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Cecilia Andorno

Che cos la pragmatica linguistica


INTRODUZIONE
La pragmatica fra linguistica e filosofia.
Nelletimologia della parola pragmatica si riconosce la radice greca pragma, che
significa azione. La pragmatica ha dunque come oggetto di studio lagire umano;
nel caso della pragmatica linguistica, evidentemente, loggetto di studio lagire
linguistico, o anche la lingua osservata dal punto di vista delle sue
modalit duso. Che cosa si fa quando si parla e quando si ascolta? Questa la
domanda alla base della pragmatica linguistica.
Date le sue origini in ambito filosofico prima che strettamente linguistico, per la
pragmatica linguistica particolarmente viva una duplice necessit: lesigenza di
delimitare un preciso ambito di analisi rispetto alle altre discipline linguistiche; la
ricerca di una specificit rispetto agli altri orientamenti non linguistici della
pragmatica.
Poich alcuni temi classici della pragmatica linguistica originano da teorie non
sempre nate non sempre nate nellambito della linguistica, il raccordo fra le
categorie della pragmatica linguistica e quelle della linguistica classica
strutturale (orientata allo studio delle lingue in quanto sistemi, pi che a quello
del loro uso, cio, per usare la dicotomia saussuriana, la lingua come langue pi
che come parole) stato per qualche tempo difficoltoso. Gli studi pragmatici sono
per oggi in piena espansione, perch sempre pi forte si fa lesigenza si affrontare
il discorso sullinterpretazione dei messaggi e sulla comunicazione, temi che la
linguistica classica non ha sempre affrontato n pu da sola affrontare in maniera
soddisfacente.
Prima di proporre una definizione di pragmatica, opportuno sottolinare che
esistono diverse posizioni sulla natura delloggetto di cui tale disciplina si occupa e
sul posto che essa dovrebbe avere nellambito degli studi linguistici:
- secondo Geoffrey Leech (1983) la pragmatica, in quanto disciplina che si occupa
del modo in cui cui i parlanti attribuiscono significato alle espressioni linguistiche,
andrebbe ricondotta allaveo della semantica
- secondo Charles Morris (1938) esisterebbe nellespressione linguistica dei
parlanti un livello pragmatico (come esiste un livello morfosintattico, un livello
semantico, ecc.) preposto al controllo delle relazioni che si innescano fra il codice
linguistico e i suoi utenti al momento in cui esso impiegato in una situazione
comunicativa (posizione complementarista)
- secondo Ludwig Wittgenstein (1953) non appropriato pensare
alla
pragmatica come a un livello linguistico separato, ma piuttosto come a una
competenza delluso linguistico che riguarda ogni livello. Ogni livello pu in questo
senso essere studiato in prospettiva pragmatica (posizione pragmaticista).
Una, nessuna, centomila definizioni.

Il termine pragmatica stato introdotto nellarea degli studi semiotici nel 1938
da Charles Morris. Nellambito della semiotica (la scienze che studiano i segni e i
codici, fra cui le lingue naturali) Morris distinse tre campi di studio:
- la sintassi, cio lo studio delle relazioni fra i segni
- la semantica, cio lo studio delle relazioni fra i segni e gli elementi della realt
cui essi rimandano
- la pragmatica, cio lo studio delle relazioni fra i segni e gli utenti del codice.
La pragmatica, come risulta anche dalla coeva definizione del filosofo del
linguaggio Carnap (1938), si contrappone perci sia alla semantica che astrae dal
riferimento agli utenti, sia alla sintassi, che astrae sia dal riferimento agli utenti
sia dal riferimento alla realt cui essa rimanda.
Una diversa definizione di pragmatica stata proposta da Katz e Fodor (1963), di
impostazione formale generativa. Secondo i due studiosi la pragmatica dovrebbe
essere lo studio dellesecuzione linguistica, in contrapposizione alla semantica e
alla sintassi che si occupano delle propriet sistematiche della lingua in quanto
codice.
In reazione a questa visione limitata della competenza linguistica dei parlanti
come competenza del codice, tipica della linguistica formale, stata coniata da
Dell Hymes lespressione competenza comunicativa, con cui si fa riferimento
allabilit degli utenti di una lingua di usarla in modo efficace e appropriato in
diversi contesti per esigenze comunicative di vario tipo. Potremmo dunque definire
in questo senso la pragmatica come scienza della competenza comunicativa.
Nel tentativo di definire lambito della pragmatica in modo da individuarne la
specificit rispetto alle altre scienze del linguaggio, liberandola dal ruolo di scienza
occasionale e contigente, Stephen Levinson (1983) nellintroduzione al suo
manuale di pragmatica porpone e discute diverse definizioni, ritenendo che la pi
convincente, anche se non esente da problemi, sia: La pragmatica lo studio delle
relazioni tra lingua contesto che sono fondamentali per spiegare la comprensione
della lingua stessa.
Significato delle parole e significato degli enunciati.
Sappiamo che le parole, i morfemi, i suoni di una lingua, in quanto facenti parte di
un codice o sistema condiviso, possono essere descritti allinterno di questo
sistema. Gli enunciati (espressioni linguistiche usate in una situazione discorsiva
specifica) hanno un valore che va ricostruito allinterno di questa situazione.
Il valore degli enunciati non si pu ricostruire completamente a partire dal
significato delle parole che li compongono: capiamo esattamente che cosa
significano le parole grazie alla comprensione del valore dellenunciato nel
contesto. Per questo ci si chiede se sia pi efficace unimpostazione composizionale
(il significato di un enunciato scaturisce dalla composizione del significato delle
parole) o unimpostazione decomposizionale (il prius dellinterpretazione del
significato sarebbero gli enunciati in contesto, e le singole parole verrebbero
interpretate a partire da questi).
Che cos il contesto?

Se cerchiamo di interpretare il seguente messaggio:


- Giochi ancora con il bradipo?
Potremmo capire il significato della frase, ma non il senso dellenunciato se non
conosciamo il contesto in cui stato pronunciato. Saputo questo potremmo
parafrasarlo in:
- Perdi ancora tempo a lavorare con quel pc lentissimo?
Il contesto unespressione intuitivamente chiara ma estremamente difficile da
definire esplicitamente. Il contesto pertinente per linterpretazione e la produzione
degli enunciati composto da tre componenti:
1. le conoscenze condivise, linsieme di credenze sociali e culturali sul
funzionamento del
mondo che i parlanti condividono o credono di
condividere;
2. la situazione comunicativa contingente, la situazione spazio-temporale in
cui si svolge un evento linguistico, le relazioni interpersonali fra i
partecipanti, le aspettative e gli scopi che li muovono;
3. il contesto linguistico o cotesto, il discorso in atto e le conoscenze che ha
generato.
Attraverso le diverse componenti del contesto, i partecipanti ad un evento
linguistico costruiscono una propria rappresentazione mentale dellevento stesso,
degli oggetti e dei fatti evocati in esso e delle relazioni che intercorrono fra loro e
con il mondo, degli interlocutori coinvolti, dei loro rapporti reciproci e delle loro
intenzioni. Questo il modello di discorso.
Omonimia, polisemia, ambiguit, vaghezza, indeterminatezza.
Il contesto consente normalmente di identificare nel modo corretto i casi di
omonimia e di specificare laccezione di una parola polisemica, cio di una parola
che ha potenzialmente pi significati, discriminando quale dei significati sia stato
selezionato per quel contesto.
Luso di unespressione pu per essere fattualmente ambiguo, quando ne sono
possibili due letture contestualmente valide. Lambiguit pu essere a livello
lessicale, come per:
- Il cavallo in seconda corsia ha saltato lostacolo
saltare pu voler dire tanto superare quanto evitare un ostacolo.
Lambiguit pu essere a livello sintattico :
- Si avvisa che su questo treno consentito fumare solo nelle carrozze riservate ai
fumatori numero 1 di prima classe e numero 11 di seconda classe.
In cui la numerazione potrebbe riferirsi tanto alle vetture quanto ai passeggeri.
Lambiguit si pu risolvere grazie alla comprensione della situazione o di
conoscenze condivise pi generali. Normalmente lambiguit dovuta alla
mancanza di indizi contestuali sufficienti a scioglierla.
Infine, il contesto ha un ruolo nel determinare il significato degli enunciati poich
specifica la vaghezza delle espressioni linguistiche, ossia le espressioni
linguistiche solitamente non sono pienamente specificate riguardo al loro
significato e lasciano spazio ad arricchimenti prodotti dal contesto. Ad esempio, gli

aggettivi possessivi esprimono in modo vago una relazione con la persona, ed il


contesto a specificare la natura di questa relazione.
In ultimo, unespressione in un enunciato pu essere indeterminata, ossi
richiede il ricorso al contesto per la comprensione del suo riferimento o estensione,
ovvero della realt extralinguistica cui rimanda (a che cosa si riferisce).
Che cosa significa comprendere la lingua?
La comprensione di un messaggio avviene allora a pi livelli. Chi lo riceve deve
capire le intenzioni che il parlante ha voluto attribuire al suo discorso. Spiegare su
che basi i parlanti capiscono ed esprimono tutto questo nellusare il linguaggio
compito della pragmatica.

