Tra il XIX ed il XX secolo, si avvia un dibattito che concerne la definizione della pedagogia in termini
scientifici. Se con Herbart e Schleiermacher la pedagogia aveva visto la sua prima legittimazione
come scienza autonoma, con Cambi si comincia a parlare di “paradigma scientifico”, intendendo la
necessità di dar vita ad una scienza unitaria dell’educazione che deve avvalersi del contributo delle
scienze psicologiche, antropologiche e sociali.
Secondo Dewey questo è possibile se: a) la pedagogia acquista un proprio metodo d’indagine e b) se
dialoga apertamente con le altre scienze.
Pur riconoscendo alla filosofia un ruolo essenziale, si esce così dal paradigma dell’empirismo e del
positivismo per entrare in una prospettiva di rinnovamento della ricerca pedagogica, delle istituzioni
formative e delle politiche scolastiche.
In Italia ciò si verifica nel secondo dopoguerra, con la messa in discussione del modello gentiliano
che vedeva la pedagogia come “scienza filosofica”.
Per De Bartolomeis la pedagogia non può configurarsi come scienza unitaria ma piuttosto come
scienza “di sintesi”: la ricerca pedagogica deve innanzitutto presentarsi come “atteggiamento” di
ricerca, per poi arrivare a proporsi come metodo.
Anche Visalberghi si colloca su questa scia, affermando che la complessità e l’ampiezza dell’oggetto
della ricerca pedagogica, non permettono alla pedagogia di avere una sua unità funzionale.
Separatasi dunque dalla filosofia, la pedagogia viene sì riconosciuta come scienza ma non come
disciplina scientifica, caratterizzandosi più attraverso lo “spirito scientifico”.
L’emergenza di un paradigma di ordine empirico-sperimentale porta la pedagogia ad essere trattata
secondo parametri non dissimili da quelli usati per le scienze naturali: in questa prospettiva la
pedagogia risulta essere un insieme di eventi socialmente e storicamente dati frutto di fattori fisici,
biologici e materiale oggettivamente quantificabili.
Ne conseguirebbe una visione deterministica che non lascia spazio al principio di
autodeterminazione personale.
Diventa dunque vitale per la pedagogia un recupero della dimensione teoretico-filosofica per
superare la prospettiva funzionalista. Questo accade su due versanti: quello marxista e laico e quello
cattolico.
a) IL VERSANTE MARXISTA E LAICO: che annovera tra i suoi esponenti Radice, Manacorda,
Broccoli e Laporta, si evidenziano gli scopi psico-sociali e politici di cui è investita la pedagogia:
bisogna che il sapere pedagogico recuperi un contatto autentico con la realtà, che si ponga precise
finalità e che veicoli valori intesi come principi di trasformazione dell’uomo e della sua coscienza.
b) IL VERSANTE CATTOLICO: autori come Laeng e Flores D’Arcais, tendono a ricomporre l’unità
della pedagogia come sapere connotato da un certo grado d’astrazione e da una intrinseca
normatività. Per Flores D’Arcais l’oggetto della pedagogia è il problema educativo che non
riguarda un momento specifico ma si estende lungo tutto l’arco di vita.
Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta si assiste ad un processo di
differenziazione ed articolazione del sapere pedagogico che ha determinato l’esigenza del recuperare
una filosofia, una “teoria dell’educazione” che andasse oltre la prospettiva empirico-sperimentale
dentro cui la pedagogia veniva trattata.
Negli anni Settanta la pedagogia si delinea sempre più come studio dell’educazione interdisciplinare
e multiprospettico e negli anni Ottanta la complessificazione che aveva interessato il sapere
pedagogico si acuisce e diventa sempre più difficoltoso giungere ad un quadro di sintesi dei saperi
dell’educazione.
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I tentativi di definizione dell'identità della pedagogia all'interno delle "scienze dell'educazione"
appaiono piuttosto problematici.
Clausse afferma che le scienze dell'educazione si definiscono prima per i loro obiettivi e poi per i loro
strumenti e che esse indagano da un lato i molteplici aspetti della realtà dell'individuo, dall'altro le
condizioni ambientali in cui si deve operare l'azione educativa.
