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L’anafora è una delle più importanti funzioni di coesione linguistica dei testi. Serve a
mettere in opera dei legami tra porzioni di un testo più o meno vaste e più o meno distanti
fra loro. Questo legame è indicato come rapporto anaforico e coinvolge soprattutto
sintagmi nominali e pronomi.
Quali sono gli elementi caratteristici della deissi temporale?
Che cosa si intende per deissi temporale? Per deissi temporale si intende quell’espressione
linguistica che fanno riferimento al momento in cui il parlante pronuncia l’enunciato; è
affidata ad avverbi ed espressioni avverbiali, quali ora/adesso, allora, ieri, domani. (La
deissi è un fenomeno comune nella lingua parlata e scritta. Il fenomeno della deissi si ha
quando all’interno di una frase si fa ricorso a espressioni che fanno riferimento alla
situazione spazio – temporale o alle persone coinvolte. Gli elementi deittici sono elementi
linguistici interpretabili in unicamente all’interno del contesto cui fanno riferimento. Nella
deissi temporale il deittico è in genere un avverbio di tempo (es. ieri oggi) o comunque in
riferimento temporale. La rappresentazione concettuale del tempo fisico nella lingua
italiana è affidata ai tempi verbali. Alcuni tempi sono definiti deittici, altri deittici –
anaforici. I deittici si collocano o semplicemente rispetto al momento dell’enunciazione.
Mentre i deittici anaforici richiedono un ancoraggio temporale complesso)
In realtà, il contesto è determinante per le prassi comunicative ed è alla base di ogni atto
comunicativo.
Esistono due tipi di contesto: un contesto globale e uno locale. Il primo è in relazione con le
componenti sociolinguistiche di una determinata situazione, mentre il secondo è in rapporto
con situazioni di tipo cognitivo e linguistico.
Le caratteristiche del contesto variano di situazione in situazione e dipendono da alcuni
fattori:
La linguistica pragmatica studia gli aspetti che riguardano il linguaggio come azione; studia il
parlare come forma di un agire linguistico che si svolge all’interno di una determinata
situazione comunicativa e sociale.
La pragmatica studia una lingua dal punto di vista degli utenti, considerando le scelte che
compiono nel comunicare, le costrizioni che incontrano usando la lingua nell’interazione
sociale e gli effetti ottenuti dal loro uso della lingua su coloro che partecipano alla
comunicazione.
Secondo il filosofo C. Morris (1901-1979), nella teoria generale dei segni si distinguono tre
livelli: semantica, sintassi e pragmatica. La pragmatica sarebbe interessata alle relazioni fra i
segni e chi li usa.
Con «interazione» si intende l’influsso reciproco che i partecipanti, fisicamente presenti,
esercitano sulle loro aziono linguistiche, come:
Quali forme può acquisire la deissi: La deissi è inerente se si realizza attraverso parole come
io, qui, adesso, ecc. per le quali l'interpretazione può avvenire tramite la conoscenza della
situazione e del contesto. La deissi è non inerente se affidata a espressioni la cui natura
deittica si realizza solo in riferimento ad alcuni contesti. La deissi è fantasmatica se si
riferisce a una mondo immaginario entro il quale ci si muove nel tempo. Si fa riferimento a
un campo indicale proiettato e immaginario rispetto al contesto di riferimento, che denota
un certo grado di astrazione, metaforizzazione e simbolizzazione dei parlanti e del
linguaggio. La deissi è personale quando si utilizzano delle espressioni linguistiche che
segnalano la presenza dei parlanti e li fanno identificare nella conversazione, ed è una
funzione svolta prevalentemente da pronomi personali.
Come può essere suddiviso un testo? Un testo prevede una struttura e una suddivisione in
parti. La suddivisione in paragrafi, capitoli e sezioni dipende dalla trattazione dei diversi
argomenti titolati o numerati. La struttura generalmente
prevede: premessa, prefazione (scritta da un esperto), introduzione, corpo del testo,
conclusione, sommario (può stare anche all'inizio), indice analitico, appendice, bibliografia.
La conclusione può annodare i diversi fili della narrazione, ma è largamente presente anche
in testi scientifici. I trattati sono accompagnati da note, scritte dall'autore, o di glosse se
inserite dal curatore dell'edizione. La suddivisione in capitoli e l’aggiunta di note non sono
operazioni irrilevanti, ma contribuiscono alla strutturazione del testo e denotano come il
testo si sviluppi come un progetto nella mente dell'autore. I testi si possono suddividere i
testi in orali, scritti, multimediali (che combinano scritto e parlato), riportati, letterari e
pragmatici. La suddivisione, non letteraria, ma relativa allo scopo e all'intenzionalità che
l'emittente del testo si propone in relazione al destinatario e alle circostanze in cui si verifica,
prevede cinque tipologie testuali: narrativi (romanzi, racconti, novelle, fiabe, cronaca,
biografia, relazioni di viaggio, ecc.), descrittivi (resoconti di viaggio, guide turistiche, manuali
tecnici, ecc.), argomentativi (arringhe di avvocati, articoli di fondo del giornale, testi
pubblicitari, ecc.), informativi (manuali scolastici, enciclopedie, articoli di giornali, ecc.),
regolativi (ricette di cucina, regolamenti, statuti, ecc.). I testi sono quasi tutti misti perché
integrano sequenze di carattere differente, lo stesso testo può avere più funzioni
comunicative.
Quali sono i principi costitutivi di un testo?