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DARE UN NOME ALLE COSE
Ci sono due diversi usi che possono avere i nomi (o le espressioni nominali in
generale) nel discorso:
- funzione allocutiva: per richiamare lattenzione dellinterlocutore, ovvero per
instaurare o consolidare il legame discorsivo fra parlante e interlocutore. In alcune
lingue tale uso marcato dal caso vocativo (Gentili ascoltatori, tra pochi minuti la
telecronaca della semifinale Portogallo-Olanda)
- funzione referenziale: quando il parlante evoca nel discorso elementi della
realt (referenti); un referente evocato attraverso questo tipo di espressione
diventa un referente testuale del modello di discorso in atto (Il governo ha varato
una nuova modifica alla Finanziaria).
Questi due usi non esauriscono la gamma di funzioni che possono avere le
espressioni nominali: esse possono avere anche funzione attributiva o predicativa,

quando non servono ad attivare un referente testuale bens a qualificarne uno


attribuendovi delle propriet.
ESPRESSIONI REFERENZIALI
I parlanti hanno a disposizione tre tipi fondamentali di espressioni referenziali:
I DESCRITTORI
Un primo gruppo quello dei nomi comuni e dei sintagmi nominali che fanno
riferimento a classi di oggetti accomunati per qualche propriet, i quali, proprio in
virt di queste propriet sono racchiusi in quella classe. Questi sono detti
DESCRITTORI, perch attraverso il loro uso il parlante implicitamente riconosce
alloggetto evocato le propriet della classe. Luso dei descrittori vincolato a
conoscenze semantiche e pragmatiche di vario tipo. Per poterli usare in modo
appropriato, un parlante deve infatti:
- conoscere lintensione, o significato intensionale, del descrittore (linsieme dei
tratti semantici che lo definiscono): per poter definire topo un referente della
realt, un parlante deve cio conoscere linsieme dei tratti semantici propri del
termine topo (ad esempio animale, roditore, ecc.);
- sapere se il referente che intende nominare attraverso un descrittore pu far
parte dellestensione del descrittore stesso (dellinsieme degli individui cui esso
pu riferirsi);
Dal punto di vista dellascoltatore, per intepretare un descrittore, necessario:
- conoscere il significato intensionale del termine;
- attivare o identificare nellinsieme dei referenti testuali presenti nel modello
di discorso una possibile estensione valida per lespressione ;
I NOMI PROPRI
Un secondo gruppo di espressioni referenziali quello dei nomi propri, i quali
evocano direttamente uno specifico oggetto o individuo. Per poter usare un nome
proprio per designare un referente un parlante deve semplicemente sapere che
quello il suo nome; reciprocamente, perch il ricevente di un messaggio identifichi
il referente di un nome proprio, deve sapere che quel nome stato attribuito a quel
referente. Questa conoscenza si ottiene per esperienza diretta o indiretta del
legame fra referente e nome. Il legame fra referente e nome massimamente
arbitrario. I nomi propri dunque non hanno significato intensionale, ma solo
estensione: il loro significato coincide semplicemente con il referente cui fanno
riferimento. In questo senso i nomi propri non significano niente.
GLI INDICALI
Un ultimo gruppo costituito dagli INDICI o ESPRESSIONI INDICALI. La
peculiarit : non possibile attribuire un significato allespressione ci se non si
conosce il contesto in cui tale espressione stata usata. Per identificare il referente
di unespressione indicale un parlante non pu ricorrere n a conoscenze
intensionali , n a conoscenze estensionali: il significato infatti non rimanda a

caratteristiche del referente, ma a caratteristiche del suo status e della sua


collocazione nel modello di discorso in atto. Ad esempio ci significa qualcosa che
stato appena nominato. Gli indicali dunque non denotano il referente cui
rimandano ma danno informazioni su:
- il tipo detonato (caratteristiche del referente);
- l elemento/i contestuali rispetto a cui si origina la relazione e il tipo di relazione
fra tale elemento e il referente indicato.
La necessit di ricorrere al contesto per una piena comprensione del riferimento di
unespressione non una prerogativa delle espressioni indicali.
Ci che distingue le espressioni indicali dalle espressioni simboliche il fatto che
nelle prime le modalit secondo cui ricorrere al contesto per linterpretazione del
riferimento sono codificate nellespressione stessa, anzi ne costituiscono il
significato intrinseco: il significato degli indicali descrivibile in termini
relazionali; una sorta di insieme di istruzioni che segnalano in che modo va
cercato nel contesto il loro riferimento.
COMPETENZA LESSICALE
Abbiamo detto dunque che per poter attribuire un termine generale ad un oggetto
o una classe di oggetti, il parlante si serve di due livelli di conoscenza: un livello
relativo al significato intensionale del termine (ovvero allinsieme dei tratti
semantici che lo definiscono) e uno relativo al significato estensionale del termine
(cio allinseme degli individui cui il termine pu riferirsi).
La nozione di tratto semantico stata ideata nellambito della semantica
strutturale, sul modello della classificazione per tratti della fonetica, per isolare le
diverse componenti del significato intensionale di un termine: la parola scapolo
ad esempio composta dai tratti semantici (+ uomo) e (- sposato). Parlanti diversi
possono avere competenze diverse riguardo allinsieme dei tratti semantici che
definiscono il significato di un termine. Daltronde anche lestensione di un termine
pu non essere stabile nella competenza di una comunit di parlanti. Ci pu
dipendere da una diversa competenza sullinsieme dei tratti intensionali: ad
esempio, quelli che costituiscono il significato di insetto saranno diversi per un
entomologo e per un parlante comune.
Altre difficolt vengono dal fatto che le due conoscenze possono non procedere
congiuntamente. Per ovviare a tali difficolt sono state proposte descrizioni della
competenza dei parlanti rivolte allaspetto estensionale: il significato del nome
sarebbe linsieme dei referenti cui esso si applica.
SCELTA E INTERPRETAZIONE DELLE ESPRESSIONI REFERENZIALI
Le lingue mettono a disposizione unampia gamma di espressioni referenziali
alternative. La loro scelta legata a vari fattori: la segnalazione dellaccessibilit
del referente; la connotazione di questultima e della sua relazione con parlante e
ascoltatore; la segnalazione di una specifica mossa discorsiva.

ACCESSIBILIT
La scelta delle espressioni referenziali pu essere funzionale a segnalare il grado di
accessibilit di un referente, ovvero quando esso identificabile in modo univoco
per i parlanti e quanto presente allattenzione dei parlanti in un dato momento.
Con identificabilit di un referente si intende la possibilit di identificabile in modo
univoco. Ad esempio scarpe:
- ho preso le scarpe blu
(quelle che conosci anche tu: identificabile)
- ho preso delle scarpe blu (che non saprei/non voglio identificare pi precisamente:
non identificabile specifico)
- prendi delle scarpe blu
(qualsiasi: non identificabile non specifico)
Con attivazione di un referente si intende in fatto che esso sia o meno presente
allattenzione dei parlanti in un dato momento del discorso:
- ho comprato delle scarpe nuove
(non accessibile, non presente nella memoria
dellascoltatore)
- ho comprato quelle scarpe che avevo visto in vetrina, ti ricordi? (presente alla
memoria dellascoltatore ma non attivo nel modello di discorso)
- le ho comprate stamattina (attivo nel modello di discorso)
Laccessibilit di un referente dipende dalle diverse componenti di conoscenza a
disposizione dei parlanti in uno scambio comunicativo, ovvero:
* linsieme di conoscenze condivise fra i parlanti o supposte tali:
- il Consiglio dei ministri d il via libera alla manovra di 24 miliardi. Critiche
dellopposizione
i referenti Consiglio dei ministri lopposizionesono presentati come
identificabili per il lettore medio che minimamente conosce lordinamento
istituzionale e la politica italiana;
* la situazione:
A mi passi la borraccia?
B lui (cenno del mento verso un terzo escursionista C) non ce l ha?
Il referente borraccia reso attivo dalla situazione di riferimento gita, che
prevede per ogni escursionista un equipaggiamento completo di borraccia; il
referente lui intrinsecamente accessibile perch presente nel contesto e reso
attivo dal cenno del mento;
* il modello del discorso in atto:
Larrestato per le stragi di Madrid: le ho preparate in due mesi.
Il referente arrestato per le stragi di Madrid reso identificabile dalluso di un
descrittore che fornisce tutti gli elementi utili allidentificazione del referente;
reso accessibile e attivo nel modello di discorso dalla sua menzione nella frase
immediatamente precedente.

