Il termine pragmatica stato introdotto nellarea degli studi semiotici nel 1938
da Charles Morris. Nellambito della semiotica (la scienze che studiano i segni e i
codici, fra cui le lingue naturali) Morris distinse tre campi di studio:
- la sintassi, cio lo studio delle relazioni fra i segni
- la semantica, cio lo studio delle relazioni fra i segni e gli elementi della realt
cui essi rimandano
- la pragmatica, cio lo studio delle relazioni fra i segni e gli utenti del codice.
La pragmatica, come risulta anche dalla coeva definizione del filosofo del
linguaggio Carnap (1938), si contrappone perci sia alla semantica che astrae dal
riferimento agli utenti, sia alla sintassi, che astrae sia dal riferimento agli utenti
sia dal riferimento alla realt cui essa rimanda.
Una diversa definizione di pragmatica stata proposta da Katz e Fodor (1963), di
impostazione formale generativa. Secondo i due studiosi la pragmatica dovrebbe
essere lo studio dellesecuzione linguistica, in contrapposizione alla semantica e
alla sintassi che si occupano delle propriet sistematiche della lingua in quanto
codice.
In reazione a questa visione limitata della competenza linguistica dei parlanti
come competenza del codice, tipica della linguistica formale, stata coniata da
Dell Hymes lespressione competenza comunicativa, con cui si fa riferimento
allabilit degli utenti di una lingua di usarla in modo efficace e appropriato in
diversi contesti per esigenze comunicative di vario tipo. Potremmo dunque definire
in questo senso la pragmatica come scienza della competenza comunicativa.
Nel tentativo di definire lambito della pragmatica in modo da individuarne la
specificit rispetto alle altre scienze del linguaggio, liberandola dal ruolo di scienza
occasionale e contigente, Stephen Levinson (1983) nellintroduzione al suo
manuale di pragmatica porpone e discute diverse definizioni, ritenendo che la pi
convincente, anche se non esente da problemi, sia: La pragmatica lo studio delle
relazioni tra lingua contesto che sono fondamentali per spiegare la comprensione
della lingua stessa.
Significato delle parole e significato degli enunciati.
Sappiamo che le parole, i morfemi, i suoni di una lingua, in quanto facenti parte di
un codice o sistema condiviso, possono essere descritti allinterno di questo
sistema. Gli enunciati (espressioni linguistiche usate in una situazione discorsiva
specifica) hanno un valore che va ricostruito allinterno di questa situazione.
Il valore degli enunciati non si pu ricostruire completamente a partire dal
significato delle parole che li compongono: capiamo esattamente che cosa
significano le parole grazie alla comprensione del valore dellenunciato nel
contesto. Per questo ci si chiede se sia pi efficace unimpostazione composizionale
(il significato di un enunciato scaturisce dalla composizione del significato delle
parole) o unimpostazione decomposizionale (il prius dellinterpretazione del
significato sarebbero gli enunciati in contesto, e le singole parole verrebbero
interpretate a partire da questi).
Che cos il contesto?
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DARE UN NOME ALLE COSE
Ci sono due diversi usi che possono avere i nomi (o le espressioni nominali in
generale) nel discorso:
- funzione allocutiva: per richiamare lattenzione dellinterlocutore, ovvero per
instaurare o consolidare il legame discorsivo fra parlante e interlocutore. In alcune
lingue tale uso marcato dal caso vocativo (Gentili ascoltatori, tra pochi minuti la
telecronaca della semifinale Portogallo-Olanda)
- funzione referenziale: quando il parlante evoca nel discorso elementi della
realt (referenti); un referente evocato attraverso questo tipo di espressione
diventa un referente testuale del modello di discorso in atto (Il governo ha varato
una nuova modifica alla Finanziaria).
Questi due usi non esauriscono la gamma di funzioni che possono avere le
espressioni nominali: esse possono avere anche funzione attributiva o predicativa,
ACCESSIBILIT
La scelta delle espressioni referenziali pu essere funzionale a segnalare il grado di
accessibilit di un referente, ovvero quando esso identificabile in modo univoco
per i parlanti e quanto presente allattenzione dei parlanti in un dato momento.
