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Cosa si intende per "anafora"?

L’anafora è una delle più importanti funzioni di coesione linguistica dei testi. Serve a
mettere in opera dei legami tra porzioni di un testo più o meno vaste e più o meno distanti
fra loro. Questo legame è indicato come rapporto anaforico e coinvolge soprattutto
sintagmi nominali e pronomi.
Quali sono gli elementi caratteristici della deissi temporale?

Che cosa si intende per deissi temporale? Per deissi temporale si intende quell’espressione
linguistica che fanno riferimento al momento in cui il parlante pronuncia l’enunciato; è
affidata ad avverbi ed espressioni avverbiali, quali ora/adesso, allora, ieri, domani. (La
deissi è un fenomeno comune nella lingua parlata e scritta. Il fenomeno della deissi si ha
quando all’interno di una frase si fa ricorso a espressioni che fanno riferimento alla
situazione spazio – temporale o alle persone coinvolte. Gli elementi deittici sono elementi
linguistici interpretabili in unicamente all’interno del contesto cui fanno riferimento. Nella
deissi temporale il deittico è in genere un avverbio di tempo (es. ieri oggi) o comunque in
riferimento temporale. La rappresentazione concettuale del tempo fisico nella lingua
italiana è affidata ai tempi verbali. Alcuni tempi sono definiti deittici, altri deittici –
anaforici. I deittici si collocano o semplicemente rispetto al momento dell’enunciazione.
Mentre i deittici anaforici richiedono un ancoraggio temporale complesso)

Quali forme può acquisire la deissi?


Quali forme assume la deissi? La deissi è tradizionalmente descritta secondo le categorie di
persona, tempo e luogo. Quindi le principali forme di deissi, sono:  deissi temporale, si
intende quelle espressioni linguistiche che fanno riferimento al momento in cui il parlante
pronuncia l’enunciato; è affidata ad avverbi ed espressioni avverbiali, quali ora/adesso,
allora, ieri, domani.  deissi personale, viene codificato il ruolo dei partecipanti
all’enunciazione. Viene generalmente espressa in pronomi personali di prima e seconda
persona.  deissi spaziale, vengono codificate le relazioni spaziali e i punti di ancoraggio
spaziale determinati dall’enunciazione. È tipicamente espressa da alcuni avverbi di luogo
come qui e dai dimostrativi. Inoltre vi sono altre due forme:  deissi sociale, l’uso dei
pronomi di cortesia (Voi, vostro onore, lei);  deissi testuale o del discorso, pone il testo
come centro deittico. 12. Che cosa si intende per deissi? Per deissi (dal greco deixis =
indicazione) si intendono quei termini e quelle espressioni, presenti in tutte le lingue, la cui
interpretazione rinvia necessariamente al contesto situazionale in cui avviene
l’enunciazione. Codifica le relazioni tra lingua e contesto nelle sue varie componenti: chi
parla, con chi, collocando oggetti ed eventi nello spazio, nel tempo e nel discorso stesso. È
un fenomeno linguistico che codifica (morfologicamente, sintatticamente o lessicalmente)
informazioni relative al luogo (qui, là, questo, quello,andare, venire ecc.) e al tempo di
enunciazione (ora, oggi, domani, i tempi verbali) o ai protagonisti dell’evento comunicativo
(tu, io), essenziali per l’interpretazione dell’enunciato

Cosa si intende per deissi fantasmatica?


"Sali al primo piano e trovi un divano, a destra vedi un armadio". Si tratta di deissi
fantasmatica
La deissi fantasmatica, dove il locutore chiama il destinatario a trasferirsi idealmente in un
campo indicale diverso da quello dell’enunciazione.
Esempio: “quando arrivo a casa, dove trovo il controller della play?”
“apri il mobile sotto la TV e lo trovi subito QUI A DESTRA”

Come può essere definito il contesto, secondo la prospettiva pragmatica?

In realtà, il contesto è determinante per le prassi comunicative ed è alla base di ogni atto
comunicativo.
Esistono due tipi di contesto: un contesto globale e uno locale. Il primo è in relazione con le
componenti sociolinguistiche di una determinata situazione, mentre il secondo è in rapporto
con situazioni di tipo cognitivo e linguistico.
Le caratteristiche del contesto variano di situazione in situazione e dipendono da alcuni
fattori:

a)Partecipanti alla conversazione;

b)Atti, forma e contenuto di ciò che viene detto;

c)Risultati che si vogliono ottenere;

d)Localizzazione, definizione culturale e clima psicologico;

e)Mezzo e norme di interazione e di interpretazione;

f)Categorie di atti linguistici.

La linguistica pragmatica studia gli aspetti che riguardano il linguaggio come azione; studia il
parlare come forma di un agire linguistico che si svolge all’interno di una determinata
situazione comunicativa e sociale.
La pragmatica studia una lingua dal punto di vista degli utenti, considerando le scelte che
compiono nel comunicare, le costrizioni che incontrano usando la lingua nell’interazione
sociale e gli effetti ottenuti dal loro uso della lingua su coloro che partecipano alla
comunicazione.
Secondo il filosofo C. Morris (1901-1979), nella teoria generale dei segni si distinguono tre
livelli: semantica, sintassi e pragmatica. La pragmatica sarebbe interessata alle relazioni fra i
segni e chi li usa.
Con «interazione» si intende l’influsso reciproco che i partecipanti, fisicamente presenti,
esercitano sulle loro aziono linguistiche, come:

Quali forme può acquisire la deissi: La deissi è inerente se si realizza attraverso parole come
io, qui, adesso, ecc. per le quali l'interpretazione può avvenire tramite la conoscenza della
situazione e del contesto. La deissi è non inerente se affidata a espressioni la cui natura
deittica si realizza solo in riferimento ad alcuni contesti. La deissi è fantasmatica se si
riferisce a una mondo immaginario entro il quale ci si muove nel tempo. Si fa riferimento a
un campo indicale proiettato e immaginario rispetto al contesto di riferimento, che denota
un certo grado di astrazione, metaforizzazione e simbolizzazione dei parlanti e del
linguaggio. La deissi è personale quando si utilizzano delle espressioni linguistiche che
segnalano la presenza dei parlanti e li fanno identificare nella conversazione, ed è una
funzione svolta prevalentemente da pronomi personali.

Cosa si intende per "deissi fantasmatica"? La deissi è fantasmatica se si


riferisce a un mondo immaginario entro il quale ci si muove nel tempo. Si fa riferimento a un
campo indicale proiettato e immaginario rispetto al contesto di riferimento, che denota un
processo di astrazione, metaforizzazione e simbolizzazione dei parlanti e del linguaggio.

Che cosa si intende per "transazione" in pragmatica?

Nella conversazione è possibile individuare un insieme di categorie discorsive dipendenti


dall’organizzazione del discorso e dei principi di concatenazione che permettono di
distinguere sequenze discorsive ben formate o malformate.
Le transazioni costituiscono dei domini tematici omogenei, dove si attuano accomodamenti,
compromessi e patteggiamenti. La linguistica pragmatica ha permesso di comprendere che
la realtà linguistica è più complessa della mera creazione di frasi grammaticalmente corrette
e che la comunicazione verbale è più proficua di uno studio formale sulla lingua.

Es. richiesta e patteggiamento del cibo in un ristorante

Come può essere suddiviso un testo?

Come può essere suddiviso un testo? Un testo prevede una struttura e una suddivisione in
parti. La suddivisione in paragrafi, capitoli e sezioni dipende dalla trattazione dei diversi
argomenti titolati o numerati. La struttura generalmente
prevede: premessa, prefazione (scritta da un esperto), introduzione, corpo del testo,
conclusione, sommario (può stare anche all'inizio), indice analitico, appendice, bibliografia.
La conclusione può annodare i diversi fili della narrazione, ma è largamente presente anche
in testi scientifici. I trattati sono accompagnati da note, scritte dall'autore, o di glosse se
inserite dal curatore dell'edizione. La suddivisione in capitoli e l’aggiunta di note non sono
operazioni irrilevanti, ma contribuiscono alla strutturazione del testo e denotano come il
testo si sviluppi come un progetto nella mente dell'autore. I testi si possono suddividere i
testi in orali, scritti, multimediali (che combinano scritto e parlato), riportati, letterari e
pragmatici. La suddivisione, non letteraria, ma relativa allo scopo e all'intenzionalità che
l'emittente del testo si propone in relazione al destinatario e alle circostanze in cui si verifica,
prevede cinque tipologie testuali: narrativi (romanzi, racconti, novelle, fiabe, cronaca,
biografia, relazioni di viaggio, ecc.), descrittivi (resoconti di viaggio, guide turistiche, manuali
tecnici, ecc.), argomentativi (arringhe di avvocati, articoli di fondo del giornale, testi
pubblicitari, ecc.), informativi (manuali scolastici, enciclopedie, articoli di giornali, ecc.),
regolativi (ricette di cucina, regolamenti, statuti, ecc.). I testi sono quasi tutti misti perché
integrano sequenze di carattere differente, lo stesso testo può avere più funzioni
comunicative.
Quali sono i principi costitutivi di un testo?