Le lingue possiedono mezzi espressivi dedicati a segnalare il movimento


referenziale , ovvero il mutamento del grado di accessibilit dei referenti nel
modello di discorso. Referenti al massimo grado identificabili e attivi sono
segnalati attraverso espressioni indicali o attraverso lellissi.
I descrittori sono usati invece per referenti con pi basso grado di accessibilit;
anche lalternanza fra specificatori ha una funzione analoga. Attraverso la
segnalazione del grado di accessibilit dei referenti il parlante indica allinterprete
dove cercare il referente menzionato fra le conoscenze possedute e proprie del
modello di discorso.
TRATTI CONNOTATIVI
Le espressioni referenziali possono segnalare il rapporto fra il parlante e il
referente, in modo analogo alluso delle formule allocutive, che evidenziano il
rapporto fra parlante ed interlocutore. Attraverso la scelta di un descrittore un
parlante sceglie quali tratti connotativi del referente attivare. Il parlante pu
segnalare il rapporto che lo lega al referente anche attraverso il sistema degli
indicali.
MOSSE COMUNICATIVE
Il modo di usare le espressioni referenziali in un dialogo pu essere funzionale a
segnalare mosse comunicative particolari durante il discorso. La ripetizione di
unespressione referenziale appena menzionata sembra ad esempio essere un
segnale che si sta controllando di aver ben identificato un referente o che si sta
accettando un topic discorsivo.

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ORIENTARSI NEL CONTESTO
2.1. DEISSI
Si definisce con deissi (dal greco indicazione) il fenomeno per cui il riferimento di
alcune espressioni linguistiche indicali vincolato alle coordinate della situazione
in cui avviene levento comunicativo.
Gli elementi indicali deittici funzionano come segnali indicatori di orientamento
rispetto agli elementi presenti nella situazione comunicativa; il loro riferimento
individuabile solo a partire da tale situazione.
Non si pu capire a chi si riferiscono i pronomi io e tu o la direzione indicata
dagli avverbi qui e qua senza conoscere la situazione in cui si sta svolgendo un
dato evento comunicativo.
2.1.1. DEISSI PERSONALE, SPAZIALE, TEMPORALE
Per lorientamento delle espressioni deittiche il parlante e lascoltatore utilizzano
un sistema di coordinate o campo indicale aventi ciascuno un proprio centro, o
origo. Le deissi possono essere:
- tipo personale, indica i referenti in rapporto al loro ruolo nellevento
comunicativo;
- tipo spaziale, organizza lo spazio rispetto alla posizione dei partecipanti allevento
comunicativo;
- tipo temporale, che colloca nel tempo gli eventi rispetto al momento dellevento
comunicativo.

Per la deissi personale, lorigo il mittente del messaggio, da cui sono distinti il
ricevente e i partecipanti terzi; lopposizione fra questi ruoli codificata in molte
lingue dallopposizione personale fra I, II e III persona. In italiano la deissi
personale si manifesta nella flessione verbale personale (mangio? rispetto a
mangi?) e in sistemi di morfemi liberi come i possessivi e i pronomi personali. Le
espressioni di I e II persona sono intrinsecamente deittiche, ossia posso capire il
riferimento di io solo se so chi sta parlando. Le espressioni di III persona hanno
uso dittico in casi come:
- stato lui!
in cui un bambino indica alla maestra il colpevole di un misfatto indicandolo
testualmente.
Per la deissi spaziale, lorigo coincide con la posizione occupata dal parlante
mentre proferisce il suo enunciato; esistono sistemi deittici organizzati intorno a
opposizioni pi o meno complesse. Litaliano una lingua in transizione da un
sistema tripartito, che oppone parlante-ascoltatore-esterno, a un sistema bipartito
parlante-esterno. Per questo vengono utilizzati avverbi come qui, l o verbi come
venire, andare, che esprimono unidea di movimento orientate rispetto al
parlante.
Per la deissi temporale, lorigo coincide con il momento in cui il parlante
proferisce il suo enunciato. In italiano utilizziamo alcuni aggettivi, avverbi ed
espressioni avverbiali (ora, un momento fa, oggi) ma anche molti tempi
verbali (sto facendo, stavo facendo, etc.)
2.1.2. DEISSI SOCIALE
Nel campo delle relazioni deittiche stata poi individuata la DEISSI SOCIALE,
relativa alla segnalazione dei rapporti sociali reciproci esistenti fra gli interlocutori
e messi in gioco nello scambio comunicativo. In questo senso la deissi sociale
sarebbe riconducibile secondo alcuni alla deissi personale. Sarebbe una
manifestazione di deissi sociale lalternanza duso fra gli allocutivi tu e lei:
a- lei che cosa prende?
b- tu che cosa prendi?
con questa opposizione, il parlante segnala il proprio rapporto sociale nei confronti
dellascoltatore in termini di intimit e simmetria. E un campo in cui esistono
grandi differenze fra sistemi linguistici diversi: in termini di pervasivit del
fenomeno, per cui in alcune lingue la segnalazione della deissi sociale investe ampi
settori del lessico e della morfosintassi, il cosiddetto sistema degli onorifici; in
termini di complessit delle distinzioni operate nel sistema; in termini di
parametri pertinenti per operare distinzioni.
2.1.3. DEISSI TESTUALE
In riferimento alla deissi testuale o logodeissi, Conte riporta il seguente esempio:
4. qui comincia lavventure del signor Bonaventura
in cui qui significa in questo punto del testo. La deissi testuale fa ricorso a
coordinate di tipo spaziale e temporale, ma si serve di un campo indicale
particolare, con un salto metacomunicativo, dal mondo in cui si riproduce il testo
al mondo del testo stesso. Hanno come origo il tempo e il luogo del testo stesso che

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il mittente sta producendo o il destinatario interpretando: il testo cio trattato


metaforicamente come un luogo fisico. In questo senso vanno interpretati luso dei
tempi verbali e delle espressioni.
2.2. TRASLARE I CAMPI INDICALI
Nel corso di una conversazione, il centro dittico dei vari campi indicali muta
continuamente, poich ogni parlante adotta come origo se stesso e ogni ascoltatore
deve quindi operare una conseguente interpretazione dei deittici sulla base del
campo indicale del parlante.
Talvolta i parlanti evocano nel discorso campi indicali che non hanno come origo
quella in cui avviene o avvenuta lenunciazione, o si servono di indicali deittici
per riferirsi a referenti non presenti nella situazione: questo fenomeno stato
chiamato deissi fantasmica
perch nel servirsene il parlante crea con
limmaginazione un contesto diverso da quello in cui effettivamente avviene latto
comunicativo. In altri casi il parlante a spostarsi in un altro campo indicale; una
persona che d indicazioni per raggiungere un luogo pu servirsi in ogni momento
di un campo indicale traslato collocato nel luogo in cui si trover lascoltatore in
quel momento del percorso:
- svolta al prossimo incrocio, fai 200 metri e il cinema subito qui (gesto con la
mano) sulla destra
Il qui sulla destra non significa sulla destra dello spazio reale, ma sullimmediata
destra del luogo e della direzione in cui si trover lascoltatore in quel momento del
percorso.
La traslazione del centro deittico personale tipica di alcuni stili comunicativi,
come il baby-talk, cio il linguaggio rivolto ai bambini:
- (la mamma a Chiara) Adesso Chiara fa la brava e d la mano alla mamma!
2.3. ANAFORA
ANAFORA (dal greco rimando allindietro, perch tornando indietro nel discorso
si trovano i riferimenti necessari per interpretare lespressione in questione) il
fenomeno per cui il riferimento di unespressione linguistica vincolato al
riferimento di unaltra espressione del discorso.
2.3.1. MEZZI PER IL RIMANDO ANAFORICO
Un legame anaforico pu essere avviato da diversi mezzi linguistici, ad esempio
dallellissi.
Le lingue possiedono diverse classi di espressioni indicali (personali, spaziali,
temporali) che vanno interpretate sulla base di relazioni di tipo anaforico. In
italiano, hanno intrinseco valore anaforico (sia spaziale che temporale) aggettivi
come successivo, precedente o avverbi come prima o dopo; esprimono
relazioni temporali intrinsecamente anaforiche alcuni tempi verbali, come i tempi
composti. Anche i descrittori posso instaurare relazioni di tipo anaforico.
Luso dei descrittori nel rimando anaforico consente di aggiungere tratti
connotativi al referente in questione. Laggiunta di tratti connotativi un
fenomeno evidente nelluso di incapsulatori, descrittori usati nel rimando anaforico
che hanno come antecedente non singoli referenti ma eventi e situazioni.

