'istruzione. Egli era convinto che l'insegnante potesse intervenire direttamente sulle opportunità di apprendimento e
sulla qualità dell'istruzione. Il docente avrebbe dovuto definire le padronanza concettuali che gli studenti avrebbero
dovuto raggiungere al termine del corso; elaborare le prove di verifica; predisporre unità didattiche tenendo conto dello
stato di preparazione iniziale dei suoi allievi e realizzare il percorso formativo garantendo il più possibile che gli allievi
giungano all'unità successiva dopo aver conquistato il minimo indispensabile di padronanza delle conoscenze e
competenze previste dalle unità precedenti. Questa strategia avrebbe evitato debolezze, lacune ed errori.
Infine, in merito al mastery learning in classe, James block afferma che l'insegnante deve operare in due fasi distinte:
un'attività preparatoria e un'attività sul campo.

• Il tutoring.
Gaetano Domenici, a proposito del tutoring, sostiene che esso può essere inteso come una modalità di gestione
responsabile della classe, che consiste nell'affidare ad uno o più alunni la responsabilità del programma didattico, con
obiettivi da raggiungere ben definiti. Vi sono concrete modalità di attuazione del tutoring: l'alunno più grande che
insegna quello più piccolo; l'alunno più bravo in certi apprendimenti che insegna a chi deve ancora esercitarsi; l'alunno
non molto bravo che viene responsabilizzato ad insegnare ai compagni. Due sono gli scopi principali di questa modalità
di lavoro: 
1. Sul piano educativo, favorire la responsabilizzazione;
2. Sul piano dell'insegnamento, rendere più efficace la comunicazione didattica.

Il tutoring è anche una proposta sperimentale di intervento didattico educativo integrativo di tipo trasversale finalizzato
al sostegno e all'incremento delle competenze degli alunni che presentano difficoltà generali di apprendimento ed
espressione, anche connesse ad eventuali problemi di relazione con i docenti o con il gruppo classe. Il presupposto di
base di tale attività è la valorizzazione delle risorse dell'alunno.
Il tutor ha il compito di aiutare l'alunno a riconoscere le risorse positive di cui dispone e a contribuire attivamente allo
sviluppo del proprio percorso formativo.
Allo stesso tempo, il tutor deve guidare la riflessione dello studente rispondendo alle domande da lui formulate in base
alle proprie letture, valutare la performance dello studente tentando di capire cosa egli abbia tratto dalle letture. Il tutor,
in generale, dovrebbe assumere atteggiamenti positivi verso gli altri, comprendere le situazioni, essere una presenza
capace di gestire, motivare, saper interagire, sostenere e dare informazioni punto al tutor è richiesta una buona
conoscenza dei quadri concettuali di riferimento delle discipline coinvolte nel progetto stesso.

È fondamentale sviluppare un contratto formativo all'avvio dell'attività: un impegno reciproco che prevede compiti
precisi, ma che implichi anche una modalità di relazione basata su lealtà e chiarezza punto inoltre il docente deve
garantire all'allievo massima discrezione, nei confronti dei colleghi e dei genitori.
Affinché il tutoring sia efficace è opportuno che l'esperienza prosegua per un periodo di tempo abbastanza lungo e che
venga assicurata la buona preparazione degli allievi istruttori.
BALDACCI – I MODELLI DELLA DIDATTICA

CAPITOLO 3.

IL MODELLO DEI PROCESSI COGNITIVI SUPERIORI DI ROSSELLA PERSI.

3.1. I fondamenti teorici.


Il modello didattico in cui il fine è centrato soprattutto sullo sviluppo dei processi cognitivi superiori ha avuto in Dewey
uno dei più importanti e noti sostenitori. Secondo lui, esiste una "corrente della coscienza", cioè il corso non controllato
delle idee che spesso, nonostante siano collegate le une alle altre, non seguono un principio unificatore e non presentano
un ordine/sequenza secondo un criterio logico.
Esiste un pensiero che altro non è che una raffigurazione mentale di qualcosa non attualmente presente. Il pensiero
riflessivo è uno dei fini più importanti dell'educazione che consente di sviluppare nuove idee, di arricchire esperienze di
significati, di coltivare le proprie attitudini, di riconoscere i propri errori e di volere superarli. È evidente la centralità
del soggetto nell'ambito del processo di pensiero. 

Il già citato Morin, definisce la sua proposta pedagogica in termini di sfide. Una nuova organizzazione del sapere è un
approccio innovativo dell'insegnamento sono da lui visti come risposta a tre sfide: 
1. quella culturale, che consiste nell'integrazione tra cultura umanistica e scientifica;
2. quella sociologica, che si esprime nel padroneggiare gli aspetti cognitivi delle attività economiche, tecniche, sociali e
politiche; 
3. quella civica, che consiste nel rafforzare il senso di responsabilità e di solidarietà nei confronti di tutti gli abitanti del
pianeta, superando quelli indebolimento di partecipazione democratica dovuto anche all'appropriazione da parte degli
esperti di un numero crescente di problemi vitali.