Con identificabilit di un referente si intende la possibilit di identificabile in modo
univoco. Ad esempio scarpe:
- ho preso le scarpe blu
(quelle che conosci anche tu: identificabile)
- ho preso delle scarpe blu (che non saprei/non voglio identificare pi precisamente:
non identificabile specifico)
- prendi delle scarpe blu
(qualsiasi: non identificabile non specifico)
Con attivazione di un referente si intende in fatto che esso sia o meno presente
allattenzione dei parlanti in un dato momento del discorso:
- ho comprato delle scarpe nuove
(non accessibile, non presente nella memoria
dellascoltatore)
- ho comprato quelle scarpe che avevo visto in vetrina, ti ricordi? (presente alla
memoria dellascoltatore ma non attivo nel modello di discorso)
- le ho comprate stamattina (attivo nel modello di discorso)
Laccessibilit di un referente dipende dalle diverse componenti di conoscenza a
disposizione dei parlanti in uno scambio comunicativo, ovvero:
* linsieme di conoscenze condivise fra i parlanti o supposte tali:
- il Consiglio dei ministri d il via libera alla manovra di 24 miliardi. Critiche
dellopposizione
i referenti Consiglio dei ministri lopposizionesono presentati come
identificabili per il lettore medio che minimamente conosce lordinamento
istituzionale e la politica italiana;
* la situazione:
A mi passi la borraccia?
B lui (cenno del mento verso un terzo escursionista C) non ce l ha?
Il referente borraccia reso attivo dalla situazione di riferimento gita, che
prevede per ogni escursionista un equipaggiamento completo di borraccia; il
referente lui intrinsecamente accessibile perch presente nel contesto e reso
attivo dal cenno del mento;
* il modello del discorso in atto:
Larrestato per le stragi di Madrid: le ho preparate in due mesi.
Il referente arrestato per le stragi di Madrid reso identificabile dalluso di un
descrittore che fornisce tutti gli elementi utili allidentificazione del referente;
reso accessibile e attivo nel modello di discorso dalla sua menzione nella frase
immediatamente precedente.
2
ORIENTARSI NEL CONTESTO
2.1. DEISSI
Si definisce con deissi (dal greco indicazione) il fenomeno per cui il riferimento di
alcune espressioni linguistiche indicali vincolato alle coordinate della situazione
in cui avviene levento comunicativo.
Gli elementi indicali deittici funzionano come segnali indicatori di orientamento
rispetto agli elementi presenti nella situazione comunicativa; il loro riferimento
individuabile solo a partire da tale situazione.
Non si pu capire a chi si riferiscono i pronomi io e tu o la direzione indicata
dagli avverbi qui e qua senza conoscere la situazione in cui si sta svolgendo un
dato evento comunicativo.
2.1.1. DEISSI PERSONALE, SPAZIALE, TEMPORALE
Per lorientamento delle espressioni deittiche il parlante e lascoltatore utilizzano
un sistema di coordinate o campo indicale aventi ciascuno un proprio centro, o
origo. Le deissi possono essere:
- tipo personale, indica i referenti in rapporto al loro ruolo nellevento
comunicativo;
- tipo spaziale, organizza lo spazio rispetto alla posizione dei partecipanti allevento
comunicativo;
- tipo temporale, che colloca nel tempo gli eventi rispetto al momento dellevento
comunicativo.
Per la deissi personale, lorigo il mittente del messaggio, da cui sono distinti il
ricevente e i partecipanti terzi; lopposizione fra questi ruoli codificata in molte
lingue dallopposizione personale fra I, II e III persona. In italiano la deissi
personale si manifesta nella flessione verbale personale (mangio? rispetto a
mangi?) e in sistemi di morfemi liberi come i possessivi e i pronomi personali. Le
espressioni di I e II persona sono intrinsecamente deittiche, ossia posso capire il
riferimento di io solo se so chi sta parlando. Le espressioni di III persona hanno
uso dittico in casi come:
- stato lui!
in cui un bambino indica alla maestra il colpevole di un misfatto indicandolo
testualmente.
Per la deissi spaziale, lorigo coincide con la posizione occupata dal parlante
mentre proferisce il suo enunciato; esistono sistemi deittici organizzati intorno a
opposizioni pi o meno complesse. Litaliano una lingua in transizione da un
sistema tripartito, che oppone parlante-ascoltatore-esterno, a un sistema bipartito
parlante-esterno. Per questo vengono utilizzati avverbi come qui, l o verbi come
venire, andare, che esprimono unidea di movimento orientate rispetto al
parlante.
Per la deissi temporale, lorigo coincide con il momento in cui il parlante
proferisce il suo enunciato. In italiano utilizziamo alcuni aggettivi, avverbi ed
espressioni avverbiali (ora, un momento fa, oggi) ma anche molti tempi
verbali (sto facendo, stavo facendo, etc.)