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2.3.2. RELAZIONI FRA ANTECEDENTE E ANAFORA


Mentre nellanafora spaziale e temporale le relazioni fra antecedente e anafora
sono normalmente in ordine lineare (prima-dopo-coincidente), nellanafora
personale la relazione fra lespressione anaforica e il suo antecedente di solito di
identit di riferimento (anafora coreferente), cio lespressione si riferisce allo
stesso referente del suo antecedente. Tra antecedente e anafora pu esserci anche
identit di senso:
- Gli studenti registrati avranno precedenza su quelli non registrati
Quelli rimanda a studenti come significato intensionale ma non come
significato estensionale; si parla di anafora cosignificante. Pu poi esserci
rimando non al referente evocato dallantecedente, ma dallespressione stessa. Lo
studente chiede al professore si sillabare non il libro ma il suo nome:
a. Poi pu guardare il libro della Wierzbicka
b. Pu sillabarlo per favore?
Conte parla in questo caso di anafora con salto di suppositivo, perch lantecedente
considerato non per il suo significato (in suppositione formali) ma per il suo
significante ( in suppositione materiali) .E ricondotto sotto lanafora referenziale ,
con letichetta di anafora associativa o semantica, il legame che si instaura fra
referente testuale e un antecedente che introduce il quadro di riferimento (frame)
grazie al quale il referente stesso viene interpretato. Il fenomeno detto anche
referenza implicita, intendendo che lantecedente introdotto nel discorso in modo
implicito, attraverso lattivazione del frame.
2.3.3. RECUPERO DELLANTECEDENTE
Dunque linterpretazione delle relazioni anaforiche da parte dellinterprete di un
messaggio pu far leva su principi morfosintattici, semantici o pragmatici. Per
recuperare lantecedente del clitico femminile le, che non pu essere costituito
dallinsieme latte e uova (richiederebbe un maschile), ma deve essere il solo le
uova , ricorreremo a conoscenze morfologiche:
5. Ho comprato il latte e anche le uova. Se ti servono te le do io!
In altri casi, il legame anaforico pu essere guidato dalla conoscenza del significato
intensionale di descrittori ed espressione antecedente:
6. Un cane abbaiava furiosamente sotto la pioggia. Lanimale non si plac fino
a sera!
Ricondurre lespressione lanimale la referente un cane gi menzionata
possibile solo se conosco il significato intensionale delle due espressioni e le loro
relazioni reciproche.
2.4. ANAFORA E DEISSI EMPATICA
Le relazioni di deissi e anafora possono essere sfruttate in senso metamorfico, per
segnalare un atteggiamento emotivo del parlante verso l?ascoltatore o verso il
proprio oggetto di discorso: a questi usi si d il nome di anafora o deissi empatica (o
emotiva o affettiva). Le relazioni di vicinanza/distanza segnalate dai dimostrativi
possono ad esempio essere sfruttate per segnalare un atteggiamento di
vicinanza/distanza emotiva rispetto allinterlocutore o al referente menzionato:
7. Che cosa vuole questa bella bambina?

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Nel rimando anaforico , pu essere sfruttata lopposizione di genere o di tratto


umano/non umano per qualificare il referente come pi o meno vicino alla
sensibilit del parlante.

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LENUNCIATO COME INFORMAZIONE
3.1. SIGNIFICATO DEGLI ENUNCIATI
Se espressioni referenziali hanno come contenuto semantico individui e oggetti, gli
enunciati hanno come contenuto semantico situazioni, eventi, ovvero stati di cose
validi per certi referenti e in certe circostanze spazio-temporali. Se un amico ci
dice:
- Ieri sera sono andato al cinema
il contenuto semantico che ne ricaviamo parafrasabile cos: relativamente al
giorno precedente allattuale, valido a riguardo del nostro amico lo stato di cose
andare al cinema .
Come agli stessi referenti ci si pu riferire con espressioni referenziali diverse, cos
uno stesso stato di cose pu essere trasmesso attraverso enunciati diversi, e la
specifica forma che un enunciato assume in un discorso (la sua struttura
informativa) dipende dal modo in cui lenunciato si inserisce nel modello di discorso
in atto.
3.2. DINAMISMO COMUNICATIVO
La Scuola linguistica di Praga stata la prima ad avviare una riflessione
sistematica sul fatto che, nella forma che un enunciato assume agiscono principi di
natura pragmatica attinenti il modo in cui linformazione organizzata. A tal
proposito si parla di dinamismo comunicativo di cui sono dotate le diverse porzioni
dellenunciato: il minimo dinamismo comunicativo portato dagli elementi noti e
maggiormente condivisi fra gli interlocutori, considerati non controversi e non
oggetto di discussione; il massimo dinamismo comunicativo portato dagli
elementi non condivisi e nuovi, che costituiscono lapice informativo e quindi il vero
obiettivo comunicativo. Le lingue possiedono diversi mezzi per variare le struttura
informativa dellenunciato, cio nel trasmettere uninformazione, il parlante
procederebbe partendo dai dati condivisi e controversi:
- Bush: non mi dimetto
in prima posizione sono collocate le informazioni che possono costituire per il
lettore un punto di partenza condiviso(lidentit del presidente) per proseguire con
le informazioni nuove. Il parlante tenderebbe poi a codificare sulla frase principale
e sui costituenti argomentali le informazioni con il massimo grado di dinamismo
comunicativo e sulle frasi secondarie e sui costituenti non argomentali le
informazioni di sfondo. Ad esempio della scena di un delitto si possono dare

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descrizioni differenti. Le due principali funzioni informative dellenunciato sono


focus e topic.
3.2.1. FOCUS
E la porzione dellenunciato che ha maggior grado di dinamismo comunicativo. E
normalmente collocato in posizione finale ed segnalato da un accento pi
rilevato; infatti la porzione fondamentale di un enunciato. E particolarmente
evidente nei dialoghi di domanda e risposta:
A hai pagato il caff?
B s
Il focus informativo cui verte la domanda lavvenuta esecuzione da parte
dellinterlocutore B dellazione pagar il caff; nella sua risposta, B esplicita
esclusivamente questa informazione. Invece:
A chi ha pagato il caff?
B io
Il focus cui verte la domanda lidentit dellindividuo cui va attribuita la
responsabilit del fatto che lo stato di cose pagare il caff si verificato; nella
risposta B esplicita esclusivamente questa risposta.
Nei due casi visti il focus detto di tipo completivo.
FOCUS COMPLETIVO: uninformazione focale nuova, non posseduta in
precedenza dallascoltatore
FOCUS CONTRASTIVO: una nuova informazione va selezionata fra pi
candidati alternativi evocati nel discorso
Da un punto di vista informativo un focus completivo ha la funzione di aggiungere
uninformazione segnalando che essa non ancora parte del modello di discorso; un
focus contrastivo ha la funzione di fornire uninformazione segnalando in che modo
una precedente contenuta nel modello di discorso vada modificata; in questultimo
caso si parla anche di FOCUS CONTROPRESUPPOSIZIONALE.
3.2.2. TOPIC
E lelemento informativo che il parlante presenta come argomento dellenunciato,
ci di cui intende parlare. Il ruolo del soggetto un buon candidato al ruolo
tropicale. E dunque il punto di partenza di un enunciato; come tale lelemento
tropicale ha basso grado di dinamismo comunicativo.
Un particolare tipo di topic, detto antitopic, ha la funzione di attualizzare o
riattualizzare un topic identificabile per gli interlocutori, ma che il parlante ritiene
posa non essere attivo per lascoltatore nel momento attuale del discorso. Questo
topic collocato in posizione finale, esterna:
- lhai poi portata in tintoria, la tua giacca?
3.3. TIPI DI FRASE E STRUTTURA INFORMATIVA
Sulla base delle funzioni di topic e focus, si possono individuare strutture
informative:
Enunciato presentativo ha lobiettivo di introdurre nel discorso un
nuovo referente, che potr in seguito assumere la funzione di topic: - Si
fatto vivo Gianni;

14

Enunciato predicativo ha lobiettivo di dare informazioni a proposito


di un referente identificabile posto come topic: - Per quanto riguarda
Gianni, non ci sono problemi;
Enunciato eventivo: ha lobiettivo di informare sullaccadere di un
evento, introducendolo come nuovo, senza che venga segnalato un topic
a proposito del quale linformazione catalogata. In questi enunciati
non esistono una posizione focale e topicale nettamente individuabili: .
Ha telefonato Gianni;
Enunciato identificativo: ha lobiettivo di identificare il referente
appropriato di una relazione predicativa, eventualmente anche
smentendo informazioni gi presenti nel modello di discorso. Qui un
elemento focale di tipo contrastivo si contrappone a una predicazione
non controversa; linteresse informativo nellidentit dellelemento
focale: - E Gianni che ha telefonato?

