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CHE COS’È LA PRAGMATICA LINGUISTICA

Cecilia Andorno

CAP. 1 – DARE UN NOME ALLE COSE

1.1 Allocuzione e riferimento.


I nomi e le espressioni nominale in generale possono avere due diversi usi nel discorso.

● Funzione allocutiva 🡪 si usa un’espressione in funzione allocutiva per richiamare


l’attenzione dell’interlocutore, ovvero per instaurare o consolidare il legame
discorsivo tra parlante ed interlocutore. Esempio: mamma, gentili ascoltatori.
● Funzione referenziale 🡪 quando il parlante si serve di un’espressione per evocare
nel modello di discorso elementi della realtà (=ovvero referenti). Un referente
evocato attraverso un’espressione referenziale diventa un referente testuale.

L’uso allocutivo e referenziale di un’espressione nominale possono essere marcati in modo


diverso, per esempio attraverso l’uso del vocativo.
Questi due usi non sono gli unici che possono avere le espressioni nominali:

● Funzione attributiva e predicativa 🡪 l’espressione nominale non serve ad attivare un


referente testuale, ma a qualificarne uno attribuendovi delle proprietà.

In prospettiva pragmatica, l’attenzione si è spostata ai meccanismi con cui i parlanti


instaurano e mantengono nel discorso le connessioni fra espressioni referenziali e referenti
testuali. L’interesse si è incentrato sulla competenza lessicale, ovvero sul modo in cui i
parlanti imparano ad organizzare gli elementi della realtà nel lessico e a servirsi di
quest’ultimo per designare la realtà.

1.2 Espressioni referenziali


I parlanti hanno a loro disposizione tre tipi fondamentali di espressioni referenziali: i
descrittori, i nomi propri e gli indicali.

1.2.1 I descrittori
Il primo gruppo è quello dei nomi comuni e dei sintagmi nominali che fanno riferimento a
classi di oggetti accomunati per qualche proprietà e questi sono detti descrittori, perché
attraverso il loro uso il parlante implicitamente riconosce all’oggetto delle proprietà della
classe. Per poter usare un descrittore nel modo appropriato un parlante deve:

● Conoscere l’intensione o significato intensionale del descrittore, ovvero l’insieme dei


tratti semantici che lo definiscono.
● Sapere se il referente che intende nominare attraverso un descrittore può far parte
dell’estensione del descrittore stesso, ovvero dell’insieme degli individui cui esso
può riferirsi.

Dal punto di vista dell’ascoltatore, per interpretare un descrittore, è necessario:


● Conoscere il significato intensionale
● Attivare o identificare nell’insieme dei referenti testuali presenti nel modello di
discorso una possibile estensione valida.

I descrittori hanno una notevole flessibilità d’uso: combinati per esempio con i
quantificatori (numerali, indefiniti) o altri specificatori (articoli, dimostrativi) eccetera, i
descrittori possono riferirsi a singoli individui della classe, a un sottogruppo o ad un’intera
classe.

1.2.2 I nomi propri


I nomi propri evocano direttamente uno specifico oggetto o individuo. Per poter utilizzare
un nome proprio per designare un referente, un parlante deve semplicemente sapere che
quello è il suo nome e, reciprocamente, l’ascoltatore, per saper decifrare il messaggio, deve
sapere che quel nome specifico è stato attribuito a quel referente specifico. Questa
conoscenza si ottiene per esperienza diretta o indiretta del legame fra referente e nome.
Il legame fra referente e nome proprio è arbitrario, non si appoggia a nessuna caratteristica
del referente. I nomi propri non chiamano in causa conoscenze semantiche perché hanno
solo significato estensionale, ovvero il loro significato coincide semplicemente con il
referente cui fanno riferimento.

1.2.3 Gli indicali


L’ultimo gruppo è costituito dagli indicali o espressioni indicali.
La caratteristica principale di queste espressioni è che non si può attribuire un significato
ad un determinato referente SENZA conoscere il contesto in cui tale espressione è stata
usata. Per identificare il referente di un indicale, un parlante non può ricorrere né alle
conoscenze intensionali né a quelle estensionali. Il significato delle espressioni indicali non
rimanda a caratteristiche del referente, ma a caratteristiche del suo status e della sua
collocazione nel modello di discorso in atto.
Gli indicali, dunque, danno informazioni su:

● Il tipo denotato, ovvero le caratteristiche del referente. Gli indicali possono


descrivere il proprio referente per categorie molto generali e astratte. (esempio: lui,
oggi, lì).
● Gli elementi contestuali rispetto a cui si origina la relazione e il tipo di relazione fra
tale elemento e il referente indicato.

La distinzione fra espressioni indicali, interpretate rispetto al contesto situazionale, e le


espressioni simboliche (descrittori e nomi propri) si ritrova nel lavoro di Peirce e Buhler.
La necessità di ricorrere ad un contesto per la comprensione del riferimento di
un’espressione non è una prerogativa delle espressioni indicali, ma ciò che distingue
quest’ultime da quelle simboliche è il fatto che nelle prime le modalità secondo cui
ricorrere al contesto per l’interpretazione sono codificate nell’espressione stessa, anzi ne
costituiscono il solo significato intrinseco. Il significato degli indicali è descrivibile solo in
termini relazionali.
Le relazioni mese in gioco dalle espressioni indicali sono interpretabili sulla base dei
diversi sistemi di coordinate attivati dai meccanismi della deissi e dell’anafora.
1.3 Competenza lessicale
Per poter attribuire un termine generale a un oggetto o a una classe di oggetti, il parlante si
serve di due livelli di conoscenze: uno relativo al significato intensionale e uno relativo a
quello estensionale.
La nozione di tratto semantico è stata ideata nell’ambito della semantica strutturale per
isolare le diverse componenti del significato intensionale del termine. (es: “scapolo”
[+uomo] e [-sposato]). Questo tipo di descrizione cerca di cogliere e descrivere le relazioni
interne al lessico di una lingua e consente di rappresentare con precisione il significato di
parole appartenenti alla stessa area lessicale, ma non è detto che descriva bene la
competenza lessicale del parlante. Parlanti diversi possono avere competenze lessicali
diverse riguardo l’insieme di tratti semantici che definiscono il significato di un termine.
Anche l’estensione di un termine può non essere stabile all’interno della comunità di
parlanti. Ciò può dipendere da una diversa competenza sull’insieme dei tratti intensionali
o dal fatto che le due conoscenze possono non procedere di pari passo.
Per ovviare a tali difficoltà sono state proposte descrizioni della competenza dei parlanti
rivolte all’aspetto estensionale: il significato di un nome, dal punto di vista dei parlanti,
non sarebbe in questo senso se non l’insieme dei referenti cui esso si applica.
I tratti semantici avrebbero quindi una funzione puramente denotativa, cioè delimitano
l’insieme dei referenti cui una parola è applicabile. Tuttavia, bisogna mettere in evidenza
anche la funzione connotativa dei tratti semantici, cioè la funzione di qualificare il
referente mettendone in evidenza determinate qualità.

1.4 Scelta e interpretazione delle espressioni referenziali


Le lingue mettono a disposizione dei parlanti un’ampia gamma di espressioni referenziali
alternative. La scelta di un’espressione referenziale per riferirsi ad un’identità in un dato
momento è legata a vari fattori: segnalazione di accessibilità del referente; connotazione di
quest’ultimo e della relazione con parlante e ascoltatore; segnalazione di una specifica
mossa discorsiva.

1.4.1 Accessibilità
La scelta può essere funzionale a segnalare il grado di accessibilità di un referente, ovvero
quanto esso è identificabile in modo univoco per i parlanti e quanto è presente
all’attenzione dei parlanti in un dato momento del discorso.
Con identificabilità del referente si intende la possibilità per i parlanti di identificarlo in
modo univoco.
Con attivazione di un referente si intende il fatto che esso sia o meno presente
all’attenzione dei parlanti in un dato momento del discorso.
L’accessibilità di un referente dipende dalle diverse componenti di conoscenza a
disposizione dei parlanti in uno scambio comunicativo, ovvero:
● L’insieme delle conoscenze condivise fra parlanti.
● La situazione.
● Il modello di discorso in atto.
Le lingue possiedono solitamente mezzi espressivi dedicati a segnalare il movimento
referenziale, ovvero il mutamento del grado di accessibilità dei referenti nel modello di
discorso. Referenti al massimo grado identificabili e attivi sono segnalati attraverso
espressioni indicali (come pronomi) o attraverso ellissi (omissione del soggetto italiana,
anafora zero). Il parlante segnala che i referenti sono massimamente accessibili.
I descrittori sono usati per referenti con più basso grado di accessibilità.
Attraverso la segnalazione del grado di accessibilità, il parlante indica all’interprete dove
cercare il referente menzionato fra le conoscenze possedute e proprie del modello di
discorso.

1.4.2 Tratti connotativi


Le espressioni referenziali possono segnalare il rapporto esistente tra parlante e referente.
Attraverso la scelta di un descrittore un parlante sceglie quali tratti connotativi del
referente attivare. Il parlante può segnalare il rapporto che lo lega al referente anche
attraverso l’uso degli indicali. Ad esempio, Conte cita in questo senso l’uso del genere dei
pronomi personali come mezzo per segnalare maggiore o minore empatia. L’alternanza di
pronomi per distinguere relazioni diverse con l’interlocutore è codificata in modo
sistematico nel sistema di allocuzione, in italiano nell’opposizione tra la seconda e la forma
di cortesia della terza persona.