Quali sono i principi costitutivi di un testo? Illustrarli con opportuni esempi personali Un
testo rappresenta un messaggio che articolandosi su un unico tema presenta le
caratteristiche dell'unità e della completezza in rapporto a chi lo riceve e lo produce. Un
testo risponde a principi costituenti e regolativi. I principi costitutivi sono sette: * coesione,
* coerenza, * intenzionalità, * informatività, situazionalità, * accettabilità e * interattività. La
coesione consiste nel rapporto grammaticale e nel modo in cui sono collegati i vari
componenti di un testo. E' garantita dalle forme sostituenti, che segnalano la continuità
tematica, e dai segnali connettivi e discorsivi. Un esempio in cui manca la coesione può
essere la frase “ti sei mancato" al posto di dire “mi sei mancato”. La coerenza consiste
nella continuità semantica, quindi riguarda la connessione tra i contenuti presenti in un
testo e i rapporti logici sul piano semantico. Un esempio di coerenza può essere la frase “gli
ho comprato un regalo appena mi sono ricordata del suo compleanno” in cui c'è un
rapporto di causa-effetto nel testo del messaggio. L'intenzionalità riguarda l'atteggiamento
dell'emittente e la volontà di farsi capire, concerne il piano pragmatico e spesso riguarda i
testi orali. Un esempio di intenzionalità può essere la frase “Salve, come sta sig. Rossi? Sa se
è già passato il 208?” chiesto ad una fermata di autobus.
L'accettabilità riguarda l'atteggiamento del ricevente che si aspetta un messaggio rilevante,
coeso, coerente, utile, che sia valido dal punto di vista comunicativo ed in stretto rapporto
col contesto sociale e culturale. Un esempio di accettabilità può essere la frase “più tardi
facciamo i conti!”. L'informatività esprime la densità informativa di un testo che può essere
una novità sul piano semantico o un elemento già noto. Un esempio di informatività può
essere la frase “l'acqua bolle ad una temperatura di 100 gradi centigradi” che e una nozione
nota ad un adulto, ma probabilmente non nota ad un bambino. La situazionalità riguarda la
corretta collocazione del testo rispetto a un evento comunicativo. Un esempio di
situazionalità può essere “aspettare il proprio turno dietro la linea gialla” scritto su un
cartello affisso all'ufficio postale, ma non alla cassa del supermercato. L'interattività consiste
nel rapporto tra testo presente e altri testi assenti e serve molto alla comprensione del
testo. Un esempio di interattività può essere la frase “Nel mezzo del cammin di nostra vita
può succedere di tutto” che nella prima parte è una chiara citazione della DivinaCommedia.
L' origo rende la deissi dipendente dalla prospettiva di un interattante "Qui si mangia
pizza". "Qui" è un elemento deittico. Il punto d'attacco della deissi va
ricercato: nell’extratesto. Il campo indicale è l'insieme delle coordinate spazio-
temporali. L' origo è: il punto di osservazione. "Torno a trovarti giovedì".
"Giovedì" è un elemento: deittico. "Sali al primo piano e trovi un divano,
a destra vedi un armadio". Si tratta di: deissi fantasmatica. I pronomi possono essere
deittici: vero. Gli avverbi possono essere deittici: vero. I pronomi che hanno uso
esclusivamente deittico sono quelli di : I-II persona.
Che cos'è il campo indicale? Per spiegare il concetto di campo indicale è necessario
introdurre il concetto di deissi. La deissi è un rinvio dal testo alla realtà extralinguistica.
Riferimenti personali, spaziali, temporali sono fluttuanti fino a quando non sono legati a un
determinato contesto. Questi riferimenti possono essere termini deittici come per
esempio io , qui e adesso , che costituiscono il campo indicale, cioè sono le coordinate
spazio-temporali attorno cui si realizza la comunicazione. Il campo indicale si definisce
ancora meglio attraverso l' origo , che è il punto di vista del parlante e punto di origine della
comunicazione, con cui viene stabilito cos'è vicino o lontano nello spazio e nel tempo. Nella
conversazione rimane costante il campo indicale, ma cambia l' origo quando cambia il
parlante, e si intrecciano tanti campi indicali diversamente orientati e parzialmente
coincidenti, tanti quanti sono i parlanti nella conversazione.

Che cos'è un ipertesto?


L'ipertesto è un concetto formulato da Nelson nel '65. E' un particolare tipo di testo scritto
che non si legge in maniera sequenziale, ma è organizzato in un insieme di moduli testuali
uniti insieme da collegamenti, chiamati link, questi compongono una struttura a forma di
rete dove ciascun testo rappresenta un nodo.

Cosa si intende per "paratesto"?


La struttura di un testo è determinante e contribuisce a delineare il paratesto, l'insieme
degli
elementi che accompagnano graficamente il testo, come titoli, presentazione, note,
illustrazioni, grafici, didascalie, ecc. La relazione tra testo e paratesto rappresenta uno dei
fattori principali attraverso cui il testo condiziona il lettore. Ne sono consapevoli soprattutto
i giornalisti, che attirano il lettore ad esempio attraverso titoli accattivanti e una determinata
disposizione grafica delle notizie.

Cosa si è fatto nella scuola per una comunicazione non sessista?

Il panorama della riflessione sul linguaggio sessista ha iniziato dal 1986, grazie alle proposte
di Alma Sabatini, a suscitare l’interesse di una lingua più inclusiva e non sessista. D’altro
canto, la Scuola, pilastro della società grazie alla quale avvengono i cambiamenti
socioculturali, non ha ancora avviato un processo di cambiamento e non si è espressa
riguardo alle scelte editoriali e dei materiali utilizzati al fine dello svolgimento della didattica.
Nonostante gli abbondanti convegni e progetti, la Scuola fatica a cambiare. Coloro che
compiono i primi passi nel farlo sono progetti e azioni di collegi e dei singoli individui.

Qual è il pensiero di Fusco sugli usi linguistici.

All’interno dello studio del sessismo linguistico, Fusco afferma che gli usi linguistici sono
caratterizzati da una base strutturale che non varia e da scelte di carattere individuale e
collettivo, si tratta proprio di svolgere azioni di ricerca nei confronti degli usi linguistici
sessisti
e poco inclusivi, al fine di eradicarli e di sfruttare modelli diversi. Tali modelli non
costituiscono nient’altro che scelte linguistiche differenti, ovvero possibilità espressive della
lingua.

(Gli usi linguistici si caratterizzano da una base strutturale che non varia e per cui vi sono
scelte di carattere individuale e collettivo che possono cambiare solo grazie alla ricerca e
all’eradicazione degli usi poco inclusivi e sessisti. )
A titolo esemplificativo, una parola come “avvocata”, peraltro già esistente e ben attestata
nella lingua italiana, in quanto presente nella microlingua religiosa, fatica a essere utilizzata
per indicare la professione legale e si preferisce spesso l’impiego per il femminile della
parola concordata al maschile. Questo uso non può certamente considerarsi strutturale ed è
invece riferito a convenzioni, a tradizioni e pratiche storico-culturali. Nel momento in cui la
cultura cambia e il mondo professionale si apre alle donne, la lingua deve necessariamente
adeguarsi al cambiamento, sfruttando le possibilità espressive e la produttività che la
caratterizzano.
Come ribadito all’interno di svariate sedi scientifiche, non si tratta di ricorrere a scelte
strampalate o di inventare nuove regole grammaticali, ma, più semplicemente, di applicare
consapevolmente quelle esistenti e di riflettere sugli usi linguistici frutto della tradizione e
della convenzione. Si è riflettuto molto sulla possibilità di adottare l’asterisco in luogo del
maschile e del femminile, in modo da proporre un utilizzo della lingua inclusivo, leggibile da
chiunque a seconda di interpretazioni diverse. Un esempio è stato l’uso dell’asterisco quale
sostituzione di una lettera, il quale risulterebbe improprio al giorno d’oggi, ma che nel mondo
antico si utilizzava per sostituire i caratteri.

Perché parlando di lingua sessista è utile diversificare la comunicazione privata da


quella pubblica?61

È utile diversificare la comunicazione privata da quella pubblica per quanto concerne il


trattamento della lingua sessista. Infatti, la comunicazione privata è poco sorvegliata e
trascurata, la quale sarebbe difficile da analizzare e da eradicare gli usi poco inclusivi, a
differenza di quella pubblica sulla quale bisognerebbe intervenire per condurre a una
consapevolezza degli usi linguistici e sulle regole della lingua sin dai primi anni di
insegnamento nella scuola primaria. Infatti, la scuola è all’interno delle istituzioni che
normano il processo formativo e propongono linee guida nell’ambito normativo.

Che cosa deve fare il docente per favorire una glottodidattica non sessista?

Per raggiungere una glottodidattica non sessista, il docente è in prima linea per poter
condurre alla riflessione sulla lingua. Infatti, egli potrebbe proporre un laboratorio definito
“attivo” capace di procedere alla ricerca delle origini del lessico, facendo uso di vocabolario,
manualistica e portando gli stessi studenti a riflettere sullo sviluppo della lingua e a proporgli
di trovare delle soluzioni congruenti. In questo senso, le basi del docente dovranno essere
solide e gli si richiederà un processo di trasformazione più faticoso. Inoltre, il docente dovrà
procedere a comunicare con le case editoriali in modo da poter modificare o eliminare parte
dei materiali non adatti all’inclusività del linguaggio.

Perché è importante la linguistica educativa per costruire una lingua non sessista?

La linguistica educativa si rivolge soprattutto nella sua ricerca a studiare le manifestazioni


politico-linguistiche. Per tanto, per poter costruire una lingua non sessista bisognerà partire da
questo concetto, poiché alla base della legge e delle istituzioni che regolamentano l’uso della
lingua. La linguistica educativa può essere un primo passo per la parità di genere, in
opposizione alla credenza che solo cambiamenti sociali potranno portare ad un’inclusività più
sostenuta. Infatti, se si pensa ai testi o materiali forniti alle nuove generazioni, questi
potranno essere una svolta per un lungo processo di riconoscimento e parità sociale di genere.
Cosa si intende con "Nessuna lingua è a priori sessista, ma sono gli usi sessisti che se ne
fanno ad allinearla in tale direzione".?

A questo riguardo, grazie a Alma Sabatini 1986, si è riflettuto sulla questione di inclusione di
genere proveniente non solo dall’uso linguistico non inclusivo, ma bensì da convenzioni
culturali radicate nella storia. Questo studio è pervenuto da un lungo dibattito degli anni
Sessanta nello stato nordamericano in cui si è discusso a lungo quanto la lingua influisse nel
panorama di inclusione sociale nella parità di genere.

Come reagiscono i professionisti alla proposta di una lingua non sessista?


Generalmente i femminili per i nomi di professione, considerabili come delle formazioni al
pari dei neologismi, possono essere accolti dai parlanti più o meno favorevolmente.
Indipendentemente dal grado di percezione di una data parola come più o meno sessista, i
parlanti accolgono meglio nomi come consigliera, sindaca, senatrice o ministra, se il contesto
territoriale in cui vivono e amministrato da donne. Quindi dove l'uso è di fatto, i parlanti si
dimostrano favorevoli a cambiare pratica linguistica. Laddove invece vi è resistenza verso i
nomi di professione al femminile, queste forme seppur ammesse grammaticalmente, non
suonano familiari perché ci sono delle remore di stampo culturale. Nello specifico i
professionisti non sono attenti nei confronti del sessismo nella lingua, non conoscono gli
studi per contrastare il sessismo nella lingua, e le riflessioni circa alcune pratiche linguistiche
sono inibite dall'uso sociale. Denotano quindi un atteggiamento più conservativo nei
confronti della lingua, rispetto al parlante medio, forse a causa della microlingua specifica.

lezione 64

Cosa si intende per plurilinguismo?


Il plurilinguismo conosciuto come “stato dell’umanità” giacchè molti stati vivono con la
necessità di accogliere e rispettare le differenze linguistiche per la grande quantità dei
migranti. Imparare ad apprezzare e a capire la varietà è importante per conviverci senza
esserne succubi né calpestarla.
BES- Inclusività

Che legame c'è tra plurilinguismo e Unione Europea?