2.1.2. DEISSI SOCIALE
Nel campo delle relazioni deittiche stata poi individuata la DEISSI SOCIALE,
relativa alla segnalazione dei rapporti sociali reciproci esistenti fra gli interlocutori
e messi in gioco nello scambio comunicativo. In questo senso la deissi sociale
sarebbe riconducibile secondo alcuni alla deissi personale. Sarebbe una
manifestazione di deissi sociale lalternanza duso fra gli allocutivi tu e lei:
a- lei che cosa prende?
b- tu che cosa prendi?
con questa opposizione, il parlante segnala il proprio rapporto sociale nei confronti
dellascoltatore in termini di intimit e simmetria. E un campo in cui esistono
grandi differenze fra sistemi linguistici diversi: in termini di pervasivit del
fenomeno, per cui in alcune lingue la segnalazione della deissi sociale investe ampi
settori del lessico e della morfosintassi, il cosiddetto sistema degli onorifici; in
termini di complessit delle distinzioni operate nel sistema; in termini di
parametri pertinenti per operare distinzioni.
2.1.3. DEISSI TESTUALE
In riferimento alla deissi testuale o logodeissi, Conte riporta il seguente esempio:
4. qui comincia lavventure del signor Bonaventura
in cui qui significa in questo punto del testo. La deissi testuale fa ricorso a
coordinate di tipo spaziale e temporale, ma si serve di un campo indicale
particolare, con un salto metacomunicativo, dal mondo in cui si riproduce il testo
al mondo del testo stesso. Hanno come origo il tempo e il luogo del testo stesso che
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LENUNCIATO COME INFORMAZIONE
3.1. SIGNIFICATO DEGLI ENUNCIATI
Se espressioni referenziali hanno come contenuto semantico individui e oggetti, gli
enunciati hanno come contenuto semantico situazioni, eventi, ovvero stati di cose
validi per certi referenti e in certe circostanze spazio-temporali. Se un amico ci
dice:
- Ieri sera sono andato al cinema
il contenuto semantico che ne ricaviamo parafrasabile cos: relativamente al
giorno precedente allattuale, valido a riguardo del nostro amico lo stato di cose
andare al cinema .
Come agli stessi referenti ci si pu riferire con espressioni referenziali diverse, cos
uno stesso stato di cose pu essere trasmesso attraverso enunciati diversi, e la
specifica forma che un enunciato assume in un discorso (la sua struttura
informativa) dipende dal modo in cui lenunciato si inserisce nel modello di discorso
in atto.
3.2. DINAMISMO COMUNICATIVO
La Scuola linguistica di Praga stata la prima ad avviare una riflessione
sistematica sul fatto che, nella forma che un enunciato assume agiscono principi di
natura pragmatica attinenti il modo in cui linformazione organizzata. A tal
proposito si parla di dinamismo comunicativo di cui sono dotate le diverse porzioni
dellenunciato: il minimo dinamismo comunicativo portato dagli elementi noti e
maggiormente condivisi fra gli interlocutori, considerati non controversi e non
oggetto di discussione; il massimo dinamismo comunicativo portato dagli
elementi non condivisi e nuovi, che costituiscono lapice informativo e quindi il vero
obiettivo comunicativo. Le lingue possiedono diversi mezzi per variare le struttura
informativa dellenunciato, cio nel trasmettere uninformazione, il parlante
procederebbe partendo dai dati condivisi e controversi:
- Bush: non mi dimetto
in prima posizione sono collocate le informazioni che possono costituire per il
lettore un punto di partenza condiviso(lidentit del presidente) per proseguire con
le informazioni nuove. Il parlante tenderebbe poi a codificare sulla frase principale
e sui costituenti argomentali le informazioni con il massimo grado di dinamismo
comunicativo e sulle frasi secondarie e sui costituenti non argomentali le
informazioni di sfondo. Ad esempio della scena di un delitto si possono dare
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LENUNCIATO COME AZIONE:
CIO CHE SI DICE E CIO CHE SI FA
4.1. TRASMETTERE INFORMAZIONI ED ALTRE AZIONI LINGUISTICHE
Gli enunciati seguenti promettono, richiedono e scommettono su uno stato di cose:
- Far il bravo!
- Mi aiuti, per favore?
- Venti euro che domenica vinciamo!
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CIO CHE SI DICE E CIO CHE SI INTENDE DIRE
- Levati il cappello - disse il Re al Cappellaio.
- Non mio - disse il Cappellaio.
- Rubato! - esclam il Re, rivolto ai giurati, che subito presero nota del fatto.
5.1. INFERENZE
Che cosa porta il Re ad affermare che il cappellaio ha rubato il cappello? Ha
ragione a sostenere questo?