Il compito più difficile è la riforma di pensiero che consentirebbe il pieno impiego dell'intelligenza per rispondere a
queste sfide e che permetterebbe il legame delle due culture disgiunte. Si tratta di una riforma che riguarda la nostra
attitudine ad organizzare la conoscenza. Il "soggetto" della relazione funge da simbolo di realtà differenti (l'individuo, il
gruppo, il centro di vita culturale) e diversamente significative a seconda del settore specifico di indagine, così come
"l'oggetto" non si riferisce ad un dato o ad un ente determinato, ma simboleggia realtà differenti (la natura, le istituzioni
sociali, Dio).
Il pensiero/principio pedagogico basato sull'educazione alla ragione e sulla problematicità implicita nella relazione
educativa di Bertin si ricollega al cognitivismo.
Secondo Morin, il soggetto avrebbe un autonomia relativa definibile all'interno di un contesto dato. Il soggetto è al
contempo passivo ed attivo: è passivo perché subisce condizionamenti contestuali, ma è attivo in quanto artefice in gran
parte di questi stessi contesti.
Esistono delle onde di simbolizzazione, le quali nascono nell'ambito di un singolo sistema per poi estendersi
anche ad altri sistemi. 
• La prima onda di simbolizzazione coincide con la strutturazione degli eventi o dei ruoli e riguarda il bambino tra i
18 mesi e i due anni di età: si sviluppa la capacità di linguaggio.
• La seconda onda del rilevamento topologico: esprime la capacità del bambino di riprodurre le relazioni spaziali che
corrispondono ad oggetti reali; in questa età il bambino è in grado ad esempio di tracciare due cerchi attaccati, l'uno
sopra l'altro, che rappresentano la testa e il corpo di una persona, oppure di costruire un modellino di casa servendosi di
blocchi che culminano con un blocco identificabile come tetto.
• La terza onda di rilevamento digitale comprende la capacità di cogliere quantità e relazioni numeriche e si sviluppa
intorno ai 4 anni: il bambino sa connettere un piccolo insieme di oggetti e comprendere l'elemento che li accomuna, che
potrebbe essere la forma o il colore.
• La quarta onda di simbolizzazione si evolve intorno ai 5-7 anni di età e consiste in una simbolizzazione di secondo
livello o notazionale. Il bambino ha una capacità di usare un sistema di segni che permetta loro di codificare e ricordare
le informazioni necessarie: ad esempio, se i bambini hanno avuto occasione di osservare gli adulti nel corso di una
partita di pallavolo in cui è necessario utilizzare la segnatura dei punti, saranno stimolati a fare altrettanto in analoghe
occasioni. L'esigenza della simbolizzazione notazionale risponde ad una necessità della memoria e alla possibilità di
riprodurre lo stesso schema di comportamento.

Alla luce di ciò, si potrebbe dire che i processi cognitivi superiori poggiano sulle prime onde di simbolizzazione,
integrandole e riconnettendole in sistemi di simboli sempre più generali e complessi. È fondamentale il contributo di
Howard Gardner. Se è vero che queste onde rappresentano i modi principali in cui gli esseri umani costruiscono i
BALDACCI – I MODELLI DELLA DIDATTICA

significati, Esse possono avere implicazioni importanti per l'educazione sia nell'ambiente scolastico che è al di fuori.
Tutte le teorie finora analizzate presentano come Focus principale la valorizzazione del soggetto e dei processi
cognitivi.

Processi cognitivi superiori: alcuni modelli.


Un'idea di educazione fondata sui processi cognitivi e, quindi, sul ruolo attivo del soggetto si sofferma sulle funzioni
della mente. L'idea di mente richiama un sistema di conoscenze concettuali e simboliche che sono presenti
nell'individuo come frutto di precedenti esperienze: una mente è dotata di conoscenze che si esprimono in immagini,
schemi, piani, strutture. La mente ha la capacità di selezionare le informazioni, trasformarle scegliendo i mezzi con cui
organizzarle e impiegando una varietà di strategie per costruire il sapere in modo significativo.
Nell'attività linguistica sono presenti sia un aspetto costruttivo che un aspetto di utilizzazione:

- L'aspetto costruttivo consiste nella capacità di attribuire significati;


- L'aspetto di utilizzazione, invece, consiste nella possibilità di utilizzare per altri scopi l'interpretazione elaborata.
Il cognitivismo ha evidenziato un concetto di scrittura come rappresentazione mentale e uso di specifiche strategie. In
questo senso, lettura e scrittura si integrano. Sotto il profilo metodologico e funzionale all'approccio del leggere dello
scrivere anche la discussione in classe su quanto si è letto, studiato e scritto. Tale discussione conduce alla conquista di
nuovi significati e alla definizione di quello che già si conosce. L'elemento della conversazione assume una centralità
rilevante nel modello della Pontecorvo.
Pontecorvo pone l'accento soprattutto sull'interazione sociale come scelta metodologica che si richiama ad un'idea del
soggetto interamente calato in un contesto di apprendimento che va dal rapporto con i pari fino all'uso di un sapere
tecnologico. Questo processo di apprendimento viene definito come un'attività cognitivo-sociale: il contesto sociale è il
discorso che in esso si svolge include i valori, i ruoli accettati, le autorità, il riconoscimento sociale, il contratto
educativo e non è più possibile isolare le prestazioni cognitive dalla loro valenza sociale. Alla base di questo modello
c'è l'idea dell'origine sociale del pensiero che conduce ad una visione dei processi cognitivi come condivisione di teorie,
modelli di comportamento, regole e principi. La condivisione è una costruzione che comporta un processo attivo e mai
concluso di ricerca comune.

De Bartolomeis sviluppa una didattica puerocentrica che valorizza particolarmente le caratteristiche del soggetto in
formazione. Come già analizzato, il rischio del puerocentrismo consiste nel sottovalutare l'importanza dei contenuti e
Nello stimare eccessivamente l'efficienza del funzionamento mentale che dovrebbe manifestarsi in forma del tutto
spontanee; il culturocentrismo, invece, rischia di sottovalutare i processi cognitivi a favore dei contenuti disciplinari. De
Bartolomeis propone dunque una ipotesi di riequilibrio tra la ricerca ed i percorsi mono e pluridisciplinari che sono
praticati nei laboratori: egli privilegia una programmazione per principi procedurali piuttosto che una programmazione
per obiettivi.

Un altro modello didattico che punta sulla creatività, rivolgendosi però all'immaginazione, è quella di Gianni Rodari:
egli teorizza un'idea di creatività che si esprime soprattutto nella costruzione e nell'ascolto di storie.
Rodari identifica due metodi di invenzioni di favole: il primo consiste in una tecnica che dà impulso alla fantasia,
partendo dall'esterno verso l'interno; mentre il secondo segue invece il procedimento inverso. Si può inoltre lavorare
scegliendo due parole a caso ed ipotizzandone diverse combinazioni fino a favorire l'immagine iniziale che potrebbe
essere il nucleo di una favola. La fantasia allora può essere anche stimolata da una singola parola, la quale può essere
collegata con tante altre fino a costruire l'intreccio di una storia.
Il puntare sulla capacità di produzione sviluppando le abilità e le conoscenze necessarie per consentire al bambino
realizzazioni via via più mature è una scelta pedagogica che esprime un determinato modello culturale: secondo questo
paradigma la creatività come processo è del tutto trascurata. Essa è piuttosto posta a fondamento di una filosofia
educativa non direttiva, progressiva, che mira a formare una persona dotata di capacità di critica e di gusto per
l'innovazione. In Howard Gardner la creatività assume un aspetto centrale perché diviene un'idea di educazione
complessiva ed una vera e propria filosofia dell'educazione.