L’Unione Europea è strettamente legata al plurilinguismo, soprattutto per la formazione degli


stati membri che promuove il rispetto della diversità culturale, religiosa e linguistica nella
Carta Costituzionale del 2000 all’art. 22. Con il termine “rispettare” si sottolinea il riguardo
da parte dell’Unione Europea nel rispettare le diversità linguistiche e culturali degli altri paesi
membri.

Cosa si intende con il termine “cultura”?

Cultura deriva dal verbo latino colo, di cui è nomen actionis; l’etimologia di questo termine
appare subito interessante perché dice di una cura che si ha: agrum colere (agricoltura) indica
il coltivare per far crescere, per ottenere frutto; Deos colere indica un rapporto affettuoso e di
devozione verso il divino. Colo è quindi una parola che ha nel suo fondo semantico una
‘amorosa attenzione per’: cultura animi è in Cicerone2 quella formazione intellettuale
accurata che, secondo lui, si realizza compiutamente nella filosofia.
Cultus è dunque cultura hominis, come quella attenzione amorosa all’uomo che significa
non-barbarie, insomma civiltà, cioè un’attenzione profonda, costante, che si fa costume.
Cultus implica quindi in questa endiadi l’autocoscienza del proprio valore da parte dell’uomo
che ha cura di sé, che sa coltivarsi: cultura hominis, ossia humanitas culta.

Definisci il termine cultura dal punto di vista antropologico.

Lo sterminato elenco delle definizioni di cultura fornitoci nel vecchio testo di Kroeber e
Kluckhohn (1952) andrebbe sostanziosamente aggiornato. I nuovi usi non hanno peraltro
cancellato gli usi tradizionali. Rimane l’accezione antica, mutuata dalla latinità, del termine
cultura come “formazione dell’individuo”, “processo di coltivazione di sé” a livello
individuale e collettivo (Bildung e Ausbildung) attraverso saperi umanistici e scientifici; ed è
tuttora attiva l’accezione “antropologica” di cultura come “grammatica dei comportamenti
di una comunità”, sia in versione più etnografica, sia in versione strutturalista, come insieme
di conoscenze, credenze e pratiche che caratterizzano tutti i membri di una comunità.

Quali sono i due momenti della cultura studiati da Lotman e Uspenskij?

per definire il rapporto tra cultura e lingua.


È fecondo a mio avviso il suggerimento della semiotica tartuense, che emerge da numerosi
saggi culturologici di Lotman e Uspenskij, di distinguere nella cultura, definita come
l’informazione non genetica che passa attraverso le generazioni, due momenti costitutivi:
1. Il primo momento corrisponde alla cultura come grammatica di una comunità, sistema dei
sistemi semiotici modellizzanti, in cui alla lingua spetta il ruolo di sistema semiotico
primario. La cultura è quindi il repertorio delle modalità espressive, nel senso più largo, di
una comunità; è grammatica delle grammatiche, sistema di sistemi, codice di codici, che
“genera” tutti i testi verbali e non verbali. In questo senso la cultura, proprio come la lingua,
costituisce la virtualità, ossia la forma del rapporto con la realtà, la forma dei
comportamenti; in altre parole, dà le categorie attraverso le quali è reso possibile il rapporto
comunicativo e pratico con la realtà.
2. In un secondo momento, la cultura è vista come un ipertesto, costituito da tutti quei testi
- nell’accezione semiotica del termine, ovvero nel significato più largo, dove “testo” indica
una presa di posizione sulla realtà, quindi un’esperienza –che sono condivisi da una
comunità. Nella Figura 2 vediamo alcuni esempi di testi in un possibile ipertesto culturale.

A cosa sono utili i testi di riferimento di una società per quanto riguarda la cultura?

Altrettanto rilevanti, per un aspetto diverso, sono i testi di riferimento di una comunità, che
o rappresentano il rimando ultimo del sistema valoriale, o sono considerati fonti di
ispirazione e autorevole pietra di paragone. Nel primo caso, il riferimento a tali testi entro
una cultura è sufficiente per giustificare una presa di posizione: svolge questo ruolo, ad
esempio, il corano nell’Islam. In un altro senso, le opere di Shakespeare sono da considerare
testi di riferimento per la cultura anglosassone; il riferimento a Shakespeare non si può
considerare l’ultima parola nel processo di presa di decisione, ma costituisce un repertorio
di sapienzalità a cui rifarsi. Lo stesso valeva per i testi di Omero nell’antica Grecia e vale, in
certa misura, per i testi di Dante nella cultura italiana.
Che rapporto c’è tra essere umano e cultura? / Perché nel rapporto tra essere umano e
cultura, l’essere umano è definito come “crocevia di appartenenze”?

A questo punto, proprio per andare oltre l’interpretazione romantica del rapporto tra
lingua, cultura e comunità, dobbiamo precisare che il rapporto tra soggetto umano e cultura
– e dunque comunità – non è né univoco, né biunivoco, ma multimultivoco: il soggetto
umano, in rapporto alle sue diverse sfere di interesse, si implica in appartenenze culturali e
dunque comunitarie diverse. Così capita che una stessa persona, che risponde alla domanda
di senso della vita cui egli è sensibile aderendo alla comunità cristiana, faccia parte, sotto il
profilo
scientifico, della comunità dei linguisti; e per l’impegno professionale, della comunità dei
comunicazionisti;
fra l’altro, della stessa persona si dice che sia entrato da alcuni anni nella comunità degli
amanti dell’argomentazione; ma, dal punto di vista dei suoi altri interessi, può essere
addirittura membro della comunità che si ispira all’abate Bresadola degli amanti della
micologia comparata e si bisbiglia che, essendo egli buon compagnone, sia anche membro
attivo della comunità degli appassionati del gioco della briscola. È apparentemente una
situazione da Uno, nessuno, centomila: tanto più che questo personaggio si ostina a
sostenere di non essere schizofrenico. Non si può quindi considerare il soggetto umano
semplicemente membro
di una cultura-comunità; egli è piuttosto un crocevia di appartenenze.

anzitutto, infatti, essendo ciascuna appartenenza – cultura - comunità correlata a una


dimensione, a una specifica
sfera di interesse o domanda, le appartenenze non si possono contraddire. Non si può
appartenere simultaneamente, se non per finzione, a comunità alternative. Bisogna tuttavia
accertare se si tratti di appartenenze realmente alternative; ad esempio, rispetto
all’appartenenza alla comunità civile, la forte mobilità che caratterizza la nostra epoca
richiede sempre più spesso di distinguere una nazionalità d’origine e una nazionalità
acquisita. Peraltro, molte comunità statali ne tengono conto, ammettendo che una persona
possa avere più di una cittadinanza.

Cosa si intende per globalizzazione?


Il Romanticismo è una concezione, ed anche una sensibilità, che ha lungamente dominato l’Ottocento. Anzi,
il concetto romantico di identità nazionale che vuole essere insieme etnica, linguistico-culturale e politica
ha alimentato molti conflitti in tutto il Novecento. È interessante notare come la Svizzera sia passata quasi
indenne attraverso l’epoca romantica, trasferendo nella modernità un modello già stagionato di equilibri fra
appartenenze diverse: qui si incontrano e coesistono diversità linguistiche e religiose.

Così un cittadino elvetico romando, nato per esempio a Neuchâtel, condivide la lingua madre francese con le
altre numerose comunità francofone del mondo, è di religione cristiana calvinista, condivide la cittadinanza e
il senso di appartenenza alla Confederazione con gli altri svizzeri di lingue e convinzioni religiose diverse.
Questo è il quadro tradizionale per la Svizzera e la novità per l’Europa. Intanto sta comparendo all’orizzonte
un’altra dimensione che può essere considerata un aspetto particolare della “globalizzazione”: la mobilità porta
alla coesistenza - alla coabitazione - sullo stesso territorio di lingue e religioni diverse. E i diversi stati europei
vengono ad ospitare comunità non autoctone.

Spiega come si può reagire di fronte alla differenza nel contesto globalizzato.
1. Differenza come ostacolo. Predominano intenzioni, magari benevole, di integrazione
assimilatoria delle altre culture: quanto prima un immigrato dimentica la sua cultura di
origine, tanto più facile è la sua integrazione.
2. Differenza da rispettare. C’è in molti la convinzione, che fa capolino anche in qualche
documento europeo, che la differenza sia un ostacolo, una condizione nonostante la quale,
pur rispettando la quale, l’unità va realizzata. La parola chiave è qui rispetto. Rispettare è
meglio di tollerare, ma non è sostegno, non è favore: è comunque all’opera una sottile
insofferenza, pur negata. Si continua tutto sommato ad essere convinti che la morte della
differenza non farebbe che favorire la coesione della comunità.
3. Differenza come risorsa.
Il rispetto copre una coesistenza inerte che non esclude affatto l’omologazione. Invece,
quando si guarda alla differenza come a una risorsa, si crea una dinamica interattiva.
Questo, in particolare, fa diventare un vantaggio la diversità linguistica: conviene che un
immigrato, per esempio cinese, conservi anche la sua lingua, perché per lo sviluppo dei
nostri rapporti con la Cina è diventato indispensabile disporre di bilingui italo-cinesi. E
formare un sinologo nostrano è possibile, e lodevole, ma è costoso sotto vari aspetti.

La differenza può essere vista come risorsa, in questo contesto come può entrare il tema
del plurilinguismo?

Quest’ultimo approccio al tema della differenza porta a sottolineare i vantaggi del plurilinguismo. C’è anzitutto
un vantaggio comunicativo: la conoscenza di una lingua è chiave di accesso a una comunità e, dal punto di vista
professionale, apre un nuovo mercato favorendo in particolare la dimensione interculturale della comunicazione,
in quanto crea un presupposto di cordialità e un’aspettativa di intercomprensione. Ma una lingua non serve solo
per comunicare, ma anche per leggere la realtà (peraltro, la conoscenza non è un processo solipsistico).

Perché è importante il plurilinguismo?

Dal punto di vista cognitivo il plurilinguismo è una risorsa, perché mette a nostra disposizione reti categoriali e
strumentazioni espressive che, in parte, sono alternative e arricchiscono il nostro repertorio, ma che sono
largamente complementari: categorie come l’aspetto in russo, la -ing form in inglese e i clitici delle lingue
romanze suggeriscono differenze intelligenti, sguardi complementari sulla realtà e consentono una modalità più
ricca dell’esperienza umana a livello conoscitivo e relazionale. Inoltre, le diverse lingue hanno sorretto,
attraverso le generazioni, lo sviluppo, nelle singole comunità, di tradizioni letterarie nel senso più ampio del
termine (non solo la produzione letteraria in senso stretto, ma tutta la tradizione testuale giuridica, scientifica,
religiosa, politologica, ecc.) che sono patrimonio dell’intera umanità e che solo grazie alla conoscenza delle
diverse lingue diventano accessibili.

Quali difficoltà si riscontrano nel plurilinguismo a livello Europeo?