1.4.3 Mosse comunicative


Il modo di usare le espressioni referenziali nel dialogo può essere funzionale a segnalare
mosse comunicative particolari durante il discorso. La ripetizione di un’espressione
referenziale appena menzionata sembra essere un segnale da parte del parlante, che si sta
controllando di aver ben identificato un referente o che si sta accettando il topic discorsivo.
o

CAP. 2 – ORIENTARSI NEL DISCORSO

2.1 Deissi
Per capire il riferimento di alcune espressioni, l’ascoltatore avrebbe bisogno di conoscere
alcune “coordinate” della situazione in cui si sta svolgendo l’evento comunicativo: in
particolare, chi sta parlando e dove si trova o cosa indica.
Si definisce deissi il fenomeno per cui il riferimento di alcune espressioni linguistiche
indicali è vincolato alle coordinate della situazione in cui avviene l’evento comunicativo.
Gli elementi indicali deittici funzionano come segnali indicatoridi orientamento rispetto
agli elementi presenti nella situazione comunicativa. Il loro riferimento è individuabile solo
a partire da una determinata situazione.

2.1.1 Deissi personale, spaziale, temporale


Per l’orientamento delle espressioni deittiche il parlante e l’ascoltatore utilizzano un
sistema di coordinate o campo indicale aventi ciascuno un proprio centro o origo.
Sono state individuate principalmente tre tipi di deissi:
● Deissi personale 🡪 indica i referenti in rapporto al loro ruolo nell’evento
comunicativo. Per questo tipo di deissi l’origo è il mittente del messaggio, da cui
sono distinti il ricevente ed i partecipanti terzi. L’opposizione fra questi ruoli è
codificata in molte lingue dall’opposizione personale fra prima, seconda e terza
persona. In italiano la deissi personale si manifesta nella flessione verbale
personale.
● Deissi spaziale 🡪 organizza lo spazio rispetto alla posizione dei partecipanti
all’evento comunicativo. L’origo coincide con la posizione occupata dal parlante.
Altri punti di riferimento possono essere la posizione dell’ascoltatore e posizioni
esterne a parlante ed ascoltatore. Oltre al sistema dei dimostrativi (opposizione
questo-quello), agli avverbi (qui, lì), hanno orientamento deittico anche verbi come
venire e andare che esprimono un’idea di movimento orientata rispetto al parlante.
● Deissi temporale 🡪 colloca nel tempo gli eventi rispetto al momento dell’evento
comunicativo. L’origo coincide con il momento in cui il parlante proferisce il suo
enunciato. Sfruttamento un orientamento deittico rispetto a questa origo alcuni
avverbi, aggettivi ed espressioni avverbiali, ma anche molti tempi verbali.

2.1.2 Deissi sociale


La deissi sociale è relativa alla segnalazione dei rapporti sociali reciproci esistenti fra gli
interlocutori. In questo senso, la deissi sociale sarebbe riconducibile alla deissi personale.
Sarebbe una deissi sociale l’alternanza d’uso fra gli allocutivi tu e lei in italiano per riferirsi
all’interlocutore. Il parlante segnala il proprio rapporto sociale nei confronti
dell’ascoltatore in termini di intimità e simmetria. Paiono esistere grandi differenze tra i
sistemi linguistici diversi: in termini di pervasività del fenomeno, la segnalazione della
deissi sociale investe ampi settori del lessico e della morfosintassi, il cosiddetto sistema
degli onorifici, come in giapponese (-kun, -sama, -chan). I caratteri di simmetria e intimità
del rapporto sono significativi in alcune lingue, mentre in altre no, a seconda della cultura
e delle abitudini sociale locali.

2.1.2 Deissi testuale


La deissi testuale o logodeissi fa ricorso a coordinate di tipo spaziale e temporale, ma si
serve di un altro campo indicale particolare, attraverso un salto metacomunicativo, dal
mondo in cui si produce il testo al mondo del testo stesso. Nella deissi testuale, la origo è il
tempo e il luogo del testo stesso che il mittente sta producendo o il destinatario
interpretando. Il testo è trattato metaforicamente come un luogo fisico. In questo senso
vanno interpretati l’uso dei tempi verbali e delle espressioni.

2.2 Traslare i campi indicali


Nel corso di una conversazione, il centro deittico dei vari campi indicali muta in
continuazione, poiché ogni parlante adotta come origo sé stesso e ogni ascoltatore deve
operare una conseguente interpretazione dei deittici sulla base del campo indicale del
parlante. Nel riportare il discorso altrui è possibile optare per il mantenimento dei campi
indicali originari (discorso diretto) o per una traslazione dei campi indicali (discorso
indiretto) nel nuovo sistema di coordinate.
La traslazione è motivata dalla presenza di due momenti enunciativi distinti. Talvolta però,
i parlanti evocano nel discorso campi indicali che non hanno come origo quella in cui
avviene o è avvenuta effettivamente l’enunciazione, o si servono di indicali deittici per
riferirsi a referenti non presenti nella situazione. Questo fenomeno è chiamato deissi
fantasmatica perché nel servirsene il parlante crea con l’immaginazione un contesto
diverso. Referenti fittizi vengono introdotti nel campo indicale reale in cui si svolge
l’enunciazione. In altri casi, è il parlante a spostarsi in un altro campo indicale, come una
persona che sta dando indicazioni per raggiungere un luogo.
La traslazione del centro deittico personale è tipica di alcuni stili comunicativi, come il
baby-talk cioè il linguaggio rivolto ai bambini.
2.3 Anafora
Alcune espressioni del testo richiedono per essere interpretate di rimandare a
“qualcos’altro”. Il fenomeno per cui il riferimento di un’espressione linguistica è vincolato
al riferimento di un’altra espressione del discorso è detto anafora.
Le lingue possiedono solitamente diverse classi di espressioni indicali (personali, spaziali,
temporali) che vanno interpretate sulla base di relazioni di tipo anaforico. In italiano
hanno implicito valore anaforico (temporale e spaziale) aggettivi come “successivo” o
avverbi come “prima”.
L’uso di descrittori nel rimando anaforico consente di aggiungere tratti connotativi al
referente in questione. L’aggiunta di tratti connotativi è un fenomeno particolarmente
evidente nell’uso di incapsulatori, ovvero descrittori usati nel rimando anaforico che
hanno come antecedente non singoli referenti ma eventi e situazioni. La scelta di diversi
incapsulatori produce una diversa interpretazione dell’evento.

2.3.2 Relazione fra antecedente e anafora


Mentre nelle anafore spaziali e temporali la relazione tra antecedente e anafora sono di
ordine lineare, nell’anafora personale (o anafora referenziale) la relazione fra l’espressione
anaforica e il suo antecedente è di solito di identità di riferimento (anafora coreferente),
cioè l’espressione si riferisce allo stesso referente del suo antecedente. Tra antecedente e
anafora può esserci anche un’identità di senso 🡪 es: “Gli studenti registrati avranno
precedenza su quelli non registrati”. La parola “quelli” rimanda a studenti come significato
intensionale, ma non come significato estensionale. Si parla di anafora cosignificante.
Può poi esserci rimando non al referente evocato dall’antecedente, ma all’espressione
stessa. In questo caso Conte parla di anafora con salto di suppositio perché l’antecedente è
considerato non per il suo significato, ma per il suo significante.
Sotto il fenomeno di anafora referenziale è ricondotta anche l’anafora associativa o
semantica, cioè il legame che si instaura tra un referente testuale e un antecedente che
introduce il quadro di riferimento (frame) grazie al quale il referente viene interpretato. Il
fenomeno è detto anche referenza implicita, intendendo con questo che l’antecedente vero
e proprio è introdotto nel discorso in modo implicito, attraverso l’attivazione del frame.

2.3.3 Recupero dell’antecedente


L’interpretazione delle relazioni anaforiche da parte dell’interprete può far leva su principi
morfosintattici, semantici o pragmatici. In altri casi, il legame anaforico può essere guidato
dalla conoscenza del significato intensionale di descrittori ed espressione antecedente.
Questi diversi meccanismi sono messi in atto per capire i rimandi anaforici presenti in una
semplice sequenza di istruzioni.

2.4 Anafora e deissi empatica


Le relazioni introdotte da deissi e anafora possono essere sfruttate in senso metaforico, per
segnalare un atteggiamento emotivo del parlante verso l’ascoltatore o verso il proprio
oggetto di discorso. A questi usi si dà il nome di anafora o deissi empatica. Le relazioni di
vicinanza/distanza segnalate dai dimostrativi possono essere sfruttate per segnalare un
atteggiamento di vicinanza/distanza emotiva rispetto all’interlocutore o al referente.
CAP. 3 – L’ENUNCIATO COME INFORMAZIONE

3.1 Significato degli enunciati


Gli enunciati hanno come contenuto semantico situazioni, eventi, ovvero stati di cose validi
per certi referenti e in certe circostanze spazio-temporali. A seconda della loro accessibilità
nel modello di discorso e della funzione informativa che essi assumono nel discorso, uno
stesso stato di cose può essere trasmesso attraverso enunciati diversi e la specifica forma
che un enunciato assume in un discorso (ovvero la sua struttura informativa) dipende dal
modo in cui l’enunciato si inserisce nel modello di discorso in atto. Nel variare la
distribuzione dell’informazione, il parlante agevola la comprensione da parte
dell’ascoltatore.