3.2. Le dimensioni operative.


Così come esistono diversi modelli delle attività di insegnamento esistono differenti forme di programmazione che
esplicitano le varie concezioni della didattica: Esse hanno in comune il carattere di intenzionalità dell'insegnamento dal
momento che è programmare significa porsi consapevolmente delle finalità e individuare i percorsi più idonei al loro
raggiungimento. La programmazione didattica libera quindi l'insegnamento da qualunque improvvisazione è casualità
che alla fine porterebbero ad un risultato privo di qualunque efficacia.

Procedure didattiche.
BALDACCI – I MODELLI DELLA DIDATTICA

Il progetto didattico (PD) è un itinerario formativo multidisciplinare i cui requisiti fondamentali sono: l'individuazione
come punto di partenza di elementi appartenenti alla vita quotidiana degli allievi e la scelta di argomenti che consentano
di collegare tra loro ambiti disciplinari differenti. L'unità didattica, che ha carattere disciplinare, possiede chiarezza
cognitiva in quanto i traguardi di apprendimento devono essere resi espliciti. Il progetto didattico è costituito da una
sequenza di operazioni in cui si identificano: il tema, i materiali, le attività, il ruolo dell'insegnante, le modalità di lavoro
degli allievi. Un ruolo centrale nella programmazione spetta all'insegnante, il quale prepara tutte le condizioni e le
risorse materiali, culturali, organizzative necessarie alle attività dei bambini, valutando anche quei contenuti
culturalmente rilevanti che possono dar luogo ad attività significative sotto il profilo individuale e sociale.
L'attività di insegnamento/apprendimento si qualifica come un insieme di procedure che hanno lo scopo di favorire
l'integrazione tra i costrutti culturali e i costrutti mentali, cioè tra la struttura delle discipline e la matrice cognitiva dello
studente. Nell'ambito di una cornice pedagogica caratterizzata dagli elementi processo/soggetto le forme di
programmazione maggiormente pertinenti sono: quella per principi procedurali e quella per sfondo integratore
(Canevaro).

Fig. 3.1: vanno eliminati i rapporti gerarchici e vanno costruiti spazi circolari per la discussione e spazi idonei al lavoro
di piccoli gruppi. l'aula diventa un ambiente in cui ci si può muovere con libertà e dove i bambini imparano a disporsi in
modo più funzionale ai compiti che si accingono a sviluppare. Durante il tempo di progettazione il tempo assume il
valore di una risorsa qualitativa.
Nel progetto didattico si ipotizza la scelta di un argomento che si suppone venga realizzato con bambini del secondo
ciclo della scuola elementare (8-10 anni di età).
Il tema previsto deve essere un argomento in grado di dare un significato personale e sociale alle attività dei bambini:
Esso deve avere rilevanza sociale.
I contenuti che fanno riferimento all'argomento principale vanno identificati attraverso una scelta rigorosa fatta di
puntualizzazioni: l'argomento di per sé è costituito da una mole notevole di diramazioni, di concetti chiave, di
specificazioni. Partendo ad esempio dal tema dell'immigrazione, intesa come macro contenuto, è possibile articolarne
altri che ne costituiscono l'esplicitazione e l'esplicazione:
- paese di origine dei bambini stranieri presenti in classe;
- caratteristiche fisiche del paese di origine;
- l'immagine dell'altro nella reciprocità della relazione;
- risorse e limiti del paese lasciato;
- trasformazione ambientale dei luoghi di provenienza indotta dall'uomo.

Inoltre, dalla conoscenza di fiabe e leggende dei paesi di origine si può trarre un'attività di ricerca che riveste, all'interno
del progetto didattico, una sua autonomia e specificità.
Fondamentale è l'opera di Propp, "Morfologia della fiaba". 
Analizzando la fiaba popolare, Propp formula 3 noti principi:
1. La costanza delle funzioni dei personaggi;
2. Il numero limitato dei personaggi;
3. La successione delle funzioni che si ripete in maniera identica.

La permanenza delle funzioni evidenzia gli elementi di uguaglianza tra le diverse culture, mentre le differenze di
ambientazione, di caratterizzazione dei personaggi e dei singoli eventi illustrano la diversità. Su questo presupposto si
costruisce l'attività di ricerca dei bambini che possono inventare infinite storie utilizzando proprio alcune funzioni
individuate da Propp. Questa possibilità di esplorazione delle variabili consente lo sviluppo del processo cognitivo in
cui entrano in relazione esperienze personali interpretate alla luce di funzioni chiave. In questo processo i temi fiabeschi
vengono collegati in base a rapporti nuovi volti a narrare una storia diversa: il bambino non ha il compito di ricostruire
una sequenza di eventi e secondo un ordine prefissato, ma quello di produrre lui stesso un ordine istituendo così nuovi
significati punto questa ipotesi di lavoro introduce i bambini ad una riflessione centrata sul tema dell'uguaglianza di tutti
gli uomini dal momento che si fonda sul riconoscimento di alcune funzioni presenti nelle differenti fiabe lette.
La conoscenza delle fiabe e delle leggende dei paesi di origine fa parte di quel mondo che il bambino immigrato porta
con sé e che è costituito dalle sue esperienze, dalla sua vita familiare, dalle sue aspirazioni e paure, da quell'insieme di
conoscenze e di valori che formano una cultura.

Fig.3.2: Progetto didattico "Popoli e ambienti: uguaglianza e diversità sul pianeta Terra" (Vedi schema pag.122).
Partendo dalle testimonianze degli immigrati, si passa ad analizzare i loro paesi di origine. Segue la conoscenza e
l'accettazione attraverso la relazione (gioco). A questo punto si delinea l'immagine dell'altro (conoscenza e pregiudizio)
e si analizzano le cause della migrazione.
BALDACCI – I MODELLI DELLA DIDATTICA

CAPITOLO 4

IL MODELLO DEI TALENTI PERSONALI DI PAOLA D'IGNAZI.