L’Europa si trova quindi di fronte a due grandi alternative: da una parte, la strada dell’adozione di una lingua
franca e di un atteggiamento di rispetto inerte nei confronti delle altre lingue e culture, nell’attesa, forse, che si
avvii un processo di omologazione; d’altra parte, la scelta di promuovere un plurilinguismo autentico, non solo
come preservazione della realtà di multilinguismo che è un tratto caratterizzante della storia e della cultura
europea, ma soprattutto come impegno a promuovere la conoscenza delle lingue nella formazione dei cittadini,
che può nascere solo dalla stima per la diversità come risorsa.

lezione 065

Quali sono le lingue maggiormente utilizzate nelle aziende nel contesto europeo?
- il tedesco è usato frequentemente per le esportazioni verso 15 paesi (tra cui la Germania e
l’Austria ed i Paesi Bassi);
- il russo è usato di frequente negli scambi con i paesi del Baltico, la Polonia e la Bulgaria;
- il francese è usato di frequente in otto paesi, tra cui la Francia, il Belgio e il Lussemburgo,
nonché nell’area Nord del Continente africano (il Maghreb) e nei territori caraibici della
Francia d’Oltremare.

Che impatto ha avuto la scarsa conoscenza delle lingue nell'economia italiana a livello
internazionale?

Lo scenario economico attuale, caratterizzato da una sempre maggiore competitività, impone alle imprese di
adottare dinamiche evolutive tipiche dei sistemi vitali1. Come sostiene infatti Enrico Valdani (2006 : 9):
In un tale contesto la sfida alla quale sono chiamate le realtà produttive e più in generale il sistema paese nel suo insieme, è
quella di saper governare la competitività, ossia di saper mantenere la capacità di competere allineandola al mutare delle
condizioni ambientali.

la presenza sui mercati esteri delle piccole e medie imprese italiane continua a presentare considerevoli
difficoltà ad affermarsi2. Una indagine condotta dal gruppo UniCredit nel 2010 (e presentata all’interno del
rapporto ICE3 2011-2012) su di un campione di 6157 piccole e medie imprese (PMI) ha riscontrato infatti che
soltanto il 17% degli intervistati ha dichiarato di avere attualmente intrapreso alcune attività sui mercati
internazionali.

La restante parte delle imprese contattate ha risposto che le principali barriere


percepite che hanno fino ad ora inibito l’apertura verso l’estero sono:
- la dimensione aziendale (59,3%);
- la distribuzione, ovvero la mancanza di una rete commerciale adeguata (55,4%);
- l’onerosità preventivata come costi di trasporto, trasferte ecc. (57,4%).
- l’organizzazione interna, ossia mancanza di risorse e strutture idonee, soprattutto
nell’ambito delle conoscenze linguistiche e della normativa internazionale (46,1%)

Perché nel contesto italiano l'internazionalizzazione fa fatica ad affermarsi?

- circa il 65% del campione ha effettuato attività internazionali di esportazione


dei propri prodotti (o servizi), mentre soltanto il 30% ha attivato contatti ed azioni
permanenti (come l’apertura di una filiale della propria impresa);
- il 37% svolge attività internazionali da non più di 5 anni;
- il 55% realizza attualmente una quota di fatturato con l’estero inferiore al 25% del
totale.

Che cosa si intende con internazionalizzazione?

Ai fini di limitare queste criticità emerse risulta, pertanto, fondamentale per l’impresa poter sviluppare una
elevata conoscenza del contesto estero, nonché la possibilità di stabilire relazioni con l’ambiente socio-
economico, sia di origine che di destinazione.
A tal proposito le associazioni datoriali stanno sviluppando alcuni interventi in supporto alle strategie di
internazionalizzazione delle proprie realtà associate. Un importante esempio è quello costituito dal « Progetto
Algeria » promosso da Confindustria Cuneo e concretizzatosi il 21 Novembre 2012 con l’apertura di un
ufficio di rappresentanza ad Algeri5.
- punto di vista linguistico
- economico-linguistico (per più competitività)

Quali soluzioni si sono elaborate per aiutare l'internazionalizzazione delle società


italiane?

Alcune imprese virtuose, come ad esempio il leader mondiale nella produzione


di pneumatici Michelin, hanno sempre creduto che una migliore comunicazione
tra i lavoratori aumenti l’efficienza, la qualità e la sicurezza, parametri
chiave dei settori produttivi. A tal proposito le sedi di Fossano e Cuneo fin
dal loro avviamento avvenuto nei primi anni Sessanta del secolo scorso hanno
previsto che la fase di formazione di tutte le principali figure operative (dagli
operai ai dirigenti) si tenesse presso la sede centrale di Clermont-Ferrand. La
multinazionale di origine francese considera ancora oggi l’attenzione verso la
formazione e la multiculturalità un elemento strategico. Nel mese di novembre
2012 si è concluso un ciclo di formazione di cui alcuni manager provenienti
dalle filiali cinesi di una joint-venture di Michelin8.
Le testimonianze di questi protagonisti dello scenario economico ribadiscono
la centralità che la componente linguistica ha assunto all’interno di una realtà
produttiva sempre più basata sulle risorse umane, imponendo alle imprese di
effettuare una attenta pianificazione finalizzata alla creazione di una strategia
di gestione delle competenze linguistiche.

- corsi di laurea binazionali nelle università con collegamento all’estero

Che collegamento c'è tra internazionalizzazione e plurilinguismo?


Il plurilinguismo, requisito fondamentale per le realtà che operano nel turismo,
rappresenta inoltre il punto di convergenza tra lo sviluppo economico ed il
rispetto delle altre culture e dei relativi stakehoders dell’impresa favorendo un
processo di integrazione che interessa pertanto tutti settori produttivi.

Il plurilinguismo diviene pertanto un facilitatore dei rapporti che vengono


intrapresi con i nuovi mercati, rappresentando un considerevole vantaggio
competitivo, come conferma il Gruppo UniCredit, presente in 22 paesi europei
e in 50 mercati internazionali.

Si esponga l'importanza del plurilinguismo nelle aziende esponendo il caso Michelin.


Alcune imprese virtuose, come ad esempio il leader mondiale nella produzione di pneumatici Michelin, hanno
sempre creduto che una migliore comunicazione tra i lavoratori aumenti l’efficienza, la qualità e la sicurezza,
parametri chiave dei settori produttivi. A tal proposito le sedi di Fossano e Cuneo fin dal loro avviamento
avvenuto nei primi anni Sessanta del secolo scorso hanno previsto che la fase di formazione di tutte le principali
figure operative (dagli operai ai dirigenti) si tenesse presso la sede centrale di Clermont-Ferrand. La
multinazionale di origine francese considera ancora oggi l’attenzione verso la formazione e la multiculturalità
un elemento strategico. Nel mese di novembre 2012 si è concluso un ciclo di formazione di cui alcuni manager
provenienti dalle filiali cinesi di una joint-venture di Michelin8.
La capacità di poter sostenere conversazioni in più lingue costituisce, ormai, un requisito fondamentale anche
per il mercato finanziario e bancario. Come sostiene infatti Giuseppe Tardivo

Come le Università preparano gli studenti al plurilinguismo utile nelle varie aziende
internazionali?

Come recentemente affermato dal Presidente dell’Associazione italiana per la Formazione Manageriale
(ASFOR), Vladimir Nanut, in questo processo di sviluppo delle competenze e di allineamento ai requisiti
imposti dalla globalizzazione, gli enti accademici rappresentano un importante vettore per la formazione umana
e professionale delle figure di riferimento dello scenario produttivo, culturale e sociale futuro.
Alcune importanti iniziative sono già state attivate e stanno fornendo i primi riscontri favorendo la creazione di
un coeso network relazionale, come ad esempio i programmi di mobilità internazionale ERASMUS (anche nella
più recente versione Erasmus placement) o LEONARDO, che prevedono alcuni periodi di interscambio con
Università

- curricula binazionali
- - dottorato competitivo con incontro con le imprese
Lezione 66
Come si inseriscono Dante e Petrarca nella riflessione sul plurilinguismo?
Esse hanno origine da due scrittori che sono fondamento della norma letteraria poetica, Dante
e Petrarca. La lingua poetica di dante è caratterizzata da un lessico variatissimo, tocca tutti i
livelli di espressività. In Dante ricorre il turpiloquio, il termine scurrile, la voce dialettale, si
trova il livello della lingua media accanto al sublime, ai cultismi e ai latinismi. La miscela
linguistica di Dante è dunque variatissima ‘mistilingue’ linguaggi (o meglio: dei diversi
livelli e registri della lingua). In Petrarca, viceversa, si realizza la selezione di una lingua
lirica estremamente selezionata [_…]_la linea del plurilinguismo di Dante e quella del
monolinguismo di Petrarca, durano costanti nella tradizione italiana, fino al Novecento,
quando il plurilinguismo si manifesta in maniera esemplare in uno scrittore come Gadda, la
cui lingua è un esempio di eccezionale plurilinguismo per la compresenza di termini colti e
letterari, che convivono con dialettalismi, tecnicismi scientifici

Cosa intende Marcato con la distinzione tra plurilinguismo endogeno ed esogeno?

La Studiosa, oltre a menzionare l’impiego della trattazione di neoplurilinguismo por Telmon,


comprendente anche le nuove minoranze originate dai flussi migratori, propone di
considerare una suddivisione fra «plurilinguismo esogeno, quando è costituito dalle diverse
lingue e plurilinguismo endogeno, quando concerne la variazione interna a un sistema
linguistico» (Marcato 2012: 8). La tassonomia proposta da Marcato risulta particolarmente
apprezzabile in ambito applicativo, specialmente in campo glottodidattico; infatti, per quanto
concerne la scuola nelle prime fasi migratorie

Qual è il pensiero di Weinreich sul plurilinguismo?

La definizione proposta da Marazzini, pertanto, rinvia a Contini e ai modelli


di taglio letterario, contemplando non tanto la capacità di parlare due
lingue, se non per la presenza dei dialettalismi e dei latinismi, quanto quella
di sfruttare le differenti varietà di una stessa lingua. Nella stessa direzione
si muove Weinreich:
ai fini del nostro studio è irrilevante che i due sistemi siano ‘lingue’, ‘dialetti
della stessa lingua’ o ‘varietà dello stesso dialetto’. Quanto maggiore è la
differenza tra i sistemi, cioè quanto più numerose sono le forme e le
strutture che si escludono reciprocamente in ciascuno di essi, tanto più
crescono i problemi legati al loro apprendimento e l’area potenziale di
interferenza. Ma il meccanismo dell’interferenza, a prescindere dalla
quantità dell’interferenza stessa, saranno sempre gli stessi, che il contatto
sia tra cinese e francese o tra due sottovarietà di inglese usate da famiglie
vicine. E benché non si dia per solito il nome di bilinguismo alla padronanza
di due sistemi così simili, il termine nel suo senso tecnico potrebbe
agevolmente essere esteso

Qual è il legame tra migrazione e plurilinguismo?