La pedagogia si configura così come sintesi strumentale delle discipline cui fa riferimento, il che
restringe il suo campo d'azione alla sola strumentalità educativa.
In Italia, già a partire dagli anni Settanta, si era affermata la necessità di recuperare una dimensione
teoretica della pedagogia, per coglierne affinità e differenze: in questo quadro la filosofia si configura
come ambito di articolazione della normatività e della criticità del sapere pedagogico (Bertin).
In tale contesto viene a delinearsi l'idea di una pedagogia come scienza “critica” che sancisce il
passaggio senza ritorno dalla pedagogia alle scienze dell'educazione (Granese), in cui la filosofia non
è più matrice ma solo uno dei molteplici soggetti interagenti.
Sia sul versante laico che su quello cattolico, sebbene con diverse implicazioni, l'educazione inizia ad
essere intesa come “azione prassica” ovvero una scienza pratica dotata di una propria autonomia
disciplinare. Il dibattito si focalizza dunque sulla complessa dinamica tra teoria e prassi che
caratterizza il sapere pedagogico tra autonomia e collaborazione con altri ambiti del sapere. Il
campo pedagogico si presenta come "campo interdisciplinare" mentre la pedagogia appare come
"metascienza”.
La pedagogia racchiude in sé un MOMENTO NOMOTETICO, che individua leggi e norme e disegna
modelli e un momento idiografico che si cala nel vissuto esperienziale particolare, del resto non
esistono scienze esclusivamente nomotetiche o pratiche: la teoria è sempre implicata nella prassi
come la prassi lo è nella teoria. La teoria si sviluppa sulla base di riscontri pratici che a loro volta
portano all'elaborazione di teorie altre che possano confutare o validare l'esperienza e così via in
modo circolare, così da non poter riconoscere se venga prima la teoria o piuttosto la prassi.
La pedagogia si pone dunque come SCIENZA IMPEGNATA A COMPRENDERE L’AZIONE,
RIFLETTERE SULL’AZIONE, ma anche come GUIDA PER L’AZIONE.
Pellerey parla dunque della pedagogia come scienza “pratico-progettuale” più che come pratico-
descrittiva: l’evento educativo viene inteso come relazione, come rapporto sistemico e non
meccanicistico, caratterizzato dalla circolarità tra teoria e prassi, in cui l’educazione è il “PRIUS
FATTUALE”, mentre la pedagogia, intesa come studio del rapporto educativo in quanto evento,
costituisce il “PRIUS LOGICO”.
Laporta definisce la pedagogia come “scienza empirica dell’educazione” che si declina sia nella
ricerca teoretica dell’educazione sia nella famiglia di saperi intorno l’educazione.
La ricerca teoretica è profondamente radicata in una base empirica che ne costituisce la condizione
di validità scientifica.
Così la pedagogia si configura come “scienza critica” di tipo interpretativo, il cui oggetto di indagine
è così complesso e ampio da non poter fornire risposte onnicomprensive ai vari fenomeni ma solo
interpretazioni sulla base dei particolari contesti storico-sociali.
Si richiede dunque al sapere pedagogico un sistematico processo di revisione critica di sé stessa per
potersi garantire rigore scientifico.
Data la complessità dei suoi oggetti d’indagine, il sapere pedagogico si declina in una molteplicità di
fuochi d’indagine che mettono in primo piano alcuni aspetti specifici, indagati con specifiche
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metodologie: così accanto la pedagogia generale, abbiamo una p. sperimentale, sociale, della
devianza, interculturale a cui si affiancano: filosofia dell’educazione, educazione degli adulti, storia
della pedagogia…
Tutte accomunate dall’avere nell’educazione lo stesso oggetto d’indagine e una posizione più
regolativa che meramente descrittiva, ma che differiscono tra loro per prospettive d’indagine,
strumenti e metodi.