4.1 I fondamenti teorici.


In tale contesto storico culturale, La scuola può farsi garante di un'etica dell'educazione, in quanto istituzione preposta
all'istruzione e formazione delle nuove generazioni. È importante che le diversità tra i soggetti vengano riconosciute e
valorizzate, permettendo l'espressione degli interessi, dei talenti e progetti di vita personali. Le diversità più evidenti fra
gli uomini sono innanzitutto quelle immediatamente percepibili come differenze fisiche (somatiche e senso motorie) e
caratteriali.
Altri aspetti della diversità sono rappresentati dalla pluralità dei modi di vita, visione del mondo, esperienze personali e
molto altro. Tutti questi fattori determinano la diversità qualitativa tra individui intesa come uguaglianza nella diversità.
Il problema dell'uguaglianza/disuguaglianza tra uomini attraversato la storia del pensiero, investendo filosofia ed ideali
politici: si pensi alle concezioni dell'uomo e della società di Hobbes, Machiavelli, Rousseau e alle conseguenti idee
politiche ed educative.

Interazione e complementarità di fattori ereditari e ambientali. 


Il dibattito sul tema dell'uguaglianza, che ripropone necessariamente l'antinomia natura/cultura, è ricorrente nelle
scienze dell'educazione. David Hawkins, filosofo della scienza, affronta la tematica del rapporto natura/scultura allo
scopo di fornire le basi teoriche ad una etica egalitaria dell'educazione. Hawkins mette in evidenza come, nella
definizione dell’intelligenza, l'antinomia natura/cultura dia luogo all'opposizione tra le tesi ambientaliste e quelle che
sostengono all'opposto l'ereditarietà delle attitudini.
Se gli uomini sono differenti alla nascita, la disuguaglianza è il prodotto di un'interazione con l'ambiente. Le diversità
che condizionano la qualità del percorso scolastico e la formazione dell'individuo non sono presenti alla nascita, ma si
determinano successivamente. Il profilo cognitivo di ogni soggetto risulta costituito da un sistema di conoscenze,
competenze, propensioni, attitudini e stili di apprendimento altamente complesso. 
Howard Gardner mette in discussione l'idea di un fattore di intelligenza generale, il quoziente intellettivo, poiché
sostiene che questo si basa sulla valutazione di competenze linguistiche e logico matematiche, privilegiate dalla cultura
dominante e dall'istruzione. Il soggetto in possesso di un alto livello di competenze in ambiti non scolastici non mostra
un comportamento intelligente rilevabile dai test psicometrici, ai quali sfuggono potenziali e prestazioni che non siano
linguistiche o logiche. Ne consegue che un individuo, al quale sia stato riconosciuto un basso cui, può riscuotere
successo nella vita senza che le sue abilità vengano identificate come intelligenza.

Implicazioni pedagogiche del concetto di intelligenza.


Una concezione dell'intelligenza, intesa come fattore geneticamente determinato, portò all'elaborazione di programmi
educativi selettivi ed a una scuola elitaria. Per contro la concezione ambientalista riduce le differenze a cause ambientali
e prospetta un procedimento pedagogico che tende a recuperare i più deboli, fornendo a tutti uguali opportunità. La
concezione proposta da Hawkins e Gardner implica la ricerca sul piano educativo di interventi complementari alle
caratteristiche del soggetto, che consente a tutti di esprimere e valorizzare la propria individualità, perseguendo in tal
modo mete egualitarie. L'equità culturale ed intellettuale è strettamente correlata al concetto di intelligenza, intesa come
abilità, attitudine e talento: si tratta di una sorta di famiglia di abilità mentali primarie appunto Gardner sostiene che gli
individui possiedono in diversi grado Le differenti forme di intelligenza. Questo fatto presenta implicazioni decisive
soprattutto per quanto riguarda il contesto dell'apprendimento educativo. Le scuole di quasi tutti i paesi fanno
valorizzare una certa combinazione di intelligenza linguistica e logica.
BALDACCI – I MODELLI DELLA DIDATTICA

David Olson definisce la categoria di intelligenza come l'abilità in un medium culturalmente e storicamente
determinato, che si caratterizza come gamma o campo di attività esecutiva. Lo sviluppo mentale è determinato dai
media forniti all'individuo dalla cultura di appartenenza e le abilità si conseguono attraverso lo svolgimento di attività in
uno specifico medium o campo esecutivo. I media sono concepiti da Olson come quegli strumenti con funzione
comunicativa, atti ad informare, registrare, partecipare e distribuire simboli. Essi, determinando l'acquisizione di abilità
e competenze specifiche, divengono i mezzi di esplorazione e rappresentazione di esperienza, caratterizzandola agire
dell'individuo. Olson sostiene anche che l'istruzione, in partita esclusivamente attraverso il medium del linguaggio
verbale, presenta dei limiti: le parole, ad esempio, risultano inadeguate alla trasmissione di informazioni visive o
motorie, per cui la descrizione è verbale non può essere mai efficace quanto un atto esecutivo.
in ultima analisi, possiamo chiamare attitudine o talento ciò che intendiamo come abilità spiccata in un determinato
settore: tale definizione di talento risponde al modello di intelligenza proposto da Gardner, secondo cui Talenti
rappresentano la forma mentis, le diverse personali forme di intelligenza, allo sviluppo delle quali contribuiscono molti
fattori. Tra questi fattori vi sono predisposizioni innate, interazione con l'ambiente, esperienze formative ed aspirazioni
personali punto il talento può essere sviluppato attraverso una formazione adeguata.