Quali sono i principi costitutivi di un testo? Illustrarli con opportuni esempi personali Un
testo rappresenta un messaggio che articolandosi su un unico tema presenta le
caratteristiche dell'unità e della completezza in rapporto a chi lo riceve e lo produce. Un
testo risponde a principi costituenti e regolativi. I principi costitutivi sono sette: * coesione,
* coerenza, * intenzionalità, * informatività, situazionalità, * accettabilità e * interattività. La
coesione consiste nel rapporto grammaticale e nel modo in cui sono collegati i vari
componenti di un testo. E' garantita dalle forme sostituenti, che segnalano la continuità
tematica, e dai segnali connettivi e discorsivi. Un esempio in cui manca la coesione può
essere la frase “ti sei mancato" al posto di dire “mi sei mancato”. La coerenza consiste
nella continuità semantica, quindi riguarda la connessione tra i contenuti presenti in un
testo e i rapporti logici sul piano semantico. Un esempio di coerenza può essere la frase “gli
ho comprato un regalo appena mi sono ricordata del suo compleanno” in cui c'è un
rapporto di causa-effetto nel testo del messaggio. L'intenzionalità riguarda l'atteggiamento
dell'emittente e la volontà di farsi capire, concerne il piano pragmatico e spesso riguarda i
testi orali. Un esempio di intenzionalità può essere la frase “Salve, come sta sig. Rossi? Sa se
è già passato il 208?” chiesto ad una fermata di autobus.
L'accettabilità riguarda l'atteggiamento del ricevente che si aspetta un messaggio rilevante,
coeso, coerente, utile, che sia valido dal punto di vista comunicativo ed in stretto rapporto
col contesto sociale e culturale. Un esempio di accettabilità può essere la frase “più tardi
facciamo i conti!”. L'informatività esprime la densità informativa di un testo che può essere
una novità sul piano semantico o un elemento già noto. Un esempio di informatività può
essere la frase “l'acqua bolle ad una temperatura di 100 gradi centigradi” che e una nozione
nota ad un adulto, ma probabilmente non nota ad un bambino. La situazionalità riguarda la
corretta collocazione del testo rispetto a un evento comunicativo. Un esempio di
situazionalità può essere “aspettare il proprio turno dietro la linea gialla” scritto su un
cartello affisso all'ufficio postale, ma non alla cassa del supermercato. L'interattività consiste
nel rapporto tra testo presente e altri testi assenti e serve molto alla comprensione del
testo. Un esempio di interattività può essere la frase “Nel mezzo del cammin di nostra vita
può succedere di tutto” che nella prima parte è una chiara citazione della DivinaCommedia.
L' origo rende la deissi dipendente dalla prospettiva di un interattante "Qui si mangia
pizza". "Qui" è un elemento deittico. Il punto d'attacco della deissi va
ricercato: nell’extratesto. Il campo indicale è l'insieme delle coordinate spazio-
temporali. L' origo è: il punto di osservazione. "Torno a trovarti giovedì".
"Giovedì" è un elemento: deittico. "Sali al primo piano e trovi un divano,
a destra vedi un armadio". Si tratta di: deissi fantasmatica. I pronomi possono essere
deittici: vero. Gli avverbi possono essere deittici: vero. I pronomi che hanno uso
esclusivamente deittico sono quelli di : I-II persona.
Che cos'è il campo indicale? Per spiegare il concetto di campo indicale è necessario
introdurre il concetto di deissi. La deissi è un rinvio dal testo alla realtà extralinguistica.
Riferimenti personali, spaziali, temporali sono fluttuanti fino a quando non sono legati a un
determinato contesto. Questi riferimenti possono essere termini deittici come per
esempio io , qui e adesso , che costituiscono il campo indicale, cioè sono le coordinate
spazio-temporali attorno cui si realizza la comunicazione. Il campo indicale si definisce
ancora meglio attraverso l' origo , che è il punto di vista del parlante e punto di origine della
comunicazione, con cui viene stabilito cos'è vicino o lontano nello spazio e nel tempo. Nella
conversazione rimane costante il campo indicale, ma cambia l' origo quando cambia il
parlante, e si intrecciano tanti campi indicali diversamente orientati e parzialmente
coincidenti, tanti quanti sono i parlanti nella conversazione.
Il panorama della riflessione sul linguaggio sessista ha iniziato dal 1986, grazie alle proposte
di Alma Sabatini, a suscitare l’interesse di una lingua più inclusiva e non sessista. D’altro
canto, la Scuola, pilastro della società grazie alla quale avvengono i cambiamenti
socioculturali, non ha ancora avviato un processo di cambiamento e non si è espressa
riguardo alle scelte editoriali e dei materiali utilizzati al fine dello svolgimento della didattica.
Nonostante gli abbondanti convegni e progetti, la Scuola fatica a cambiare. Coloro che
compiono i primi passi nel farlo sono progetti e azioni di collegi e dei singoli individui.
All’interno dello studio del sessismo linguistico, Fusco afferma che gli usi linguistici sono
caratterizzati da una base strutturale che non varia e da scelte di carattere individuale e
collettivo, si tratta proprio di svolgere azioni di ricerca nei confronti degli usi linguistici
sessisti
e poco inclusivi, al fine di eradicarli e di sfruttare modelli diversi. Tali modelli non
costituiscono nient’altro che scelte linguistiche differenti, ovvero possibilità espressive della
lingua.
(Gli usi linguistici si caratterizzano da una base strutturale che non varia e per cui vi sono
scelte di carattere individuale e collettivo che possono cambiare solo grazie alla ricerca e
all’eradicazione degli usi poco inclusivi e sessisti. )
A titolo esemplificativo, una parola come “avvocata”, peraltro già esistente e ben attestata
nella lingua italiana, in quanto presente nella microlingua religiosa, fatica a essere utilizzata
per indicare la professione legale e si preferisce spesso l’impiego per il femminile della
parola concordata al maschile. Questo uso non può certamente considerarsi strutturale ed è
invece riferito a convenzioni, a tradizioni e pratiche storico-culturali. Nel momento in cui la
cultura cambia e il mondo professionale si apre alle donne, la lingua deve necessariamente
adeguarsi al cambiamento, sfruttando le possibilità espressive e la produttività che la
caratterizzano.