Il paradigma di legittimazione del sapere pedagogico rientra per Frabboni e Pinto Minerva, nel
macroparadigma della complessità, all’interno del quale la pedagogia assume un ruolo critico, attivo
e responsabile negli scenari politici, sociali e culturali e viene a riconoscersi come sapere complesso,
plurale e trasformativo.
Cambi afferma che la pedagogia si colloca al crocevia tra BISOGNI SOCIALI (ideologia), RIGORE
SCIENTIFICO (scienza) e NORMATIVITÀ (utopia): in particolare è proprio il vettore utopico che
costituisce la condizione di possibilità della stessa pedagogia: il suo aprirsi all’oltre, al possibile, al
suo configurarsi come sapere prospettivo e progettuale.
Sempre secondo i due autori, la struttura epistemica del sapere pedagogico poggia sulla “logica di
triangolazione” che si articola nello schema “teoria-prassi-teoria”: la teoria richiede una verifica
pratica che fornisce nuovi elementi arricchendo la teoria che a sua volta ri-verificherà nella pratica e
così a spirale.
L’oggetto della pedagogia sono i processi formativi nella loro contestualizzazione storica, culturale e
sociale. Formazione come fabbrica del soggetto-persona.
Per quanto concerne i metodi essi sono molteplici e svariati tanti quanti sono gli oggetti d’indagine
(storico, teoretico, empirico…).
Esiste anche una pluralità di linguaggi con cui la pedagogia si esprime: da quello analitico-
descrittivo a quello narrativo a quello retorico o metaforico per poi giungere ai linguaggi non verbali
(corpo, suoni, colori…).
Di pedagogia sociale si inizia a parlare per la prima volta a metà dell’Ottocento, in Germania.
Successivamente il termine viene usato dal pedagogista prussiano d’orientamento socialista
Diesterweg, il quale sostiene che funzione della pedagogia è quella di smascherare i condizionamenti
sociali, politici e culturali che inibiscono uno sviluppo completo ed armonico dell’uomo e della
società. Anche Schleiermacher vedeva l’educazione come processo strettamente legato allo sviluppo
sociale.
Ma la prima formalizzazione dell’identità della pedagogia sociale si è avuta nell’ambito del
Neocriticismo della Scuola di Marburgo con Natorp (1899).
Natorp intende la pedagogia sociale come un sapere specificamente pedagogico dove la filosofia si
configura come matrice teoretica rivolta ad un obiettivo pratico: tra educazione e società esiste un
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RAPPORTO BIUNIVOCO, sia perché l’educazione è socio-culturalmente determinata, sia poiché il
cambiamento sociale è sempre frutto di interventi educativi razionalmente orientati.
Tra Ottocento e Novecento si afferma il paradigma positivista che pone il problema della struttura
epistemologica delle scienze sociali. Significativo è il contributo di Durkheim che pone la sociologia
a fondamento del sapere pedagogico, poiché l’educazione si configura come un fatto eminentemente
sociale.
In Italia fu Straticò a definire la pedagogia come scienza sociale il cui compito è la chiarificazione del
legame tra forme sociali e fatti educativi.
Nel XX secolo, con le grandi trasformazioni politiche, economiche, sociali e culturali, la pedagogia si
presenta come scienza impegnata nell’analisi del sociale e delle emergenze educative, assumendo
così un ruolo attivo e propositivo. È Dewey a leggere le emergenze educative come frutto di
emergenze sociali: ogni trasformazione sul piano educativo si determina in base a precise condizioni
sociali alla luce dei quali dev’essere indagata.
Nell’Europa dilaniata dal conflitto mondiale emerge la necessità di nuovi interventi di integrazione
e di recupero delle masse urbane e rurali e dei soggetti “deboli”.
In questo quadro, la pedagogia d’orientamento socialista di Freinet afferma che COMUNICAZIONE
e COOPERAZIONE sono i pilastri su cui regge il processo educativo che accompagna il processo ma
non lo guida, nella convinzione che lo sviluppo individuale e collettivo poggia sulla socializzazione,
sulla valorizzazione dei saperi non formalizzati e sulla condivisione di saperi e strumenti. Quella di
Freinet, sulla scia del movimento delle scuole nuove, si configura propriamente come pedagogia
sociale.
