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Semantica e pragmatica che cos'è la pragmatica cecilia


andorno
Linguistica generale (Università degli Studi Roma Tre)

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CHE COS’E’ LA PRAGMATICA (LIBRO SEMANTICA E PRAGMATICA)


*LA PRAGMATICA TRA LINGUISTICA E FILOSOFIA
Nell’etimologia della parola “pragmatica” si riconosce la radice greca “pragma” Che significa “azione”.
-La pragmatica ha dunque come oggetto di studio l’agire umano; nel caso della pragmatica linguistica,
evidentemente, l’oggetto di studio è l’agire linguistico.
-per la pragmatica linguistica è particolarmente viva una duplice necessità: l’esigenza di delimitare un
Preciso ambito di analisi rispetto alle altre discipline linguistiche; la ricerca di una specificità rispetto agli
altri orientamenti non linguistici della pragmatica.
-Esistono diverse posizioni sulla natura dell’oggetto di cui tale disciplina si occupa e sul posto che essa
Dovrebbe avere nell’ambito degli studi linguistici:-
°Secondo Geoffrey Leech:
(1983) la pragmatica, in quanto disciplina che si occupa del modo in cui i parlanti attribuiscono significato
alle espressioni linguistiche, andrebbe ricondotta all’aveo della semantica.
°Secondo Charles Morris:
(1938) esisterebbe nell’espressione linguistica dei parlanti un livello pragmatico (come esiste un livello
morfosintattico, un livello semantico, ecc.)preposto al controllo delle relazioni che si innescano fra il codice
linguistico e i suoi utenti al momento in cui esso è impiegato in una situazione comunicativa (posizione
complementarista).
°Secondo Ludwig Wittgenstein:
(1953) non è appropriato pensare alla pragmatica come a un livello linguistico separato, ma piuttosto
come a una competenza dell’uso linguistico che riguarda ogni livello. Ogni livello può in questo senso essere
studiato in prospettiva pragmatica (posizione pragmaticista)

*UNA, NESSUNA, CENTOMILA DEFINIZIONE:


Il termine “pragmatica” è stato introdotto nell’area degli studi semiotici nel 1938 da Charles Morris
-Nell’ambito della semiotica (la scienze che studiano i segni e i codici, fra cui le lingue naturali) Morris
distinse tre campi di studio:
-LA SINTASSI, cioè lo studio delle relazioni fra i segni
-LA SEMANTICA, cioè lo studio delle relazioni fra i segni e gli elementi della realtàcui essi rimandano
-LA PRAGMATICA, cioè lo studio delle relazioni fra i segni e gli utenti del codice. La pragmatica, come risulta
anche dalla coeva definizione del filosofo del linguaggio Carnap (1938) si contrappone perciò sia alla
semantica che astrae dal riferimento agli utenti, sia alla sintassi, che astrae sia dal riferimento agli utenti
sia dal riferimento alla realtà cui essa rimanda.
-Una diversa definizione di pragmatica è stata proposta da Katz e Fodor (1963), di impostazione formale
generativa. Secondo i due studiosi la pragmatica dovrebbe essere lo studio dell’esecuzione linguistica,
in contrapposizione alla semantica ealla sintassi che si occupano delle proprietà sistematiche della lingua in
quanto codice.

-In reazione a questa visione limitata della competenza linguistica deI Parlanti come competenza del codice,
tipica della linguistica formale, è stata coniata da Dell Hymes l’espressione competenza comunicativa
Con n cui si fa riferimento all’abilità degli utenti di una lingua di usarla in modo efficace e appropriato in
diversi contesti per esigenze comunicative di vario tipo. Potremmo dunque definire in questo senso la
pragmatica come scienza della competenza comunicativa.

-Stephen Levinson (1983)


nell’introduzione al suo manuale di pragmatica propone e discute diverse definizioni, ritenendo che la più
convincente, anche se non esente da problemi, sia: “La pragmatica è lo studio delle relazioni tra lingua
contesto che sono fondamentali per spiegare la comprensione della lingua stessa”.

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*SIGNICATO DELLA PAROLE E SIGNIFICATO DEGLI ENUNCIATI:


-Gli enunciati (espressioni linguistiche usate in una situazione discorsiva specifica) hanno un valore che
va ricostruito all’interno di questa situazione.
Il valore degli enunciati non si può ricostruire completamente a partire dal significato delle parole che li
compongono: capiamo esattamente che cosa significano le parole grazie alla comprensione del valore
dell’enunciato nel contesto. Per questo ci si chiede se sia più efficace un’impostazione composizionale (il
significato di un enunciato scaturisce dalla composizione del significato delle parole) o un’impostazione
decomposizionale (il prius dell’interpretazione del significato sarebbero gli enunciati in contesto,
e le singole parole verrebbero interpretate a partire da questi).

*CHE COS’E’ IL CONTESTO?


Se cerchiamo di interpretare il seguente messaggio:
- Giochi ancora con il bradipo?
Potremmo capire il significato della frase, ma non il senso dell’enunciato se non conosciamo il contesto in
cui è stato pronunciato. Saputo questo potremmo parafrasarlo in:
- Perdi ancora tempo a lavorare con quel pc lentissimo?
Il contesto è un’espressione intuitivamente chiara ma estremamente difficile da definire esplicitamente. Il
contesto pertinente per l’interpretazione e la produzione degli enunciati è composto da tre componenti:
1. LE CONOSCENZE CONDIVISE: l’insieme di credenze sociali e culturali sul funzionamento del mondo che i
parlanti condividono o credono di condividere;
2. LA SITUAZIONE COMUNICATIVA CONTINGENTE: la situazione spazio-temporale in cui si svolge un evento
linguistico, le relazioni interpersonali fra i partecipanti, le aspettative e gli scopi che li muovono;
3.IL CONTESTO LINGUISTICO O COTESTO: il discorso in atto e le conoscenze che ha generato.
-Attraverso le diverse componenti del contesto, i partecipanti ad un evento linguistico costruiscono una
propria rappresentazione mentale dell’evento stesso, degli oggetti e dei fatti evocati in esso e delle relazioni
che intercorrono fra loro e con il mondo, degli interlocutori coinvolti, dei loro rapporti reciproci e delle loro
intenzioni. Questo è il modello di discorso.

