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Cecilia Andorno
1.2.1 I descrittori
Il primo gruppo è quello dei nomi comuni e dei sintagmi nominali che fanno riferimento a
classi di oggetti accomunati per qualche proprietà e questi sono detti descrittori, perché
attraverso il loro uso il parlante implicitamente riconosce all’oggetto delle proprietà della
classe. Per poter usare un descrittore nel modo appropriato un parlante deve:
I descrittori hanno una notevole flessibilità d’uso: combinati per esempio con i
quantificatori (numerali, indefiniti) o altri specificatori (articoli, dimostrativi) eccetera, i
descrittori possono riferirsi a singoli individui della classe, a un sottogruppo o ad un’intera
classe.
1.4.1 Accessibilità
La scelta può essere funzionale a segnalare il grado di accessibilità di un referente, ovvero
quanto esso è identificabile in modo univoco per i parlanti e quanto è presente
all’attenzione dei parlanti in un dato momento del discorso.
Con identificabilità del referente si intende la possibilità per i parlanti di identificarlo in
modo univoco.
Con attivazione di un referente si intende il fatto che esso sia o meno presente
all’attenzione dei parlanti in un dato momento del discorso.
L’accessibilità di un referente dipende dalle diverse componenti di conoscenza a
disposizione dei parlanti in uno scambio comunicativo, ovvero:
● L’insieme delle conoscenze condivise fra parlanti.
● La situazione.
● Il modello di discorso in atto.
Le lingue possiedono solitamente mezzi espressivi dedicati a segnalare il movimento
referenziale, ovvero il mutamento del grado di accessibilità dei referenti nel modello di
discorso. Referenti al massimo grado identificabili e attivi sono segnalati attraverso
espressioni indicali (come pronomi) o attraverso ellissi (omissione del soggetto italiana,
anafora zero). Il parlante segnala che i referenti sono massimamente accessibili.
I descrittori sono usati per referenti con più basso grado di accessibilità.
Attraverso la segnalazione del grado di accessibilità, il parlante indica all’interprete dove
cercare il referente menzionato fra le conoscenze possedute e proprie del modello di
discorso.
2.1 Deissi
Per capire il riferimento di alcune espressioni, l’ascoltatore avrebbe bisogno di conoscere
alcune “coordinate” della situazione in cui si sta svolgendo l’evento comunicativo: in
particolare, chi sta parlando e dove si trova o cosa indica.
Si definisce deissi il fenomeno per cui il riferimento di alcune espressioni linguistiche
indicali è vincolato alle coordinate della situazione in cui avviene l’evento comunicativo.
Gli elementi indicali deittici funzionano come segnali indicatoridi orientamento rispetto
agli elementi presenti nella situazione comunicativa. Il loro riferimento è individuabile solo
a partire da una determinata situazione.
3.2.1 Focus
Si definisce focus la porzione dell’enunciato che ha il maggior grado di dinamismo
comunicativo, ciò che costituisce l’obiettivo comunicativo del messaggio. Il focus è
normalmente collocato in posizione finale ed è segnalato da un accento più rilevato. Il
focus è la porzione fondamentale di un enunciato. Questo è particolarmente evidente nei
dialoghi domanda/risposta: in questo caso gli elementi con minor dinamismo linguistico
(sfondo o background) già presenti nella domanda, possono essere omessi.
Ci sono vari tipi di focus:
● Focus completivo 🡪 un’informazione focale nuova, non posseduta in precedenza
dall’ascoltatore, che, in seguito all’enunciato del parlante, semplicemente integra
l’informazione nel proprio modello di discorso. Dal punto di vista informativo, un
focus completivo ha la funzione di aggiungere un’informazione.
● Focus contrastivo 🡪 una nuova informazione non è semplicemente aggiunta ex
novo al modello di discorso, ma viene selezionata fra più candidati alternativi
evocati nel discorso. Questo focus è segnalato da mezzi linguistici diversi rispetto al
focus completivo e sono normalmente più forti. Essi possono essere un accento
contrastivo specifico o una struttura sintattica apposita: in italiano, un esempio è la
struttura scissa “essere x che/ a fare y”. In questo modo, il parlante segnala
all’interlocutore che esistono candidati alternativi. Dal punto di vista informativo,
un focus contrastivo ha la funzione di fornire un’informazione segnalando in che
modo una precedente contenuta nel modello di discorso vada modificata.
● Focus contropresupposizionale 🡪 un tipo di focus contrastivo il cui obiettivo è
quello di cancellare le presupposizioni.
3.2.2 Topic
Con topic o tema si intende l’elemento informativo che il parlante presenta come
argomento dell’enunciato. Il ruolo di soggetto è un buon candidato al ruolo topicale.