Anche la nascita dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche contribuì, attraverso il modello
marxista, a vedere nella collettività la dimensione prima di crescita umana e sviluppo sociale.
(colonia Gorki ed esperienza educativa Makarenko).
Negli anni successivi, l’Europa vedrà i propri spazi di confronto e ricerca, svanire sotto il potere dei
regimi totalitari che porteranno ad una profonda crisi culturale, ideologica, politica e sociale.
Questo porterà tutti i paesi a rivedere profondamente le proprie strutture ed assetti: in questo quadro
la pedagogia di Freire si presenta come “pedagogia della libertà”: una pedagogia che, operando una
critica delle strutture politiche e sociali, culturalmente inibitorie, vede nell’emancipazione dei singoli
e della collettività il fine necessario ed ultimo.
Nell’Italia del secondo dopoguerra, con il passaggio dalla monarchia alla repubblica, l’influenza
culturale degli USA e le idee di Gramsci, si vengono a delineare nuovi orizzonti nei sistemi formativi
(un esempio di utopia educativa è “Scuola-Città Pestalozzi dei coniugi Codignola).
Negli anni 50 l’attenzione si focalizza sempre più sugli adulti, soprattutto in condizione di
emarginazione e disagio (D. Dolci a Partinico e Don Milani a Barbiana).
La scuola stessa inizia a configurarsi come istituzione deputata a filtrare selezionare gli apporti
sociali per la formazione delle generazioni future. Si inizia a configurare la specificità della pedagogia
sociale.
Per Agazzi la società dev’essere intesa come “ordine educante”: la pedagogia deve offrire un indirizzo
ai soggetti della collettività.
Per Laporta la pedagogia è strettamente intrecciata con la politica, poiché implicata nelle stesse
scelte politiche e nei fenomeni di trasformazione sociale.
Per Volpi la pedagogia sociale non è una branchia di quella generale bensì “lo studio della formazione
dell’uomo nei vari contesti socio-strutturali”.
Negli anni Novanta diventa indispensabile, anche ai fini dei curricola accademici, un ripensamento
dello statuto epistemologico della pedagogia sociale.
Izzo afferma che la pedagogia sociale, pur condividendo con la pedagogia generale l’impianto teorico,
approfondisce le tematiche legate alla realtà sociale.
Essa si sviluppa in quattro stadi:
a) come riflessione generale sull’educazione;
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b) come scienza che mira ad educare nella società, mediante la società e per la società;
c) come pedagogia per i casi di necessità;
d) come scienza propositiva, dotata di una propria oggettività.
Per Tramma la pedagogia sociale è un’area di riflessione per definizione “incerta” poiché contenuti
e confini sono influenzati da fattori politici economici e sociali in costante mutamento.
La pedagogia sociale si configura come quel sapere che si occupa del multi sfaccettato rapporto tra
educazione e società in due direzioni fondamentali:
a) l’influenza della società sulla crescita umana e
b) l’azione dell’educazione sulla società.
Inoltre, la pedagogia sociale si determina come:
a) “scienza diagnostica” poiché individua i bisogni, legge i territori, delinea mappe e
b) come “scienza terapeutica” poiché fa seguire all’analisi un’attenta progettualità e piani operativi.
Negli ultimi anni, secondo Santelli Beccegato, è mancata alla pedagogia sociale una sistematica
riflessione teoretica: ogni campo di ricerca ha infatti bisogno di essere definito anche da un pensiero
forte.
La pedagogia sociale assume come proprio oggetto d’indagine il complesso rapporto che intercorre
tra compagine sociale e processi educativi, mettendo a fuoco le correlazioni tra bisogni sociali e
bisogni formativi ed educativi.
Essa si muove su un PIANO INTERSISTEMICO, poiché indaga i sistemi formativi in relazione ai
mutamenti storico-politici e su un PIANO INTRASISTEMICO, poiché indaga i rapporti intercorrenti
tra ambiti, livelli e dimensioni della formazione.