3.2 Dinamismo comunicativo


La scuola linguistica di Praga è stata la prima ad avviare una riflessione sul fatto che, nella
forma che un enunciato assume, accanto a costrizioni di tipo sintattico e semantico,
agiscono principi di natura pragmatica attinenti al modo in cui l’informazione è
organizzata. A tal proposito si parla di dinamismo comunicativo di cui sono dotate le
diverse porzioni dell’enunciato: il minimo dinamismo è portato dagli elementi noti e
maggiormente condivisi fra gli interlocutori, considerati non controversi e non oggetti di
discussione. Il massimo dinamismo comunicativo è portato dagli elementi non condivisi e
nuovi che costituiscono l’apice informativo e quindi il vero obiettivo comunicativo.
Le lingue possiedono diversi mezzi per variare la struttura informativa dell’enunciato in
conformità alla variazione del dinamismo comunicativo delle sue parti. Per quanto
riguarda l’ordine delle parole, pare esistere una tendenza interlingisticamente valida per
cui gli enunciati sono costruiti secondo un crescendo di dinamismo comunicativo. Nel
trasmettere un’informazione, il parlante procederebbe partendo dai dati condivisi e meno
controversi per concludere con gli elementi non condivisi e controversi, che hanno maggior
dinamismo comunicativo.
Il parlante tenderebbe poi a codificare sulla frase principale e sui costituenti argomentali le
informazioni con il massimo grado di dinamismo e sulle frasi secondarie e sui costituenti
non argomentali le informazioni di sfondo.
Un ruolo fondamentale ha la prosodia: i parlanti tendono a segnalare con un accento di
maggior rilievo la porzione dell’enunciato con il maggior grado di dinamismo
comunicativo.
Infine, le lingue possono prevedere strutture sintattiche o sistemi di morfemi
espressamente dedicati a segnalare la struttura informativa dell’enunciato. Le due
principali funzioni informative dell’enunciato sono il focus ed il topic.

3.2.1 Focus
Si definisce focus la porzione dell’enunciato che ha il maggior grado di dinamismo
comunicativo, ciò che costituisce l’obiettivo comunicativo del messaggio. Il focus è
normalmente collocato in posizione finale ed è segnalato da un accento più rilevato. Il
focus è la porzione fondamentale di un enunciato. Questo è particolarmente evidente nei
dialoghi domanda/risposta: in questo caso gli elementi con minor dinamismo linguistico
(sfondo o background) già presenti nella domanda, possono essere omessi.
Ci sono vari tipi di focus:
● Focus completivo 🡪 un’informazione focale nuova, non posseduta in precedenza
dall’ascoltatore, che, in seguito all’enunciato del parlante, semplicemente integra
l’informazione nel proprio modello di discorso. Dal punto di vista informativo, un
focus completivo ha la funzione di aggiungere un’informazione.
● Focus contrastivo 🡪 una nuova informazione non è semplicemente aggiunta ex
novo al modello di discorso, ma viene selezionata fra più candidati alternativi
evocati nel discorso. Questo focus è segnalato da mezzi linguistici diversi rispetto al
focus completivo e sono normalmente più forti. Essi possono essere un accento
contrastivo specifico o una struttura sintattica apposita: in italiano, un esempio è la
struttura scissa “essere x che/ a fare y”. In questo modo, il parlante segnala
all’interlocutore che esistono candidati alternativi. Dal punto di vista informativo,
un focus contrastivo ha la funzione di fornire un’informazione segnalando in che
modo una precedente contenuta nel modello di discorso vada modificata.
● Focus contropresupposizionale 🡪 un tipo di focus contrastivo il cui obiettivo è
quello di cancellare le presupposizioni.

3.2.2 Topic
Con topic o tema si intende l’elemento informativo che il parlante presenta come
argomento dell’enunciato. Il ruolo di soggetto è un buon candidato al ruolo topicale.
Svolgono ruolo topicale gli elementi collocati in posizione iniziale, così come il
complemento oggetto dislocato in posizione iniziale.
Collocando un elemento in posizione topicale, il parlante segnala all’interlocutore ciò a
proposito di cui intende parlare e lo invita a immagazzinare le informazioni successive
come relative al topic proposto. Topic è quindi il punto di partenza di un enunciato, quindi
l’elemento topicale ha un basso grado di dinamismo comunicativo, ovvero viene presentato
dal parlante come elemento informativo identificabile, non oggetto di controversia.
(In un dialogo possono esserci fasi di contrattazione del topic: A- Tu cosa dici? B- No, tu
cosa dici!).
Normalmente il topic è un elemento noto ed eventualmente già attivo nel modello di
discorso. Se così non è, questo fatto può essere segnalato con strutture particolari: in
italiano si usa la frase presentativa “esserci x che”, che serve ad introdurre un elemento
nuovo segnalando al tempo stesso che quello è il topic (es: c’è il gatto che gratta alla porta).
Un particolare tipo di topic, detto antitopic, ha la funzione di attualizzare o riattualizzare
un topic identificabile per gli interlocutori, ma che il parlante ritiene possa non essere
attivo per l’ascoltatore nel momento attuale del modello di discorso. Questo topic è
collocato in posizione finale 🡪 L’hai portata in tintoria, la tua giacca?

3.3 Tipi di frase e struttura informativa


Sulla base di topic e focus si possono individuare strutture informative fondamentali
ricorrenti in lingue diverse. Le strutture informative più studiate sono:
● Enunciato presentativo 🡪 ha l’obiettivo comunicativo di introdurre nel discorso un
nuovo referente che potrà in seguito assumere la funzione di topic. È costituito da
una struttura verbale in cui è inserito, in posizione focale, il referente nuovo che si
intende porre a topic del discorso successivo: “Ecco il gatto”.
● Enunciato predicativo 🡪 il suo obiettivo comunicativo è di dare informazioni a
proposito di un referente identificabile posto come topic. È costituito dal topic
seguito dal comment, ovvero dalla predicazione relativa al topic. “Il gatto lo porti tu
dal veterinario?”. Un topic attivo nel modello di discorso attuale può essere omesso:
in questo caso abbiamo strutture predicative con topic sottointeso o non esplicitato.
● Enunciato eventivo 🡪 obiettivo comunicativo, informare sull’accadere di un evento,
introducendolo come nuovo nella sua interezza, senza aver segnalato un topic in
precedenza. In questi enunciati non esistono una posizione focale e topicale
nettamente distinguibili, perché tutto l’enunciato è presentato come focale.
● Enunciato identificativo 🡪 ha l’obiettivo comunicativo di identificare il referente
appropriato di una relazione predicativa, eventualmente anche smentendo
informazioni già presenti nel modello di discorso. In questi enunciati un elemento
focale di tipo contrastivo si oppone a una predicazione che viene identificata come
non controversa. Tutto l’interesse informativo è nell’identità dell’elemento focale,
mentre non si può parlare di un vero e proprio elemento topicale: “Chi può portare
il gatto dal veterinario?”

3.4 Altre funzioni discorsive?


Le funzioni di topic e focus sono opzioni a disposizione del parlante per segnalare come
va interpretata l’informazione che l’enunciato trasmette e come va integrata nel
modello di discorso. Accanto a queste, si individuano altre funzio9ni che si possono
presentare con una certa regolarità e che sono dotate di mezzi espressivi ricorrenti, in
particolare da un’intonazione precisa. Si tratta di funzioni relativa alla vera e propria
trasmissione dell’informazione e di funzioni relative alla gestione della comunicazione.
● Distribuzione dell’informazione 🡪 setting che viene inclusa nella funzione di
topic. Svolgono funzione di setting gli elementi che danno coordinate
spazio-temporali relativamente alle quali è valida l’informazione trasmessa.
● Gestione della conversazione 🡪 funzione di appello (si richiama l’attenzione
dell’interlocutore), funzione di apertura (il parlante segnala l’inizio del proprio
enunciato o di una nuova sezione del discorso) e funzione di chiusura (il
parlante segnala che intende cedere la parola ad un interlocutore).

CAP. 4 – L’ENUNCIATO COME AZIONE.

4.1 Trasmettere informazioni e altre azioni linguistiche


Chiamiamo le asserzioni, le domande, le promesse, le richieste, le scommesse atti
linguistici in quanto attività che il parlante compie con l’intento di produrre
nell’interlocutore una reazione o un cambiamento attraverso il linguaggio.
La teoria degli atti linguistici ci dice che il linguaggio va analizzato come uno strumento di
azione. Austin e Searle rifletterono sistematicamente sul fatto che parlare è un modo di
agire e sul fatto che trasmettere informazioni non è l’unica azione che si può compiere con
il linguaggio. La riflessione di Austin si è allargata a sviluppare una teoria dell’agire
linguistico.