4.2 Le dimensioni operative.


Prendiamo ora in esame i principi, i modelli di programmazione, gli spazi, le procedure didattiche laboratorio e credito
didattico, che rendono possibile all’interno della scuola l’espressione e la valorizzazione delle diverse forme di
intelligenza. La strategia educativa, che tiene conto delle differenze cognitive individuali sotto il profilo qualitativo, è la
didattica personalizzata: essa può dare risposta ad esigenze e bisogni formativi individuali, consentendo l’espressione e
la valorizzazione dei talenti personali, in modo tale che il soggetto in formazione possa conquistare una forma personale
di eccellenza. L'alunno può esprimere i propri interessi, inclinazione abilità nella scelta dei percorsi. La scuola in cui
non vengono valorizzati tutti i tipi di intelligenza non coglie la possibilità di sviluppare le risorse e potenzialità
personali, fondamentali per la piena realizzazione di ogni individuo ed utili al perseguimento di finalità educative e
sociali. È, pertanto, opportuno che vengano messi in atto dispositivi che consentano a ciascun alunno di esprimere i
propri Talenti. 
Agli inizi del Novecento Éduard Claparède sosteneva l'idea di una scuola che rispondeva ai bisogni dell'alunno ed
individuava nel sistema delle opzioni la strategia che consentiva ad ogni alunno di raggruppare gli elementi favorevoli
allo sviluppo delle sue attitudini. Egli prevedeva in una scuola siffatta lo svolgimento di una parte di programma
comune, che consentisse l’acquisizione di conoscenze basilari, a cui come completamento si sarebbero affiancate le
lezioni che l'allievo avrebbe liberamente scelto di seguire.

Una didattica che intende le diversità non come disuguaglianze, bensì come espressione di caratteristiche affettive e
cognitive individuali da riconoscere e potenziare, deve necessariamente basarsi sulla possibilità di scelta tra le i
molteplici e differenziati percorsi che possano soddisfare i bisogni formativi dell'alunno: "sistema delle opzioni".

Programmazione e didattica personalizzata. 


Un modello di didattica attenta alle problematiche del soggetto e finalizzata al potenziamento dei talenti personali non
può che prevedere una pluralità dei percorsi, che trovano giustificazione nella programmazione didattica e si
concretizzano in procedure di insegnamento adeguate alla personalizzazione dei percorsi formativi. 
La programmazione tiene conto della realtà sociale, culturale e territoriale in cui queste si collocano e delle
caratteristiche dell'utenza: vi è di fatto alla base della programmazione uno stile sperimentale, che trova conferma e/o
smentita dei propri metodi e tecniche solo nel momento della valutazione dei risultati. La programmazione stabilisce un
piano educativo che consente ai soggetti di scegliere percorsi formativi individuali, finalizzati al raggiungimento di
mente personale. La programmazione per sfondi risulta adeguata a tale scopo, in quanto da rilievo alla
contestualizzazione , ad attività o percorsi ed obiettivi differenziati.

La cultura del territorio consente un'esperienza diretta e pratica, legata alla manipolazione alla percezione ed implica
attività che assumono, nella prospettiva didattico-educativa, connotati pluridisciplinari e multidisciplinari con una forte
valenza di coinvolgimento per gli alunni punto gli spazi culturali offerti dal contesto sociale si avvalgono di esperti ed
attrezzature adeguate, e possono diventare essi stessi luoghi di apprendimento, integrando significativamente l'azione
formativa della scuola.

La programmazione per sfondi integratori.


Molte esperienze condotte prevalentemente nella scuola dell'infanzia adottano la programmazione per sfondi
integratori: lo sfondo va inteso come una struttura unificante, che può essere il riferimento concreto di una serie di
attività realizzate dai bambini, i quali hanno la possibilità in tal modo di trovare un insieme di collegamenti che rendono
l'esperienza significativa.
BALDACCI – I MODELLI DELLA DIDATTICA

Lo sfondo integratore è stato proposto da Andrea Canevaro come lo strumento che può consentire l'inserimento ed il
coinvolgimento del soggetto diverso nel gruppo dei pari e nel contesto educativo. Le situazioni di disturbo, di
dissonanza, determinate dalla presenza in classe di bambini portatori di handicap o problematiche di comunicazione,
possono essere integrate da una struttura unificante che dà significato è contestualizza elementi che altrimenti
risulterebbero disgregati. Lo sfondo risulta funzionale alla didattica personalizzata poiché consente di creare un meta
contesto, una struttura all'interno della quale prendono rilievo attività ed esperienze diversificate. In tale prospettiva
l'insegnante rinuncia al ruolo di elargitore di conoscenza e si assume il compito di pensare all'organizzazione,
individuando spazi, tempi, regole, attività, percorsi formativi, che possano far emergere la specificità del profilo
cognitivo di ogni alunno.
La programmazione per sfondi necessariamente implica le seguenti fasi operative:
- Analisi del contesto; 
- Individuazione dello sfondo più adeguato alla realtà scolastica;
- Programmazione ed organizzazione delle attività, individuando: tematiche, tempi e destinatari, mezzi ed
organizzazione di eventuali spazi interni alla scuola;
- Individuazione delle risorse;
- Modalità di verifica e valutazione.

Lo sfondo del laboratorio: l'esperienza del canto corale. 


Una prima strategia per la realizzazione della didattica personalizzata può essere rappresentata dal laboratorio, un
ambito di lavoro che può avere carattere mono o pluridisciplinare e prevedere spazi attrezzati interni o esterni alla
scuola. Il laboratorio può costituire lo sfondo per diversificate esperienze. In questo spazio l'alunno può essere
supportato da esperienze di apprendistato, attraverso cui un adulto esperto, oltre alle insegnante, può offrirgli
l'opportunità di acquisire competenze anche specialistiche, attraverso le attività. Lo sfondo del laboratorio crea la
connessione tra bisogni, caratteristiche cognitive, culturali ed affettive degli allievi e gli obiettivi educativi della
didattica personalizzata, risultando un valido dispositivo per l'individuazione e la valorizzazione dei talenti.
Un esempio è il laboratorio di musica riconducibile all'educazione musicale: gli esperti intervengono per far acquisire
abilità musicali specifiche punto spesso questi ultimi sono affiancati da un coro e da un orchestra di musicisti
professionisti. Il laboratorio consente inoltre gli allievi di orientarsi in modo più chiaro verso attività rispondenti ai
propri interessi e propensioni. Una sollecitazione della sensibilità musicale durante l'infanzia, laddove è presente una
sensibilità spiccata, consente un apprendimento più efficace e la maturazione/potenziamento del talento, permettendo ai
soggetti di auto-orientarsi con Maggiore chiarezza nelle scelte formative e professionali future.