Questa tipologia d’indagine mette in luce una serie di problematiche di ordine psico-sociale,
antropologico-culturale e socio-educativo che conduce la pedagogia sociale a collaborare con le altre
scienze sociali.
L’approccio della pedagogia sociale è un approccio integrato poiché si costituisce attraverso tre
prospettive d’indagine:
a) EMPIRICO-ANALITICA: che permette di raccogliere e analizzare dati delle varie situazioni
educative;
b) ERMENEUTICO-FENOMENOLOGICA: che indaga i significati culturali implicati nelle azioni
dei contesti educativi;
c) CRITICO-DIALETTICA: che tenta di svelare le influenze e condizionamenti più o meno occulti
delle politiche e delle pratiche educative.
La prima si configura come un insieme di attività volte alla progettazione e sviluppo dei sistemi
formativi attraverso strategie d’azione programmate e poi sottoposte a osservazione, riflessione e
cambiamento.
Il paradigma della RA fu elaborato da Lewin negli anni Cinquanta:
pianificare > agire > osservare > riflettere > valutare >
ripianificare > agire > osservare > riflettere > valutare
Questo mette in luce la circolarità esistente tra teoria e prassi che permette agli attori di riflettere
sulle loro azioni senza staccarsene: l’azione è cronologicamente anteriore alla ricerca ma la ricerca è
sempre logicamente anteriore all’azione poiché istanza di progettualità.
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I possibili rischi di questo metodo sono:
Possibili strumentalizzazioni dell’osservazione
Sovrastima degli aspetti relazionali a scapito di quelli contenutistici
Eccessiva identificazione al contesto di ricerca > immersione acritica
Difficoltà di valutazione del percorso di lavoro
Habermas afferma che i gruppi umani ed i contesti sociali sono connotati da diverse tipologie di
“interessi conoscitivi” che svolgono una funzione di orientamento per i processi di costruzione della
conoscenza e del sapere nelle società umane.
Nel modello di Habermas le categorie in cui si declina il sapere umano sono tre:
a) INFORMAZIONI: costruire conoscenza attraverso dati che ci consentano una mappatura della
realtà
b) INTERPRETAZIONI: costruire conoscenza attraverso processi ermeneutici che consentano di
attribuire significato ai dati all’interno di un sistema socio-culturale
c) ANALISI: costruire conoscenza attraverso procedure d’analisi che definiscano i campi di
pensiero ed azione.
Il pensare e l’agire sono altrettanto socio-culturalmente determinati e dunque le strutture che li
condizionano più o meno visibilmente, possono essere sottoposti a critica e revisione.
Mentre i processi conoscitivi che rispondono ad interessi di ordine pratico, che non mirano ad
oltrepassare le forme precostituite del mondo umano ma solo a registrarle, svolgono una
stabilizzazione del pensiero e dell’agire umano, i processi conoscitivi che rispondono ad un interesse
emancipativo mettono in discussione proprio quelle forme precostituite, operando una critica che
ha funzione trasformativa a livello individuale e collettivo. A livello macro ciò porta ad una
diminuzione della rigidità sistemica e istituzionale, a livello micro si ha invece una maggiore
integrazione ed armonia tra i diversi ruoli che caratterizzano la dimensione individuale e sociale del
vivere umano.
L’esercizio critico della ragione diventa qui arma contro processi di omologazione, appiattimenti ed
asservimenti, garantendo al sapere scientifico rigore ed autonomia.
La pedagogia sociale, in questo quadro, si configura come rispondente ad un interesse emancipativo,
più che tecnico-pratico. La razionalità esercitata da questa disciplina è insieme riflessiva e
metariflessiva: questo le permette alla pedagogia sociale di volgersi a sé stessa in maniera critica per
svelare condizionamenti culturali sociali e politici da cui nessun sapere, comunque, resta immune.