4.1.1 Struttura di un atto linguistico


Quando un parlante proferisce un enunciato, agisce contemporaneamente a diversi livelli.
● Livello locutorio (fonetico): nel parlare si produce una sequenza di suoni.
● Livello locutivo (significato): nel parlare si esprimono significati, ovvero si fa
riferimento a individui, eventi, situazioni. Si può esprimere lo stesso stato di cose?
Attraverso diversi atti locutori? All'interno della stessa lingua possiamo pensare ad
atti locutivi simili, simili, se non identici, realizzati attraverso atti locutori diversi.
Possiamo pensare poi ad atti locutivi identici eseguiti in lingue diverse, virgola e
anche in questo caso avremo atti locutori diversi.
● Livello illocutivo (intenzioni): Nel parlare si manifestano intenzioni e si perseguono
scopi. L'intenzione di un parlante può essere quella di trasmettere un'informazione:
avremo allora un atto illocutivo di tipo assertivo o asserzione. Si possono però avere
altre intenzioni, e quindi altri tipi di atto illocutivo. Uno stesso atto illocutivo si può
eseguire attraverso diversi atti locutori/locutivi.
● Livello perlocutivo (conseguenze/reazioni): parlando si Provocano delle
conseguenze virgola che possono essere di tipo verbale o meno. Gli effetti di un atto
linguistico possono non corrispondere alle intenzioni. Gli effetti di un atto
linguistico non sono necessariamente provocati intenzionalmente dal parlante, ma
costituiscono comunque un tipo di azione.
Questa descrizione della struttura di un atto linguistico ci consente di definire in modo
chiaro la distinzione tra frase ed enunciato che abbiamo fino a qui tenuto implicita.
Una frase come sequenza verbale, dotata di un contenuto semantico e di una struttura
sintattica e oggetto di studi della semantica e della sintassi. Un enunciato, prodotto da
un parlante in un contesto per determinati scopi, è una sequenza verbale usata per
eseguire un atto linguistico.

4.1.2 Tipi di atto linguistico (speech acts)


Esiste una tassonomia di atti linguistici. Il modello proposto da Searle (1976) Individua
5 tipi fondamentali di atto linguistico. Nella tassonomia, ogni tipo di atto linguistico è
caratterizzato da una specifica forza illocutiva, ovvero da una diversa relazione fra lo
stato di cose oggetto della frase (contenuto locutivo) e il tipo di azione che il parlante
intende eseguire a proposito di esso (contenuto illocutivo):
● Atti assertivi (representatives): il parlante si impegna sulla verità di uno stato di
cose (dire, concludere, affermare etc)
● Atti espressivi (expressives): il parlante esprime un proprio stato d’animo
all’ascoltatore (ringraziare, rammaricarsi, scusarsi etc)
● Atti commissivi (commissives): il parlante si impegna nella realizzazione di un
futuro stato di cose (offrire, promettere, minacciare ecc)
● Atti direttivi (directives): il parlante chiede all’ascoltatore di impegnarsi a
proposito di uno stato di cose (chiedere, consigliare, domandare ecc.)
● Atti dichiarativi (declarations): il parlante produce un cambiamento della realtà
corrispondente al contenuto locutivo dell’atto stesso (condannare, battezzare,
promuovere ecc.)
I parlanti hanno a disposizione mezzi espressivi diversi per segnalare la forza illocutiva di
un enunciato. I mezzi più adoperati sono, a livello lessicale, verbi performativi e avverbi
modali, a livello morfologico, la modalità verbale e a livello prosodico, l'intonazione.

4.1.3 Condizioni di felicità


La teoria degli atti linguistici ha fra i propri obiettivi la definizione delle condizioni alle
quali ciascuno di essi è “ben costruito”, “riuscito”, cioè accettabile per il suo destinatario:
tali condizioni sono dette condizioni di felicità e dipendono dal tipo di atto. Per esempio,
per gli atti di tipo dichiarativo, colui che li proferisce deve essere socialmente autorizzato a
eseguire tali atti e il proferimento deve essere svolto in determinate condizioni. Si può dire
che in una certa misura tutti gli atti sono vincolati a regole. Promettere, ad esempio, è un
atto di tipo commissivo, con cui il parlante si impegna sul fatto che un certo stato di cose si
realizzerà nel futuro. Ci sono tre condizioni da rispettare:
● Preparatory 🡪 lo speaker deve essere autorizzato
● Sincerity 🡪 lo speaker deve intendere quello che dice, credere che sia vero.
● Essential 🡪 lo speaker deve mettere in atto ciò che afferma.

4.1.4 Asserzioni
Con un'asserzione, un parlante dichiara che un certo stato di cose è vero. Un enunciato
dichiarativo e accettabile per il suo destinatario se la verità dello stato di cose cui fa
riferimento è plausibile, cioè non è smentita dalle informazioni in possesso del
destinatario. La condizione di sincerità del parlante e quella di plausibilità della verità sono
condizioni di felicità di un atto assertivo. Qualora un parlante non sia certo della validità di
quanto afferma, può segnalare questo fatto in vario modo, ad esempio dicendo “credo che
sia così”. In alcune lingue la segnalazione della fonte da cui proviene una certa conoscenza,
va necessariamente codificata con uno specifico modo verbale. Qualcosa di simile può
essere fatto anche in italiano, opponendo il modo indicativo al condizionale, chiamato in
questo caso condizionale evidenziale. (es: “Nuovi scontri si sarebbero verificati nelle
ultime ore”).

4.1.5 Domande e richieste


Con una richiesta (atto direttivo), un parlante chiama in causa l'interlocutore perché si
impegni su un certo stato di cose. Condizione necessaria per l'esecuzione felice di un attore
che estivo e che l'interlocutore abbia la possibilità di fare ciò che gli è domandato. Perciò
possiamo descrivere i casi di richiesta di cose impossibili come uso inappropriato del
linguaggio da parte di chi richiede, ma forse anche più spesso questi casi possono essere
letti come atti linguistici indiretti, che, ad esempio, mirano a provocare un disaccordo o
ammettere l'interlocutore in condizioni di difficoltà e sudditanza.
Diverso dalla richiesta è l'atto della domanda, cioè interrogare l'interlocutore sulla verità di
uno stato di cose. Fra le condizioni di felicità di un atto di domanda sono la non
conoscenza da parte del parlante dell'informazione richiesta e la supposizione da parte sua
che l'interlocutore ne sia invece a conoscenza. L'atto di domanda è frequentemente
adottato come mezzo per esprimere indirettamente una richiesta.

4.2 Forza illocutiva e struttura informativa


La forza illocutiva di un enunciato interagisce con la struttura informativa, in quanto essa
si applica all'articolazione focale. In un'asserzione, ciò sulla cui verità il parlante si
impegna è la validità della connessione fra il focus e il background.

4.3 Atti linguistici diretti e indiretti


La corrispondenza fra funzione linguistica e mezzi espressivi non è biunivoca e rigida. Ad
esempio, uno stesso profilo intonativo può essere usato per un'asserzione enfatica e per un
ordine, ma l'interlocutore è in grado di recepire la diversa forza illocutiva dei due
enunciati. Un parlante può servirsi di un mezzo espressivo normalmente associato a una
certa forza illocutiva per esprimere in modo traslato o indiretto una diversa forza
illocutiva. (es: “Scommetto che ti sei dimenticato!”, probabilmente non intendo davvero
scommettere, ma piuttosto intendo asserire qualcosa come: “sono sicuro che ti sei
dimenticato”).
Atti linguistici in cui la forza illocutiva è espressa in modo traslato, cioè in cui viene usata
una forma linguistica tipica di una certa forza illocutiva per esprimere un'altra forza
illocutiva, sono detti atti linguistici indiretti (considerati polite).
L'uso di atti linguistici indiretti può essere altamente codificato in una lingua: l'uso di
domande per esprimere richieste è una strategia diffusa in molte lingue. L'alta routinarietà
di tali usi figurati consente all'interlocutore di interpretare correttamente gli atti linguistici
indiretti, in alcuni casi senza nemmeno avere la percezione che si tratti di atti indiretti (es:
scusi, può spegnere la sigaretta?).
L'esistenza di atti linguistici indiretti è una manifestazione della flessibilità di uso delle
lingue. Occorre ricordare che la possibilità di esprimere in modo più o meno diretto una
determinata forza illocutiva e culturalmente determinata: lingue e culture diverse
codificano in vario grado questa possibilità per i diversi atti linguistici.

4.4 Verbi performativi


Possiamo esplicitare il tipo di azione che un parlante esegue nel preferire un enunciato,
usando dei verbi che qualifichino l'azione verbale compiuta. Ad esempio, la frase
“prometto che farò il bravo” ha una particolarità: attraverso di essa il parlante non si limita
a descrivere l'azione che sta compiendo, ma, nel nominarla, la esegue. Con il fatto stesso di
dire “prometto…” un parlante esegue una promessa. I verbi come promettere, informare,
chiedere, scommettere che, nel preferirla, realizzano un’azione linguistica sono detti verbi
performativi. Solo in specifiche forme e circostanze, un verbo performativo ha questa
proprietà: quanto detto per la forma “prometto” (presente) non vale per le forme “ho
promesso” e “promettere”.
La constatazione dell'esistenza di verbi con queste caratteristiche ha aperto la strada
all'idea che parlare è un mezzo per agire. Osserviamo che le azioni che si compiono
attraverso il linguaggio possono Anche essere eseguite attraverso altri mezzi comunicativi,
come il linguaggio non verbale. Il linguaggio verbale sembra comunque essere il mezzo più
efficace e versatile per eseguire queste azioni.

