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LINGUISTICA GENERALE

03/11/20

La semantica frasale ha a che vedere con il significato delle combinazioni dei lessemi e quindi con
ciò che concerne il significato globale della frase. Possiamo dire che, in un primissimo livello, il
significato di una frase è la somma e combinazione dei significati dei lessemi che compongono
questa stessa frase, questo però non esaurisce il senso globale di una frase.
Non dimentichiamo che ci sono quelle combinazioni di parole il cui significato non è desumibile da
quello delle parole prese singolarmente (es. le cosiddette espressioni idiomatiche ☞ ‘essere al
verde’, ‘tagliare la corda’, ecc.), per cui a differenza del primissimo livello questo già viene meno
per alcune unità lessicali che possiamo dire hanno degli usi particolari, in cui appunto questo
significato non è neanche desumibile dalle parole che compongono una determinata espressione.
Non a caso un parlante che non è madrelingua italiano e che sta imparando l’italiano, se volesse
rintracciare il significato di un’espressione idiomatica come ‘tagliare la corda’, cercherebbe di farlo
a partire dai singoli elementi che compongono questa espressione non riuscendo però a tracciare un
significato in qualche modo veritiero, colo la contestualità lo aiuterà poi a comprendere quel
qualcosa in più che appunto passa attraverso queste espressioni.
Importanti per l’interpretazione degli enunciati sono i cosiddetti connettivi (o anche connettori),
congiunzioni come: ‘e’, ‘ma’, ‘se’, ‘o’ ‘benché’, ecc. cominciano a comunicarci qualcosa (es. siamo
andati al ristorante MA…un parlante al ‘ma’ già percepisce che sta succedendo qualcosa). Per
quanto concerne la semantica frasale, Elisabetta Jezek in un volume intitolato “Lexicon”, ci dice
che il principio di composizionalità è un principio essenziale in semantica per spiegare come i
significati delle parole si combinano per generare significati più ampi.
La composizionalità del significaicato riguarda l’importanza dell’interazione fra i significati delle
proprietà semantiche di ogni lessema all’interno dell’enunciato e in un primissimo livello possiamo
parlare di composizione relativamente alla somma dei significati di base di ogni elemento (siamo
nell’ambito della semantica, quindi quando parliamo di composizione facciamo riferimento a questo
primissimo livello che ci fa dire appunto che un primo calcolo del significato di una frase noi lo
possiamo fare facendo la somma dei significati di ciascun elemento di una certa frase).
A questa teoria della composizione del significato, noi facciamo riferimento (la stessa Elisabetta
Jezek fa riferimento) agli studi di J. Pustejovsky, un linguista americano che si occupa proprio di
questo. Quindi oltre a questo primissimo livello (livello basico) abbiamo altri livelli (3) che sono
più complessi.
(pag. 218) Un secondo livello è quello che identificassimo come co-composizione, in cui il
significato degli argomenti di un verbo contribuisce a definire il significato del verbo; pensiamo alle
combinazioni verbo-nome (come il nome condiziona il verbo) e a un caso come ‘prendere il
cappotto’ oppure ‘prendere il treno’: il significato del verbo è condizionato, è perfezionato
dall’informazione che mi fornisce il complemento , una cosa è dire ‘prendere il cappotto’ e un’altra
cosa è dire ‘prendere il treno’.
Un altro livello invece riguarda la coercizione (anche detta forzatura), in cui il significato del verbo
condiziona il significato del suo argomento. Anche il principio di coercizione può essere
semplificato dal rapporto verbo-nome, quindi una cosa è dire ‘ieri ho comprato un nuovo libro’ e
un’altra cosa è dire ‘ieri ho iniziato un nuovo libro’: nel primo caso ‘comprare’ attiva relativamente
all’argomento, relativo al ‘libro’, che questo sia un oggetto fisico, ‘iniziare’ invece ci dice Jezek
(sulla base degli studi di Pustejovsky) richiede di essere completato con un’attività, quindi libro in
questo caso viene forzato nella sua semantica e da oggetto fisico passa ad essere una sorta di attività
(perché libro include nella sua semantica delle informazioni relative a possibili attività). Quindi da
un lato co-composizione, rapporto verbo-nome, il verbo viene perfezionato dalle informazioni
fornite dagli argomenti (dal complemento); nel caso della coercizione, sempre riguardante il
rapporto verbo-nome, invece, è il verbo a condizionare il significato del suo argomento. Questo
fenomeno lo riscontriamo appunto nel rapporto verbo-nome ma, come ci dice Pustejovsky, è
possibile osservarlo anche nelle preposizioni (il principio di coercizione).