*OMONIMIA, POLISEMIA, AMBIGUITA’, VAGHEZZA, INDETERMINATEZZA:


Il contesto consente normalmente di identificare nel modo corretto i casi di omonimia e di specificare
l’accezione di una parola polisemica, cioè di una parola che ha potenzialmente più significati, discriminando
quale dei significati sia stato selezionato per quel contesto.
-L’uso di un’espressione può però essere fattualmente ambiguo: (quando ne sono possibili due letture
contestualmente valide. l’ambiguità è dovuta alla mancanza di indizi contestuali sufficienti a scioglierla)
1.L’ambiguità può essere a livello lessicale, come per:
(Il cavallo in seconda corsia ha saltato l’ostacolo)“saltare” può voler dire tanto “superare” quanto “evitare”
un ostacolo.
2.L’ambiguità può essere a livello sintattico :
(Si avvisa che su questo treno è consentito fumare solo nelle carrozze riservate) ai fumatori numero 1 Di
Prima classe e numero 11 di seconda classe. In cui la numerazione potrebbe riferirsi tanto alle vetture
quanto ai passeggeri.
- il CONTESTO ha un ruolo nel determinare il significato degli enunciati poiché specifica la vaghezza
delle espressioni linguistiche, ossia le espressioni linguistiche solitamente non sono pienamente specificate
riguardo al loro significato e lasciano spazio ad arricchimenti prodotti dal contesto.
- In ultimo, un’espressione in un enunciato può essere indeterminata, ossia richiede il ricorso al contesto
per la comprensione del suo riferimento o estensione, ovvero della realtà extralinguistica cui rimanda
(a che cosa si riferisce)

*CAPITOLO 2: DARE UN NOME ALLE COSE:

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Ci sono due diversi usi che possono avere i nomi (o le espressioni nominali in generale) nel discorso:
-funzione allocutiva: per richiamare l’attenzione dell’interlocutore, ovvero per instaurare o consolidare
il legame discorsivo fra parlante e interlocutore.
-funzione referenziale: quando il parlante evoca nel discorso elementi della realtà (referenti); un referente
evocato attraverso questo tipo di espressione diventa un referente testuale del modello di discorso in atto
(“Il governo ha varato una nuova modifica alla Finanziaria”).Questi due usi non esauriscono la gamma di
funzioni che possono avere le espressioni nominali: esse possono avere anche funzione attributiva o
predicativa quando non servono ad attivare un referente testuale bensì a qualificarne uno attribuendovi
delle proprietà.
(ES: GIANNI è a lezione (SN=N)
IL RAGAZZO sta salendo (SN= ARTICOLO +AGGETTIVO)

*ESPRESSIONI REFERENZIALI
I parlanti hanno a disposizione tre tipi fondamentali di espressioni referenziali:
-I DESCRITTORI:
Un primo gruppo è quello dei nomi comuni e dei sintagmi nominali che fanno riferimento a classi di oggetti
accomunati per qualche proprietà, i quali, proprio in virtù di queste proprietà sono racchiusi in quella classe.
Per poterli usare in modo appropriato, un parlante deve:
1.conoscere l’intensione del descrittore
2.sapere se il referente che intende nominare attraverso un descrittore può far parte dell’estensione del
descrittore stesso (dell’insieme degli individui cui esso può riferirsi);
Dal punto di vista dell’ascoltatore, per intepretare un descrittore, è necessario:
1.conoscere il significato intensionale del termine;
2.attivare o identificare nell’insieme dei referenti testuali presenti nel modello di discorso una possibile
estensione valida per l’espressione ;
-I NOMI PROPRI
Un secondo gruppo di espressioni referenziali è quello dei nomi propri, i quali evocano direttamente uno
specifico oggetto o individuo. Per poter usare un nome proprio per designare un referente un parlante deve
semplicemente sapere che quello è il suo nome; reciprocamente, perché il ricevente di un messaggio
identifichi il referente di un nome proprio, deve sapere che quel nome è stato attribuito a quel referente.
Questa conoscenza si ottiene per esperienza diretta o indiretta del legame fra referente e nome. Il legame
fra referente e nome è massimamente arbitrario. I nomi propri dunque non hanno significato intensionale,
ma solo estensione: il loro significato coincide semplicemente con il referente cui fanno riferimento. In
questo senso i nomi propri “non significano niente”.
-GLI INDICALI
-La peculiarità è: non è possibile attribuire un significato all’espressione “ciò” se non si conosce il contesto in
cui tale espressione è stata usata. il significato rimanda a caratteristiche del suo status e della sua
collocazione nel modello di discorso in atto.
Gli indicali dunque non denotano il referente cui rimandano ma danno informazioni su:
1.il tipo detonato (caratteristiche del referente);
2. l’ elemento/i contestuali rispetto a cui si origina la relazione e il tipo di relazione fra tale elemento e il
referente indicato.
-Ciò che distingue le espressioni indicali dalle espressioni simboliche è il fatto che nelle prime le modalità
secondo cui ricorrere al contesto per l’interpretazione del riferimento sono codificate nell’espressione
stessa, anzi ne costituiscono il significato intrinseco: il significato degli indicali è descrivibile in termini
relazionali; è una sorta di “insieme di istruzioni” che segnalano in che modo va cercato nel contesto il loro
riferimento

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*COMPETENZA LESSICALE
Abbiamo detto dunque che per poter attribuire un termine generale ad un oggetto una classe di oggetti, il
parlante si serve di due livelli di conoscenza: un livello relativo al significato intensionale del termine (ovvero
all’insieme dei tratti semantici che lo definiscono) e uno relativo al significato estensionale del termine(cioè
all’inseme degli individui cui il termine può riferirsi).
-La nozione di tratto semantico:
è stata ideata nell’ambito della semantica strutturale, sul modello della classificazione per tratti della
fonetica, per isolare le diverse componenti del significato intensionale di un termine: la parola “scapolo” è
ad esempio composta dai tratti semantici (+ uomo) e (- sposato).
-Parlanti diversi possono avere competenze diverse riguardo all’insieme dei tratti semantici che definiscono
il significato di un termine.
- Altre difficoltà vengono dal fatto che le due conoscenze possono non procedere congiuntamente. Per
ovviare a tali difficoltà sono state proposte descrizioni della competenza dei parlanti rivolte all’aspetto
estensionale: il significato del nome sarebbe l’insieme dei referenti cui esso si applica.