CAP. 5 – Ciò CHE SI DICE E Ciò CHE SI INTENDE DIRE

5.1 Inferenze
Bisogna aprire una riflessione su quali sono le informazioni che effettivamente vengono
trasmesse e attivate nel modello di discorso, quando un parlante pronuncia un certo
enunciato. Le informazioni che via via si trasmettono attraverso l'asserzione di enunciati
non si aggiungono isolatamente le une dalle altre, ma vengono connesse fra loro e
all'interno di un modello di discorso, che già comprende conoscenze di vario tipo.
Un enunciato viene effettivamente compreso solo in quanto viene inserito nel modello di
discorso e quindi reso compatibile con le conoscenze già possedute. La comprensione di un
enunciato può portare gli interlocutori ad assumere per valide informazioni supplementari
che non sono esplicitamente asserite dai parlanti, ma la cui verità viene suggerita dalle
dall'insieme delle informazioni. Le informazioni supplementari, non asserite dal parlante,
ma inferite dall'interlocutore sulla base della sua attività di comprensione e di costruzione
del modello di discorso si chiamano inferenze. Si distinguono vari tipi di inferenze sulla
base delle loro proprietà e dei meccanismi, a partire dai quali si generano.
5.2 Fonti delle inferenze
La produzione di inferenze e il risultato dell'attività di comprensione e interpretazione
degli indizi presenti nel modello di discorso. E se possono scaturire da tutte le componenti
del contesto. Ecco le diverse fonti che producono inferenze:
● La conoscenza del linguaggio: la conoscenza del linguaggio consente di produrre
inferenze sugli enunciati in quanto traiamo informazioni dal significato degli
enunciati stessi. In questo caso inferire e capire avrebbero lo stesso significato e non
ci sarebbe bisogno della nozione di inferenza. Quello che vogliamo sottolineare in
realtà è che l'uso di certe espressioni linguistiche produce inferenze che non
sembrano immediatamente riconducibili al significato dell'espressione stessa, cioè
non coincidono con il suo significato. Dalla frase “il negozio era chiuso”, una
persona potrebbe costruire una rappresentazione della situazione che comprenda
una delle seguenti inferenze o alternative:
1. Il negozio era un giorno di riposo.
2. Il negozio ha cessato l'attività.
3. Il negozio era aperto ma chiuso in un momento precedente l'arrivo del mio amico.
Questo è dovuta la vaghezza del significato dell'espressione.
● Le conoscenze relative alla situazione in cui si svolge il discorso: L'asserzione “ho
smesso di fumare” in risposta alla domanda “Come va?” produrrà nell'interlocutore
inferenze diverse, a seconda delle conoscenze che questi puoi recuperare
relativamente al contesto, come ad esempio un tono di voce o un'espressione
facciale particolare. Può andare in aiuto dell'interlocutore anche sapere delle
informazioni sul parlante.
● Le conoscenze generali sul funzionamento del mondo e le nostre aspettative sul
comportamento delle persone: spesso questo tipo di conoscenze sono culturalmente
determinate. Le inferenze che si producono a partire da ipotesi sul comportamento
comunicativo dei parlanti, sono molto interessanti dal punto di vista pragmatico,
perché consentono di mettere bene in luce quali sono le tacite regole cui ci si aspetta
che tutti si attengano nel comunicare.

5.3 Conseguenze
Le inferenze sono informazioni supplementari che gli ascoltatori ricostruiscono a partire
dalla comprensione degli enunciati proferiti dai parlanti. Alcune inferenze sono trattate
come ipotesi in attesa di essere verificate; altre inferenze, invece, scaturiscono
necessariamente da un enunciato, sono cioè non cancellabili: chiamiamo queste inferenze,
obbligatorie conseguenze, che possono avere varia origine.
Le conseguenze che scaturiscono dall'uso di determinate parole o espressioni hanno a che
fare con il significato delle espressioni stesse. Se il fatto di usare una certa parola o
espressione in un enunciato produce un’inferenza non cancellabile, cioè una conseguenza,
evidentemente quell’inferenza e parte del significato dell'espressione stessa. La verifica
della cancellabilità delle inferenze è un modo per definire l'esatto valore semantico di
un'espressione linguistica. Ad esempio, dire che l'uso di “finalmente” produce
l'informazione “l'evento era desiderato” come conseguenza, significa dire che “evento
desiderato” è parte del significato di “finalmente”.
Molto studiate sono le conseguenze che si producono a partire da alcune costruzioni
sintattiche, ad esempio dalla subordinazione. L'uso di alcuni verbi produce come
conseguenza la validità (verbi fattivi) o non validità (verbi controfattivi) della frase
dipendente dal verbo. Il diverso status di validità della frase subordinata dipende dal verbo
reggente, ed è evidentemente collegato al diverso significato di avere intenzione, riuscire,
rinunciare.

5.4 Presupposizioni
Quando un enunciato viene smentito o negato, la validità dell'informazione che essa
esplicitamente trasmette viene negata, e molte delle inferenze che esso produce vengono a
loro volta negate. Ci aspettiamo che, se un enunciato produce una certa inferenza, un
enunciato di segno opposto produca un’inferenza di segno opposto o non produca più
l'inferenza in questione. Tuttavia, non per tutte le inferenze accade questo, ovvero non
tutte le inferenze che scaturiscono da un enunciato vengono cancellate dalla sua smentita.
Viene chiamata presupposizione, un’inferenza che resta valida tanto quando un enunciato
è asserito, tanto quando viene smentito o quando sulla sua validità ci si interroga. Le
presupposizioni costituiscono le informazioni di sfondo sulle quali si costruisce
l'informazione asserita. Le presupposizioni possono avere diversa origine.
● Conoscenze dirette e condivise
● Espressioni linguistiche come parte del loro significato: ad esempio la parola
riuscire presuppone il significato di tentare.
● Verbi implicativi: producono presupposizioni sulla validità delle informazioni
contenute nelle frasi dipendenti.
Fra le presupposizioni più studiate ci sono quelle relative all'esistenza dei referenti
menzionati negli enunciati. Si può osservare come il fatto che l'esistenza di un referente
menzionato sia dato per presupposto o invece passibile di smentita dipende da vari fattori:
● Un referente definito è dato più facilmente per presupposto di un indefinito.
● La negazione di certi verbi (verbi con obiectum effectum) cancella l'esistenza del
referente con il ruolo di oggetto, mentre con altri verbi (verbi con obiectum
affectum), l'esistenza del referente oggetto può essere mantenuta.
In questi casi, l'attivazione di presupposizioni è dovuta a un intreccio di fattori: il
significato del verbo, ma anche lo status del referente testuale, con il ruolo di oggetto nel
modello di discorso in atto.

5.4.1 Presupposizioni e struttura informativa


La disposizione delle informazioni in focus e background serve a mettere in evidenza quali
informazioni in un enunciato sono asserite, oggetto di discussione, e quali sono invece
presupposte. Le informazioni di background costituiscono delle presupposizioni, mentre il
contenuto informativo vero e proprio è definito dall'elemento in focus. Per quanto riguarda
le domande, abbiamo detto che nelle interrogative totali l'intero predicato e un focus e non
esiste background virgola mentre nelle interrogative parziali il predicato e in background e
il focus è costituito dal costituente soggetto, sulla cui identità ci si interroga. In termini di
attivazioni di presupposizioni, diremo che:
● Con un’interrogativa totale 🡪 un parlante non attiva alcuna presupposizione
relativa alla proposizione, ma la mette interamente in discussione. Non ci sono
presupposizioni relative alla validità dell'evento.
● Con un’interrogativa parziale 🡪 Il parlante attiva una presupposizione di validità
della porzione non in focus.
Dunque, La struttura informativa di un enunciato attiva presupposizioni relative alla
validità della porzione in background, mentre la parte focale è quella che è messa in
discussione. In altre parole, un enunciato verte sulla parte focale, mentre la porzione di
background è presentata come condivisa o condivisibile, punto di partenza non oggetto di
discussione.

5.4.2 Presupposizioni e condizioni di felicità.


Le condizioni di felicità di un atto direttivo prevedono che si possa ordinare a un altro solo
ciò che si sa che l'altro è in grado di fare. La validità della presupposizione “Tu hai una
cuffia da notte” è condizione necessaria per la felicità dell'atto linguistico di tipo direttivo
“prestale una cuffia da notte”. Ma siccome Alice non ha una cuffia da notte, non potrà mai
eseguire l'atto richiesto e la Regina non avrebbe dovuto proferire l'ordine stesso.

CAP. 6 – LA CONVERSAZIONE COME AGIRE RAZIONALE

6.1 Significato delle parole e intenzioni del parlante


Ci occupiamo della teoria sul linguaggio elaborata da Paul Grice e nota come “Teoria del
significato non-naturale.” naturale.” egli sviluppa le sue riflessioni con lo scopo di
esplorare alcune difficoltà che sorgono nell'analisi delle lingue naturali secondo
l'impostazione logica classica e fissa nell’intenzionalità del parlante la chiave di volta della
sua teoria. In particolare, si concentra sulle nozioni di convenzione e di intenzione come
basi per l'interpretazione dei messaggi negli scambi comunicativi.
● Nozione di convenzionalità: La produzione e comprensione dei messaggi è
garantita dall'esistenza di convenzioni che regolano il significato delle espressioni
linguistiche e che consentono la traducibilità degli enunciati in messaggi dotati di
significato, quindi si può dire che il significato degli enunciati scaturisce dalla
decodifica del senso delle parole.
Questa nozione è di tipo tradizionale e Grice la sostituisce con una prospettiva alla cui base
sta:
● Nozione di intenzionalità: la produzione e comprensione dei messaggi è garantita
dalla capacità dei parlanti di interpretare le intenzioni comunicative degli
interlocutori, a partire dagli enunciati da loro proferiti. Quindi il significato degli
enunciati scaturisce dall'interpretazione delle intenzioni del parlante manifesta.
L'uso delle lingue verbali non è l'unica forma di comunicazione a disposizione degli esseri
umani: si possono usare gesti, azioni e versi e ciò che accomuna queste diverse forme di
comunicazione è l'intenzionalità del comportamento del parlante.
Alla base della comunicazione, secondo Grice, c'è la capacità dei parlanti di esibire le
proprie intenzioni comunicative e riconoscere quelle altrui attraverso mezzi diversi, fra i
quali il linguaggio verbale e probabilmente più potente e versatile.