Ultimo livello su cui ci soffermiamo è il cosiddetto legamento selettivo, in cui un nome determina il
valore di un aggettivo dal significato non specifico, ma invece di trattare il rapporto verbo-nome
tratta il rapporto tra nome e aggettivo. In qualche modo il nome seleziona un valore particolare tra
quelli che potrebbe avere un aggettivo, un esempio è: ‘è un buon dottore’ oppure ‘è un buon
coltello’. Nella semantica di ‘buono’ l’ interpretazione ci viene data dal significato del nome che lo
accompagna (dottore), l’aggettivo opera un singolo aspetto del significato del nome, quindi tutti i
nomi che possiamo mettere accanto a ‘buono’ in qualche modo vanno a saturare quella che è la
semantica di questo aggettivo.

SI CHIUDE LA PARTE CHE ABBIAMO DEDICATO ALLA SEMANTICA.

Di che cosa si occupa la linguistica cognitiva? Prima di tutto è necessario fare un passo indietro e
dare uno sguardo a quelle che sono le cosiddette “scienze cognitive del linguaggio”. Cosa sono? Le
scienze cognitive riguardano le competenze di vari studiosi (di informazioni diverse, quindi
facciamo riferimento a esperti di intelligenza artificiale i quali trattano proprio le abilità di svolgere
determinate funzioni da parte della mente umana così come anche il computer , antropologi, ecc.) in
cui comunque il linguaggio sole un ruolo molto importante. Dal punto di vista delle scienze
cognitive, il linguaggio si configura come in stretta relazione con altre abilità, in qualche modo
definibili come extra linguistiche (es. la categorizzazione, la percezione, ecc.).
Il linguaggio è un aspetto essenziale dell’esperienza umana, quindi quasi ogni aspetto della nostra
vita può essere apprezzato adottando un punto di vista linguistico, non esiste un aspetto sociale,
artistico, storico, ecc. su cui non è possibile fare chiarezza se non trattandolo in maniera
linguisticamente opportuna. In questa cornice si inserisce la riflessione condotta dalle scienze
cognitive che hanno come obbiettivo proprio quello della comprensione dei meccanismi della
conoscenza (abbiamo detto che concorrono con varie figure, con vari tipi di formazione a questo
scopo, quindi non solo linguisti ma anche psicologi, ecc.
Il ‘900 è stato un secolo in cui ci si è occupati molto del fenomeno linguistico e delle ricadute che
questo poteva avere su mente e pensiero ma anche su altri aspetti come ad esempio la costruzione
della società e così via. Quindi a partire dal linguaggio si andavano a esaminare altri aspetti legati
alla conoscenza; i simboli che noi utilizziamo per raccontare il mondo influenzano a tal punto
quest’ultimo dal finire con il costituirlo, non sappiamo più dove finisce, dov’è il limite del
fenomeno linguistico, e non sappiamo più cosa effettivamente può sfuggire all’ambito linguistico.
In questo senso le scienze cognitive affrontano il linguaggio facendo il processo inverso: partendo
da mente e pensiero, quindi guardano alla mente umana come un insieme strutturato di capacità e
fanno anche riferimento a contenuti che in qualche modo potremmo definire non concettuali, quindi
penso a esperienze percettive più ricche dei concetti di cui disponiamo per categorizzarle, ma penso
anche a capacità in cui il pensiero si configura come non puramente linguistico (capacità come il
riconoscimento dei volti e l’orientamento spaziale, ecc. queste immagini in qualche modo ci fanno
pensare a un pensiero che è indipendente dal linguaggio ma anche evidenze che ci forniscono alcuni
casi patologici per cui ad esempio la capacità di pensiero resta inalterata, penso a casi di lesioni
cerebrali che compromettono il linguaggio, quindi resta inalterata la capacità di categorizzare gli
oggetti ma ad esempio si perde la capacità designativa, quindi una cesura tra pensiero linguistico e
pensiero non linguistico).