È chiaro che la lingua non è l’unico fattore che condiziona l’inclusione e il
successo scolastico degli allievi di cittadinanza non italiana; tuttavia, gli aspetti
linguistici assumono particolare rilevanza, poiché il raggiungimento di una
piena italofonia da parte degli studenti di recente immigrazione è
precondizione necessaria per la loro riuscita nella scuola e, più in generale, per
la loro piena partecipazione e autodeterminazione nella società. Inoltre,
rappresentare, conoscere e valorizzare l’apporto delle lingue ‘altre’ a scuola
può condurre a rafforzare le competenze interculturali e linguistiche di tutti i
membri della classe, indipendentemente dal loro retroterra linguistico familiare
La Scuola, d’altronde, in quanto istituzione, riflette i modelli culturali
prevalenti della società : al plurilinguismo, infatti, le culture danno risposte
molto diverse, e all’interno di ciascuna di esse esistono atteggiamenti
diversi. Ci sono persone che li accolgono volentieri, perché vedono in essi
una fonte di arricchimento lessicale; le persone più inclini ad atteggiamenti
puristici invece li condannano, perché li considerano un attacco contro i
valori linguistici tradizionali però la storia ci dice con molta risolutezza che
si tratta di sentimenti malriposti. Tutte le lingue sono sempre state in
contatto con altri idiomi

Perché definire il plurilinguismo può essere complesso?

La mancanza di attenzione rispetto al plurilinguismo da parte delle


istituzioni e la percezione negativa della coesistenza di diverse lingue, in
difesa della propria, d’altronde, sono fattori ben radicati all’interno della
cultura italiana, in quanto l’archetipo della maledizione babelica, dalla
quale sarebbero derivate la moltiplicazione e la confusione delle lingue, pur
essendo la dimostrazione implicita della fattualità storica dei
plurilinguismi, si è imposto, attraverso i millenni e attraverso i secoli, come
rappresentazione concreta di un ruolo sostanzialmente negativo che la
pluralità di lingue svolgerebbe nel consorzio umano. Da esso, variamente
declinato e adattato ai diversi momenti storici e alle diverse temperie
culturali, discendono gli atteggiamenti di ostilità nei confronti di ciò che è
linguisticamente diverso e ad esso è strettamente collegato lo stereotipo
negativo consistente nel ritenere l’educazione plurilingue nociva per la
crescita cognitiva

In cosa consiste la ricerca che è stata fatta in provincia di Varese sul plurilinguismo a
scuola?
L’indagine dimostra che, nonostante i risultati delle ricerche scientifiche, la scuola italiana è
parecchio distante, al di là di poche eccezioni, dalla valorizzazione piena del plurilinguismo
all’interno delle classi, privilegiando una didattica ancorata fortemente ai modelli
tradizionali. L’interesse nei confronti delle lingue di minoranza presenti all’interno delle
classi, così come la scelta delle strategie didattiche più efficaci per la promozione linguistica,
risulta prerogativa del singolo docente, non essendo disponibili protocolli di azione
(Candelier 2008) e pratiche istituzionalizzate.

067

01. Cos'è l'autobiografia linguistica e perché è importante?


L’autobiografia linguistica è uno degli strumenti più efficaci che si utilizzano in
linguistica educativa, in quanto consente al personale docente di valutare la
percezione degli apprendenti e a questi ultimi di riflettere sulle lingue
parlate. In effetti si tratta di un’attività significativa sul piano della
riflessione metalinguistica e comparativa, ma di scarso impatto in merito
all’affettivo impiego delle lingue minoritarie, a meno che non venga
condotta sfruttando proprio le lingue oggetto della riflessione. La creazione
di glossari impiegati a seconda di una prospettiva traduttiva e il recupero
del lessico attraverso glosse o rubriche costituiscono proposte didattiche
adeguate per la comparazione dei sistemi linguistici, ma per essere efficaci
occorre predisporre alcuni strumenti di controllo, verificando la bontà
delle traduzioni e l’effettiva corrispondenza dei lessemi fra l’italiano e le
lingue minoritarie.

02. Come possono essere importanti diversi tipi di scrittura per lo studio delle lingue a
scuola?

In molti contesti scolastici si nota la presenza di percorsi di avviamento o di


approfondimento dei diversi sistemi di scrittura che spaziano dalla presa di
coscienza dei diversi tipi di scrittura (Sampson 1985), all’avviamento alla
scrittura in lingue che utilizzano sistemi scrittori diversi rispetto all’italiano. Se il
primo caso è certamente interessante per quanto concerne il tasso di
conoscenza e di riflessione (meta)linguistica, è il secondo a costituire una
strategia valida per la piena promozione delle lingue di minoranza. Se le lingue
vivono perché qualcuno le parla, è altrettanto vero che le scritture vivono
perché qualcuno le scrive e le legge (Ostler 2005). Le attività di stampo
comunicativo si muovono proprio in quest’ultima direzione, concependo le
lingue come sistemi vivi da impiegare a seconda di situazioni diverse

L’analisi dei testi e dei corpora linguistici, invece, non è tanto utile sul piano
comunicativo in senso stretto, ma è effettivamente valida, perché si insegna a
interrogare in maniera appropriata i corpora e si lavora direttamente sui testi,
cogliendo gli aspetti linguistici che vanno dal recupero del lessico e del
contenuto all’analisi grammaticale

03. Si esponga la ricerca relativa al ricorso alle pratiche di promozione delle lingue
minoritarie. E cosa evidenzi?

- Le domande sono suddivise a seconda di due sezioni, la prima (5 quesiti) di


carattere socio-anagrafico, volta a indagare l’ordine di istruzione, la disciplina
oggetto di insegnamento e gli anni di servizio, mentre la seconda (10 quesiti)
riguarda le pratiche didattiche maggiormente diffuse.
- L’ordine di istruzione degli/lle informanti: secondaria di secondo grado
- titolo di studi: docenti con doppia laurea il maggior numero e 8% diplomati
- L’età del campione: 45-64
- è operativa nel campo didattico da almeno 10 anni.
- una presenza maggioritaria di insegnanti di italiano come L1, seguiti da
docenti di lingua inglese e da insegnanti di italiano come L2.

- è relativo al ricorso al questionario sociolinguistico preliminare


rispetto all’erogazione r_i_s_p_e_t_t_o_ _a_l_l_’e_r_o_g_a_z_i_o_n_e_
_d_e_i_ _c_o_r_s_i_ _d_i_ _l_i_n_g_u_a_._ _N_e_l_ _n_o_v_e_r_o_ _d_e_l_l_e_
_r_i_s_p_o_s_t_e_ _a_f_f_e_r_m_a_t_i_v_e_ _(9%), oltre al questionario
sociolinguistico, si è ritenuto di considerare anche altre forme di
rilevazione della situazione sociolinguistica del gruppo classe,
c_o_m_e_ _a_c_c_a_d_e_ _p_e_r_ _l_’i_n_t_e_r_v_i_s_t_a_ _l_i_b_e_r_a_ _(_3_
%_)_ _o_ _s_e_m_i_s_t_r_u_t_t_u_r_a_t_a_ _(_2_%_)_._ _: mancanza basi
glottodidattiche del docente

- L_’i_m_p_r_essione generale relativa alle risposte, tuttavia, lascia


i_p_o_t_i_z_z_a_r_e_ _c_h_e_ _a_ _s_c_u_o_l_a_ _s_i_ _l_a_v_o_r_i_ _s_u_
_t_e_s_t_i_ _t_r_a_d_o_t_t_i_ _i_n_ _i_t_a_l_i_a_n_o_ _e_ _c_h_e_
_l_’i_n_t_e_r_e_s_s_e_ _riguardi prevalentemente il contenuto e non la
lingua che lo veicola, come dimostrato da qualche esempio di attività
riportato nelle note libere. La seconda risposta, più ampia in termini
di scelta, riguarda la mancanza di attività per promuovere le lingue
minoritarie in classe, riferita soprattutto dai docenti di scuola
secondaria

- Le attività per l’insegnamento delle lingue nei contesti plurilingui:

In merito alle attività per insegnare le lingue nell’ambito dei contesti plurilingui si
osserva una diffusione significativa di attività di carattere narrativo in tutti gli ordini di
istruzione. Come si è osservato all’interno del § 4, tali attività per essere utili in ambito
linguistico, oltre che sul piano prettamente (inter)culturale devono riguardare la lingua
come oggetto di trattazione, soffermandosi sulle parole o sulle frasi. L’impressione
generale relativa alle risposte, tuttavia, lascia ipotizzare che a scuola si lavori su testi
tradotti in italiano e che l’interesse riguardi prevalentemente il contenuto e non la
lingua che lo veicola, come dimostrato da qualche esempio di attività riportato nelle
note libere.

La seconda risposta, più ampia in termini di scelta, riguarda la mancanza di attività per
promuovere le lingue minoritarie in classe, riferita soprattutto dai docenti di scuola
secondaria, ed è necessario considerare che per gli apprendenti che parlano una lingua
minoritaria, la mancanza di formazione linguistica e «la perdita della lingua della
tradizione familiare può avere ricadute negative importanti in ambito affettivo e
cognitivo, oltre che privare l’individuo di competenze spendibili in contesto lavorativo»

- Il Grafico 9, rappresentato attraverso la scala Likert, riporta la


risposta alla domanda “con quale frequenza ricerco notizie e
informazioni in merito alle lingue minoritarie all’interno delle mie
classi?”. Dalle risposte, prevalentemente negative, emerge che
l’interesse più alto è manifestato dai docenti di scuola primaria,
seguiti dagli insegnanti di secondaria di primo grado. Nonostante le
risposte positive, si osserva che la maggior parte di quelle negative è
sintomo di una mancanza di tempo o di conoscenza degli strumenti
dedicati all’analisi delle lingue, come giustificato all’interno di alcune
note libere. D’altronde, l’utilizzo corretto degli strumenti di analisi
linguistica è un obiettivo formativo ambizioso per quanto concerne
l’aggiornamento professionale, considerando la difficoltà aggiunta dal
fatto che, «molti membri di una minoranza linguistica possono
passare l’intera vita senza mai vedere apparire pubblicamente la loro
lingua nativa»
- mancanza di una formazione glottodidattica solida rivolta
all’insegnamento a gruppi disomogenei attraverso pratiche di
linguistica educativa (Nitti 2018a). In generale, sarebbe ingeneroso
sostenere che il corpo docente non consideri le realtà plurilingui, ma
si osserva una sostanziale difformità di pratiche e considerazioni sul
plurilinguismo da parte degli insegnanti. La gestione delle classi
plurilingui, dunque, è totalmente affidata al singolo insegnante,
mancando spesso protocolli di azione collegiale e un’attività di
formazione accademica in questa direzione
- si tratta di definire le situazioni linguistiche e i bisogni di ogni
apprendente e sperimentare un percorso di
apprendimento/insegnamento che si discosta sia dalla proposta
dell’italiano considerato come lingua materna di tutti gli alunni, sia
dai percorsi didattici propri di una lingua straniera (Favaro 2002:
11).
- La didattica delle lingue e dell’italiano, pertanto, dovrebbe superare
l’oggetto di trattazione rientrando all’interno di un’educazione
linguistica più ampia e di un approccio plurilingue, infatti,
- l’approccio plurilingue mette l’accento sull’integrazione