Come ribadito all’interno di svariate sedi scientifiche, non si tratta di ricorrere a scelte
strampalate o di inventare nuove regole grammaticali, ma, più semplicemente, di applicare
consapevolmente quelle esistenti e di riflettere sugli usi linguistici frutto della tradizione e
della convenzione. Si è riflettuto molto sulla possibilità di adottare l’asterisco in luogo del
maschile e del femminile, in modo da proporre un utilizzo della lingua inclusivo, leggibile da
chiunque a seconda di interpretazioni diverse. Un esempio è stato l’uso dell’asterisco quale
sostituzione di una lettera, il quale risulterebbe improprio al giorno d’oggi, ma che nel mondo
antico si utilizzava per sostituire i caratteri.
Che cosa deve fare il docente per favorire una glottodidattica non sessista?
Per raggiungere una glottodidattica non sessista, il docente è in prima linea per poter
condurre alla riflessione sulla lingua. Infatti, egli potrebbe proporre un laboratorio definito
“attivo” capace di procedere alla ricerca delle origini del lessico, facendo uso di vocabolario,
manualistica e portando gli stessi studenti a riflettere sullo sviluppo della lingua e a proporgli
di trovare delle soluzioni congruenti. In questo senso, le basi del docente dovranno essere
solide e gli si richiederà un processo di trasformazione più faticoso. Inoltre, il docente dovrà
procedere a comunicare con le case editoriali in modo da poter modificare o eliminare parte
dei materiali non adatti all’inclusività del linguaggio.
Perché è importante la linguistica educativa per costruire una lingua non sessista?
A questo riguardo, grazie a Alma Sabatini 1986, si è riflettuto sulla questione di inclusione di
genere proveniente non solo dall’uso linguistico non inclusivo, ma bensì da convenzioni
culturali radicate nella storia. Questo studio è pervenuto da un lungo dibattito degli anni
Sessanta nello stato nordamericano in cui si è discusso a lungo quanto la lingua influisse nel
panorama di inclusione sociale nella parità di genere.
lezione 64
Cultura deriva dal verbo latino colo, di cui è nomen actionis; l’etimologia di questo termine
appare subito interessante perché dice di una cura che si ha: agrum colere (agricoltura) indica
il coltivare per far crescere, per ottenere frutto; Deos colere indica un rapporto affettuoso e di
devozione verso il divino. Colo è quindi una parola che ha nel suo fondo semantico una
‘amorosa attenzione per’: cultura animi è in Cicerone2 quella formazione intellettuale
accurata che, secondo lui, si realizza compiutamente nella filosofia.
Cultus è dunque cultura hominis, come quella attenzione amorosa all’uomo che significa
non-barbarie, insomma civiltà, cioè un’attenzione profonda, costante, che si fa costume.
Cultus implica quindi in questa endiadi l’autocoscienza del proprio valore da parte dell’uomo
che ha cura di sé, che sa coltivarsi: cultura hominis, ossia humanitas culta.
Lo sterminato elenco delle definizioni di cultura fornitoci nel vecchio testo di Kroeber e
Kluckhohn (1952) andrebbe sostanziosamente aggiornato. I nuovi usi non hanno peraltro
cancellato gli usi tradizionali. Rimane l’accezione antica, mutuata dalla latinità, del termine
cultura come “formazione dell’individuo”, “processo di coltivazione di sé” a livello
individuale e collettivo (Bildung e Ausbildung) attraverso saperi umanistici e scientifici; ed è
tuttora attiva l’accezione “antropologica” di cultura come “grammatica dei comportamenti
di una comunità”, sia in versione più etnografica, sia in versione strutturalista, come insieme
di conoscenze, credenze e pratiche che caratterizzano tutti i membri di una comunità.
A cosa sono utili i testi di riferimento di una società per quanto riguarda la cultura?
Altrettanto rilevanti, per un aspetto diverso, sono i testi di riferimento di una comunità, che
o rappresentano il rimando ultimo del sistema valoriale, o sono considerati fonti di
ispirazione e autorevole pietra di paragone. Nel primo caso, il riferimento a tali testi entro
una cultura è sufficiente per giustificare una presa di posizione: svolge questo ruolo, ad
esempio, il corano nell’Islam. In un altro senso, le opere di Shakespeare sono da considerare
testi di riferimento per la cultura anglosassone; il riferimento a Shakespeare non si può
considerare l’ultima parola nel processo di presa di decisione, ma costituisce un repertorio
di sapienzalità a cui rifarsi. Lo stesso valeva per i testi di Omero nell’antica Grecia e vale, in
certa misura, per i testi di Dante nella cultura italiana.
Che rapporto c’è tra essere umano e cultura? / Perché nel rapporto tra essere umano e
cultura, l’essere umano è definito come “crocevia di appartenenze”?
A questo punto, proprio per andare oltre l’interpretazione romantica del rapporto tra
lingua, cultura e comunità, dobbiamo precisare che il rapporto tra soggetto umano e cultura
– e dunque comunità – non è né univoco, né biunivoco, ma multimultivoco: il soggetto
umano, in rapporto alle sue diverse sfere di interesse, si implica in appartenenze culturali e
dunque comunitarie diverse. Così capita che una stessa persona, che risponde alla domanda
di senso della vita cui egli è sensibile aderendo alla comunità cristiana, faccia parte, sotto il
profilo
scientifico, della comunità dei linguisti; e per l’impegno professionale, della comunità dei
comunicazionisti;
fra l’altro, della stessa persona si dice che sia entrato da alcuni anni nella comunità degli
amanti dell’argomentazione; ma, dal punto di vista dei suoi altri interessi, può essere
addirittura membro della comunità che si ispira all’abate Bresadola degli amanti della
micologia comparata e si bisbiglia che, essendo egli buon compagnone, sia anche membro
attivo della comunità degli appassionati del gioco della briscola. È apparentemente una
situazione da Uno, nessuno, centomila: tanto più che questo personaggio si ostina a
sostenere di non essere schizofrenico. Non si può quindi considerare il soggetto umano
semplicemente membro
di una cultura-comunità; egli è piuttosto un crocevia di appartenenze.