A sostegno di quanto stiamo dicendo, Pietro Perconti, (un filosofo italiano che si occupa di teorie
della lingua e ha scritto un volume del 2006 “Le scienze cognitive del linguaggio” insieme ad
Antonino Pinnisi il quale si occupa proprio di scienze cognitive del linguaggio) ci fa notare che gli
indicali (espressioni linguistiche che puntano direttamente al contesto), quindi i deittici, per la loro
stessa natura (una natura indicale) si sganciano dalla dimensione linguistica perché essenzialmente
non istanziano alcuna proprietà, nel senso che non vanno a soddisfare delle proprietà concettuali ma
questi vanno a legarsi al contesto.
La linguistica cognitiva, nell’ambito delle scienze cognitive del linguaggio, indica il complesso
degli studi sul linguaggio che vertono su fenomeni tradizionalmente descritti dalla linguistica ma
con una specifica attenzione alla dimensione cognitiva. Quindi, la linguistica cognitiva, vuole
identificare i processi mentali che rendono possibili i fenomeni descritti dalla linguistica, vuole
andare a investigare cosa succede a livello di mente, a livello di pensiero (cosa molto complessa)
per spiegare determinati fenomeni linguistici: da un lato l’osservazione del fatto linguistico, e
dall’altro la possibilità di avanzare delle ipotesi sui processi sottesi. Ad esempio, il linguaggio serve
per esprimere pensieri o serve proprio per formare pensieri? Questa è una delle questioni di cui si
può occupare la linguistica cognitiva.
Alan Cruse e William Croft in un volume che si intitola proprio “Cognitive Linguistics” (2004), ci
parlano del cosiddetto ‘frame semantico’ (anche detto ‘cornice concettuale’). A cosa serve questo
‘frame semantico’? Serve, ci spiegano Cruse e Croft, per far luce sul fatto che i concetti non
fluttuano in maniera random nella nostra mente ma sono collegati da relazioni che vengono
intrattenute dalle parole e quindi dai concetti corrispondenti a queste parole, allo stesso tempo però
ci sono concetti che vanno insieme, si appartengono, sono inscindibili perché sono associati nella
nostra esperienza. In poche parole, il ‘frame semantico’ ci serve per operare una distinzione tra un
livello che è strettamente linguistico (cioè quello che abbiamo toccato fino adesso quando abbiamo
parlato di semantica) e un livello invece esperienziale. Un esempio classico è quello di ristorante:
abbiamo una nozione (ristorante) che è associata a una serie di altri concetti come per esempio:
cliente, conto, ordinazione, ecc…; quindi non sono legati questi a ristorante da quelle relazioni
semantiche su cui ci siamo soffermati quando abbiamo trattato la semantica (meronimia, iponimia,
ecc.), MA sono legati al concetto di ristorante dall’esperienza umana, da un livello esperienziale che
prescinde dalla dimensione linguistica.
Il modello da cui prende le mosse questo tipo di prospettiva è innanzitutto la semantica dei frame
che ha introdotto Charles Fillmore negli anni ’80. Fillmore ci dice che il parlante produce parole e
costruzioni sotto forma di testo come strumento per una particolare attività, il compito
dell’ascoltatore sarà capire l’attività in questione. Parole e costruzioni evocano un frame condiviso
da chi partecipa a questo tipo di comunicazione. Nella semantica dei frame (frame semantico)
parole come ‘donna’, ‘ragazzo’, ecc. evocano dei frame che non fanno riferimento solo a una
distinzione ad esempio sessuale quindi in termini biologici, ma anche a tutta una serie di attitudini e
comportamenti a cui queste parole farebbero riferimento, a tutte quelle aspettative che noi abbiamo
relativamente a donna o a ragazzo così come la nostra comprensione di parole come ‘scapolo’ o
‘zitella’ coinvolgono una serie di proprietà e caratteristiche che vanno oltre la semplice opposizione
maschio - femmina.
Questi concetti possono essere compresi all’interno di un preciso quadro culturale qui di queste
aspettative che io ho, me le configuro a livello culturale: pensiamo al concetto di vegetariano, dov’è
che ha senso il concetto di vegetariano? Solo in una cultura in cui sia ammesso mangiare la carne,
altrimenti non avrebbe senso.