Il credito didattico: un'esperienza di tutoring.


Un'altra strategia che consente di realizzare la didattica personalizzata per la valorizzazione delle diverse forme di
intelligenza è validamente rappresentata dal credito formativo. Il sistema dei crediti e dei debiti formativi è stato
introdotto nella scuola italiana recentemente: il debito didattico con parve per la prima volta nella scuola superiore nel
1995 e viene attribuito agli alunni il cui profitto, durante il corso dell'anno scolastico, sia risultato insufficiente. Due
anni dopo, con la riforma dell'esame di Stato, venne introdotto il concetto di credito formativo, Pur non essendo
coniugato con quello di debito. Il credito formativo consiste nel riconoscimento di competenza acquisite e documentate
che risultino coerenti con il corso prescelto dall'alunno.
La legge di riforma della scuola, relativamente alla scuola primaria e alla valutazione degli alunni, A proposito del
portafoglio, documento che accompagna l'alunno in tutto il percorso scolastico, si parla del riconoscimento dei crediti e
dei debiti formativi nella prospettiva di una didattica personalizzata.
Tale sistema è teso a superare la valutazione degli apprendimenti esclusivamente in termini di voto e a riconoscere
competenze e percorsi formativi differenziati. Il credito viene prevalentemente inteso come quota di
conoscenza/competenze curricolari, che la scuola appalta presso il fuori scuola, frammenti di percorso rese possibili
dalle opportunità culturali offerte dall'extra scuola. I crediti didattici possono collocarsi all'interno del tempo didattico
oppure oltre l'orario scolastico obbligatorio. Essi danno la possibilità al soggetto di perseguire un piano formativo e
meta personale attraverso percorsi o frammenti di percorso rispondenti ai propri bisogni, interessi e Talenti.

Un esempio di credito didattico può essere rappresentato dall'esperienza di tutoring tra pari. 
Il tutoring, sperimentato in contesti e forme differenti film agli anni 20 , consiste nel rapporto diretto e privilegiato
insegnante/alunno , o insegnante/piccolo gruppo , finalizzato al sostegno di alunni svantaggiati o in difficoltà nel
percorso di apprendimento.
La forma meno praticata di tutoring è quella alunno/alunno, che presenta interessanti implicazioni riguardo alle
dinamiche interpersonali e cognitive di entrambe le parti in causa e rappresenta Per l'alunno o tutor un importante
esperienza formativa, finalizzata al potenziamento di quelle forme di intelligenza valorizzate nei saperi disciplinari. Il
tutoring tra pari consiste in un intervento didattico-educativo integrativo e trasversale: non è possibile ovviamente
definire uno schema preciso di esperienza In quanto ogni situazione evidenzia aspetti ed esigenze definite.
Il compito è il ruolo del tutor è quello di sostenere un compagno, verso cui mostra di avere una facilità di relazione e
comunicazione, collaborando con lui nelle attività svolte in classe, con eventuale possibilità di incontro in orario extra
BALDACCI – I MODELLI DELLA DIDATTICA

scolastico. La didattica personalizzata consente di formare individui che possono proiettarsi nella vita sociale con la loro
originalità ed unicità, perseguendo personali progetti di vita.

CAPITOLO 5

IL MODELLO DELL'ARRICCHIMENTO CULTURALE DI BERTA MARTINI.

5.1 I fondamenti teorici.


Nella struttura di classificazione crociata di Baldacci dei diversi modelli didattici, quello basato sull'arricchimento
culturale risulta dall'incrocio delle categorie di oggetto e processo. Il modello è orientato all'arricchimento culturale del
soggetto in formazione ed individua come fattori fondamentali della situazione didattica: gli oggetti della conoscenza,
in senso culturale come sistemi di saperi formalizzati; e il processo, individuale e privato, della loro interiorizzazione da
parte del soggetto.
La possibilità di ottenere affinamento mentale ed arricchimento interiore dipende prevalentemente dalla qualità degli
oggetti di cui l'insegnante si fa mediatore attraverso un processo di partecipazione e comunicazione con l'allievo. Nella
specificità del fine formativo (arricchimento culturale) e del tipo di itinerario (il processo di interiorizzazione di
contenuti dotati di elevato valore intrinseco) il modello mostra la sua aderenza, rappresentandone in qualche misura
anche l'eredità, ai due massimi modelli elaborati dall'Occidente al concetto di formazione: la paideia e la bildung.

La paideia, come teoria della formazione dell'uomo, di un uomo ideale ed universale dinamicamente proteso verso
un'umanità superiore, il principio su cui si modellano le società e la cultura della Grecia classica. La paideia greca è in
linea con un'idea di uomo-eroe, cittadino-saggio, ed è intimamente e reciprocamente connessa all'idea di cultura
BALDACCI – I MODELLI DELLA DIDATTICA

aristocratica ed individualistica, in quanto è attraverso la cultura (e, soprattutto, attraverso le humanae litterae) che
l'uomo si costituisce come persona, come soggetto integrale, dotato di ogni genere di abilità intellettuale ed artistica,
capace soprattutto, attraverso la dilatazione del suo modello di spirito, di un continuo raffinamento interiore.

Anche la bildung tedesca pone l'esigenza di un uomo totale è, dunque, di un'idea di formazione intesa come processo
di umanizzazione dentro la cultura e attraverso la dialettizzazione di spirito soggettivo e spirito oggettivo. Tuttavia essa,
diversamente dalla paideia, vincola più radicalmente la formazione ai saperi, promuovendo un nuovo Umanesimo che
nelle istituzioni scolastiche si traduce assegnando un ruolo fondamentale all'insegnamento delle lingue antiche, della
filosofia, della storia e dell'arte, come discipline in grado di far rapprendere la tradizione e di promuovere il ciascun
soggetto il processo di oggettivazione di sé: la formazione è pensata come un processo di storicizzazione ed
universalizzazione dell'individuo che partecipa al dialogo con la cultura elaborandone una sintesi propria.