Svolgono ruolo topicale gli elementi collocati in posizione iniziale, così come il
complemento oggetto dislocato in posizione iniziale.
Collocando un elemento in posizione topicale, il parlante segnala all’interlocutore ciò a
proposito di cui intende parlare e lo invita a immagazzinare le informazioni successive
come relative al topic proposto. Topic è quindi il punto di partenza di un enunciato, quindi
l’elemento topicale ha un basso grado di dinamismo comunicativo, ovvero viene presentato
dal parlante come elemento informativo identificabile, non oggetto di controversia.
(In un dialogo possono esserci fasi di contrattazione del topic: A- Tu cosa dici? B- No, tu
cosa dici!).
Normalmente il topic è un elemento noto ed eventualmente già attivo nel modello di
discorso. Se così non è, questo fatto può essere segnalato con strutture particolari: in
italiano si usa la frase presentativa “esserci x che”, che serve ad introdurre un elemento
nuovo segnalando al tempo stesso che quello è il topic (es: c’è il gatto che gratta alla porta).
Un particolare tipo di topic, detto antitopic, ha la funzione di attualizzare o riattualizzare
un topic identificabile per gli interlocutori, ma che il parlante ritiene possa non essere
attivo per l’ascoltatore nel momento attuale del modello di discorso. Questo topic è
collocato in posizione finale 🡪 L’hai portata in tintoria, la tua giacca?
4.1.4 Asserzioni
Con un'asserzione, un parlante dichiara che un certo stato di cose è vero. Un enunciato
dichiarativo e accettabile per il suo destinatario se la verità dello stato di cose cui fa
riferimento è plausibile, cioè non è smentita dalle informazioni in possesso del
destinatario. La condizione di sincerità del parlante e quella di plausibilità della verità sono
condizioni di felicità di un atto assertivo. Qualora un parlante non sia certo della validità di
quanto afferma, può segnalare questo fatto in vario modo, ad esempio dicendo “credo che
sia così”. In alcune lingue la segnalazione della fonte da cui proviene una certa conoscenza,
va necessariamente codificata con uno specifico modo verbale. Qualcosa di simile può
essere fatto anche in italiano, opponendo il modo indicativo al condizionale, chiamato in
questo caso condizionale evidenziale. (es: “Nuovi scontri si sarebbero verificati nelle
ultime ore”).
5.1 Inferenze
Bisogna aprire una riflessione su quali sono le informazioni che effettivamente vengono
trasmesse e attivate nel modello di discorso, quando un parlante pronuncia un certo
enunciato. Le informazioni che via via si trasmettono attraverso l'asserzione di enunciati
non si aggiungono isolatamente le une dalle altre, ma vengono connesse fra loro e
all'interno di un modello di discorso, che già comprende conoscenze di vario tipo.
Un enunciato viene effettivamente compreso solo in quanto viene inserito nel modello di
discorso e quindi reso compatibile con le conoscenze già possedute. La comprensione di un
enunciato può portare gli interlocutori ad assumere per valide informazioni supplementari
che non sono esplicitamente asserite dai parlanti, ma la cui verità viene suggerita dalle
dall'insieme delle informazioni. Le informazioni supplementari, non asserite dal parlante,
ma inferite dall'interlocutore sulla base della sua attività di comprensione e di costruzione
del modello di discorso si chiamano inferenze. Si distinguono vari tipi di inferenze sulla
base delle loro proprietà e dei meccanismi, a partire dai quali si generano.
5.2 Fonti delle inferenze
La produzione di inferenze e il risultato dell'attività di comprensione e interpretazione
degli indizi presenti nel modello di discorso. E se possono scaturire da tutte le componenti
del contesto. Ecco le diverse fonti che producono inferenze:
● La conoscenza del linguaggio: la conoscenza del linguaggio consente di produrre
inferenze sugli enunciati in quanto traiamo informazioni dal significato degli
enunciati stessi. In questo caso inferire e capire avrebbero lo stesso significato e non
ci sarebbe bisogno della nozione di inferenza. Quello che vogliamo sottolineare in
realtà è che l'uso di certe espressioni linguistiche produce inferenze che non
sembrano immediatamente riconducibili al significato dell'espressione stessa, cioè
non coincidono con il suo significato. Dalla frase “il negozio era chiuso”, una
persona potrebbe costruire una rappresentazione della situazione che comprenda
una delle seguenti inferenze o alternative:
1. Il negozio era un giorno di riposo.
2. Il negozio ha cessato l'attività.
3. Il negozio era aperto ma chiuso in un momento precedente l'arrivo del mio amico.
Questo è dovuta la vaghezza del significato dell'espressione.