3.4. ALTRE FUNZIONI DISCORSIVE?


Le funzioni di topic e focus sono dunque opzioni a disposizione del parlante per
segnalare come va interpretata linformazione che lenunciato trasmette e come va
integrata nel modello di discorso. Accanto a queste si individuano altre funzioni
che si possono presentare con una certa regolarit e sono dotate di mezzi espressivi
ricorrenti: sono caratterizzate dalla possibilit di essere segnalate da
unintonazione specifica.
Riguarda la funzione di setting, che alcuni studiosi includono nella funzione di
topic e sono gli elementi che danno le coordinate spazio-temporali:
- Domani ci sei?
Pi collegate alla gestione della conversazione sono la funzione di appello:
- Gianni? Che ne dici?
quella di apertura:
- Beh, se siete daccordo comincerei
quella di chiusura:
- cominciamo, no?

15

4
LENUNCIATO COME AZIONE:
CIO CHE SI DICE E CIO CHE SI FA
4.1. TRASMETTERE INFORMAZIONI ED ALTRE AZIONI LINGUISTICHE
Gli enunciati seguenti promettono, richiedono e scommettono su uno stato di cose:
- Far il bravo!
- Mi aiuti, per favore?
- Venti euro che domenica vinciamo!

16

Li chiamiamo ATTI LINGUISTICI, in quanto attivit che il parlante compie con


lintento di produrre nellinterlocutore una reazione.
E stato John Austin, e dopo John Searle a sviluppare la teoria dellagire
linguistico.
4.1.1. STRUTTURA DI UN ATTO LINGUISTICO
Quando un parlante proferisce un enunciato, agisce contemporaneamente a diversi
livelli:
- a livello locutorio, nel parlare si produce una sequenza di suoni: - Mi fa male la
gamba , /mifamale lagamba/
- a livello locativo, nel parlare si esprimono significati, ovvero si fa riferimento ad
individui, eventi, situazioni: - Ho male alla gamba; <
- a livello illocutivo, nel parlare si manifestano intenzioni e si perseguono scopi;
lintenzione di trasmettere uninformazione. Uno stesso atto allocutivo si pu
eseguire attraverso diversi atti locatori/locativi: -Ahia! ; - Basta, non ne posso
pi! ; - Mi fa male la gamba!
- a livello perlocutivo, parlando si provocano delle conseguenze di tipo verbale o
meno. Gli effetti possono non corrispondere alle intenzioni manifestate a livello
allocutivo; non sono necessariamente provocati intenzionalmente dal parlante, ma
costituiscono comunque un tipo di azione.
Questa descrizione della struttura di un atto linguistico ci consente di definire la
distinzione tra frase ed enunciato:

FRASE: (sequenza verbale dotata di contenuto semantico e di struttura

sintattica) oggetto di studi della semantica e della sintassi;


ENUNCIATO: (prodotto da un parlante in un contesto per determinati scopi)
una sequenza verbale usata per eseguire un atto linguistico. E dotato di
significato, in quanto capace di fare riferimento a oggetti, individui, situazioni
ed anche in quanto dotato di scopi, intenzioni e capace di produrre degli effetti.

4.1.2. TIPI DI ATTO LINGUISTICO


La preoccupazione degli studiosi di individuare una tassonomia di atti linguistici.
Il modello di Searle ne individua tipi fondamentali. Nella tassonomia, ogni tipo di
atto linguistico caratterizzato da una specifica forza allocutiva, ovvero da una
diversa relazione fra lo stato di cose oggetto della frase e il tipo di azione che il
parlante intende eseguire:
- ATTI ASSETIVI (dire, concludere, affermare, etc.): il tipo si impegna sulla
verit di uno stato di cose;
-

ATTI ESPRESSIVI (ringraziare, rammaricarsi, scusarsi, etc.): il parlante

esprime uno stato danimo;


ATTI COMMISSIVI (offrire, promettere, minacciare, etc.): il parlante si
impegna sulla realizzazione di un futuro stato di cose;

ATTI DIRETTIVI (chiedere, consigliare, domandare, etc.): il parlante

chiede allascoltatore di impegnarsi a proposito di uno stato di cose;


ATTI DICHIARATIVI (condannare, battezzare, promuovere, etc.): il
parlante produce un cambiamento della realt corrispondente al contenuto
locativo dellatto stesso.

17

I parlanti hanno a disposizione mezzi espressivi diversi per segnalare la forza


illocutiva di un enunciato. I pi adoperati sono, a livello lessicale, verbi
performativi e avverbi modali; a livello morfologico la modalit verbale; a livello
prosodico lintonazione.
4.1.3. CONDIZIONI DI FELICIT
La teoria degli atti linguistici ha fra i propri obiettivi la definizione delle condizioni
alle quali ciascuno di essi ben costruito: tale condizioni sono dette condizioni di
felicit e dipendono dal tipo di atto.
4.1.4. ASSERZIONI
Un parlante dichiara che un certo stato di cose vero: - Gianni arrivato, ma non
ho la minima idea se questo sia vero. La condizione di sincerit del parlante e
quella di plausibilit della verit sono condizioni di felicit di un atto assertivo. .
Qualora un parlante non sia certo della validit di quanto afferma, pu segnalare
questo fatto in vario modo.
4.1.5. DOMANDE E RICHIESTE
Con una richiesta un parlante chiama in causa linterlocutore perch si impegni su
un certo stato di cose. Condizione necessaria per lesecuzione felice di un atto che
linterlocutore abbia la possibilit di fare ci che gli domandato. Il fatto che un
atto sia non felice, non significa che esso non venga mai eseguito nella realt.
Diverso dalla richiesta latto della domanda, cio linterrogare linterlocutore
sulla verit di uno stato di cose. Fra le condizioni di felicit sono la non conoscenza
da parte del parlante dellinformazione richiesta e la supposizione che
linterlocutore ne sia a conoscenza. Anche in questo caso, tali condizioni possono
essere violate. Osserviamo in fine che latto di domanda adottato come mezzo per
esprimere indirettamente una richiesta.
4.2. FORZA ILLOCUTIVA E STRUTTURA INFORMATIVA
La forza illocutiva di un enunciato interagisce con la sua struttura informativa, in
quanto essa si applica allarticolazione focale. In unasserzione il parlante si
impegna sulla validit della connessione fra il focus e il background, mentre tutto
ci che non in focus resta escluso ed dato come non messo in discussione.
Esempio:
A C mio zio Gianni che arrivato ieri.
B non vero!
Immaginiamo che la menzogna di cui A accusato riguardi larrivo del personaggio
nominato e che non sia in discussione la propriet zio. Diversamente sarebbe se il
parlante asserisse invece un enunciato di tipo identificativo come:
A Quel Gianni che arrivato ieri mio zio Gianni!
B Non vero!
4.3. ATTI LINGUISTICI DIRETTI ED INDIRETTI
Come a tutti i livelli della lingua, la corrispondenza fra funzione linguistica e
mezzi espressivi non biunivoca e rigida. Daltronde, un parlante pu servirsi di
un mezzo espressivo normalmente associato a una certa forza illocutiva per
esprimere una diversa forza illocutiva, es.: - Scommetto che ti sei dimenticato! in

18

cui sicuramente non voglio scommettere, lo la frase: -Le spiace smettere di


fumare? dove non intendo chiedere un informazione.
ATTI LINGUISTICI INDIRETTI: la forza illocutiva espressa in modo traslato.
La loro esistenza la manifestazione della flessibilit di uso delle lingue, che si
manifesta ad ogni livello e consente ai parlanti di forzare e modificare luso delle
espressioni linguistiche: metafora, metonimia, ironia ne sono manifestazioni.
La capacit di interpretare correttamente la forza illocutiva diretta o indiretta pu
essere messa in crisi in una comunicazione interculturale.
4.4. VERBI PERFORMATIVI
Possiamo esplicitare il tipo di azione che un parlante esegue nel proferire un
enunciato usando dei verbi che qualifichino lazione verbale compiuta:
- Ti informo/ ti dico/ dichiaro che luned piover!;
Prometto che far il bravo
Attraverso questi enunciati il parlante si limita a descrivere lazione che sta
compiendo, mentre nelle seguenti:
- Corro a casa!
mentre le descrive le esegue.
I verbi come prometter, informare, chiedere, scommettere sono detti verbi
performativi. Solo in specifiche circostanze e forme un verbo performativo ha
questa propriet:
- Gli ho promesso di rientrare presto!
Questo enunciato non vale come promessa, ma come descrizione di una promessa e
non si comportano diversamente dagli enunciati.
Lesistenza diverbi con queste caratteristiche ha aperto la strada allidea che
parlare un mezzo per agire, o che ci sono azioni che si eseguono attraverso il
linguaggio.