Dagli anni ’80, un modello di analisi linguistica che si definisce esplicitamente cognitiva, viene
elaborato grazie ai lavori condotti in maniera indipendente da George Lakoff e Ronald
Langacker, ma in particolare ci interessa la figura di Lakoff. Tra i concetti chiave della semantica
cognitiva, c’è sicuramente quello del prototipo, quindi costruzioni favorite in base alla prototipicità
che abbiamo detto essere legata all’ appartenenza di un membro a una categoria, quindi
un’immagine mentale immediata che i parlanti di una certa cultura fanno corrispondere a un dato
concetto (che è il punto focale quando questo concetto rispecchia appunto il prototipo, mentre
invece i membri non prototipici, avendo meno caratteristiche del prototipo si allontanano dal punto
focale e si avvicinano alla periferia del concetto. Quindi conta il grado di rappresentatività di un
elemento alla sua categoria di appartenenza). Un aspetto che accomuna il lavoro di questi due
studiosi è il ruolo fondamentale che entrambi assegnano alle figure retoriche, in particolare alla
metafora nell’organizzazione linguistica, la metafora intesa qui come aspetto integrante
dell’organizzazione linguistica e quindi costitutiva (non pensiamo alla metafora come figura
retorica legata alla stilistica, ecc.; pensiamo alla metafora come un qualcosa di pervasivo
nell’organizzazione linguistica che stentiamo a riconoscere nel nostro parlare quotidiano perché si
tratta di metafore assolutamente convenzionalizzate.
Nell’ambito delle scienze cognitive del linguaggio il nostro sistema concettuale è basato
innanzitutto sulla dimensione sensoriale, come se la semantica, in qualche modo, poggiasse su una
dimensione corporea dell’esperienza.

RIPRENDIAMO LA NOZIONE DI PROTOTIPO

Un contributo fondamentale per ciò che concerne la teoria del prototipo è venuto dalla psicologa
Eleanor Rosch, dai suoi studi condotti negli anni ’70. Rosch conduce dei test sperimentali basate su
prove di categorizzazione, e osserva che in una certa categoria alcuni membri sono ritenuti
esemplari, migliori degli altri che invece risultano essere difficili da categorizzare (per questo
abbiamo fatto riferimento a confini sfumati tra le categorie). Quindi categorizzare non corrisponde
più a produrre un giudizio netto di appartenenza, ma si basa più su un giudizio di somiglianza
rispetto a un modello: il risultato è che ci saranno membri di una categoria più tipici proprio in base
al livello di somiglianza con un modello.
Abbiamo 2 piani di organizzazione di queste categorie:
1• un piano orizzontale ☞ si riflette nella tipicità all’interno di una categoria (es. ‘un’aquila’ è più
uccello rispetto a un ‘pinguino’), si sviluppa all’interno stesso di una categoria e si sviluppa in
maniera orizzontale;
2• un altro piano di organizzazione è verticale ☞ organizza la categoria su un modello che possiede
in teoria tutte le caratteristiche e quindi è un po’ al di fuori della categoria, non trovando
corrispondenza con nessun membro appartenente alla categoria. È un po una tensione verso un
modello che possiede in teoria tutte le caratteristiche a cui, i memori di quella categoria, devono
tendere.
Anche William Labov (un socio linguista), sempre negli anni ’70, si è soffermato sulla natura del
prototipo ed è andato ad investigare la possibilità di organizzare ad esempio un ‘campo semantico’
(ovvero l’insieme dei lessemi che coprono le diverse sezioni di un certo spazio semantico). Nel caso
proposto da Labov, egli sottoponeva ai suoi intervistati un’immagine con vari tipi di tazze. Si
trattava di tazze meno prototipiche o più prototipiche (immaginiamoci una tazza e poi una tazza
molto più grande, oppure una tazza molto più piccola ecc.), questo forniva a Labov lo spunto per
chiedere ai soggetti intervistati di denominare questi oggetti che loro vedevano belle immagini: il
risultato fu che su alcune, quelle meno ambigue, non c’era esitazione mentre su altre c’era
incertezza perché sarebbe stato possibile chiamarle in alternativa ‘tazze’, ‘ciotole’, ‘bicchieri’, e
così via. Ciò che emerge è che queste categorie non hanno confini netti, hanno appunto confini
sfumati con parziali sovrapposizioni (così come succede nel caso della tazza che sfuma nella
categoria del bicchiere o nella categoria della ciotola). Un modello vincente in linguistica è un
modello non rigido, che sia flessibile, che tenga conto della possibile sovrapposizione tra categorie.