● Le conoscenze relative alla situazione in cui si svolge il discorso: L'asserzione “ho
smesso di fumare” in risposta alla domanda “Come va?” produrrà nell'interlocutore
inferenze diverse, a seconda delle conoscenze che questi puoi recuperare
relativamente al contesto, come ad esempio un tono di voce o un'espressione
facciale particolare. Può andare in aiuto dell'interlocutore anche sapere delle
informazioni sul parlante.
● Le conoscenze generali sul funzionamento del mondo e le nostre aspettative sul
comportamento delle persone: spesso questo tipo di conoscenze sono culturalmente
determinate. Le inferenze che si producono a partire da ipotesi sul comportamento
comunicativo dei parlanti, sono molto interessanti dal punto di vista pragmatico,
perché consentono di mettere bene in luce quali sono le tacite regole cui ci si aspetta
che tutti si attengano nel comunicare.
5.3 Conseguenze
Le inferenze sono informazioni supplementari che gli ascoltatori ricostruiscono a partire
dalla comprensione degli enunciati proferiti dai parlanti. Alcune inferenze sono trattate
come ipotesi in attesa di essere verificate; altre inferenze, invece, scaturiscono
necessariamente da un enunciato, sono cioè non cancellabili: chiamiamo queste inferenze,
obbligatorie conseguenze, che possono avere varia origine.
Le conseguenze che scaturiscono dall'uso di determinate parole o espressioni hanno a che
fare con il significato delle espressioni stesse. Se il fatto di usare una certa parola o
espressione in un enunciato produce un’inferenza non cancellabile, cioè una conseguenza,
evidentemente quell’inferenza e parte del significato dell'espressione stessa. La verifica
della cancellabilità delle inferenze è un modo per definire l'esatto valore semantico di
un'espressione linguistica. Ad esempio, dire che l'uso di “finalmente” produce
l'informazione “l'evento era desiderato” come conseguenza, significa dire che “evento
desiderato” è parte del significato di “finalmente”.
Molto studiate sono le conseguenze che si producono a partire da alcune costruzioni
sintattiche, ad esempio dalla subordinazione. L'uso di alcuni verbi produce come
conseguenza la validità (verbi fattivi) o non validità (verbi controfattivi) della frase
dipendente dal verbo. Il diverso status di validità della frase subordinata dipende dal verbo
reggente, ed è evidentemente collegato al diverso significato di avere intenzione, riuscire,
rinunciare.
5.4 Presupposizioni
Quando un enunciato viene smentito o negato, la validità dell'informazione che essa
esplicitamente trasmette viene negata, e molte delle inferenze che esso produce vengono a
loro volta negate. Ci aspettiamo che, se un enunciato produce una certa inferenza, un
enunciato di segno opposto produca un’inferenza di segno opposto o non produca più
l'inferenza in questione. Tuttavia, non per tutte le inferenze accade questo, ovvero non
tutte le inferenze che scaturiscono da un enunciato vengono cancellate dalla sua smentita.
Viene chiamata presupposizione, un’inferenza che resta valida tanto quando un enunciato
è asserito, tanto quando viene smentito o quando sulla sua validità ci si interroga. Le
presupposizioni costituiscono le informazioni di sfondo sulle quali si costruisce
l'informazione asserita. Le presupposizioni possono avere diversa origine.
● Conoscenze dirette e condivise
● Espressioni linguistiche come parte del loro significato: ad esempio la parola
riuscire presuppone il significato di tentare.
● Verbi implicativi: producono presupposizioni sulla validità delle informazioni
contenute nelle frasi dipendenti.
Fra le presupposizioni più studiate ci sono quelle relative all'esistenza dei referenti
menzionati negli enunciati. Si può osservare come il fatto che l'esistenza di un referente
menzionato sia dato per presupposto o invece passibile di smentita dipende da vari fattori:
● Un referente definito è dato più facilmente per presupposto di un indefinito.
● La negazione di certi verbi (verbi con obiectum effectum) cancella l'esistenza del
referente con il ruolo di oggetto, mentre con altri verbi (verbi con obiectum
affectum), l'esistenza del referente oggetto può essere mantenuta.
In questi casi, l'attivazione di presupposizioni è dovuta a un intreccio di fattori: il
significato del verbo, ma anche lo status del referente testuale, con il ruolo di oggetto nel
modello di discorso in atto.
7.1.1 Turni
Uno dei primi problemi che si sono posti all'osservazione degli scambi comunicativi reali e
la necessità di individuare delle unità di analisi. L'unità di base è stata individuata nel
turno, con cui si intende la sequenza di parole che ogni partecipante produce in modo
continuativo, prima che intervenga un altro; quando un nuovo partecipante interviene,
inizia un nuovo turno. L'alternanza dei turni fra i partecipanti all'interazione non è
sempre regolata in modo da evitare il fenomeno della sovrapposizione, anzi esso si verifica
con una certa frequenza e svolge funzioni comunicative diverse. A inizio turno si possono
verificare partenze simultanee quando due parlanti si selezionano insieme per il turno e
iniziano a parlare contemporaneamente. In questo caso si verifica un conflitto
nell'assegnazione del turno e ciò può manifestarsi nell'aumento di volume della voce, fino a
che uno smette di parlare e lascia il turno all'altro.