19

5
CIO CHE SI DICE E CIO CHE SI INTENDE DIRE
- Levati il cappello - disse il Re al Cappellaio.
- Non mio - disse il Cappellaio.
- Rubato! - esclam il Re, rivolto ai giurati, che subito presero nota del fatto.
5.1. INFERENZE
Che cosa porta il Re ad affermare che il cappellaio ha rubato il cappello? Ha
ragione a sostenere questo?
La comprensione di un enunciato, cio la sua integrazione nel modello di discorso,
pu portare gli interlocutori ad assumere per valide informazioni supplementari,
che non sono esplicitamente asserite dai parlanti, ma la cui verit viene suggerita
dallinsieme delle informazioni trasmesse e presenti nel modello del discorso.
Se dico il Cappellaio ha rubato il cappello, faccio un esempio di informazione
supplementare, che non dunque asserita dal parlante in questo caso il
Cappellaio ma inferita dallinterlocutore in questo caso il Re o il lettore sulla
base della sua attivit di comprensione e di costruzione del modello di discorso:
chiamiamo inferenze le informazioni ottenute in questo modo.
5.2. FONTI DELLE INFERENZE
La produzione di inferenze quindi il risultato dellattivit di comprensione e
interpretazione degli indizi presenti nel modello di discorso; esse possono scaturire
da tutte le componenti del contesto: il discorso in atto, la situazione comunicativa,
le conoscenze e le aspettative generali sul funzionamento del mondo e sul
comportamento delle persone.
1
Il negozio era chiuso

20

Chi ascolta potrebbe costruire una rappresentazione della situazione che


comprenda una di queste inferenze:
a) Il negozio era in giorno di riposo
b) Il negozio ha cessato lattivit
c) Il negozio era aperto, ma ha chiuso prima che arrivasse il mio amico.
Ci dovuto alla vaghezza del significato dellespressione era chiuso. Tuttavia se
avessimo detto:
Il negozio era gi chiuso
probabilmente chi ascolta avrebbe ritenuto pi valida linferenza c). Con questo,
non sintende dire che gi significa c) La parola x produce linferenza y
non equivale a dire che la parola x significa y.
2

Ho smesso di fumare

In risposta alla domanda Come va?, produrr nellinterlocutore inferenze


diverse, anche opposte, come:
a) Sto benone
b) Sto malissimo.
Un tono di voce o unespressione facciale dimessi o ironici potrebbe far propendere
per linferenza b) e viceversa. Anche informazioni sul parlante sarebbero daiuto.
Infine, ci orientano nella produzione di inferenze le nostre conoscenze generali sul
funzionamento del mondo e le nostre aspettative sul comportamento delle persone.
3

Il menu turistico comprende primo, secondo, frutta o dolce

Questa frase produrr come inferenza linformazione:


Se prendo il menu turistico devo scegliere tra frutta e dolce; posso rifiutare
entrambi, ma non posso avere tutte due.
4

La cravatta nel primo o nel secondo cassetto

Questa frase produrr come inferenza linformazione:


E possibile sia che la cravatta sia nel primo cassetto sia che sia nel secondo;
non pu essere in entrambi i posti e probabilmente non pu nemmeno essere
in nessuno dei due.
Queste inferenze scaturiscono entrambe dal significato della congiunzione o, ma,
mentre nelles. 3 riguarda anche da conoscenze specifiche legate ai menu turistici,
nelles. 4 linferenza dovuta ad una conoscenza sulla natura delle cravatte (per
cui esse non possono ovviamente essere obique) e da alcune aspettative sul
comportamento delle persone (ci aspettiamo che la signora sappia che la cravatta
in uno dei due posti, perch altrimenti avrebbe risposto in altro modo). In base a
tali aspettative, potrebbe scaturire anche unaltra inferenza: Lei non sa in quale
dei due cassetti la cravatta.
5.3. CONSEGUENZE
Alcune inferenze sono trattate come ipotesi, supposizioni in attesa di essere
verificate; altre inferenze invece scaturiscono necessariamente da un enunciato,

21

sono cio non cancellabili: chiamiamo queste inferenze obbligatorie, necessarie,


conseguenze.
5

Gianni ha presentato la domanda in ritardo

Questa frase produrr come inferenza linformazione:


Gianni non potr partecipare al concorso.
Questinferenza scaturisce dalle conoscenze dellinterlocutore sulle regole del
mondo in cui viviamo, in particolare sul funzionamento dei concorsi.
Molto studiate sono le conseguenze che si producono a partire da alcune
costruzioni sintattiche, ad esempio dalla subordinazione. luso di alcuni verbi
produce come conseguenza la validit (verbi fattivi) o non validit (verbi
controfattivi) della frase dipendente del verbo.
a) Messner ha avuto intenzione di salire sul Lotse
6
b) Messner riuscito a salire sul Lotse
c) Messner ha rinunciato a salire sul Lotse
Chi ascolta ne trarrebbe certamente ipotesi diverse sulla validit del fatto:
d) Messner salito sul Lotse.
La frase d) infatti necessariamente valida se vera la b) - cio b) ha d) come
conseguenza -, mentre dalla c) scaturisce necessariamente la non validit di d) cio b) ha la negazione di d) come conseguenza -; dalla a), infine, non scaturisce
nessuna indicazione riguardo alla validit di d).
Il diverso status di validit della frase subordinata dipende dal verbo reggente ed
evidentemente collegato al diverso significato dei verbi presenti in a), b) e c).
5.4. PRESUPPOSIZIONI
Si dice presupposizione uninferenza che resta valida tanto quando un enunciato
asserito tanto quando viene smentito o quando sulla sua validit ci si interroga.
Le presupposizioni costituiscono, per cos dire, le informazioni di sfondo sulle quali
si costruisce (e si discute) linformazione asserita.
7

Messner riuscito a salire sul Lotse

Questa frase, sia che noi la consideriamo valida, sia che crediamo alla notizia
opposta, ci far ritenere comunque sempre valida linferenza:
e) Messner ha tentato di salire sul Lotse.
Anche se noi ci ponessimo in tono interrogativo la domanda Messner sar riuscito
a salire sul Lotse?, nel farcela presupporremmo comunque lidea che Messner
abbia tentato di farlo, cio presupporremmo che e) sia comunque vero. In sostanza,
il fatto di salire sul Lotse viene dato per scontato da tutti gli enunciati che
riguardano la riuscita del tentativo.
Alcuni verbi (verbi implicativi) producono presupposizioni sulla validit delle
informazioni contenute nelle frasi dipendenti.

22

ES.
8

a) Mi dispiace aver lavorato con Gaia


b) Non mi dispiace aver lavorato con Gaia

Se entrambe mantengono valida linferenza ho lavorato con Gaia, ci significa


che il verbo dispiacere presuppone la verit della frase dipendente.
Fra le presupposizioni pi studiate ci sono quelle relative allesistenza dei referenti
menzionati negli enunciati. In generale, si pu osservare come il fatto che
lesistenza di un referente menzionato sia data per presupposta o invece passibile
di smentita dipenda da vari fattori:
un referente definito dato pi facilmente per presupposto di un
indefinito:
ES.
9

a) Non vero che passato un giovanotto


b) Non vero che passato lo zio Carlo

UN GIOVANOTTO: non esiste, oppure esiste ma non passato esistenza in


discussione.
LO ZIO CARLO: esiste, ma non passato esistenza non in discussione e
presupposta.
la negazione di certi verbi (obiectum effectum) cancella lesistenza del
referente con il ruolo di oggetto, mentre con altri verbi (obiectum
affectum) lesistenza del referente oggetto pu essere mantenuta:
ES.
9

a) Non vero che ho scritto la lettera a Babbo Natale


b) Non vero che ho spedito la lettera a Babbo Natale

HO SCRITTO: la lettera non esiste.