Cosa evidenzio io:


- non vi sembra essere un interesse unitario all’interno di ogni scuola
- nasce sempre da una spontanea lotta e interesse del singolo
insegnante
- no formazione dal punto di vista glottodidattico

LEZIONE 069

01. Quali erano le sezioni del questionario sociolinguistico?

In particolare, ci si è in- terrogati sui benefici dell’introduzione del questionario sociolinguistico come
strumento per l’identificazione delle caratteristiche in ingresso di un gruppo di apprendenti di scuola
secondaria di primo grado e come supporto alla costru- zione del sillabo di lingua italiana,
considerando che la lingua rappresenta essen- zialmente un “prodotto sociale e un insieme di
convenzioni” (Santipolo 2006: 5). L’articolo permette di documentare un esempio di buona pratica di
carattere glottodidattico per la progettazione di interventi adeguati alle caratteristiche
sociolinguistiche e matetiche dei gruppi di apprendenti. La progettazione di un questionario
sociolinguistico a uso glottodidattico e la sua analisi, difatti, con- sentono di ricavare informazioni
significative rispetto ai corsisti e di rispondere ai bisogni formativi effettivi:

un questionario sociolinguistico a uso glottodidattico dovrebbe rilevare la situa- zione linguistica


dell’apprendente: la lingua madre, la presenza di altre lingue e dialetti, gli ambiti di pratica linguistica, le lingue
parlate in famiglia e gli aspetti motivazionali e psicoaffettivi che caratterizzeranno l’azione glottodidattica

- da qui: le domande del questionario sono state negoziate con i parteci- panti, sulla base di
una struttura rigida (Nitti 2018), definita durante i primi due incontri. All’interno del
questionario, infatti, erano presenti diverse sezioni: una parte relativa al trattamento dei dati e
a quesiti di natura socio-anagrafica, una riguardante la percezione dell’italiano e delle altre
lingue, una sezione dedica- ta all’uso delle lingue a seconda dei diversi contesti comunicativi,
e l’ultima, di stampo meramente glottodidattico, relativa a informazioni personali riguardo al
tempo per lo studio, alla presenza di libri in casa, alla quantità e alla qualità di input in lingua
italiana.

Al fine di non rendere troppo faticosa la compilazione da parte degli studenti, con il rischio di
disperdere parte delle informazioni, si è deciso di non superare i 20 quesiti totali, lasciando
comunque, al termine di ogni sezione, una parte per le note libere, nel caso gli informanti avessero
desiderato aggiungere dati e considerazioni altrimenti non disponibili sulla base della compilazione a
ri- sposta chiusa

02. Cos'è la sociolinguistica? Come e perché la lingua è variabile?

La sociolinguistica è la branca della linguistica che si occupa dell’analisi delle di- mensioni di
variazione della lingua (Berruto 2004). Qualsiasi lingua, infatti, nel momento in cui viene parlata o
scritta, è suscettibile di variazione rispetto all’a- rea geografica (diatopia), al momento storico
(diacronia), al mezzo utilizzato (dia- mesia), alla situazione comunicativa (diafasia) e ai gruppi di
individui (diastratia). Ciascuna di queste variabili è intimamente connessa con le altre e non ne è
sempre immediata la segmentazione, basti pensare all’uso della forma di cortesia che

dipende dal periodo storico, dal gruppo di parlanti, dalla situazione comunicati- va, dal canale e
talvolta anche dalla collocazione geografica. A complicare ulte- riormente la rete fitta di relazioni che
determinano la prassi discorsiva o testuale all’interno degli eventi comunicativi è il fatto che un
parlante non sempre adotta un sistema linguistico in via esclusiva e, al contrario, la situazione più
diffusa è quella del bilinguismo o del plurilinguismo

03. A che cosa serve un questionario sociolinguistico?

parso oppor- tuno interrogarsi sui benefici che il questionario sociolinguistico, adattato alla ricerca
glottodidattica, possa apportare alla qualità dell’azione didattica, sia per quanto concerne il livello di
conoscenza preliminare dei propri studenti che gli interventi di tutela e promozione delle altre lingue
parlate oltre all’italiano.

Un questionario sociolinguistico deve essere, per natura, uno strumento opera- tivo che aiuti a
fotografare una situazione linguistica, a seconda di un atteggia- mento scientifico in merito alla
lingua, al suo insegnamento e all’apprendente. La biografia linguistica permette di ricavare dati
interessanti per la formazione, poiché si analizzano i bisogni immediati e primari, e quelli di
lungo periodo, con- nessi con il successo scolastico, sebbene

dati di questo genere, ottenuti con sondaggi e rilevamenti in cui si chiede ai par- lanti di riferire come si
comportano linguisticamente in determinate situazioni, al di là della loro apparenza ‘scientifica’ data dall’essere
espressi con numeri richie- dono di essere interpretati con una certa cautela, in quanto appunto riguardano
autodichiarazioni di comportamento in qualche modo filtrate dalle intenzioni e proiezioni delle persone, e non
osservazioni dirette della realtà

Il percorso di ricerca, come si è scritto, ha previsto otto incontri a distanza, di carattere seminariale. I
docenti sono stati invitati a costruire una batteria di do- mande (cfr. §5) per ottenere informazioni
rispetto ai propri gruppi classe. Una volta approvato dai formatori e dai partecipanti, il questionario è
stato utiliz- zato come strumento per la rilevazione delle informazioni sociolinguistiche in ingresso, in
merito alle specificità degli apprendenti e successivamente gli inse- gnanti hanno analizzato i dati sul
piano quantitativo e qualitativo (Rastelli 2009). La maggior parte dei gruppi classe, infatti, si è
dimostrata almeno bilingue

LEZIONE 070

01. Come si possono definire i termini del monolinguismo, multilinguismo,


plurilinguismo?

Parleremo di monolinguismo per descrivere la situazione linguistica relativa a un territorio o a


un individuo. In merito agli altri due termini, useremo multilinguismo per riferirci alla
presenza di più codici linguistici in un territorio e plurilinguismo per identificare una
condizione linguistica precipuamente individuale, vale a dire il caso in cui nel repertorio di
un individuo siano compresenti più codici linguistici.

02. Descriva come si è arrivati all'unità linguista italiana e quella francese.

francese
In Francia, durante la monarchia, i sovrani non erano contrari all’uso dei dialetti, ma
preferivano che la lingua usata per la redazione dei documenti ufficiali fosse il francese
(Perret, 2016: 69). Con l’Ordonnance de Villers-Cotterêts del 1539, emanata dal re Francesco
I, si escludevano tutte le lingue, latino compreso, per quanto riguardava la pubblicazione di
atti giuridico-amministrativi (Schlösser, 2005: 74). Sicuramente, tale decisione ha ristretto il
campo d’uso dell’occitano, che da tempo non era più lingua di cultura (Di Girolamo, 2000:
6), e delle altre parlate locali della Francia, soprattutto del Meridione; questo, tuttavia, non ha
determinato la scomparsa degli altri idiomi diversi dal francese all’indomani della
pubblicazione della suddetta legge. Basti leggere la prima scena del secondo atto del Dom
Juan di Molière per rendersi conto che la lingua usata dai contadini, anche più di cento anni
dopo l’emanazione della legge di Francesco I, non è la stessa di quella usata nel resto
dell’opera2. È soprattutto a partire dalla Rivoluzione che nasce l’idea che l’uso di una lingua
comune nazionale potesse sigillare l’unità del Paese. Da allora in poi, le parlate locali
cominciano a vivere una vera persecuzione: per abolire l’uso dei patois, l’abate Henri-
Baptiste Grégoire3 propose persino di far sostenere una prova scritta e una orale di lingua
francese per poter contrarre matrimonio. Con la III repubblica4, la lingua francese fu
dichiarata «la seule langue d’enseignement» (Jullion, 2014: 729), cercando in tutti i modi di
sradicare i dialetti, fino al punto di punire i bambini che a scuola venivano sorpresi a parlare
in una lingua diversa dal francese, persino durante i momenti di intervallo

italiana

Delineare in poche righe la situazione relativa all’unità linguistica italiana è sicuramente


un’impresa impossibile, soprattutto se si considera l’eterna questione che caratterizza la
nostra lingua. Ci occuperemo, quindi, quasi esclusivamente, e non in maniera esaustiva, di
quel periodo storico che ha visto le varie signorie e i vari regni presenti nella nostra penisola
unirsi in un unico Stato.

Facendo un salto all’indietro, tuttavia, a parlare di unità linguistica italiana fu Napoleone


Bonaparte, il quale, nonostante in Piemonte si utilizzasse il francese accanto al piemontese,
basandosi proprio sul modello francese, sentì l’esigenza di un’unità linguistica anche in Italia,
scegliendo il toscano come varietà da adottare accanto al francese. Napoleone, infatti,
considerava il toscano come il dialetto le plus parfait della penisola (Sobrero, Miglietta,
2010: 44).