Così un cittadino elvetico romando, nato per esempio a Neuchâtel, condivide la lingua madre francese con le
altre numerose comunità francofone del mondo, è di religione cristiana calvinista, condivide la cittadinanza e
il senso di appartenenza alla Confederazione con gli altri svizzeri di lingue e convinzioni religiose diverse.
Questo è il quadro tradizionale per la Svizzera e la novità per l’Europa. Intanto sta comparendo all’orizzonte
un’altra dimensione che può essere considerata un aspetto particolare della “globalizzazione”: la mobilità porta
alla coesistenza - alla coabitazione - sullo stesso territorio di lingue e religioni diverse. E i diversi stati europei
vengono ad ospitare comunità non autoctone.
Spiega come si può reagire di fronte alla differenza nel contesto globalizzato.
1. Differenza come ostacolo. Predominano intenzioni, magari benevole, di integrazione
assimilatoria delle altre culture: quanto prima un immigrato dimentica la sua cultura di
origine, tanto più facile è la sua integrazione.
2. Differenza da rispettare. C’è in molti la convinzione, che fa capolino anche in qualche
documento europeo, che la differenza sia un ostacolo, una condizione nonostante la quale,
pur rispettando la quale, l’unità va realizzata. La parola chiave è qui rispetto. Rispettare è
meglio di tollerare, ma non è sostegno, non è favore: è comunque all’opera una sottile
insofferenza, pur negata. Si continua tutto sommato ad essere convinti che la morte della
differenza non farebbe che favorire la coesione della comunità.
3. Differenza come risorsa.
Il rispetto copre una coesistenza inerte che non esclude affatto l’omologazione. Invece,
quando si guarda alla differenza come a una risorsa, si crea una dinamica interattiva.
Questo, in particolare, fa diventare un vantaggio la diversità linguistica: conviene che un
immigrato, per esempio cinese, conservi anche la sua lingua, perché per lo sviluppo dei
nostri rapporti con la Cina è diventato indispensabile disporre di bilingui italo-cinesi. E
formare un sinologo nostrano è possibile, e lodevole, ma è costoso sotto vari aspetti.
La differenza può essere vista come risorsa, in questo contesto come può entrare il tema
del plurilinguismo?
Quest’ultimo approccio al tema della differenza porta a sottolineare i vantaggi del plurilinguismo. C’è anzitutto
un vantaggio comunicativo: la conoscenza di una lingua è chiave di accesso a una comunità e, dal punto di vista
professionale, apre un nuovo mercato favorendo in particolare la dimensione interculturale della comunicazione,
in quanto crea un presupposto di cordialità e un’aspettativa di intercomprensione. Ma una lingua non serve solo
per comunicare, ma anche per leggere la realtà (peraltro, la conoscenza non è un processo solipsistico).
Dal punto di vista cognitivo il plurilinguismo è una risorsa, perché mette a nostra disposizione reti categoriali e
strumentazioni espressive che, in parte, sono alternative e arricchiscono il nostro repertorio, ma che sono
largamente complementari: categorie come l’aspetto in russo, la -ing form in inglese e i clitici delle lingue
romanze suggeriscono differenze intelligenti, sguardi complementari sulla realtà e consentono una modalità più
ricca dell’esperienza umana a livello conoscitivo e relazionale. Inoltre, le diverse lingue hanno sorretto,
attraverso le generazioni, lo sviluppo, nelle singole comunità, di tradizioni letterarie nel senso più ampio del
termine (non solo la produzione letteraria in senso stretto, ma tutta la tradizione testuale giuridica, scientifica,
religiosa, politologica, ecc.) che sono patrimonio dell’intera umanità e che solo grazie alla conoscenza delle
diverse lingue diventano accessibili.
L’Europa si trova quindi di fronte a due grandi alternative: da una parte, la strada dell’adozione di una lingua
franca e di un atteggiamento di rispetto inerte nei confronti delle altre lingue e culture, nell’attesa, forse, che si
avvii un processo di omologazione; d’altra parte, la scelta di promuovere un plurilinguismo autentico, non solo
come preservazione della realtà di multilinguismo che è un tratto caratterizzante della storia e della cultura
europea, ma soprattutto come impegno a promuovere la conoscenza delle lingue nella formazione dei cittadini,
che può nascere solo dalla stima per la diversità come risorsa.
lezione 065
Quali sono le lingue maggiormente utilizzate nelle aziende nel contesto europeo?
- il tedesco è usato frequentemente per le esportazioni verso 15 paesi (tra cui la Germania e
l’Austria ed i Paesi Bassi);
- il russo è usato di frequente negli scambi con i paesi del Baltico, la Polonia e la Bulgaria;
- il francese è usato di frequente in otto paesi, tra cui la Francia, il Belgio e il Lussemburgo,
nonché nell’area Nord del Continente africano (il Maghreb) e nei territori caraibici della
Francia d’Oltremare.
Che impatto ha avuto la scarsa conoscenza delle lingue nell'economia italiana a livello
internazionale?