*SCELTA E INTERPRETAZIONE DELLE ESPRESSIONI REFERENZIALI


Le lingue mettono a disposizione un’ampia gamma di espressioni referenziali alternative. La loro scelta è
legata a vari fattori: la segnalazione dell’accessibilità del referente; la connotazione di quest’ultima e della
sua relazione con parlante eascoltatore; la segnalazione di una specifica mossa discorsiva.

*ACCESSIBILITÀ
La scelta delle espressioni referenziali può essere funzionale a segnalare il grado di accessibilità di un
referente, ovvero quando esso è identificabile in modo univoco per i parlanti e quanto è presente
all’attenzione dei parlanti in un dato momento.
-Con identificabilità di un referente: si intende la possibilità di identificabile in modounivoco. Ad esempio
“scarpe”:

-Con attivazione di un referente: si intende in fatto che esso sia o meno presente all’attenzione dei parlanti
in un dato momento del discorso:

-L’accessibilità di un referente dipende dalle diverse componenti di conoscenza adisposizione dei parlanti in
uno scambio comunicativo, ovvero:
1. l’insieme di conoscenze condivise fra i parlanti o supposte tali: - “il Consiglio dei ministri dà il via libera
alla manovra di 24 miliardi. Critiche dell’opposizione”
I referenti “Consiglio dei ministri”è “l’opposizione”sono presentati come identificabili per il lettore medio
che minimamente conosce l’ordinamento istituzionale e la politica italiana;
2. la situazione:
A –“mi passi la borraccia?
B – “lui (cenno del mento verso un terzo escursionista

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C) non ce l’ ha?Il referente “borraccia” è reso attivo dalla situazione di riferimento “gita”, che prevede per
ogni escursionista un equipaggiamento completo di borraccia; il referente “lui” è intrinsecamente
accessibile perché presente nel contesto e reso attivo dal cenno del mento.
3. il modello del discorso in atto:
“ L’arrestato per le stragi di Madrid: le ho preparate in due mesi.”
Il referente “arrestato per le stragi di Madrid” è reso identificabile dall’uso di un descrittore che fornisce
tutti gli elementi utili all’identificazione del referente; è reso accessibile e attivo nel modello di discorso dalla
sua menzione nella frase immediatamente precedente.

-Le lingue possiedono mezzi espressivi dedicati a segnalare il movimento referenziale , ovvero il mutamento
del grado di accessibilità dei referenti nel modello di discorso. Referenti al massimo grado identificabili e
attivi sono segnalati attraverso espressioni indicali o attraverso l’ellissi.
-I descrittori sono usati invece per referenti con più basso grado di accessibilità; anche l’alternanza fra
specificatori ha una funzione analoga. Attraverso la segnalazione del grado di accessibilità dei referenti il
parlante indica all’interprete “dove cercare” il referente menzionato fra le conoscenze possedute e proprie
del modello di discorso.

*TRATTI CONNOTATIVI:
Le espressioni referenziali possono segnalare il rapporto fra il parlante e il referente, in modo analogo
all’uso delle formule allocutive, che evidenziano il rapporto fra parlante ed interlocutore. Attraverso la scelta
di un descrittore un parlante sceglie quali tratti connotativi del referente attivare. Il parlante può
segnalare il rapporto che lo lega al referente anche attraverso il sistema degli indicali.

*MOSSE COMUNICATIVE
Il modo di usare le espressioni referenziali in un dialogo può essere funzionale a segnalare mosse
comunicative particolari durante il discorso. La ripetizione di un’espressione referenziale appena
menzionata sembra ad esempio essere un segnale che si sta controllando di aver ben identificato Un
referente o che si sta accettando un topic discorsivo.

CAPITOLO 2: ORIENTARSI NEL CONTESTO


*2.1. DEISSI
Si definisce con deissi (dal greco ‘indicazione’) il fenomeno per cui il riferimento di alcune espressioni
linguistiche indicali è vincolato alle coordinate della situazione in cui avviene l’evento comunicativo.
-Gli elementi indicali deittici funzionano come segnali indicatori di orientamento rispetto agli elementi
presenti nella situazione comunicativa; il loro riferimento è individuabile solo a partire da tale situazione.
Non si può capire a chi si riferiscono i pronomi “io” e tu” o la direzione indicata dagli avverbi “qui e “qua”
senza conoscere la situazione in cui si sta svolgendo un dato evento comunicativo.

*2.1.1. DEISSI PERSONALE,SPAZIALE,TEMPORALE


Per l’orientamento delle espressioni deittiche il parlante e l’ascoltatore utilizzanoun sistema di coordinate o
campo indicale aventi ciascuno un proprio centro, o origo
-Le deissi possono essere:-
1.tipo personale: indica i referenti in rapporto al loro ruolo nell’evento comunicativo;
2.tipo spaziale: organizza lo spazio rispetto alla posizione dei partecipanti all’evento comunicativo;
3.tipo temporale: che colloca nel tempo gli eventi rispetto al momento dell’evento comunicativo.
-PER LA DEISSI PERSONALE, l’ORIGO è il mittente del messaggio, da cui sono distinti il ricevente e i
partecipanti “terzi”; l’opposizione fra questi ruoli è codificata in molte lingue dall’opposizione personale fra
I, II e III persona. In italiano la deissi personale si manifesta nella flessione verbale personale (“mangio?”
rispetto a“mangi?”) e in sistemi di morfemi liberi come i possessivi e i pronomi personali.