Si parla di interruzione, invece, quando un partecipante alla conversazione inizia a parlare
durante il turno di un altro e se ne appropria.
Tuttavia, non tutte le sovrapposizioni danno luogo a situazioni conflittuali. Alcune forme di
sovrapposizione svolgono funzioni di segnale di feedback rivolte dall’ascoltatore al
parlante, che servono a segnalargli che si sta seguendo, provando o capendo il discorso che
sta facendo o anche per fornire materiale utile alla comunicazione in corso. Queste
sovrapposizioni non danno luogo a interruzioni né ad alterazioni del discorso del parlante
che detiene il turno.
8.3.2 Situazione
Ogni evento linguistico prevede una prova a disposizione di spazi e di tempi: oltre alla
collocazione spazio-temporale dell'evento, sono pertinenti le scansioni interne, sia spaziali
sia temporali. La prossemica, ovvero la posizione assunta dai partecipanti a un evento
linguistico, è anch'essa di solito culturalmente codificata: esistono regole generali relative
alla distanza che è opportuno tenere rispetto agli altri partecipanti, a seconda dell'evento e
del grado di conoscenza reciproca. La direzione dello sguardo ha anche una rilevanza per
l'evento: in determinate culture, la possibilità di guardare negli occhi una persona richiede
la presenza di un certo grado di confidenza oppure una posizione sovraordinata.
8.3.3 Strumenti
Un aspetto interessante è quello degli strumenti di comunicazione, che non corrispondono
semplicemente all'uso del codice linguistico, ma anche di diversi codici paralinguistici o
non linguistici. Spesso l'interpretazione della chiave è affidata a segnali (strumenti)
paralinguistici, come la prosodia, e non verbali, come la mimica o la gestualità.
Anche un contenuto di tipo referenziale può essere trasmesso attraverso la gestualità:
Alcuni studi rilevano, ad esempio, come i meccanismi dell'anafora e della deissi possono
ricorrere a puntatori gestuali, come i cenni del capo. Lo sfruttamento di strumenti diversi
può variare culturalmente: è noto che alcune culture si servono della mimica e della
gestualità molto più di altre per trasmettere parte dei messaggi.
8.3.4 Atti
Se osservate in prospettiva interculturale, le tipologie di atti linguistici o mosse
comunicative e le modalità della loro esecuzione, organizzazione in sequenze possono
mostrare variazioni. Ad esempio, le regole per la presa di turno e la durata consentita delle
pause possono variare interculturalmente, provocando, in situazioni comunicative
interculturali, equivoci e incomprensioni. Anche le modalità di esecuzione di un'azione
linguistica possono variare da cultura a cultura, prevedendo rituali diversi. Oltre alle
modalità di esecuzione degli atti, anche la loro stessa esistenza può essere culturalmente
determinata.
8.3.5 Scopi
Duranti osserva come nella teoria degli atti linguistici l'importanza attribuita alle
intenzioni del parlante, sarebbe dovuta una visione etnocentrica del comportamento
umano. Il modello di Austin prevede una distinzione fra intenzioni e conseguenze (fra
livello illocutivo e perlocutivo), secondo cui il parlante è responsabile delle intenzioni, ma
non delle conseguenze dei propri atti. Anche la questione della responsabilità è
culturalmente determinata.
8.3.6 Norme
Le teorie di Austin e di Grice non si sono poste esplicitamente il problema della possibile
valenza culturale delle regole di norma. Studi più recenti sostengono l'importanza di
discutere le modalità di variazione dell'inventario della gerarchia reciproca delle norme
valide in una specifica cultura. Oltre a una diversa valutazione, la mancata conoscenza dei
sistemi di norme proprie di una diversa cultura può portare alla produzione di inferenze
errate. È facile ipotizzare che le diversità finora osservate siano correlate a più ampie
norme culturali che non regolano solo il comportamento comunicativo, ma il
comportamento sociale nella sua interezza e che quindi vanno prese in considerazione per
dare una motivazione e una descrizione organica della competenza linguistica degli
individui come appartenenti alla comunità linguistica.
Contro la pretesa validità transculturale della nozione di cortesia prendono posizioni
diversi autori che osservano come atteggiamenti di rispetto dell'interlocutore, presenti in
culture diverse, non possano essere descritti attraverso la nozione di cortesia.