HO SPEDITO: non lho spedita, ma la lettera esiste; oppure non lho spedita e
non esiste nemmeno.
5.4.1. PRESUPPOSIZIONI E STRUTTURA INFORMATIVA
ES.
10

a) Qualcuno ha pagato il caff?


b) Chi ha pagato il caff?
c) Hai pagato tu il caff?

In termini di attivazione di presupposizioni si pu dire che:


con uninterrogativa totale un parlante non attiva alcuna presupposizione
relativa alla proposizione ma la mette interamente in discussione. Con questo
non intendiamo dire che le interrogative totali siano del tutto prive di
presupposizioni (ad esempio, la domanda Qualcuno ha pagato il caff
presuppone lesistenza di un caff da pagare e ci dovuto al fatto di aver
menzionato come referente definito il caff):

23

con uninterrogativa parziale, invece, il parlante attiva una presupposizione di


validit della porzione non in focus; sia la b) che la c) in fatti danno per
presupposta la validit dellevento Qualcuno ha pagato il caff e mettono in
discussione solo lidentit del costituente su cui verte la domanda.
Dunque, la struttura informativa di un enunciato attiva presupposizioni relative
alla validit della porzione in background, mentre la parte focale quella che
messa in discussione; in altre parole, un enunciato verte sulla parte focale, mentre
la porzione di background presentata come condivisa o condivisibile punto di
partenza non oggetto di discussione.
5.4.2. PRESUPPOSIZIONI E CONDIZIONI DI FELICITA
Le condizioni di felicit di un atto direttivo prevedono che si possa ordinare a un
altro solo ci che si sa che laltro in grado di fare.

ES.
11

- E stanca poverina - disse la Regina Rossa. - Lisciale i capelli,


pestale la tua cuffia da notte e cantale una ninnananna.
- Ma io non ho con me la cuffia da notte - rispose Alice tentando di
ubbidire alla prima indicazione.

Per giustificare il proprio comportamento, Alice si ritrova a dover smentire una


presupposizione insita nelle parole della Regina. Lidea di prestito presuppone
infatti lidea di possesso. A causa della non validit di questa presupposizione, alice
non pu eseguire lordine richiesto; anzi, la non validit rende non felice latto
linguistico eseguito dalla Regina, come Alice sottolinea protestando.

24

6
LA CONVERSAZIONE COME AGIRE RAZIONALE
6.1 Significato delle parole e intenzioni del parlante
Ci occupiamo ora della teoria sul linguaggio elaborata da Paul Grice e nota come
teoria del significato non-naturale. In particolare Grice si concentra sulle nozioni
si convenzione e intenzione come basi per linterpetazione dei messaggi negli
scambi comunicativi. Tradizionalmente alla base del linguaggio umano posta la
nozione di convenzionalit: la produzione e comprensione dei messaggi garantita
dallesistenza di convenzioni che regolano il significato delle espressioni
linguistiche e che consentono la traducibilit degli enunciati in messaggi dotati di
significato (il significato degli enunciati scaturisce dalla decodifica del senso delle
parole). A questa prospettiva Grice ne sostituisce una alla cui base sta la nozione di
intenzionalit: la produzione e comprensione dei messaggi garantita dalla
capacit dei parlanti di interpretare le intenzioni comunicative degli interlocutori a
partire dagli enunciati da loro proferiti: il significato degli enunciati scaturisce
dallinterpretazione delle intenzioni che il parlante manifesta.
Come sappiamo, luso delle lingue verbali non lunica forma ci comunicazione a
disposizione degli esseri umani; si possono usare gesti, azioni, versi: quel che
accomuna queste diverse forme di comunicazione non la convenzionalit del
codice usato, ma lintenzionalit del comportamento del comunicatore.
Alla base della comunicazione, nella prospettiva di Grice, non c dunque la
convenzionalit (il significato delle parole), ma lintenzionalit, cio la capacit dei
parlanti di esibire le proprie intenzioni comunicative e riconoscere quelle altrui
attraverso mezzi diversi (come il linguaggio verbale appunto).
6.2 Principio di cooperazione

25

La comunicazione un attivit che si svolge fra pi persone, ciascuna delle quali


ebibisce intenzioni comunicative e cerca di interpretare quelle altrui; ognuno dei
partecipanti ha perci interesse a far s che linterlocutore riconosca le intenzioni
comunicative e parte dal presupposto che gli altri si comportino allo stesso modo.
Ogni parlante parte cio dal presupposto che gli interlocutori collaborino alla
riuscita della comunicazione; senza queste aspettative reciproche la conversazione
sarebbe impossibile. Ci non significa che non ci siano persone che si comportano
in modo non cooperativo. Il principio di cooperazione che sta alla base della
conversazione nella prospettiva di Grice (1975) quindi da interpretare come una
necessit costitutiva delle conversazioni: non si ha conversazione se non si ha
cooperazione, o,in altri termini,si pu chiamare conversazione unattivit dialogica
in cui i parlanti cooperano per comunicare.
Dal principio di cooperazione Grice fa discendere 4 massime, che altro non sono che
manifestazioni concrete dello stesso principio:
MASSIMA DELLA QUALITA
riguarda la validit epistemica degli enunciati che vengono proferiti: in una
conversazione ci si aspetta che ogni parlante fornisca un contributo comunicativo
nella misura in cui ritiene che esso sia vero. Questa massima richiama da vicino
lidea delle condizioni di felicit che rendono accettabili gli atti linguistici e, in
particolare, limpegno alla verit che nel modello degli atti linguistici abbiamo
visto essere una delle condizioni di felicit degli atti di tipo assertivo: unasserzione
eseguita felicemente, cio accettata come tale dallinterlocutore, se costui ritiene
che il parlante sia in grado di impegnarsi sulla verit di quanto dice e intenda
farlo.
Naturalmente la possibilit che un parlante menta esiste, ma la comunicazione
allora non avrebbe alcun senso. Non avrebbe alcuno scopo, ad esempio, chiedere ad
un passante che ora ? se non avessimo qualche aspettativa sul fatto che egli sia
in grado di darci uninformazione vera; se ritenessimo che linterpellato potrebbe
rispondere del tutto a caso senza preoccuparsi di verificare la validit di ci che
dice o se ritenessimo che ha dei motivi per mentirci, probabilmente non porremmo
nemmeno la domanda e la conversazione semplicemente non avrebbe luogo (in
realt potremmo avviare la conversazione lo stesso, magari perch non ci interessa
avere linformazione ma semplicemente attaccare bottone). Daltronde anche il
successo di un comportamento fraudolento consentito dallesistenza della
massima: la menzogna non avrebbe alcuna possibilit di successo se il bugiardo
non contasse sul fatto che gli interlocutori la prendano per vera.
MASSIMA DELLA QUANTITA
Secondo questa massima i parlanti si aspettano che in una conversazione gli
interlocutori forniscano un contributo comunicativo pari a quello richiesto per la
riuscita della comunicazione stessa.
Questa massima molto evidente nel comportamento dei parlanti di fronte alle
domande, perch in questo caso ben delineata dalla domanda stessa la quantit

26

di informazione richiesta. Di fronte ad una domanda ci aspettiamo che i parlanti


rispondano fornendo le informazioni richieste.
Naturalmente non solo i contesti di risposta alle domande mostrano lazione della
massima della quantit. Ci aspettiamo che, nel far riferimento a dei referenti, i
parlanti diano informazioni necessarie a identificarli per quanto possibile e utile
nel contesto. Che cosa significhi di volta in volta utile nel contesto pi difficile
da definire.
La massima non ci consente di definire con precisione e in astratto che cosa va
detto e non detto in uno scambio comunicativo, ma descrive un principio generale
secondo cui i parlanti si regolano nel singolo contesto.
MASSIMA DELLA RELAZIONE
Secondo la massima della relazione i parlanti prevedono che in una conversazione
si fornisca un contributo informativo pertinente alla comunicazione in corso. E
sulla base di questa massima che le risposte alla domanda Ha figli? saranno
diverse se a porre la domanda limpiegato allo sportello dellanagrafe o una
persona appena conosciuta ad una festa. No, ma i figli di mia sorella sono come
figli per me sar valutata come pertinente nel secondo caso ma non nel primo.
MASSIMA DEL MODO
Secondo questa massima, in una conversazione ci si esprime in modo da agevolare
la comprensione del proprio contributo comunicativo da parte degli interlocutori.
La massima del modo riguarda non ci che viene detto ma il modo in cui ci viene
detto. Immaginiamo un individuo che abita con sua sorella Paola che dice ad un
amico: Ho accompagnato in ospedale una ragazza di nome Paola che abita con me
---> violazione della massima del modo: esistendo un modo pi breve e piano per
designare il referente in questione, ci si aspetta che il parlante lo sfrutti. Per
questo la Paola dellenunciato sar probabilmente identificata dallinterlocutore
come unaltra persona diversa dalla sorella.
Lintero sistema di scelta delle espressioni referenziali pu essere letto come
unapplicazione congiunta della massima della quantit e del modo: ci si aspetta
che ogni parlante dia il massimo dellinformazione richiesta nel modo pi efficace.