6.2 Principio di cooperazione


La comunicazione è un'attività che si svolge fra più persone, ciascuna delle quali esibisce
intenzioni comunicative e cerca di interpretare quelle altrui. Ognuno dei partecipanti ha
perciò interesse a far sì che l'interlocutore riconosca le sue intenzioni comunicative. Ogni
partecipante parte dal presupposto che gli interlocutori collaborino alla riuscita della
comunicazione; senza queste aspettative reciproche, la conversazione sarebbe impossibile.
Il principio di cooperazione che sta alla base della conversazione, nella prospettiva di
Grice, non è da interpretare come una norma etica, ma come una necessità costitutiva delle
conversazioni. Dal principio di cooperazione Grice far discendere quattro massime che
altro non sono che le manifestazioni concrete dello stesso principio.

6.2.1 Massima della qualità


La massima della qualità riguarda la validità epistemica degli enunciati che vengono
preferiti: in una conversazione, ci si aspetta che ogni parlante fornisca un contributo
comunicativo nella misura in cui ritiene che esso sia vero. Questa massima richiama l'idea
delle condizioni di felicità e, in particolare, l'impegno alla verità. Naturalmente, la
possibilità che un parlante menta esiste, ma è altrettanto evidente che se i parlanti non
avessero alcuna aspettativa sul fatto che gli interlocutori dicono ciò che credono vero, la
comunicazione non avrebbe alcun senso. D'altronde, anche il successo di un
comportamento fraudolento è garantito dall' esistenza della massima: la menzogna non
avrebbe alcuna possibilità di successo, se il bugiardo non contasse sul fatto che gli
interlocutori la prenderanno per vera.

6.2.2 Massima della quantità


Secondo questa massima, i parlanti si aspettano che in una conversazione gli interlocutori
forniscano un contributo comunicativo pari a quello richiesto per la riuscita della
comunicazione stessa. Ad esempio, nelle domande. Ben delineata nella domanda stessa, la
quantità di informazioni richieste. Di fronte a una domanda, ci aspettiamo che i parlanti
rispondano fornendo le informazioni richieste. Inoltre, ci aspettiamo poi che le persone
non dicano cose che ritengano che noi sappiamo già, a meno che non abbiamo un motivo
per richiamarla, l'attenzione o alla memoria. Naturalmente, non solo i contesti di risposta
alle domande mostrano l'azione della massima della quantità. In una frase assertiva ci
aspettiamo che, nel fare riferimento a dei referenti, i parlanti diano le informazioni
necessarie a identificarli per quanto è possibile e utile nel contesto.
In ogni caso, la massima non ci consente di definire con precisione e in astratto che cosa va
detto e non detto in uno scambio comunicativo, ma descrive un principio generale secondo
cui i parlanti si regolano nel singolo contesto.

6.2.3 Massima della relazione


Secondo la massima della relazione, i parlanti prevedono che non ha conversazione si
fornisca un contributo informativo rilevante, pertinente alla comunicazione in corso.
La ricerca di pertinenza guida l'interpretazione della vaghezza delle espressioni
linguistiche. La massima della relazione riguarda anche i legami interni al testo, creando
un'aspettativa di esistenza di relazioni all'interno di un discorso. Ciò che ci guida
nell'interpretazione è la nostra conoscenza e l'aspettativa che riponiamo nel fatto che gli
interlocutori stiano rispettando la massima della pertinenza nel raccontare gli eventi.

6.2.4 Massima del modo


Secondo questa massima virgola in una conversazione ci si esprime in modo da agevolare
la comprensione del proprio contributo informativo da parte degli interlocutori. La
massima riguarda il modo in cui le cose vengono dette. L'anomalia di questa massima
risiederebbe non nella quantità di informazione data, ma nell'espressione scelta per
esprimere tali informazioni: esistendo un modo più breve e piano per designare il referente
in questione, ci si aspetta che il parlante lo sfrutti.
L'intero sistema di scelta delle espressioni referenziali può essere letto come
un'applicazione congiunta della massima della quantità e del modo: ci si aspetta che ogni
parlante dia il massimo dell'informazione richiesta nel modo più efficace. A seconda del
grado di identificabilità e attivazione di un referente in un dato momento del discorso,
l'espressione che risponde a entrambi i requisiti varia.

6.3 Implicature conversazionali


Le aspettative dei parlanti riguardo al rispetto delle massime guidano le scelte espressive e
il processo interpretativo dei parlanti. Dalle massime scaturiscono delle inferenze che
Grice chiama implicature conversazionali, cioè inferenze, che, a differenza di quelle
convenzionali, non scaturiscono dal significato codificato convenzionalmente nelle
espressioni linguistiche, ma dal comportamento comunicativo e delle aspettative che si
hanno su di esso. Tuttavia, in quanto frutto di aspettative, le implicature conversazionali
sono cancellabili, cioè possono essere smentite o non attivarsi se il contesto portano a
diversa interpretazione del comportamento del parlante.

6.3.1 Implicature conversazionali generalizzate


Una combinazione di significato convenzionale implica tour e conversazionali, consente di
descrivere l'uso di determinate espressioni linguistiche che risulterebbero altrimenti di
difficile definizione. Alcune classi di espressione sono state studiate sistematicamente
secondo questo metodo, aggiungendo a generalizzazioni importanti come quelle sulle
implica tour e scalari.
Due enunciati apparentemente sinonimi, non si comportano allo stesso modo se vengono
smentiti. Ciò significa che, in realtà, i due enunciati non hanno lo stesso significato
convenzionale e proprio per questo motivo è il significato convenzionale che viene
intaccato da un'eventuale smentita.
Si dice perciò che, ad esempio, i quantificatori qualche e tutti sono ordinati in una scala di
informatività per cui tutti è più informativo e di qualche: ogni volta che viene usato
qualche, il significato di tutti viene cancellato per implicatura conversazionale sulla base
della massima della quantità.
Un’implicatura conversazionale di questo tipo è detta generalizzata perché scaturisce
sistematicamente dall'uso di un'espressione: un quantificatore esistenziale come qualcuno
produce come implica tura conversazionale generalizzata il valore non tutti, cioè la
negazione della validità del quantificatore universale. Questo valore non è però parte del
significato convenzionale di qualcuno, come mostra il comportamento in caso di smentita
e il fatto che l'espressione qualcuno sia compatibile con il valore tutti, senza produrre
contraddizioni.

6.3.2 Implicature conversazionali non standard


Le implicature conversazionali in cui il percorso interpretativo degli ascoltatori è guidato
dall'ipotesi che il parlante stia agendo nel rispetto delle massime. Tuttavia, le circostanze in
cui i parlanti violano una o più massime sono frequentissime. In taluni casi ciò avviene
secondo procedure talmente routinarie che non ce ne rendiamo conto. Nel seguente
dialogo:
A- è in casa?
B- B- Mah, la luce accesa
La risposta di B, apparentemente non pertinente, può essere interpretata come una
risposta ad A dato che, possiamo immaginare, che B è a conoscenza del fatto che
normalmente quando si esce di casa si spegne la luce. La risposta di B produce
un'informazione pertinente a rispondere alla domanda di A segnalando allo stesso tempo
che non si hanno altri dati a disposizione per rispondere in modo più certo.
La violazione delle varie massime deve essere attribuita a qualche altra motivazione, ad
esempio una regola di cortesia. Il parlante, esibendo il fatto che non sta fornendo
l'informazione richiesta, richiama l'attenzione sui motivi per i quali può aver fatto questo e
virgola in tal modo, guida all'interlocutore, all' inferenza voluta. Inferenze che scaturiscono
dalla ricerca di una giustificazione alla violazione reale o apparente delle massime sono
dette implicature conversazionali non standard.
In definitiva, ciò che resta valido all'interno di ogni scambio comunicativo è il principio di
cooperazione. In questo caso, le quattro massime possono essere viste come
metaimplicature generalizzate che scaturiscono dal principio di cooperazione e possono
Come tali, cadere in contesti specifici.