Due grandi nomi della letteratura e della linguistica italiana, Alessandro Manzoni (letterato e
teorico della lingua) e Graziadio Isaia Ascoli (dialettologo), sono stati animati da pensieri
discordanti relativamente alla questione dell’unità linguistica italiana (Cella, 2015: 128-133).
Nei primi anni dell’Unità d’Italia, Manzoni era stato incaricato da Emilio Broglio, ministro
della Pubblica Istruzione, di «individuare i mezzi idonei a unificare linguisticamente l’Italia»
(Sobrero, Miglietta, 2010: 46-47). Manzoni aveva scelto il toscano come lingua d’Italia e le
misure da lui adottate furono sempre orientate verso questa direzione: redigere un dizionario
della lingua usata a Firenze, inviare maestri toscani in tutta Italia e inviare i maestri non
toscani a Firenze per apprendere l’italiano5. Si consideri, infatti, che da Nord a Sud della
penisola, a parte qualche eccezione in Toscana e nello Stato Pontificio, i maestri erano anche
analfabeti (De Mauro, 2017: 38-39). Di tutt’altra opinione fu sicuramente Ascoli, il quale non
credeva nelle lotte contro i dialetti, ma voleva anzi diffondere la lingua italiana senza
intralciare le culture locali (Sobrero, Miglietta, 2010: 49), creando in ogni individuo una
condizione di bilinguismo (Loporcaro, 2013: 184). Le diverse misure di diffusione del
fiorentino in tutta la penisola non ebbero i risultati sperati, tuttavia un pensiero comune fu
quello di «svellere la malerba dialettale» (De Mauro, 2017: 46, 88), intenzione che stava alla
base delle idee di quanti hanno travisato il pensiero di Alessandro Manzoni (Sobrero,
Miglietta, 2010: 50, Loporcaro, 2013: 185). Le autorità ufficiali appoggiarono le idee dei
manzoniani (Lo Duca, 2009: 21; Loporcaro, 2013: 184), ma di certo non si può dire che la
questione della lingua unitaria si sia conclusa in quel periodo; per avere, appunto, un quadro
completo bisognerebbe studiare il fenomeno migratorio interno, l’opera del fascismo sulla
lingua, gli effetti dell’industrializzazione, dei mezzi di comunicazione di massa, della leva
obbligatoria, ecc6.

03. Due dirigenti scolastici hanno attivato un corso di lingua rumeno e uno di lingua
araba all'interno della scuola, perché è importante questo avvenimento?

perché:

- La scuola plurilingue, tuttavia, è impegnata non soltanto nelle attività didattiche per
l’apprendimento dell’italiano L2, ma altresì nell’uso di altre lingue, che non devono
necessariamente essere parlate dagli alunni che la frequentano e il mantenimento della
pluralità delle lingue e delle culture dovrebbe essere un valore presente nella
personalità del docente che si occupa di apprendimento linguistico
- Questi dati dovrebbero condurre gli italiani a riflettere sull’importanza di un’apertura
all’apprendimento delle lingue immigrate per un arricchimento cognitivo e culturale
dei propri figli anche perché basterebbe una semplice ricerca sul web per scoprire che
lo studio delle due lingue in questione rientra nell’offerta didattica dei dipartimenti di
lingue e di studi umanistici dei più prestigiosi atenei d’Italia, a cui si iscrivono i nostri
studenti italiani.
- Vi è, tuttavia, un fatto di interesse europeo che vede la Francia in una posizione
diversa rispetto ad altri Stati. Il 5 novembre 1992, il Consiglio d’Europa ha pubblicato
un
- documento di politica linguistica di grande rilevanza: la Carta europea delle lingue
regionali o minoritarie, entrata in vigore nel 19988
- Nel nostro paese l’apprendimento della lingua avviene oggi in uno spazio antropologico
caratterizzato da una varietà di elementi: la persistenza, anche se quanto mai ineguale e
diversificata, della dialettofonia; la ricchezza e la varietà delle lingue minoritarie; la
compresenza di più lingue di tutto il mondo; la presenza infine dell’italiano parlato e scritto
con livelli assai diversi di padronanza e con marcate varianti regionali. Tutto questo comporta
che nell’esperienza di molti bambini e ragazzi l’italiano rappresenti una seconda lingua. La
cura costante rivolta alla progressiva padronanza dell’italiano implica, dunque, che
l’apprendimento della lingua italiana avvenga a partire dalle competenze linguistiche e
comunicative che gli allievi hanno già maturato nell’idioma nativo e guardi al loro sviluppo in
funzione non solo del miglior rendimento scolastico, ma come componente essenziale delle
abilità per la vita.
- ome si può notare, l’apprendimento della lingua italiana costituisce il fulcro
dell’attività didattica per gli alunni dialettofoni e alloglotti. Tuttavia, in un altro
documento ministeriale, le Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni
stranieri del 2014, si sottolinea altresì la necessità della valorizzazione del
plurilinguismo e della diversità linguistica11. Il plurilinguismo, dunque, rappresenta
la condizione quotidiana della scuola italiana (Vedovelli, 2010: 220), condizione che,
nonostante spesso preoccupi gli addetti ai lavori, se ben gestita può sortire ottimi
risultati didattici per tutti gli alunni, alloglotti e non12

LEZIONE 084

17. Perché è importante la ricerca riguardante i sottocodici? E cosa ha evidenziato?

18. Cosa si intende con microlingua e come si inserisce nel questionario riguardante i
sottocodici?

LEZIONE 088

Esponga brevemente i dodici punti della carta europea del plurilinguismo

Le plurilinguisme est inséparable de l’affirmation d’une Europe


politique;
2. La diversité des langues assure la pluralité et la richesse des
représentations;
3. Le plurilinguisme est une liberté;
4. Le plurilinguisme est un moyen d’affirmer la pérennité des
entités nationales et infranationales, lieux privilégiés d’exercice
de la citoyenneté;
5. Le plurilinguisme est une source fondamentale du sentiment de
citoyenneté européenne;
6. Le plurilinguisme est une des réponses au “choc des
civilisations” et aux diverses formes d’hégémonie politique,
culturelle et économique;
7. Le plurilinguisme est un élément essentiel de l’innovation
scientifique;
8. Le droit à la langue et à la diversité linguistique et culturelle ne
se divise pas;
9. Le plurilinguisme est un gage de progrès économique dans un
monde pacifié;
10. Tout travailleur doit avoir le droit de travailler dans la langue du
pays où il vit;
11. Les systèmes éducatifs doivent offrir une éducation plurilingue;
12. Les médias doivent permettre l’expression des cultures multiples.

03. Cos'è il Centre Mondial d'information sur l'éducation bilingue? Quali sono i suoi
obbiettivi e le sue azioni?

invece riuscire facendo leva sui comuni, entità presumibilmente meno


legate a condizionamenti nazionalistici e più vincolate alle realtà dei
problemi concreti – presumibilmente simili in ogni paese – della vita
quotidiana dei cittadini.
Fu così che nacque, nel 1957, la “Fédération Mondiale des Villes
Jumelées”

da qui il punto di vista linguistico: Il CMIEB era divenuto CIEBP, un Centro dotato
di un proprio statuto e di un Consiglio di amministrazione, composto
da sedici membri
Mentre nella prima fase della sua attività gli scopi del Centro erano quelli dettati dalla
Federazione che lo aveva creato e consistevano, fondamentalmente, nel preconizzare
l’acquisizione precoce di una seconda lingua e nell’incoraggiare questo tipo di acquisizione
servendosi della rete di relazioni, scambi e gemellaggi

più vicini al mondo della ricerca linguistica e sociolinguistica


e, al tempo stesso, più attenti all’evolversi delle politiche linguistiche
in atto sia nella realtà europea sia nel più vasto panorama delle
lingue del mondo. Tra gli obiettivi prioritari riportati nello Statuto,
citeremo qui quello di studiare le modalità di realizzazione dell’educazione
plurilingue, quello di dare testimonianza delle sperimentazioni e
delle realizzazioni di educazione plurilingue, sia nella dimensione pedagogica
sia in quella dei rapporti con la società, e quello di difendere
la libertà dei mezzi di espressione a tutti i livelli, dalla più umile delle
parlate locali alle lingue “universalizzate”

primo tipo di azioni


Nell’ultimo decennio, sono stati tre i Convegni organizzati dal CIEBP.
Tutti e tre si sono svolti in Valle d’Aosta (il secondo, parte in Valle
d’Aosta e parte a Torino) e tutti e tre hanno avuto, come è logico
attendersi da un organismo i cui interessi sono internazionali per definizione,
una forte impronta di internazionalità. Il primo si è svolto nel
2006 a Saint Vincent, Aosta e Cogne, ed ha avuto per titolo “Dove va
la Dialettologia?”. Il secondo è stato il frutto di una collaborazione
con la SLI (Società di Linguistica Italiana), della quale chi scrive era,
in quel momento, il presidente; si è svolto nel 2011 ad Aosta, Bard,
Torino, ed aveva per titolo “Coesistenze linguistiche nell’Italia pre- e
postunitaria”. Il terzo, svoltosi nel 2016 ad Aosta presso l’Università
della Valle d’Aosta (che ne era partner) è stato dedicato a tematiche
percezionali ed ha avuto per titolo “Langues faibles

secondo tipo di azione


Il secondo tipo di azione condotta e sviluppata dal CIEBP è quella che
viene ormai chiamata famigliarmente “Les samedi matin du CIEBP”.
Si tratta di conferenze pubbliche (due all’anno). Tali conferenze sono
state ospitate, a partire dal 1997 e fino al 2015, dalla Maison des
Sciences de l’homme di Parigi. Dal 2015, a causa della chiusura della
Maison des Sciences de l’homme il sabato mattino, le conferenze
hanno trovato ospitalità presso la saletta delle Edizioni dell’Harmattan,
in Rue des Écoles. I conferenzieri sono scelti in modo da offrire
un panorama più vario possibile delle situazioni bi- e plurilingui in
tutto il mondo, tanto nella scuola quanto in altri settori della vita
sociale.
Dal 2007, le stesse o altre conferenze vengono offerte anche ad
Aosta, dove vengono ospitate dalla Università della Valle d’Aosta,
con la quale il CIEBP ha stipulato una convenzione di collaborazione.

LEZIONE 089
Cos'è l'archetipo della maledizione babelica e qual è la sua relazione con il discorso del
plurilinguismo?
L’archetipo della maledizione babelica, dalla quale sarebbero derivate la moltiplicazione e la
confusione delle lingue, pur essendo la dimostrazione implicita della fattualità storica dei
plurilinguismi, si è imposto, attraverso i millenni e attraverso i secoli, come rappresentazione
concreta di un ruolo sostanzialmente negativo che la pluralità di lingue svolgerebbe nel consorzio
umano. Da esso, variamente declinato e adattato ai diversi momenti storici e alle diverse temperie
culturali, discendono gli atteggiamenti di ostilità nei confronti di ciò che è linguisticamente diverso
e ad esso è strettamente collegato lo stereotipo negativo consistente nel ritenere l’educazione
plurilingue nociva per la crescita cognitiva: fino ad oltre la metà del secolo appena trascorso,
insegnare altre lingue, accanto e in complementarietà con quella materna, era considerata nel
migliore dei casi un’eccentricità; in ogni caso, pedagogisti, educatori, insegnanti e anche insigni
glottologi non esitavano a sostenere che un’educazione bilingue (e a fortiori un’educazione
plurilingue) costituisse per i fanciulli un rischio fortissimo di disordine e confusione mentale
(Tabouret-Keller 2011). In Italia, tale atteggiamento fu indubbiamente rafforzato, a partire dalla
raggiunta unità politica, dalla convinzione, da parte degli uomini politici e degli intellettuali, che in
assenza di una parallela unità linguistica l’unità politica si rivelasse troppo fragile. Di qui, l’ostilità
nei confronti dei dialetti e di qui, la forte convergenza su di un’ideologia monolingue da parte della
scuola e dei suoi operatori. Di qui, le istanze puristiche, il rifiuto di ogni contaminazione derivante
dal contatto con altre lingue, la diffidenza nei confronti dei cambiamenti.