È importante però tenne conto del fatto che la categorizzazione funziona non solo sulla base di
somiglianze fisiche (quindi su una lista di tratti), ma sulla base di una serie di conoscenze che noi
abbiamo relativamente a determinate entità.
Quindi la categorizzazione va intesa come un complesso di informazioni che riguardano l’aspetto
ma anche i comportamenti, gli usi, ecc.: tutte quelle aspettative che noi abbiamo relativamente a un
determinato concetto.
Le tracce di quanto abbiamo detto sulla teoria dei prototipi le ritroviamo nel cosiddetto ‘modello
cognitivo idealizzato’ introdotto da George Lakoff, il quale fa riferimento a un modello tipico sullo
sfondo del quale applichiamo alcune caratteristiche definitorie. Prendiamo l’esempio di ‘scapolo’,
se consideriamo ‘scapolo' come maschio adulto non sposato, quindi categorizzandolo in maniera
rigida, avremmo difficoltà ad applicare la nozione di ‘scapolo’ a persone che sì, possiedono queste
caratteristiche, ma che in realtà noi non categorizzeremmo, non definiremmo come ‘scapolo’ (es.
Papa, o un uomo omosessuale che abbia un compagno). Per cui, ‘maschio adulto non sposato’ non
esaurisce la nozione di ‘scapolo’ che noi dobbiamo integrare con una serie di conoscenze che noi
abbiamo (tant’è vero che se noi facciamo riferimento a ‘scapolo’ come ‘maschio adulto non
sposato’, dovremmo applicarlo anche a persone a cui non applichiamo la categoria ‘scapolo’).
L’idea di Lakoff è che l’applicazione del termine è vincolata a un modello di sfondo che riguarda le
caratteristiche tipiche (in questo caso di ‘scapolo’), ma anche i comportamenti tipici che noi ci
aspettiamo relativamente a questo (es. ‘scapolo’ è qualcuno che io presenterei a un’amica), quindi
non solo quelle caratteristiche che quella parola ha, ma anche una serie di comportamenti tipici che
lo riguardano. Sulla base di questo modello Fillmore ha portato l’attenzione sulla struttura dei
significati linguistici tenendo conto dei ‘frame’ (ossia cornici di sfondo che chiamano in causa delle
attese, anche degli stereotipi), facendo quindi ricorso ai ‘frame’ noi possiamo spiegare, ad esempio,
‘scapolo’ oppure la differenza tra ‘scapolo’ e ‘zitella’ (che è una differenza che supera la soglia di
maschile e femminile). Per la semantica dei frame questi concetti sono in relazione con altri concetti
e concorrono a costituire delle strutture più ampie, quindi, ad esempio, ‘lunedì’ in una prospettiva
prettamente strutturalista si configura nel suo rapporto con gli altri giorni della settimana; nella
prospettiva cognitivista, invece, noi lo andiamo a inserire in una cornice interpretativa pensando
così che il ‘lunedì’ è il giorno in cui si riprende a lavorare.
In questa prospettiva assume un ruolo fondamentale la metafora (non come figura retorica da
trattare dal punto di vista stilistico, ma da intendere come un fenomeno pervasivo che riguarda interi
domini concettuali strutturati sul modello di altri). Lakoff insieme a un altro linguista di nome
Johnson, scrive un volume chiamato “Metaphors We Live By” (anni ’80) nel quale fanno
riferimento alla metafora come correlazione sistematica tra due domini, in cui possiamo parlare di
un dominio origine e un dominio bersaglio: quindi possiamo adoperare parole che provengano dal
dominio origine per parlare del dominio bersaglio, cosa significa questo? Significa che de posso
utilizzare parole di un dominio per parlare di un altro, allora l’intero dominio bersaglio è
concettualmente organizzato in maniera analoga rispetto al dominio origine.
I due autori stabiliscono una serie di correlazioni del tipo: dominio bersaglio è dominio origine; ☞
es. La rabbia è il calore di un fluido. Da questo tipo di processo metaforico, hanno origine
espressioni come: ‘mi sentivo esplodere’, ‘mi ribolle il sangue nelle vene’, ecc.: la rabbia come
calore di un fluido, il dominio bersaglio che si sovrappone al dominio origine e quindi è possibile
fare riferimento alla ‘rabbia’ nei termini che riguardano il calore di un fluido (gradi, pressione,
esplosione, ecc.). Altro esempio: ‘l’amore è una guerra’ => da cui dipendono usi linguistici come:
‘l’amore ha trionfato’, ‘mi ha conquistata’, ‘ho lottato per lui’, ecc.
