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CAPITOLO 10: LA PRAGMATICA

La comunicazione non dipende solo dalla comprensione del significato delle parole di un enunciato, ma
anche dalla comprensione di ciò che il parlante intende con quell’enunciato in un contesto specifico. Lo
studio di ciò che intende il parlante, del “significato per il parlante”, è detto pragmatica.

1 IL SIGNIFICATO INVISIBILE
Per molti aspetti, la pragmatica è lo studio del significato “invisibile”, ossia di come riconosciamo ciò che si
intende dire anche quando non è stato materialmente detto o scritto. Perché possa succedere, il parlante deve
essere capace di tenere in considerazione molti assunti e molte aspettative condivise quando cerca di
comunicare. Lo studio di questi assunti e aspettative ci permette di capire come mai noi siamo capaci di
comprendere molto di più del semplice contenuto linguistico di un enunciato. Dal punto di vista della
pragmatica, ciò che viene comunicato è sempre più di quanto viene effettivamente detto.

2 IL CONTESTO
Ciò che accade è che noi usiamo i significati delle parole, il contesto in cui esse occorrono, e una qualche
conoscenza previa della plausibilità di un messaggio nel momento in cui cerchiamo di elaborare una
interpretazione ragionevole di ciò che intendeva dire chi ha scritto il cartello. La nostra interpretazione del
significato non si basa solo sulle parole, ma su ciò che noi crediamo che lo scrivente volesse comunicare. Ci
sono vari tipi di contesto:
Contesto fisico: può essere il luogo nel quale troviamo parole e frasi
Contesto linguistico (cotesto): è l’insieme delle altre parole usate nello stesso enunciato.

2.1 La deissi
Ci sono alcune parole molto comuni nelle lingue che non si possono interpretare in nessun modo se non si
conosce il contesto, e il contesto fisico del parlante. E’ impossibile capire alcune frasi se non si sa chi sta
parlando, dove, quando e chi. Espressioni come domani e qua sono dette espressioni deittiche. Usiamo la
deissi per indicare persone, luoghi, momenti nel tempo. Queste espressioni deittiche devono essere
interpretate in base a quale persona, quale luogo o quale tempo ha in mente il parlante. Si fa una distinzione
generale tra ciò che è segnalato vicino al parlante e ciò che è lontano. Questa distinzione si può usare anche
per esprimere emozioni. E’ anche possibile segnalare se un movimento avviene in direzione del luogo in cui
si trova il parlante o se ne allontana. La deissi può essere usata anche a scopi umoristici.

2.2 La referenza
Le parole non si riferiscono a niente. Sono le persone a riferirsi a qualcosa. Dobbiamo quindi definire la
referenza come un atto tramite il quale un parlante usa il linguaggio per permettere a un ascoltatore
l’identificazione di qualcosa. Per eseguire un atto di referenza possiamo usare nomi propri, nomi inseriti in
sintagmi o dei pronomi. Possiamo riferirci a qualcosa che non sappiamo bene come chiamare, usare
espressioni oppure perfino inventare nomi

2.3 L’Inferenza
L’inferenza è qualsiasi informazione aggiuntiva usata dall’ascoltatore per mettere in relazione ciò che viene
detto con ciò che deve essere inteso.

2.4 L’Anafora
C’è una differenza quando introduciamo un nuovo referente nel discorso e quando ci riferiamo di nuovo allo
stesso referente. In questo tipo di relazione referenziale, la seconda espressione del referente è un esempio di
anafora. La prima è un antecedente. Esiste un procedimento meno comune, catafora, che capovolge la
relazione antecedente-anafora partendo dal pronome e rivelando in un secondo momento informazioni più
specifiche. L’anafora è più comune e può essere definita come la referenza successiva a un’entità già
introdotta nel discorso. L’anafora è usata per mantenere la referenza.

3 LA PRESUPPOSIZIONE
Quando facciamo uso di espressioni referenziali in circostanze normali presumiamo che l’ascoltatore sappia
di quale referente si tratti. In generale organizziamo i nostri messaggi linguistici dando per certa una gran
quantità di elementi riguardo a quello che i nostri ascoltatori già sanno. Tutto ciò che il parlante o lo
scrivente presume come vero all’ascoltatore è detto presupposizione. Una delle prove usate per individuare
le presupposizioni di una frase consiste nel negare una frase che contiene una certa presupposizione e nel
verificare se rimane vera. Questo è il cosiddetto test della costanza sotto negazione.

4 MARCATORI PRAGMATICI
I parlanti dispongono di altri modi per segnalare in che modo i loro enunciati vadano interpretati. Tra di essi
ci sono brevi espressioni che sono facoltative e si collegano agli enunciati in modo vago. Si chiamano
marcatori pragmatici e possono essere usati per segnalare l’atteggiamento del parlante nei confronti
dell’ascoltatore o dell’enunciato.

5 LA CORTESIA
Nello studio della cortesia linguistica la nozione più rilevante è quella di faccia. La faccia, in pragmatica, è
l’immagine pubblica di se. Si tratta del senso emotivo e sociale di se stesi che ognuno ha e che ognuno si
aspetta che tutti gli altri riconoscano. La cortesia è mostrare consapevolezza e considerazione della faccia di
un’altra persona. Se diciamo qualcosa che rappresenta una minaccia nei confronti dell’immagine di sé di
un’altra persona, abbiamo compiuto un face-threatening act o atto di minaccia della persona. Un atto
linguistico indiretto elimina l’assunto del potere sociale. Ogni volta che diciamo qualcosa che riduce la
possibilità di minaccia alla faccia di un’altra persona si può dire che si tratti di un face-saving act o atto di
salvataggio della persona.

5.1 Faccia Negativa e Faccia Positiva


Ognuno di noi ha una faccia negativa e una positiva. La faccia negativa è il bisogno di sentirsi indipendenti e
liberi da imposizioni. La faccia positiva è il bisogno di essere in relazione, di appartenere e di essere un
membro del gruppo. Un salvataggio della faccia che sottolinei la faccia negativa di una persona comporterà
il mostrare preoccupazione per l’imposizione che si viene a fare. Un salvataggio della faccia che sottolinei la
faccia positiva di una persona comporterà una dimostrazione di solidarietà e attirerà l’attenzione su un bene
comune. La differenza tra modi diretti e indiretti di comunicare si può analizzare in termini di modi di agire
con il linguaggio, ossia di atti linguistici.

6 GLI ATTI LINGUSTICI


Usiamo il termine atto linguistico per descrivere azioni che impiegano il linguaggio per richiedere, ordinare,
domandare o informare. Possiamo definire atto linguistico l’azione svolta da un parlante con un enunciato.
Per capire in quale modo gli enunciati possano essere usati per compiere azioni indirette o dirette, dobbiamo
vedere le relazioni tra la struttura di un enunciato e le sue normali funzioni.

6.1 Atti linguistici diretti e indiretti


Quando una struttura interrogativa è usata in funzione di domanda, la possiamo definire come un atto
linguistico diretto. Quando si usa invece per fare una richiesta è un atto linguistico indiretto. Una struttura
dichiarativa usata per fare una richiesta è un atto linguistico indiretto. Gli atti linguistici indiretti
costituiscono ottimi elementi di conferma del principio pragmatico per il quale la comunicazione dipende
dal fatto di riconoscere non solamente il significato e la struttura delle parole di un enunciato, ma anche le
intenzioni del parlante in quel particolare contesto.

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