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- Le espressioni di I e II persona sono intrinsecamente deittiche, ossia posso capire il riferimento di “io” solo
se so chi sta parlando.
Le espressioni di III persona hanno uso dittico in casi come: - “è stato lui!” in cui un bambino indica alla
maestra il colpevole di un misfatto indicandolo testualmente.
-PER LA DEISSI SPAZIALE, l’ORIGO coincide con la posizione occupata dal parlante mentre proferisce il suo
enunciato; esistono sistemi deittici organizzati intorno a opposizioni più o meno complesse. L’italiano è una
lingua in transizione da un sistema tripartito, che oppone parlante-ascoltatore-esterno, a un sistema
bipartito parlante-esterno. Per questo vengono utilizzati avverbi come “qui”, “lì” o verbi come“venire”,
“andare”, che esprimono un’idea di movimento orientate rispetto al parlante.
-PER LA DEISSI TEMPORALE, l’origo coincide con il momento in cui il parlante proferisce il suo enunciato. In
italiano utilizziamo alcuni aggettivi, avverbi ed espressioni avverbiali (“ora”, “un momento fa”, “oggi”) ma
anche molti tempi verbali (“sto facendo”, “stavo facendo”, etc.)

*2.1.2. DEISSI SOCIALE


Nel campo delle relazioni deittiche è stata poi individuata la DEISSI SOCIALE, relativa alla segnalazione dei
rapporti sociali reciproci esistenti fra gli interlocutorie messi in gioco nello scambio comunicativo. In questo
senso la deissi sociale sarebbe riconducibile secondo alcuni alla deissi personale. Sarebbe una
Manifestazione di deissi sociale l’alternanza d’uso fra gli allocutivi “tu” e “lei”:
a-“lei che cosa prende? ”b-“tu che cosa prendi?”
con questa opposizione, il parlante segnala il proprio rapporto sociale nei confronti dell’ascoltatore in
termini di intimità e simmetria.
- E’ un campo in cui esistono grandi differenze fra sistemi linguistici diversi: in termini di pervasività del
fenomeno, per cui in alcune lingue la segnalazione della deissi sociale investe ampi settori del lessico e della
morfosintassi, il cosiddetto sistema degli onorifici; in termini di complessità delle distinzioni operate nel
sistema; in termini di parametri pertinenti per operare distinzioni.

*2.1.3. DEISSI TESTUALE:


In riferimento alla deissi testuale o logodeissi, Conte riporta il seguente esempio:
4.“qui comincia l’avventure del signor Bonaventura”in cui “qui” significa “in questo punto del testo”.
- La deissi testuale fa ricorso a coordinate di tipo spaziale e temporale, ma si serve di un campo indica le
particolare, con un “salto” metacomunicativo, dal mondo in cui si riproduce il testo al mondo del testo
stesso.
- Hanno come ORIGO: il tempo e il luogo del testo stesso che il mittente sta producendo o il destinatario
interpretando: il testo è cioè trattato metaforicamente come un luogo fisico. In questo senso vanno
interpretati l’uso dei tempi verbali e delle espressioni.

* 2.2. TRASLARE I CAMPI INDICALI


Nel corso di una conversazione, il centro dittico dei vari campi indicali muta continuamente, poiché ogni
parlante adotta come ORIGO se stesso e ogni ascoltatore deve quindi operare una conseguente
interpretazione dei deittici sulla base del campo indicale del parlante.
-DEISSI FANTASMICA:
Talvolta i parlanti evocano nel discorso campi indicali che non hanno come ORIGO quella in cui avviene o è
avvenuta l’enunciazione, o si servono di indicali deittici per riferirsi a referenti non presenti nella situazione.

-In altri casi è il parlante a spostarsi in un altro campo indicale; una persona che dà indicazioni per
raggiungere un luogo può servirsi in ogni momento di un campo indicale traslato collocato nel luogo in cui si
troverà l’ascoltatore in quel momento del percorso:
- “svolta al prossimo incrocio, fai 200 metri e il cinema è subito qui (gesto con lamano) sulla destra ”Il “qui
sulla destra” non significa sulla destra dello spazio reale, ma sull’immediata destra del luogo e della

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direzione in cui si troverà l’ascoltatore in quel momento del percorso.

*2.3. ANAFORA
(dal greco “rimando all’indietro”, perché tornando indietro nel discorsosi trovano i riferimenti necessari per
interpretare l’espressione in questione) è il fenomeno per cui il riferimento di un’espressione linguistica è
vincolato al riferimento di un’altra espressione del discorso.

*2.3.1. MEZZI PER IL RIMANDO ANAFORICO


Un legame anaforico può essere avviato da diversi mezzi linguistici, ad esempio dall’ellissi.
-Le lingue possiedono diverse classi di espressioni indicali (personali, spaziali,temporali) che vanno
interpretate sulla base di relazioni di tipo anaforico.
- In italiano, hanno intrinseco valore anaforico (sia spaziale che temporale): aggettivi come “successivo”,
“precedente” o avverbi come “prima” o “dopo”; alcuni tempi verbali. Anche i descrittori posso instaurare
relazioni di tipo anaforico. L’uso dei descrittori nel rimando anaforico consente di aggiungere tratti
connotativi al referente in questione.

*2.3.2. RELAZIONI FRA ANTECEDENTE E ANAFORA


Mentre nell’anafora spaziale e temporale le relazioni fra antecedente e anafora sono normalmente in ordine
lineare (prima-dopo-coincidente), nell’anafora personale la relazione fra l’espressione anaforica e il suo
antecedente è di solito di identità di riferimento (anafora coreferente), cioè l’espressione si riferisce allo
stesso referente del suo antecedente.
-Tra antecedente e anafora può esserci anche identità di senso:
- “Gli studenti registrati avranno precedenza su quelli non registrati”
“Quelli” rimanda a “studenti” come significato intensionale ma non come significato estensionale; si parla di
anafora cosignificante.
- Può poi esserci rimando non al referente evocato dall’antecedente, ma dall’espressione stessa.
“ Lo studente chiede al professore di sillabare non il libro ma il suo nome”:
a.“Poi può guardare il libro della Wierzbicka”
b.“Può sillabarlo per favore?”
Conte parla in questo caso di anafora con salto di suppositivo, perché l’antecedente è considerato per il suo
significante ( in suppositione materiali) . E’ ricondotto sotto l’anafora referenziale ,con l’etichetta di anafora
associativa o semantica, il legame che si instaura fra referente testuale e un antecedente che introduce il
quadro di riferimento (frame)grazie al quale il referente stesso viene interpretato. Il fenomeno è detto
anche referenza implicita, intendendo che l’antecedente è introdotto nel discorso in modo implicito,
attraverso l’attivazione del frame(