In poche parole tutte queste espressioni linguistiche, fanno riferimento ad un processo metaforico,
che spesso sfugge al parlante perché si tratta di metafore convenzionalizzate nell’uso (quindi in
qualche modo possiamo definirle come metafore morte, non le riconosciamo neanche più); siamo a
tutti gli effetti di fronte a processi metaforici in cui un dominio bersaglio si sovrappone a un
dominio origine.
Troviamo anche differenti metafore nello stesso dominio per es. ‘l’amore è una guerra’ ma anche
‘l’amore è un paziente’ (era una relazione malata, una relazione forte, un matrimonio che è morto,
ecc.), e ancora ‘l’amore è un viaggio’ (siamo a un bivio, la nostra storia sta decollando, ecc.). questo
tipo di concettualizzazione, appare incarnato e qui si parla di ‘embodied mind’ (non a caso si parla
di cognizione incarnata, facendo riferimento al fatto che la cognizione umana affonda le sue radici
nella dimensione corporea, nella dimensione fisica). La stessa natura dei nostri corpi determina le
categorie di cui ci serviamo perché i nostri corpi funzionano e si organizzano in un certo modo;
questo schema comune ai due domini, Lakoff e Johnson l’hanno chiamato schema di immagine.
Esempi classici di schema di immagine sono: su, giù, dentro, fuori ☞ da intendere come domini
relativi a strutture mentali o sociali. Ad esempio, le metafore di orientamento che si costituiscono
intorno al nostro corpo. Esempio: la salute è su, la malattia è giù, le condizioni stanno precipitando;
felice è su, triste è giù. Possiamo dire “sono su di morale” oppure “mi sento a terra”, sono tutte
espressioni che si definiscono intorno alla nostra esperienza corporea. Possiamo fare una
generalizzazione e dire che il polo positivo lo collochiamo su, il polo negativo lo collochiamo giù.

Quando assegniamo agli oggetti un fronte e un retro, quindi proiettiamo sugli oggetti la nostra
struttura corporea, ricordiamoci che c’è sempre l’influenza del dato culturale, pensiamo ad esempio
alla rappresentazione del tempo, quindi come questa cambia da cultura a cultura (es. per noi il
futuro è avanti, ma ci sono culture per cui il futuro, proprio perché non si vede, sta dietro).
Comunque c’è il peso del dato culturale.
Riassumendo: il significato si caratterizza in relazione a un dominio cognitivo adeguato e quindi
dobbiamo tenere conto di conoscenze e credenze sulla realtà esterna, dato il ruolo che ha la
conoscenza legata al dominio della categorizzazione dei significati, per esempio: le modalità con cui
un bambino comprende un contenuto semantico, dipende dalla precedente comprensione del
dominio da cui viene ricavato, questo cosa significa? Significa che nell’acquisizione linguistica da
parte del bambino, noi riusciamo a rintracciare i fenomeni di cui abbiamo parlato ora. L’abilità che
il bambino comincia a manifestare nella manipolazione di elementi lessicali è legata
all’accrescimento dei significati che è in grado di esprimere. La crescente capacità di usare la lingua
esprimendo significati, va di pari passo con lo sviluppo di altre abilità cognitive; perché si fa
riferimento al modello acquisizionale? Perché lì si trova conferma del fatto che la struttura del
linguaggio risiede anche in una conoscenza che è non linguistica, quindi, le categorie vengono
definite nei termini di associazioni per stabilire criteri di appartenenza, non a caso viene detta
‘sovraestensione semantica’ (per cui, per esempio, un bambino inizia a chiamare cane tutti gli
animali): il bambino riuscirà, nel suo procedimento di acquisizione del linguaggio, a ricalibrare le
categorie in una maniera più corretta perché aumentano le informazioni a sua disposizione
relativamente a quelle categorie. Non a caso la maggior parte degli errori lessicali dei bambini nel
loro processo di acquisizione linguistica dipendono dal fatto che non hanno ancora a disposizione i
domini cognitivi: più aumenta la conoscenza enciclopedica, più aumenta la conoscenza linguistica.

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