Se pensiamo al modello della scuola italiana tradizionale, bisogna ammettere che esso risulta per molti aspetti ancora
carico di un'ereditarietà gentiliana che ne caratterizza ancora oggi l'impostazione di fondo: il pensiero di Gentile si situa
su quello stesso sfondo filosofico che, come i sostenitori della bildung tedesca, lo induce ad assegnare un ruolo
formativo fondamentale alla cultura, intesa come sintesi suprema della storia e dell'uomo nel loro farsi spirituale.
L'unità spirituale che si realizza nell'atto educativo - secondo Gentile - non è concepibile se non ad un patto: che cioè
<<attraverso di esso si realizzi l'unità degli spiriti che vi concorrono; e che perciò vero maestro è solo colui che si sente
solo nella sua scuola, risolvendo nella propria l'individualità degli scolari >>.
In questo senso, il modello dell'arricchimento culturale è concettualmente riconducibile ai modelli della paideia e della
bildung in quanto ne condivide, almeno globalmente, il modo di pensare alla formazione: tuttavia, si tratta solo di una
vicinanza concettuale piuttosto che di un'aderenza piena sul piano teorico e, soprattutto metodologico. 

La frammentazione dei saperi è un rischio dal quale anche la scuola odierna cerca legittimamente di affrancarsi,
cercando di mettere I saperi in rete E collegarli in senso interdisciplinare. Un secondo limite, può essere la convinzione
implicita per sapere che meglio esprime l'educabilità dell'uomo sia quello umanistico, con il risultato di pensare il
sapere scientifico prevalentemente in senso tecnico, appiattito sulle sue dimensioni operative e privato del suo spessore
storico e del suo valore.

L'oggetto culturale: formare l'uomo "dentro" e "attraverso" la cultura deve corrispondere ad un esplicito atto
intenzionale e deve tradursi nella capacità di pensare, progettare e realizzare con testi formativi e percorsi curricolari
culturalmente orientati.
Secondo Harold Bloom, il valore estetico dell'Opera è ciò di cui il lettore si nutre cogliendolo individualmente,
condividendolo con altri sconosciuti lettori ed assumendolo come proprio valore. Egli afferma che il vero uso di
Shakespeare e di Cervantes, di Omero e di Dante, consiste nell'aumentare la propria crescente interiorità.
<<Shakespeare non ci renderà migliori né peggiori, ma può insegnarci a prestare occhio ed orecchio a noi stessi e,
secondariamente, può insegnarci ad accettare il cambiamento, in noi stessi come in altri>>.

Gli oggetti culturali, siano essi le opere del canone occidentale o i "grandi libri" che Allan Bloom invoca come antidoto
della arretratezza culturale della società americana, possono essere pensati come la forma più alta e compiuta del
pensiero narrativo teorizzato da Bruner, inteso come modalità specifica della mente di ordinare l'esperienza e costruire
la realtà.
Centrare il modello sugli oggetti culturali presenta anche dei rischi: 

• Il primo, corrisponde all'assegnare nella relazione tra soggetto e oggetto della conoscenza, il primato ai contenuti
disciplinari a svantaggio del soggetto di apprendimento e quindi di sbilanciare in direzione culturacentrica la proposta
curricolare;
• Il secondo, è quello di rendere incompatibili la forma culturale di cui il soggetto è portatore con quella elaborata
all'interno della scuola o, in altri termini, di radicalizzare la distanza tra "cultura di massa" e "cultura elitaria". 

Il processo: Il processo a cui il modello allude è un processo personale di assimilazione riflessiva finalizzato
all'arricchimento spirituale e all'affinamento interiore. Dal punto di vista didattico, il processo può essere inteso come
un processo di interiorizzazione delle conoscenze che consente una elaborazione di sintesi da parte dell'allievo. Esso
viene percepito dall'insegnante come atto complessivo e personale del soggetto.
Poiché l'attività della mente dipende dal suo legame con un apparato di strumenti simbolici e culturali, ciò implica che
l'assimilazione sarà possibile solo se si tiene conto di questi strumenti. Ciò pone didatticamente il "problema delle
condizioni dell'apprendimento" che il modello dell'arricchimento culturale riconduce all'istituzione di situazioni nelle
quali il processo è mediato dal libro o dall'insegnante.
BALDACCI – I MODELLI DELLA DIDATTICA

In questo senso, la didattica moderna fa della lettura un "oggetto curricolare" finalizzato a rendere l'allievo consapevole
dei meccanismi attraverso i quali egli elabora significati coerenti con la natura dei testi, cioè ad apprendere come si
apprende attraverso la lettura.
Concludendo, "il modello dell'arricchimento culturale" permette di assumere consapevolezza e promuovere un'idea di
cultura connotata sia in senso antropologico che come sistema strutturato di saperi storicamente e socialmente
determinati: la scuola diventa "scuola di cultura".

5.2 Le dimensioni operative.


Il nesso tra scuola e cultura che caratterizza il modello dell'arricchimento culturale è orientativo anche delle sue
dimensioni operative, cioè delle strategie di programmazione più adeguate e delle procedure didattiche più pertinenti. In
generale, una strategia di programmazione tende ad organizzare i contenuti della conoscenza in modo da rendere
l'articolazione tra fini e mezzi dell'educazione realizzabili in termini di procedure didattiche. 
In prima istanza, potremmo dire che il modello dell'arricchimento culturale assume come criterio di organizzazione dei
contenuti la loro rilevanza culturale, la quale si esprime in termini di valore sia epistemologico che formativo: da questo
punto di vista, la programmazione per concetti rappresenta una strategia che sembra riferire a tale criterio sia i principi
teorici che le sue procedure operative.

Il concetto, inteso come principio organizzatore della conoscenza, ma anche come prodotto di un processo di
apprendimento specifico, esprime sia la natura delle discipline sia una modalità specifica di rappresentazione della
realtà due punti e attraverso la combinazione e la trasformazione di concetti che guardiamo e pensiamo il mondo.