Lo scenario economico attuale, caratterizzato da una sempre maggiore competitività, impone alle imprese di
adottare dinamiche evolutive tipiche dei sistemi vitali1. Come sostiene infatti Enrico Valdani (2006 : 9):
In un tale contesto la sfida alla quale sono chiamate le realtà produttive e più in generale il sistema paese nel suo insieme, è
quella di saper governare la competitività, ossia di saper mantenere la capacità di competere allineandola al mutare delle
condizioni ambientali.
la presenza sui mercati esteri delle piccole e medie imprese italiane continua a presentare considerevoli
difficoltà ad affermarsi2. Una indagine condotta dal gruppo UniCredit nel 2010 (e presentata all’interno del
rapporto ICE3 2011-2012) su di un campione di 6157 piccole e medie imprese (PMI) ha riscontrato infatti che
soltanto il 17% degli intervistati ha dichiarato di avere attualmente intrapreso alcune attività sui mercati
internazionali.
Ai fini di limitare queste criticità emerse risulta, pertanto, fondamentale per l’impresa poter sviluppare una
elevata conoscenza del contesto estero, nonché la possibilità di stabilire relazioni con l’ambiente socio-
economico, sia di origine che di destinazione.
A tal proposito le associazioni datoriali stanno sviluppando alcuni interventi in supporto alle strategie di
internazionalizzazione delle proprie realtà associate. Un importante esempio è quello costituito dal « Progetto
Algeria » promosso da Confindustria Cuneo e concretizzatosi il 21 Novembre 2012 con l’apertura di un
ufficio di rappresentanza ad Algeri5.
- punto di vista linguistico
- economico-linguistico (per più competitività)
Come le Università preparano gli studenti al plurilinguismo utile nelle varie aziende
internazionali?
Come recentemente affermato dal Presidente dell’Associazione italiana per la Formazione Manageriale
(ASFOR), Vladimir Nanut, in questo processo di sviluppo delle competenze e di allineamento ai requisiti
imposti dalla globalizzazione, gli enti accademici rappresentano un importante vettore per la formazione umana
e professionale delle figure di riferimento dello scenario produttivo, culturale e sociale futuro.
Alcune importanti iniziative sono già state attivate e stanno fornendo i primi riscontri favorendo la creazione di
un coeso network relazionale, come ad esempio i programmi di mobilità internazionale ERASMUS (anche nella
più recente versione Erasmus placement) o LEONARDO, che prevedono alcuni periodi di interscambio con
Università
- curricula binazionali
- - dottorato competitivo con incontro con le imprese
Lezione 66
Come si inseriscono Dante e Petrarca nella riflessione sul plurilinguismo?
Esse hanno origine da due scrittori che sono fondamento della norma letteraria poetica, Dante
e Petrarca. La lingua poetica di dante è caratterizzata da un lessico variatissimo, tocca tutti i
livelli di espressività. In Dante ricorre il turpiloquio, il termine scurrile, la voce dialettale, si
trova il livello della lingua media accanto al sublime, ai cultismi e ai latinismi. La miscela
linguistica di Dante è dunque variatissima ‘mistilingue’ linguaggi (o meglio: dei diversi
livelli e registri della lingua). In Petrarca, viceversa, si realizza la selezione di una lingua
lirica estremamente selezionata [_…]_la linea del plurilinguismo di Dante e quella del
monolinguismo di Petrarca, durano costanti nella tradizione italiana, fino al Novecento,
quando il plurilinguismo si manifesta in maniera esemplare in uno scrittore come Gadda, la
cui lingua è un esempio di eccezionale plurilinguismo per la compresenza di termini colti e
letterari, che convivono con dialettalismi, tecnicismi scientifici
In cosa consiste la ricerca che è stata fatta in provincia di Varese sul plurilinguismo a
scuola?
L’indagine dimostra che, nonostante i risultati delle ricerche scientifiche, la scuola italiana è
parecchio distante, al di là di poche eccezioni, dalla valorizzazione piena del plurilinguismo
all’interno delle classi, privilegiando una didattica ancorata fortemente ai modelli
tradizionali. L’interesse nei confronti delle lingue di minoranza presenti all’interno delle
classi, così come la scelta delle strategie didattiche più efficaci per la promozione linguistica,
risulta prerogativa del singolo docente, non essendo disponibili protocolli di azione
(Candelier 2008) e pratiche istituzionalizzate.
067
02. Come possono essere importanti diversi tipi di scrittura per lo studio delle lingue a
scuola?
L’analisi dei testi e dei corpora linguistici, invece, non è tanto utile sul piano
comunicativo in senso stretto, ma è effettivamente valida, perché si insegna a
interrogare in maniera appropriata i corpora e si lavora direttamente sui testi,
cogliendo gli aspetti linguistici che vanno dal recupero del lessico e del
contenuto all’analisi grammaticale
03. Si esponga la ricerca relativa al ricorso alle pratiche di promozione delle lingue
minoritarie. E cosa evidenzi?
In merito alle attività per insegnare le lingue nell’ambito dei contesti plurilingui si
osserva una diffusione significativa di attività di carattere narrativo in tutti gli ordini di
istruzione. Come si è osservato all’interno del § 4, tali attività per essere utili in ambito
linguistico, oltre che sul piano prettamente (inter)culturale devono riguardare la lingua
come oggetto di trattazione, soffermandosi sulle parole o sulle frasi. L’impressione
generale relativa alle risposte, tuttavia, lascia ipotizzare che a scuola si lavori su testi
tradotti in italiano e che l’interesse riguardi prevalentemente il contenuto e non la
lingua che lo veicola, come dimostrato da qualche esempio di attività riportato nelle
note libere.