La comprensione di un enunciato, cio la sua integrazione nel modello di discorso,
pu portare gli interlocutori ad assumere per valide informazioni supplementari,
che non sono esplicitamente asserite dai parlanti, ma la cui verit viene suggerita
dallinsieme delle informazioni trasmesse e presenti nel modello del discorso.
Se dico il Cappellaio ha rubato il cappello, faccio un esempio di informazione
supplementare, che non dunque asserita dal parlante in questo caso il
Cappellaio ma inferita dallinterlocutore in questo caso il Re o il lettore sulla
base della sua attivit di comprensione e di costruzione del modello di discorso:
chiamiamo inferenze le informazioni ottenute in questo modo.
5.2. FONTI DELLE INFERENZE
La produzione di inferenze quindi il risultato dellattivit di comprensione e
interpretazione degli indizi presenti nel modello di discorso; esse possono scaturire
da tutte le componenti del contesto: il discorso in atto, la situazione comunicativa,
le conoscenze e le aspettative generali sul funzionamento del mondo e sul
comportamento delle persone.
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Il negozio era chiuso
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Ho smesso di fumare
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Questa frase, sia che noi la consideriamo valida, sia che crediamo alla notizia
opposta, ci far ritenere comunque sempre valida linferenza:
e) Messner ha tentato di salire sul Lotse.
Anche se noi ci ponessimo in tono interrogativo la domanda Messner sar riuscito
a salire sul Lotse?, nel farcela presupporremmo comunque lidea che Messner
abbia tentato di farlo, cio presupporremmo che e) sia comunque vero. In sostanza,
il fatto di salire sul Lotse viene dato per scontato da tutti gli enunciati che
riguardano la riuscita del tentativo.
Alcuni verbi (verbi implicativi) producono presupposizioni sulla validit delle
informazioni contenute nelle frasi dipendenti.
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ES.
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ES.
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LA CONVERSAZIONE COME AGIRE RAZIONALE
6.1 Significato delle parole e intenzioni del parlante
Ci occupiamo ora della teoria sul linguaggio elaborata da Paul Grice e nota come
teoria del significato non-naturale. In particolare Grice si concentra sulle nozioni
si convenzione e intenzione come basi per linterpetazione dei messaggi negli
scambi comunicativi. Tradizionalmente alla base del linguaggio umano posta la
nozione di convenzionalit: la produzione e comprensione dei messaggi garantita
dallesistenza di convenzioni che regolano il significato delle espressioni
linguistiche e che consentono la traducibilit degli enunciati in messaggi dotati di
significato (il significato degli enunciati scaturisce dalla decodifica del senso delle
parole). A questa prospettiva Grice ne sostituisce una alla cui base sta la nozione di
intenzionalit: la produzione e comprensione dei messaggi garantita dalla
capacit dei parlanti di interpretare le intenzioni comunicative degli interlocutori a
partire dagli enunciati da loro proferiti: il significato degli enunciati scaturisce
dallinterpretazione delle intenzioni che il parlante manifesta.
Come sappiamo, luso delle lingue verbali non lunica forma ci comunicazione a
disposizione degli esseri umani; si possono usare gesti, azioni, versi: quel che
accomuna queste diverse forme di comunicazione non la convenzionalit del
codice usato, ma lintenzionalit del comportamento del comunicatore.
Alla base della comunicazione, nella prospettiva di Grice, non c dunque la
convenzionalit (il significato delle parole), ma lintenzionalit, cio la capacit dei
parlanti di esibire le proprie intenzioni comunicative e riconoscere quelle altrui
attraverso mezzi diversi (come il linguaggio verbale appunto).
6.2 Principio di cooperazione
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Implicature conversazionali
Le aspettative dei parlanti riguardo il rispetto delle massime influisce sulle scelte
espressive e sul processo interpretativo. Le implicazioni conversazionali sono delle
inferenze che scaturiscono da queste quattro massime: non scaturiscono quindi dal
significato convenzionale delle espressioni linguistiche, bens dal comportamento
comunicativo e dalle aspettative che si creano su di esso. Queste implicature sono
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LA CONVERSAZIONE COME AGIRE SOCIALE:
ROUTINE E RITUALI
7.1 Analisi della conversazione
Sappiamo che spesso ci accade di fare domande di cui non ci interessa conoscere la
risposta (violando cos una condizione di felicit degli atti di domanda) o di cui
magari conosciamo gi la risposta (e in questo caso violiamo una seconda
condizione di felicit): ad esempio quando ci facciamo raccontare per lennesima
volta un aneddoto da un amico solo perch sappiamo che gli fa piacere farlo; oppure
quando poniamo una domanda imbarazzante ad una persona antipatica, anche se
sappiamo gi la risposta, per il gusto di metterla in difficolt. In queste situazioni
noi simuliamo: facciamo finta di desiderare di sapere una cosa e di non saperla
ancora. Questo comportamento pu avere diverse motivazioni, che non riguardano
lacquisire informazioni, ma ad esempio per riempire un momento in cui la
conversazione langue (e sappiamo infatti che il non far languire le conversazioni
un comportamento socialmente molto apprezzato); in altri casi il fatto di fare una
domanda pu far sentire linterlocutore importante, apprezzato, considerato,
oppure metterlo in imbarazzo o in difficolt.