*2.3.3. RECUPERO DELL’ ANTECEDENTE


- l’interpretazione delle relazioni anaforiche da parte dell’interprete di un messaggio può far leva su principi
morfosintattici, semantici o pragmatici.
- Per recuperare l’antecedente del clitico femminile “le”,che non può essere costituito dall’insieme “latte e
uova” (richiederebbe un maschile), ma deve essere il solo “le uova”,ricorreremo a conoscenze
morfologiche:
5.”Ho comprato il latte e anche le uova. Se ti servono te le do io!”
-In altri casi, il legame anaforico può essere guidato dalla conoscenza del significato intensionale di
descrittori ed espressione antecedente:
6.”Un cane abbaiava furiosamente sotto la pioggia. L’animale non si placò fino a sera!”
Ricondurre l’espressione “l’animale” la referente “un cane” già menzionata è possibile solo se conosco il
significato intensionale delle due espressioni e le loro relazioni reciproche.

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*2.4. ANAFORA E DEISSI EMPATICA


Le relazioni di deissi e anafora possono essere sfruttate in senso metamorfico, per segnalare un
atteggiamento emotivo del parlante verso l’ascoltatore o verso il proprio oggetto di discorso: a questi usi si
dà il nome di anafora o deissi empatica (o emotiva o affettiva). Le relazioni di vicinanza/distanza segnalate
dai dimostrativi possono ad esempio essere sfruttate per segnalare un atteggiamento di vicinanza/distanza
emotiva rispetto all’interlocutore o al referente menzionato:
7.”Che cosa vuole questa bella bambina?”
-Nel rimando anaforico , può essere sfruttata l’opposizione di genere o di tratto umano/non umano per
qualificare il referente come più o meno vicino alla sensibilità del parlante

CAPITOLO 3: L’ENUNCIATO COME INFORMAZIONE


*3.1. SIGNIFICATO DEGLI ENUNCIATI
Se espressioni referenziali hanno come contenuto semantico individui e oggetti, gli enunciati hanno come
contenuto semantico situazioni, eventi, ovvero stati di cose validi per certi referenti e in certe circostanze
spazio-temporali.
-Se un amico ci dice:- “ Ieri sera sono andato al cinema”
il contenuto semantico che ne ricaviamo è parafrasabile così: “relativamente al giorno precedente
all’attuale, è valido a riguardo del nostro amico lo stato di cose‘andare al cinema”.
-Come agli stessi referenti ci si può riferire con espressioni referenziali diverse, così uno stesso stato di cose
può essere trasmesso attraverso enunciati diversi, e la specifica forma che un enunciato assume in un
discorso (la sua struttura informativa) dipende dal modo in cui l’enunciato si inserisce nel modello di
discorso in atto.

*3.2. DINAMISMO COMUNICATIVO


La Scuola linguistica di Praga è stata la prima ad avviare una riflessione sistematica sul fatto che: nella forma
che un enunciato assume agiscono principi di natura pragmatica attinenti il modo in cui l’informazione è
organizzata. A tal proposito si parla di dinamismo comunicativo di cui sono dotate le diverse porzioni
dell’enunciato:
1.IL MINIMO DINAMISMO COMUNICATIVO: è portato dagli elementi noti e maggiormente condivisi fra gli
interlocutori, considerati non oggetto di discussione;
2.IL MASSIMO DINAMISMO COMUNICATIVO: è portato dagli elementi non condivisi e nuovi, che
costituiscono l’apice informativo e quindi il vero obiettivo comunicativo.
- Le lingue possiedono diversi mezzi per variare le struttura informativa dell’enunciato, cioè nel trasmettere
un’informazione, il parlante procederebbe partendo dai dati condivisi e controversi:-
“Bush: non mi dimetto”
1.in prima posizione sono collocate le informazioni che possono costituire per il lettore un punto di partenza
condiviso(l’identità del presidente) per proseguire con le informazioni nuove.
2. Il parlante tenderebbe poi a codificare sulla frase principale e sui costituenti argomentali le informazioni
con il massimo grado di dinamismo comunicativo e sulle frasi secondarie e sui costituenti non argomentali
leinformazioni di sfondo.
Ad esempio della scena di un delitto si possono dare descrizioni differenti.
Le due principali funzioni informative dell’enunciato sono FOCUS E TOPIC.

*3.2.1. FOCUS
E’ la porzione dell’enunciato che ha maggior grado di dinamismo comunicativo. E’normalmente collocato in
posizione finale ed è segnalato da un accento più rilevato; è infatti la porzione fondamentale di un
Enunciato.
E’ particolarmente evidente nei dialoghi di domanda e risposta:

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A –“hai pagato il caffè?”


B –“sì”
Il focus informativo cui verte la domanda è l’avvenuta esecuzione da parte dell’interlocutore B dell’azione
“pagar il caffè”; nella sua risposta, B esplicita esclusivamente questa informazione.

Invece: A –“chi ha pagato il caffè?”


B –“io”
Il focus cui verte la domanda è l’identità dell’individuo cui va attribuita la responsabilità del fatto che lo
stato di cose “pagare il caffè” si è verificato;
-nella risposta B esplicita esclusivamente questa risposta. Nei due casi visti il focus è detto di tipo
completivo.
-FOCUS COMPLETIVO : un’informazione focale nuova, non posseduta in precedenza dall’ascoltatore
-FOCUS CONTRASTIVO : una nuova informazione va selezionata fra più candidati alternativi evocati nel
discorso Da un punto di vista informativo un focus completivo ha la funzione di aggiungere un’informazione
segnalando che essa non è ancora parte del modello di discorso; un focus contrastivo ha la funzione di
fornire un’informazione segnalando in che modo una precedente contenuta nel modello di discorso vada
modificata; in quest’ultimo caso si parla anche di FOCUS CONTROPRESUPPOSIZIONALE

*3.2.2. TOPIC
E’ l’elemento informativo che il parlante presenta come “argomento” dell’ enunciato, ciò di cui intende
parlare. Il ruolo del soggetto è un buon candidato al ruolo tropicale. E’ dunque il punto di partenza di un
enunciato; come tale l’elemento tropicale ha basso grado di dinamismo comunicativo.
-Un particolare tipo di topic, detto: ANTITOPIC:
ha la funzione di attualizzare o riattualizzare un topic identificabile per gli interlocutori, ma che il parlante
ritiene possa non essere attivo per l’ascoltatore nel momento attuale del discorso. Questo topic è collocato
in posizione finale, esterna:
- “l’hai poi portata in tintoria, la tua giacca?”