CAP. 7 – LA CONVERSAZIONE COME AGIRE SOCIALE: ROUTINE


E RITUALI

7.1 Analisi della conversazione


A volte ci accade di fare domande di cui non ci interessa conoscere la risposta o di cui
magari già conosciamo la risposta, ad esempio, quando ci facciamo raccontare per
l'ennesima volta un aneddoto da un amico solo perché sappiamo che gli fa piacere farlo. In
queste situazioni, noi simuliamo: facciamo finta di desiderare di sapere una cosa e di non
saperla ancora. Questo comportamento può avere diverse motivazioni, come ad esempio
riempire un momento in cui la conversazione langue o far sentire l'interlocutore
importante, oppure metterlo in imbarazzo in difficoltà. Tutti questi esempi ci mostrano che
esistono scopi e regole nella gestione degli scambi comunicativi che non sembrano avere a
che fare con la comunicazione intesa come mezzo per compiere azioni, ma sembrano avere
una funzione sociale e di gestione di rapporti fra le persone che comunicano. Questo
insieme di regole è in parte universale e in parte culturalmente determinato.
Seguendo il filone di studi, detto dell'analisi della conversazione, ci occupiamo delle regole
che servono alla gestione degli scambi comunicativi e che si manifestano nella struttura
stessa della conversazione e nel comportamento dei parlanti.
Gli studi di analisi della conversazione adottano un punto di vista e un metodo di analisi
più empirico, rigorosamente legato all'osservazione della struttura di scambi comunicativi
reali e alla loro interpretazione. L'intento è quello di individuare le regole che parlanti
stessi mostrano di riconoscere e osservare.

7.1.1 Turni
Uno dei primi problemi che si sono posti all'osservazione degli scambi comunicativi reali e
la necessità di individuare delle unità di analisi. L'unità di base è stata individuata nel
turno, con cui si intende la sequenza di parole che ogni partecipante produce in modo
continuativo, prima che intervenga un altro; quando un nuovo partecipante interviene,
inizia un nuovo turno. L'alternanza dei turni fra i partecipanti all'interazione non è
sempre regolata in modo da evitare il fenomeno della sovrapposizione, anzi esso si verifica
con una certa frequenza e svolge funzioni comunicative diverse. A inizio turno si possono
verificare partenze simultanee quando due parlanti si selezionano insieme per il turno e
iniziano a parlare contemporaneamente. In questo caso si verifica un conflitto
nell'assegnazione del turno e ciò può manifestarsi nell'aumento di volume della voce, fino a
che uno smette di parlare e lascia il turno all'altro.
Si parla di interruzione, invece, quando un partecipante alla conversazione inizia a parlare
durante il turno di un altro e se ne appropria.
Tuttavia, non tutte le sovrapposizioni danno luogo a situazioni conflittuali. Alcune forme di
sovrapposizione svolgono funzioni di segnale di feedback rivolte dall’ascoltatore al
parlante, che servono a segnalargli che si sta seguendo, provando o capendo il discorso che
sta facendo o anche per fornire materiale utile alla comunicazione in corso. Queste
sovrapposizioni non danno luogo a interruzioni né ad alterazioni del discorso del parlante
che detiene il turno.

7.1.2 Mosse comunicative


La nozione di turno tiene conto soprattutto del livello formale della struttura della
conversazione. Le azioni comunicative dei parlanti sono descritte dall'analisi della
conversazione in termini di mosse. La nozione di mossa comunicativa richiama quella di
atto linguistico: entrambe mirano a descrivere tipi di azione che si possano eseguire con le
parole. La differenza è che la nozione di atto linguistico è definita in ambito logico, mentre
quella di mossa comunicativa è definita in ambito etnolinguistico. L'analisi della
conversazione mira, partendo dall'analisi di situazioni comunicative concrete, a
individuare specifiche mosse comunicative e a descrivere le regole di ricorrenza e di
concatenazione. Ad esempio, i saluti sono mosse comunicative, normalmente previste ad
apertura e a chiusura di numerosi tipi di scambio comunicativo. Se l'interlocutore ha
diritto di parola, a una mossa di saluto corrisponde una risposta di saluto da parte
dell'interlocutore. Il caso dei saluti mostra come spesso una mossa comunicativa ne
preveda una di risposta: le mosse comunicative si organizzano quindi in sequenze
complementari, come quella di saluto-saluto. Una mossa comunicativa non coincide
necessariamente con un turno, né un turno. Con una mossa comunicativa: in uno stesso
turno possono collocarsi più mosse comunicative e una mossa comunicativa può articolarsi
su più turni. Inoltre, le mosse che fanno parte di sequenze complementari non sono
necessariamente collocate in turni adiacenti.

7.1.3 Alternanza dei turni


In conversazioni simmetriche in cui tutti i partecipanti hanno uguali diritti e doveri di
parola per determinare chi e quando può intervenire nella conversazione i parlanti
seguono regole generali che agiscono in successione.
● Prima regola 🡪 Prevede che chi parla possa selezionare il parlante successivo
attraverso una serie di segnali, come l'invito a una persona a parlare
interpellandola. In questo caso, chi sta parlando svolge anche il ruolo di regista della
conversazione.
● Seconda regola 🡪 Tuttavia, se il parlante non seleziona nessun parlante successivo,
la seconda regola prevede che, quando egli smetti di parlare, qualsiasi partecipante
può autoselezionarsi per il turno successivo. Questa regola entra in azione solo se il
caso precedente non si è verificato.
● Terza regola 🡪 Prevede che se chi parla non ha selezionato alcun parlante
successivo e nessuno si seleziona per il turno successivo, il primo parlante può
riprendere la parola e iniziare un nuovo turno.
In interazioni in cui i ruoli dei partecipanti sono asimmetrici, la gestione dei turni può
essere affidata una figura di regista, che assegna i turni di parola, esegue le mosse
comunicative forti e gestisce l'orientamento dei contenuti dell'interazione.

7.2 Simmetria, potere, dominanza


Solo alcune interazioni prevedono una perfetta simmetria o equivalenza di ruoli fra i
partecipanti. Più frequenti sono le interazioni asimmetriche, nelle quali ruoli non sono
equivalenti e intercambiabili. In questa situazione i partecipanti hanno diverso potere
interazionale. Sono di questo tipo molte interazioni istituzionali.
Asimmetria può manifestarsi anche per effetto della gestione dell'interazione da parte dei
partecipanti: un singolo partecipante può assumere, localmente o globalmente, una
posizione dominante. La dominanza può essere motivata da vari fattori, come una
maggiore competenza linguistica comunicativa.
Le regole di gestione dell'interazione e i ruoli sono in parte prevedibili in base alla
conoscenza del tipo di interazione in corso, ma non ne sono determinati necessariamente:
in ogni interazione, i ruoli e il potere possono essere ribaditi o ridiscussi dai partecipanti.
Un ultimo caso di apparente infrazione delle regole di regia può avvenire a partire da un
fraintendimento linguistico, che può essere generato, ad esempio, da un'incomprensione
interculturale sull'interpretazione dei ruoli dei partecipanti.

7.3 Strategie di cortesia


Tra le regole e le strategie di comportamento che parlanti considerano in una
conversazione, ne sono state individuate alcune che regolano il rispetto dell'interlocutore e
della sua immagine sociale, tecnicamente definita faccia. A tali strategie si dà il nome di
strategie di cortesia. Si usa distinguere fra:
● Faccia positiva: riguarda il bisogno di dare e ricevere approvazione e giudizi
positivi fra interlocutori.
● Faccia negativa: riguarda la necessità di rispettare la libertà d'azione degli
interlocutori.
Le strategie di cortesia mirano a salvaguardare entrambe. Sono giustificate da strategie di
cortesia, varie forme di attenuazione, come le esitazioni o l'uso di segnali di mitigazione.
È un esempio di cortesia positiva il ricorso a figure di attenuazione, eufemismi e litoti.
Anche gli atti linguistici indiretti, che mascherano la forza illocutiva realmente intesa, sono
operazioni rituali che mirano a segnalare il rispetto per la faccia altrui in situazioni
potenzialmente lesive. Funge da strategia di cortesia negativa l’eseguire un atto direttivo
attraverso una domanda.
La nozione di cortesia è alla base della distinzione, all’interno di una sequenza
complementare, fra:
● Mosse comunicative preferenziali 🡪 sono in linea con i principi di cortesia. Ad
esempio, la mossa preferenziale in una sequenza avviata da un invito e
un'accettazione e non un rifiuto.
● Mosse comunicative non preferenziali 🡪 Quando un parlante opta per una mossa
non preferenziale se desidera salvaguardare la cortesia, si serve di una serie di
strategie di compensazione, come esitazioni, attenuazioni o spiegazioni.

7.3.1 Una logica della cortesia?


Molti fenomeni sono stati studiati secondo principi di massima efficienza comunicativa, in
linea con quelli che ispirano la logica della conversazione. Tuttavia, la selezione dei mezzi
referenziali risponde anche a una logica della cortesia che prevede che i modi del
riferimento non violino la faccia negativa e positiva dei partecipanti alla conversazione.
Altri mezzi di riferimento che violano le massime di Grice, non sembrano potersi spiegare
in termini di cortesia. Ad esempio:
● Namedropping 🡪 Il menzionare un referente con un'espressione meno esplicita del
necessario, violazione della massima della quantità e del modo. Questo fenomeno
ha l'effetto di accomunare parlante e ascoltatore in una stessa cerchia di intimi, per i
quali tale menzione è presentata come sufficiente all'identificazione del referente.