Tutti questi esempi ci mostrano che esistono regole volte a fare in modo che lo
scambio abbia successo non solo dal punto di vista strumentale ma, in senso pi
ampio, nella salvaguardia delle relazioni fra i partecipanti. Di questo insieme di
regole, in parte universali e in parte culturalmente determinate, seguendo il filone
di studi detto dellanalisi della conversazione, ci occupiamo delle regole che servono
alla gestione degli scambi comunicativi. Promotori di questi studi sono i lavori di
Sacks, Schlegoff, Jefferson e Pomerantz.
Gli studi di analisi della conversazione, rispetto ad altri filoni di studi come la
teoria degli atti linguistici, adottano un punto di vista e un metodo di analisi pi
empirici, rigorosamente legati allosservazione della struttura di scambi
comunicativi reali e alla loro interpretazione secondo categorie. Lintento
dichiarato quello di individuare le regole che i parlanti stessi mostrano di
riconoscere e osservare, con il proprio comportamento, negli scambi comunicativi.
7.1.1 Turni
Uno dei primi problemi che ci si posti la necessit di individuare delle unit di
analisi. Lunit di analisi di base stata individuata nel turno, con cui si intende la
sequenza di parole che ogni partecipante produce in modo continuativo prima che
intervenga un altro. Quando un nuovo partecipante interviene inizia un nuovo
turno.
Lalternanza dei turni fra i partecipanti aallinterazione non sempre regolata in
modo da evitare il fenomeno della sovrapposizione, cio il fatto che pi soggetti
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Una prima regola prevede che chi parla possa selezionare il parlante successivo
attraverso una serie di segnali, ad esempio interpellandolo direttamente o
accennando nella sua direzione con lo sguardo o con un segno della mano.
Tuttavia, se il parlante non seleziona nessun parlante successivo, una seconda
regola prevede che quando egli smette di parlare, qualsiasi partecipante pu
autoselezionarsi per il turno successivo. Se chi stava parlando non ha
specificamente indirizzato la propria mossa comunicativa a qualcuno, chiunque
pu intervenire. Questa regola entra in azione solo se il caso precedente non si
verificato.
Una terza regola, infine, prevede che se chi parla non ha selezionato alcun parlante
successivo e nessuno si selezione per il turno successivo, il primo parlante pu
riprendere la parola e iniziare un nuovo turno.
In interazioni in cui i ruoli dei partecipanti sono asimmetrici, la gestione dei turni
pu essere affidata a una figura che assegna i turni di parola.
7.2 Simmetria, potere, dominanza
Solo alcune interazioni (tipicamente le conversazioni informali fra pari) prevedono
una perfetta simmetria o equivalenza di ruoli fra i partecipanti, prevedono cio che
i vari partecipanti possano alternarsi con le stesse funzioni e negli stessi ruoli.
Frequenti sono per le interazioni asimmetriche nelle quali i ruoli non sono
equivalenti: per i partecipanti sono previsti diversi diritti nellassegnare e prendere
i turni di parola, nelleseguire le mosse comunicative forti e nel gestire
lorientamento dei contenuti dellinterazione; i partecipanti hanno cio diverso
potere interazionale. Sono di questo tipo molte interazioni istituzionali, cio
codificate nel repertorio culturale secondo determinati parametri: durante una
visita medica non ci si aspetta che il paziente possa interrogare il medico sulla sua
salute o su quella dei membri della sua famiglia.
Asimmetria pu manifestarsi anche quando un singolo partecipante assume una
posizione dominante, per numero e durata dei turni, per mosse forti di gestione
dellinterazione o altro. La dominanza pu essere dominata da vari fattori, come
una maggiore competenza linguistica o comunicativa.
Le regole di gestione dellinterazione e i ruoli sono in parte prevedibili in base alla
conoscenza del tipo di intrerazione in corso, ma non ne sono determinati
necessariamente: in ogni interazione i ruoli possono essere ribaditi o ridiscussi dai
partecipanti.
7.3. Strategie di cortesia
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