*3.3. TIPI DI FRASE E STRUTTURA INFORMATIVA


Sulla base delle funzioni di topic e focus, si possono individuare strutture informative:
• Enunciato presentativo: ha l’obiettivo di introdurre nel discorso un nuovo referente, che potrà in seguito
assumere la funzione di topic:
-“Si è fatto vivo Gianni”
•Enunciato predicativo: ha l’obiettivo di dare informazioni a proposito di un referente identificabile posto
come topic:
-“Per quanto riguardaGianni, non ci sono problemi”
•Enunciato eventivo: ha l’obiettivo di informare sull’accadere di un evento, introducendolo come nuovo,
senza che venga segnalato un topic“ a proposito del quale” l’informazione catalogata. In questi enunciati
non esistono una posizione focale e topicale nettamente individuabili:
-“Ha telefonato Gianni”;
•Enunciato identificativo: ha l’obiettivo di identificare il referente appropriato di una relazione predicativa,
eventualmente anche smentendo informazioni già presenti nel modello di discorso. Qui un elemento focale
di tipo contrastivo si contrappone a una predicazione non controversa; l’interesse informativo è nell’identità
dell’elemento focale:
-“E’ Gianni che ha telefonato?”

4 CAPITOLO: L’ENUNCIATO COME AZIONE: CIO’ CHE SI DICE E CIO’ CHE SI FA


-L’ATTO LINGUISTICO: attività che il parlante compie con l’intento di produrre nell’interlocutore una
reazione. E’ stato John Austin, e dopo John Searle a sviluppare la teoria dell’agire linguistico

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4.1.1. STRUTTURA DI UN ATTO LINGUISTICO


Quando un parlante proferisce un enunciato, agisce contemporaneamente a diversi livelli:
- A LIVELLO LOCUTORIO : nel parlare si produce una sequenza di suoni: -“Mi fa male la gamba”
, /mifa’male la’gamba/- a
-A LIVELLO LOCATIVO: nel parlare si esprimono significati, ovvero si fa riferimento ad individui, eventi,
situazioni: -
“Ho male alla gamba”;
- A LIVELLO ILLOCUTIVO: nel parlare si manifestano intenzioni e si perseguono scopi; l’intenzione è di
trasmettere un’informazione.
-Uno stesso atto allocutivo si può eseguire attraverso diversi atti locatori/locativi:
-“Ahia!” ; - “Basta, non ne posso più!” ; - “Mi fa male la gamba!”
- A LIVELLO PERLOCUTIVO: parlando si provocano delle conseguenze di tipo verbale o meno. Gli effetti
possono non corrispondere alle intenzioni manifestate a livello allocutivo; non sono necessariamente
provocati intenzionalmente dal parlante, ma costituiscono comunque un tipo di azione.
- Questa descrizione della struttura di un atto linguistico ci consente di definire la distinzione tra frase ed
enunciato:
♣FRASE: (sequenza verbale dotata di contenuto semantico e di struttura sintattica) è oggetto di studi della
semantica e della sintassi;
♣ENUNCIATO: (prodotto da un parlante in un contesto per determinati scopi)è una sequenza verbale usata
per eseguire un atto linguistico. E’ dotato di significato, in quanto capace di fare riferimento a oggetti,
individui, situazioni ed anche in quanto dotato di scopi, intenzioni e capace di produrre degli effetti.

*4.1.2. TIPI DI ATTO LINGUISTICO


La preoccupazione degli studiosi è di individuare una tassonomia di atti linguistici. Il modello di Searle ne
individua tipi fondamentali. Nella tassonomia, ogni tipo di atto linguistico è caratterizzato da una specifica
forza allocutiva, ovvero da una diversa relazione fra lo stato di cose oggetto della frase e il tipo di azione che
il parlante intende eseguire:
-ATTI ASSETIVI: (dire, concludere, affermare, etc.): il tipo si impegna sulla verità di uno stato di cose;
-ATTI ESPRESSIVI: (ringraziare, rammaricarsi, scusarsi, etc.): il parlante esprime uno stato d’animo;
-ATTI COMMISSIVI: (offrire, promettere, minacciare, etc.): il parlante si impegna sulla realizzazione di un
futuro stato di cose;
-ATTI DIRETTIVI (chiedere, consigliare, domandare, etc.): il parlante chiede all’ascoltatore di impegnarsi a
proposito di uno stato di cose;
-ATTI DICHIARATIVI: (condannare, battezzare, promuovere, etc.): il parlante produce un cambiamento della
realtà corrispondente al contenuto locativo dell’atto stesso.

*4.1.4. ASSERZIONI
Un parlante dichiara che un certo stato di cose è vero:
- “Gianni è arrivato, ma non ho la minima idea se questo sia vero”. La condizione di sincerità del parlante
equella di plausibilità della verità sono condizioni di felicità di un atto assertivo. .Qualora un parlante non sia
certo della validità di quanto afferma, può segnalare questo fatto in vario modo.

*4.1.5. DOMANDE E RICHIESTE


Con una richiesta un parlante chiama in causa l’interlocutore perché si impegni su un certo stato di cose.
Condizione necessaria per l’esecuzione felice di un atto è che l’interlocutore abbia la possibilità di fare ciò
che gli è domandato. Il fatto che un atto sia non felice, non significa che esso non venga mai eseguito nella
realtà. Diverso dalla richiesta è l’atto della domanda, cioè l’interrogare l’interlocutore sulla verità di uno
stato di cose. Fra le condizioni di felicità sono la non conoscenza da parte del parlante dell’informazione
richiesta e la supposizione che l’interlocutore ne sia a conoscenza. Anche in questo caso, tali condizioni

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possono essere violate. Osserviamo in fine che l’atto di domanda è adottato come mezzo per esprimere
indirettamente una richiesta.