La seconda risposta, più ampia in termini di scelta, riguarda la mancanza di attività per
promuovere le lingue minoritarie in classe, riferita soprattutto dai docenti di scuola
secondaria, ed è necessario considerare che per gli apprendenti che parlano una lingua
minoritaria, la mancanza di formazione linguistica e «la perdita della lingua della
tradizione familiare può avere ricadute negative importanti in ambito affettivo e
cognitivo, oltre che privare l’individuo di competenze spendibili in contesto lavorativo»
LEZIONE 069
In particolare, ci si è in- terrogati sui benefici dell’introduzione del questionario sociolinguistico come
strumento per l’identificazione delle caratteristiche in ingresso di un gruppo di apprendenti di scuola
secondaria di primo grado e come supporto alla costru- zione del sillabo di lingua italiana,
considerando che la lingua rappresenta essen- zialmente un “prodotto sociale e un insieme di
convenzioni” (Santipolo 2006: 5). L’articolo permette di documentare un esempio di buona pratica di
carattere glottodidattico per la progettazione di interventi adeguati alle caratteristiche
sociolinguistiche e matetiche dei gruppi di apprendenti. La progettazione di un questionario
sociolinguistico a uso glottodidattico e la sua analisi, difatti, con- sentono di ricavare informazioni
significative rispetto ai corsisti e di rispondere ai bisogni formativi effettivi:
- da qui: le domande del questionario sono state negoziate con i parteci- panti, sulla base di
una struttura rigida (Nitti 2018), definita durante i primi due incontri. All’interno del
questionario, infatti, erano presenti diverse sezioni: una parte relativa al trattamento dei dati e
a quesiti di natura socio-anagrafica, una riguardante la percezione dell’italiano e delle altre
lingue, una sezione dedica- ta all’uso delle lingue a seconda dei diversi contesti comunicativi,
e l’ultima, di stampo meramente glottodidattico, relativa a informazioni personali riguardo al
tempo per lo studio, alla presenza di libri in casa, alla quantità e alla qualità di input in lingua
italiana.
Al fine di non rendere troppo faticosa la compilazione da parte degli studenti, con il rischio di
disperdere parte delle informazioni, si è deciso di non superare i 20 quesiti totali, lasciando
comunque, al termine di ogni sezione, una parte per le note libere, nel caso gli informanti avessero
desiderato aggiungere dati e considerazioni altrimenti non disponibili sulla base della compilazione a
ri- sposta chiusa
La sociolinguistica è la branca della linguistica che si occupa dell’analisi delle di- mensioni di
variazione della lingua (Berruto 2004). Qualsiasi lingua, infatti, nel momento in cui viene parlata o
scritta, è suscettibile di variazione rispetto all’a- rea geografica (diatopia), al momento storico
(diacronia), al mezzo utilizzato (dia- mesia), alla situazione comunicativa (diafasia) e ai gruppi di
individui (diastratia). Ciascuna di queste variabili è intimamente connessa con le altre e non ne è
sempre immediata la segmentazione, basti pensare all’uso della forma di cortesia che
dipende dal periodo storico, dal gruppo di parlanti, dalla situazione comunicati- va, dal canale e
talvolta anche dalla collocazione geografica. A complicare ulte- riormente la rete fitta di relazioni che
determinano la prassi discorsiva o testuale all’interno degli eventi comunicativi è il fatto che un
parlante non sempre adotta un sistema linguistico in via esclusiva e, al contrario, la situazione più
diffusa è quella del bilinguismo o del plurilinguismo
parso oppor- tuno interrogarsi sui benefici che il questionario sociolinguistico, adattato alla ricerca
glottodidattica, possa apportare alla qualità dell’azione didattica, sia per quanto concerne il livello di
conoscenza preliminare dei propri studenti che gli interventi di tutela e promozione delle altre lingue
parlate oltre all’italiano.
Un questionario sociolinguistico deve essere, per natura, uno strumento opera- tivo che aiuti a
fotografare una situazione linguistica, a seconda di un atteggia- mento scientifico in merito alla
lingua, al suo insegnamento e all’apprendente. La biografia linguistica permette di ricavare dati
interessanti per la formazione, poiché si analizzano i bisogni immediati e primari, e quelli di
lungo periodo, con- nessi con il successo scolastico, sebbene
dati di questo genere, ottenuti con sondaggi e rilevamenti in cui si chiede ai par- lanti di riferire come si
comportano linguisticamente in determinate situazioni, al di là della loro apparenza ‘scientifica’ data dall’essere
espressi con numeri richie- dono di essere interpretati con una certa cautela, in quanto appunto riguardano
autodichiarazioni di comportamento in qualche modo filtrate dalle intenzioni e proiezioni delle persone, e non
osservazioni dirette della realtà
Il percorso di ricerca, come si è scritto, ha previsto otto incontri a distanza, di carattere seminariale. I
docenti sono stati invitati a costruire una batteria di do- mande (cfr. §5) per ottenere informazioni
rispetto ai propri gruppi classe. Una volta approvato dai formatori e dai partecipanti, il questionario è
stato utiliz- zato come strumento per la rilevazione delle informazioni sociolinguistiche in ingresso, in
merito alle specificità degli apprendenti e successivamente gli inse- gnanti hanno analizzato i dati sul
piano quantitativo e qualitativo (Rastelli 2009). La maggior parte dei gruppi classe, infatti, si è
dimostrata almeno bilingue
LEZIONE 070
francese
In Francia, durante la monarchia, i sovrani non erano contrari all’uso dei dialetti, ma
preferivano che la lingua usata per la redazione dei documenti ufficiali fosse il francese
(Perret, 2016: 69). Con l’Ordonnance de Villers-Cotterêts del 1539, emanata dal re Francesco
I, si escludevano tutte le lingue, latino compreso, per quanto riguardava la pubblicazione di
atti giuridico-amministrativi (Schlösser, 2005: 74). Sicuramente, tale decisione ha ristretto il
campo d’uso dell’occitano, che da tempo non era più lingua di cultura (Di Girolamo, 2000:
6), e delle altre parlate locali della Francia, soprattutto del Meridione; questo, tuttavia, non ha
determinato la scomparsa degli altri idiomi diversi dal francese all’indomani della
pubblicazione della suddetta legge. Basti leggere la prima scena del secondo atto del Dom
Juan di Molière per rendersi conto che la lingua usata dai contadini, anche più di cento anni
dopo l’emanazione della legge di Francesco I, non è la stessa di quella usata nel resto
dell’opera2. È soprattutto a partire dalla Rivoluzione che nasce l’idea che l’uso di una lingua
comune nazionale potesse sigillare l’unità del Paese. Da allora in poi, le parlate locali
cominciano a vivere una vera persecuzione: per abolire l’uso dei patois, l’abate Henri-
Baptiste Grégoire3 propose persino di far sostenere una prova scritta e una orale di lingua
francese per poter contrarre matrimonio. Con la III repubblica4, la lingua francese fu
dichiarata «la seule langue d’enseignement» (Jullion, 2014: 729), cercando in tutti i modi di
sradicare i dialetti, fino al punto di punire i bambini che a scuola venivano sorpresi a parlare
in una lingua diversa dal francese, persino durante i momenti di intervallo
italiana
Due grandi nomi della letteratura e della linguistica italiana, Alessandro Manzoni (letterato e
teorico della lingua) e Graziadio Isaia Ascoli (dialettologo), sono stati animati da pensieri
discordanti relativamente alla questione dell’unità linguistica italiana (Cella, 2015: 128-133).