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La pedagogia sociale che indaga le condizioni di possibilità dell’agire educativo viene definita da
Habermas come “SCIENZA SISTEMATICA DELL’AGIRE SOCIALE”, all’interno della quale l’azione
educativa è intesa come azione sociale su due livelli:
a) essa è in sé un’azione sociale e
b) determina le condizioni dell’agire sociale
Per Parsons la struttura dell’azione sociale è analizzabile sulla base di una serie di elementi in
relazione tra loro:
a) un soggetto agente
b) uno scopo che dirige l’azione
c) una situazione che include strumenti di controllo all’azione
d) un orientamento normativo che diriga la scelta sui fini e sui mezzi da utilizzare
Ogni azione sociale si configura come prassi coerente che richiede l’intervento di razionalità
funzionali a:
- mantenere una costante coerenza tra azioni dirette ad un obiettivo, intenzioni, norme ed
interventi
- scegliere i fini e obiettivi relativi all’orizzonte di valori
- individuare i mezzi più adeguati al raggiungimento di fini e valori
La ricerca scientifica, e dunque anche quella della pedagogia sociale, deve fissare come proprio
obiettivo, l’accesso sempre più allargato, diffuso e democratico della conoscenza, lungi dall’essere un
prodotto d’élite imposto dall’alto.
La scienza, scrive Borghi, è istanza di sviluppo sociale con funzione innovativa e non riproduttiva.
Questo fa della pedagogia una scienza di impegno sociale a forte connotazione partecipativa, poiché
delinea percorsi di conoscenza che richiedono la partecipazione attiva di individui e gruppi sociali.
La RA e la RAP sollecitano, in questa direzione, la formazione di “comunità auto-critiche”
attivamente coinvolte nel processo di costruzione dei saperi.
Esse si fanno strumento di formazione per tutte quelle figure professionali che operano all’interno
dei sistemi formativi, poiché permettono di implementare le conoscenze teoriche con esperienze di
tipo pratico: la possibilità di far ricerca sulla formazione facendo formazione è la via per restituire
forza alla dimensione scientifica della pedagogia.
La gestione dei processi formativi nella società contemporanea è appannaggio di una pluralità di
agenzie educative che spesso mancano di collaborare ed interagire tra loro in modo significativo e
continuato.
Il principio da seguire in questa riflessione è quello del “SISTEMA FORMATIVO INTEGRATO”,
fondato sull’integrazione della dimensione formale (famiglia, scuola, università), dimensione non
formale (corsi di formazione professionali pubblici o privati) e dimensione informale (esperienze
significative, mass media) della formazione.
Inoltre, spesso avviene la scissione tra prospettive “macro-educative” e prospettive “micro-
educative”, cosicché l’azione formativa viene vista come risposta ad un bisogno occasionale e
specifico, piuttosto che collocarsi dentro un quadro di lettura dei bisogni più ampio relativo al
contesto socio-culturale di riferimento.
Assistiamo ad una crescente crisi dei sistemi formativi che da un lato non riescono a far fronte alle
richieste di un mercato del lavoro in rapido mutamento e dall’altro non rispondono ai bisogni di
qualificazione e formazione di individui e gruppi.
I sistemi formativi devono proporre un’offerta intenzionali di occasioni di crescita intellettuale ed
etico-sociale, dove le esperienze possano essere dotate di senso e significato in un contesto di
impegno, cooperazione e responsabilità.
Per questa ragione vanno attenzionate e sviluppate le connessioni tra sistema formale e sistemi non
formale e informale: le Information and Communication Technologies (ICT), possono contribuire a
questo sia perché meccanismi di co-costruzione della conoscenza, sia in quanto dispositivi di
accompagnamento, tutoring e monitoraggio nella prospettiva di una lifelong guidance.
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II.4. AMBITI, LIVELLI, DIMENSIONI DELLA FORMAZIONE
La necessaria riconfigurazione dei sistemi formativi implica una connessione e d’interazione tra
ambiti, livelli e dimensioni della formazione:
a) AMBITI: i processi educativi si inscrivono in una pluralità di ambiti formali, non formali e
informali tra cui non sempre esiste coerenza e continuità.