*4.2. FORZA ILLOCUTIVA E STRUTTURA INFORMATIVA


La forza illocutiva di un enunciato interagisce con la sua struttura informativa, in quanto essa si applica
all’articolazione focale. In un’asserzione il parlante si impegna sulla validità della connessione fra il focus e il
background, mentre tutto ciò che non è in focus resta escluso ed è dato come non messo in discussione.
Esempio: A –“C’è mio zio Gianni che è arrivato ieri.”
B –“non è vero!”
Immaginiamo che la menzogna di cui A è accusato riguardi l’arrivo del personaggio nominato e che non sia
in discussione la proprietà “zio”. Diversamente sarebbe se il parlante asserisse invece un enunciato di tipo
identificativo
come: A –“Quel Gianni che è arrivato ieri è mio zio Gianni!”
B –“Non è vero!”

*4.3. ATTI LINGUISTICI DIRETTI ED INDIRETTI


Come a tutti i livelli della lingua, la corrispondenza fra funzione linguistica e mezzi espressivi non è biunivoca
e rigida. D’altronde, un parlante può servirsi di un mezzo espressivo normalmente associato a una certa
forza illocutiva per esprimere una diversa forza illocutiva,
- ESEMPIO_
- “Scommetto che ti sei dimenticato!” In cui sicuramente non voglio scommettere, lo la frase:
-“Le spiace smettere di fumare?” dove non intendo chiedere un informazione.

- ATTI LINGUISTICI INDIRETTI: la forza illocutiva è espressa in modo traslato. La loro esistenza è la
manifestazione della flessibilità di uso delle lingue, che si manifesta ad ogni livello e consente ai parlanti di
forzare e modificare l’uso delle espressioni linguistiche: metafora, metonimia, ironia… ne sono
manifestazioni. La capacità di interpretare correttamente la forza illocutiva diretta o indiretta può essere
messa in crisi in una comunicazione interculturale.

4.4. VERBI PERFORMATIVI


Possiamo esplicitare il tipo di azione che un parlante esegue nel proferire un enunciato usando dei verbi che
qualifichino l’azione verbale compiuta:
-“Ti informo/ ti dico/ dichiaro che lunedì pioverà!”;
- “Prometto che farò il bravo”
Attraverso questi enunciati il parlante si limita a descrivere l’azione che sta compiendo, mentre nelle
seguenti:
-“Corro a casa!”
mentre le descrive le esegue. I verbi come prometter, informare, chiedere, scommettere sono detti verbi
performativi. Solo in specifiche circostanze e forme un verbo performativo ha questa proprietà:
-“Gli ho promesso di rientrare presto!”
Questo enunciato non vale come promessa, ma come descrizione di una promessa e non si comportano
diversamente dagli enunciati. L’esistenza diverbi con queste caratteristiche ha aperto la strada all’idea che
parlare è un mezzo per agire, o che ci sono azioni che si eseguono attraverso il linguaggio

*CAPITOLO 5:
L’INFERENZA E’ Deduzione intesa a provare o sottolineare una conseguenza logica.
*5.2. FONTI DELLE INFERENZE
La produzione di inferenze è quindi il risultato dell’attività di comprensione e interpretazione degli indizi
presenti nel modello di discorso; esse possono scaturire da tutte le componenti del contesto:

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il discorso in atto, la situazione comunicativa, le conoscenze e le aspettative generali sul funzionamento del
mondo e sul comportamento delle persone.
-ESEMPIO: “Ho smesso di fumare” In risposta alla domanda “Come va?”, produrrà nell’interlocutore
inferenze diverse, anche opposte, come:
a)Sto benone
b)Sto malissimo.
Un tono di voce o un’espressione facciale dimessi o ironici potrebbe far propendere per l’inferenza b) e
viceversa. Anche informazioni sul parlante sarebbero d’aiuto. Infine, ci orientano nella produzione di
inferenze le nostre conoscenze generali sul funzionamento del mondo e le nostre aspettative sul
comportamento delle persone.

*5.3. CONSEGUENZE
Alcune inferenze sono trattate come ipotesi, supposizioni in attesa di essereverificate; altre inferenze invece
scaturiscono necessariamente da un enunciato,sono cioè non cancellabili: chiamiamo queste inferenze
obbligatorie, necessarie, conseguenze

*5.4. PRESUPPOSIZIONi
Si dice presupposizione un’inferenza che resta valida tanto quando un enunciato è asserito tanto quando
viene smentito o quando sulla sua validità ci si interroga. Le presupposizioni costituiscono, per così dire, le
informazioni di sfondo sulle quali si costruisce (e si discute) l’informazione asserita.
-Alcuni verbi (verbi implicativi) producono presupposizioni sulla validità delle informazioni contenute nelle
frasi dipendenti
ESEMPIO:
a) Mi dispiace aver lavorato con Gaia
b) Non mi dispiace aver lavorato con Gaia
Se entrambe mantengono valida l’inferenza “ Ho lavorato con Gaia, ciò significa che il verbo “dispiacere”
presuppone la verità della frase dipendente

-Fra le presupposizioni più studiate ci sono quelle relative all’esistenza dei referenti menzionati negli
enunciati. In generale, si può osservare come il fatto che l’esistenza di un referente menzionato sia data per
presupposta o invece passibile di smentita dipenda da vari fattori:
♣un referente definito è dato più facilmente per presupposto di un indefinito:
ESEMPIO
a) Non è vero che è passato un giovanotto)
b) Non è vero che è passato lo zio Carlo
UN GIOVANOTTO: non esiste, oppure esiste ma non è passato – esistenza in discussione.
LO ZIO CARLO: esiste, ma non è passato – esistenza non in discussione e presupposta

♣la negazione di certi verbi (obiectum effectum) cancella l’esistenza del referente con il ruolo di oggetto,
mentre con altri verbi (obiectum affectum) l’esistenza del referente oggetto può essere mantenuta:
*5.4.1. PRESUPPOSIZIONI E STRUTTURA INFORMATIVA

ESEMPIO
a) Non è vero che ho scritto la lettera a Babbo Natale )
b) Non è vero che ho spedito la lettera a Babbo Natale
HO SCRITTO: la lettera non esiste.
HO SPEDITO: non l’ho spedita, ma la lettera esiste; oppure non l’ho spedita e non esiste nemmeno.