Nei primi anni dell’Unità d’Italia, Manzoni era stato incaricato da Emilio Broglio, ministro
della Pubblica Istruzione, di «individuare i mezzi idonei a unificare linguisticamente l’Italia»
(Sobrero, Miglietta, 2010: 46-47). Manzoni aveva scelto il toscano come lingua d’Italia e le
misure da lui adottate furono sempre orientate verso questa direzione: redigere un dizionario
della lingua usata a Firenze, inviare maestri toscani in tutta Italia e inviare i maestri non
toscani a Firenze per apprendere l’italiano5. Si consideri, infatti, che da Nord a Sud della
penisola, a parte qualche eccezione in Toscana e nello Stato Pontificio, i maestri erano anche
analfabeti (De Mauro, 2017: 38-39). Di tutt’altra opinione fu sicuramente Ascoli, il quale non
credeva nelle lotte contro i dialetti, ma voleva anzi diffondere la lingua italiana senza
intralciare le culture locali (Sobrero, Miglietta, 2010: 49), creando in ogni individuo una
condizione di bilinguismo (Loporcaro, 2013: 184). Le diverse misure di diffusione del
fiorentino in tutta la penisola non ebbero i risultati sperati, tuttavia un pensiero comune fu
quello di «svellere la malerba dialettale» (De Mauro, 2017: 46, 88), intenzione che stava alla
base delle idee di quanti hanno travisato il pensiero di Alessandro Manzoni (Sobrero,
Miglietta, 2010: 50, Loporcaro, 2013: 185). Le autorità ufficiali appoggiarono le idee dei
manzoniani (Lo Duca, 2009: 21; Loporcaro, 2013: 184), ma di certo non si può dire che la
questione della lingua unitaria si sia conclusa in quel periodo; per avere, appunto, un quadro
completo bisognerebbe studiare il fenomeno migratorio interno, l’opera del fascismo sulla
lingua, gli effetti dell’industrializzazione, dei mezzi di comunicazione di massa, della leva
obbligatoria, ecc6.
03. Due dirigenti scolastici hanno attivato un corso di lingua rumeno e uno di lingua
araba all'interno della scuola, perché è importante questo avvenimento?
perché:
- La scuola plurilingue, tuttavia, è impegnata non soltanto nelle attività didattiche per
l’apprendimento dell’italiano L2, ma altresì nell’uso di altre lingue, che non devono
necessariamente essere parlate dagli alunni che la frequentano e il mantenimento della
pluralità delle lingue e delle culture dovrebbe essere un valore presente nella
personalità del docente che si occupa di apprendimento linguistico
- Questi dati dovrebbero condurre gli italiani a riflettere sull’importanza di un’apertura
all’apprendimento delle lingue immigrate per un arricchimento cognitivo e culturale
dei propri figli anche perché basterebbe una semplice ricerca sul web per scoprire che
lo studio delle due lingue in questione rientra nell’offerta didattica dei dipartimenti di
lingue e di studi umanistici dei più prestigiosi atenei d’Italia, a cui si iscrivono i nostri
studenti italiani.
- Vi è, tuttavia, un fatto di interesse europeo che vede la Francia in una posizione
diversa rispetto ad altri Stati. Il 5 novembre 1992, il Consiglio d’Europa ha pubblicato
un
- documento di politica linguistica di grande rilevanza: la Carta europea delle lingue
regionali o minoritarie, entrata in vigore nel 19988
- Nel nostro paese l’apprendimento della lingua avviene oggi in uno spazio antropologico
caratterizzato da una varietà di elementi: la persistenza, anche se quanto mai ineguale e
diversificata, della dialettofonia; la ricchezza e la varietà delle lingue minoritarie; la
compresenza di più lingue di tutto il mondo; la presenza infine dell’italiano parlato e scritto
con livelli assai diversi di padronanza e con marcate varianti regionali. Tutto questo comporta
che nell’esperienza di molti bambini e ragazzi l’italiano rappresenti una seconda lingua. La
cura costante rivolta alla progressiva padronanza dell’italiano implica, dunque, che
l’apprendimento della lingua italiana avvenga a partire dalle competenze linguistiche e
comunicative che gli allievi hanno già maturato nell’idioma nativo e guardi al loro sviluppo in
funzione non solo del miglior rendimento scolastico, ma come componente essenziale delle
abilità per la vita.