Implicature conversazionali
Le aspettative dei parlanti riguardo il rispetto delle massime influisce sulle scelte
espressive e sul processo interpretativo. Le implicazioni conversazionali sono delle
inferenze che scaturiscono da queste quattro massime: non scaturiscono quindi dal
significato convenzionale delle espressioni linguistiche, bens dal comportamento
comunicativo e dalle aspettative che si creano su di esso. Queste implicature sono

27

cancellabili, smentibili o non attivabili se il contesto porta ad una diversa


interpretazione del comportamento del parlante.

7
LA CONVERSAZIONE COME AGIRE SOCIALE:
ROUTINE E RITUALI
7.1 Analisi della conversazione
Sappiamo che spesso ci accade di fare domande di cui non ci interessa conoscere la
risposta (violando cos una condizione di felicit degli atti di domanda) o di cui
magari conosciamo gi la risposta (e in questo caso violiamo una seconda
condizione di felicit): ad esempio quando ci facciamo raccontare per lennesima
volta un aneddoto da un amico solo perch sappiamo che gli fa piacere farlo; oppure
quando poniamo una domanda imbarazzante ad una persona antipatica, anche se
sappiamo gi la risposta, per il gusto di metterla in difficolt. In queste situazioni
noi simuliamo: facciamo finta di desiderare di sapere una cosa e di non saperla
ancora. Questo comportamento pu avere diverse motivazioni, che non riguardano
lacquisire informazioni, ma ad esempio per riempire un momento in cui la
conversazione langue (e sappiamo infatti che il non far languire le conversazioni
un comportamento socialmente molto apprezzato); in altri casi il fatto di fare una
domanda pu far sentire linterlocutore importante, apprezzato, considerato,
oppure metterlo in imbarazzo o in difficolt.
Tutti questi esempi ci mostrano che esistono regole volte a fare in modo che lo
scambio abbia successo non solo dal punto di vista strumentale ma, in senso pi
ampio, nella salvaguardia delle relazioni fra i partecipanti. Di questo insieme di
regole, in parte universali e in parte culturalmente determinate, seguendo il filone
di studi detto dellanalisi della conversazione, ci occupiamo delle regole che servono
alla gestione degli scambi comunicativi. Promotori di questi studi sono i lavori di
Sacks, Schlegoff, Jefferson e Pomerantz.
Gli studi di analisi della conversazione, rispetto ad altri filoni di studi come la
teoria degli atti linguistici, adottano un punto di vista e un metodo di analisi pi
empirici, rigorosamente legati allosservazione della struttura di scambi
comunicativi reali e alla loro interpretazione secondo categorie. Lintento
dichiarato quello di individuare le regole che i parlanti stessi mostrano di
riconoscere e osservare, con il proprio comportamento, negli scambi comunicativi.
7.1.1 Turni
Uno dei primi problemi che ci si posti la necessit di individuare delle unit di
analisi. Lunit di analisi di base stata individuata nel turno, con cui si intende la
sequenza di parole che ogni partecipante produce in modo continuativo prima che
intervenga un altro. Quando un nuovo partecipante interviene inizia un nuovo
turno.
Lalternanza dei turni fra i partecipanti aallinterazione non sempre regolata in
modo da evitare il fenomeno della sovrapposizione, cio il fatto che pi soggetti

28

parlino contemporaneamente. La sovrapposizione, anzi, si verifica con una certa


frequenza e svolge funzioni comunicative diverse a seconda delle modalit secondo
cui si verifica. A inizio turno si possono verificare partenze simultanee quando due
parlanti si selezionano insiemeper il turno e iniziano perci contemporaneamente a
parlare; in questo caso si verifica un conflitto nellassegnazione del turno, fino a che
uno smette di parlare e lascia il turno allaltro.
Si parla di interruzione invece quando un partecipante alla conversazione inizia a
parlare durante il turno di un altro e, dopo una fase conflittuale per lottenimento
del turno di parola, se ne appropria.
Tuttavia non tutte le sovrapposizioni danno luogo a situazioni conflittuali
(osserviamo che con conflitto non intendiamo il fatto che ci sia uneffettiva
contrapposizione di intenti: interruzioni e partenze simultanee possono dar luogo a
conflitti semplicemente nel senso che si verifica un difetto nella conversazione, non
per forza intenzionale da parte dei parlanti). Alcune forme di sovrapposizione
svolgono piuttosto funzione di segnali di feedback rivolta dallascoltatore al
parlante, che servono a segnalargli che si sta seguendo, approvando o capendo il
discorso che sta facendo, o anche per fornire materiale utile alla comunicazione in
corso.
Data la necessit di tener conto del fenomeno delle sovrapposizioni, si
pu descrivere pi precisamente il turno come la sequenza di parole
prodotte da un parlante fra il momento in cui questi inizia a parlare da
solo e il momento in cui lo fa un nuovo interlocutore.
7.1.2 Mosse comunicative

7.1.3 Alternanza dei turni


In conversazioni simmetriche, cio in conversazioni in cui tutti i partecipanti
hanno uguali diritti e doveri di parola, per lavvicendamento dei turni e per la
presa di turno, cio per determinare chi e quando pu intervenire nella
conversazione, i parlanti seguono regole generali.

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Una prima regola prevede che chi parla possa selezionare il parlante successivo
attraverso una serie di segnali, ad esempio interpellandolo direttamente o
accennando nella sua direzione con lo sguardo o con un segno della mano.
Tuttavia, se il parlante non seleziona nessun parlante successivo, una seconda
regola prevede che quando egli smette di parlare, qualsiasi partecipante pu
autoselezionarsi per il turno successivo. Se chi stava parlando non ha
specificamente indirizzato la propria mossa comunicativa a qualcuno, chiunque
pu intervenire. Questa regola entra in azione solo se il caso precedente non si
verificato.
Una terza regola, infine, prevede che se chi parla non ha selezionato alcun parlante
successivo e nessuno si selezione per il turno successivo, il primo parlante pu
riprendere la parola e iniziare un nuovo turno.
In interazioni in cui i ruoli dei partecipanti sono asimmetrici, la gestione dei turni
pu essere affidata a una figura che assegna i turni di parola.
7.2 Simmetria, potere, dominanza
Solo alcune interazioni (tipicamente le conversazioni informali fra pari) prevedono
una perfetta simmetria o equivalenza di ruoli fra i partecipanti, prevedono cio che
i vari partecipanti possano alternarsi con le stesse funzioni e negli stessi ruoli.
Frequenti sono per le interazioni asimmetriche nelle quali i ruoli non sono
equivalenti: per i partecipanti sono previsti diversi diritti nellassegnare e prendere
i turni di parola, nelleseguire le mosse comunicative forti e nel gestire
lorientamento dei contenuti dellinterazione; i partecipanti hanno cio diverso
potere interazionale. Sono di questo tipo molte interazioni istituzionali, cio
codificate nel repertorio culturale secondo determinati parametri: durante una
visita medica non ci si aspetta che il paziente possa interrogare il medico sulla sua
salute o su quella dei membri della sua famiglia.
Asimmetria pu manifestarsi anche quando un singolo partecipante assume una
posizione dominante, per numero e durata dei turni, per mosse forti di gestione
dellinterazione o altro. La dominanza pu essere dominata da vari fattori, come
una maggiore competenza linguistica o comunicativa.
Le regole di gestione dellinterazione e i ruoli sono in parte prevedibili in base alla
conoscenza del tipo di intrerazione in corso, ma non ne sono determinati
necessariamente: in ogni interazione i ruoli possono essere ribaditi o ridiscussi dai
partecipanti.
7.3. Strategie di cortesia

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