ESEMPIO:
a) Qualcuno ha pagato il caffè?

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b) Chi ha pagato il caffè?


c) Hai pagato tu il caffè?
In termini di attivazione di presupposizioni si può dire che:
♣con un’ interrogativa totale un parlante non attiva alcuna presupposizione relativa alla proposizione
ma la mette interamente in discussione
♣con un’interrogativa parziale, invece, il parlante attiva una presupposizione dI validità della Porzione
non in focus; sia la b) che la c) in fatti danno per presupposta la validità dell’evento
“Qualcuno ha pagato il caffè” e mettono in discussione solo l’identità del costituente su cui verte
la domanda.
Dunque, la struttura informativa di un enunciato attiva presupposizioni relative alla validità
della porzione in background, mentre la parte focale è quella che è messa in discussione;
*6 CAPITOLO: LA CONVERSAZIONE COME AGIRE RAZIONALE
6.1 Significato delle parole e intenzioni del parlante
PAUL GRICE scrisse la “TEORIA DEL SIGNIFICATO NON NATURALE”. In particolare Grice
si concentra sulle nozioni di convenzione e intenzione come basi per l’interpetazione dei messaggi negli
scambi comunicativi.
-Tradizionalmente alla base del linguaggio umano è posta la nozione di convenzionalità: la produzione e
comprensione dei messaggi è garantita dall’esistenza di convenzioni che regolano il significato
delle espressioni linguistiche e che consentono la traducibilità degli enunciati in messaggi dotati di
significato (il significato degli enunciati scaturisce dalla decodifica del senso delle parole).
-A questa prospettiva Grice ne sostituisce una alla cui base sta la nozione di intenzionalità:
la produzione e comprensione dei messaggi è garantita dalla capacità dei parlanti di interpretare le
intenzioni comunicative degli interlocutori a partire dagli enunciati da loro proferiti:
il significato degli enunciati scaturisce dall’interpretazione delle intenzioni che il parlante manifesta.
-Alla base della comunicazione, nella prospettiva di Grice, non c’è dunque laconvenzionalità (il
significato delle parole), ma l’intenzionalità, cioè la capacità dei parlanti di esibire le proprie
intenzioni comunicative e riconoscere quelle altrui attraverso mezzi diversi (come il linguaggio verbale
appunto).

*PRINCIPIO DI COOPERAZIONE
La comunicazione è un attività che si svolge fra più persone, ciascuna delle quali esibisce intenzioni
comunicative e cerca di interpretare quelle altrui,
Ogni parlante parte dal presupposto che gli interlocutori collaborino alla riuscita della comunicazione;
senza queste aspettative reciproche la conversazione sarebbe impossibile. Ciò non significa che non ci siano
persone che si comportano in modo non cooperativo. Il principio di cooperazione che sta alla base della
conversazione nella prospettiva di Grice (1975) è quindi da interpretare come una necessità costitutiva delle
conversazioni: non si ha conversazione se non si ha cooperazione, o, in altri termini, si può chiamare
conversazione un’attività dialogica in cui i parlanti cooperano per comunicare. Dal principio di cooperazione
Grice fa discendere 4 massime, che altro non sono che manifestazioni concrete dello stesso principio:

-MASSIMA DELLA QUALITA’


riguarda la validità epistemica degli enunciati che vengono proferiti: in una
conversazione ci si aspetta che ogni parlante fornisca un contributo comunicativonella misura in cui ritiene
che esso sia vero. Questa massima richiama da vicino l’idea delle condizioni di felicità che rendono
accettabili gli atti linguistici e afferma che sia importante quindi non dire qualcosa che crediamo sia falso o
non dire ciò per cui non abbiamo prove adeguate.

-MASSIMA DELLA QUANTITA’


Secondo questa massima i parlanti si aspettano che in una conversazione gli interlocutori

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forniscano un contributo comunicativo pari a quello richiesto per la riuscita della comunicazione stessa.
-Questa massima è molto evidente nel comportamento dei parlanti di fronte alle domande, perché
in questo caso è ben delineata dalla domanda stessa la quantità di informazione richiesta. Di fronte ad una
domanda ci aspettiamo che i parlanti rispondano fornendo le informazioni richieste.

-MASSIMA DELLA RELAZIONE


Secondo la massima della relazione i parlanti prevedono che in una conversazione si fornisca un contributo
informativo pertinente alla comunicazione in corso. E’sulla base di questa massima che le risposte alla
domanda “Ha figli?” saranno diverse se a porre la domanda è l’impiegato allo sportello dell’anagrafe o una
persona appena conosciuta ad una festa. “No, ma i figli di mia sorella sono come figli per me sarà valutata
come pertinente nel secondo caso ma non nel primo.

-MASSIMA DEL MODO


Secondo questa massima, in una conversazione ci si esprime in modo da agevolare la comprensione del
proprio contributo comunicativo da parte degli interlocutori. La massima del modo riguarda non ciò che
viene detto ma il modo in cui ciò viene detto.
Quindi è importante: evitare l’oscurità di espressione, evitare l’ambiguità, essere brevi, essere ordinati
nell’esposizione

*Implicature
Le aspettative dei parlanti riguardo il rispetto delle massime influisce sulle scelte espressive e sul processo
interpretativo.
-Le implicazioni conversazionali sono delle inferenze che scaturiscono da queste quattro massime: non
scaturiscono quindi dal significato convenzionale delle espressioni linguistiche, bensì dal comportamento
comunicativo e dalle aspettative che si creano su di esso. Queste implicature sono cancellabili, smentibili o
non attivabili se il contesto porta ad una diversa interpretazione del comportamento del parlante.
-le implicazioni convenzionali invece sono quegli impliciti che dipendono dall’uso di certe espressioni, e
non richiedono per essere capiti, l’assunto che il parlante stia agendo nei termini del principio di
cooperazione

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