Il modello dell'arricchimento culturale rimanda ad un approccio organizzato secondo i principi di essenzialità e


significatività: si applicano questi principi nel tentativo di individuare le idee-chiave, i nodi problematici, le specificità
euristiche e metodologiche per accedere allo spirito di ciascuna disciplina.

Il concetto di "nucleo fondante", recentemente introdotto nel dibattito sui curricoli della nostra scuola, fa riferimento
alla struttura epistemologica della disciplina e alla sua trasposizione didattica.
L'acquisizione di un concetto è il risultato di due processi complementari: 
a. La generalizzazione, ovvero la classificazione di elementi sulla base delle loro caratteristiche similari; 
b. La discriminazione, ovvero la distinzione tra gli elementi che appartengono al concetto e quelli che ne sono esclusi
in quanto non presentano gli attributi comuni.

Dal punto di vista metodologico, la programmazione per concetti si realizza nell'allestimento di unità didattiche che
prevedono: la costruzione della mappa concettuale relativa al contenuto che si intende affrontare; la ricostruzione della
matrice cognitiva degli allievi attraverso la conversazione clinica; la definizione dell'itinerario di insegnamento-
apprendimento del concetto, attraverso la rete concettuale.
La rete concettuale è la rappresentazione del particolare percorso che dovrebbe consentire all'allievo di cogliere,
all'interno della mappa, i concetti e le relazioni connessi al contenuto di apprendimento. Essa, rispetto alla mappa
concettuale, pertiene dunque alle singole scelte operate dall'insegnante per costruire lo specifico itinerario didattico.

In sintesi, la programmazione per concetti si offre come procedura metodologica sintonizzata con il modello
dell'arricchimento culturale in quanto sposta l'attenzione sullo specifico della disciplina, sui suoi contenuti più essenziali
e significativi, ovvero sulla sua epistemologia.

La lezione: il modello dell'arricchimento culturale attinge dal modello della scuola tradizionale anche per la sua
procedura didattica più rappresentativa, cioè la lezione. La lezione è una procedura che individua nell’idea classica di
dialogo lo strumento privilegiato per la realizzazione della Humanitas dell'uomo. Il vero oratore, secondo Cicerone, e
colui il quale unisce filosofia e retorica, cioè pensiero e capacità espressiva, Ed è proprio grazie a tale capacità ed
eloquenza che il sapere assolve al proprio compito educativo.
Si può attuare una distinzione basata essenzialmente sul diverso stile di conduzione da parte dell'insegnante,
distinguendo tra una lezione a conduzione diretta ed una a conduzione indiretta.

• La lezione a conduzione diretta: si allude alla lezione frontale o alla lezione-monologo, in cui il flusso della
comunicazione va dall'insegnante a tutti gli allievi e, solo secondariamente, dal singolo allievo all'insegnante.
In questo caso, la lezione prevede un emittente (insegnante) ed un ricevente (gruppo di allievi): accade una
traslocazione delle conoscenze e del sapere. Si pongono in primo piano i contenuti del sapere e si considerano al
margine gli allievi.
La lezione a conduzione diretta presume che l'apprendimento sia diretta conseguenza dell'insegnamento e, in questo
senso, essa è complessivamente caratterizzata da "autoreferenzialità": il sistema didattico presuppone che gli allievi
assumono soltanto il ruolo di ascoltatori.
BALDACCI – I MODELLI DELLA DIDATTICA

La qualità della lezione non dipende solo dalla conoscenza da parte dell'insegnante del contenuto da insegnare, né
soltanto dal modo in cui la lezione viene strutturata, ma anche dalla capacità di entrare in sintonia comunicativa con chi
ascolta: il maestro diviene un modello esemplare di comportamento e di cultura per l'allievo. Concettualmente, la
lezione a conduzione diretta rischia di indulgere ad una concezione quasi ''realista" dell'Istruzione, che comunica un
sapere la cui esistenza precede l'atto del conoscere.
Vi sono funzioni prioritarie del docente: 
- funzione espositiva, quando si intende presentare un nuovo concetto o un nuovo aspetto teorico fondamentale; 
- funzione esplicativa, quando si vuole chiarire qualcosa che già è stato appreso o spiegare procedure e concetti;
- funzione riassuntiva, quando si tratta di riassumere; 
- funzione integrativa, quando è volta generalizzare ed a operare un transfer di contenuti già apprese.

La lezione a conduzione indiretta: nella lezione a conduzione indiretta l'insegnante assolve ad una funzione di
regolazione-equilibrazione all'interno di una certa cornice organizzativa (setting).
Tale funzione, può prevedere l'assunzione di due tipi di atteggiamenti da parte dell'insegnante:
1. Ricondurre a sè il soddisfacimento delle esigenze, delle richieste dei bisogni espliciti dei singoli allievi e del gruppo;
2. La promozione di passaggi da un processo intersoggettivo ad un processo intra soggettivo.

La lezione a conduzione indiretta è finalizzata al raggiungimento di obiettivi sia cognitivi che sociali. L'insegnante è
interno al gruppo, lo conduce o lo gestisce promuovendo interazioni faccia a faccia, accogliendo e restituendo feedback,
utilizzando l'esercizio delle competenze sociali come sostegno al compito e al mantenimento del clima affettivo. Egli
crea zone di sviluppo prossimo ed allestisce "impalcature di sostegno" attraverso la strutturazione di opportune
esperienze. In questo senso, il docente svolge un vero e proprio monitoraggio, cioè una forma di controllo delle
modalità con cui i gruppi lavorano durante l'attività e delle interazioni messe in campo.
Ciò offre un feedback costante almeno su tre aspetti: l'azione dell'insegnante, la qualità della didattica è la ricaduta
sull'allievo. La valutazione formativa diventa valutazione formatrice.
Allal individua tre modalità di implicazione attiva ed esplicita dell'allievo nel processo di valutazione:

1. L'autovalutazione in senso stretto;


2. La mutua valutazione, caratterizzata dalla valutazione reciproca degli interlocutori che godono dello stesso status
all'interno del processo valutativo;
3. La co- valutazione, caratterizzata dalla negoziazione della valutazione in assetto di status gerarchico degli
interlocutori.
Cfr. Tabella 5.1: tavola di comparazione degli stili di conduzione.

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