1) AMBITI FORMALI: sono i sistemi scolastico ed universitario a cui viene riconosciuta una
primaria funzione formativa e che sono regolamentati da leggi, codici e strutture altamente
specifiche.
2) AMBITI NON FORMALI: la loro funzione è di natura amministrativa o politica per lo più ed
offrono una formazione di compensazione/integrazione rispetto l’ambito formale, inoltre
sono caratterizzati da una maggiore flessibilità di regole e strutture.
3) AMBITI INFORMALI: tutte le esperienze, opportunità ed occasioni riconosciute come
formative
È necessario lavorare per una sinergia tra questi ambiti che possa condurre alla condivisione di
saperi, expertise, strumenti di lavoro, linguaggi e competenze
b) LIVELLI: i livelli in cui sono organizzati i sistemi scolastici ed universitari (gradi scolastici,
ordinamenti accademici…) non sempre valutano opportunamente le effettive condizioni dei
soggetti, dimenticando di rilevare le evoluzioni del soggetto anche su quello affettivo e socio-
relazionale.
Ciò determina discrepanze tra livelli formativi nell’ambito di sistemi diversi e poiché un soggetto
va valutato in tutte le dimensioni che lo compongono, è necessario creare dei ponti tra un livello
e l’altro per poter realizzare un reale grado di trasferibilità di conoscenze, competenze e
apprendimenti che caratterizza la “società della conoscenza”.
c) DIMENSIONI: come abbiamo già detto, molteplici sono le dimensioni di evoluzione di un
soggetto ed ognuna di esse necessita un proprio percorso di conoscenza e sviluppo. Troppo
spesso accade però che venga privilegiata una dimensione, per lo più quella cognitiva, a scapito
di altre, come quella affettiva o socio-relazionale.
Dunque, diventa fondamentale un bilanciamento tra questa dimensioni possibile attraverso
interventi che si muovano su un PIANO SINCRONICO (orizzontale) per poter integrare le diverse
esperienze formative e su un PIANO DIACRONICO (verticale) per modulare in passaggi progressivi
le esperienze formative.
La crisi e la conseguente necessità di riconfigurare i sistemi formativi hanno condotto ad una grande
espansione dell’universo delle professionalità formative ed educative, che si configurano sia come
PROFESSIONI DI PROGETTAZIONE E GESTIONE (disegno, monitoraggio e valutazione dei
processi di formazione), sia come professioni di accompagnamento, cura, sostegno, di
empowerment, di tutoraggio.
Queste professionalità si configurano come risorse di sistema che hanno il compito di indagare i
sistemi, i contesti, i territori; registrare i bisogni emergenti; progettare ed intervenire in maniera
qualificata e professionale.
All’interno della “società della conoscenza”, la valorizzazione e lo sviluppo delle risorse umane
diventa un obiettivo primario.
Grazie a professionalità qualificate e competenti questo risulta possibile attraverso processi di:
a) EMPOWERMENT: potenziamento di risorse cognitive, psico-affettive e socio-relazionali di
individui e comunità
b) GUIDANCE: percorsi di orientamento, informazione e consulenza per poter fornire un quadro
quanto più preciso possibile di dati, materiali di consultazione ed opportunità formative
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c) KNOWLEDGE MANAGEMENT: inteso sia come funzioni di progettazione, monitoraggio e
valutazione dei processi formativi, sia come funzioni di mediazione e modulazione dei processi
di apprendimento.
d) Per questo sono fondamentali i knowledge workers e i knowledge manager impegnati
nell’acquisizione di conoscenze e progettazione di interventi ma anche nell’implementazione,
sviluppo e consolidamento della conoscenza nell’ambito dei sistemi formativi
I professionisti della formazione si caratterizzano per essere veri e propri professionisti dell’agire
sociale: attraverso percorsi di razionalità critica, essi sono in grado di:
analizzare le condizioni del proprio agire, esercitare su esso un sistematico controllo e garantire
equità sociale attraverso le proprie azioni
offrire strumenti di crescita culturale e politica a soggetti individuali e collettivi
Questo assegna ai professionisti della formazione una imprescindibile funzione sociale.
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