CAP. 8 – CULTURA E LINGUAGGIO

8.1 Linguistica, antropologia, etnografia


Gli studi di pragmatica hanno inizialmente condotto le proprie ricerche con una
prospettiva universalista e l'intento di trovare leggi e regole di funzionamento del
linguaggio che fossero applicabili in tutte le lingue e le culture. L'aspetto della variazione
translinguistica e transculturale è stato di fatto trascurato. Gli studi più recenti riguardano
due branche della pragmatica:
● Pragmatica interculturale 🡪 lo studio della variazione delle regole e categorie
pragmatiche in cultura e lingue diverse e nelle interazioni fra parlanti appartenenti
a lingue e culture diverse.
● Etnografia della comunicazione 🡪 gli studi di approccio antropologico alla
comunicazione e all'uso del linguaggio o dei rapporti intercorrenti fra l'uso della
lingua in una data comunità e i sistemi locali di conoscenza e comportamento
sociale.

8.2 Pragmatica culturale


La scarsa attenzione alla possibile variazione interlinguistica e interculturale è stata in
tempi recenti osservata da più parti, parallelamente all'incremento degli studi linguistici
dedicati a lingue e culture non occidentale e alla comunicazione interculturale.
Le osservazioni vanno in varie direzioni: da un lato propongono per i modelli descrittivi
consolidati modifiche che consentono di inglobarvi la componente culturale.
Clyne 🡪 la valutazione della quantità di informazione ritenuta appropriata in un
determinato scambio comunicativo possa variare da cultura a cultura e, a seconda del tipo
di scambio comunicativo, suggerisce che la relativa massima conversazionale vada
modificata.
Tuttavia, il semplice inserimento di clausole relative alla possibilità di variazione
interculturale delle massime non è di per sé sufficiente. Si tratterà semmai di elaborare i
migliori e meno Anglo centriche descrizioni delle massime coinvolte, prevedendo inoltre la
possibilità che le diverse massime interagiscono diversamente in culture diverse. Le stesse
considerazioni sulla necessità di una prospettiva transculturale potrebbero valere per la
maggior parte dei modelli comunicativi.
Critiche più profonde vengono da studi che si sono occupati di comunicazione
interlinguistica e interculturale, o di comunità plurilingui e pluriculturali: in questi
contesti, lo scontro con le difficoltà dei modelli pensati per parlanti monolingui e mono
culturali è più evidente. Clyne invoca la necessità di un modello descrittivo della
conversazione che inglobi le differenze fra parlante e ascoltatore e che prevede la
possibilità di competenze multiple da parte di entrambi.
Wierzbicka discute, letto uno centrismo delle categorie descrittive adottate dagli studi di
prammatica e sostiene la necessità di rifarsi a un metalinguaggio basato su concetti
semantici primitivi e condivisi interculturalmente: ciò sembra richiamare un'analisi basata
su categorie che gli stessi parlanti mostrano di riconoscere e utilizzare, ovvero un'analisi
“emica”.

8.3 Eventi linguistici


Studi linguistici di taglio più antropologico adottano prospettive tipicamente
antiuniversalistiche e mirano a leggere e interpretare differenze fra culture che
corrispondono a differenze fra lingue, riflettono quindi sul relativismo culturale. Un
modello di analisi che ha goduto di una notevole fortuna, origine nel lavoro di Hymes e
nelle sue nozioni di competenza comunicativa e di evento linguistico.
● Nozione di competenza comunicativa 🡪 quella di competenza linguistica che
rimanda solitamente alla semplice padronanza di un codice linguistico. Viene detta
competenza comunicativa l'usare un repertorio di atti linguistici, prendere parte ad
eventi linguistici e comprendere come gli altri li valutano. Questa competenza si
integra inoltre con attitudini, valori e motivazioni che riguardano la lingua, le sue
caratteristiche, i suoi usi, fondendosi con la competenza che i parlanti hanno
nell'integrare la lingua ad altri codici comunicativi.
● Nozione di evento linguistico 🡪 lo studio della competenza comunicativa sostituisce
all'enunciato la nozione di evento linguistico, definito come attività direttamente
governata da regole o norme per l'uso del parlato. Gli atti di parola diventano
elementi costitutivi di una particolare attività umana virgola che è quella del
parlato.
I parametri descrittivi significativi per un evento linguistico sono riassunti nell’acronimo
SPEAKING:
● S è la situazione, intesa come le coordinate spazio-temporali, ma anche la scena,
cioè la definizione che viene data dell'evento all'interno di una certa cultura.
● P sono i partecipanti all'evento linguistico.
● E (ends) sono gli scopi dei partecipanti all'evento linguistico, nozione centrale della
nozione di atto linguistico e forza illocutiva.
● A sono gli atti di linguaggio che vengono sequenzialmente prodotti.
● K (key) è la chiave secondo cui l'evento linguistico va interpretato.
● I (instruments) sono i mezzi di cui parlanti si servono, ovvero i canali e i codici
linguistici, ma anche non linguistici.
● N sono le norme che regolano lo svolgimento di un certo evento linguistico e il
comportamento dei suoi partecipanti.
● G è il genere o tipologia di discorso che viene adottato in un evento linguistico.
Lo scopo del modello è quello di fornire una griglia che consenta di tenere insieme le
riflessioni svolte dalla pragmatica sull'importanza del contesto e sulle diverse componenti
della situazione comunicativa nell'interpretazione degli eventi linguistici, consentendo di
intendere il contesto come un tutto integrato, di cui gli atti verbali sono una delle
componenti. Il modello ha anche un'utilità comparativa, poiché consente la descrizione di
eventi linguistici di culture diverse attraverso una griglia comune di partenza.
8.3.1 Partecipanti
Il modello di Hymes distingue, oltre ai ruoli di parlante e ascoltatore, i ruoli di emittente e
destinatario virgola che possono o meno coincidere con i primi.
● Destinatario: è detto un partecipante cui il parlante non si rivolge direttamente, ma
a cui l'evento nel suo complesso è comunque rivolto ed effettivamente destinato.
● Emittente: un partecipante che non esegue materialmente l'azione di parlare, ma
viene considerato dagli altri partecipanti e segnalato dal parlante come origine del
messaggio di cui egli non è che il materiale portavoce.

8.3.2 Situazione
Ogni evento linguistico prevede una prova a disposizione di spazi e di tempi: oltre alla
collocazione spazio-temporale dell'evento, sono pertinenti le scansioni interne, sia spaziali
sia temporali. La prossemica, ovvero la posizione assunta dai partecipanti a un evento
linguistico, è anch'essa di solito culturalmente codificata: esistono regole generali relative
alla distanza che è opportuno tenere rispetto agli altri partecipanti, a seconda dell'evento e
del grado di conoscenza reciproca. La direzione dello sguardo ha anche una rilevanza per
l'evento: in determinate culture, la possibilità di guardare negli occhi una persona richiede
la presenza di un certo grado di confidenza oppure una posizione sovraordinata.

8.3.3 Strumenti
Un aspetto interessante è quello degli strumenti di comunicazione, che non corrispondono
semplicemente all'uso del codice linguistico, ma anche di diversi codici paralinguistici o
non linguistici. Spesso l'interpretazione della chiave è affidata a segnali (strumenti)
paralinguistici, come la prosodia, e non verbali, come la mimica o la gestualità.
Anche un contenuto di tipo referenziale può essere trasmesso attraverso la gestualità:
Alcuni studi rilevano, ad esempio, come i meccanismi dell'anafora e della deissi possono
ricorrere a puntatori gestuali, come i cenni del capo. Lo sfruttamento di strumenti diversi
può variare culturalmente: è noto che alcune culture si servono della mimica e della
gestualità molto più di altre per trasmettere parte dei messaggi.

8.3.4 Atti
Se osservate in prospettiva interculturale, le tipologie di atti linguistici o mosse
comunicative e le modalità della loro esecuzione, organizzazione in sequenze possono
mostrare variazioni. Ad esempio, le regole per la presa di turno e la durata consentita delle
pause possono variare interculturalmente, provocando, in situazioni comunicative
interculturali, equivoci e incomprensioni. Anche le modalità di esecuzione di un'azione
linguistica possono variare da cultura a cultura, prevedendo rituali diversi. Oltre alle
modalità di esecuzione degli atti, anche la loro stessa esistenza può essere culturalmente
determinata.

8.3.5 Scopi
Duranti osserva come nella teoria degli atti linguistici l'importanza attribuita alle
intenzioni del parlante, sarebbe dovuta una visione etnocentrica del comportamento
umano. Il modello di Austin prevede una distinzione fra intenzioni e conseguenze (fra
livello illocutivo e perlocutivo), secondo cui il parlante è responsabile delle intenzioni, ma
non delle conseguenze dei propri atti. Anche la questione della responsabilità è
culturalmente determinata.
8.3.6 Norme
Le teorie di Austin e di Grice non si sono poste esplicitamente il problema della possibile
valenza culturale delle regole di norma. Studi più recenti sostengono l'importanza di
discutere le modalità di variazione dell'inventario della gerarchia reciproca delle norme
valide in una specifica cultura. Oltre a una diversa valutazione, la mancata conoscenza dei
sistemi di norme proprie di una diversa cultura può portare alla produzione di inferenze
errate. È facile ipotizzare che le diversità finora osservate siano correlate a più ampie
norme culturali che non regolano solo il comportamento comunicativo, ma il
comportamento sociale nella sua interezza e che quindi vanno prese in considerazione per
dare una motivazione e una descrizione organica della competenza linguistica degli
individui come appartenenti alla comunità linguistica.
Contro la pretesa validità transculturale della nozione di cortesia prendono posizioni
diversi autori che osservano come atteggiamenti di rispetto dell'interlocutore, presenti in
culture diverse, non possano essere descritti attraverso la nozione di cortesia.

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