Come definisce il rapporto fra società e plurilinguismo Telmon?

Tra gli obiettivi prioritari riportati nello Statuto, citeremo qui quello di studiare le modalità di
realizzazione dell’educazione plurilingue, quello di dare testimonianza delle sperimentazioni e delle
realizzazioni di educazione plurilingue, sia nella dimensione pedagogica sia in quella dei rapporti
con la società, e quello di difendere la libertà dei mezzi di espressione a tutti i livelli, dalla più
umile delle parlate locali alle lingue “universalizzate”.

LEZIONE 093

01. Che ruolo ha il Comitato delle pari opportunità (CPO)?


Il Comitato Pari Opportunità di Ateneo (CPO),
presieduto da Romana Frattini, presenta un progetto sulle politiche delle
pari opportunità, declinato in 4 corsi di 30 ore, uno dei quali riguarda
aspetti socioculturali e per il primo anno è limitato a tematiche di tipo
storico-letterario. L’azione ha un riscontro estremamente positivo e viene
riproposta con modulazioni diverse, più ampie, che includono anche la
questione del linguaggio, per un totale di 12 ore di insegnamento mio e
di Anna Cardinaletti nel 2003-04 e poi interamente mio fino al 2007-08.

02. Come si affronta la questione della diversità linguistica di genere nell'università?


Per agevolare l’inserimento in piano di studio di un insegnamento in
studi di genere dal 2010-11 viene offerto il corso Donne, Cultura, Lavoro
e Società di 30 ore, per 6 CFU, tenuto in forma seminariale da esperte ed
esperti sui temi presenti più dettagliatamente nei corsi FSE o DPI. L’insegnamento,
con un codice che voleva preludere ad altri corsi di Studi di
Genere (SG0001), è incardinato come esame a libera scelta nei corsi di
laurea in Storia e di laurea magistrale in Filologia e letteratura italiana
della facoltà di Lettere ed è stato coordinato all’inizio da me e successivamente
dalla collega Frattini fino al 2016-17.
Attualmente l’Ateneo offre due minor in studi di genere, che non riguardano
il linguaggio, che è invece affrontato approfonditamente in un
MOOC
03. Com'è l'uso paritario nel genere nella lingua in Italia?
amministrativo l’uso paritario della lingua sia stato ribadito all’interno di
direttive per favorire la parità di genere,1 a livello culturale la questione
cade nel dimenticatoio, e se viene sollevata è accolta con fastidio, proprio
da molte direttrici di importanti media, segretarie di importanti sindacati,
donne politiche e artiste che preferiscono il titolo di «direttore, segretario,
assessore, sindaco, maestro» sentito come più prestigioso della regolare
declinazione femminile «direttrice, segretaria, assessora, sindaca, maestra
». Tutto questo fino ad oggi.

04. Cosa si intende con gender-fair?

Questo accadeva esattamente 30 anni fa. La questione della complessa


interazione tra uso e forma della lingua e la rappresentazione paritaria (o
non paritaria) di donne e uomini è andata avanti in Austria, Belgio, Francia,
Germania, Regno Unito, Spagna, Svizzera, pur con accesi dibattiti e
vicende alterne, verso la progressiva accettazione di quello che viene ora
chiamato uso della lingua gender-fair, cioè rispettoso dei generi. Una politica
linguistica comune anche alle istituzioni internazionali come ONU,
Comunità Europea e Parlamento Europeo, che nel corso degli anni si è
consolidata al punto che anche all’orecchio italiano Angela Merkel è sempre
indicata come cancelliera tedesca.
05. Cosa evidenzia il dibatito nato dallo studio Language and woman's place?

Gli studi sulla diversa


interazione linguistica tra donne, tra uomini, e tra donne e uomini,
così come la diversa rappresentazione che le diverse lingue e culture
danno delle donne e di gruppi misti di donne e uomini è stata messa per
la prima volta al vaglio dello studio linguistico da Robin Lakoff che, nel
1975, pubblica Language and Woman’s Place, un lavoro pionieristico che
intreccia la ricerca linguistica con le nascenti teorie femministe sulla lingua
inglese (Thorne, Kramarae, Henley 1983; Baron 1986) e viene raccolto
da studiose europee che lavorano soprattutto su francese (Yaguello 1978)
e tedesco (Trömel-Plötz 1982; Pusch 1984; Wodak et al. 1987) producendo
volumi, pubblicati da case editrici di tutto rilievo, che combinano la
riflessione scientifica sugli aspetti morfosintattici, semantici, pragmatici,
e sociolinguistici di queste lingue, con raccomandazioni per un uso paritario e simmetrico della lingua di riferimento.
06. In cosa consiste lo studio Language and woman's place? E chi lo ha svolto?
Questo dibattito evidenzia
principalmente come a proprietà formali diverse di ciascuna lingua debbano
corrispondere strategie diverse per nominare le donne nel discorso
culturale e non oscurarle con un uso diffuso del maschile come genere
inclusivo e non-marcato
07. Cos'è il Comitato delle pari opportunità (CPO)?
Nel 2009 il CPO ospita il secondo incontro annuale della Conferenza
Nazionale dei Comitati Pari Opportunità delle Università Italiane (28-29
maggio 2009). Nella sessione di lavoro «Gli studi di genere» a cui partecipo
come componente del CPO, sollevo la questione del linguaggio, che non
risulta essere in agenda tra le colleghe e i colleghi presenti, docenti delle
discipline più diverse o personale tecnico-amministrativo
Lezione 094

01. Perché sono importanti i MOOC?


corsi di terza missione, cosiddetti MOOC (Massive Online Open Course).
Il corso Linguaggio, identità di genere e lingua italiana si prefigge di
sviluppare la riflessione consapevole sulla relazione tra lingua e identità
con riferimento al genere. Le ricadute pratiche riguardano la capacità di
applicare le conoscenze per mettere in atto strategie comunicative che
facciano emergere la presenza delle donne in tutti gli ambiti dell’interazione
sociale e del discorso culturale. Il corso è strutturato in 5 unità didattiche
settimanali. Ciascuna unità didattica tratta un aspetto importante
dell’interazione tra lingua e società con riferimento al genere. L’intento è
di sollevare questioni non ancora completamente affrontate in Italia e allo
stesso tempo fornire una competenza metalinguistica di base per affrontare
temi che sono spesso oggetto di discussione in ambito sociologico,
psicologico, o politico.

da insegnanti di scuole di ogni ordine e grado, da studenti di scuola superiore


e di università, raggiungendo uomini e donne di fasce d’età molto
diverse, con interessi molto diversi, che interagiscono in ambiti sociali,
comunicativi e lavorativi diversi.
02. A cosa ha portato l'intitolazione dell'aula a Elena Cornaro?

Nel 2017, il Dipartimento di Studi Linguistici e Culturali Comparati, diretto


da Anna Cardinaletti, ha proposto all’Ateneo di intitolare un’aula a Elena Cornaro
Piscopia, veneziana, prima laureata in Europa

Proprio a seguito dell’interessante tavola rotonda, l’Ateneo decide di


valorizzare il genere nel proprio sito web declinando i ruoli secondo il
genere della persona cui sono riferiti. «Prima tra gli atenei italiani Ca’
Foscari, ateneo dalla forte connotazione internazionale, si è uniformata
a una pratica che all’estero è in uso fin dagli inizi degli anni Duemila».
Nelle parole del rettore Michele Bugliesi: «Come Università da sempre
attenta all’inclusione e alla valorizzazione di genere, diamo il nostro
contributo iniziando da questo ambito, l’uso del genere femminile. È un
primo passo, una buona pratica che ci auguriamo contribuisca a sensibilizzare
ulteriormente su questo tema, a rendere familiare l’uso del
genere nella nostra lingua e a stimolare le modifiche culturali che ne
conseguono»

Quest’ultimo piccolo, grande risultato conferma la tesi iniziale del mio


contributo, vale a dire che la linguistica di Ca’ Foscari ha contribuito
al dibattito culturale degli ultimi 10 anni che ha riportato in agenda la
questione del linguaggio nel perseguimento della parità tra i generi.

03. Di cosa si discute nel convegno LIGHTS del 2018?

coinvolge il Venice Accessibility Lab e riguarda


un allargamento dello studio del linguaggio, degli usi linguistici e dell’identità
di genere alle tematiche della violenza verbale

04. Cosa sono i MOOC? E in cosa consistono?

Domanda sopra

05. Cosa ha fatto l'università Ca' Foscari sul dibattitto culturale della lingua di genere?
Quest’ultimo piccolo, grande risultato conferma la tesi iniziale del mio
contributo, vale a dire che la linguistica di Ca’ Foscari ha contribuito
al dibattito culturale degli ultimi 10 anni che ha riportato in agenda la
questione del linguaggio nel perseguimento della parità tra i generi. Ha
contribuito a creare la competenza metalinguistica sulle proprietà di
lingua e genere, principale fondamento per la condivisione di un uso della
lingua italiana che sia prima di tutto rispettoso della storia della lingua e
della forma della lingua e allo stesso tempo comunichi la presenza delle
donne in tutti gli ambiti, facendo in modo di sostenere la loro presenza
sia nella vita reale sia nel discorso culturale

LEZIONE 084

Perchè è importante la ricerca riguardante i sottocodici? E cosa ha evidenziato?

Definendo un sottocodice quale microlingua, si può sottolineare l’importanza che esso abbia
all’interno dell’ambito scientifico ai fini della ricerca e della divulgazione in modo da poter
chiarire qualsiasi dubbio in caso di ambiguità in fatto di terminologia. La ricerca effettuata
dal Prof. Nitti ha permesso, in tal senso, di comprendere la “falsa trasparenza” dei termini
riportati, come ad esempio si parlerà di “programma” al posto di “contenuti”, mentre ci si
riferirà a “metodo” per gli studenti e “approccio” per gli insegnanti invece di “modello
operativo”.

Cosa si intende con microlingua e come si inserisce nel questionario riguardante i


sottocodici?

Per microlingua si intende un sottocodice che dipende dal contesto in cui è situato e in questa
ricerca si parla di specialità della lingua in ambito scientifico, capace di poter risolvere i
dubbi di ambiguità rispetto a certi termini. All’interno di questo questionario viene
sottolineata la sua importanza quale riflesso dei sottocodici.

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