- ome si può notare, l’apprendimento della lingua italiana costituisce il fulcro
dell’attività didattica per gli alunni dialettofoni e alloglotti. Tuttavia, in un altro
documento ministeriale, le Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni
stranieri del 2014, si sottolinea altresì la necessità della valorizzazione del
plurilinguismo e della diversità linguistica11. Il plurilinguismo, dunque, rappresenta
la condizione quotidiana della scuola italiana (Vedovelli, 2010: 220), condizione che,
nonostante spesso preoccupi gli addetti ai lavori, se ben gestita può sortire ottimi
risultati didattici per tutti gli alunni, alloglotti e non12
LEZIONE 084
18. Cosa si intende con microlingua e come si inserisce nel questionario riguardante i
sottocodici?
LEZIONE 088
03. Cos'è il Centre Mondial d'information sur l'éducation bilingue? Quali sono i suoi
obbiettivi e le sue azioni?
da qui il punto di vista linguistico: Il CMIEB era divenuto CIEBP, un Centro dotato
di un proprio statuto e di un Consiglio di amministrazione, composto
da sedici membri
Mentre nella prima fase della sua attività gli scopi del Centro erano quelli dettati dalla
Federazione che lo aveva creato e consistevano, fondamentalmente, nel preconizzare
l’acquisizione precoce di una seconda lingua e nell’incoraggiare questo tipo di acquisizione
servendosi della rete di relazioni, scambi e gemellaggi
LEZIONE 089
Cos'è l'archetipo della maledizione babelica e qual è la sua relazione con il discorso del
plurilinguismo?
L’archetipo della maledizione babelica, dalla quale sarebbero derivate la moltiplicazione e la
confusione delle lingue, pur essendo la dimostrazione implicita della fattualità storica dei
plurilinguismi, si è imposto, attraverso i millenni e attraverso i secoli, come rappresentazione
concreta di un ruolo sostanzialmente negativo che la pluralità di lingue svolgerebbe nel consorzio
umano. Da esso, variamente declinato e adattato ai diversi momenti storici e alle diverse temperie
culturali, discendono gli atteggiamenti di ostilità nei confronti di ciò che è linguisticamente diverso
e ad esso è strettamente collegato lo stereotipo negativo consistente nel ritenere l’educazione
plurilingue nociva per la crescita cognitiva: fino ad oltre la metà del secolo appena trascorso,
insegnare altre lingue, accanto e in complementarietà con quella materna, era considerata nel
migliore dei casi un’eccentricità; in ogni caso, pedagogisti, educatori, insegnanti e anche insigni
glottologi non esitavano a sostenere che un’educazione bilingue (e a fortiori un’educazione
plurilingue) costituisse per i fanciulli un rischio fortissimo di disordine e confusione mentale
(Tabouret-Keller 2011). In Italia, tale atteggiamento fu indubbiamente rafforzato, a partire dalla
raggiunta unità politica, dalla convinzione, da parte degli uomini politici e degli intellettuali, che in
assenza di una parallela unità linguistica l’unità politica si rivelasse troppo fragile. Di qui, l’ostilità
nei confronti dei dialetti e di qui, la forte convergenza su di un’ideologia monolingue da parte della
scuola e dei suoi operatori. Di qui, le istanze puristiche, il rifiuto di ogni contaminazione derivante
dal contatto con altre lingue, la diffidenza nei confronti dei cambiamenti.
Tra gli obiettivi prioritari riportati nello Statuto, citeremo qui quello di studiare le modalità di
realizzazione dell’educazione plurilingue, quello di dare testimonianza delle sperimentazioni e delle
realizzazioni di educazione plurilingue, sia nella dimensione pedagogica sia in quella dei rapporti
con la società, e quello di difendere la libertà dei mezzi di espressione a tutti i livelli, dalla più
umile delle parlate locali alle lingue “universalizzate”.
LEZIONE 093
Domanda sopra
05. Cosa ha fatto l'università Ca' Foscari sul dibattitto culturale della lingua di genere?
Quest’ultimo piccolo, grande risultato conferma la tesi iniziale del mio
contributo, vale a dire che la linguistica di Ca’ Foscari ha contribuito
al dibattito culturale degli ultimi 10 anni che ha riportato in agenda la
questione del linguaggio nel perseguimento della parità tra i generi. Ha
contribuito a creare la competenza metalinguistica sulle proprietà di
lingua e genere, principale fondamento per la condivisione di un uso della
lingua italiana che sia prima di tutto rispettoso della storia della lingua e
della forma della lingua e allo stesso tempo comunichi la presenza delle
donne in tutti gli ambiti, facendo in modo di sostenere la loro presenza
sia nella vita reale sia nel discorso culturale
LEZIONE 084
Definendo un sottocodice quale microlingua, si può sottolineare l’importanza che esso abbia
all’interno dell’ambito scientifico ai fini della ricerca e della divulgazione in modo da poter
chiarire qualsiasi dubbio in caso di ambiguità in fatto di terminologia. La ricerca effettuata
dal Prof. Nitti ha permesso, in tal senso, di comprendere la “falsa trasparenza” dei termini
riportati, come ad esempio si parlerà di “programma” al posto di “contenuti”, mentre ci si
riferirà a “metodo” per gli studenti e “approccio” per gli insegnanti invece di “modello
operativo”.
Per microlingua si intende un sottocodice che dipende dal contesto in cui è situato e in questa
ricerca si parla di specialità della lingua in ambito scientifico, capace di poter risolvere i
dubbi di ambiguità rispetto a certi termini. All’interno di questo questionario viene
sottolineata la sua importanza quale riflesso dei sottocodici.